lettura critica |La poesia dell`intelligenza attraverso la figura di Virgilio

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lettura critica |La poesia dell`intelligenza attraverso la figura di Virgilio
lettura critica | La poesia dell’intelligenza attraverso la figura di Virgilio
La poesia della Commedia non potrà forse mai raggiungere una sua definizione suscettibile di venir sinteticamente
offerta in un’unitaria formula, a meno di voler restare nei termini di quelle generiche proposte, che pur rispecchiano una verità, le quali parlano, con enfasi, di poesia universale o meglio, e più pittorescamente, di poesia
dell’universo. […]
Ora, tra le possibilità di ricerca svolte in questa direzione, e tra i più notevoli filoni di poesia degni di essere esplorati, credo che meriti di essere segnalata quella zona che potrebbe essere propriamente individuata e definita
come poesia dell’intelligenza, quella poesia in sostanza che si nutre di quei sentimenti che intorno alla esperienza
intellettuale, appassionatamente realizzata, si generano e vivono.
Il preludio arioso e sereno di questa poesia (che può parere tanto astratta) […] è rappresentato dall’incontro con
Virgilio, nel campo introduttivo. Difficilmente si potranno percepire le più segrete vibrazioni di questi versi e cogliere
nella lettura le tonalità più calde e musicali, senza rifarsi a quell’esperienza umanissima che dicevamo. Eppure
di che ritmo arcano si avviva quello scorcio sulla vita del poeta, e come limpido s’inarca il canto su quelle parole
«Poeta fui…», un nome che è tutta una sintesi spirituale nella memoria di Dante […], quando siano collocati in cotesta prospettiva di sentimenti generati dalla esperienza intellettuale! Un modulo critico di una estrema necessità
dunque. Dal quale scaturisce una movimentata vicenda patetica, gli affetti più intimi di Dante, il sogno di gloria
poetica, l’amore e l’ammirazione per Virgilio (il poeta per definizione, secondo tutta la civiltà medievale). Virgilio,
la sua vita e la sua opera, che qui sono ap­pena accennate, s’illuminano, in cotesto clima d’anima, di una luce
mitica e favolosa. Di questa temperie di religioso stupore, di ingenua e reverenziale passione (quella del discepolo
di tutti i tempi verso il maestro) si imbeve la parola di Dante:
«Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte
che spandi di parlar sì largo fiume?»
rispuos’ io lui con vergognosa fronte.
«O de li altri poeti onore e lume,
vagliami il lungo studio e ’l grande amore
che m’ha fatto cercar lo tuo volume.
Tu se’ lo mio maestro e ’lmio autore;
tu se’ solo colui da cu’ io tolsi
lo bello stilo che m’ha fatto onore»…
(Inf., I, vv. 79-87).
L’ambiente psicologico è attraversato da quella corrente patetica che passa tra lo scolaro e il maestro, un complesso di sentimenti di esaltazione e di riconoscenza, di ammirazione e d’amore. Di essi è irradiata la poesia di
queste terzine, che costituiscono il vero centro lirico dell’introduzione. È il canto poetico di una dichiarazione di
amore, oserei dire, che conserva intatta l’ingenuità e la freschezza e il pudore che l’ha velata fin lì di silenzio. Ed
in esso è tutto il giovanile candore e l’entusiasmo appassionato di un’anima che svela il suo gioioso segreto e il
suo luminoso ideale. La condizione spirituale, in sostanza, del discepolo di fronte a chi l’ha iniziato e guidato nella
sua formazione mentale. […]
Il nucleo essenziale di cotesta poesia si raccoglie intorno alla figura di Virgilio, che offre con l’elemento narrativo in
cui questa si innesta uno dei pretesti più determinanti alla sua realizzazione. Ed i momenti culminanti sono proprio
rappresentati dai due estremi di questa poetica favola, il suo inizio con l’apparizione colma di rivelazione e di caldo
abbandono dell’antico poeta e la sua conclusione con il nostalgico congedo di Virgilio. […]
La favola poetica che viene rappresentata, il mito figurativo di Virgilio che accompagna Dante (con tutta la varia
drammatica che ne deriva: Virgilio che consiglia Dante, lo aiuta, lo difende, lo salva, e, reciprocamente, di Dante
che si abbandona a Virgilio, in lui confida, di lui ha soggezione, e così via, secondo una coerenza che indubbiamente non può essere negata) non deve far dimenticare il centro di irradiazione di tutto questo, il sottinteso segreto sentimento che conferisce una più vasta e aristocratica risonanza a questa psicologia narrata, che ha offerto
a tanta critica il pretesto per cristallizzare la figura di Virgilio nello schema solenne del vate o in quello angusto del
precettore. Occorrerà perciò tenere presente il valore analogico di questa psicologia e cogliere la più suggestiva
celebrazione umana che dietro quei modi narrativi […] pur si attua e liricamente risuona. […]
La parola nasce in un clima d’anima, e di esso impalpabilmente si informa e di esso in impercettibili sfumature
si colora: ed è questo clima che occorre indagare, e sono queste sfumature e invisibili pieghe che occorre
sapere avvertire se non si vuole che ci rimanga nascosto l’autentico significato della poesia. La parola del
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poeta non è mai la parola nel suo logico e immediato significato, ma è sempre allusiva, carica di un suo
segreto, di un suo accento sentimentale unico e incon­fondibile, a svelare il quale non valgono vocabolari e
grammatiche. Di qui la difficoltà delle traduzioni. Di qui l’eterno valore metaforico della poesia. Ogni poesia
è sempre allegorica. Con questa differenza, che l’allegoria nel senso comune delle stilistiche è di natura artificiale e, se si vuole, logica, mentre quell’altra allegoria che è la poesia è di natura spirituale, è necessaria,
senza arbitrio: è creazione e non costruzione, trasparenza spontanea e inequivo­cabile e non corrispondenza
ingegnosa. (Per questo più che di allegoria converrebbe parlare in un certo senso di analogia). Perciò Virgilio,
nel definitivo risultato della poesia, come non è un astratto concetto (la ragione o la filosofia o l’impero) così
non è nemmeno un personaggio, un carattere realisticamente concepito, con una sua quotidiana psicologia.
Esso è sì questa realtà psicologica, questo schema figurativo, ma solo in funzione di una più alta psicologia,
come simbolo di un’alta avventura dello spirito, di uno scorcio eterno di umanità.
In questa luce assumono un valore nuovo gli atteggiamenti di Dante e Virgilio, e da modi psicologici diventano
segni di un contegno di fantasia, la celebrazione concreta della poesia della vita dell’intelligenza. Così certi atteggiamenti di umiltà di Dante:
Allor con gli occhi vergognosi e bassi,
temendo no ’l mio dir li fosse grave,
infino al fiume del parlar mi trassi
(Inf., III, vv. 79-81)
se, considerati nella pura vicenda di racconto e di personaggi, riescono sbiaditamente cronistici se non addirittura di un’episodicità prolissa e impacciata, trasferiti invece in quella temperie d’ispirazione, acquistano una loro
suggestività di echi e di riflessi, e rivelano un nuovo profilo di quel cosmo poetico, l’ansia timida del discepolo, la
«religione» dell’iniziato alla cultura nella sua riverenza per chi intellettualmente lo sopravanza. E così s’arricchisce
di un più vasto senso, di un movimento intimo, l’episodio del tentato e negato ingresso in Dite, occasione poetica
di alcuni altri temi di questo centro lirico che si sviluppano attraverso i dati narrativi della speranza di Dante nel
maestro, e dell’immagine di Virgilio conforto e guida:
Ma qui m’attendi, e lo spirito lasso
conforta e ciba di speranza buona…
Così sen va, e quivi m’abbandona
lo dolce padre, ed io rimango in forse:
che no e sì nel capo mi tenciona
(Inf., VIII, vv. 106-111).
Il nucleo lirico è rappresentato da quel «dolce padre», metafora intensa e satura di emozione della realtà affettiva
dell’esperienza intellettuale. Di lì prende colore tutta la scena che si articola di significati e allusioni, di riflessi e di sottintesi, che si riportano tutti al mondo di sentimenti dell’intelligenza nella particolare direzione del rapporto maestrodiscepolo, nella sua fenomenologia psicologica di incertezze e di confidenze, di sconforti e di riprese. Allo stesso
modo l’episodio della fuga dei Melabranche, uno di quelli in cui la figura di Virgilio è più affettuosamente intonata per
la tenerezza di quelle immagini:
Come la madre ch’al remore è desta…
(Inf. XXIII, v. 38)
e, al termine:
portandosene me sovra ’l suo petto,
come suo figlio, non come compagno…
(Ivi, vv. 50-51)
trova il suo più vero accento (o almeno uno dei più alti e raffinati, nell’accordo e armonia di note che si raccolgono
intorno alla parola di Dante, sempre così complessa e carica di risonanze) proprio nell’allusiva memoria di quella
relazione patetica, sperimentabile nella vita intellettuale.
(G. Getto, Aspetti della poesia di Dante, Sansoni, Firenze 1961)
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