REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo

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REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo
6257/16
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE PENALE
Composta da
Giacomo Paoloni
- Presidente -
Sent. n. sez.
Andrea Tronci
UP - 27/01/2016
Giorgio Fidelbo
R.G.N. 7827/2015
Massimo Ricciarelli
Antonio Corbo
- Relatore -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
SAPIENTE Leonardo, nato a Castel San Giovanni (PC) il 24/01/1979
avverso la sentenza del 23/05/2014 della Corte d'appello di Bologna
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonio Corbo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paolo
Canevelli, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa il 23 maggio 2014, la Corte di appello di Bologna,
confermando in punto di responsabilità la pronuncia di primo grado, emessa
all'esito di rito abbreviato, ha affermato la penale responsabilità di Leonardo
SAPIENTE in ordine al delitto di resistenza a pubblico ufficiale commesso in data
21 giugno 2009, perché, dapprima, alla vista degli agenti di polizia intervenuti in
un luogo ove egli stava arrecando disturbo, aveva minacciato di aggredire gli
stessi fisicamente, se non si fossero allontanati, quindi, accompagnato in
Questura, aveva continuato a pronunciare frasi minatorie; è stata ritenuta equa
la pena di mesi due e giorni venti di reclusione, pari al minimo edittale, con
concessione delle circostanze attenuanti generiche, applicate nella massima
estensione, della diminuente per il rito e del beneficio della sospensione
condizionale.
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la precisata sentenza della
Corte di appello di Bologna, l'imputato, personalmente e congiuntamente al
difensore di fiducia, avvocato Luigi Salice, formulando nove motivi.
2.1. Nel primo motivo, l'impugnante lamenta mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell'art.
606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione all'art. 125, comma 3, cod.
proc. pen. e all'art. 111, sesto comma, Cost.
La censura deduce che la sentenza impugnata «si esaurisce nell'utilizzo di
formulazioni generiche [...] ed espressioni apodittiche ed è del tutto svincolata
dagli specifici motivi di impugnazione che censuravano in modo puntuale la
decisione/soluzione adottata dal Tribunale di Piacenza». Sintomatici, in questo
senso, sono l'errore nella descrizione del fatto, laddove si indica la persona con
la quale era in corso l'alterco prima dell'arrivo della Polizia come di un pubblico
ufficiale, e l'omessa risposta alla richiesta di sostituzione della pena detentiva in
libertà controllata.
2.2. Nel secondo e nel terzo motivo, il ricorrente lamenta, rispettivamente,
inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell'art. 606,
comma 1, lett. b), cod. proc. pen., nonché mancanza, contraddittorietà o
manifesta illogicità della motivazione, in ordine alla insussistenza dell'elemento
oggettivo del delitto di resistenza a pubblico ufficiale.
La censura deduce che i comportamenti descritti nel capo di imputazione
non sono idonei ad ostacolare lo svolgimento dell'atto dell'ufficio, ma, al più,
consistono «nel rivolgere invettive, insulti e/o parole volgari», prive di «alcuna
potenzialità intimidatoria». Inoltre, tali comportamenti non presentano alcuna
contemporaneità con l'atto d'ufficio dei pubblici ufficiali, perché sono stati posti in
essere quando l'imputato era stato già trasferito in Questura ed implicano
semplicemente una generica contestazione dell'attività riconducibile alla pubblica
funzione, qualificabili in termini di ingiuria o minaccia perseguibile a querela,
nella specie non presentata.
2.3. Nel quarto e nel quinto motivo, il ricorrente lamenta, rispettivamente,
inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell'art. 606,
comma 1, lett. b), cod. proc. pen., nonché mancanza, contraddittorietà o
manifesta illogicità della motivazione, in ordine alla insussistenza dell'elemento
soggettivo del delitto di resistenza a pubblico ufficiale.
La censura deduce che «il tenore delle frasi pronunciate [...] rivela
semplicemente il disappunto [...] del signor Sapiente per l'intervento delle forze
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dell'ordine», ma non certo il dolo specifico di opporsi al compimento di un atto
dell'ufficio, che pure è elemento necessario per la configurabilità del reato di cui
all'art. 337 cod. pen.: anche per questa via, la fattispecie dovrebbe essere
qualificabile in termini di ingiuria o minaccia perseguibile a querela, nella specie
non presentata.
2.4. Nel sesto e nel settimo motivo, il ricorrente lamenta, rispettivamente,
inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell'art. 606,
comma 1, lett. b), cod. proc. pen., nonché mancanza, contraddittorietà o
manifesta illogicità della motivazione, in ordine alla improcedibilità dell'azione
penale per difetto di querela per i reati di ingiuria e minaccia.
La censura deduce che, già in occasione del giudizio di secondo grado, era
stata prospettata la necessità di riqualificare i fatti in termini di ingiuria e di
minaccia, e, quindi, la doverosità di una pronuncia di proscioglimento per difetto
di querela, e che, tuttavia, la Corte di appello non aveva dato alcuna risposta sul
punto.
2.5. Nell'ottavo e nel nono motivo, il ricorrente lamenta, rispettivamente,
inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell'art. 606,
comma 1, lett. b), cod. proc. pen., nonché mancanza, contraddittorietà o
manifesta illogicità della motivazione, in ordine alla mancata concessione della
libertà controllata quale sanzione sostitutiva della pena detentiva inflitta.
La censura deduce che la richiesta di concessione della libertà controllata
era stata prospettata al giudice di appello, ma non ha ricevuto alcuna risposta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato per le ragioni che di seguito si rappresentano.
2. Il primo motivo, con il quale si contesta la genericità e l'apoditticità della
motivazione della sentenza impugnata, non tiene conto del fatto che, nel testo
della decisione, si dà atto, in maniera sinteticamente efficace, dei motivi dedotti
con il gravame, e si offre una risposta chiara del perché la condotta contestata
debba essere sussunta nella fattispecie prevista dall'art. 337 cod. pen.
Del resto, costituisce principio consolidato in giurisprudenza quello secondo
cui "in sede di legittimità, non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su
una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando risulti che la stessa
sia stata disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente
considerata" (così Sez. 1, n. 27825 del 22/05/2013, Caniello, Rv. 256340; nello
stesso senso, cfr., anche, Sez. 6, n. 20092 del 04/05/2011, Schowick, Rv.
250105, e Sez. 4, n. 1146 del 24/10/2005, dep. 13/01/2006, Mirabilia, Rv.
233187).
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3. I motivi dal secondo al settimo attengono, fondamentalmente e
pregiudizialmente, alla correttezza della motivazione della sentenza impugnata in
ordine alla dichiarazione di colpevolezza del ricorrente, e sono tra loro
logicamente connessi.
3.1. Preliminarmente, occorre rilevare che la sentenza della Corte di appello,
per quanto attiene ai profili concernenti l'affermazione della penale responsabilità
dell'imputato, richiama espressamente la sentenza di primo grado, e, quindi, con
la stessa deve essere unitariamente considerata.
3.2. Con riferimento all'elemento oggettivo della fattispecie di resistenza a
pubblico ufficiale, la lettura unitaria delle due sentenze di merito consente di
constatare che, secondo le stesse, la prima fase della condotta del SAPIENTE è
consistita in «una forte resistenza scalciando e dimenandosi con tale violenza da
rendere necessario un elemento di contenimento fisico mediante uso delle
manette»; detta «resistenza», inoltre, risulta essere stata posta in essere a
fronte della richiesta rivolta da due agenti di Polizia all'imputato di salire a bordo
di un auto di servizio per recarsi in Questura al fine di procedere
all'identificazione, subito dopo che i medesimi operanti avevano assistito
all'aggressione compiuta dal ricorrente in danno di altra persona.
E' alla luce di questa premessa che la Corte di appello valuta le successive
condotte del SAPIENTE, anch'esse contestate nel capo di imputazione, ed
esclude che le stesse, consistite nella formulazione di espressioni minatorie agli
operanti all'interno della Questura, costituissero una mera espressione del
disappunto per intervento della Polizia e del disprezzo per gli agenti.
La valutazione della sentenza impugnata, quindi, non risulta affetta da vizi
di motivazione né in punto di ricostruzione del fatto, né di qualificazione giuridica
dello stesso.
Del resto, sotto lo specifico profilo della qualificazione giuridica, può rilevarsi
che la decisione impugnata si pone sulla scia di principi giurisprudenziali
consolidati. Da un lato, infatti, è stato più volte affermato che il delitto
di resistenza a pubblico ufficiale può essere integrato anche da una condotta
ingiuriosa nei confronti del soggetto passivo quando questa, lungi dal
rappresentare l'espressione di uno sfogo di sentimenti ostili e di disprezzo, riveli
la volontà di opporsi allo svolgimento dell'atto di ufficio e risulti chiaro il nesso di
causalità psicologica tra l'offesa arrecata e le funzioni esercitate (cfr.,
recentemente, Sez. 6, n. 1737 del 14/12/2012, dep. 2013, D'Elia, Rv. 254203).
Dall'altro, poi, insegnamento costante è quello secondo cui, perché sia integrato
il reato di cui all'art. 337 cod. pen., non è necessario che sia impedita, in
concreto, la libertà di azione del pubblico ufficiale, essendo sufficiente che si usi
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violenza o minaccia per opporsi al compimento di un atto di ufficio o di servizio,
indipendentemente dall'esito positivo o negativo di tale azione e dall'effettivo
verificarsi di un ostacolo al compimento degli atti predetti (cfr., per tutte, Sez.
646743 del 6/11/2013, Ezzamouri, Rv. 257512).
3.3. La ricostruzione del fatto nei termini sopra indicati esclude anche vizi
motivazionali o violazioni di legge della sentenza impugnata in relazione al profilo
della colpevolezza.
Se, infatti, la ricostruzione della condotta è in termini di rifiuto e di
opposizione fisica agli agenti che invitavano il ricorrente a recarsi in Questura per
l'identificazione, e di protrazione dell'attività oppositiva anche all'interno degli
uffici della Polizia, nessun vizio logico può essere individuato nella conclusione
secondo cui non può ragionevolmente ritenersi che il SAPIENTE intendesse, con
la stessa, manifestare semplicemente disappunto e disistima, e, quindi, che non
sussistesse il dolo specifico richiesto dall'art. 337 cod. pen.
3.4. La sussunzione dei fatti, correttamente motivata, nella figura del reato
di resistenza a pubblico ufficiale, infine, esclude che gli stessi siano qualificabili
come ingiuria o minaccia, e che, quindi, per la procedibilità dell'azione penale
fosse necessaria la querela.
4. L'ottavo ed il nono motivo riguardano la mancata risposta alla richiesta di
concessione della libertà controllata; anch'essi sono infondati.
Nell'atto di appello si domandava esclusivamente, e telegraficamente,
l'applicazione del minimo della pena e dei benefici di legge; la richiesta di
concessione della pena sostitutiva è stata formulata solo con richiesta scritta
depositata in udienza il giorno della decisione.
Il silenzio della sentenza impugnata sul punto, quindi, può essere
considerato legittimo, in considerazione della inammissibilità della richiesta,
derivante dall'essere quest'ultima indirizzata nei confronti di un punto della
decisione diverso da quelli oggetto dei motivi di gravame.
4.1. Non ignora il Collegio l'esistenza di un contrasto di giurisprudenza sul
tema quando, come nel caso di specie, i motivi di appello non abbiano censurato
specificamente la mancata concessione della pena sostitutiva, ma solo la misura
della sanzione irrogata. Invero, accanto a numerose decisioni che, in tal caso,
escludono il potere del giudice di appello di applicare di ufficio le pene sostitutive
brevi (cfr., tra le tante: Sez. 3, n. 43595 del 09/09/2015, Russo, Rv. 265207;
Sez. 4, n. 12947 del 20/02/12013, Pilia, Rv. 255506; Sez. 6, n, 35912 del
22/05/2009, Rapisarda, Rv. 245372), ve ne sono diverse altre che accedono alla
soluzione opposta (risultano ufficialmente massimate: Sez. 3, n. 26710 del
05/03/2015, Natalicchio, Rv. 264022; Sez. 4, n. 222789 del 09/04/2015,
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(
Ligorio, Rv. 263894; Sez. 6, n. 786 del 12/12/2006, dep. 2007, Moschino, Rv.
235608; Sez. 4, n. 6892 del 19/06/1996, Falchi, Rv. 205216; Sez. 4, n. 6526
del 05/05/1995, Marchetti, Rv. 201708), valorizzando l'unicità del punto relativo
alla pena e l'incongruenza di una soluzione che preclude la concessione di un
beneficio meno consistente della sospensione condizionale della pena.
4.2. Il Collegio ritiene di aderire al primo dei due orientamenti.
4.2.1. In primo luogo, va rilevato che le questioni relative alla concessione
delle pene sostitutive ex art. 53 della legge n. 689 del 1981 costituiscono un
punto di decisione autonomo rispetto a quello concernente la quantificazione
della pena, come tale implicante, di per sé, la necessità di una specifica
indicazione ex art. 581, comma 1, lett a), cod. proc. pen.
Invero, posto che, secondo l'orientamento sostanzialmente convergente di
dottrina e giurisprudenza (cfr., in particolare, Sez. U, n. 1 del 19/01/2000,
Tuzzolino, Rv. 216239), per punto di decisione si intende ogni singola statuizione
della sentenza suscettibile di autonoma valutazione ed idonea ad essere oggetto
di autonoma impugnazione, a tale nozione è riconducibile il complesso delle
questioni che attengono alla concessione delle pene sostitutive. Non solo, infatti,
queste possono essere applicate solo previa verifica dell'esistenza di specifici
presupposti oggettivi e soggettivi. C'è di più: ai fini dell'applicazione della pena
sostitutiva, il giudice è espressamente chiamato a compiere una valutazione
discrezionale circa la soluzione più «idonea al reinserimento sociale del
condannato», a formulare una prognosi circa il futuro rispetto delle prescrizioni,
e a «specificamente indicare i motivi che giustificano la scelta del tipo di pena
erogata» (art. 58 della legge n. 689 del 1981). Ancora, il giudice quando applica
la pena sostitutiva, in ogni caso «deve indicare la specie e la durata della pena
detentiva sostituita con la semidetenzione, la libertà controllata o la pena
pecuniaria» (art. 61 della legge n. 689 del 1981). In sintesi, la decisione sulla
concessione di una delle sanzioni sostitutive implica la risoluzione di una pluralità
di specifiche questioni, ben distinte da quelle che attengono alla commisurazione
della pena, e che involgono (almeno potenzialmente) anche il compimento di
accertamenti istruttori ulteriori rispetto a quelli necessari per la commisurazione
della pena.
4.2.2. Una volta rilevato che la statuizione in tema di applicazione di pene
sostitutive costituisce punto autonomo della sentenza, va poi escluso che il
giudice di appello abbia il potere di concedere le stesse di ufficio.
Questa conclusione discende dal principio generale, fissato dal primo comma
dell'art. 597 cod. proc. pen., secondo cui «l'appello attribuisce al giudice di
secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della
decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti». Tale statuizione normativa,
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infatti, ha indotto dottrina e giurisprudenza a qualificare come "eccezionali" i
poteri di ufficio contemplati dal comma 5 del medesimo articolo, e riguardanti
l'applicazione della sospensione condizionale della pena, la non menzione della
condanna nel certificato del casellario giudiziale e una o più circostanze
attenuanti, nonché, «quando occorre, il giudizio di comparazione a norma
dell'art. 69 del codice penale». In particolare, l'argomento dell'eccezionalità delle
deroghe al principio devolutivo è stato evocato anche dalle Sezioni Unite,
allorché queste hanno escluso il potere del giudice di appello di effettuare di
ufficio il giudizio di comparazione tra circostanze, quando il medesimo non ha
applicato, pure di ufficio, nuove circostanze attenuanti (Sez. U, n. 7346 del
16/03/1994, Magotti, Rv. 197700). Si può anche aggiungere che proprio la
pluralità di deroghe previste suggerisce di non interpretare le stesse
estensivamente, pena una sostanziale vanificazione del principio fissato dall'art.
597, comma 1, cod. proc. pen.
Né la soluzione accolta può essere tacciata di incongruità, perché
precluderebbe la concessione di un beneficio meno consistente della sospensione
condizionale della pena, concedibile, invece di ufficio. E' possibile infatti replicare
che la rimodulazione dell'entità del trattamento sanzionatorio è sicuramente
vantaggio più consistente della concessione della pena sostitutiva, eppure tale
operazione è pacificamente ritenuta inammissibile di ufficio (cfr., da ultimo, Sez.
6, n. 7994 del 17/06/2014, de. 2015, Riondino, Rv. 262455, per un'ipotesi in cui
il punto oggetto di censura era quello della responsabilità); lo stesso può dirsi
con riferimento alla rinnovazione del giudizio di comparazione tra circostanze di
segno opposto (cfr., appunto, Sez. U, n. 7346 del 1994, cit.).
5. All'infondatezza dei motivi esposti nel ricorso, segue il rigetto dello
stesso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 27 gennaio 2016
Il Consigliere estensore
An ir;ir gtorbo
DEPOSITATO IN
Il Presidente