Presentazione del Manuale di orientamento linguistico

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Presentazione del Manuale di orientamento linguistico
Diadori P. (cur.), Orientamento linguistico degli immigrati in Italia, OIM Organizzazione
Internazionale Migrazioni, Roma 2003
Abstract: L'Organizzazione Internazionale Migrazioni ha realizzato nel periodo 200-2003 un
progetto di orientamento linguistico,giuridico, psicosociale, al lavoro e alla società italiana per
lavoratori immigrati di diversa nazionalità, che si è concretizzato nella pubblicazione di tre
manuali1 e nella realizzazione di corsi di formazione per docenti e di orientamento per immigrati
da inserire al lavoro in Italia. Qui riportiamo una parte della guida per i docenti di italiano L2.
Presentazione del Manuale di orientamento linguistico
Pierangela Diadori
Università per Stranieri di Siena
Il manuale di orientamento linguistico si inserisce in un'offerta formativa legata al progetto OIM
2000-2003, basata su una serie di manuali di orientamento che saranno utilizzati dai formatori per
focalizzare il livello di competenza (linguistico e giuridico-socio-culturale) dell'immigrato nel
momento di inizio del corso di formazione e per realizzare il percorso di formazione guidata (60 ore
circa di formazione linguistica, 60 ore di orientamento giuridico, socio-culturale, psico-sociale, al
lavoro). Al tempo stesso i manuali dovranno costituire un punto di riferimento futuro per
l'immigrato nel momento in cui il percorso di orientamento guidato si interromperà e l'acquisizione
spontanea della lingua proseguirà nell'ambiente (linguistico e socio-culturale) della società italiana.
Per questo i manuali sono stati pensati sia come risorsa per il formatore in situazione-classe, sia
come risorsa per l'immigrato in autoapprendimento.
Il manuale per l'orientamento linguistico, in particolare, vuole dare risposta all'esigenza di
(ri)orientare l'apprendimento della lingua italiana in un contesto formale e guidato da un docente
esperto di italiano a stranieri, immaginando un immigrato-apprendente tipo che abbia già delle
preconoscenze di base della lingua e della cultura italiana (p.es. immigrati albanesi che abbiano
avuto contatto con la lingua e la cultura italiana già in patria attraverso la scuola o l'esposizione alla
televisione italiana, o immigrati tunisini, bilingui francofoni, già residenti da alcuni anni in Itala). Il
manuale ha lo scopo di rafforzare le conoscenze già possedute (per esempio trasferendo le
conoscenze orali della lingua nelle abilità di sc-rittura, ampliando le forme morfosintattiche usate,
rendendo più vasto il lessico, migliorando la sensibilità verso i registri e le forme di cortesia).
Al tempo stesso, il manuale per l'orientamento linguistico è stato pensato per mettere in grado il
corsista di seguire meglio anche i moduli di orientamento giuridico, socio-culturale, psico-sociale,
al lavoro, ciascuno tarato su un particolare obiettivo e di conseguenza orientato verso aree
semantiche specifiche e attività comunicative mirate.
Il corso è composto da sette unità didattiche di base e dieci moduli settoriali.
1
Diadori P. (cur.), Orientamento linguistico degli immigrati in Italia, OIM Organizzazione Internazionale Migrazioni,
Roma 2003; AAVV, Orientamento di base degli immigrati in Italia, OIM Organizzazione Internazionale Migrazioni,
Roma 2003; AAVV, Guida per gli orientatori, OIM Organizzazione Internazionale Migrazioni, Roma 2003
Gli interessati possono richiedere questi tre volumi al seguente indirizzo:
OIM Organizzazione Internazionale Migrazioni
Via Nomentana 62
00161 Roma
[email protected]
Il corso di base comprende sette unità di lavoro, costruite per fornire gli strumenti comunicativi
indispensabili sui temi e nei domini di prima necessità per un lavoratore immigrato:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
LA FAMIGLIA
LA CASA
IL LAVORO
I NEGOZI
LA TAVOLA
LA SALUTE
IL TEMPO LIBERO
La sezione dedicata agli approfondimenti di ambito professionale è composta da 10 brevi moduli
settoriali (il primo relativo alla burocrazia e altri nove per altrettante aree professionali individuate
dal progetto), più una sezione finale chiamata "Dossier lavoro" che ogni studente integrerà con i
propri materiali sul tema del lavoro e dell'immigrazione. Ecco l'indice dei moduli:
1. cercare lavoro
2. ristorazione (cuochi, camerieri, baristi)
3. agricoltura e allevamento (addetti all'allevamento, alla raccolta di prodotti)
4. pesca (addetti alla pesca)
5. trasporti (autisti di camion, di trattori)
6. edilizia (muratori, carpentieri, imbianchini, manovali, idraulici, elettricisti)
7. artigianato (falegnami, ebanisti, sarti)
8. industria (fonditori, saldatori, operai in industrie tessili, delle scarpe, dei guanti, del tessile)
9. pulizie (addetti alle pulizie, magazzinieri, facchini, spazzini, collaboratori domestici)
10. sanità (infermieri, personale non qualificato dei servizi sanitari, badanti, assistenza a
anziani)
Il manuale di orientamento linguistico vuole fornire al docente gli strumenti per:
- motivare lo studente all'apprendimento (materiali legati ai suoi bisogni, comprensibili in
base al suo livello di competenza ma contenenti delle parti nuove su cui fare ipotesi e da
utilizzare per progredire nelle proprie competenze e abilità comunicative);
- permettere il contatto con i testi (autentici o semiautentici) su cui esercitare la propria
abilità di comprensione globale e di (ri)produzione orale e scritta. L'analisi dei testi proposti
permetterà di riconoscere elementi noti o di scoprire quelli sconosciuti, in modo da
individuare regolarità o eccezioni in relazione al funzionamento del sistema linguistico e
socio-culturale dell'italiano, anche in un'ottica interculturale legata al confronto con la
propria madrelingua e le altre lingue conosciute dai corsisti (sezione "Per imparare")
- favorire la riflessione sugli aspetti della lingua e della cultura italiana incontrati nei testi
(sezione "Per riflettere"), sistematizzando le regole (dal particolare al generale), in modo da
stimolare negli studenti la capacità di fare ipotesi sul funzionamento del sistema linguistico,
di mettere in relazione le nuove conoscenze con quelle già disponibili (in lingua madre o
nelle altre lingue conosciute), di prendere consapevolezza del proprio livello di competenza
in italiano.
- offrire la possibilità di fissare le nuove conoscenze attraverso batterie di esercizi
aggiuntivi (sezione "Per provare"), che ripropongano le strutture e il lessico incontrato nelle
precedenti sezioni (esercizi pensati anche per il rinforzo di lacune specifiche dei membri
della classe con competenze più basse, da utilizzare fuori dalla classe, in
autoapprendimento)
-
-
-
-
garantire l'esposizione a tratti di pronuncia problematici per l'apprendente straniero di
italiano, in modo da permettere la riflessione sul riconoscimento e la produzione dei suoni, e
il relativo fissaggio attraverso esercizi mirati (sezione "Per pronunciare");
offrire la possibilità di valutazione in itinere, mediante un test conclusivo di ogni unità
didattica (sezione "Test di riepilogo" alla fine di ogni unità di base): coloro che mostrano
carenze in alcune attività (comprensione e produzione scritta, competenze lessicali e
morfosintattiche) potranno ricorrere ad esercizi supplementari nella sezione "Per provare" ;
fornire un riepilogo di circa 200 vocaboli nuovi introdotti in ogni unità didattica, in
modo da indicare (al docente e allo stesso apprendente) il patrimonio lessicale
indispensabile per favorire il progressivo formarsi delle competenze lessicali
dell'apprendente, corrispondenti al Lessico Fondamentale (pari a circa 2000 parole) per la
comprensione orale e scritta.
fornire un riepilogo di circa 100 vocaboli nuovi introdotti in ogni modulo settoriale, in
modo da indicare (al docente e allo stesso apprendente) un primo nucleo fondamentale
legato al patrimonio lessicale utile per accedere a determinati ambiti lavorativi (lingue
tecnico-professionali e lingua speciale della burocrazia, del diritto e del mondo del lavoro)
Profilo dei destinatari e degli orientatori linguistici del progetto OIM
Il corso è destinato a immigrati non principianti assoluti in italiano, che siano in grado di seguire
con regolarità un percorso di studio di almeno 60 ore sotto la guida di un insegnante specializzato
nell'insegnamento dell'italiano a stranieri. Ecco in dettaglio il profilo dei destinatari e quello degli
orientatori linguistici:
Profilo dei destinatari:
•
Età: giovani adulti
• Provenienza: immigrati albanesi, tunisini, russi, cinesi e di altra provenienza
• Livello linguistico: con competenze medio basse di italiano (a livello A2 del Quadro Comune
Europeo)
• Livello culturale: diploma di scuola media-superiore acquisito in patria
• Livello professionale: inseriti o da inserire negli ambiti lavorativi indicati dalle 33
professioni più richieste in Italia
•
Profilo degli orientatori linguistici:
1. madrelingua italiana,
2. Laurea in Scienze Umane (lingue, lettere, storia, filosofia, pedagogia) conseguita in Italia o
Laurea in Lingua e Letteratura Italiana conseguita all’estero.
3. esperienza certificata di insegnamento dell'italiano a stranieri, per un minimo di 90 ore in
corsi istituzionali (di scuole pubbliche o private) in Italia o all’estero,
4. buona conoscenza certificata da istituzioni pubbliche o private di almeno una lingua
straniera
Titoli preferenziali:
• possesso di un certificato specifico di competenza in didattica dell'italiano a stranieri
(p.es. laurea o specializzazione in didattica dell'italiano a stranieri, certificazione
DITALS dell'Università per Stranieri di Siena, ITALS dell'Università di Venezia o altre
paragonabili);
• conoscenza della lingua albanese o araba o francese;
• esperienza di insegnamento nei corsi di alfabetizzazione per immigrati stranieri in Italia
• esperienza come mediatore/mediatrice culturale con immigrati
Guida all'uso dei materiali didattici
La guida per gli orientatori linguistici ha lo scopo di illustrare l'approccio glottodidattico che è alla
base delle scelte metodologiche del corso e di offrire loro degli strumenti in più per facilitare il loro
lavoro di mediatori culturali e linguistici. In particolare, i prossimi capitoli presentano delle
indicazioni su:
• come presentare in classe i contenuti linguistici e culturali delle sette unità di base e dei dieci
moduli settoriali,
• come selezionare dei percorsi individualizzati per gli studenti più avanzati o più arretrati rispetto
al resto della classe
• come integrare i materiali con altri testi e altre attività più mirate ai bisogni dei destinatari
• come collegare i contenuti linguistici e culturali presenti nei materiali, con gli altri momenti
formativi (alla cultura italiana, all'ordinamento giuridico, al lavoro)
• come integrare le attività proposte nei materiali con altre attività mirate allo svolgimento di
compiti comunicativi sul territorio, al di fuori della classe stessa
AAVV, Guida per gli orientatori,
OIM Organizzazione
Internazionale Migrazioni, Roma 2003
ORIENTAMENTO LINGUISTICO (pp. 13-182)
a cura di Pierangela Diadori
Università per Stranieri di Siena
I
INTRODUZIONE
L’inchiesta sulle motivazioni allo studio dell’italiano L2 in Italia e nel mondo realizzata negli anni
Settanta su iniziativa dell’Enciclopedia Italiana (Baldelli, 1987) individuava tra gli stranieri che si
accostavano all’apprendimento dell’italiano una maggioranza di persone interessate alla tradizione
culturale legata alla lingua italiana: si trattava di persone appassionate dell’arte e delle lettere
italiane, oppure di studenti intenzionati a frequentare le università italiane, o ancora discendenti dei
nostri immigrati all’estero. Proprio negli anni in cui i risultati di quell’inchiesta venivano resi noti,
lo spaccato da essi tracciato veniva stravolto dal primo massiccio afflusso di immigrati nel nostro
paese: oggi sono di fatto gli stranieri immigrati a rappresentare il pubblico più consistente
dell’italiano L2. L’ondata migratoria dell’ultimo ventennio ha così prodotto un radicale
cambiamento del quadro tradizionale dei pubblici dell’italiano come lingua straniera, che del resto
anche all'estero si sono notevolmente diversificati (cfr. l'ultima indagine realizzata da De
Mauro/Vedovelli, 2001).
Dalla fine degli anni Ottanta l’immigrazione nel nostro paese ha assunto infatti i connotati di un
problema sociale, spesso avvertito come un’emergenza. Stando ai dati forniti dal “Dossier Statistico
Immigrazione 2002” della Caritas diocesana di Roma (su dati del Ministero dell’Interno), gli
stranieri regolarmente soggiornanti in Italia si attestano sul milione e mezzo, con una incidenza pari
a un immigrato ogni 38 residenti italiani.2 Una parte di essi chiedono di essere alfabetizzati nella
nostra lingua e frequentano i corsi di italiano per adulti, sia in ambito statale (per esempio i Centri
Territoriali permanenti), sia promossi da enti privati e dal volontariato.
1. GLI STUDI SULL'ITALIANO L2 DEGLI IMMIGRATI
Sull’arrivo in Italia delle prime consistenti ondate di lavoratori immigrati stranieri e sul problema
della loro alfabetizzazione sono stati pubblicati molti studi fin dall'inizio degli anni Ottanta, che
hanno messo in luce vari aspetti del fenomeno.
Un filone di studi riguarda le sequenze di apprendimento dell’italiano in contesto spontaneo da
parte di immigrati al di fuori di percorsi formativi istituzionali (cfr. Giacalone Ramat, 1986; 1988;
1993; Bernini / Giacalone Ramat, 1990; Giacalone Ramat / Vedovelli, 1994; Vedovelli, 1990, 1994,
2000): sulla base di confronti fra apprendenti con lingua madre diversa, sono stati esaminati i tratti
caratteristici dei diversi stadi di apprendimento dell'italiano come seconda lingua (dalle interlingue
molto iniziali a quelle intermedie e avanzate) e quali strutture dell’italiano sono acquisite prima
rispetto alle altre, indipendentemente dalla madrelingua (un settore di studi per il quale è stato
coniato il termine di linguistica acquisizionale).
Un secondo ambito di ricerca riguarda la rilevazione delle competenze linguistiche degli immigrati,
tenendo conto anche delle condizioni socioculturali e del loro grado di inserimento nella società
ospite per delinearne la biografia linguistica e le probabilità di apprendimento dell’italiano: un
esempio è il “glotto-kit per stranieri”, uno strumento per effettuare la ricognizione dei bisogni e dei
patrimoni linguistici in entrata, attraverso un questionario sociolinguistico e socioculturale
d'ambiente e una serie di prove relative alle abilità linguistiche (Vedovelli, 1991;
Felici/Vedovelli/Villarini, 1995; Fragai, 2001: 191-208. Sulla prima versione del "glotto-kit" cfr.
Gensini/Vedovelli, 1983);
A partire dagli anni Novanta sono state messe in luce le problematiche dell’educazione linguistica
in una società multietnica quale sta diventando la società italiana, nel confronto con altri contesti di
immigrazione (Tosi, 1995; Panico/Sbrocchi, 2000) e sono stati analizzati e valutati gli interventi
formativi realizzati per fornire gli strumenti linguistici indispensabili all’integrazione degli
immigrati (Demetrio, 1984; Favaro, 1987; 2002; Vedovelli, 1994; 1995: Diadori, 2001). In
particolare sono state elaborate dall'Università per Stranieri di Siena delle prove per la certificazione
delle competenze di italiano (CILS) mirate a fasce diverse di immigrati (cfr. Barni/Villarini, 2001).
Manca ancora, a più di venti anni di distanza dal primo articolo che affrontava la questione
linguistica dei movimenti migratori verso l'Italia (Vedovelli, 1981), una mappatura organica delle
lingue immigrate, analizzate nell'ambito dello spazio linguistico italiano contemporaneo, nei loro
rapporti dinamici con l'italiano parlato, con i dialetti, con l'italiano della scuola e della televisione,
con le altre lingue minoritarie (interessanti contributi che aprono la strada a ulteriori studi sul
contatto fra italiano e lingue immigrate in Vedovelli et al., 2001; Banfi, 2003).
2. MOTIVAZIONI, BISOGNI E ALTRE VARIABILI
Il fatto che nel 1999 gli immigrati soggiornanti in Italia da più di cinque anni siano aumentati di
quasi un terzo, soprattutto nel Nord Italia, nel Sud e nelle regioni adriatiche (con una media di circa
il 30% rispetto al totale degli immigrati) fa pensare che l'Italia stia diventando un Paese meta di
2
Attualmente gli immigrati in Italia sono pari al 3,9% della popolazione, ma per poter garantire lo stesso tenore di vita
che godono attualmente gli italiani, considerando la diminuzione della popolazione e l'aumento delle persone in età
pensionistica, dovrebbe salire fino al 15,2% nei prossimi cinquant'anni (cfr. Valentini, 1999; Vedovelli, 2002a: 150).
immigrazione stabile.3 In quest'ottica, possiamo ipotizzare che il tipo di motivazione psicologica
che spinge l'immigrato presente oggi in Italia ad apprendere la lingua del Paese ospitante (in
maniera spontanea o guidata) sia non solo "strumentale" (cioè dettata dalla volontà di entrare in
contatto temporaneo con gli altri, italofoni e non, attraverso questa lingua), ma soprattutto
"integrativa" (cioè finalizzata all'inserimento nella società italiana).4 I loro sono bisogni
“maggiormente legati alle esigenze pressanti della ‘sopravvivenza’ e della ‘convivenza’: lavorare,
abitare, interagire.” (Quassoli/Venzo, 1997: 108).
All’inizio della sua permanenza in Italia, la motivazione ad appropriarsi dell’italiano è vissuta
dall’immigrato come fondamentale per la sua sopravvivenza: “Dal momento del suo arrivo,
congiuntamente ai bisogni primari (vitto, alloggio, occupazione), il bisogno di comunicare, di capire
e di essere capito, di orientarsi nei molti luoghi sconosciuti e nei codici linguistici diversi, diviene
per l’immigrato vitale” (Demetrio/Favaro, 1992: 79).
In seguito, il desiderio di emanciparsi dalla relazione di aiuto stabilita inizialmente con i
connazionali già inseriti, e che possiedono un più elevato livello di padronanza della lingua, diviene
un’ulteriore motivazione all’apprendimento dell’italiano per poter rapportarsi direttamente agli
autoctoni ed accedere autonomamente alle informazioni e ai servizi.
La necessità di apprendere la lingua non è però l’unica motivazione che induce gli immigrati
stranieri a frequentare i corsi di italiano. Dalla ricerca condotta da Francesco Susi tra il 1986 e il
1987 sui bisogni formativi degli immigrati stranieri a Roma emergeva già chiaramente come la loro
partecipazione ai corsi rispondesse anche all’esigenza di intrecciare rapporti umani, di scambio, di
amicizia (Susi, 1991: 72).
Secondo Maslow (citato in Massara, 2001: 194), esistono cinque bisogni fondamentali, ordinati
gerarchicamente: soddisfatto uno, il successivo diventa preponderante:
1. assicurare la propria sopravvivenza (bisogni fisiologici)
2. garantire la propria sicurezza
3. associarsi agli altri
4. conquistare la stima altrui
5. realizzarsi totalmente.
I bisogni degli apprendenti immigrati, focalizzati sulla sopravvivenza e l’integrazione nel paese
ospitante, rispecchiano questo schema generale: riconoscere le gerarchie dei bisogni degli
apprendenti è essenziale perché il docente possa orientare le sue scelte metodologiche,
confrontando costantemente il proprio operato con la sua spendibilità a breve e medio termine.
Infatti, ben pochi immigrati potranno (o vorranno) dedicare molto tempo, denaro e energie per
frequentare dei corsi di orientamento linguistico, e quando lo faranno sarà di solito per ragioni
pratiche (inserirsi meglio sul lavoro, parlare con gli insegnanti dei figli, avere migliori possibilità di
integrazione sociale ecc.). 5
D'altra parte, la presenza di un lavoratore immigrato in un corso di formazione linguistica dovrebbe
essere valorizzata al massimo dal docente anche in base ad un'altra considerazione: non solo è
importante selezionare l'input, i testi, le abilità linguistiche, le competenze comunicative, ma è
fondamentale fornire quelle strategie di apprendimento (come la capacità di formulare ipotesi, di
scoprire le regolarità o le deviazioni da una norma, di procedere per confronti, analogie, e via
dicendo) che potranno rivelarsi cruciali anche al di fuori di un insegnamento guidato, accelerando e
ottimizzando quei processi di acquisizione spontanea dell'italiano che si verificano nel contatto
3
Fra i gruppi etnici più "stabilizzati" (da 5 a 10 anni di residenza in Italia) quelli provenienti da Marocco, Stati Uniti,
Tunisia, Germania, Filippine, Senegal, seguiti da Jugoslavia, Albania, Svizzera, Regno Unito (Caritas, 2000: 170).
4
Dai dati forniti dal Ministero del Lavoro (riportati in Caritas, 2000: 113) risulta che nel 1999 sono state fornite le
seguenti motivazioni (in ordine decrescente di incidenza) da chi chiedeva il permesso di soggiorno: 1. ricongiungimento
familiare; 2. asilo, motivi umanitari; 3. lavoro dipendente; 4. motivi di studio; 5. altri motivi; 6. motivi religiosi; 7.
residenza elettiva; 8. lavoro autonomo; 9. adozione; 10. motivi di salute; 11. affidamento.
5
Le cifre di coloro che decidono di ricorrere ad una formazione linguistica sono ancora relativamente basse: nel 2000
solo 55.000 immigrati si sono iscritti ai corsi di italiano offerti dai Centri Territoriali Permanenti (CTP), rispetto a una
popolazione immigrata stimata attorno a 1.500.000-1.700.000 persone (cfr. Vedovelli, 2002a: 170).
quotidiano con l'ambiente italofono. Questa dimensione formativa dell'apprendimento linguistico in
un contesto guidato potrebbe essere una scoperta per molti immigrati stranieri scarsamente
alfabetizzati. Il "bisogno" di italiano, percepito dallo stesso soggetto straniero come strumento
indispensabile di sopravvivenza, potrebbe così aprire la strada al "piacere" di apprendere, di
scoprirsi sempre più padroni dei propri mezzi espressivi, di acquisire autonomia e consapevolezza
nella scoperta del funzionamento dei codici comunicativi della comunità ospitante.
Esistono però anche altre variabili che caratterizzano l'immigrato in base alle diverse combinazioni
di età, sessi e background culturale (variabili diastratiche): più omogenee, come vedremo, le prime
due; particolarmente vario, invece, quest'ultimo.
La fascia di età più ampiamente rappresentata fra gli immigrati in cerca di occupazione in Italia è
quella dei giovani adulti (tra i 19 e i 40 anni), il cui progetto di sé e le cui forze fisiche sono più
congeniali ad un mutamento radicale di vita legato al trasferimento in un paese diverso dal proprio,
spesso mai visitato, spesso conosciuto solo dai racconti dei connazionali o dalle immagini
televisive. Si tratta di persone in un’età favorevole all’apprendimento linguistico, un'età che rientra
in quel "periodo sensibile"6 in cui le potenzialità di successo nell'apprendimento di una L2 sono più
alte per ragioni neurobiologiche, soprattutto se potenziate da una forte motivazione di
autopromozione e integrazione sociale.
A seconda delle etnie, si notano soprattutto arrivi di maschi giovani che hanno lasciato la famiglia
in patria (come vediamo nel caso degli albanesi, degli indiani o dei marocchini), o di giovani donne
che arrivano anch’esse da sole per chiedere solo successivamente il ricongiungimento con marito e
figli (come sono solite fare le immigrate sudamericane o filippine). Altri gruppi etnici si muovono
piuttosto per clan familiari, come quelli provenienti dalla Cina, o vedono le donne emigrare da sole
(come le estoni, che coprono l'88% dell'emigrazione dal loro Paese verso l'Italia).
Complessivamente le donne costituiscono oggi quasi la metà della popolazione immigrata in Italia7,
una tendenza che sembra ormai stabilizzata negli ultimi anni.
I docenti di italiano nei corsi per immigrati riferiscono spesso di grande disomogeneità per quanto
riguarda le preconoscenze culturali dei propri studenti, talvolta analfabeti anche nella propria
madrelingua, talvolta invece con una laurea alle spalle, provenienti da situazioni di monolinguismo
o di bi- e plurilinguismo, con esperienze diverse di scolarizzazione dovute ai diversi metodi
educativi adottati nei rispettivi Paesi di origine.8
Riportiamo quattro profili di apprendenti immigrati adulti, delineati in base al livello di istruzione
pregressa in Bosco (2002: 143):
A = studenti analfabeti in lingua madre e scarsamente scolarizzati nel paese ospite, in possesso di competenze
linguistiche in L2 generalmente base. Hanno una progressione di apprendimento molto lenta. Le forme di
conoscenza sono legate all'esperienza personale concreta; le capacità di ragionamento astratto sono molto scarse,
poiché hanno difficoltà a utilizzare procedimenti logici che trascendano l'esperienza immediata del soggetto;
B = studenti che hanno frequentato non più di 5-6 anni la scuola del paese d'origine. In genere presentano scarse
capacità strumentali e linguistiche. L a capacità di riflessione concettuale è ancora scarsa, anche se superiore a
quella del gruppo A, grazie al possesso e alla conoscenza del linguaggio scritto che facilita la rappresentazione
astratta;
C = studenti che hanno frequentato la scuola nel loro paese per circa 8-12 anni. Hanno pertanto una formazione
scolastica discreta. Presentano competenze linguistiche in L2 differenziate, determinate dal tempo di permanenza
in Italia e dal percorso individuale di apprendimento. Gli studenti di questo gruppo possiedono, grazie alla
scolarità pregressa, l'abitudine alla rappresentazione simbolica e la capacità di ragionamento astratto. Hanno
capacità di riflessione metalinguistica. La progressione nell'apprendimento è caratterizzata da ritmi piuttosto
veloci.
D = studenti con un alto grado di scolarità acquisito nel paese di provenienza (diploma di scuola superiore o
laurea). Anche questi studenti hanno competenze linguistiche differenti, determinate dal tempo di permanenza in
6
Per una discussione sugli effetti che l'età può avere sull'apprendimento di una L2, sulla questione fra "periodo critico"
dell'infanzia-adolescenza, e "periodo sensibile", dai 3 ai 39 anni, come potenzialmente più vantaggiose per
l'apprendimento linguistico, si veda Pallotti, 1998:196-205.
7
Il 46% dei cittadini stranieri registrati presso il Ministero dell'Interno al 31 dicembre 1999 era costituito da donne.
8
Dei candidati albanesi che si sono presentati nel 2000 alle selezioni previste dal progetto descritto alla nota 22, il 66%
aveva completato la scuola superiore, il 11% aveva solo la licenza elementare, mentre il 22% disponeva di una laurea.
Italia e dal percorso individuale di apprendimento. A volte conoscono una o più lingue straniere e hanno una
progressione di apprendimento generalmente molto veloce.
Mettendo in relazione il livello di scolarità pregressa con le motivazioni all'apprendimento
dell'italiano emergono, secondo Bosco (2002: 145sgg.) i seguenti risultati:
- motivi professionali: emergono come esigenza molto forte nei profili con scolarità più bassa;
la motivazione professionale all'apprendimento dell'italiano sembra connessa alla speranza
di un miglioramento del proprio progetto migratorio;
- inserimento sociale: è sentito come motivazione da tutti e quattro i profili, che spirano ad
interagire in modo paritario con i nativi come segno di integrazione sociale;
- approfondimento della lingua e cultura italiana: motivazione espressa solo dagli
appartenenti al profilo D che puntano sulla capacità di gestire meglio l'interazione sociale
con più ampi strumenti linguistico-culturali;
- motivi familiari: motivazione poco sentita: l'italiano è sentito come la lingua dei doveri, del
lavoro, degli obblighi burocratici, non la lingua degli affetti e delle relazioni familiari.
Quali conseguenze per l'insegnamento dell'italiano L2? E' prevedibile che le differenze di tipo
cognitivo e culturale influiranno pesantemente nel percorso di apprendimento guidato, e renderanno
indispensabile l'individualizzazione dell'insegnamento in base ai principi della didattica modulare
(cfr. Domenici, 1998) che ha per scopo primario l'ottimizzazione dei processi di
insegnamento/apprendimento in modo da:
• agganciare ogni nuova conoscenza alla mappa conoscitiva di ogni singolo allievo;
• rispettare i diversi ritmi di apprendimento;
• rispettare i singoli stili cognitivi legati a diverse strategie di memorizzazione, di soluzione dei
problemi, di acquisizione e organizzazione di nuovi dati conoscitivi;
• sviluppare le capacità potenziali dei singoli soggetti verso la consapevolezza e l'autonomia di
apprendimento.
Non è pensabile, dunque, specialmente nel caso di un corso per immigrati adulti, una
programmazione per fasi rigide e prestabilite secondo un percorso sequenziale che abbia un inizio e
una fine determinata, ma piuttosto un percorso circolare e flessibile, organizzato per "blocchi" (i
"moduli", appunto), realizzati attraverso "unità di apprendimento" variamente combinabili in modo
da favorire la diversificazione degli itinerari didattici di compensazione delle lacune e di
consolidamento delle abilità possedute.
3. APPRENDIMENTO SPONTANEO, GUIDATO, MISTO
L'acquisizione dell'italiano da parte dell'immigrato può avvenire in forma "spontanea", "guidata" o
“mista” (cfr. De Marco, 2000: 37-41), a seconda che il soggetto si trovi "in immersione" (cioè
esposto al contatto diretto con la lingua obiettivo), sia inserito in un percorsi formativo in patria o
nel Paese ospite, oppure si trovi contemporaneamente esposto a input guidati e spontanei.
E' un caso di apprendimento spontaneo l'acquisizione dell'italiano in patria attraverso il contatto
con gli italiani (turisti, soldati in missione di pace, commercianti e immigrati italiani) o con i mass
media italiani (in primo luogo la televisione, i cui programmi sono diffusi in vari paesi limitrofi,
come dimostrano le competenze di base in questa lingua di molti albanesi residenti in Albania o
degli abitanti di Malta). L'apprendimento spontaneo dell'italiano da parte di immigrati in Italia
avviene invece sul luogo di lavoro, nel contatto con immigrati di altre etnie, nel contatto con la rete
sociale (servizi, scuola dei figli, uffici pubblici, vicinato). In certi casi l'italiano viene appreso anche
nel contatto con la microcriminalità cittadina straniera o italiana, o nelle carceri, dove nel 1999 il
26,6% era composto da stranieri, con una preponderanza di nordafricani che sfiorava la metà
dell'intera popolazione detenuta straniera (oltre 14.000 individui al 31.12. 1999) (Caritas, 2000:
198).
Nel caso dell'apprendimento guidato da un docente di italiano L2, sono determinanti le
componenti del contesto-classe: dove si svolge l’apprendimento, i tempi, il ruolo del docente,
l’input, l'approccio glottodidattico, l’interazione con il docente e i compagni. Molti studi recenti
sull'apprendimento guidato dell'italiano in contesto migratorio si occupano della didattica
dell'italiano L2 ai bambini stranieri nelle scuole italiane dell'obbligo. Per gli immigranti adulti che,
una volta in Italia, possono accedere a varie offerte di formazione linguistica, l’apprendimento
guidato si affianca, in realtà, all’apprendimento spontaneo che si realizza nel contatto con la realtà
italiana, ed assume quindi le caratteristiche di un apprendimento “misto”.
Attualmente gli immigrati possono usufruire in Italia di una rete di offerte formative di italiano L2
fornite da:
• istituzioni pubbliche: la scuola media per adulti (che si occupa dei corsi di 150 ore garantiti ai
lavoratori), gli enti locali che organizzano interventi sul territorio, i CTP (centri territoriali
permanenti per l'educazione degli adulti);
• volontariato: le associazioni religiose, le organizzazioni sociali, i centri di ascolto;9
• mondo del lavoro: le associazioni sindacali, i datori di lavoro, le imprese in cui la presenza di
lavoratori immigrati è più consistente.
Si tratta in linea di massima di percorsi formativi brevi e mirati all'apprendimento dell'italiano,
organizzati per "unità di lavoro", che tengono conto del carattere spesso fluttuante delle presenze
(per approfondimenti sugli interventi formativi destinati a immigrati adulti rimandiamo agli
interessanti lavori di Vedovelli 1991, 1994, 1995, Vedovelli et al., 2001; Tosi 1995;
Quassoli/Venzo 1997; Peccianti 1994; Demetrio 1992; Nuccetelli, 2000; Barni, Villarini, 2001).
L'apprendimento misto è caratteristico degli interventi formativi focalizzati sulla L2 nella sua
accezione di “lingua seconda appresa nel paese in cui si parla”: l’apprendente, in questo caso, vive
delle esperienze di apprendimento esplicito (in classe) e le rinforza con le esperienze di
apprendimento spontaneo nel contatto quotidiano con i parlanti nativi.
Questo tipo di apprendimento riguarda gli studenti universitari impegnati nei programmi di mobilità
accademica, i numerosi stranieri che, a vario titolo, frequentano i corsi di italiano offerti in Italia,
ma soprattutto gli immigrati adulti che sentono l’esigenza di approfondire in un contesto guidato le
competenze linguistiche che sta maturando sul campo10.
La specificità della didattica linguistica rivolta ai migranti riguarda la “ ricerca di connessione alle
condizioni di apprendimento nei contesti extradidattici.” (Vedovelli, 1994: 206). L’individuazione
dei bisogni degli utenti dei corsi di alfabetizzazione, infatti, non può prescindere dalla
considerazione delle caratteristiche linguistiche e socioculturali degli immigrati, e dei contesti di
interazione in cui ha luogo il loro apprendimento spontaneo della lingua. L’intento dei formatori
deve essere pertanto quello di costruire un modello di comunicazione didattica che crei un legame
tra apprendimento spontaneo e apprendimento guidato, instaurando un rapporto tra apprendente e
insegnante in cui vengano fortemente stimolate le funzioni socializzatorie del migrante, che da
ricettore passivo di “ordini e consegne” (ruolo che gli è proprio nella quotidiana interazione con
interlocutori nativi) possa arrivare a sentirsi soggetto attivo dello scambio comunicativo. Per questa
ragione nell’ambito dei corsi di alfabetizzazione per immigrati una grande attenzione è rivolta agli
9
A differenza di quanto accade nei corsi pubblici, che sono rivolti esclusivamente a residenti in regola con il permesso
di soggiorno, gli interventi formativi organizzati dalle associazioni del privato-sociale offrono una possibilità di accesso
anche agli immigrati “irregolari”. Questo comporta una diversificazione dell’utenza dei corsi: quelli del settore pubblico
sono frequentati da persone generalmente più scolarizzate e con un più alto grado di integrazione sociale e
professionale; quelli del privato accolgono invece un pubblico costituito in larga parte da .persone che vivono in una
condizione di grande precarietà sociale, giuridica, lavorativa e abitativa. Nella maggioranza dei casi si tratta comunque
di motivazioni intimamente connesse alle difficoltà che incontrano ad inserirsi socialmente e professionalmente nel
tessuto cittadino.
10
Secondo Biazzi (1999) gli interventi formativi “di emergenza” destinati agli immigrati continueranno ad interessare il
contesto italiano finché continueranno ad arrivare persone quasi totalmente sprovviste delle competenze linguistiche
sufficienti per garantire una integrazione soprattutto lavorativa, e comunque finché il panorama sociolinguistico italiano
non si evolverà verso il modello dell'integrazione totale (con la scomparsa del fenomeno stesso) o verso un modello di
società interculturale (con programmi di educazione permanente, di perfezionamento delle competenze linguistiche di
base già acquisite, di mantenimento delle lingue di origine).
spetti socio-affettivi del rapporto tra insegnante e apprendenti. La consapevolezza di avere a che
fare con degli adulti induce i formatori a non trattare gli stranieri come utenti passivi, ma ad
incoraggiarli ad esprimere i loro bisogni formativi e le loro aspettative così che possano sentirsi
protagonisti del processo di apprendimento.
4. IL QUADRO COMUNE EUROPEO
Come riflesso dei movimenti migratori che interessano tutta l'Europa, è stata riconosciuta
l’importanza della competenza linguistica orientata all’azione e alla realizzazione dei propri
obiettivi comunicativi in un'epoca in cui la mobilità delle persone (fra cui i lavoratori migranti) è
una realtà sempre più diffusa. Il Consiglio d'Europa ha quindi elaborato un documento (Quadro
comune europeo, 1996-2002) allo scopo di favorire una convergenza fra le politiche linguistiche
degli Stati europei nel campo della didattica delle lingue moderne. Attraverso la definizione di sei
livelli di competenza in L2 e la descrizione esplicita di competenze e attività linguisticocomunicative, l'opera ha lo scopo di aumentare la trasparenza e l'efficacia dei corsi, dei curricoli e
delle prove di certificazione linguistica in Europa. Si rivolge a docenti, studiosi e autori di materiali
didattici per costruire una base comune di discussione favorendo anche, in ultima analisi, la
spendibilità dei titoli e delle competenze e la circolazione delle persone in campo accademico e
lavorativo. A questo documento europeo si ispirano i materiali didattici inseriti nel progetto
dell'OIM 2000-2003.
4.1. I sei livelli di competenza.
Il Quadro comune europeo dà risposta all'esigenza, sempre più sentita nell'Europa plurilingue, di
stabilire quelli che sono i livelli di apprendimento per poter offrire sia a docenti, a possibili
valutatori che agli apprendenti, dei parametri di riferimento su cui poter comparare la competenza
raggiunta dai discenti in un certo stadio dell’apprendimento di una lingua straniera.
Sono stati così definiti sei livelli di competenza (riconducibili ai tre livelli solitamente usati, cioè
livello di base, intermedio ed avanzato, ciascuno ulteriormente diviso in due livelli):
A – LIVELLO DI BASE ("utente basico") che corrisponde ai livelli:
A 1 - (Breakthrough - CONTATTO)
A 2 (Waystage - SOPRAVVIVENZA)
B – LIVELLO AUTONOMIA ("utente indipendente") che corrisponde ai livelli:
B 1 (Threshold - SOGLIA)
B 2 (Vantage - PROGRESSO)
C – LIVELLO PADRONANZA ("utente competente") che corrisponde ai livelli:
C 1 (Effective Proficiency - EFFICACIA)
C 2 ( Mastery - PADRONANZA)
A1. Breakthrough (LIVELLO DI CONTATTO) corrisponde ad un livello di prima iniziazione ad
una lingua straniera, un livello di scoperta;
A2. Waystage (LIVELLO DI SOPRAVVIVENZA) caratterizza l'utente capace di comunicare in
situazioni semplici e di routine;
B1. Threshold (LIVELLO SOGLIA) è il livello soglia, il livello dell’autonomia di chi sa muoversi
con disinvoltura nel paese in cui si parla la lingua;
B2. Vantage (LIVELLO PROGRESSO) è il livello dell’utente con competenza operativa limitata,
capace di dare risposta adeguata a situazioni comunicative che si possono incontrare normalmente;
C1. Effective Operational Proficiency (LIVELLO DELL'EFFICACIA) indica un livello avanzato
di competenza, adeguato per affrontare compiti complessi di studio e di lavoro;
C2. Mastery (LIVELLO DI PADRONANZA) corrisponde alla competenza operativa globale, che
può anche essere esteso al livello di competenza interculturale più alto, raggiunto da professionisti
che operano nell’ambito delle lingue straniere.
DESCRITTORI DI COMPETENZE CONDIVISI A
LIVELLO EUROPEO: scala globale
LIVELLO DI
BASE
A1
A2
LIVELLO
AUTONOMIA
B1
B2
LIVELLO
PADRONANZA
C1
C2
Comprende e utilizza espressioni di uso quotidiano e frasi basilari tese a
soddisfare bisogni di tipo concreto. Sa presentare se stesso/a e gli altri ed è in
grado di fare domande e rispondere su particolari personali come dove abita, le
persone che conosce e le cose che possiede. Interagisce in modo semplice
purché l'altra persona parli lentamente e chiaramente e sia disposta a
collaborare.
Comprende frasi ed espressioni usate frequentemente relative ad ambiti di
immediata rilevanza (es. informazioni personali e familiari di base, fare la
spesa, la geografia locale, l'occupazione). Comunica in attività semplici e di
routine che richiedono un semplice scambio di informazioni su argomenti
familiari e comuni. Sa descrivere in termini semplici aspetti del suo
background, dell'ambiente circostante. Sa esprimere bisogni immediati.
Comprende i punti chiave di argomenti familiari che riguardano la scuola, il
tempo libero, ecc. Sa muoversi con disinvoltura in situazioni che possono
verificarsi mentre viaggia nel Paese in cui si parla la lingua. E' in grado di
produrre un testo semplice relativo ad argomenti che siano familiari o di
interesse personale. E' in grado di descrivere esperienze ed avvenimenti, sogni,
speranze ed ambizioni e spiegare brevemente le ragioni delle sue opinioni e dei
suoi progetti.
Comprende le idee principali di testi complessi su argomenti sia concreti che
astratti, comprese le discussioni tecniche nel suo campo di specializzazione. E'
in grado di interagire con una certa scioltezza e spontaneità che rendono
possibile un'interazione naturale con i parlanti nativi senza sforzo per
l'interlocutore. Sa produrre un testo chiaro e dettagliato su un'ampia gamma di
argomenti e spiegare un punto di vista su un argomento fornendo i pro e i contro
delle varie opzioni.
Comprende un'ampia gamma di testi complessi e lunghi e ne sa riconoscere il
significato implicito. Si esprime con scioltezza e naturalezza. Usa la lingua in
modo flessibile ed efficace per scopi sociali, professionali e accademici. Riesce
a produrre testi chiari, ben costruiti, dettagliati su argomenti complessi,
mostrando un sicuro controllo della struttura testuale, dei connettori e degli
elementi di coesione.
Comprende con facilità praticamente tutto ciò che sente o legge. Sa riassumere
informazioni provenienti da diverse fonti sia parlate che scritte, ristrutturando
gli argomenti in una presentazione coerente. Sa esprimersi spontaneamente, in
modo molto scorrevole e preciso, individuando le più sottili sfumature di
significato in situazioni complesse.
4.2. Competenze e attività linguistico-comunicative.
I livelli comuni di riferimento del Quadro comune europeo sono stati elaborati in base a una serie
di descrittori graduati, che tengono conto dell'uso della lingua intesa come gamma di competenze,
sia generali, sia linguistico-comunicative. Tali competenze vengono utilizzate nel compiere delle
attività linguistiche, che vengono appunto descritte nei sei livelli comuni di riferimento.
4.2.1. Competenze generali.
Le competenze generali di un individuo sono la somma dei suoi saperi: conoscenze, abilità e
caratteristiche personali.
• Sapere (knowledge, conoscenze dichiarative)
Il sapere empirico (ricavato dall'esperienza) riguarda la conoscenza dei valori e delle credenze
condivise da gruppi sociali in altri paesi (tabù, credo religiosi, storia comune), ed è essenziale per la
comunicazione interculturale; il sapere accademico (derivato da un apprendimento formale)
riguarda la lingua, la cultura ma anche le conoscenze di tipo umanistico, tecnico e scientifico. Una
nuova conoscenza non si aggiunge semplicemente alle conoscenze già acquisite ma può
ristrutturarle e modificarle anche solo parzialmente.
• Saper fare (skills and know how, capacità procedurali)
Queste abilità si acquisiscono più facilmente se si intrecciano con l'acquisizione di conoscenze
dichiarative e con forme di saper essere (p.es. atteggiamento rilassato e in tensione).
• Saper essere (existential competence)
E' la somma delle caratteristiche individuali, dei tratti della personalità, l'immagine di sé e degli
altri, la disponibilità a interagire socialmente. Include fattori che sono il risultato di diversi tipi di
acculturazione e che possono essere modificati. E' un'area delicata per quanto riguarda le percezioni
e le relazioni interculturali (es. il modo di esprimere amicizia può essere interpretato come
aggressivo in un'altra cultura).
• Saper apprendere (ability to learn)
Riguarda la capacità di scoprire l'alterità e di essere disponibili a farlo. Mette in gioco:
- il sapere (consapevolezza delle relazioni morfosintattiche, dei tabù ecc.),
- il saper fare (capacità di orientarsi fra le risorse per l'apprendimento),
- il saper essere (disponibilità a prendere l'iniziativa e corre rischi nella comunicazione faccia a
faccia, consapevolezza dei rischi derivati da equivoci interculturali).
Questa capacità di affrontare situazioni sconosciute può dipendere da diverse variabili riferibili
all'evento (interlocutori sconosciuti, argomenti totalmente ignoti, lingue distanti tipologicamente
ecc.); al contesto (prospettiva diversa di un etnologo, educatore, medico ecc.); esperienze precedenti
(L1 rispetto a L2, L3 ecc.); stili di apprendimento; profili dell'apprendente. Grazie alle diverse
esperienze di apprendimento si estende la propria capacità di apprendere.
4.2.2. Competenze linguistico-comunicative.
Le competenze linguistico-comunicative si basano su quelle propriamente linguistiche, quelle
sociolinguistiche (conoscenza delle varietà di una lingua e quelle strategiche nel sapersi relazionare
con altri per ottenere i propri fini comunicativi), quelle pragmatiche che includono gli atti e le
funzioni comunicative ma anche la competenza culturale (comunicare in modo appropriato alla
scena culturale), quella extralinguistica (come la cinesica, la prossemica, cronemica, oggettuale,
olfattiva, tattile), quella paralinguistica (prosodia, intonazione, ritmo, pause, velocità dell’eloquio,
suoni non verbali).
• Competenze linguistiche
Comprendono la gamma e la qualità delle conoscenze e abilità, riferite al linguaggio come sistema,
indipendentemente dalle variabili sociolinguistiche e pragmatiche (competenza fonologica,
morfologica, sintattica, lessicale, testuale, grafemica, ortoepica). Queste competenze comprendono
anche l'organizzazione cognitiva delle conoscenze (reti associative, campi semantici) e la loro
accessibilità (attivazione, richiamo, disponibilità). Il modo di immagazzinare le conoscenze dipende
dalle caratteristiche culturali e dal modo in cui è avvenuta la socializzazione.
• Competenze sociolinguistiche
Si riferiscono all'uso linguistico determinato dalla convenzioni sociali (regole di cortesia, rapporti
tra generazioni, sessi ecc.) e influenzano fortemente la comunicazione interculturale.
• Competenze pragmatiche
Riguardano l'uso funzionale delle risorse linguistiche basandosi su scenari e copioni interazionali
(script): padronanza del discorso, coesione e coerenza, identificazione di tipi e forme testuali,
ironia, parodia. Fondamentali sono le interazioni e gli ambienti in cui si formano le capacità
pragmatiche.
4.2.3. Attività linguistiche
Un'attività linguistica è l’esercizio della competenza comunicativa in un campo, attraverso
l'elaborazione di testi (il testo in questo approccio è centrale in ogni atto linguistico comunicativo)
per effettuare dei compiti. Le attività possono essere di ricezione, produzione, interazione e
mediazione.
• Ricezione (orale e scritta): lettura silenziosa, fruizione dei media;
• Produzione (orale e scritta): esposizioni orali (monologo), saggi, relazioni scritte;
• Interazione: dialogare con uno o più interlocutori (imparare a interagire comporta qualcosa di
più che imparare a comprendere e produrre enunciati);
• Mediazione (orale e scritta, in ricezione e in produzione): rende possibile la comunicazione fra
persone per qualsiasi motivo non sono in grado di comunicare direttamente (traduzione,
interpretariato, riassunto, resoconto). Si tratta di (ri)formulare il testo originale per renderlo
accessibile a una terza persona.
Le attività linguistiche implicano l’esercizio della competenza comunicativa in un determinato
campo d’azione (cioè il settore della vita sociale in cui l’individuo agisce) e l’elaborazione di uno o
più testi per effettuare un compito (task) (cioè l’azione considerata necessaria dall’individuo per
realizzare uno scopo) attraverso la scelta di una strategia comunicativa (cioè la linea d’azione
scelta dall’individuo per realizzare il suo scopo).
4.3. Approccio plurilingue, approccio orientato all'azione, approccio interculturale: le tre
anime del Quadro comune europeo
Il Quadro comune europeo si pone come strumento che mira a promuovere il plurilinguismo
inteso innanzi tutto come l'apprendimento di una ampia gamma di lingue europee. In questo si
richiama a quanto fatto dal Consiglio d'Europa negli anni Settanta, come principale agenzia
culturale europea in tema di politica linguistica. Questo richiamo alla necessità di conoscenza delle
lingue europee mirava non solo a creare dei cittadini europei capaci di comprendersi
reciprocamente, ma anche a risolvere le questioni poste in Nord Europa dalle migrazioni
provenienti dal sud Europa specialmente nel secondo Dopoguerra.
Ma negli anni Ottanta le nuove migrazioni dai paesi del Terzo Mondo mettono in crisi questo
sistema. In questa nuova ottica si rende indispensabile rivedere l'insegnamento delle lingue in
Europa secondo un approccio orientato all'azione, che tenga conto degli scopi pratici della
competenza linguistica in L2, legati alla necessità di integrarsi in un paese ospite, di comunicare a
livello sociale e professionale. E' un approccio orientato all'azione nel senso che considera le
persone che usano e apprendono una lingua innanzitutto come 'attori sociali', vale a dire come
membri di una società che hanno dei compiti (di tipo non solo linguistico) da portare a termine in
circostanze date, in un ambiente specifico e all'interno di un determinato campo d'azione. Se gli atti
linguistici si realizzano all'interno di attività linguistiche, queste d'altra parte si inseriscono in un più
ampio contesto sociale, che è l'unico in grado di conferir loro pieno significato. Si parla di 'compiti'
in quanto le azioni sono compiute da uno o più individui che usano strategicamente le proprie
competenze per raggiungere un determinato risultato. L'approccio orientato all'azione prende
dunque in considerazione anche le risorse cognitive e affettive, la volontà e tutta la gamma delle
capacità possedute e utilizzate da un individuo in quanto attore sociale.
A questo si affianca la prospettiva interculturale che si identifica in modo particolare nell'attività di
mediazione, un concetto più volte ripreso e analizzato nel Quadro comune europeo. Nel cap. 4
("Chi usa e apprende la lingua"), si mette infatti in relazione lo sviluppo della seconda lingua con
due dimensioni ad esso correlate (o meglio da correlare attraverso l'approccio didattico orientato
all'azione): l'interculturalità e la capacità di mediare. Il riferimento alle nuove conoscenze che
modificano le vecchie fa riferimento alle teorie del costruttivismo e alla metafora della rete riferita
ai processi mentali dell'acquisizione della seconda lingua: "Chi apprende una L2 e la relativa cultura
associa la nuova lingua e cultura alla propria, promovendo nuove relazioni reciproche. La nuova
competenza non è del tutto indipendente dalla precedente: la persona diventa plurilingue e sviluppa
interculturalità. Le competenze di ciascuna lingua vengono modificate dalle conoscenze nuove. Gli
apprendenti imparano anche a mediare, nel ruolo di interpreti e traduttori, tra parlanti di lingue
diverse che non sono in grado di comunicare direttamente".
4.3.1. L'approccio comunicativo "orientato all'azione"
Il Quadro comune europeo si colloca in un quadro teorico e metodologico che si può definire
"comunicativo". Nato all’inizio degli anni Settanta in contrapposizione alle forme di insegnamento
tradizionali allora dominanti (grammaticale-traduttivo e audio-orale-meccanicistico), l'approccio
comunicativo (Serra Borneto, 1998: 137-171) si distingue da queste per una serie di caratteristiche:
- aspetti funzionali della lingua: conoscere una lingua non significa solo conoscere le strutture
grammaticali, ma anche conoscerne le convenzioni sociali, badare non solo alla correttezza, ma
anche alla sua appropriatezza, al contesto socioculturale in cui ha luogo la comunicazione;
- autenticità del materiale, con cui viene presentata la lingua, che deve corrispondere a quella
della comunicazione reale: usare materiali autentici (o parzialmente adattati) significa preparare
lo studente ad affrontare la realtà al di fuori di un apprendimento guidato;
- progressione dell’unità didattica, basata non sul passaggio progressivo da strutture semplici a
più complesse, ma orientata sui contenuti e sulle funzioni che si intendono presentare di volta
in volta: l’unità didattica diventa così, un insieme coerente di contenuti, forme linguistiche e
informazioni culturali;
- bisogni linguistici dei destinatari: è indispensabile conoscerli per poter individualizzare e e
rendere più mirata l’offerta didattica;
- l'evento comunicativo e le sue componenti sono al centro del processo di insegnamento
(situazione, partecipanti all’evento, scopi comunicativi, contenuto del messaggio, scelta del
canale, scelta del registro.).
Dagli anni Settanta ad oggi la didattica comunicativa ha attraversato varie fasi di sviluppo. Il
passaggio più rilevante della sua evoluzione è quello che ha spostato l’accento dalla comunicazione
solo linguistica alla comunicazione basata sul concetto di azione e di uso. Inoltre l’apprendimento
di una lingua straniera diventa oggi confronto interculturale.
Anche il ruolo del docente ha subito un’evoluzione: prima depositario di conoscenza e
organizzatore di attività in classe, ora facilitatore nei processi di apprendimento, perché non si
limita più a trasmettere conoscenze, ma vuole sviluppare nell’apprendente una competenza che gli
permetta di interagire con gli altri interlocutori, cioè di saper fare con la lingua.
All’interno della riflessione sulla didattica comunicativa è necessario soffermarci anche sul Project
Work (Serra Borneto, 1998: 173-187). Questo approccio consiste nell’insegnare una lingua tramite
interazioni con il mondo reale, svolte pertanto fuori dalla classe: si tratta di progetti in cui la L2 è un
mezzo per portare avanti un compito ben definito. Si riscontrano nel Project Work vantaggi
pedagogici dell’insegnamento tramite l’esperienza pratica che suscita interesse nel discente. Questo
tipo di approccio nasce dalla considerazione che gran parte dell’insegnamento linguistico avviene in
classe, ma non sempre le nozioni imparate riescono ad essere applicate nella realtà.
Un progetto linguistico-comunicativo nell'ambito del Project Work si sviluppa in tre fasi:
1) pianificazione e preparazione, in cui si discute il contenuto del progetto e il modo di
condurlo a termine;
2) svolgimento pratico, in cui gli studenti si spostano fuori dalla classe per svolgere i compiti
che hanno programmato (interviste, questionari, registrazioni ecc.);
3) presentazione e valutazione, in cui si discutono i risultati ottenuti.
Il formatore ha molteplici ruoli nel Project Work, fra cui un ruolo di organizzatore, perché partecipa
attivamente alla pianificazione, all’organizzazione, alla realizzazione e alla valutazione delle fasi
del progetto; è anche guida e animatore perché elabora procedure e compiti per evidenziare
contenuti linguistici e ha funzione di pedagogo perché cerca di abituare gli studenti all’autonomia
di apprendimento. L’apprendente dal canto suo, impara a lavorare in gruppo, a selezionare i
materiali, a prendere decisioni da solo, ad autovalutare i propri risultati.
Tutto questo calza perfettamente con l'impostazione pedagogica del Quadro comune europeo, in cui
si dà risalto alla "competenza d’azione", intesa coma capacità di interagire linguisticamente con altri
individui per raggiungere determinati scopi.
Un approccio orientato all’azione considera dunque gli apprendenti come membri di una società,
con dei compiti da svolgere in un determinato campo d’azione, tiene conto delle risorse cognitive,
emotive e volitive e della gamma di abilità di ogni individuo considerato come ‘un agente sociale’.
L’uso della lingua e l’apprendimento possono essere descritti come due azioni di un individuo che
ha a disposizione sia competenze generali, cioè la somma di conoscenze, abilità, caratteristiche
personali, sia competenze linguistico-comunicative, composte da
abilità linguistiche,
sociolinguistiche e pragmatiche.
Il Project Work, come l'approccio comunicativo orientato all'azione e l'approccio interculturale
(Serra Borneto, 1998: 209-226), pongono l'accento sulla lingua come comunicazione, ne mettono in
luce gli aspetti pragmatici e focalizzano la loro particolare rilevanza nei rapporti interpersonali11 e
nell'educazione interculturale12. Comunicare infatti significa agire attraverso la lingua e porre
l’accento sull’uso della lingua significa evocarne i contesti, le situazioni, l’agire nel mondo.
5. IL PROGETTO DI ORIENTAMENTO LINGUISTICO DELL'OIM
L'orientamento linguistico a cui si riferisce questo contributo nasce nell'ambito dell’Organizzazione
Internazionale per le Migrazioni (OIM) che ha varato dal 2000 una serie di progetti finalizzati
all'orientamento e la formazione in risposta ai fabbisogni degli immigrati e del mercato del lavoro
italiano ("immigrazione gestita").
Un primo progetto (2000-2001) ha individuato come target dei destinatari adulti, di recente
immigrazione dalla regione balcanica (di madrelingua albanese e serba)13, che disponessero di
una competenza minima di italiano a livello A2 del Quadro comune europeo, cioè i secondo livello
di competenza linguistica, al di sotto del quale si può prevedere solo la capacità di riconoscere o
produrre parole isolate o spezzoni di frasi di una L2, o di realizzare dei compiti limitati usando una
gamma molto ridottissima di elementi linguistici14. Sempre in questa prima fase sono state
11
Cfr. Bonifazi/Cerbara, 1999, sul rapporto fra atteggiamenti sociali e linguistici dei nativi verso gli immigrati.
Per una panoramica antropologica e pedagogica sull'educazione interculturale nell’Italia multietnica, si veda
Nigris,(1996); Gobbo (2000) e il capitolo sulla competenza interculturale di A. Benucci in Diadori (2001). Cfr. anche
Balboni (1999) sulle incomprensioni interculturali; Diadori (1999), sulla componente cinesica della comunicazione in
Italia; Cartura (2000) che, descrivendo al § 3 un progetto educativo per bambini rom inseriti nelle scuole italiane in
Friuli, mette a fuoco il diverso valore della “fisicità” e della gerarchia nella cultura zingara e nella cultura italiana.
13
Più in particolare: albanesi appena arrivati in Italia grazie al progetto (massimo 700); disoccupati provenienti dall'area
balcanica già presenti in Italia (massimo 200); profughi e rifugiati provenienti dall'area balcanica (con esclusione dei
richiedenti asilo) (massimo 100).
14
Questi compiti al di sotto del livello A2 possono essere: fare semplici acquisti indicando l’oggetto desiderato o con
altri gesti; chiedere e dire il giorno, l’ora e la data; usare alcuni saluti di base; dire “sì”, “no”, “scusi”, “per favore”,
12
individuate anche una serie di professioni richieste in Italia, per le quali questo livello minimo fosse
sufficiente per garantire, almeno inizialmente, l'inserimento del lavoratore straniero. Al tempo
stesso sono stati indicati i profili degli orientatori linguistici da coinvolgere nel progetto di
formazione, purché in possesso dei seguenti prerequisiti:
a. conoscenza dell'italiano a livello di madrelingua o (per i candidati di lingua diversa) a livello
C2 del Quadro di Riferimento Europeo,
b. un titolo di studio a livello universitario in ambito umanistico, o, in mancanza di questo, un
diploma di scuola superiore e una buona esperienza di insegnamento dell'italiano a stranieri
(pari a almeno 150 ore di insegnamento di italiano L2 in Italia o all'estero),
c. una formazione di base nel campo della didattica dell'italiano come seconda lingua, attestata
dalla frequenza di un corso di formazione specifico della durata di almeno 30 ore di lezione
frontale.
d. conoscenza di almeno una lingua straniera (preferibilmente inglese, francese o una delle
lingue più presenti fra gli immigrati in Italia: albanese, arabo, cinese);
e. conoscenze teoriche di base nel campo delle discipline più pertinenti all'attività di
insegnamento dell'italiano L2 (linguistica italiana, sociolinguistica italiana, glottodidattica,
didattica dell'italiano L2, glottotecnologie, verifica e valutazione, didattica interculturale:
cfr. la bibliografia tematica dell'appendice G).
I risultati delle preselezioni avvenute in Albania nel corso dell'anno 2000 hanno individuato un
pubblico composto in massima parte da giovani adulti (fra i 18 e i 30 anni), uomini e donne, in
possesso di un titolo di studio conseguito in patria, con una professionalità già acquisita nel proprio
Paese nei settori lavorativi per i quali cercano un inserimento lavorativo in Italia, in buona parte
anche competenti in una seconda lingua straniera, e con una conoscenza di base dell'italiano
acquisita attraverso:
1) la scuola (l'italiano è infatti presente in molte istituzioni in Albania)
2) la televisione italiana (molto seguita in Albania)
3) il contatto con i membri delle missioni di pace e di soccorso economico inviate dall'Italia.
Per questi destinatari sono stati progettati i materiali didattici legati a quattro pacchetti formativi
(orientamento linguistico, giuridico, socio-culturale e al lavoro) che sono stati utilizzati nei 34 corsi
di formazione organizzati nel 2001 in alcune regioni italiane che offrivano particolari garanzie di
inserimento dei soggetti formati (Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Emilia
Romagna, Marche, Umbria, Lazio, Puglia, Basilicata, Calabria). Dai risultati analizzati nel rapporto
finale (OIM, 2002) risulta che i 629 immigrati dalla regione balcanica che hanno partecipato ai corsi
erano per il 79% uomini, per l'81% maggiorenni, per il 76% avevano frequentato la scuola
dell'obbligo e il restante 24% aveva un titolo di scuola superiore.
Sulla base del feed-back ottenuto dagli orientatori impegnati nella prima fase di sperimentazione,
nel 2002-2003 questo primo progetto è stato rivisto, integrato e adattato ad un target di immigrati
di diversa provenienza, già residenti in Italia, anche nell'ottica di potenziare i punti di forza dei
materiali progettati e renderli più efficaci e generalizzabili anche ad altri gruppi di destinatari.
5.1. Bisogni formativi e motivazioni all’apprendimento dell’italiano dei destinatari del
progetto.
La lingua appresa dai migranti in contesto spontaneo consiste di solito in un italiano basico, che
consente loro di esprimersi su un numero ridotto di argomenti, lessicalmente molto povero e, a
livello morfosintattico, fortemente semplificato e segnato da errori (talvolta ormai fossilizzati),
come si vede nelle interviste trascritte nell'Appendice A di questo capitolo.
“grazie” e “mi dispiace”; compilare moduli semplici con dettagli personali come il nome, l’indirizzo, la nazionalità, e lo
stato civile; scrivere una semplice breve cartolina.
Per di più lo sforzo di miglioramento del livello d’uso della nostra lingua è per molti di essi reso
ancora più arduo dal dover partire da una situazione di bassa scolarità nel paese d’origine e dal
fatto che l'input linguistico a cui sono esposti sul posto di lavoro in Italia scaturisce da “una rete
comunicativa estremamente ristretta sia rispetto agli spazi, sia rispetto ai ruoli degli interlocutori.
Più che in situazione di ‘presa di parola’ per esprimersi, gli immigrati si trovano nella situazione di
ricezione passiva: capire, eseguire ordini e consegne, a contatto con un italiano che, spesso, per
comodità e per risparmio di tempo, prende le caratteristiche del foreigner- talk, un registro
linguistico semplificato nelle informazioni e nelle norme che il parlante nativo adotta quando si
rivolge a uno straniero.” (Quassoli/Venzo, 1997: 82).15
Occorre inoltre tenere conto del fatto che ciascun gruppo etnico rivela una diversa predisposizione
all’apprendimento dell’italiano, condizionata da fattori quali la tipologia della lingua madre (più o
meno distante dall’italiano), le altre lingue conosciute (se comprendono o meno un'altra lingua
romanza), il contesto socioculturale di provenienza. Quanti provengono da una realtà urbana e
conoscono già il francese o l’inglese sono ovviamente facilitati rispetto a quanti provengono da
un’area rurale culturalmente arretrata e non conoscono che la loro lingua madre.
Le particolari caratteristiche culturali e sociali degli utenti dei corsi pongono la necessità di
elaborare dei modelli e dei materiali glottodidattici adeguati a chi apprende l’italiano in contesto
migratorio. E’ infatti opportuno proporre un percorso di alfabetizzazione oltre che linguistica, anche
sociale e culturale, che aspiri a dotare gli immigrati delle capacità necessarie a permettere loro di
interagire linguisticamente con i nativi, di accedere ai servizi pubblici e di conoscere le istituzioni e
la cultura del nostro paese.
L'immigrato potrà rendersi conto dell'immediata spendibilità di quanto viene insegnato in classe
soprattutto se sarà coinvolto in un progetto di didattica orientata all'azione, basata su compiti
comunicativi direttamente collegati con il territorio e l'ambiente in cui si trova inserito.
Al tempo stesso, la motivazione essenzialmente integrativa alla base dello studio dell'italiano da
parte degli stranieri immigrati dovrebbe orientare l’insegnamento in un’ottica comunicativa,
pragmatica e soprattutto interculturale (si pensi al diverso modo di intendere la gerarchia e
l'autorità nelle varie culture "immigrate", di percepire lo spazio e il tempo, di relazionarsi con l'altro
sesso ecc.).
5.2. Priorità formative
Per l'immigrato i bisogni formativi e le motivazioni all'apprendimento dell'italiano sono bisogni
molto forti e dovrebbero trovare ascolto e risposta anche all’interno dei corsi di orientamento
linguistico. Tali bisogni, riconosciuti dagli stessi immigrati, sono:
1) migliore capacità di comunicare;
2) più vasta conoscenza della realtà italiana;
3) migliore capacità di informarsi, di analizzare le situazioni e definire i progetti;
4) necessità di qualificazione professionale.
Di fronte ad una sostanziale estraneità a molti dei codici di comportamento (scritti e orali), regole
sociali e culturali, l’immigrato non può che esprimere il suo bisogno di capire e di essere capito, di
orientarsi in una realtà diversa dalla propria: "sperimenta subito il bisogno di apprendimento. E lo
sperimenta come bisogno primario, e come mediatore fondamentale per la soddisfazione di quanto
occorre per sopravvivere e giustificare il proprio viaggio e il proprio ritorno." (Demetrio / Favaro,
1992: 79). Da qui si deduce la vitale importanza di adeguare l'insegnamento della lingua ai bisogni
in primo luogo strumentali degli apprendenti, adottando un approccio didattico fondamentalmente
comunicativo e orientato all'azione.
15
Sulle varietà basiche dell'italiano degli immigrati e sulla questione dell'acquisizione spontanea, si vedano in
particolare i saggi di Giacalone Ramat, 1993 e 2003; Vedovelli 1994.
D'altra parte, l’immigrato verrà a contatto con una istruzione mirata in una classe di italiano L2 solo
per un periodo limitato nel tempo: l’insegnamento quindi dovrebbe puntare a fornire gli strumenti
minimi indispensabili, non solo per comunicare, ma anche per sviluppare delle strategie di tipo
cognitivo spendibili anche fuori dalla classe, quando si troverà di nuovo in una situazione di
apprendimento spontaneo.
Il docente di italiano L2 a immigrati adulti dovrà dunque porsi una serie di domande relative ai
bisogni comunicativi dei destinatari (Quadro comune europeo, 2002: 56) e possibilmente cercare di
ottenere da loro delle risposte prima di decidere quali siano le priorità formative del gruppo-classe a
cui si rivolge il suo intervento:
• In quali ambiti si troveranno ad agire e quali situazioni dovranno fronteggiare? che ruoli
avranno in queste situazioni? con che tipo di persone avranno a che fare?
• Che rapporti personali o professionali avranno e in quale quadro istituzionale li svolgeranno?
• A quali oggetti avranno bisogno di riferirsi? Quali compiti dovranno eseguire? Quali temi
dovranno affondare?
• Dovranno solo parlare o anche comprendere oralmente e/o per scritto?
• In quali condizioni si troveranno ad agire?
• A quale conoscenza del mondo o della cultura italiana dovranno fare ricorso?
• Quali abilità dovranno avere? Come potranno continuare ad essere se stessi senza essere
fraintesi?
5.3. Livello di competenza da raggiungere in italiano: dal livello "sopravvivenza" al livello
"soglia" dell'autonomia.
Il livello linguistico obiettivo, in termini di "saper fare con la lingua", di un corso di base di circa
60 ore, a partire da un livello iniziale A2 in classi non omogenee per background culturale, livello
linguistico in italiano e obiettivi di inserimento professionale, può realisticamente avvicinarsi ad un
livello B1: è questo quanto si propone il materiale didattico realizzato per l'orientamento linguistico
del progetto OIM.
Vediamo quali sono, secondo il Quadro comune europeo, le competenze in entrata (A2) e quelle in
uscita (B1), ovvero i risultati concreti che ci si possono aspettare in seguito ad un percorso di
apprendimento formale guidato di 60 ore (con il supporto del contesto esterno e con l'inserimento
di attività progettuali che mettano in contatto gli immigrati con specifici ambienti legati al loro
inserimento lavorativo e sociale):
In entrata si considerano destinatari del progetto di orientamento linguistico OIM 2000-2003
immigrati adulti con un livello di competenza in italiano pari al secondo livello di base (utente
basico), indicato come A2 nel Quadro comune europeo16, che può articolarsi in un livello A2 e un
A2 potenziato:
A2 Sopravvivenza: comprende frasi ed espressioni di uso frequente relative ad ambiti di immediata rilevanza
(es. informazioni personali e familiari di base, fare la spesa, la geografia locale, l’occupazione). Comunica in
attività semplici e di routine che richiedono un semplice scambio di informazioni su argomenti familiari e
comuni. Sa descrivere in termini semplici aspetti del suo background, dell’ambiente circostante e sa esprimere
bisogni immediati in relazione alle funzioni sociali (salutare, offrire e accettare qualcosa…), agli spostamenti e
alle transazioni nei negozi.
A2+ Sopravvivenza potenziato: mostra una partecipazione più attiva alla conversazione e maggiore abilità a
sostenere i monologhi.
16
Il livello A2 corrisponde alla Certificazione CILS A2 (lo stesso livello è individuato per l'inglese dalla Certificazione
di Cambridge livello KET, per il francese dalla Certificazione della Alliance Francaise Certificato CEFP1) e
corrisponde alla varietà basica (stadi 1-2) dell'acquisizione dell'italiano L2 (cfr. Vedovelli, 2002a: 71).
In uscita possiamo ipotizzare il raggiungimento di un primo livello di autonomia, ovvero il livello
B1 ( livello soglia)17, che potrà essere per alcuni un livello B1 e per altri un B1 potenziato:
B1 Soglia: è in grado di mantenere l'interazione con parlanti nativi e ottenere ciò che desidera in vari contesti;
riesce a far fronte in modo flessibile alla vita di tutti i giorni in un contesto italiano.
B1+ Soglia potenziato: è capace di gestire una quantità ancora maggiore di informazioni scambiate con parlanti
nativi: spiega problemi, descrive (anche se con poca precisione) i sintomi delle malattie a un medico, riassume
un racconto.
Ecco come vengono descritte più dettagliatamente le attività linguistico-comunicative
corrispondenti al livello B1 nel Quadro comune europeo (2002: 34-35):
Comprensione
orale
Comprensione
scritta
Interazione
orale
Produzione
orale
Produzione
scritta
B1
(LIVELLO SOGLIA)
Capisce i punti principali di un discorso chiaro, in lingua standard, su argomenti familiari
regolarmente incontrati sul lavoro, a scuola, nel tempo libero. Capisce i punti essenziali di molti
programmi della TV e della radio su questioni di attualità o di interesse personale o professionale,
quando la dizione è relativamente lenta e chiara.
Capisce testi che si basano prevalentemente su un lessico quotidiano ad alta frequenza o una lingua
relativa al lavoro svolto. Capisce la descrizione di fatti, sentimenti e desideri nelle lettere personali.
Riesce ad affrontare la maggior parte delle situazioni che si verificano mentre viaggio in una zona in
cui si parla la lingua obiettivo. Sa entrare senza preparazione nella conversazione su argomenti che
mi sono familiari, di interesse personale o relativi alla vita di ogni giorno (famiglia, hobbies, lavoro,
viaggi e questioni di attualità)
Sa collegare frasi in un modo semplice per descrivere esperienze e eventi, sogni, speranze o
ambizioni. Sa argomentare fornendo brevemente le ragioni e le spiegazioni di sue opinioni e
progetti. Sa narrare una storia o riassumere la trama di un libro o film e descrivere le sue reazioni.
Sa scrivere testi semplici su argomenti che gli sono familiari o di interesse personale. Sa scrivere
lettere personali che descrivono esperienze e impressioni.
Per quanto riguarda in particolare la qualità della lingua parlata nella produzione orale e
nell'interazione (Quadro comune europeo, 2002: 36-37), prevedere un livello B1 di arrivo significa
che l'intervento formativo deve mettere in grado l'immigrato di raggiungere un livello adeguato in
termini di:
•
•
•
•
•
estensione: ha sufficienti strumenti linguistici e vocabolario per esprimersi con qualche esitazione e perifrasi su
argomenti quali la famiglia, interessi e hobby, lavoro, viaggi, fatti di attualità;
correttezza: usa con ragionevole correttezza un repertorio di strutture e di espressioni di routine associate a
situazioni largamente prevedibili;
fluenza: è in grado di parlare in modo comprensibile, anche se, specialmente in sequenze di produzione libera
relativamente lunghe, sono evidenti le pause per cercare le parole e le forme grammaticali e per correggere gli
errori;
interazione: è in grado di iniziare, sostenere e concludere una semplice conversazione faccia a faccia su argomenti
familiari o di suo interesse. E' capace di ripetere parte di ciò che altri hanno detto per confermare la reciproca
comprensione.
coerenza: è in grado di collegare una serie di semplici elementi brevi e distinti in una sequenza lineare di punti in
rapporto tra loro.
L'insegnamento linguistico a favore di immigrati, dovrebbe perseguire obiettivi paragonabili a
quelli delle certificazioni di competenza linguistica, che devono "garantire la spendibilità sociale
della competenza, cioè il possesso di un determinato livello di competenza in rapporto a
determinate sollecitazioni comunicative provenienti dall'ambiente sociale entro il quale
l'apprendente dovrà dimostrare di saperla utilizzare (contesti di lavoro, di studio, di rapporti sociali
17
Il livello B1 corrisponde alla Certificazione CILS livello UNO-B1 (lo stesso livello è individuato per l'inglese dalla
Certificazione di Cambridge livello PET, per il francese dalla Certificazione della Alliance Francaise Certificato CEFP2
o dal Certificato DELF 1) e corrisponde agli stadi 3-4 delle interlingue intermedie dell'acquisizione dell'italiano L2 (cfr.
Vedovelli, 2002a: 71).
formali ecc.) (Vedovelli et al., 2001: 85). Per fare questo, si dovranno selezionare le competenze, le
sottocompetenze e le capacità operative che si ritengono utili, nell'ambito di un livello B1, per
l'integrazione anche linguistica dei destinatari:
COMPETENZA
D'USO
A. Linguistica
SOTTOCOMPETENZE
a1. Fonologica
a2. Morfosintattica
a3. Lessicale
a4. Testuale
a5. Ortografica
a6. Ortoepica
b. Para-linguistica
b1. Intonazione
b2. Tono
b3. Suoni non verbali
b4. Ritmo e pause
c. Extra-linguistica
c1. Cinesica
c2. Prossemica
c3. Cronemica
c4. Oggettuale
c5. Olfattiva
c6. Tattile
d. Socio-pragmatica d1. Pragmatica
d2. Sociolinguistica
CAPACITA’ OPERATIVE
Riconoscere e realizzare i fonemi in modo da evitare incomprensioni
Riconoscere e realizzare correttamente le forme linguistiche a livello
di parola, di frase e di periodo
Conoscere i vocaboli e il loro significato, saperne generare di nuovi
sulla base delle regole di formazione del lessico, distinguere fra il
significato di una parola e il suo valore nel contesto
Riconoscere nei testi le caratteristiche di coesione formale e di
coerenza logico-semantica; comprendere e produrre testi coerenti e
coesi e non solo frasi isolate; conoscere le regole costruttive proprie
delle diverse tipologie testuali .
Comprendere e produrre i segni grafici attraverso i quali si realizza la
lingua scritta
Conoscere le convenzioni ortografiche in relazione alla pronuncia,
leggere oralmente un testo scritto, pronunciare correttamente a partire
dalla forma scritta
Usare le curve intonative in modo da non generare equivoci di
comprensione e interpretarle correttamente (tonie regionali, tonia
interrogativa, affermativa, sospensiva nell’italiano standard)
Usare e interpretare correttamente il tono della voce, secondo il suo
significato psicologico o sociale in relazione al contesto
Usare e interpretare correttamente i suoni non verbali culturalmente
specifici
Adeguare la velocità di eloquio al contesto e interpretarla
correttamente
Comprendere i significati dei movimenti del corpo (gesti, posture) e
evitare i gesti-tabù
Comprendere i valori attribuiti alle distanze fra gli interlocutori
nell’interazione, al contatto degli occhi, al concetto di “grande” e
“piccolo” ecc. (rapporti spaziali)
Comprendere i valori attribuiti al tempo in termini di puntualità,
possibilità di interrompere l’interlocutore mentre parla, orari dei pasti,
durata delle conversazioni ecc. (rapporti temporali)
Comprendere le regole d’uso degli oggetti indossati sul corpo (abiti,
gioielli, trucco) e presenti nell’ambiente (tipi di abitazioni, oggettisimbolo ecc.)
Comprendere i significati attribuiti agli odori e i relativi tabù (profumi
maschili, odori corporei)
Comprendere i valori attribuiti al contatto fisico fra gli interlocutori e i
relativi tabù (contatto fra uomini e donne e contatto fra uomini in
pubblico, bacio fra uomini, affettuosità fra padre e figlio adulto,
toccare la testa di un bambino o di un adulto)
Relazionarsi con l’interlocutore al fine del perseguimento dei propri
fini comunicativi, raggiungendo il proprio scopo comunicativo
secondo le regole di organizzazione del discorso specifiche della
cultura e lingua obiettivo
Scegliere le varietà del repertorio linguistico più adeguate al contesto
comunicativo (elementi linguistici che segnalano i rapporti sociali,
regole di cortesia, registri diversi)
d3. Culturale
Comunicare in maniera appropriata alla scena culturale in cui si
realizza l’evento comunicativo, dimostrando di conoscere i valori, i
tabù, i modi di vivere e i modelli di organizzazione sociale che fanno
da sfondo all’evento comunicativo
Se confrontiamo il livello B1 del Quadro comune europeo con le certificazioni di lingua italiana per
stranieri, vediamo che questo corrisponde al Livello Uno della Certificazione CILS dell'Università
per Stranieri di Siena (cfr. Barni, 2001: 194)18, che "garantisce il possesso di una competenza
linguistico-comunicativa adeguato a gestire in modo autonomo le interazioni sociali nei contesti di
quotidianità" (Vedovelli et al., 2001: 85).
Ai candidati della Certificazione CILS Livello Uno, per quanto riguarda per esempio la
competenza lessicale, si chiede di dimostrare quanto segue (Barni/Villarini, 2001: 81):
Il candidato deve capire il senso generale di testi contenenti parole del Vocabolario di Base della lingua italiana,
più una eventuale parte di lessico comune fino al 5%. Nella produzione orale e scritta il candidato dovrà saper
usare parole del lessico fondamentale e parole del lessico di alta disponibilità.
Si fa qui riferimento al lessico che De Mauro (1980) individua nel Vocabolario di Base dell'italiano
contemporaneo: circa 7.000 parole, di cui 2000 costituiscono il “Vocabolario fondamentale” (con
maggiore frequenza d’uso), 2.750 costituiscono il “Vocabolario di alto uso”, 2300 il “Vocabolario
di alta disponibilità”. Le prime 4.750 parole del vocabolario sono considerate comprensibili alla
maggior parte degli italiani.
5.4. Domini e contesti d'uso
I contenuti e gli obiettivi didattici previsti per il corso intensivo di orientamento linguistico
dovranno rispondere alle caratteristiche individuali dei partecipanti (età, sesso, biografia linguistica,
lingua madre e altre lingue conosciute, livello di competenza in italiano, motivazione
all'apprendimento, aree professionali in cui hanno esperienza e in cui desiderano inserirsi in Italia
ecc.). Il docente selezionerà, in base a queste, i domini e i contesti d’uso in cui i lavoratori
immigrati dovranno saper interagire in italiano con altri stranieri o parlanti nativi italiani. Secondo
Vedovelli (2002a: 149), "tali macroaree/domini sono quelli dell'accoglienza e dei processi di
regolarizzazione, del lavoro, dell'abitare, della salute e dell'assistenza, della formazione, della
socializzazione e del tempo libero". Si tratta dunque di domini di ambito personale, pubblico e
occupazionale, che determinano fortemente le scelte sui testi, sulla lingua e sui contenuti culturali
da inserire nel corso:
Dominio personale
Ambienti:
abitazione propria e di amici.
Istituzioni:
reti sociali.
Persone:
amici e conoscenti.
Oggetti:
arredamento della casa, vestiti.
Eventi:
incontri con italiani, incidenti, feste, eventi sportivi.
Azioni:
routine quotidiana, cucinare, mangiare, radio e TV, sport
Testi:
corrispondenza personale, istruzioni d’uso (semplici), libri molto illustrati (non scolastici)
Dominio pubblico
Ambienti:
strade, trasporti pubblici, negozi, ospedali, stadi e campi sportivi, bar, luoghi di culto, questura.
Istituzioni:
autorità pubbliche, istituzioni sanitarie, istituzioni religiose
Persone:
pubblici ufficiali, autisti e controllori, passeggeri, camerieri, gestori bar.
Oggetti:
soldi, moduli, documenti , pasti, bevande
18
Il Livello B1 corrisponde invece al Livello Due della certificazione CELI dell'Università per Stranieri di Perugia.
Eventi:
Operazioni:
Testi:
incidenti, malattie, multe, acquisti
comprare, ottenere servizi pubblici, usare servizi medici, viaggiare
annunci pubblici, etichette, volantini, biglietti, orari, programmi, menu, ricevute
Dominio educativo
Ambienti:
contesto classe
Istituzioni:
ente in cui si svolge l'apprendimento guidato
Persone:
docenti, compagni di corso
Oggetti:
arredamento dell'aula
Eventi:
lezioni, studio individuale, progetti da realizzare fuori dalla classe
Azioni:
comprendere istruzioni e spiegazioni, fare domande, rispondere a domande, svolgere attività guidate,
lavori a coppia o in gruppo, simulazioni, progetti da ideare e realizzare fuori dalla classe
Testi:
libro di testo, materiali portati dal docente, parole scritte alla lavagna o su lucido
Dominio occupazionale
Ambienti:
uffici, fabbriche, negozi, bar, hotel, case private
Istituzioni:
ditte, sindacati
Persone:
datori di lavoro, impiegati, colleghi, clienti, addetti alle pulizie
Oggetti:
soldi, telefono, cassa, materiale industriale, strumenti per l’artigianato
Eventi:
vendite, ristorazione, riunioni
Operazioni:
procedure d’ufficio, vendite
Testi:
lettere, memorandum, istruzioni, regole, pubblicità
5.5. Temi della comunicazione
Per il livello B1, che corrisponde al "livello soglia" caratterizzato dalla capacità di muoversi con
disinvoltura in situazioni che possono verificarsi mentre si viaggia nel Paese in cui si parla la
lingua, sono stati individuati alcuni temi essenziali su cui può articolarsi una interazione con le
persone del posto (Quadro comune europeo, 2002: 65):
1. identificazione personale
2. abitazione e ambiente
3. vita quotidiana
4. tempo libero, divertimenti
5. viaggi
6. rapporti con gli altri
7. salute e benessere
8. educazione
9. acquisti
10. cibi e bevande
11. servizi
12. luoghi
13. lingua
14. tempo meteorologico
Nel caso dell'insegnamento a immigrati stranieri in Italia, i temi della comunicazione non possono
essere svincolati dai loro bisogni comunicativi. Riportiamo la tabella riassuntiva di Massara (2001:
192) articolata in "macroaree" e "articolazione dei bisogni" (cfr. per ampliamenti Vedovelli et al.,
2001: 206 sgg., Vedovelli, 2002a, 166sgg.):
MACROAREE
Accoglienza e
regolarizzazione
ARTICOLAZIONE DEI BISOGNI
Trovare un luogo di ascolto e orientamento
Localizzare un ufficio informazioni
Presentare la domanda di regolarizzazione
Ottenere i documenti per il soggiorno
Lavoro
Abitazione
Salute e assistenza
Formazione
Socializzazione e tempo
libero
Trovare un lavoro "qualsiasi" per il sostentamento
Inserirsi socialmente sul lavoro
Acquisire lessico tecnico-specialistico
Individuare corsi di qualificazione-specializzazione professionale
Trovare un lavoro migliore
Trovare un alloggio provvisorio
Trovare una sistemazione definitiva (anche in funzione del ricongiungimento familiare)
Acquisire strumenti e competenze per una gestione adeguata della casa
Conoscere la mappa del territorio
Localizzare i servizi presenti sul territorio
Acquisire le modalità per usufruire dei servizi
Acquisire la terminologia specialistica
Ascolto e accoglienza
Localizzare i corsi di italiano L2
Accedere ai corsi in orari compatibili con i propri impegni
Poter abbandonare e rientrare nei percorsi formativi
Acquisire competenze comunicative verbali e non verbali
Conoscenza della cultura del paese ospite
Riconoscimento dei titoli e delle competenze acquisite
Formazione professionale
Entrare in contatto con nativi e connazionali
Rapporto con mezzi di comunicazione di massa
Localizzare luoghi di aggregazione con nativi e connazionali
Ampliare le proprie relazioni interpersonali con nativi e connazionali
Mobilità
Si tratta in linea di massima degli argomenti proposti nelle unità di base del materiale didattico
realizzato per l'orientamento linguistico del progetto OIM:
UNITA' DIDATTICHE DI BASE
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
LA FAMIGLIA
LA CASA
IL LAVORO
I NEGOZI
LA TAVOLA
LA SALUTE
IL TEMPO LIBERO
I temi di comunicazione di base non possono però essere disgiunti da quelli legati alle professioni
che andranno a svolgere in Italia: il progetto degli immigrati è infatti primariamente quello di
inserirsi in un ambito lavorativo, di stabilirsi temporaneamente e (per alcuni di loro) di integrarsi in
Italia in maniera più stabile e prolungata nel tempo. Per questo i materiali didattici del progetto
OIM sono integrati da dieci moduli settoriali che tengono conto delle 33 professioni attualmente
più richieste in Italia:
MODULI SETTORIALI
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
CERCARE LAVORO
LAVORARE NELLA RISTORAZIONE
LAVORARE NELL'AGRICOLTURA E NELL'ALLEVAMENTO
LAVORARE NELLA PESCA
LAVORARE NEI TRASPORTI
LAVORARE NELL'EDILIZIA
LAVORARE NELL'ARTIGIANATO
LAVORARE NELL'INDUSTRIA
LAVORARE NELLE PULIZIE
LAVORARE NELLA SANITA’
PROFESSIONI PIÙ RICHIESTE IN ITALIA (2000-2003)
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
17.
18.
19.
20.
21.
22.
23.
24.
25.
26.
27.
28.
29.
30.
31.
32.
33.
Infermieri
Personale non qualificato nei servizi sanitari
Cuochi ed assistenti cuochi
Camerieri ed assimilati
Baristi
Addetti pulizie ai piani
Magazzinieri
Personale ausiliario al magazzino
Personale addetto al servizio pulizia e igiene
Facchini allo spostamento merci
Spazzini e altri raccoglitori di rifiuti
Collaboratori domestici
Addetti all’assistenza alle persone in istituzioni
Muratori
Carpentieri e falegnami
Pittori
Altro personale manovale all’edilizia
Idraulici e posatori di tubazioni idrauliche e di gas
Elettricisti e installatori di linee elettriche
Fonditori e altro personale alle fonderie
Saldatori
Manovali a altro personale nelle attività industriali
Lavoratori agricoli
Addetti all’allevamento.
Lavoratori agricoli di fiori e piante ornamentali
Ebanisti, falegnami e operai macchinari lavorazione del legno
Sarti e tagliatori
Operai delle calzature, dei guanti e di altri art. in cuoio
Operatori di telai meccanici per la tessitura e la maglieria
Altri operai macchinari industria tessile, confezioni e calzature
Conduttori di mezzi pesanti e di camion
Conduttori di macchinari per il movimento terra
Addetti alla pesca
5.6. Le rilevazioni in entrata: il profilo socio-culturale e linguistico dell'immigrato.
Abbiamo già detto che i materiali didattici del Progetto OIM 2000-2003 sono stati pensati per
immigrati albanesi e tunisini con competenze linguistico-comunicative in entrata corrispondenti al
livello A2 del Quadro comune europeo. Ciò non toglie che i loro profili siano differenziati per altri
parametri (età, scolarizzazione, progetto migratorio, lingua madre, altre lingue conosciute,
condizione socio-culturale, ambiente in cui vive ecc.).
Il "glotto-kit", data la sua natura modulare, può fornire una serie di indicatori utili per misurare le
capacità linguistiche dell'immigrato, da integrare e adattare in rapporto all'ambiente socioculturale
di provenienza e di inserimento.19 Prendiamo come esempio il glotto-kit per alunni stranieri
elaborato da Fragai (2001). Si tratta di un modello diviso in due parti:
1.
2.
Indagine socioculturale:
1.1. Il territorio:
a. scheda informativa sull'ambiente socioeconomico
b. scheda informativa sulla realtà linguistica
1.2. L'ambiente socioculturale di provenienza degli informanti:
a. somministrazione dei questionari socioculturali agli allievi
b. somministrazione dei questionari socioculturali ai genitori
Indagine linguistica
a. intervista strutturata
b. riconoscimento e uso del lessico
c. riconoscimento e esecuzione di consegne
d. fluenza della produzione parlata
e. intervista semistrutturata
f. descrizione orale di schede illustrate
g. parafrasi orale di sequenze filmate
E' evidente, in questo caso, l'obiettivo dell'insegnante che si serve di questo strumento (e delle
relative batterie di prove) per conoscere il retroterra socioculturale dell'allievo e il suo profilo
linguistico in modo da definire le linee di integrazione dei figli degli immigrati stranieri nella
società e nella scuola italiana. Tuttavia, alcuni indicatori presenti in questo modello di glotto-kit per
alunni stranieri possono essere utilizzati anche per i destinatari adulti immigrati del progetto OIM,
se non altro per indicare ai docenti un metodo di rilevazione dei dati di entrata, non solo linguistici.
Riportiamo alcune voci tratte dalla sezione di indagine socio-culturale, indicando nella terza
colonna i corrispondenti valori numerici, attribuiti "secondo una scala di valutazione che assegna
alle variabili extralinguistiche di tipo socializzatorio pesi più alti" (Fragai, 2001: 194):
Situazione culturale
Titolo di studio
nessuno
elementari
medie
superiori
laurea o corso parauniversitario
Situazione abitativa e socioeconomica
Abita
con altri immigrati (stranieri
connazionali)
con italiani
solo/a
Abita
isolato/a o vicino a connazionali
vicino a altri stranieri
vicino a italiani
con italiani
Possesso di telefono o TV
nessuno dei due
solo uno
entrambi
Possesso di auto
no
19
0
1
2
3
4
o 0
1
2
0
1
2
3
0
1
3
0
Il "glotto-kit" nasce nel 1978 nell'ambito di una ricerca guidata da Tullio de Mauro: si tratta di una batteria di prove e
strumenti di verifica dei processi di apprendimento di bambini italiani che testano alcune abilità linguistiche
fondamentali a seconda del diverso livello di scolarità (Gensini / Vedovelli, 1983). Successivamente viene elaborato il
"glotto-kit per bambini stranieri" (Felici /Vedovelli/Villarini, 1995; Fragai, 2001), destinato agli insegnanti che hanno
alunni figli di immigrati stranieri in classe.
Situazione linguistica
Usa l'italiano con i figli
Aiuta i figli a studiare l'italiano
Lingue straniere conosciute
Usa l'italiano con i fratelli
sì
2
mai
qualche volta
spesso
no
sì
nessuna
una
più di una
no
sì
0
1
2
0
4
0
1
2
0
4
Processi di integrazione
Partecipa ai momenti di incontro con mai
la scuola dei figli
qualche volta
spesso
I compagni di lavoro lo/la aiutano a mai
imparare l'italiano
qualche volta
spesso
Frequenta amici italiani
no
sì
0
2
4
0
2
4
0
4
5.7. Dall'analisi degli errori nell'interlingua al confronto interlinguistico e interculturale
L’immigrato che arriva in un corso di italiano dispone già di uno o più sistemi linguistici e culturali
(lingua madre solo orale o anche scritta, altre lingue anche solo parzialmente apprese in modo
spontaneo o guidato) più alcuni “tasselli” di competenza linguistica e culturale in L2. Può trattarsi
di un italiano appreso nell’ambiente di lavoro e usato come lingua veicolare nei rapporti fra pari con
lavoratori di lingua diversa20, può essere un italiano appreso guardando i programmi televisivi
trasmessi dall’Italia e ricevuti via etere data la prossimità geografica, dai paesi dell'area
mediterranea, oppure imparato a scuola in patria o in corsi di alfabetizzazione per immigrati in
Italia, o altro ancora. L'insegnante deve tenerne conto e orientare (o riorientare) il suo insegnamento
per mettere a frutto le competenze già disponibili in partenza o acquisite in itinere da ciascun
allievo.
5.7.1. L'interlingua.
La capacità di valutare l'interlingua degli apprendenti è una competenza indispensabile del docente
di italiano L2: per interlingua si intende la varietà di apprendimento che ogni apprendente elabora
sulla base di una serie di caratteristiche interne (la propria lingua madre, le altre lingue note, le
abilità cognitive, le motivazioni all'apprendimento ecc.) ed esterne (la quantità e la qualità
dell'esposizione all'input in L2, il grado di inserimento nella società ospite, le caratteristiche
dell'intervento formativo e/o dell'acquisizione spontanea ecc.). L'interlingua di un apprendente di
italiano L2 (come di qualunque altra lingua straniera) si sviluppa in una serie di stadi e si basa sulle
ipotesi che l'apprendente elabora relativamente al funzionamento dell'italiano: alcune corrette, altre
20
Si tratta di quell’italiano “veicolare”, semplificato e pieno di interferenze ed errori dovuti all’uso da parte di persone
non italofone, una sorta di koinè già rilevata per esempio all’estero in situazioni in cui l’emigrazione italiana era
numericamente più consistente di altre.
meno (p.es. se un apprendente dice o scrive "venito" fa un errore, ma mostra di conoscere le regole
di formazione del participio passato regolare della terza coniugazione). L'interlingua è un sistema
dinamico, che può progredire verso la L2 o regredire (come accade a chi non pratica più per molto
tempo una L2 un tempo conosciuta). Ma in certi casi può anche bloccare il suo sviluppo: si parla in
questo caso di "fossilizzazione".
Gli studi sulle sequenze di acquisizione dell'italiano da parte di immigrati in contesto spontaneo
(Giacalone Ramat, 1993 e 2003) hanno confermato alcuni fenomeni psicolinguistici e cognitivi
verificabili sull'acquisizione spontanea di qualsiasi L2, ovvero che:
- l'acquisizione avviene per stadi;
- il passaggio da uno stadio al successivo è cartterizzato dalla comparsa di una nuova struttura;
- gli stadi sono tra loro in rapporto implicazionale, cioè la presenza di una certa struttura
nell'interlingua di un apprendente implica la presenza delle strutture che la precedono nella
sequenza ma non di quelle che seguono.
Nell'acquisizione del sistema verbale da parte di immigrati stranieri, per esempio, sono stati rilevati
i seguenti stadi:
PRESENTE > (AUSILIARE) + PARTICIPIO PASSATO > IMPERFETTO > FUTURO > CONDIZIONALE
> CONGIUNTIVO
questo significa che se uno straniero usa nel suo parlato spontaneo l'imperfetto, sarà anche in grado
di usare il participio passato (con o senza ausiliare) per esprimere il passato, ma non
necessariamente il futuro.21
L'acquisizione del numero viene appresa prima di quella del genere. Il fatto che in arabo, per
esempio, esista il singolare, il duale e il plurale, non comporta difficoltà per l'apprendimento
dell'italiano (ne comporta invece per gli italofoni che studiano l'arabo). Analogamente, i parlanti di
lingue con tre generi (maschile, femminile e neutro, come il tedesco) non hanno difficoltà per
l'apprendimento del genere italiano che è solo binario (maschile-femminile). I problemi nascono
quando una categoria è invece assente nella L1 degli apprendenti.
In italiano è problematica è l'acquisizione dell'accordo di genere, che viene così indicata da
Giacalone Ramat (2001: 72):
ARTICOLO DETERMINATIVO > ARTICOLO INDETERMINATIVO
AGGETTIVO PREDICATIVO > PARTICIPIO PASSATO
>
AGGETTIVO ATTRIBUTIVO
>
Quanto alla negazione, Giacalone Ramat (2001: 73) cita quattro stadi individuati dalle ricerche:
NEGAZIONE OLOFRASTICA no
> no(n) + X & X + no > no(n) + VERBO > non + VERBO + mica
Nella ricostruzione dell'acquisizione della sintassi (cfr. Banfi, 1988 sulla sintassi degli arabofoni)
risultano le seguenti tappe:
CAUSALI (perché) > TEMPORALI (quando) > CONDIZIONALI (se)
Mancano ancora dei dati generalizzabili sull'acquisizione del lessico, della dimensione fonologica e
della competenza testuale.
Dei quattro stadi dell'interlingua di apprendenti spontanei di italiano individuati da Giacalone
Ramat (1993), solo i primi due corrispondono ai destinatari del progetto OIM 2000-2003 (sui livelli
iniziali cfr. Barki et al., 2003). Vediamone i tratti caratteristici:
21
Es. " prima lavoravo filati, ho fatto filati in una fabbrica di lavoro", nell'intervista 4, Appendice A.
Primo stadio - varietà prebasica di interlingue molto iniziali (varietà 1) e basica di interlingue
iniziali (varietà 2): scarsa comprensione, produzioni consistenti in elementi lessicali (nomi)
apparentemente non connessi o collegati fra loro da una sintassi elementare. Morfologia flessiva
assente. Sintassi quasi nulla. Il verbo compare alla III persona singolare del presente indicativo
(lavora, studia), in misura minora alla II persona singolare (pulisci, finisci): questa forma basica,
non marcata, è usata per fare riferimento a azioni passate, presenti e future, eventualmente
accompagnata da marche temporali.22 Nella comunicazione prevale il modo "pragmatico",
caratterizzato da assenza di morfologia e da un ordine delle parole governato da principi pragmatici
(il dato noto precede l'informazione nuova) .
Secondo stadio – interlingue intermedie (varietà 3): questo stadio è caratterizzato dal passaggio
dalle forme non marcate a quelle marcate e una crescente sensibilità morfologica. Il suffisso –to,
per esempio, marca la funzione del verbo e viene usato con funzione di passato prossimo anche in
assenza dell'ausiliare,23 che si sviluppa solo successivamente (con oscillazione di uso fra essere e
avere). Sussistono interferenze anche sensibili. Crescente sensibilità sintattica (coordinazione
semplificata, uso di avverbi prima … poi per esprimere sequenze temporali). Ipotassi in evoluzione
(subordinate introdotte da quando, perché, se, che).
5.7.2. L'analisi degli errori.
L’immigrato tende a fossilizzare la propria interlingua in stadi molto basici, se questi gli consentono
comunque di interagire in funzione degli scopi comunicativi essenziali (sul lavoro, nei negozi, nella
vita sociale). Da qui si comprende l’importanza della riflessione metalinguistica nei momenti di
contatto formale con l'istruzione in L2 (cfr. Vedovelli, 1990). Presente nell’apprendimento guidato
e, in modo diverso, anche in quello spontaneo, questa abilità cognitiva può rivelarsi la chiave per
accedere anche autonomamente al processo di evoluzione della propria interlingua, quasi un
antidoto rispetto al facile rischio di fossilizzazioni e di arresto nelle varietà più basse, anche se
funzionali alla comunicazione essenziale.
Nel caso di immigrati da paesi in cui oltre ai dialetti locali sia presente come lingua di cultura una
lingua tipologicamente vicina all'italiano come il francese (per esempio il Marocco, la Tunisia o il
Camerun), per esempio, noteranno interlingue di italiano L2 caratterizzate da interferenza
dell’italiano con il francese, con strategie di sostituzione che consistono nell’usare strutture
(fonetiche, sintattiche, lessicali) familiari della L1 al posto di quelle simili della L2. Per quanto
riguarda il lessico, l'interferenza produrrà errori dovuti all'uso di vocaboli francesi italianizzati
(“ameliorare” al posto di migliorare, “renversare” al posto di rovesciare) o di parole francesi simili
a quelle italiane ("pour" al posto di "per": cfr. l'intervista all'immigrato tunisino trascritta
nell'Appendice A).
Il docente di italiano L2 dovrà essere capace di analizzare il modo di esprimersi dei suoi destinatari
(si vedano le interviste riportate nell'Appendice A), in modo da valutare quale sia lo stadio della
loro interlingua, quali processi mentali siano probabilmente alla base dei loro errori linguistici o
comunicativi (interferenze dalla L1 o altre lingue note, ipergeneralizzazioni, ipercorrettismi), quali
concause esterne possano averli causati (input non corretto o insufficiente, mancanza di feedback e
di possibilità di correzione ecc.).
5.7.3. Il confronto interlinguistico e interculturale.
Il confronto dell'italiano con la lingua materna e le altre lingue note all'apprendente, così come il
confronto della cultura italiana con la cultura materna e le altre culture con cui questi è entrato in
contatto, costituiscono una tappa importante per l'apprendente, che deve essere correttamente gestita
dal docente. A tempo debito, infatti, l'apprendente potrà essere guidato alla riflessione consapevole
su tratti convergenti o divergenti delle lingue e culture presenti nella sua dimensione di soggetto
22
23
Es. "prima faccio assistenza anziani", nell'intervista n. 2, Appendice A.
Es. " perchè venuto qua lavorare", nell'intervista n. 1, Appendice A.
plurilingue e pluriculturale: il ruolo del docente, in questo caso, si sposterà verso la dimensione
interlinguistica e interculturale tanto auspicata dal Quadro comune europeo.24
Nel caso del progetto OIM inizialmente orientato ad immigrati albanesi, sono stati elaborate alcune
griglie riportate all'appendice B, in cui sono stati selezionati alcuni vocaboli del lessico della
gastronomia e altri del lessico della medicina, che attestano l'esistenza di un lessico di etimologia
comune: in tal modo il docente potrà far notare e scoprire autonomamente alcune convergenze
lessicali dovute agli italianisti penetrati nel tempo nelle altre lingue (p. es. nel campo della cucina),
gli esotismi o i cultismi di origine latina e greca che l'italiano condivide con altri idiomi, per non
parlare degli anglicismi e degli internazionalismi recenti (la colonna lasciata vuota a fianco delle
due occupate dai vocaboli in italiano e in albanese può essere utilizzata per inserire le parole
corrispondenti nella madrelingua di altri apprendenti).
Nell'appendice C si trovano invece alcune informazioni basate sul confronto interlinguistico e
interculturale, essenziali per il docente di italiano L2 ad albanesi, sulla storia della lingua e della
cultura albanese, sugli errori più frequenti nell'italiano degli albanesi, sulle strutture
morfosintattiche e fonologiche della lingua albanese in rapporto alle strutture dell'italiano, e infine
una bibliografia essenziale di riferimento (si vedano anche le appendici D, E, F, relative al contatto
fra la lingua e cultura italiana e le lingue e culture legate all'immigrazione dalla Tunisia, dalla
Russia e dalla Cina, con riferimenti alla didattica dell'italiano a apprendenti arabofoni, slavofoni e
silofoni).
Solo di recente sono stati pubblicati in Italia dei testi che forniscono in maniera più approfondita
questo genere di informazioni, pensate per il docente di italiano L2 alle prese con apprendenti di cui
non conosce la lingua e la cultura, come dimostrano i pregevoli saggi sull'italiano L2 per l'italiano
L2 degli arabofoni (Vedovelli/Massara/Giacalone Ramat, 2001) e dei cinesi (Banfi, 2003).
5.7. Strategie di semplificazione del discorso degli orientatori
L’acquisizione dell’italiano da parte dell’immigrato avviene di solito in situazione di
comunicazione reale, nei luoghi di lavoro ed ha quasi sempre un carattere di urgenza comunicativa.
“L’italiano della sopravvivenza” (una varietà molto iniziale dell'interlingua), appreso in un contesto
comunicativo definito “disturbato” perché asimmetrico e “urgente”, è un italiano molto
semplificato, limitato a pochi contesti d’uso, perché limitati sono i contesti d’interazione tra
immigrati e nativi. La lingua con cui i nativi si rivolgono agli immigrati stranieri sul posto di lavoro
è infatti un tipo particolare di foreigner-talk, caratterizzato da tratti di italiano popolare, dialetto,
lessico settoriale, strategie di semplificazione quali l'uso del "tu" o l'imperativo per esprimere
ordini, consigli, istruzioni e perfino una certa dose di forme non corrette dal punto di vista
grammaticale ("tu prendere martello", "io amico") nell'intento di facilitare la comunicazione (cfr.
Felici, 1994; Pallotti, 1998: 111sgg). Come rileva Vedovelli (2002a: 144), "le lingue immigrate
sono entrate nello spazio linguistico italiano e ne hanno modificato le caratteristiche; gli
italiani/italofoni sono sollecitati da nuovi compiti comunicativi negli scambi con gli immigrati e
diventano, di fatto, i loro maestri di lingua" (il corsivo è nostro).
Nel contatto formale con gli orientatori linguistici del progetto OIM 2000-2003 (ma anche con gli
orientatori del settore giuridico, socio-culturale, psico-sociale e lavorativo) gli immigrati saranno
ugualmente esposti ad un input in parte diverso rispetto alla lingua che gli italiani userebbero con
altri italiani: si tratta del cosiddetto teacher-talk, ovvero la modalità espressiva che i docenti usano
per trasmettere contenuti e sviluppare competenze negli apprendenti. In questo caso, però, pur
dovendo adattare il proprio modo di esprimersi ai propri destinatari stranieri e della necessità di
semplificare il proprio discorso orale, l'orientatore al tempo stesso fornirà un modello di lingua
comprensibile e sufficientemente corretto.
24
Sull'educazione interculturale si vedano Agosti, 1996; Susi, 1995; Giacalone, 1996; Nanni, 1998; Balboni, 1999;
AAVV, 2000.
L'input linguistico di un corso di italiano per adulti immigrati dovrà essere ricco ma controllato e
adeguato al livello di competenza dei destinatari, con caratteristiche tali da permettere una
progressione più rapida nella competenza interlinguistica, rispetto a quanto avverrebbe con un input
non filtrato da considerazioni glottodidattiche.
D'altra parte, l’insegnamento dell’italiano a immigrati non può orientarsi verso un modello di lingua
solo standard: più che per gli apprendenti di italiano LS fuori d’Italia, più che per gli studenti
universitari che soggiornano in Italia per un periodo di studio nelle università italiane, l’immigrato
dovrà essere messo in grado di confrontarsi (a livello di comprensione più che di produzione) con le
varietà regionali, che saranno poi la varietà di lingua che incontreranno quotidianamente sul luogo
del loro inserimento lavorativo e sociale.
L'orientatore che si rivolge a stranieri con competenze medio-basse di lingua, dovrà sviluppare una
particolare capacità di comprendere l'interlocutore straniero e dovrà puntare sull'efficacia
comunicativa del proprio discorso, dimostrando la capacità di:
• comprendere le produzioni orali e scritte dei destinatari, concentrandosi sul messaggio
indipendentemente dalla forma in cui questo viene espresso;
• verificare che ogni messaggio rivolto ai destinatari sia stato compreso;
• dare istruzioni chiare sui compiti da svolgere e verificare che siano state comprese;
• aiutare i destinatari a completare le schede scritte o svolgere altri compiti di scrittura;
• gestire le dinamiche di gruppo e i diversi gradi di partecipazione con rinforzi positivi e aiuti
individuali;
• favorire l’interazione con il/i destinatario/i evitando il monologo;
• ripetere e presentare più volte gli argomenti chiave con spiegazioni chiare e esaurienti;
• illustrare i concetti con immagini e esempi;
• accompagnare il proprio discorso orale con parole-chiave scritte (su lucido o lavagna) che
riassumano i concetti illustrati a voce;
• introdurre le nuove informazioni controllando che si inseriscano in un discorso già in gran parte
comprensibile;
• concentrare inizialmente l'attenzione sul messaggio e sul suo significato, e solo successivamente
sulla forma;
• accettare eventuali errori e tentativi di comunicazione da parte dei destinatari, riformulando
eventualmente quello che essi dicono in maniera confusa o non perfettamente corretta;
• segnalare in maniera chiara l'inizio e la fine di ogni attività, il loro scopo e chi deve parteciparvi.
Non bisogna dimenticare che il destinatario-tipo del progetto OIM 2000-2003 si trova ad un livello
di competenza A2 ed ha l'obiettivo di raggiungere il livello B1, rispetto ai quali l'attività di
comprensione orale viene così descritta nel Quadro comune europeo (2002: 83):
Comprensione
orale generale
Comprensione
orale generale
A2
(LIVELLO SOPRAVVIVENZA)
A2:
E' in grado di comprendere espressioni riferite a aree di priorità immediata (ad es. informazioni
veramente basilari sulla persona e sulla famiglia, acquisti, geografia locale e lavoro) purché si parli
lentamente e chiaramente.
A2 potenziato:
E' in grado di comprendere quanto basta per soddisfare bisogni di tipo concreto, purché si parli
lentamente e chiaramente
B1
(LIVELLO SOGLIA)
B1:
E' in grado di comprendere i punti salienti di un discorso chiaro in lingua standard che tratti
argomenti familiari affrontati abitualmente sul lavoro, a scuola, nel tempo libero ecc., compresi
brevi racconti.
B1 potenziato:
E' in grado di comprendere informazioni fattuali chiare su argomenti comuni relativi alla vita di tutti
i giorni o al lavoro, riconoscendo sia il significato generale sia le informazioni specifiche, purché il
discorso sia pronunciato con chiarezza in un accento piuttosto familiare.
Come ricorda il Quadro comune europeo, un apprendente che si collochi fra i livelli A2 e B1 sarà in
grado di comprendere un discorso orale solo in presenza di particolari condizioni (lentezza e
chiarezza dell'enunciato, familiarità con l'argomento e con l'interlocutore). Fra le tecniche
consigliate nell'ambito delle strategie di semplificazione del discorso orale adottate da chi si
rivolge in italiano a uno straniero in un contesto formativo (teacher-talk da insegnante ad allievo,
foreigner-talk da nativo a non-nativo) ricordiamo:25
•
•
•
•
•
•
•
•
•
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•
•
•
•
•
•
•
25
rallentare la velocità di dizione, senza tuttavia distorcere il ritmo del discorso;
aumentare le pause, fare pause più lunghe alla fine della frase;
aumentare leggermente il tono di voce in corrispondenza della parole chiave del discorso e
sottolineare l'intonazione;
articolare le parole in maniera chiara, eliminando le sincopi e le elisioni;
usare spesso le ripetizioni e le riformulazioni di frasi e concetti;
usare codici non verbali (gesti, simboli grafici, disegni) per illustrare il discorso orale;
formulare le domande preferibilmente in forma chiusa (in modo da favorire, negli stadi iniziali,
risposte polari del tipo si/no);
preferire frasi brevi a discorsi lunghi e complessi;
evitare il congiuntivo (meglio l’indicativo), le forme passive (meglio la forma attiva), il futuro
(meglio il presente), il passato remoto (meglio il passato prossimo);
preferire le forme più trasparenti e esplicite (“deve essere” invece di “va”, “ti assegnano” invece
di “ti viene assegnato”, “uno deve” invece di “si deve”, “che operano” invece di “operanti”,
“non può essere espulso” invece di “non è espellibile”);
introdurre i vocaboli tecnici solo dopo averne presentato il significato (ricorrendo a spiegazioni
semplificate in lingua comune, a immagini o, in ultima istanza, alla traduzione);
usare un lessico di base, evitando i termini colti o meno frequenti (p.es. “trovare” invece di
“reperire”, “se” invece di “nel caso in cui”);
spiegare ogni nuovo termine tecnico (a meno che non sia già noto);
evitare il ricorso a metafore, espressioni idiomatiche, proverbi (preferendo un discorso riferito a
luoghi, persone e fatti concreti di tipo esperienziale);
esplicitare tutti i riferimenti alla cultura italiana per evitare che le incomprensioni sorgano non
da problemi linguistici ma piuttosto da fraintendimenti interculturali; evitare, di conseguenza,
gli impliciti culturali;
essere il più possibile espliciti, ripetendo lo stesso riferimento preciso, piuttosto che usare
sinionimi o ricorrere a pronomi (“come potete cercare aiuto? potete cercare aiuto dagli enti
territoriali…”, invece di “potete cercarlo…”);
usare il TU con i destinatari (le forme verbali sono più comprensibili, non si ricorre al
congiuntivo di cortesia, si instaura un rapporto più informale e confidenziale);
se possibile, usare in italiano i vocaboli che, nella lingua dei destinatari, sono espressi con
vocaboli di etimologia comune (p. es. "differente" invece di "diverso", nel caso che si parli ad
anglofoni che, nella loro lingua, conoscono il termine "different" e potrebbero così riconoscerlo
nel vocabolo italiano). Questo aspetto riguarda per esempio gli internazionalismi (p.es. gli
anglicismi non adattati, come "computer", di immissione recente, o i forestierismi adattati
Sulle tecniche di semplificazione del discorso cfr. anche Favaro, 2002: 176; sulla comprensibilità dell'input cfr.
Pallotti, 1998: 150 sgg.
introdotti nei secoli, come "bistecca", "caffè", "patata"), i termini colti, scientifici o tecnici di
origine greca o latina ampiamente diffusi ("internazionale", "elettricità", "università",
"televisione", "dermatologia" ecc.), gli italianismi penetrati nei secoli nelle varie lingue in
settori come la cucina o la musica ("pizza", "ravioli", "rucola", "piano", "opera", "adagio"). In
caso di apprendenti arabofoni, gli arabismi accolti nell'italiano fin dal Medioevo ("zero",
"cifra", "cotone", "ragazzo", "ammiraglio" ecc.).
5.8. Strategie didattiche.
I corsi realizzati nella prima fase del progetto OIM 2000-2003 (destinato a immigrati di origine
prevalentemente albanese) sono stati caratterizzati da composizioni di gruppi-classe abbastanza
eterogenee (per età, sessi e scolarizzazione), come dimostrano i brani tratti da due relazioni finali
degli orientatori linguistici:
Il corso era composto da 20 ragazzi albanesi, tra i 15 e i 17 anni, di sesso maschile, di cui cinque di etnia Rom e
uno di etnia Kosovara. Il corso ha previsto 120 ore di formazione teorica, di cui 57 sono state destinate
all’insegnamento della lingua italiana L2, più le ore di formazione del corso professionale per elettricisti. Le
lezioni riguardanti l’orientamento linguistico sono iniziate il 18 aprile e terminate l’8 maggio 2001 con una
frequenza di quattro ore al giorno, più due giorni in cui l’orario è stato prolungato per altre quattro ore e mezzo.
Il livello di competenza linguistica della maggior parte degli studenti presentava un livello B1, pochi si
trovavano ad un primo livello (A2). Ciò ha consentito un fluido e tranquillo svolgimento dell’attività, favorito
anche dal fatto che gli studenti, tutti provenienti dal Centro di Accoglienza per Minori Stranieri Non
Accompagnati Don Milani di Squinzano (LE), eccezion fatta per i cinque ragazzi Rom, non hanno presentato
problemi relazionali, visto che alcuni di loro già si conoscevano da più di un anno. (Lecce, 2001)
La maggioranza degli iscritti era di nazionalità albanese (17). Un solo corsista uomo di nazionalità serba e una
sola corsista donna di nazionalità kossovara. I partecipanti erano divisi tra 13 persone di sesso femminile e 6
persone di sesso maschile. L’età degli uomini era compresa tra il 1938 e il 1986. L’età delle donne tra il 1961 e il
1985, con un solo soggetto più anziano fra gli uomini e uno più giovane fra le donne.
Il livello di scolarizzazione della classe era molto alto. Su 19, 5 sono i laureati nel paese di provenienza. Tre
donne albanesi laureate in legge, economia e commercio, veterinaria, un uomo albanese laureato in storia e
geografia e l’unica donna kossovara laureata in ingegneria. Le due albanesi in possesso delle lauree di legge e
veterinaria sono inscritte anche all’università italiana rispettivamente per conseguire una seconda laurea in legge
e in tecnica pubblicitaria. 6 frequentano l’università in Italia per la prima volta dopo aver conseguito il diploma
di scuola superiore in Albania e Jugoslavia. I corsi di laurea presenti in classe erano : tecnica pubblicitaria,
lingue e letterature straniere; economia e commercio, comunicazione internazionale; scienze politiche. Tre
partecipanti possiedono il diploma di scuola media inferiore, tutti gli altri hanno conferito nel Paese di
provenienza il diploma di scuola superiore (Perugia, 2001).
Questa varietà di caratteristiche di entrata si registra anche all'interno dello stesso gruppo-classe e
pone ai docenti la necessità di integrare e selezionare i materiali forniti dal manuale:
La conoscenza dell’italiano, molto buona non era tuttavia omogenea per l’intero gruppo classe. Quattro dei
partecipanti ai corsi possedevano un livello elementare di produzione in L2, anche se la comprensione er abuona.
Al fine di preparare una sola lezione comune a tutti ho utilizzato le unità didattiche O.I.M. come materiale di
ripasso e rinforzo delle strutture per la maggioranza dei discenti in modo da eliminare così le fossilizzazioni
presenti. I corsisti di livello elementare sono venuti, invece, in contatto con strutture nuove o che usavano con
minore sicurezza. (Rimini, 2001)
L'insegnamento della lingua è stato condotto attraverso continui riferimenti alla società e alla cultura italiana,
facendo uso anche di materiale autentico e di strumenti audiovisivi.
In particolare ho effettuato le seguenti integrazioni:
- esercizi grammaticali di rinforzo su argomenti complessi
- lettura di articoli di giornale, test a scelta multipla per la comprensione, discussione sugli argomenti di attualità;
- ascolto di canzoni italiane e ricostruzione del testo, soluzione di semplici cruciverba e giochi di parole;
- simulazioni di situazioni quotidiane o inventate dai partecipanti (Padova, 2001)
Le lezioni sono state generalmente impostate secondo un modello di didattica comunicativa, con
momenti di interazione e altri più monodirezionali, ma sempre considerando la spendibilità delle
competenze alla luce di bisogni degli apprendenti.
I momenti dove ho notato una maggiore attenzione sono stati la compilazione del “modulo di richiesta di
assunzione” e del “curriculum vitae”. Da parte mia ho potuto conoscere meglio i ragazzi e la loro carriera
scolastica. Inoltre ho notato che hanno imparato a gestire il linguaggio burocratico dei vari tipi di documenti.
(…)
Ho pensato di proporre un’attività di role-making. Ho portato un giornale locale di annunci immobiliari; ho
diviso la classe in gruppi di tre ragazzi; ogni gruppo ha scelto un’agenzia, della quale ha letto attentamente le
offerte di affitto e di vendita. Poi uno studente impersonava il cliente, uno l’agente immobiliare e l’altro il
proprietario dell’agenzia. Allo studente-cliente ho consegnato un biglietto con delle richieste specifiche, che lo
studente-agente doveva provare a soddisfare tra le opzioni della sua agenzia; lo studente – direttore doveva
risolvere gli eventuali problemi e contattare il prezzo. L’attività è stata stimolante per gli studenti di livello
medio e avanzato in quanto ha dato la possibilità di usare la lingua per scopi comunicativi diversi: convincere,
contrattare, proporre; al contrario, si è rivelata demotivante per quelli che vi hanno visto solo un gioco, che non
hanno compreso lo scopo dell’attività. (Padova, 2001)
Qualche volta, però, gli studenti fanno fatica a rinunciare ad un tipo di lezione più frontale (a cui
probabilmente erano stati abituati in patria) e sembrano imbarazzati di fronte a compiti meno
mnemonici e più creativi o ad attività (come i role-play) che li mettono al centro dell'atto didattico e
sottoponendoli al rischio di "perdere la faccia":
Ho notato che è molto difficile proporre delle attività che si discostano troppo dalla lezione frontale perché sono
interpretate come momento di svago senza nessuna funzionalità e, quindi, i ragazzi si deconcentrano. (…) A
livello orale, ci sembra che non vengano apprezzati soprattutto gli esercizi che presuppongono una parte di
immaginazione e che coinvolgono la fantasia. Ad esempio, i role-making che abbiamo proposto erano accettati
solo se inseriti in contesti situazionali più vicini alla realtà quotidiana. Anche tra i più giovani è molto forte il
senso di orgoglio e non certe situazioni giudicate imbarazzanti vengono evitate o addirittura rifiutate. (Padova
2001)
Ho notato che agli allievi piaceva molto leggere e preferivano un tipo di lezione frontale (a cui probabilmente
erano stati abituati in patria) mentre sembravano imbarazzati di fronte ad attività come i role-play che
presupponevano un minimo di fantasia e d’immaginazione e che li ponevano al centro dell’attenzione con il
rischio di essere derisi dai compagni per gli errori che ovviamente erano facili commettere nell’esprimersi in
lingua italiana. Tuttavia, se il role-play era inserito in contesti situazionali più vicini alla loro realtà quotidiana,
veniva accettato di buon grado. Molto più apprezzato è risultato il lavoro di coppia rispetto a quello di gruppo.
La metodologia del lavoro di coppia ha consentito agli allievi con una scarsa conoscenza della lingua italiana di
confrontarsi con coloro i quali avevano già una buona padronanza dell’italiano, costringendo, inoltre, questi
ultimi a soffermarsi a riflettere di più sugli esercizi svolti (Tursi, Basilicata, 2003).
Il lavoro di coppia risulta molto apprezzato e il clima della classe è stato generalmente positivo,
anche grazie alla presenza dei mediatori culturali della stessa origine degli studenti:
Lavorare con i gruppi non è stato facile, perché alcuni ragazzi meno interessati creavano disattenzione agli altri,
che preferivano, perciò, lavorare sugli esercizi singolarmente o in coppia. La partecipazione attenta e la
concentrazione sono state favorite dall’uso del registratore, che ha anche stimolato in alcuni di loro il desiderio
di creare dei dialoghi, che poi sono stati registrati in loco dagli stessi ragazzi e fatti ascoltare all’intera classe.
(Lecce, 2001)
Le lezioni hanno avuto carattere sia frontale sia interattivo, e il livello di partecipazione è stato sempre molto
elevato, anche perché abbiamo stimolato lavori di gruppo e discussioni su argomenti interculturali. (Padova,
2001)
Infine, concludiamo con un giudizio sintetico fornito sui materiali didattici per l'orientamento
linguistico OIM, utilizzati nella prima fase sperimentale dei corsi realizzati nel 2001:
Per quanto riguarda i materiali abbiamo potuto formarci un giudizio più completo, dopo il secondo corso. In
generale, sono molto apprezzati i dialoghi con le domande di comprensione e le letture su argomenti pratici - la
patente, la banca, i pasti degli italiani - perché tutti offrono spunti di conversazione e danno la possibilità anche
ai meno bravi di riscattarsi almeno con la lettura ad alta voce. Anche gli esercizi grammaticali si svolgono con
piacere, soprattutto quelli che stimolano una sorta di competizione, di gara. Quelli che invece causano maggiori
problemi sono quelli ripetitivi, come gli esercizi di trasformazione o di compilazione. I più difficili risultano
quelli in cui bisogna rimettere in sequenza delle frasi o dei dialoghi.
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APPENDICE A
TRASCRIZIONI DI INTERVISTE A STRANIERI IMMIGRATI IN ITALIA
1. ALBANIA
Intervista nel settembre 2001 da un ragazzo albanese di 13 anni, da circa un anno in Italia,
iscritto in una scuola media statale di Genova
DOMANDA: Ciao G. da dove vieni?
RISPOSTA: da Albània
DOMANDA: da quanti mesi sei in Italia?
RISPOSTA: un mese,un anno,fos*e++
DOMANDA: mi puoi raccontare perché siete venuti in Italia?
RISPOSTA: per lavorare+++++++++++
DOMANDA: quando hai saputo di venire in Italia?
RISPOSTA: ++++marso, così++++++++ [alza le spalle]
DOMANDA: eri contento?
RISPOSTA: si [il tono della voce si abbassa molto]
DOMANDA: perchè?
RISPOSTA: perchè venuto qua lavorare++++++
DOMANDA: Come ti trovi qua a Genova?
RISPOSTA: bene++++[ il tono della voce è spazientito]
DOMANDA: perchè?
RISPOSTA: perché?....................................
DOMANDA: che differenza c'è tra Genova e Elbasan?
RISPOSTA: ++c'è molto più bello Genova perché mmm Genova++++è un po' =grossa
[suggerimento dell'intervistatore]=grossa
DOMANDA: cosa ti manca del tuo paese?
RISPOSTA: ++mi* nonna, mio nonno e tutti+++
DOMANDA: cosa ti piace di Genova?
RISPOSTA: mi piace di città++++++++++
DOMANDA: e cosa non ti piace?
RISPOSTA: niente++++++++++++
DOMANDA: grazie, G.
RISPOSTA: prego. [ il tono è molto più basso rispetto all’inizio dell’intervista]
Legenda:
+ pausa
= sovrapposizione di voci
(xxx) espressione incomprensibile
MAIUSCOLO tono di voce più alto
[ ] commenti
2. SRI LANKA
Intervista raccolta nel gennaio 2001 da un immigrato cingalese di 35 anni, da 10 anni in Italia,
di cui gli ultimi 6 trascorsi a Siena
DOMANDA: Da dove vieni?
RISPOSTA: Sri Lanka
DOMANDA: Da quanti anni sei in Italia?
RISPOSTA: Dieci anni Italia.
DOMANDA: Mi puoi raccontare come hai deciso di venire in Italia?
RISPOSTA: Io già Italia, però marinaio … prima facevo marinaio… prima volta viene Ravenna.
Dopo rimane qua.
DOMANDA: E l'italiano dove l'hai studiato?
RISPOSTA: Sentito … vedere televisione, così. Non è studiato.
DOMANDA: E leggi anche i giornali o no?
RISPOSTA: Sì, abbastanza.
DOMANDA: Come è formata la tua famiglia?
RISPOSTA: Sta bene. Sri Lanka. Prima rimane qua. Ora già andato Sri Lanka perché studiare
bambino. Poi penso andare in America per vivere di là.
DOMANDA: Quando?
RISPOSTA: Dopo un anno…
DOMANDA: Tua moglie cosa fa?
RISPOSTA: Di là? Parrucchiera.
DOMANDA: E il tuo bambino?
RISPOSTA: Bambino studiato una scuola internazionale.
DOMANDA: Che lingue parla?
RISPOSTA: Parla inglese, anche mia lingua, anche parla poco itali.
DOMANDA: Che lavoro hai fatto qui in Italia?
RISPOSTA: Italia prima faccio assistenza anziani, dopo in un ristorante, ultimo ora ancora faccio
assistenza anziano, autista…
DOMANDA: Ti piace l'Italia?
RISPOSTA: Sì, piace (ride) …piace.
DOMANDA: Cosa ti manca del tuo Paese?
RISPOSTA: Manca? Mio paese è bene, però c'è un po' di guerra, allora pochino difficile per vivere.
Mio paese è bello, sta bene, problema per guerra.
DOMANDA: In Italia che cosa non ti piace?
RISPOSTA: No, io piace Italia, ma per studiare per bambino … Italia è difficile trovato una scuola
internazionale… Ce l'ho Firenze, però costa troppo.
3. TUNISIA
Intervista raccolta nel maggio 2001 da un immigrato tunisino che vive da circa dieci anni in
Italia, presso la Caritas di Imperia26
DOMANDA: Da dove vieni?
RISPOSTA: So.. vene de la Tunisia..la…vene de la Tunisia
DOMANDA: Da quanto tempo sei in Italia?
RISPOSTA: Sono dieci anni qua.
DOMANDA: Mi puoi raccontare perché hai deciso di venire in Italia?
RISPOSTA: *Pour lavorarmi, *pour..eh vivare bene,* pour guadagnare un poco soldi….* Pour
me…*pour le bambini,*pour la moglie, *pour tutti quanti, eh!|
DOMANDA: L’italiano l’hai imparato qua?
RISPOSTA: No io me venghi cussì + de le ottantaotto, però le italiano sono* comma
anvitato..anvitato a me + io sono..sempre bravo con le italiani e italiani sono bravi con me ++e pour
me sono aposto.
DOMANDA: Com’è formata la tua famiglia?
RISPOSTA: Sono quatro, quatro. Sono la moglie, quatro bambino, e mia mama,i miei fratelli e mie
sorelle.
DOMANDA: Sono rimasti in Tunisia?
RISPOSTA: Tutte…a casa..tutte in Tunisia, tutte *sur la casa. Capito?
DOMANDA: Qui in Italia hai lavorato?
RISPOSTA: SI! Tanto lavoro..Tanto non c’è lavoro. Tanto lavoro nero, sempre lavoro nero..++
Però regulare non c’è…[ride]
DOMANDA: Ti piace l’Italia?
RISPOSTA: Eh…cusa disce.. l’Italia io sono vivo qua… se piasce? Piasce tanto *pourque no? Eh
[ride] +++ E’meglio che mii paese.
DOMANDA: E cosa ti manca del tuo paese?
RISPOSTA: A mi paese ..sono manca manca… cose di lavoro. +++ MANCA DI LAVORO, solo
lavoro ah!
DOMANDA: Che lavoro facevi là?
RISPOSTA: Maratore.
DOMANDA:Cosa non ti piace in Italia?
RISPOSTA: E io non piasce le razzismo, no piasce.. le fasciste le… quelle che fatte una cosa che
non va bene, con l’italiano *ou le straniere tutto quanto..+ questo..++ NON PIACE! Pour* me non
piasce pour l’altra gente non so. Capito?
26
Si tratta di un immigrato che in patria ha imparato il francese, come si può notare dalle interferenze da questa lingua,
indicate con l'asterisco (*).
4. SENEGAL
Intervista raccolta nel maggio 2001 da un ragazzo senegalese di trent’anni, da sei anni in Italia;
lavora presso un albergo di Varazze (Savona)
DOMANDA: Come ti chiami?
RISPOSTA: Quebez Mor.
DOMANDA: Quanti anni hai?
RISPOSTA: Trente e uno
DOMANDA: Da dove vieni?
RISPOSTA: Senegal
DOMANDA: Da quanto tempo sei in Italia?
RISPOSTA: Sei ani
DOMANDA: Mi puoi spiegare perché sei venuto in Italia?
RISPOSTA: Si. Sono venuto per lavorare, per mantenere mia famiglia, perché in Senegal non c’è
tanto lavoro come qua, come che sono venuto qua (xxx) qua a lavorare, quello che guadagna, quello
che prendo al mese li divido in metà li mando a mia famiglia e il resto li tengo qua per vivere e il
resto li: cerco di andare avanti.
DOMANDA: Sei venuto in Italia da solo o con qualcuno?
RISPOSTA: Si, sono venuto da solo, qua, prima abitava a Mantova eh poi mi son finito qua, prima
lavoravo filati, ho fatto filati in una fabbrica di lavoro.
DOMANDA: E quando sei venuto qui sapevi l’italiano?
RISPOSTA: No, parlavo francese, poi piano piano l’ho imparato al mare, allora, ho (xxx) anche in
spiaggia un po’ senza documenti perché prima io non c’ho documenti, allora dopo quando c’ho
soggiorno ho cercato un lavoro poi l’ho trovato e finora sto lavorando.
DOMANDA: Quindi le lingue che sai sono=
RISPOSTA: = Francese un po’ d’inglese, italiano e mie lingue
DOMANDA: I dialetti?
RISPOSTA: Si [ridiamo]
DOMANDA: Ti piace l’Italia?
RISPOSTA: Si, un po’ si, perché c’è lavoro, c’è tutto però mi manca sempre la mia famiglia.
DOMANDA: E anche il tuo paese?
RISPOSTA: Si, anche mio ambiente, mie cose però ogni ano vado due volte, allora, si.
DOMANDA: C’è qualcosa che proprio non ti piace qui?
RISPOSTA: In Italia, veramente, tutti mi piacciono sono molto, ho fatto, ho fatto un po’ Parigi,
sono andato anche abbastanza in Germania, però che come carattere li italiano sono migliori di tutti
le tipi che sono andato (xxx) veramente, tutte cose mi piacciono non c’è niente che non mi piace,
son bravissimi, se hai voglia di lavorare ti danno un lavoro, c’è tutto, hanno (xxx), hanno ti (xxx) in
tutti le modi che vuoi, le banca, le sosietà, le lavoro, le genti perché adesso come qua dove lavoro
mi hanno dato appartamento, tutto (xxx) vuol dire che son bravissimi.
DOMANDA: Va bene, grazie
RISPOSTA: Prego
APPENDICE B
LESSICO DI ETIMOLOGIA COMUNE
ITALIANO-ALBANESE
Lessico della gastronomia:
ITALIANO
ALBANESE
ananas
antipasto
banana
bar
barista
biscotto
birra
bistecca
budino
caffè
calamaro
cameriere
cannella
cannelloni
cantina
caramella
carota
cassata
cioccolato
cipolla
cliente
cognac
cotoletta
crema
cucina
fagiano
fagioli
fico
filetto
filtro
frigorifero
frutta
insalata
kiwi
lasagne
limone
maionese
mandarino
margarina
marmellata
mela
merluzzo
mozzarella
omelette
pasta dolce
pasticcio
patata
pepe
pesca
pesce
pisello
ananas
antipastë
banane
bar
barist
biskotë
birrë
biftek
buding
kafe
kallamar
kamerier
kanellë
kaneloni
kantinë
karamele
karotë
kasatë
çokollatë
qepa
klient/kliente
konjak
kotoletë
krem
kuzhinë
fazan
fasule
fik
filetë
filtër
frigorifer
fruta
sallatë
kivi
lazanjë
limon
majonezë
mandarinë
margarinë
marmelatë
mollë
merluc
mocarela
omëletë
pastë
pastiçe
patate
piper
pjeshkë
peshk
bizele
pollo
prosciutto
punch
purè
ragù
ravioli
reclamo
ricetta
riso
rosmarino
rotolare
sala
salame
salmone
salsa
salsiccia
salumi
scaloppine
segreteria
spinaci
tappo
tavolo
tonno
torta
vegetariano
whisky
pulë
proshutë
ponç
pure
ragu
ravioli
reklamim
recetë
oriz
rozmarinë
rrotulloj
sallë
sallam
salmon
salcë
salsiçe
sallameri
skalop
sekretari
spinaq
tapë
tavolinë
ton
tortë
vegjetarian
uiski
Lessico della medicina:
ITALIANO
alcol
allergia
analgesico
anestesia
anemia
antibiotico
antipiretico
appendice
arteria
artrite
barella
benda
bisturi
bronchite
callo
cancro
cardiopatia
chirurgo
cistite
clavicola
clinica
colesterolo
colica
collasso
collirio
coma
compressa
congestione
congiuntivite
consulto
convalescenza
cura
delicato
dentista
dermatologo
detergente (sm)
diabete
diagnosi
diaframma
diarrea
dieta
disinfettante
dottore
ecografia
emorragia
epatite
epilessia
ernia
filtro
gamba
garza
gastrite
immune
incubatrice
infarto
infermiere
ALBANESE
alkool
alergji
analgjetik
anestezi
anemi
antibiotik
antipiretik
apendiks
arterie
artrit
barelë
bandazh
bisturì
bronkit
kallo
kancer
kardiopati
kirurg
çistit
klavikul
klinikë
kolosterinë
kolikë
kolaps
kolir
komë
kompresë
kongjestion
koniunktivit
konsultë
konvaleshencë
kurë
delikat
dentist
dermatolog
detergjent (m)
diabet
diagnozë
diafragmë
diarre
dietë
dezinfektues
doktor
ekografi
hemorragji
hepatit
epilepsi
hernie
filtër
këmbë
garzë
gastrit
i imunizuar
inkubator
infarkt
infermier
infettivo
infezione
iniezione
insulina
invalido
ipertensione
laboratorio
laringe
lassativo
massaggio
miope
muscolo
narcotico
nervo
neurologo
oculista
oncologo
ortopedico
ospedale
ossigeno
ottico
palestra
paralisi
paziente
pediatra
pinza
pillola
pomata
posizione
reumatismo
riabilitare
scirippo
siringa
sterilizzare
stomaco
supposta
tappo
terapia
termometro
tintura di iodio
trasfusione
trauma
tubercolosi
tubetto
ulcera
vaccinazione
vaselina
vena
visitare
vitamina
infektiv
infektim
injeksion
insulinë
invalid
hipertension
laborator
laring
laksativ
masazh
miop/miope
muskul
narkotik
nerv
neurolog
okulist/okuliste
onkolog
ortopedik
spital
oksigjen
optik
palestër
paralizë
pacient/paciente
pediatër/pediatre
pincë
pilulë
pomadë
pozicion
reumatizëm
rehabilitoj
shurup
shiringë
sterilizoj
stomak
supostë
tapë
terapi
termometër
tinkturë jodi
transfuzion
traumë
tuberkuloz
tubet
ulçër
vaksinim
vaselinë
venë
vizitoj
vitaminë
APPENDICE C
L'ITALIANO PER IMMIGRATI ALBANESI27
1. La popolazione albanese.
Gli albanesi si considerano dei discendenti degli Illiri, una popolazione indoeuropea venuta sulla costa dalmata verso il
XII secolo a.C. (oppure popolazione autoctona più antica). Il loro territorio arrivò a coprire tutta la Croazia e il
Montenegro, riducendosi poi progressivamente negli attuali confini dell’Albania e del Kosovo. Non restano tracce
scritte degli Illiri se non nell’Italia meridionale (i Messapi, stanziatisi vicino a Brindisi, sarebbero stati di origine
illirica). Il termine che gli albanesi usano per definire la propria nazionalità è shqip, mentre l’Albania è chiamata
Shqipëria (il cui significato è legato all’aquila, simbolo del Paese).
La popolazione di lingua albanese ammonta oggi a oltre 3 milioni di persone28, di cui oltre due milioni vivono in
Albania e uno in Serbia (principalmente nel territorio del Kosovo) e il resto in altri Paesi, a causa dell’esodo avvenuto a
partire dagli anni Novanta, in seguito all’apertura delle frontiere di un Paese rimasto in totale isolamento dal 1946,
quando fu instaurato il regime dittatoriale della Repubblica Popolare di Albania.
Antichi insediamenti albanesi esistono ancora in Grecia e in Italia (Calabria, Puglia, Abruzzo e Sicilia), dove si parla
ancora una lingua di origine albanese (arberësh).. Oltre agli abitanti di origine albanese, in Albania vivono anche
minoranze etniche di origine greca (1,8%) e macedone (0,1%).
I due terzi degli albanesi sono mussulmani (64%), gli altri cattolici (6,2%) o ortodossi (8,7%).
2. Le comunità albanesi in Italia
Esistono in Italia diverse comunità di origine albanese di antico insediamento, il cui insieme è conosciuto come
"Arberia", presenti in Calabria (province di Catanzaro, Cosenza, Crotone), Campania (provincia di Avellino), Molise
(provincia di Campobasso), Basilicata (provincia di Potenza), Puglia (province di Foggia e Taranto), Sicilia (Provincia
di Palermo), Abruzzo (provincia di Pescara), per un totale di circa 80.000 parlanti la lingua arberësh. Le prime colonie
albanesi in Italia sono attestate dal XV secolo, a causa dell'invasione turca dell'Albania, e continuarono ad accogliere
profughi fino al XVIII secolo.
La varietà di albanese diffusa nelle colonie albanesi in Italia è di tipo tosco, con influssi dei diversi dialetti parlati nelle
regioni di insediamento e differenziazioni soprattutto sul piano lessicale. Attualmente le colonie storiche albanesi in
Italia sono trilingui (italiano, dialetto locale, arberësh). In alcune di queste colonie si è recentemente aggiunto l'albanese
moderno degli immigrati recenti, che sono giunti in Italia a ondate più o meno consistenti a partire dagli anni Ottanta
Gli albanesi sono un popolo di emigranti: tre milioni vivono oggi in patria, mentre quattro milioni sono discendenti di
albanesi emigrati di vecchia data. In tempi più recenti, l'emigrazione albanese si è indirizzata verso i Paesi limitrofi
(Grecia, Bulgaria, Romania, Egitto, Italia e Turchia) e anche verso Stati Uniti, Canada e Australia. Le ondate migratorie
verso l'Italia sono diventate più consistenti a partire dal 1990, quando oltre 1000 adolescenti albanesi arrivarono in Italia
anche non accompagnati. Nell'estate 1991 centinaia di albanesi si riversarono sulle coste pugliesi a bordo di barche e
traghetti. Secondo il Dossier "Caritas 2002nel 2001 erano 144.120 gli immigrati albanesi soggiornanti in Italia, con un
aumento del 6,58% negli ultimi dieci anni. Al secondo posto dopo i marocchini, gli albanesi il costituiscono infatti il
10,6% della popolazione totale dei lavoratori immigrati.
3. Le origini della lingua albanese.
L’albanese (insieme al greco, l’armeno, lo zigano e le lingue baltiche) fa parte delle lingue “isolate” di origine
indoeuropea. Infatti, benché sia sicuramente di origine indoeuropea (come dimostrano gran parte delle strutture morfosintattiche), lascia aperte ancora molte ipotesi sulle sue parentele linguistiche (si ipotizza una sua parentela con la
lingua illirica, scomparsa all’inizio della nostra era). Gran parte dell’originalità dell’albanese è legata al suo repertorio
lessicale, caratterizzato da un nucleo di origine indoeuropea a cui si sono sovrapposti nel tempo elementi di tradizione
balcanica (in parte comuni anche al romeno), greca (soprattutto greco-bizantina e neo-greca), latina, slava, italoromanza (soprattutto veneziana) e turca.
Trasmesso oralmente per secoli, l’albanese è la lingua europea più tardivamente attestata (XVI secolo) ed è stato
codificato soltanto dall’inizio del nostro secolo: nel 1908 è stato stabilito l’uso dell’alfabeto latino e solo nel 1972 è
stata definita l’unificazione della lingua letteraria nazionale. Considerando questi fatti e la scarsa alfabetizzazione del
territorio favorita dalla carenza di infrastrutture soprattutto nelle campagne, si può comprendere come ancora oggi non
vi sia un albanese parlato uniformemente da Kukës a Saranda. Se la maggioranza degli albanesi capisce quella che è
stata codificata come lingua standard nazionale (basata sul dialetto tosco), sono una minoranza coloro in grado di
27
Ringraziamo Bendis e Andi Gjonej, dell'OIM di Roma, per la revisione e la collaborazione alla stesura di questa
Appendice C, dedicata al confronto fra italiano e albanese.
28
Il censimento del 1989 contò 3.182.417 abitanti, mentre le stime del 2001 valutano una popolazione di 3.145.000
persone (cfr. Calendario Atlante De Agostani 2003, Istituto Geografico De Agostani, Novara 2002)
parlarla correttamente: nella realtà predominano le influenze dialettali (ghego a Nord e tosco a Sud) e non è difficile
trovare due albanesi provenienti da regioni diverse che devono fare un notevole sforzo per capirsi. Questo problema
sarà da tenere presente nell’uso di dizionari e liste bilingui, soprattutto con persone di scolarità medio-bassa. Negli
ultimi anni si tende a promuovere la varietà tosco nella sua pronuncia ufficiale come lingua standard nazionale parlata.
4. L'albanese: la scrittura, la pronuncia, gli accenti.
Attestato solo tardivamente nei documenti scritti (verso il XV secolo) , l’albanese è stato scritto per un certo periodo
utilizzando i caratteri greci. Usa i caratteri dell’alfabeto latino dal 1908, ma l’ortografia si è standardizzata solo a
partire dagli anni dopo la Seconda Guerra Mondiale.
L’alfabeto albanese è composto da 36 lettere. L’ortografia albanese è di tipo fonetico (tutte le lettere infatti si
pronunciano). Alcuni suoni hanno una resa grafica inusuale, rispetto ad altre lingue europee: per esempio x si
pronuncia
zh si pronuncia
q si pronuncia
L’accento tonico cade di solito sulla penultima sillaba
(eccezionalmente sull’ultima).
Una caratteristica dell'albanese (condivisa anche dal bulgaro e dal romeno) è la vocale indistinta
in posizione atona,
paragonabile alla resa della vocale in fine di parola in certi dialetti italiani meridionali (p.es. il napoletano): es. lat .
camisia, it. camicia, alb. këmishë, lat. sanitate(m), it. salute, alb. shëndet.
5. La grammatica albanese
L'albanese ha alcuni tratti morfosintattici tipici anche di altre lingue dell'area balcanica:
• articolo determinativo sotto forma di suffisso (per esempio mal = montagna, mali = le montagne) (come il
bulgaro, il romeno e il macedone).
• la declinazioni dei nomi, che comprendono cinque casi (nominativo, dativo, genitivo, accusativo e ablativo) e
neutralizzano le forme del genitivo e dativo (elemento comune a neogreco, romeno, bulgaro e macedone)
• la riduzione dell'infinito (come in neogreco, romeno, bulgaro e macedone)
• il futuro analitico (come in neogreco, romeno e molte lingue slave meridionali)
• la numerazione locativale per i numeri da 11 a 19 (come in romeno, bulgaro, macedone, serbo-croato).
I verbi si coniugano e indicano, con la parte finale di parola, il tempo e la persona. Tipica dell'albanese è la presenza nel
sistema verbale del modo ammirativo (alb. pi "bere", pika "toh, beve davvero!").
L’albanese usa una particella (a) all’inizio delle frasi interrogative (sul tipo del francese est-ce-que).
Per un confronto più dettagliato fra italiano e albanese, si veda sotto la tabella sinottica.
6. Problemi nell'apprendimento dell'italiano come lingua straniera da parte di albanesi.
In genere la prima difficoltà che gli albanesi incontrano imparando l’italiano riguarda gli accenti. In albanese i nomi
sono di regola accentati sulla penultima sillaba, di conseguenza gli studenti albanesi tendono a riprodurre
spontaneamente lo stesso sistema d’accentuazione anche in italiano: continueranno a dire macchína, matematíca, anche
quando avranno ormai raggiunto una buona competenza di italiano. Questo di norma non influisce sulla loro efficacia
comunicativa, di conseguenza sarà bene tenere presente il problema valutando tuttavia l’opportunità della correzione in
relazione agli obiettivi del corso, fornendo eventualmente una nota per i docenti sull’atteggiamento da adottare, anche
in relazione ai vari livelli di competenza.
Il secondo punto da tenere in considerazione è la diversità tra fonemi e grafemi: se tutti i fonemi dell’italiano sono
presenti in albanese (ma non viceversa) vi è una differenza di associazione tra fonemi e grafemi che pone diversi
problemi (q > c: quattro > quattro; quaderno > cuaderno ).
Gli allievi albanesi commettono talvolta anche errori di copiatura, trascrivendo le parole in maniera errata, convinti di
essere in grado di scriverla correttamente grazie solo alla loro conoscenza che spesso rivela interferenze sia della L1 (le
doppie ad inizio parola: es. bbello, pporttare; la "z" al posto della "s": es. televizore, speza, "k" al posto di "c": es.
Enriko, ankora), sia del dialetto locale italiano (combrare anziché comprare; anghe anziché anche; dispenz anziché
dispensa, se nel dialetto locale le parole hanno le lettere finali troncate).
In particolare, nell’area della fonetica si rileva:
• un uso improprio della doppia, dovuto alle caratteristiche della L1 con riflessi sulla produzione orale, ma
soprattutto su quella scritta (anche con fenomeni di ipercorrettismo);
• tendenza alla pronuncia piana di tutte le parole italiane e conseguente difficoltà nella pronuncia delle parole tronche
o sdrucciole e nella resa sul piano grafico delle parole tronche.
Nell’area della morfologia:
• difficoltà nell’uso dell’articolo dovuto alle caratteristiche della L1, dove esiste, ma solo in forma di suffisso;
• uso improprio delle preposizioni (io sono da Tirana - unë jam nga Tirana);
• uso del dimostrativo al posto del pronome personale (dove li compri? > dove compri questi?);
• uso del pronome personale complemento nella forma tonica "lui, lei" al posto della corrispondente forma atona
(dove l’hai visto? > dove hai visto lui?);
• difficoltà nella selezione dell'ausiliare (io sono andato > io ho andato - unë kam shkuar);
• estensione impropria della seconda persona singolare a tutta la coniugazione (io senti, io lavi);
• incertezza e oscillazione nell’impiego dei tempi (passato prossimo-imperfetto);
L'italiano viene comunque appreso in tempi piuttosto rapidi e si accompagna spesso (specialmente fra i più giovani) con
l'abbandono-amnesia della lingua d'origine, a meno che i nuovi immigrati non siano inseriti in aree in cui sia ancora
presente la lingua arberësh, cioè l'albanese arcaico delle antiche colonie albanesi del sud Italia.
Non bisogna dimenticare l'impressione di relativa "familiarità" che la lingua italiana suscita nell'apprendente albanese,
dovuta sia alla massiccia esposizione all'italiano televisivo in patria, sia alla presenza in albanese di vocaboli di origine
italiana, veneziana (es. ven. moneda, alb. monedhë) o greco-latina (es. lat. caballus, alb. kal; lat. imperator, alb. mbret
"re"), per non parlare infine dei numerosi internazionalismi di ambito tecnico-scientifico (aritmetikë, atom, basketball,
hemisferë, nuklear, radio, televizion) di introduzione anche molto recente (cfr. Appendice B).
7. Aspetti interculturali
I cenni del capo che in italiano esprimono affermazione e negazione sono presenti in albanese con significato opposto:
negativo in senso verticale, affermativo in senso orizzontale.
Alcune considerazioni andrebbero fatte in relazione alla cultura albanese sul rapporto uomo/donna sia all’interno della
classe che nel rapporto tra classe e docente (una docente dei corsi realizzati dall'OIM per immigrati albanesi nel 2001 ha
osservato: "Durante lo svolgimento del corso era evidente una divisione nei settori maschile e femminile nei posti a
sedere. Un solo allievo si è seduto accanto alla convivente nel settore femminile").
La società albanese è profondamente patriarcale e fondata su una cultura di forte matrice islamica – nonostante un
trentennio di stato laico – e le dinamiche del rapporto uomo/donna possono influire notevolmente sui rapporti
all’interno della classe e con il docente.
Quando fosse possibile sarebbe consigliabile evitare le classi miste in quanto si possono creare due tipi di situazione:
a) poiché nella società albanese gli spazi degli uomini e gli spazi delle donne sono marcatamente separati sia in
ambito domestico che in ambito sociale (soprattutto in riferimento soprattutto ad un livello basso e medio) e le
donne raramente hanno un ruolo attivo in un ambito maschile, le donne potrebbero autoescludersi dalle lezioni
o considerare una partecipazione attiva come un mancato rispetto delle convenzioni sociali;
b) di fronte a donne emancipate che partecipano attivamente alle lezioni gli uomini potrebbero rifiutare il
confronto che si genera spontaneamente in una classe sia per il timore di vedere sminuito il loro prestigio, sia
perché comunque un confronto “pubblico” di opinioni tra uomini e donne è considerato disdicevole.
Una riflessione analoga può essere svolta sul rapporto studente/docente: le donne si rapportano meglio con una docente
donna, mentre con un docente uomo le studentesse sono portate a mantenere un certo distacco ed una certa “timidezza”;
gli uomini, al contrario, avranno più facilità a rapportasi con un uomo, mentre una docente donna viene continuamente
messa alla prova.
ITALIANO E ALBANESE A CONFRONTO
QUADRO SINOTTICO
ELEMENTI
LINGUISTICI
ALBANESE
ITALIANO
Fonetica
1. Differenze grafiche nella
resa dello stesso fonema o di
fonemi assai simili
2. Fonemi non presenti in
italiano
c x
sh
ç xh
nj
q gj
ll
th dh
zh
ë
y
3. Fonemi non presenti in
albanese
Maschile-Femminile
z (sorda) z (sonora)
sc
c(i,e) g(i,e)
gn
Arbitrario tranne i nomi di esseri animati
Masch.
-cons.
es. mal, qytet
Femm.
-e, -je, -o, -ë, -i, -a (per lo più)
es. ide, ardhje, radio, punë, bukuri, kala
Formazione del femminile negli aggettivi
e (invece di i) + tema masch.
es. i mirë e mirë
e (invece di i) + tema masch. + desin.
es. i keq e keq-e
s (sonora)
gl
bb, cc, dd, ecc.
Arbitrario tranne i nomi di esseri animati
Masch.
-o , -e (per lo più)
Femm.
-a, -e (per lo più)
Formazione del femminile negli aggettivi
= masch.
es. verde verde
tema masch. + desinenza
es. buon-o buon-a
Singolare-Plurale
Articolo
Declinazione
Aggettivo
Pronomi Personali
Pronomi Dimostrativi
Pronomi Possessivi
Pronomi Relativi
Plurale = Singolare (quasi tutti i femminili
e alcuni masch.)
es. ardhje, radio, bukuri, kala,; nxënës,
ditë, qen
Plurale con desinenze –e, -a, - ë, ecc.
es. gabim-gabime, pupël-pupla, tullactullacë
Plurale con mutamento del tema: g>gj,
k>q, ak>eq, ll>j, ecc.
es. zog-zogj, mik-miq, plak-pleq, akull-akuj
Plurale irregolare
es. cjap-cjep, kalë-kuaj
determinativo: in forma di suffisso
es. shkoll-a “la scuola”
indeterminativo: nje + radice + suffisso
es. nje shkoll-ë “una scuola”
prepositivo: i, e, të, së precede il nome e
concorda in genere e numero e caso con il
nome che precede
es. libri i kolegut “il libro del collega”
librit të kolegut “al libro del collega”
3 casi: nominativo, accusativo, obliquo
es.
libri “il libro”
librin “il libro”
i librit “del libro”, librit “al libro”, (afër)
librit “(vicino al) libro”
Di norma segue il nome
es. shoku im “il mio compagno”, shoku
trim “il compagno coraggioso”
Concorda in genere e numero e caso col
nome a cui si riferisce
es. djali i mirë “il buon ragazzo” vajzat e
mira “le buone ragazze”
non articolato: radice + desinenza
trim trime “coraggioso, -a”
articolato: i/e/të + radice + desinenza
i mirë e mirë “buono, -a”
In funzione di soggetto sono facoltativi
es. unë jam gazetar “io sono un
giornalista”
jam gazetar “sono un giornalista”
In funzione di complemento sono preposti
al verbo se non marcati , preposti e
posposti se marcati
es. Ai më tha se … “lui mi ha detto che …”
Ai më tha mua se … “lui ha detto a me che
…”
Esistono pronomi clitici composti
es. J(a) japë “glielo do”
ky “questo” (vicino a chi parla)
ai “quello” (lontano da chi parla)
i tij, e tij “suo, -a” (di lui )
i saj,e saj “suo, -a” (di lei)
që nom. e acc. indeclinabile
i cili declinato
Plurale = Singolare
la città – le città
Plurale con desinenze –i, -e, ecc.
es. libro-libri, casa-case, monte-monti
Plurale con mutamento del tema:
es. amico-amici (c duro – c dolce)
Plurale irregolare
es. uomo-uomini, bue-buoi
determinativo: precede il nome
es. il sole, la luna, il libro
indeterminativo: un, una + nome
es. una penna, un libro
Può seguire o precedere il nome
es. il mio amico, un buon ragazzo, un
ragazzo simpatico
Concorda in genere e numero col nome a
cui si riferisce
In funzione di soggetto sono facoltativi
In funzione di complemento sono preposti
al verbo se non marcati, posposti (di solito)
se marcati
Esistono pronomi clitici composti
questo (vicino a chi parla)
quello (lontano da chi parla)
codesto (lontano da chi parla e vicino a chi
ascolta)
suo, -a (di lui o di lei)
che indeclinabile
il quale, la quale declinato
Verbo
1. modi
2. tempi
indicativo, congiuntivo, condizionale,
imperativo participio, gerundio
(perifrastico: duke + participio)
infinito (perifrastico: për të + participio)
di solito è sostituito da costrutti col
congiuntivo
es. do të bej “lo voglio fare” lett. “voglio
che io lo faccia”
ammirativo
es. sa i bukur qenka ky fëmijë! “quanto è
bello questo bambino”
ottativo (desideri e augurii)
es. të bëftë mirë “che ti faccia bene!”
presente, imperfetto, trapassato prossimo,
trapassato remoto, futuro, futuro anteriore,
passato prossimo
passato remoto:
azione conclusa (anche da poco)
es. sot nuk hëngra “oggi non ho mangiato
(lett. mangiai)”
azione che sarà certamente compiuta nel
futuro
es. prit, se erdha “aspetta, che vengo (lett.
venni)
indicativo, congiuntivo, condizionale,
imperativo participio, gerundio
infinito
presente, imperfetto, trapassato prossimo,
trapassato remoto, futuro, futuro anteriore,
passato prossimo
passato remoto:
azione sentita come ormai lontana
3. coniugazioni
1^ coniugazione verbi uscenti al presente 1^ coniugazione verbi uscenti all’ infinito
in -voc. + j
in -are
2^ coniugazione verbi uscenti al presente 2^ coniugazione verbi uscenti all’ infinito
in -cons.
in -ere
3^ coniugazione verbi uscenti al presente 3^ coniugazione verbi uscenti all’ infinito
in –voc.
in -ire
4. verbi ausiliari nei tempi
composti
kam “avere”
5. forma riflessiva e passiva
tempi semplici: forme proprie
es. përgatitem “mi preparo” / “sono
preparato” (cfr. përgatit “preparo”)
tempi composti: jam “essere” + partic.
es. jam përgatitur “mi sono
preparato” / “sono stato preparato”
avere
essere (alcuni verbi intransitivi)
tempi semplici:
• riflessivo pron. rifl. + attivo
es. mi lavo
• passivo: essere + partic.
es. sono lavato
tempi composti:
(pron. rifl.) + essere + partic.
es. mi sono lavato
sono stato lavato
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE SULLA DIDATTICA DELL’ITALIANO A IMMIGRATI ALBANESI
SAGGI TEORICI
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• Favaro G., Insegnare l'italiano agli alunni stranieri, La Nuova Italia, Firenze 2002 (pp. 250-253)
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• Comunità di S. Egidio, Quaderno attivo per l'accoglienza degli alunni stranieri. Albanese/romeno, La Scuola,
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pp.227-239.
APPENDICE D
ITALIANO L2 PER IMMIGRATI TUNISINI29
1. La popolazione tunisina
La base etnica della popolazione tunisina è da ricercare nel vasto gruppo delle genti berbere del Nord Africa. Queste
discenderebbero da antiche popolazioni libiche stanziate sin da tempi remoti. L’antico fondo berbero fu modificato
dall’arrivo dei Romani e dalle invasioni Vandaliche da ovest; da est giunsero i Fenici, che fondarono Cartagine,
Bizantini e infine gli arabi che produssero un’assimilazione totale sul piano linguistico e religioso. In età moderna
giunsero gli Ottomani e in età contemporanea Francesi, Italiani, Maltesi, Spagnoli e Greci. Fra gli indigeni vanno
considerati anche gli ebrei che discendono dagli immigrati dopo la distruzione di Gerusalemme e dopo l’espulsione
dalla Spagna.
Nel complesso le genti della Tunisia sono da considerarsi arabo-berbere (si considerano berberi puri i Khmir) parlanti
l’arabo e professanti la religione dell’Islam (il 99,5% della popolazione è costituito da musulmani sunniti).
Quando nel 1881 i Francesi stabilirono il loro protettorato sulla Tunisia, gli immigrati italiani erano più numerosi di
quelli francesi e tali restarono fino al secondo conflitto mondiale. Dopo l’occupazione francese la componente italiana
era costituita prevalentemente da proletari, mentre il nucleo primitivo era di estrazione borghese. Fra gli immigrati
italiani molti provenivano dalla Sicilia; costoro, insieme alla maggior parte degli Europei, lasciarono la Tunisia negli
anni della decolonizzazione (dal 1956). Dall’inizio degli anni ’60 la Tunisia è diventata terra di emigrazione,
specialmente verso l'Europa. Attualmente la popolazione tunisina si aggira intorno ai nove milioni di persone30: una
cifra molto più alta di quella rilevata nel censimento del 1931, che aveva contato 2.215.399 indigeni e 195.293 europei.
2. Le comunità tunisine in Italia
Il Dossier "Caritas 2002" riferisce che nel 2001 erano 46.494 gli immigrati tunisini soggiornanti in Italia (al sesto posto
dopo marocchini, albanesi, rumeni, filippini e cinesi), con un aumento dell'1,12% negli ultimi dieci anni. Insieme agli
immigrati dal Marocco (158.094) e agli immigrati dall'Egitto (26.166), i tunisini fanno parte dei circa 250.000 arabofoni
insediati in Italia, che costituiscono è il gruppo etnolinguistico di immigrati più numeroso sul territorio italiano.
Gli immigrati provenienti dalla Tunisia sono apparsi sulla scena italiana in tempi piuttosto recenti. Nel 1997 erano circa
42.000, metà dei quali avevano regolarizzato la propria posizione nel 1990 grazie alla legge Martelli (cfr.
Demetrio/Favaro, 1997: 61). Già esistevano però delle comunità tunisine di antico insediamento in Sicilia (Mazara del
Vallo, Marsala, Trapani), dove erano impegnati nelle attività della pesca. Ancora oggi a Mazara del Vallo il 10% della
popolazione è di origine tunisina (5.000 su un totale di 50.000 residenti) e da qualche anno è in funzione la prima scuola
elementare di lingua araba per immigrati, dove insegnano docenti inviati dalla Tunisia che seguono il programma
scolastico tunisino.
Gli immigrati tunisini sono presenti, oltre che in Sicilia, anche in altre regioni (Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna)
dove svolgono attività stagionali, specialmente nei settori della ristorazione, del commercio e delle pulizie.
Fra gli immigrati tunisini sono quasi assenti gli analfabeti, mentre la maggior parte ha frequentato le scuole medie o
superiori in patria. Si tratta di una immigrazione prevalentemente maschile, anche se negli ultimi tempi si stanno
registrando numerose richieste di ricongiungimento familiare.
3. Arabo classico, arabo maghrebino, berbero, francese, italiano.
I paesi arabi, pur avendo ciascuno la propria lingua (o dialetto) orale (spesso incomprensibile per gli altri arabofoni)
fanno riferimento a un'unica lingua scritta: l'arabo classico. L'arabo classico è la lingua di prestigio, è la lingua ufficiale
di sedici paesi (in Africa, Medio Oriente e Asia) e rappresenta un forte elemento di identità e di appartenenza, perché è
la lingua sacra in cui è espressa nel Corano la parola di Dio.
L'arabo classico non rappresenta la lingua materna per nessun popolo: ciascun paese arabofono utilizza per la
comunicazione orale una lingua diversa e in nessuna interazione informale i parlanti userebbero mai l'arabo classico,
che viene impiegato solo nell'insegnamento, nella legge, nel giornalismo.
Dalla fine dell'Ottocento l'arabo scritto ha conosciuto un forte rinnovamento, che ha via via modificato anche il rapporto
fra impiego scritto e varianti orali. Per ovviare alla reciproca incomprensibilità, nel mondo arabofono si è affermata una
varietà dell'arabo parlata dalle classi più istruite (Educated Spoken Arabic) che permette loro di comunicare oralmente e
29
Ringraziamo Vincenzo Pascale, specializzando in Didattica dell'Italiano presso l'Università per Stranieri di Siena e
impegnato nelle attività della fondazione "Orestiadi", con sede a Ghibellina (Trapani) e Tunisi, per le preziose ricerche
bibliografiche e per l'elaborazione dei §§ 1-2-3-7 di questa Appendice, e la Dr.ssa Amira Lakhdhar, laureata
all'Università della Manouba (Tunisia) e specializzanda in Linguistica Italiana presso il dipartimento di linguistica
dell'Università degli studi di Pavia, per la rilettura e le integrazioni di questo testo.
30
8.785.364 abitanti (secondo il censimento del 1994), circa 9.673.000 (secondo le stime del 2001). Queste stime e
tutte le altre contenute in questa appendice sono tratte da Calendario Atlante De Agostani 2003, Istituto Geografico De
Agostani, Novara 2002
capirsi indipendentemente dal Paese di origine. Questo arabo moderno standard è usato dalla stampa, dalla TV e nelle
comunicazioni formali dagli strati colti della popolazione.
In Tunisia la lingua ufficiale è l'arabo; il dialetto parlato appartiene al sottogruppo maghrebino, che comprende anche i
dialetti di Marocco, Mauritania, Algeria, Libia e di parte della regione del Nilo. L'insieme dei dialetti che costituiscono
l'arabo maghrebino rivelano, comunque, una sostanziale unitarietà a livello fono-morfologico e lessicale, sebbene la
comprensione tra parlanti di zone diverse non sia sempre garantita.Vi sono dialetti sedentari e dialetti nomadi; questi
ultimi si rivelano maggiormente conservativi. I dialetti sedentari si dividono in urbani e rurali. Le parlate urbane
tendono a rivestire un ruolo di dialetti di prestigio e permeano quelli rurali. Nelle città non è scomparso l'uso di dialetti
ebraici, alcuni con forte influenza dallo spagnolo arcaico. Una delle caratteristiche principali dell'arabo maghrebino è la
riduzione della vocale breve, presente nell'arabo classico.
Fra i dialetti arabi non tunisini, l’arabo egiziano viene compreso meglio di altri, perché le televisioni arabe trasmettono
film egiziani in tutta l'area maghrebina (che comprende Marocco, Algeria, Tunisia e Libia).
Il francese è la seconda lingua in Tunisia, largamente compreso e usato. La Tunisia, essendo stata una colonia francese
dal 1881 al 1956, fino ad oggi rappresenta una situazione di bilinguismo francese - arabo. Anche dopo l'indipendenza,
l'impatto del francese rimase talmente forte che si decise di optare per una politica di arabizzazione (Ta'rib), operazione
che cerca ancora faticosamente di compiersi, soprattutto a livello amministrativo.
Il berbero, lingua del gruppo camitico (come l’egiziano antico), è quasi scomparso, pur essendo la lingua autoctona del
Nord Africa: oggi sopravvive in una miriade di micro-dialetti nel Sahara.
Attualmente i gruppi etnici presenti in Tunisia sono i seguenti: arabi (98%), berberi (1,7%), francesi (0,2%), italiani
(0,1%).
4. L'arabo: la scrittura, la pronuncia, gli accenti.
Graficamente in arabo si indicano quasi esclusivamente le consonanti attraverso un segno grafico per ogni fonema, con
suoni vocalici o diacritici che sono stati introdotti più tardi e che vengono scritti sopra o sotto le altre lettere. La grafia
delle lettere cambia secondo la posizione (isolate, associate alla lettera precedente, poste tra due lettere, associate alla
lettera seguente). Non esistono lettere maiuscole.
La scrittura e la lettura procedono da destra a sinistra.
Nell'arabo classico si contano 28 fonemi, 25 consonanti, 3 vocali e due semivocali (w e y), assimilate alle consonanti.
In arabo la lunghezza vocalica ha valore distintivo (come in inglese), quindi si distinguono tre vocali brevi (a i u) e tre
lunghe (aa ii uu). Le vocali brevi non vengono indicate nella grafia.
5. La grammatica araba
La caratteristica più tipica dell'arabo (e delle lingue semitiche in generale) consiste nel fatto che ogni parola si forma da
una radice che, di solito, è costituita da tre consonanti. Le parole si formano dalle radici, combinandole con una serie di
vocali brevi e/o prefissi, infissi e suffissi, e si mantengono nell'ambito del significato fondamentale della radice (kataba
= scrivere; kaatib = scrittore; maktab = scrivania; kuttaab = scuola coranica: tutte queste parole nel dizionario si trovano
alla radice KTB)
Come tipologia linguistica, l’arabo è una lingua tipicamente introflessiva, ovvero caratterizzata dal fatto che i fenomeni
di flessione avvengono anche dentro la radice lessicale, i morfemi flessionali ed eventualmente derivazionali sono in
parte dei transfissi vocalici che si inseriscono all’interno di una base discontinua, intercalandosi fra le consonanti di
questa.
In arabo non si usa il pronome di cortesia, ma solo il corrispondente del "tu"; esistono invece segni grafici diversi per
distinguere la domanda rivolta a una donna o a un uomo.
La categoria del nome incorpora sostantivi e aggettivi e la denominazione si esprime solo con l'articolo determinativo.
Esistono due generi (maschile e femminile) e tre numeri (singolare, duale e plurale).
L'aggettivo si pone sempre dopo il nome e si accorda con questo.
Il verbo arabo si distingue formalmente dal nome e si riconosce grazie a un indicatore di persona (prefisso o suffisso). Il
sistema verbale privilegia l'aspetto del verbo e distingue il processo compiuto da quello incompiuto.
Il verbo si posiziona generalmente davanti al soggetto all'inizio della frase (p.es. Insh'allah = se Dio vuole)
La coniugazione del verbo viene caratterizzata da marche iniziali (al presente) o finali (al passato) e da un diverso
vocalismo:
aktubu = scrivo
taktubu = scrivi (tu masch.)
taktubina = scrivi (tu femm.)
yaktubu = scrive (lui)
taktabu = scrive (lei)
naktubu = scriviamo
taktubuna = scrivete
yaktubuna = scrivono (loro masch.)
yaktubna = scrivono (loro femm.)
katabtu = ho scritto
katabta = hai scritto (tu masch.)
katabti = hai scritto (tu femm.)
kataba = ha scritto (lui)
katabat = ha scritto (lei)
katabna = abbiamo scritto
katabtum = avete scritto
katabu = hanno scritto (loro masch.)
katabna = hanno scritto (loro femm.)
6. Problemi nell'apprendimento dell'italiano come lingua straniera da parte di arabofoni francofoni.
In particolare, nell’area della fonetica si rileva:
• difficoltà con le consonanti sorde e sonore, in particolare [p/b] ([v/f])
• difficoltà con le vocali, in particolare [o/u], [e/i] (in arabo i suoni [o], [u] sono varianti fonologiche del fonema /u/
e non hanno valore distintivo; così [e], [i] rispetto ad /i/)
• difficoltà con le doppie consonanti
• interferenze dal francese
Nell’area della morfo-sintassi:
• difficoltà nell’uso dell’articolo
• difficoltà nelle concordanze
• uso improprio delle preposizioni
• difficoltà nella selezione dell'ausiliare
• estensione impropria della seconda persona singolare a tutta la coniugazione: (io senti, io lavi)
• incertezza e oscillazione nell’impiego dei tempi (passato prossimo - imperfetto)
• interferenze dal francese
Nell’area del lessico:
• interferenze dal francese
7. Aspetti interculturali
Non esiste una cultura araba standard, ma piuttosto una cultura araba condivisa da tutta la comunità araba “umma
arabiyya”, che fa sì che tutti i componenti di quella comunità che si estende dal Levante “Mashriq” a Ponente
“Maghrib” si riconoscano in alcuni valori condivisi, nella comune cultura religiosa, letteraria, musicale. Non
necessariamente le culture dei diversi popoli di lingua araba fanno propri tutti gli elementi della “cultura araba”. Per
esempio, ci sono delle usanze che si dicono “arabe” ma che sono caratteristiche solo di alcune zone del mondo arabo,
per esempio il giorno di riposo settimanale in gran parte dei paesi del Medio Oriente è il venerdì, giorno di preghiera e
di raccoglimento: questo però non avviene nei paesi del Maghreb in cui il giorno di riposo festivo coincide con la
domenica. Un altro aspetto della cultura araba riguarda il ruolo della donna: su questo nessun paese arabo è uguale
all’altro: mentre in Arabia Saudita la donna non ha nemmeno il diritto di guidare una macchina, in Tunisia e Marocco
per esempio, le donne sono molto emancipate. Per quanto riguarda la poligamia, consentita dalla religione musulmana
(un musulmano può avere quattro mogli contemporaneamente) e praticata nella maggior parte dei Paesi che confessano
la religione musulmana, possiamo ricordare che questa pratica è addirittura vietata in Tunisia.
Un fenomeno interculturale di particolare rilevanza riguarda il contatto, stratificato nei secoli, fra la cultura araboberbera e quella siciliana, in particolare agrigentina. Sbarcati nell’827, gli arabi trasformarono la Sicilia in pochi
decenni da regione periferica dell’impero bizantino in cuore floridissimo del mondo islamico articolato in un crogiolo di
razze accomunate da un’unica religione: la religione musulmana. Di quella trasformazione culturale e della
dominazione successiva rimane tanto nella Sicilia occidentale, ma è nella provincia di Agrigento, in particolare, che si
manifestano tutt’oggi gli echi più forti di quella civiltà, non soltanto nella toponomastica, nel linguaggio, nelle colture
agricole, nella gastronomia, nell’urbanistica, quanto piuttosto in tradizioni, usi, costumi, che conservano la cultura degli
antichi conquistatori. Ecco alcune tracce della cultura araba in Sicilia:
- nei toponimi delle contrade della provincia di Agrigento come Caliata, Santulì (lingua di terra che si protende
sul mare), Caos (luogo di facile approdo), Bàc bac (salita del nano), Bibirria (ar. bàb-er-rijah cioè porta dei venti),
Rabato (ar. rabat, cioè borgo), ecc.;
- nei nomi delle cittadine come Favara (ar.: Fawarah cioè sorgente), Racalmuto, Raffadali, Naro, Canicattì;
- nel dialetto agrigentino in parole come gebia (ar.: gebiya cioè serbatoio d’acqua), zabara (aloe), zagara (fiore
d’arancio), tumminu (ar.: tumjnu, misura agraria), fodàli (grembiule), tabuto (cassa da morto), ecc.;
- nella pronuncia delle parole in cui occorrono le lettere c, d e t, che vengono gutturalmente aspirate come ad
esempio perfetto [per’fhett:o], ottantotto [hott:an’thott:o], siccome[sik’k:home] ecc.;
- nella gestualità, ancora più espressiva tra la gente più umile e tra gli anziani (p. es., per contare sulle dita si
comincia sempre dal mignolo risalendo al pollice);
- nelle colture agricole introdotte dagli arabi: l’arancio, il limone, il mandorlo, il pistacchio, il gelso, il sommacco,
ecc.;
- nei cognomi quali Cangemi (barbiere), Macaluso (schiavo liberato), Buscemi (quello dal neo), ecc.;
- nella gastronomia con la pasta con le sarde, con la produzione di dolci come turruni, mustaccioli, cubaita,
taralli, cous-cous di pistacchio, con l’uso di spezie quali la cannella, il peperoncino, ecc.;
- nella ceramica e nella terracotta, spesso invetriata nei toni del verde e del mercurio, con la trama nei toni della
testa di moro;
- nell’antropologia, in quanto il gruppo etnico agrigentino si presenta con caratteri simili a quelli dell’etnia berbera:
testa allungata, faccia lunga, orbite alte, naso stretto con radice poco infossata.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE SULLA DIDATTICA DELL’ITALIANO A IMMIGRATI TUNISINI
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APPENDICE E
ITALIANO L2 PER IMMIGRATI RUSSI 31
1. La Russia: la popolazione, il territorio.
Circa 150 milioni di persone vivono oggi in Russia (denominazione ufficiale Federazione russa) e circa 25 milioni
abitano in altri paesi o repubbliche dell’ex-Unione Sovietica. Gran parte della Russia è costituita da un’enorme pianura
che si estende ad est della Polonia fino a raggiungere quasi la costa del Pacifico, su un territorio di 17.075.400 di km2 in
Europa e in Asia. Questa superficie è divisa tra la Russia europea e quella siberiana (asiatica) dalla catena montuosa
degli Urali che raggiunge un’altezza massima di 1.895 metri. Le montagne russe più alte sono situate lungo le frontiere:
il Caucaso a sud e gli Altai lungo la frontiera con la Cina. La Russia europea è per lo più pianeggiante. Nel corso della
storia fiumi come il Dnestr, il Dnepr, il Don, il Volga, l’Ob, l’Amur hanno svolto un ruolo chiave come arterie di
comunicazione e di commercio. La Russia è ricca di risorse naturali ed è uno dei maggiori produttori mondiali di oro. Il
clima è continentale, caratterizzato da caldo torrido in estate e freddo polare in inverno.
Tra le città più importanti storicamente e culturalmente, ricordiamo tra tutte: Kiev, oggi capitale dell’Ucraina, è stata
mille anni fa la capitale del primo Stato slavo orientale, noto come “Rus’ di Kiev’”; oltre ad essere la culla del
Cristianesimo in Russia, è sempre stata considerata dagli ortodossi una città santa. Mosca, la città degli Zar, fin dal XIV
secolo, è stata la capitale religiosa, politica e centro spirituale della Moscovia prima e della Russia poi. San Pietroburgo,
la finestra aperta sull’Europa, voluta da Pietro il Grande (1672-1725), fu fondata nel 1703 ed è oggi la seconda città
della Russia.
2. Immigrazione dalla federazione Russa e da altri paesi slavofoni.
Il Dossier "Caritas 2002" riferisce che nel 2001 erano 12.173 gli immigrati russi soggiornanti in Italia (al 27° posto fra i
gruppi etnici immigrati, pari allo 0,9 del totale della popolazione immigrata). Dal punto di vista linguistico, i parlanti
russo possono essere però accomunati per parentela linguistica ai gruppi molto più numerosi di immigrati provenienti
dalla ex-Jugoslavia (36.614, all'8° posto della statistica Caritas 2001) e dalla Polonia (30.658, al 12° posto della
statistica Caritas 2001). Ammontano quindi a circa 100.000 persone gli immigrati parlanti una lingua di origine slava
(russo, polacco, serbo-croato).
Stando sempre ai dati della Caritas relativi al 2001, l'immigrazione dalla Russia riguarda in buona parte l'adozione di
minori da parte di famiglie italiane e i permessi di soggiorno temporaneo, dovuti a motivi di salute (si pensi all'ospitalità
che viene regolarmente data a persone provenienti dall'area contaminata di Cernobyl), turismo, studio, missione e affari.
L'immigrazione polacca è legata essenzialmente all'inserimento lavorativo. I permessi di soggiorno in Italia per motivi
umanitari riguardano soprattutto gli immigrati dalla penisola balcanica (bosniaci, serbi e croati).
3. Le lingue slave
I gruppi linguistici accomunati dall'origine indoeuropea comprendono anche le lingue slave (a fianco di quelle italiche,
germaniche, baltiche, celtiche, anatoliche, e indo-iraniche). Tra le lingue italiche, solo il latino si è protratto nel tempo
dando origine alle lingue romanze (italiano, francese, spagnolo, portoghese, romeno, ladino, catalano). Le lingue slave
derivano invece da una lingua slava originaria (in buona misura artificiale e fortemente debitrice del greco bizantino),
inventata come strumento di evangelizzazione delle genti slave nella seconda metà del IX secolo dai due apostoli Cirillo
e Metodio). Su basi essenzialmente geografiche si distinguono le lingue slave:
• occidentali: polacco (41 milioni di parlanti, di cui 3 milioni emigrati negli Stati Uniti), ceco (12 milioni
di parlanti), slovacco (5 milioni e mezzo di parlanti);
• orientali: russo, la lingua slava con il più alto numero di parlanti (270 milioni, compresi coloro che
hanno il russo come seconda lingua) e con la più ampia estensione geolinguistica (dalla Russia europea
fino al mar del Giappone), ucraino (50 milioni di parlanti nella repubblica Ucraina), bielorusso (10
milioni di parlanti nella repubblica di Bielorussia);
• meridionali: sloveno (2 milioni e mezzo di parlanti), bulgaro (9 milioni di parlanti in Bulgaria e
minoranze in Grecia), macedone (2 milioni di parlanti nella Macedonia ex jugoslava e minoranze in
Grecia), serbo e croato (due lingue che si rifanno ad un unico sistema linguistico, parlate
complessivamente da 20 milioni di parlanti e tendenti al consapevole di stanziamento per ragioni
politico-culturali: una differenza evidente sta nell'uso dell'alfabeto cirillico di derivazione grecobizantina da parte del serbo, nell'uso dell'alfabeto latino da parte del croato, storicamente legato agli
influssi delle culture romanza e germanica).
4. Il russo: l’alfabeto, l’ortografia, l’ortoepia
31
Ringraziamo Claudio Macagno, dottorando di Lingua e Letteratura Russa e docente contrattista di lingua russa presso
la Facoltà di Lingue dell'Università di Genova, per le preziose ricerche bibliografiche e per l'elaborazione di questa
appendice.
L’alfabeto della lingua russa - il cirillico - è nato sulla base della scrittura greca onciale maiuscola nella seconda metà
del IX secolo. Oltre ai russi, usano l’alfabeto cirillico gli ucraini, i bielorussi, i bulgari, i macedoni e i serbi. In Russia
l’alfabeto (oggi composto da 33 lettere) ha subito due riforme: la prima, dovuta a Pietro il Grande, ebbe luogo nel 17081710, la seconda, preparata dall’apposita Commissione istituita dall’Accademia delle Scienze nel 1904, venne attuata
negli anni 1917-1918.
L’ortografia russa comincia a normalizzarsi nel Settecento. Una tappa successiva di questo processo risale al 1904,
quando l’Accademia delle Scienze affida la preparazione del progetto di riforma ortografica ad un’apposita
commissione. La nuova ortografia viene introdotta nella scuola e adottata nella stampa nel 1917.
L’attuale pronuncia letteraria russa affonda le radici nella pronuncia della Mosca del Seicento. Questa comincia a
diffondersi negli altri centri culturali russi sia del nord sia del sud verso il XIX secolo. Lo spostamento della capitale da
Mosca a Pietroburgo, all’inizio del Settecento, favorì la nascita della variante ortoepica pietroburghese. Attualmente,
grazie ai mass media, le differenze tra le due varianti sono meno nette.
5. Cenni di fonetica e fonologia
Dal punto di vista fonologico, il russo è una lingua di tipo più consonantico che vocalico. Le consonanti hanno un
ruolo determinante, mentre le vocali si trovano in posizione subalterna. Nel russo ci sono 34 fonemi consonantici resi
nella grafia da 20 lettere e 5 fonemi vocalici rappresentati da 6 vocali, rese da 10 lettere dell’alfabeto.
Un tratto caratteristico della lingua russa riguarda la notevole differenza tra vocali toniche e atone. Le vocali atone russe
sono caratterizzate da una minore intensità e durata rispetto alle corrispettive toniche. Il fenomeno è noto come
riduzione delle vocali in sillaba atona. Il grado di riduzione delle vocali in sillaba atona dipende in primo luogo dalla
posizione di quest’ultima rispetto alla sillaba tonica. Un altro fattore che determina il grado di riduzione di una vocale è
collegato allo stile della pronuncia.
In russo l’accento è libero, ovvero può cadere su una qualsiasi sillaba della parola ed è mobile, può quindi spostarsi da
una sillaba all’altra nelle diverse forme grammaticali di una stessa parola. Per esempio, nella flessione sostantivale
l’accento può spostarsi dalla desinenza al tema o viceversa. In un limitato numero di casi, il significato di una coppia di
parole si distingue per la posizione dell’accento.
Il russo, come tutte le lingue, tende ad organizzare i fonemi in serie. In primo luogo abbiamo le due serie, presenti
anche in italiano, che raggruppano le consonanti occlusive sonore e sorde, cioè abbiamo la serie [b] [d] [g] e la serie [p]
[t] [k]. In fine di parola e davanti ad altra consonante sorda, le sonore perdono la sonorità. In pratica, in fine di parola
pronunciamo [p] [t] [k] e mai [b] [d] [g]. Ma ciò che differenzia nettamente il russo dall’italiano è l'opposizione in base
alla minore o maggiore palatalizzazione delle consonanti (inesistente in italiano), che assume valore fonologico (es. la
"t" palatalizzata, indicata dal segno diacritico dell'apostrofo nella trascrizione in caratteri latini, distingue brat'
"prendere" da brat "fratello").
6. Cenni di morfologia e di sintassi
Nelle lingue slave moderne la morfologia del nome è molto ricca e articolata (a eccezione del bulgaro e del macedone
che si distinguono per la perdita del sistema flessivo nominale e per la conseguente presenza dell'articolo, che viene
però posto dopo il nome o l'aggettivo a cui si riferisce).
Il russo presenta nomi, aggettivi, pronomi, numerali. Si tratta di parole declinabili, nelle quali si possono distinguere
due parti fondamentali: il tema e la desinenza. A formare il tema concorrono in misura diversa i prefissi, la radice e i
suffissi, mentre la desinenza, che è la parte variabile della parola, indica generalmente il numero, il genere e il caso.
I generi del nome in russo sono tre: maschile, femminile e neutro. L’aggettivo, che si riferisce al nome, può assumere
forme diverse a seconda del genere. Nel numero si distinguono un singolare ed un plurale. Il sistema flessionale
comprende sei casi: nominativo, genitivo, dativo, accusativo, strumentale e prepositivo. I nomi si dividono in tre
declinazioni, a seconda della vocale o della consonante che si trova alla fine del tema. Ogni declinazione è caratterizzata
da un proprio tipo di flessione per il singolare e per il plurale.
La declinazione del nome prevede sei casi: il nominativo è il caso del soggetto; il genitivo è il caso che indica i rapporti
di interdipendenza tra due termini (l’appartenenza, il complemento di specificazione, il partitivo) e si usa anche dopo la
negazione; il dativo è il caso che si usa per esprimere il complemento di termine; l’accusativo è il caso del complemento
oggetto diretto; lo strumentale è il caso che esprime il mezzo o lo strumento con cui si compie un’azione; il prepositivo
è il caso del complemento di stato in luogo.
Il sistema verbale delle lingue slave è caratterizzato dalla forte distinzione fra aspetto perfettivo e imperfettivo (la stessa
che differenzia in italiano l'uso dell'imperfetto da una parte, del passato prossimo e passato remoto dall'altra).
Il verbo russo dispone di tre modi (indicativo, imperativo e condizionale), di tre tempi (presente, passato e futuro), di tre
persone al singolare e tre al plurale. Ogni verbo è caratterizzato dall’aspetto che indica se un’azione (un processo, uno
stato) viene considerata nel suo svolgersi, perdurare o ripetersi (aspetto imperfettivo) oppure nella sua compiutezza o
perfezione (aspetto perfettivo).
Diversamente dalla complessità delle forme del passato del verbo italiano, quello russo presenta un’unica forma che
termina in -l che non si coniuga ma che varia in base al genere e al numero.
L’informazione circa il modo in cui viene svolta un’azione, trasmessa in italiano dal tempo verbale, in russo viene resa
dall’aspetto verbale.
L'unico ausiliare in russo è "essere". Il verbo "avere" non esiste praticamente più. Lo si usa in alcune espressioni tipo
"aver luogo" o "avere importanza", ma per esprimere "possesso" in russo si costruisce la frase con la preposizione
"da/presso"+ soggetto nel caso genitivo + "essere" nella terza persona singolare + oggetto al nominativo. Quindi "io ho
una mela" diventa letteralmente in russo "da me è una mela".
Dal punto di vista dell'ordine dei costituenti della frase, le lingue slave non hanno un ordine fisso del tipo SVO
(Soggetto-Verbo-Oggetto): il principio di fondo è che il tema, qualunque esso sia, venga collocato in prima posizione,
seguito dal rema, che coincide con l'informazione nuova o con ciò che viene detto a proposito del tema. Questo è
possibile (come lo è in latino) per la presenza della declinazione nominale e della flessione verbale. Inoltre,
diversamente dall’italiano che esprime la determinazione e l’indeterminazione mediante l’articolo, il russo utilizza per
questo l’ordine delle parole, l’intonazione e mezzi lessicali. Infine, nelle frasi marcate dal punto di vista espressivo,
l’ordine delle parole evidenzia i segmenti di particolare rilevanza per quanto riguarda l’informazione contenuta nella
frase.
7. Problemi nell'apprendimento dell'italiano per immigrati di madrelingua slava.
Nei primi stadi di apprendimento dell'italiano, una persona di madrelingua russa pronuncerà [a] al posto di [o] atona
e [i] al posto di [e] atona, ad esempio, Roberto suonerà come Raberta; una sequenza come piccole mele rosse sarà
pronunciata quasi come piccoli meli rossi, dove le vocali finali verranno pronunciate in modo quasi indistinto. Questo è
dovuto al fenomeno della riduzione delle vocali atone in russo.
Più in generale, il parlante di madrelingua slava apprendente l'italiano:
• tenderà a pronunciare come scempia la consonante geminata;
• tenderà a omettere gli accenti, che non esistono in russo (perche, cosi, puo,ne ne)
• non utilizzerà (o lo farà in modo improprio) l’articolo (il stomaco; si può vedere tutta la Mosca);
• non utilizzerà (o lo farà in modo improprio) il verbo "avere", che è quasi assente in russo (essendo sostituito dal
verbo "essere" e da una perifrasi per esprimere il possesso)
• avrà difficoltà nell'uso degli ausiliari italiani (in russo l'unico ausiliare è "essere")
• tenderà a usare le forme "è" o "sono" al posto di "c'è" o "ci sono"
• avrà difficoltà nell’utilizzo delle preposizioni appropriate e nella scelta tra quelle semplici e articolate (riuscito da
fare, del scrittore, abitano a Olanda) ;
• avrà difficoltà nelle concordanze dell’aggettivo con il sostantivo, dato che in russo l’aggettivo ha una sola
desinenza al plurale per tutti e tre i generi;
• avrà difficoltà nell'ordine delle parole italiano (del scrittore famoso inglese mi piace romantico film)
• non recepirà la differenza nell’uso dei tempi passati e dei modi del verbo italiano (stamattina venivo a scuola a
piedi)
Gli apprendenti slavi sono in genere apprezzati dai docenti per la rapidità con cui acquisiscono le categorie
grammaticali dell'italiano (considerando l'alta morfologizzazione della loro madrelingua) e per il fatto di disporre già
nel proprio sistema linguistico di categorie verbali applicabili anche all'aspetto del verbo italiano, senza eccessive
difficoltà (se non formali) nell'apprendimento e nell'uso dei tempi passati.
8. Aspetti interculturali.
Esistono tanti modi per affrontare il confronto interlinguistico e interculturale nell'ambito dell'insegnamento della L2.
Per un docente di italiano a apprendenti di madrelingua slava può essere illuminante scoprire il complesso back-ground
socioculturale dei propri destinatari attraverso la traduzione dei proverbi, sia quando usano metafore peculiari (come
nel caso del proverbio russo accolgono il vestito, congedano il cervello, corrispondente a l’abito non fa il monaco), sia
quando si presentano con i propri motivi ricorrenti, in particolare (in riferimento ai proverbi russi):
• la patria (un uomo senza Patria è come un usignolo senza canto) e l’opposizione proprio/altrui (il paese altrui è
come un bosco impenetrabile; il fuoco altrui non riscalda; il miele altrui è amaro);
• il lavoro (ama il lavoro, diventerai un maestro; con la fretta nel lavoro, farai ridere la gente);
• la vodka (annegano più russi in una bottiglia di vodka che uomini in tutti gli oceani del mondo; bere vodka,
affogare il cervello; la mano trema quando lavori, è ben ferma quanto tieni il bicchiere);
• la famiglia (dare da mangiare alla figlia è gettare dalla finestra, al figlio è dare in prestito, ai genitori è pagare un
debito); il matrimonio (ti sposi una volta sola e piangerai per tutta la vita); la vita coniugale (l’uomo senza moglie
è come il cavallo senza redini; la moglie non è una capra, non le darai da mangiare l’erba); i figli (per uno che
muore senza figli neppure il cane si mette a ululare).
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE SULLA DIDATTICA DELL’ITALIANO A IMMIGRATI RUSSI
SAGGI TEORICI
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Favaro G., Insegnare l’italiano agli alunni stranieri, La Nuova Italia, Firenze, 2002
Tosi A., Dalla madrelingua all’italiano, La Nuova Italia, Firenze, 1995
LINGUA ITALIANA (per parlanti russofoni)
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Dobrovolskaja Ju., Prakti eskij kurs ital’janskogo jazyka, Citadel’, Moskva, 2001
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Pul’kina I., Zachava-Nekrasova E., Il Russo, Grammatica pratica con esercizi, Russkij jazyk, Mosca, 1989
Skomorochova Venturini L., Modelli grammaticali, ETS, Pisa, 2001
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www.lingue.unige.it/sede/cetel.htm
DIZIONARI
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Majzel’ B., Skvorcova N., Russko-Ital’janskij slovar’, Russkij jazyk, Moskva, 1977
SAGGI STORICO-SOCIOLOGICI
Melotti U., Le comunità straniere in Italia, Franco Angeli, Milano, 1992
Conte F., Gli Slavi, Le civiltà dell’Europa centrale e orientale, Einaudi, Torino, 1991
Kochan L., Storia della Russia moderna, Einaudi, Torino, 1968
Riasanovsky N., Storia della Russia, Dalle origini ai nostri giorni, Bompiani, Milano, 1992
I RUSSI VISTI DAGLI STRANIERI
Mitchell C., Passport Russia, Vallardi Editore, Milano, 1999
Roberts E., Russi, Se li conosci non li eviti, Edizioni Sonda, Torino, 1994
APPENDICE F
L'ITALIANO PER IMMIGRATI CINESI32
1. La Cina: la popolazione, il territorio.
La Cina, “
” (zhong guo) in cinese, significa “paese nel centro”. La sua area attuale è di 9.6 milioni di km², pari al
6,5% dell’area totale del pianeta. La Cina copre le zone centrali e orientali dell’Asia con un territorio che si sviluppa
sull’asse nord-sud per una lunghezza massima di circa km 5500 e su quello est-ovest per oltre km 3200. Il fiume più
lungo è Yang tze (
). Il fiume giallo, il secondo fiume più lungo, percorre il nord della Cina. I due fiumi
costituiscono la culla della civiltà cinese. La catena montagnosa Qin, che si trova al centro della Cina, divide il paese in
due parti: il nord e il sud. La civiltà cinese può risalire a 7000 anni fa. La prima dinastia fu fondata nel sec.XXI a.C.
Con la prima unificazione della Cina, la fondazione della dinastia Qin, acquistano forma le caratteristiche distintive
dell’impero, quelle che rimarranno immutate, fino agli inizi del sec. XX. L’attuale Repubblica Popolare Cinese fu
fondata nel 1949. La Cina ha una popolazione di oltre un miliardo e trecento milioni di persone; è uno stato composto
da 56 gruppi etnici: il 92% della popolazione è di etnia Han.
2. Immigrazione cinese in Italia
Gli immigrati cinesi presenti in Italia provengono soprattutto dalla provincia di Zhejiang, che si trova nel sud-est della
Cina. Le immigrazioni più recenti sono anche dalla zona settentrionale del Fujian. Gli immigrati cinesi, anche quando
provengono dalla stessa regione, sono caratterizzati da frammentazione dialettale e speso hanno difficoltà di
comprensione reciproca. Quelli che hanno frequentato la scuola in Cina conoscono la lingua comune (putonghua) che
rispecchia il parlare del nord della Cina e che chiamiamo "cinese mandarino". Il profilo linguistico più diffuso fra gli
immigrati cinesi è quindi quello che vede il dialetto di origine, il cinese mandarino e eventualmente anche un altro
dialetto cinese (spesso il cantonese). A queste lingue va ad aggiungersi la lingua (e/o il dialetto) dell'area di
immigrazione.
Il Dossier "Caritas 2002" riferisce che nel 2001 erano 56.566 gli immigrati cinesi soggiornanti in Italia (al quinto posto
dopo marocchini, albanesi, rumeni, filippini, con un aumento del 3,59% negli ultimi dieci anni.), di cui circa 26.000
impegnati in un lavoro dipendente, 10.000 in un lavoro autonomo.
Gli alunni di nazionalità cinese risultano oggi al primo posto nelle graduatorie delle presenze straniere nella scuola
elementare, essendo nati e avendo avuto una educazione di base in patria, prima di venire in Italia per il
ricongiungimento familiare.
I cinesi sono presenti in città italiane di grandi e medie dimensioni, per lo più impegnati in attività di ristorazione etnica
o nelle imprese artigiane di pelletterie e confezioni. La comunità cinese più ampia è in Lombardia e risale agli anni
Trenta del Novecento, ma è in Toscana il rapporto più alto fra cinesi e popolazione locale (in questa regione infatti i
primi tre gruppi di immigrati sono nell'ordine gli albanesi, i cinesi e i marocchini).
Per il forte senso di solidarietà, per il fatto di insediarsi laddove esistono di solito piccole o grandi comunità di cinesi e
di lavorare di solito in piccole imprese familiari, non è raro trovare adulti e anziani che non parlano la lingua del Paese
che li ospita, ricorrendo ai figli e ai nipoti come interpreti: in questo le comunità cinesi in Italia non fanno eccezione.
3. Le origini della lingua cinese: ideogrammi, evoluzioni.
La lingua cinese fa parte del gruppo sino-thai, imparentato con quello tibeto-birmano: è la lingua più parlata nel mondo
e ha una storia antichissima che risale al II millennio a.C. Sono cinque le principali famiglie linguistiche del cinese e
ciascuna comprende un'enorme quantità di dialetti spesso incomprensibili fra loro. La lingua che tradizionalmente ha
unito il popolo cinese è il mandarino, cioè la lingua usata dai funzionari pubblici: i mandarini, appunto. Oggi questa
lingua è conosciuta da oltre 700 milioni di cinesi in Cina, Singapore, Malesia, Taiwan, o è appresa come seconda lingua
da coloro che hanno una madrelingua diversa (per esempio il cantonese).
La scrittura del cinese mandarino è ideografica. Rassomiglia vagamente alle scritture ideografiche di altri popoli antichi,
p.e. i babilonesi e gli Egiziani, ma ne differisce profondamente, perché questi popoli fecero un uso relativamente
limitato d’ideogrammi, non avendone avuti, né l'uno né l’altro, più di un migliaio circa. L’uno e l’altro popolo
completarono la loro scrittura con segni fonetici, o ideografici con valore fonetico. I cinesi già verso la metà del I
millennio a.C. avevano aggiunto a un nucleo primitivo d’ideogrammi, più di un migliaia di segni parimenti ideografici,
conservanti cioè una loro individualità e un senso indipendente. Il cinese è una lingua ideografica, mentre l’italiano è
una lingua alfabetica. Gli ideogrammi esprimono simbolicamente i contenuti concettuali della comunicazione, di contro
alla scrittura alfabetica, basata sull'indicazione dei suoni di una lingua.
32
Ringraziamo Lin Yang, studentessa di italiano presso l'Univesità per Stranieri di Siena e dottoranda di italianistica
presso l'Università di Chicago, e Carlo Nazari, laureato in cinese e attualmente impegnato come mediatore culturale e
docente di italiano L2 agli alunni stranieri delle scuole elementari e medie di Savona, per la collaborazione alla stesura
di questa appendice.
A seconda dei modi di composizione, gli ideogrammi cinesi si possono dividere in sei classi.
I.
Pittogrammi: simboli rappresentanti oggetti o cose. Esempi:
(re), significa “sole”;
(yue), signifca “luna”;
(shan), “monte”; (kou), “bocca”; (ren), “uomo”; (mu), “legno” .
II.
Ideogrammi semplici: rappresentazione d’idee astratte suggerite dal segno. Esempi:
(yi), “uno”;
(er),
“due”; (san), “san”.
III.
Idee astratte suggerite dall’oggetto rappresentato. Per esempio: (gao), “alto”, raffigurato da una torre.
IV.
Prestiti fonetici (omofoni), come
(lai), “venire” raffigurato da un simbolo "lai" (grano).
V.
Segni composti da un’idea astratta che deriva dalla combinazione di due simboli semplici, come
(ming),
“luce”, rappresentata per mezzo del sole e della luna.
VI.
Nelle categorie precedenti non sono compresi che un migliaio di caratteri: i nove decimi almeno dei caratteri
rimanenti sono stati creati con un metodo fonetico, aggiungendo cioè ad un monosillabo omofono (parte
fonetica) e un determinativo ideografico (classifica, radicale, radice) che indica la categoria generale a cui
appartiene la parola. p.es. , (cun), “pollice”, dà origine a (cun), “villaggio”, con l’aggiunta a sinistra della
classifica “legno”. In altre parola, una parte rappresenta la fonetica, l’altra il significato. I dizionari cinesi sono
comunemente ordinati secondo 214 classifiche. In tale modo i cinesi, pur disponendo di poche centinaia di
monosillabi, sia pur moltiplicati a poco più d’un migliaio per mezzo dei toni, hanno creato un vocabolario di
oltre 40.000 segni. Le parole dell’uso comune non sono più di tre o quattromila, quelle in uso nella prosa
letteraria non sono più di circa 9.000. Le altre 30.000 sono forme desuete che si trovano soltanto in opere
antiche.
Secondo le leggende cinesi, nello stabilire un patto o un contratto si adoperavano anticamente cordicelle annodate in
vario modo; più tardi s’inventarono segni che imitavano oggetti naturali o, secondo un'altra leggenda, le impronte dei
piedi che gli animali lasciano sul suolo. I primi esempi di grafia cinese appaiono fra i sec. XIV e XI a. C. su iscrizioni
oracolari e su bronzi: hanno forme pittografiche che, successivamente, si trasformeranno in forme ideografiche. La
prima grande riforma della grafia cinese avvenne nel sec. III a.C., ad opera di Li Si ministro del primo imperatore
cinese, Shi Huang Di (cioè il primo imperatore) della dinastia Qin, che unificò i sistemi di scrittura preesistenti,
fissandoli nella forma giunta sino al nostro secolo. La seconda riforma della grafia cinese fu decisa dal governo della
Repubblica Popolare Cinese: pochi anni dopo la sua fondazione, furono introdotte alcune centinaia di ideogrammi
semplificati allo scopo di combattere l’analfabetismo. La semplificazione non avvenne in Taiwan e a Hong Kong.
4. Il cinese: la lingua scritta e quella parlata.
La lingua cinese si distingue, chiaramente, in parlata e scritta. La maggior parte della letteratura cinese sino al 1917,
tranne il teatro e il romanzo, è stata espressa nella lingua scritta, una lingua che non aveva alcun collegamento con
quella parlata, e che era compresa soltanto da un’elite colta ed erudita. Tale lingua letteraria, derivata dal proto-cinese
delle iscrizioni oracolari o bronzee, si è formata attraverso gli stadi del cinese arcaico primitivo (sec. XI-VI a.C.), del
cinese arcaico medio (sec. V a.C.), del cinese della dinastia degli Han (202 a. C.-220 d. C.). Raggiunto il massimo
splendore con i Tang (618-970 d. C.), con lo stile chiamato gu wen (lingua antica), restò in uso sino alla “rivoluzione
letteraria" del 1917 che vide l’abbandono totale della lingua classica e la sua sostituzione con il bai hua ("lingua
chiara"), ovvero con la lingua parlata volgare, innalzata a livello di lingua scritta.
Oggi il mandarino scritto, oltre ad essere semplificato nella simbologia, è stato anche riformato per rappresentare più
fedelmente il mandarino parlato standard che si basa sulla versione parlata a Pechino. Questa lingua viene chiamata
putonghua (“lingua comune”), o cinese standard moderno: è insegnanta nelle scuole ed è diffusa in tutta la Repubblica
Popolare attraverso i mezzi di comunicazione. Rappresenta ed è considerata la varietà standard. Soprattutto fuori
dall’area di Pechino è utilizzata come seconda lingua nella varietà standard o in una varietà che costituisce un
compromesso con il dialetto locale, in condizione di diglossia con il dialetto usato nella pratica quotidiana.
5. Il cinese: pinyin, toni; monosillabismo e polisillabismo; grammatica del cinese mandarino
Il pinyin è una forma di trascrizione del cinese dagli ideogrammi in lettere dell’alfabeto. Per la trascrizione degli
ideogrammi della lingua cinese in Occidente furono elaborati vari sistemi: Wase Giles (largamente diffuso nei paesi
anglosassoni e in Italia), Efeo (in Francia), Lessing (in Germania). Nel 1958 in Cina venne ufficialmente adottato il
sistema pinyin (scomposizione in suoni singoli). Il vantaggio del pinyin consiste nell’adozione dei simboli dell’alfabeto
latino. È infatti costituito da 21 simboli corrispondenti a suoni consonantici (o iniziali) e da 37 simboli corrispondenti a
suoni vocalici (o finali) semplici e composti.
Nella lingua cinese è consueto l’impiego dei toni: da quattro nel dialetto pechinese, cinque a Nanchino, nove in dialetto
cantonese, per cui la stessa sillaba può avere una lettura musicale diversa. Il sistema fonetico standard (pin yin) si basa
sul dialetto pechinese. I quattro toni sono: piatto, ascendente, spezzato e discendente. Per esempio, zh (porco),
zhú ( bambù); zh (signore), zhù (abitare). Con lo stesso simbolo fonetico e lo stesso tono, ci sono più di un
ideogramma, ovvero diversi ideogrammi possono avere la stessa pronuncia. p. es. tutti i seguenti ideogrammi si
pronunciano “zh ”: , , , , ecc. La comprensione di tale fenomeno linguistico è legata al contesto, che risulta
poi essenziale nella comunicazione, soprattutto quella parlata, nella lingua cinese. È necessario mettere un ideogramma
nelle parole composte, aventi un senso determinato, o nelle frasi per comprenderlo. Spesso nella lingua parlata, per
comprendere il significato di un monosillabo è necessario utilizzarlo all’interno di parole composte o all’interno di frasi,
per conferirgli un significato preciso. Per esempio il monosillabo fù “padre” da solo può essere distinto da altre parole
per mezzo del tono, ma rimane omofono totale con fù “ventre” , fù “donna”, fù “pagare” ecc. Perciò viene unito al
monosillabo q n “parente, genitore” per cui la parola composta fùqin significa inequivocabilmente “padre”. Tuttavia
anche con questo sistema si creano degli omofoni il cui significato sarà chiarito dalla frase e dal contesto. I toni sono
eliminati nelle trascrizioni di uso corrente, mentre la loro notazione è mantenuta nei dizionari e nei libri scolastici e
specialistici.
La lingua cinese è monosillabica, cioè ogni ideogramma si pronuncia con una sillaba. La lingua parlata moderna è
caratterizzata da una certa tendenza verso il polisillabismo, in quanto per indicare un solo concetto si usano forme
bisillabe, o più monosillabi, laddove nella lingua classica letteraria bastava un’unica sillaba. Per esempio, mu jiang
(falegname), composto da mu (legno) e jiang (artigiano). Da tale esempio si intravede un collegamento semantico tra le
parole composte nuove e i monosillabi. Per esempio, nei nomi di città, fiumi, monti. Yang-tze (chang jiang), “chang”
significa lungo, “jiang” significa fiume.
Una delle caratteristiche della lingua cinese è che non possiede flessioni verbali o nominali: è cioè una lingua isolante,
cioè è priva di morfologia ovvero di modificazioni quali gli affissi e i suffissi che caratterizzano una lingua
morfologicamente complessa come l'italiano. Le frasi sono costituite da diversi monosillabi che si succedono secondo
un ordine sintattico gerarchico e preciso. Si supplisce alle flessioni con l’uso di parole il cui senso originale si è
attenuato, la cui funzione è svolta in italiano sia da avverbi e connettivi , sia dalle desinenze modali, aspetttuali,
temporali del verbo, dalle desinenze nominali di genere e numero, dalle desinenze aggettivali di grado. In cinese l’uso
di queste parole, secondo la tradizione grammaticale cinese “parole vuote”, è assai limitato, lasciando alle parole un
senso indeterminato quando il significato preciso di esse risulta dal contesto del discorso. P. s.,
, (you ren
zai men wai), letteralmente significa “avere/esserci uomo stare porta fuori”, si può tradurre, “c’è un uomo fuori dalla
porta”, o, “ci sono persone fuori dalle porte”.
6. Problemi nell’apprendimento dell’italiano come lingua straniera da parte dei cinesi.
Per quanto riguarda la pronuncia, gli apprendenti cinesi non distinguono con facilità le consonanti sorde e sonore,
confondendo t/d, p/b e k/g. Siccome non esiste la pronuncia del suono corrispondente alla lettera "r", si tende a
pronunciare il suono
per sostituirla. In cinese non esistono neppure i fonemi italiani
e
che corrispondono ai
digrammi "gn" e "gl". Un problema di discriminazione uditiva e di produzione orale è rappresentato anche dalle doppie
consonanti che non sono previste nella trascrizione dei caratteri in pinyin.
Nella grafia i cinesi hanno anche difficoltà nelle lettere maiuscole e minuscole e a volte anche nell’uso dei diversi stili
(stampato e corsivo), visto che la grafia pinyin presenta le lettere in un'unica forma. Inoltre in pinyin i caratteri si
susseguono uno dopo l'altro sempre alla stessa distanza: non viene infatti segnalata dallo spazio la fine della parola. La
pronuncia della trascrizione in pinyin non coincide con la pronuncia dell'alfabeto italiano e certe lettere tendono ad
essere lette in italiano in maniera errata: "h" iniziale aspirata, "q" e "ch" come una affricata alveopalatale sorda [ ], "g"
sempre come una occlusiva velare sonora [g], "c" come "z" sorda [ts].
.Ma i problemi maggiori si registrano nel passaggio da una lingua isolante (come il cinese) ad una lingua altamente
morfologizzata (come l'italiano). In cinese le parole monosillabiche rappresentano la simultaneità fra suono e
significato: una parola polisillabica (caso molto frequente dell'italiano) impone uno sforzo fonetico nuovo, visto che il
suo significato si coglie solo dopo aver ascoltato una serie di suoni consecutivi. Il cinese è una lingua tonale (esistono
quattro toni): uno stesso suono può assumere significato diverso secondo il tono con cui è pronunciato, e a ciascun tono
corrisponde una grafia diversa. Non così l'italiano, che solo nel caso della frase interrogativa e affermativa attribuisce
all'intonazione un valore semantico ben definito (esprimendo il diverso significato nello scritto con un diverso segno di
interpunzione)
A causa della mancanza della morfologia nella lingua cinese, l'apprendente deve costruire da zero delle categorie
linguistiche presenti in italiano e assenti nella madrelingua (a meno che non sia già competente in un'altra lingua che ne
disponga). La distinzione tradizionale cinese è tra “parole piene” cioè con valore semantico e “parole vuote” cioè con
valore grammaticale. La distinzione classica europea tra le varie parti del discorso non può essere svolta in cinese su
base morfologica ma solo secondo criteri distribuzionali e sintattici, cioè secondo le posizioni e le relazioni sintattiche
che le parole sono in grado di assumere nella frase. Non è cioè possibile attribuire a priori il valore di una classe
grammaticale come siamo abituati in italiano (nome, verbo, pronome…) e lo stesso concetto di parola e di suddivisione
della frase in parole, in cinese, non è automatico. L’unità lessicale minima è l’ideogramma, il monosillabo. La
medesima unità lessicale può comparire in contesti diversi con valore grammaticale diverso.
In cinese infatti ogni parola è invariata, non ha né flessione né declinazione e può assumere la connotazione di maschile
o femminile, singolare o plurale, aggettivo, nome, verbo, avverbio secondo il contesto: per un cinese, quindi l'italiano
(come altre lingue europee di tipo flessivo) appare eccessivamente complicato da frequenti ridondanze (p.es. perché
usare il passato quando già c'è nella frase una marca di tempo?). I cinesi trovano quindi non poca difficoltà nella
produzione delle frasi, nell'uso dei sostantivi, dei verbi, dei pronomi e nelle concordanze. Dal punto di vista didattico i
cinesi devono acquisire non solo l’uso della lingua ma anche le stesse categorie grammaticali delle lingue flessive
Particolarmente abituato a memorizzare interi testi nella propria cultura, l'apprendente cinese concentra i suoi sforzi
nella memorizzazione delle diverse forme del verbo anche se non comprende realmente la funzione delle diverse forme
verbali. Gli alunni cinesi spesso trovano questa attività rassicurante e svolgono volentieri esercizi di trasformazione,
esercizi strutturali (metodi grammaticale e strutturale). Tuttavia non riescono poi a tradurre questi sforzi nella pratica
comunicativa della lingua.
Anche l'articolo non esiste in cinese: per dare valore semantico a un elemento che pare privo di senso i cinesi tendono
ad assimilarlo al classificatore, cioè l'elemento che in cinese ricorre a sinistra del nome.
La struttura tema/commento viene spesso trasferita dalla L1: alla domanda "Quanti libri ci sono sul tavolo?" il cinese
tende infatti a rispondere "Libri ci sono tre". La sintassi cinese segue regole più rigide e gerarchiche di quella italiana
proprio in quanto diventa il criterio per distinguere le funzioni delle unità lessicali nella frase. I cinesi, pertanto,
rimangono spesso disorientati dalla maggiore flessibilità della sintassi italiana. Inoltre la lingua cinese non ama periodi
lunghi e l’uso eccessivo di connettivi, al contrario dell’italiano che utilizza spesso periodi complessi con frasi
subordinate legate da connettivi diversi (congiunzioni, preposizioni, pronomi relativi, clitici, ecc.) e la cui corretta
comprensione è legata alla flessione verbale.
Anche a causa di queste difficoltà, in pratica, l'immigrato cinese tende a permanere più a lungo di altri immigrati di
diversa provenienza nelle fasi iniziali dell'interlingua (prebasiche), caratterizzate da formule non analizzate, assenza di
morfologia e un ordine di parole governato da principi pragmatici (il dato noto precede l'informazione nuova), difficoltà
di comprensione, produzione consistente in elementi lessicali (nomi) collegati fra loro da una sintassi elementare o
quasi nulla; nomi senza marche di genere e numero; verbi all'infinito o al presente indicativo (II o III persona singolare)
come forma non marcata per esprimere azioni passate, presenti e future, eventualmente accompagnate da marche
temporali (prima, dopo, poi), aggiungendo in una fase più avanzata il participio passato.
In un contesto scolastico (pur variando in base alle motivazioni allo studio, alla quantità e qualità dell'input, al contesto
sociale, all'età, l'attitudine e lo stile cognitivo) le difficoltà degli apprendenti cinesi dovute alla distanza tipologica fra
cinese e italiano riguardano:
-
la pronuncia di alcuni fonemi (r/l, consonanti sorde/sonore) e delle consonanti geminate
gli accenti
l'uso delle lettere maiuscole
la coniugazione e l'uso dei verbi (modi, tempi, aspetti)
le concordanze
gli articoli
l’uso dei connettivi (preposizioni, congiunzioni)
l’uso dei pronomi
la costruzione delle frasi e dei periodi
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE SULLA DIDATTICA DELL’ITALIANO A IMMIGRATI CINESI
SAGGI TEORICI
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• Banfi E. (cur.), Italiano L2 di cinesi. percorsi acquisizionali, Franco Angeli, Milano 2003
• Cocchi G., Giusti M., Mancini M.R., Mori T., Savoia L.M., L'italiano come L2 nella scuola dell'obbligo. Il
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• Demetrio D., Favaro G., Bambini stranieri a scuola, La Nuova Italia, Firenze 1997 (pp. 47-50)
• D'Annunzio B., L'allievo di origine cinese, in P. Balboni (cur.), Approccio alla lingua italiana per allievi stranieri,
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• Favaro G., Insegnare l'italiano agli alunni stranieri, La Nuova Italia, Firenze 2002 (pp. 228-233)
• Heini H., Marigo M., Omodeo M. (cur.), Le metodologie didattiche in Cina, COSPE – Regione Toscana, Firenze
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• Tosi A., Dalla madrelingua all’italiano, La Nuova Italia, Firenze 1995 (cap. VI.6, pp. 199-203)
• Valentini A., L'italiano dei cinesi. Questioni di sintassi, Guerini, Milano 1992
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• Huaging Y., Parlo cinese: manuale di conversazione con trascrizione pinyin e pronuncia figurata, Vallardi, Milano
1996
•
•
Jerry N., Chinese, Cambridge University press, Cambridge 1993
Viotti A., Kien Lii Y., Grammatica del cinese moderno, Cisalpino-La Goliardica, Milano 1971-1973
LINGUA CINESE
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• Albanese A., La lingua cinese e le sue principali caratteristiche, CLUEB, Bologna 1987
• Alleton V., L'écriture chinoise, Presses Universitaires de France, Paris 1970
• Alleton V., Grammaire du chinois, Presses Universitaires de France, Paris 1997
• Huaging Y., Grammatica cinese, Vallardi, Milano 1995
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• Viotti Bonfanti A., Dizionario cinese-italiano, italiano-cinese, Le Lettere, Firenze 1991
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APPENDICE G
BIBLIOGRAFIA RAGIONATA PER LA FORMAZIONE DEL DOCENTE DI
ITALIANO L233
1. LINGUISTICA ITALIANA
1.1. Una grammatica della lingua italiana:
* Trifone P., Palermo M., Grammatica italiana di base, Zanichelli, Bologna 2000
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*** De Mauro T., Storia linguistica dell'Italia unita, Laterza, Bari 1963 (7. ed. 2002)
*** Serianni L. (cur.), La lingua nella storia d'Italia, Società Dante Alighieri, Roma 2002
2. SOCIOLINGUISTICA ITALIANA
2.1. Un testo fondamentale sulla sociolinguistica dell'italiano contemporaneo:
*Berruto G., Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo, Carocci, Roma 1987 (rist. 1998)
2.2. Un testo di approfondimento sugli usi dell'italiano contemporaneo:
**Sobrero A. (cur.), Introduzione all’italiano contemporaneo. La variazione e gli usi, Laterza, Bari 1993b (8. ed. 2003)
2.3. Un testo sulle varietà dell'italiano corredato di esempi:
*Benucci A., Coveri L., Diadori P., Le varietà dell’italiano, Bonacci, Roma 1998
2.4. Un testo di base sull'italiano parlato:
*De Mauro T. (a cura di), Come parlano gli italiani, La Nuova Italia, Firenze 1994 (nella Biblioteca di Italiano &
Oltre, 1997)
3.
GLOTTODIDATTICA
3.1.Un manuale di glottodidattica:
* De Marco A. (cur.), Manuale di glottodidattica. Insegnare una lingua straniera, Carocci, Roma 2000
** Ciliberti A., Manuale di glottodidattica. Per una cultura dell’insegnamento linguistico, La Nuova Italia, Firenze
1994 (rist. 1997)
** Balboni P., Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società complesse, UTET libreria, Torino 2002
**Freddi G., Glottodidattica: fondamenti, metodi e tecniche, UTET Libreria, Torino 1994
** Porcelli G., Principi di glottodidattica, La Scuola, Brescia 1994
*** Rizzardi C., Insegnare la lingua straniera. Apprendimento e ricerca, La Nuova Italia, Firenze 1997
*** Cangià C., L’altra glottodidattica. Bambini e lingua straniera fra teatro e computer, Giunti, Firenze 1998
3.2. Un testo di approfondimento sull'acquisizione della seconda lingua:
* Pallotti G., La seconda lingua, Strumenti Bompiani, Milano 1998 (2. ed. 2001)
**Bettoni C., Imparare un'altra lingua, Laterza, Roma-Bari 2001 (3. ed. 2002)
33
Percorso di base (un asterisco *) . Percorso di approfondimento su tematiche generali (due asterischi **). Percorso di
approfondimento su argomenti specialistici (tre asterischi ***).
** Dulay H., Burt M., Krashen S., La seconda lingua, Il Mulino, Bologna 1985
*** Cardona M., Il ruolo della memoria nell'apprendimento delle lingue, UTET Libreria, Torino 2001
3.3. Il testo di riferimento per l'apprendimento/insegnamento delle lingue in Europa:
*Consiglio d'Europa, Common European Framework of Reference for Languages: Learning, Teaching, Assessment,
Cambridge University Press, Cambridge 2001 (trad. it. Quadro comune europeo di riferimento per le lingue:
apprendimento insegnamento valutazione, La Nuova Italia, Firenze 2002) (la prima versione del documento è apparsa
in rete nel 1996 nel sito <http://culture.coe.fr/langues>)
3.4. Un testo illustrativo sugli approcci glottodidattici:
* Serra Borneto C. (cur.), C’era una volta il metodo, Carocci, Roma 1998 (nella collana Università ; 164, 1999)
3.5. Un testo illustrativo sulle tecniche glottodidattiche:
* Balboni P., Tecniche didattiche per l’educazione linguistica, UTET libreria, Torino 1998
4.
DIDATTICA DELL’ITALIANO A STRANIERI
4.1. Un manuale di didattica dell'italiano L2:
* Balboni P., Didattica dell'italiano a stranieri, Bonacci, Roma 1994
* Diadori P. (cur.), Insegnare italiano a stranieri, Le Monnier, Firenze 2001
**Dolci R., Celentin P. (cur.), La formazione di base del docente di italiano a stranieri, Bonacci, Roma 2000
*** Favaro G., Insegnare l'italiano agli alunni stranieri, La Nuova Italia, Firenze 2002
4.2. Un testo sull'italiano appreso dagli stranieri:
* Giacalone Ramat A., Italiano di stranieri, in Sobrero A. (cur.), Introduzione all’italiano contemporaneo. La
variazione e gli usi, Laterza, Bari 1993: 341-410
***Vedovelli M., Massara S., Giacalone Ramat A., Lingue e culture in contatto. L'italiano come L2 per gli arabofoni,
Franco Angeli, Milano 2001
*** Banfi E. (cur.), Italiano L2 di cinesi. percorsi acquisizionali, Franco Angeli, Milano 2003
4.3. Un testo di approfondimento sul "Quadro comune europeo" in riferimento all'italiano L2:
*Vedovelli M., Guida all'italiano per stranieri. La prospettiva del 'Quadro comune europeo per le lingue', Carocci,
Roma 2002a
4.4. Un testo di approfondimento sulla storia dell'apprendimento/insegnamento dell'italiano L2:
*Vedovelli M., L'italiano degli stranieri. Storia, attualità e prospettive, Carocci, Roma 2002b
**De Mauro T., Vedovelli M., Barni M., Miraglia L., Italiano 2000. Indagine sulle motivazioni dei pubblici
dell'italiano L2 nel mondo, Carocci, Roma 2003
** Vedovelli M. (cur.), Indagini sociolinguistiche nella scuola e nella società italiana in evoluzione, Franco Angeli,
Milano 1999
***Tosi A., L'italiano d'oltremare. La lingua delle comunità italiane nei paesi anglofoni, Giunti, Firenze 1991
***Tosi A., Dalla madrelingua all'italiano. Lingue e educazione linguistica nell'Italia multietnica, La Nuova Italia,
Firenze 1995
4.5. Un testo di approfondimento sul curricolo di italiano L2:
*AAVV, Curricolo di italiano per stranieri, Bonacci, Roma 1995
5.
LE NUOVE TECNOLOGIE PER LA DIDATTICA DELLE LINGUE MODERNE
5.1. Un manuale sugli aspetti generali della multimedialità:
* Maragliano R., Nuovo manuale di didattica multimediale, Laterza, Bari 1998 (7. ed. 2002)
** Toschi L. (a cura di), Il linguaggio dei nuovi media, Apogeo, Milano 2001 (oppure MCF, Milano 2002) (con CDROM)
5.2. Un testo di approfondimento sull'uso del video:
*Diadori P., L’italiano televisivo. Aspetti linguistici, extralinguistici, glottodidattici, Bonacci, Roma 1994
** Micheli P. (a cura di), Audiovisivi e didattica dell'italiano L2. Bibliografia ragionata, Aida, Firenze 1999
**Bosc F., Malandra A., Il video a lezione, Paravia, Torino 2000
5.3. Un testo di approfondimento sull'uso del computer:
*Bosc F., Conoscenti M., Corda A., Malandra A., Il computer a lezione, Paravia, Torino 2001
** Degl'Innocenti R., Ferraris M., Il computer nell'ora di italiano. Nuovi linguaggi e nuovi strumenti per l'educazione
linguistica, Zanichelli, Bologna 1988
***Mezzadri M., Internet nella didattica dell'italiano. La frontiera presente, Guerra, Perugia 2001
***Monti S., Internet per l'apprendimento delle lingue. Inglese Tedesco Spagnolo Francese, UTET Libreria, Torino
2000
***Calvani A., Rotta M., Fare formazione in Internet. Manuale di didattica online, Erickson, Trento 2000 (rist. 2002)
6.
VERIFICA E VALUTAZIONE LINGUISTICA
6.1. Un manuale sugli aspetti generali della valutazione:
*Domenici G., Gli strumenti della valutazione, Tecnodid, Roma 1995 (rist. 1996)
*Porcelli G., Educazione linguistica e valutazione, Liviana, Padova 1992 (UTET Libreria 1998)
6.2. Un testo di approfondimento sulla costruzione dei test di ingresso:
*Micheli P. (cur.), Test di ingresso di italiano per stranieri, Bonacci, Roma 1994
6.3. Un testo di approfondimento sull'analisi e la correzione degli errori in italiano L2:
**Cattana A., Nesci M.T., Analisi e correzione degli errori, Paravia, Torino 2000
6.4. Un testo sulla valutazione e la certificazione in italiano L2:
*Barni M., Villarini A., La questione della lingua per gli immigrati stranieri. Insegnare,
valutare e certificare l'italiano L2, Franco Angeli, Milano 2001
7. DIDATTICA ITALIANO L2, IMMIGRAZIONE, INTERCULTURALITA': RISORSE IN RETE
RAI/EDUCATIONAL/INTERCULTURA Sito della RAI con i programmi di educazione interculturale e insegnamento
di italiano L2 (anche per immigrati)
www.educational.rai.it/corsiformazione/intercultura
RAI / MEDIAMENTE Sito della RAI per l’insegnamento linguistico attraverso le tecniche multimediali.
www.mediamente.rai.it/learning
TECNICA DELLA SCUOLA Sito sui temi della didattica dell'italiano L2, l'educazione interculturale
www.edscuola.com/stranieri.html
COSPE FIRENZE Progetti, indicazioni di materiali per l’educazione interculturale e l’apprendimento di italiano L2
(presenta anche un frasario/vocabolario di prima emergenza per la lingua albanese, araba, cinese)
www.cospe.it
www.socrates-me-too.org
CD-LEI (Centro Documentazione Interculturale Comune Bologna) Presenta documenti scolastici in 12 lingue.
www.media.comune.bologna.it/
CESTIM Verona (Centro Studi Immigrazione) Materiali sui temi dell’educazione interculturale e dell’immigrazione,
links, e riferimenti all'apprendimento della lingua italiana per stranieri.
www.cestim.org
Centro ITA.L.I. - Centro studi no-profit per la diffusione della lingua italiana nel mondo
www.italianlang.org
CENTRO INTERCULTURALE COMUNE DI TORINO Progetti, indirizzi, schede tematiche sui problemi
dell’immigrazione
www.comune.torino.it/cultura/intercultura/welcome.html
www.provincia.torino.it/
CITTA’ MULTIETNICA COMUNE DI BOLOGNA Progetto interculturale del Comune di Bologna
www.comune.bologna.it/iperbole/immigra/index.html
ANOLF - Associazione Nazionale Oltre le frontiere. Sostenuta dalla CISL, si occupa di multiculturalità. Produce il
periodico trimestrale "Oltre le frontiere" dedicato al mondo delle migrazioni.
www.anolf.it
FONDAZIONE CARIPLO ISMU MILANO Informazioni su pubblicazioni, convegni, progetti della Fondazione
nell’ambito di studi sulla società multietnica.
www.ismu.org
STRANIERI IN ITALIA - Sito con informazioni di vario tipo dedicato agli stranieri che vivono in Italia (in particolare
immigrati)
www.stranieriinitalia.com
CARITAS DIOCESANA DI ROMA Sito con aggiornamenti sui dati dell'immigrazione in Italia
http:www/chiesacattolica.it/caritasroma/home/settori/studi/ant1_00.htm
ANAGRAFE INFORMATIZZATA DEI LAVORATORI NON APPARTENENTI ALL’UNIONE EUROPEA
http://www.dgimpiego.aile.it
8. CORSI DI LINGUA ITALIANA PER STRANIERI ADULTI
libri di testo
Amati D. – Bacci P., Un tuffo nell’azzurro, Il Ponte, Rimini 1999
Bagianti M.R., Casocavallo R., L'italiano in tasca. Grammatica italiana per stranieri, Guerra, Perugia 1991
Battaglia G., Varsi G., Parole e immagini. Corso per principianti, Bonacci, Roma 1994
Bettoni C., Vicentini G., Passeggiate italiane, Lezioni di italiano, livello avanzato, Bonacci, Roma 1997
Borgarelli Bacoccoli A., Tra dire e fare, Corso di lingua italiana, Livello medio/avanzato, Guerra, Perugia 1994
Bozzone Costa R., Viaggio nell'italiano, Loescher, Torino 1995
Catizone Luzi R., Humphris H., Micarelli L., Volare, Dilit - Alpha & Beta, Roma-Merano 1997
• Chiuchiù A., Minciarelli F., Silvestrini M., In Italiano, Guerra, Perugia 1990 (1a ed. 1985)
• Conforti C. - Cusimano L., Linea Diretta 1. Corso di italiano per principianti, Guerra, Perugia 1997
• Conforti C. - Cusimano L., Linea Diretta 2. Corso di italiano livello medio, Guerra, Perugia 1997
• Foglia F. et al., Il dolce "Sì". Corso di italiano per stranieri. I livello, Guerra, Perugia 1997
• Foglia F., et al., Il dolce sì. Corso di italiano per stranieri - II livello, Guerra, Perugia 1998
• Gruppo Meta, Due. Corso comunicativo di italiano per stranieri, Bonacci, Roma 1993
• Gruppo Meta, Uno, Bonacci, Roma 1992
• Jafrancesco E., Parla e scrivi, Lauree & Cendali, Firenze 1993
• Katerinov K., Boriosi M.C., Bravo!, Mondadori, Milano 1992
• Maggini M., Vignozzi L., Corso comunicativo di lingua e civiltà italiana, Zanichelli, Bologna 1991
• Maggini M., Vignozzi L., Made in Italy, Zanichelli, Bologna 1990
• Marmini P. - Vicentini G., Passeggiate italiane, Lezioni di italiano, livello intermedio, Bonacci, Roma 1998
• Mazzetti A., Falcinelli M., Servadio., Qui Italia. Corso di lingua italiana per stranieri, Le Monnier, Firenze 1993
• Mazzetti A., Manili P., Bagianti M.R., Qui Italia più. Viaggio nell'italiano contemporaneo attraverso l'analisi del
testo, Le Monnier, Firenze 1997
• Peccianti M. C., Parola per parola. Livello 1. Corso di lingua italiana per stranieri, Giunti Marzocco, Firenze 1992
• Peccianti M. C., Parola per parola. Livello 2. Corso di lingua italiana per stranieri, Giunti Marzocco, Firenze 1993
• Pellegrini F., Caglieris C., L'italiano facile. Corso di lingua italiana per stranieri, Hoepli, Torino 1999
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corsi di lingua per immigrati
• Bettinelli G., Favaro G., L'italiano per ...incontrarsi lavorare vivere, Guerini Studio, Milano 1990
• Bosc F., Peyronel S., Prevosto S., Italiano espresso , Cooperativa Lorenzo Milani, Torino s.d.
• Brighetti C., Contento S., Minuz F., Presto detto. Corso di lingua italiana, Livello principianti, Pitagora, Bologna
1995
• Chiandoni B., Fiorai F., Italiano a fumetti per alunni di lingua albanese, Risorse Umane Europee, Udine 1999
• Comunità di S. Egidio, L'italiano per amico, La Scuola, Brescia 1992
• Comunità di S. Egidio, Quaderno attivo per l'accoglienza degli alunni stranieri. albanese/romeno, La Scuola,
Brescia 2000
• Comunue di Bologna, Dove vai?. Percorsi didattici di pre-alfabetizzazione per adulti, Pitagora, Bologna 1999
• Favaro G. (a cura di), Vivere a Firenze, Comune di Firenze, Firenze 1995
• Favaro G. (cur.), L’italiano dalla A alla Z – Dizionario illustrato di base per stranieri, Guerini Studio, Firenze 1995
• Favaro G., Bettinelli G., Anche in italiano, Nicola Milano Editore, Bologna 1992, voll. 1 e 2.
• Favaro G., Bettinelli G., Piccardi E., Insieme. Nuova edizione. Corso di Italiano per Stranieri, La Nuova Italia,
Firenze 2000 (1a ed. 1995)
• Gruppo Navile, Dire, fare capire, L'italiano come seconda lingua, Bonacci, Roma 1994
• Iannucci P., Livatino L., L'ABC dell'edilizia. Corso di lingua italiana per lavoratori stranieri del settore delle
costruzioni (con Guida per i docenti), Formedil-Sapere 2000, Roma 1992
• Lizzadro C., Marinelli E., Peloso A. (cur.), Parlo italiano, provo, è facile, Ed. Demetra, C. ai Colli (VR) 2000
• Mazzetti A., Manili P., Marchesi B.M., Marini N., Incontro. Corso di lingua italiana per lavoratori migranti,
FILEF, Roma s.d.
• Montefusco W., Orecchio R., Pace C., Parlare italiano. Corso di lingua italiana per stranieri, Ente Regionale per i
problemi dei migranti del Friuli-Venezia Giulia – Associazione immigrati extracomunitari di Pordenone –
Provveditorato agli Studi di Pordenone, Pordenone s.d.
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grammatica
Alberti A., Grammatica italiana., Vallardi, Milano 1993
Dardano M., Trifone P., Grammatica italiana con nozioni di linguistica, Bologna, Zanichelli 1995
Del Rosso, R., Guerrini N., Sommati D., Insieme. Alle soglie del congiuntivo, Guerra, Perugia 1993
Di Natale F., Andare oltre, Dubbi e problemi di grammatica italiana per stranieri (livello elementare e intermedio),
Guerra, Perugia 1997
Galasso Calderaro E., La lingua del sì, Corso d'italiano per stranieri, Centro Editoriale Toscano, Firenze 1991
Manella C., Ecco! Grammatica italiana, Progetto Lingue, Firenze 1998
Mezzadri M., Grammatica essenziale della lingua italiana … Testo di grammatica per studenti stranieri dal livello
elementare all'intermedio, Guerra, Perugia 1996
Moretti G.B., L'italiano come prima o seconda lingua. Grammatica descrittiva di riferimento con prontuario di
verbi regolari e irregolari, con indicazioni di analisi testuale, con note di retorica stilistica, per competenze a livelli
avanzati, per insegnanti a stranieri., Guerra, Perugia 1996
Peccianti M.C., Grammatica d'uso della lingua italiana per stranieri, Giunti, Firenze 1997
Pellegrini F., Albertini N., Corso di lingua italiana per stranieri. Course of Italian language for foreigners, Cours
de langue italienne pour étrangers, Curso de lengua italiana para extraneros, Hoepli, Firenze 1994
Simula S., Conoscere l'italiano. Basi grammaticali della lingua italiana, CIDEB, Rapallo (GE)1999
Storni B., Invito al buon italiano. Grammatica, Guerra, Perugia 1994
Tartaglione R., Grammatica italiana, Firenze, Alma 1996
Torchia R., Testi e parole, Testi scritti e testi orali, Teoria e pratica della grammatica italiana. Livello medio e
superiore, Guerra, Perugia 1998
Trifone P., Palermo M., Grammatica italiana di base, Bologna, Zanichelli 1999
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verbi
Buratti R., Verbi italiani., Garzanti Vallardi, Milano 1993
Guerri R., Verbi italiani tutti o quasi …, Guerra, Perugia 1994
Manella C., Pallante C., Guida ai verbi italiani., Progetto Lingue, Firenze 1994
Mousavi A.R., Repertorio dei verbi italiani, Le Monnier, Firenze 2002
Pontesilli A., Verbi italiani. Modelli di coniugazione, Bonacci, Roma 1998
Trentini A., I verbi italiani, Hoepli, Milano1993
Urbani S., Le forme del verbo italiano, Bonacci, Roma 1990
Verbi italiani., La Spiga, Vimercate 1993
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attività ed esercizi
Alessandroni D., Cara Italia… Eserciziario, Guerra, Perugia 1998
Brasca L., Bernocchi R., 1000 esercizi di grammatica italiana, Giunti, Firenze 1998
Chiuchiù A., Calamanti P., Quaderni di italiano, Alia Edizioni, Assisi 1997
du Bessé S., perCORSO GUIDAto. Guida di Firenze con esercizi ed attività di italiano per stranieri, Bonacci,
Roma 2000
du Bessé S., perCORSO GUIDAto. Guida di Roma per stranieri con attività ed esercizi, Bonacci, Roma 1998
Grammatichiamo, (3 voll.), Heinemann, Edimburgo, 1997
Istruzioni per l'uso dell'italiano in classe, 2, 111 suggerimenti didattici per attività comunicative, Bonacci, Roma
1996
Istruzioni per l'uso dell'italiano in classe, 88 suggerimenti didattici per attività comunicative, traduzione di E.
Bonvino, Bonacci, Roma 1994
Manella C., Facile. Esercizi di grammatica italiana. Livello elementare e intermedio, Progetto Lingua, Firenze 2000
• Manella C., Tanzini A., L'italiano da soli. Esercizi e test di grammatica italiana. Quattro livelli di difficoltà con
chiavi, Progetto Lingua, Firenze 1998
• Materassi G., Rossetti G., Essere o … avere?, Ci elle ed., Firenze 1993
• Peressini L., La grammatica in schede. Eserciziario di morfologia, sintassi, lessico e scrittura, Marietti Scuola Petrini, Torino 1992
ascolto e pronuncia
• Aust D., Minelli E., Come ascoltare. Leggere parlare scrivere, Guerra, Perugia 1999
• Ballerini M., Rosati R., Laboratorio Linguistico. Esercizi di fonetica per stranieri, Centro Editoriale Toscano,
Firenze 1990
• Costamagna L., Pronunciare l’italiano. Manuale di pronuncia italiana per stranieri. Livello intermedio e
avanzato, Guerra, Perugia 1996
• Lanari U., Manuale di dizione e di pronuncia, Giunti, Firenze 1999
• Maffei S., Spagnesi M., Ascoltami. 22 situazioni comunicative, Bonacci, Roma 1995
• Marmini P., Vicentini G., Ascoltare dal vivo, Materiale d'ascolto, Bonacci, Roma 1992
• Martini, Elementi di fonetica per stranieri, Centro Editoriale Toscano, Firenze 1990
• Svolacchia M., Kaunzner U.A., Suoni, accento e intonazione. Corso di ascolto e pronuncia dell'italiano per
stranieri, Bonacci, Roma 2000
• Urbani S., Senta scusi …, Bonacci, Roma 1990
lessico
• Ambroso S., Stefancich G., Parole. 10 percorsi nel lessico italiano. Esercizi guidati, Bonacci, Roma 1993
• Camalich B., Temperini M.C., Un mare di parole. Letture ed esercizi di lessico italiano, Bonacci, Roma 1997
• Mezzadri M., Taylor P., Torres Delgado D., Parole per parlare, Guerra, Perugia 1995
conversazione e argomentazione
• Battaglia A., Tarini L., Dimmi. Manuale per la conversazione, Primo livello, Guerra, Perugia 1999
• Diadori P., Barki P., Pro e contro 1. Conversare e argomentare in italiano. livello intermedio, Bonacci, Roma 1997
• Diadori P., Barki P., Pro e contro 2. Conversare e argomentare in italiano. Livello intermedio-avanzato, Bonacci,
Roma 1999
• Dreke M. et al., A tu per tu, Langenscheidt, Berlino – Monaco 1993
• Frattegiani Tinca M.T., Rossi Giacobbi O., Parlare, leggere, scrivere, Guerra, Perugia 1992
• Ignone A., Rosati C., Parlare in italiano. Stimoli per la produzione orale. Livello elementare (1a parte). Livello
avanzato (2a parte). Appendice con richiami grammaticali, esercizi grammaticali, modi di dire, Guerra, Perugia
1994
• Ulisse L., Faccia a faccia. Attività comunicative. Livello elementare-intermedio, Bonacci, Roma 1997
• Zoboli A., Per parlare, La Certosa, Atene 1997
linguaggi settoriali
• Ballarin E., Begotti P., Destinazione Italia. L'italiano per operatori turistici, Bonacci, Roma 1996
• Beretta N., Gatti F., L'Italia in affari, Corso di italiano come seconda lingua per comunicare in azienda, Società
Editrice Internazionale, Torino 1997
• Cherubini N., L'italiano per gli affari, Bonacci, Roma 1992
• Chiuchiù A., Bernacchi M., Manuale di tecnica e corrispondenza commerciale, Guerra, Perugia, 1994
• Iannucci P., Livatino L., L’abc dell’edilizia, Formedil-Sapere 2000, Roma 1992
• Kernberger C., L'italiano nel turismo, Guerra, Perugia 1994
• Maffei S., Radicchi S., Vetrih V., L'italiano per operatori economici, Gospodarski vestnik, Ljubljana 1993
• Mencacci A.O., Comodi A., DIZIONARIO dei termini e dei concetti fondamentali di ECONOMIA. Per studenti
stranieri, Guerra, Perugia 1996
• Minuz F.- Brighetti C.- Hegvi A., L’italiano per gli scambi internazionali, Pitagora, Bologna 1995
• Semplici S. (a cura di), Una lingua in pretura. Il linguaggio del diritto, Bonacci, Roma 1996
• Spagnesi M., Dizionario dell'economia e della finanza, Bonacci, Roma 1994
• Troncarelli D. (a cura di), Dica 33. Il linguaggio della medicina, Bonacci, Roma 1994
• Troncarelli D., Vannini E. (cur.), L'arte di costruire. Il linguaggio dell'architettura, Bonacci, Roma 1995