prodotti e leggende matildiche

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prodotti e leggende matildiche
ANALISI RELATIVA AD UN EVENTUALE
MARCHIO DA ATTRIBUIRE AD UN PANIERE DI
PRODOTTI MATILDICI
Attività di studio, animazione, sensibilizzazione e formazione relativamente alle
azioni previste nel progetto della Provincia di Reggio Emilia, di cui alla Misura
341 “Acquisizione di competenze ed animazione”.
Reggio Emilia, Luglio 2010
a)
ANALISI DEGLI ASPETTI STORICO-PRODUTTIVI
E TERRITORIALI
INTRODUZIONE
L’Asse 3 del Piano Regionale di Sviluppo Rurale 2007 – 2013 della Regione
Emilia Romagna, si prefigge come obbiettivo primario il miglioramento della
qualità della vita nelle zone rurali, dove è più elevato il rischio di esodo.
Le Misure messe a disposizione da questo Asse, mirano a promuovere lo sviluppo
delle capacità, l’acquisizione di competenze tecniche ed organizzative, rivolte
allo sviluppo delle strategie locali ed alla diversificazione dell’economia rurale
nel rispetto del patrimonio agricolo, tradizionale, culturale, a vantaggio della
fruibilità attuale da parte anche dei flussi turistici e soprattutto delle le future
generazioni.
In quest’ottica si muove lo Studio 2 del “Cottimo fiduciario per servizio di
programmazione, gestione amministrativa e realizzazione delle attività di
studio, animazione, sensibilizzazione e formazione relativo alle azioni previste
nel progetto della Provincia di Reggio Emilia (prima tranche), di cui alla Misura
341 “Acquisizione di competenze ed animazione”, che prevede di impostare uno
studio propedeutico, ad un’analisi del settore agricolo e del panorama rurale,
mirato a fornire un’indagine aggiornata del territorio reggiano. Tale studio,
soprattutto in riferimento alla parte legata alle strategie di marketing territoriale
e di vendita, potrà essere utilizzato dalle istituzioni, come strumento adeguato e
corretto per ipotizzare, cantierare e mettere in preventivo, interventi a sostegno
del territorio rurale, del miglioramento della qualità della vita delle zone rurali
ed alla diversificazione dell’economia rurale, attraverso politiche future, oltre
che a valorizzare e promuovere direttamente in contesti divulgativi appropriati,
il panorama produttivo di tipicità e vendita di servizi, verso il quale l’attività del
settore primario sta indirizzando sempre maggiori attenzioni e risorse.
Tale attività, concorda inoltre con altri obbiettivi del P.R.S.R. che prevedono
di contribuire all’aggiornamento professionale degli operatori addetti a
promuovere la progettazione e l’organizzazione di strategie di sviluppo locale
integrato; supportare con gli strumenti propri della formazione, i progetti di
sviluppo locale di carattere sovraziendale.
Oltre tutto intende favorire le funzioni territoriali (cura del paesaggio,
conservazione e valorizzazione delle risorse naturali), produttive (qualità e
valorizzazione delle risorse naturali, culturali, del turismo); sociali (vitalità delle
aree rurali, argine allo spopolamento, recupero di tradizioni).
1. PREMESSA
Il panorama agricolo-produttivo del territorio reggiano, già da diverso tempo
si è affacciato sul mercato in prima persona, ed ha intrapreso la vendita diretta
rivolgendosi al cliente ed al consumatore. Diverse sono state le potenzialità e
le opportunità che si sono a questo aperte, tanto che sempre in maniera più
incisiva si è mosso autonomamente e non solo facendo riferimento alla logica
dei conferimenti verso strutture cooperative in ambito lattiero caseario od
enologico. Ogni singola unità aziendale quindi, sfruttando la nuova tendenza
della multifunzionalità, ha cercato di rendere maggiormente appetibili i propri
prodotti, tramite gli strumenti che il marketing e la filosofia di vendita hanno
messo loro a disposizione, ma soprattutto, ed è il caso delle piccole imprese
famigliari, legando i propri prodotti al territorio stesso. Tutto ciò ha generato
negli ultimi anni e sta tutt’ora generando, uno spirito di rivalorizzazione del
territorio, delle proprie radici culturali e di riflesso del proprio passato storico,
che viene sfruttato in maniera massiccia e decisiva nell’ottica di mercato.
Questi che sono un po’ i canoni del marketing territoriale, si dirigono sempre
più sulla ricerca di un territorio che ormai non c’è più, andando a rispolverare
dalle nebbie storiche, personaggi e vicende alle quali Reggio Emilia ha legato
la propria storia e la propria fama. Il personaggio storico maggiormente
conosciuto a livello locale ed extra locale è senza dubbio Matilde di Canossa,
quella che viene apostrofata la Gran Contessa. L’eco di questa donna arriva
forte e deciso in tutta Europa, portando con sé il fascino ed il mito che aleggiano
intorno alla sua figura. Risulta quindi inevitabile trovare Matilde o qualcosa di
matildico riferibile a tantissimi prodotti reggiani, oltre che vedere valorizzati ed
incentivati eventi, manifestazioni, rievocazioni riferite alla signora di Canossa.
La stessa Provincia di Reggio Emilia ha puntato molto su questa figura, dando
fulgore e spinta a diverse manifestazioni, culminate con l’anno matildico appena
trascorso.
Occorre quindi raccogliere tutto quello che si sta facendo nel territorio provinciale
grazie a questo spirito di ricerca storica, come è stato suggerito dalla Provincia
stessa nello Studio 2 della Misura 341 del PSR, verificando:
- se si possa creare un paniere di prodotti al quale legare un marchio matildico;
- quali siano i prodotti eventualmente marchiabili;
- analizzare la natura di questi prodotti e se siano effettivamente affiancabili ad
un marchio storico;
- analizzare l’opportunità di legare un marchio storico di prodotto alla figura di
Matilde di Canossa;
In questo elaborato si analizzeranno dunque questi spunti, per valutare la
possibilità di marchiare un ventaglio di produzioni tipiche del territorio reggiano,
che non stonino qualora siano affiancate all’universo matildico.
Fra tutte queste attività non si possono sicuramente eliminare anche quelle di
servizio legate alla persona di fine turistico e le produzioni artigianali, anch’esse
fortemente caratterizzanti il territorio stesso, ed indice della tradizione e della
cultura reggiana.
Affrontare un approfondimento legato alla celebre figura di Matilde di Canossa
non è semplice né da ideare, né da realizzare, poiché è talmente permeante
l’impatto che questo personaggio storico ha avuto sulla storia e sulle tradizioni
della terra reggiana, che spesso il confine tra realtà e leggenda non è ben
distinguibile, ma anzi spesso le due istanze combaciano o vanno inevitabilmente
a collimare.
Non è il caso in questo testo di andare a sviscerare le vicissitudini personali,
le vicende, i fatti e l’impronta matildica sulla storia, in quanto la cronachistica
e la libellistica, già contemporanea alla Gran Contessa, andarono ad istituire
dibattiti, valutare versioni, tessere ipotesi e comportamenti, in maniera continua
ed in numero notevole. Per non parlare delle opere degli storici, che nel corso
dei secoli, hanno steso un numero infinito di testi a riguardo, valutando e dando
interpretazioni ad ogni mossa, ogni parola, ogni decisione riferibile anche solo
in margine alle vicende canusine.
Un personaggio storico di portata planetaria, universalmente conosciuta, colei
che ha protetto papi ed ha fatto inchinare e sconfitto imperatori, donna in un
mondo che non dava spazio alle donne, vissuta mille anni fa, ma la cui eco è più
che mai viva ancora oggi in diverse zone d’Europa.
Infatti, Reggio Emilia ed il suo territorio provinciale hanno in sé l’onere e l’onore
di essere giustamente accostati alla figura matildina, che qui aveva la roccaforte
di famiglia, anche se non detengono l’intera esclusiva.
Ai tempi di Matilde, quindi a cavallo tra l’XI ed il XII secolo (1046 – 1115
anni di nascita e morte), i domini della sua famiglia, esempio lampante di
dinastia altomedioevale, che vede gli albori e la caduta nell’arco di quattro
generazioni (Atto Adalberto/Tedaldo/Bonifacio/Matilde) e di due secoli scarsi,
si estendevano senza interruzioni da Brescia fino all’Alto Lazio, in uno dei
territori strategicamente più importanti di tutta Italia, in quanto consentivano la
via d’accesso per Roma. Ma non solo, in quanto grazie all’eredità ricevuta dalla
madre, Beatrice di Lorena, Matilde poteva contare su possedimenti anche in
Francia e nell’odierna Germania, dove ancora è forte, almeno quanto a Reggio
il ricordo e la testimonianza verso Canossa. Proprio questa condivisione che fa
sì che Matilde sia di Canossa, quindi di Reggio Emilia, ma non solo, anzi, rende
difficile da inquadrare negli spazi giusti la sua figura, facendole inevitabilmente
assumere una visione molto più ampia e quindi extra provinciale.
Questo risulta essere un problema nella formulazione di un ipotetico paniere
di prodotti del nostro territorio, in quanto restringendo l’area da cui andremo
ad attingere, si taglieranno sicuramente altre ipotetiche realtà che andrebbero
con molta facilità a ricalcare il profilo giusto. Questo è il caso lampante del
territorio mantovano, altra zona italica che trabocca di testimonianze matildiche,
basti ricordare che Matilde là fu sepolta prima di essere spostata a Roma (S.
Benedetto Polirone), che a Mantova aveva il proprio palazzo e che questa era in
effetti la sua città, cosa che non fu Reggio Emilia, visto il grande potere vescovile
presente. Tuttavia nel corso dei secoli Mantova sia da un punto di vista dialettale,
che culturale, che di tradizioni e costumi contadini, quanto inevitabilmente di
gusti e stili culinari, si è allontanata tantissimo dalle città emiliane, quali Reggio
Emilia, o Parma o Modena o perfino Bologna che sia, andando ad incanalarsi
verso la tradizione lombarda che la differiscono notevolmente. Quest’ultimo
risulterà essere un altro grande problema per quanto riguarda la stesura del
paniere dei prodotti, soprattutto nelle terre della Bassa Reggiana di confine, che
hanno adottato unitamente tradizioni mantovane e reggiane, che si andranno
a caratterizzare come terre di mezzo, con particolarità differentissime, ne sono
un esempio calzante nella loro diversa peculiarità il Lambrusco Mantovano e
quello Reggiano.
Le difficoltà comunque non terminano, anche se si risolvono questi problemi
o solamente si mettono da parte, fondando il certo sull’incerto come spesso
avviene in questi casi, tant’è da ricordare che è al vaglio della critica storica già
da diversi anni, il luogo stesso di morte di Matilde, probabilmente avvenuto in
una borgata proprio al confine fra due province e due regioni, tra Reggiolo ed il
mantovano. Infatti, essendo Matilde di Canossa un personaggio storico, legato
così tanto alle tradizioni ed alle usanze della popolazione locale, spesso si cade
nell’errore di ascrivere al periodo matildico qualsiasi cosa sia solamente antica, o
alla quale non si riesca a dare una data cronica corretta, incappando nell’errore
storico di dare valenza altomedioevale ad un elemento caso mai di trecento o
quattrocento anni dopo. Questa difficoltà è ritrovabile in tanti elementi della
cultura reggiana, basti ricordare che tutti i castelli che sono sopravvissuti al tempo
nel nostro territorio, sono definiti matildici, quando in realtà ben pochi lo sono
e in ogni caso trasformati quasi tutti intorno al Cinquecento. Tale problematica
risulta quindi essere quanto mai attiva e viva andando ad analizzare prodotti
tipici legati alla tradizione gastronomica oppure alla consuetudine culturale
contadina, la quale priva di fondamenti storici attribuisce l’epiteto di prodotto
matildico a qualsiasi cosa persa nella notte dei tempi.
Per quanto riguarda la cultura enogastronomica dalla quale rilevare delle punte
di eccellenza o semplicemente delle peculiarità di valore, si debbono poi tenere
in considerazione tutte le influenze e gli influssi vari che il territorio reggiano ha
subito nel corso dei secoli. L’epoca matildica è il momento finale del percorso
di trasformazione che ha portato la provincia di Reggio Emilia a tramutarsi
completamente da colonia romana, a vocazione agricola predominante, quindi
con i terreni bonificati e messi a coltura e di matrice fondata sull’allevamento
ovicaprino, a territorio longobardo quindi di fattore germanico, con alto tasso di
incolto e quindi di boscaglie, con allevamento brado di suini. La trasformazione
da carne ovina a carne suina implica stravolgimenti paesaggistici, culturali, di
sapori e tradizioni enormi, anche se alcuni retaggi restano, caso unico nell’intera
Emilia, nella zona di Baiso con l’abitudine del consumo delle barzigole di
pecora. Conseguentemente a ciò anche il panorama agricolo reggiano divenne
mutato nella sua interezza, cosicché il rigore storiografico, non permetterebbe ai
territori pianeggianti, la caratteristica di grandi colture in spazi larghi di cereali,
frutta ed ortaggi, in quanto al tempo di Matilde, è conosciuto grazie ai testi
coevi, che dalla via Emilia, ormai scomparsa ai margini del grande fiume Po
non canalizzato in un unico alveo come è odiernamente, si sviluppava un bosco
planiziale talmente fitto e talmente intricato, che per attraversarlo occorrevano
figure specializzate di guide del territorio.
Per quanto riguarda invece la cucina dei tempi di Matilde, inevitabilmente basata
sui prodotti del territorio, si deve ammettere, che la stragrande maggioranza
di piatti, ricette e preparazioni, derivavano dall’antica cucina monastica, figlia
di un rigore particolare, che vedeva nella crapula, già di per sé una forma di
peccato. I grandi banchetti decantati nei film e nelle ricostruzioni spesso
erano rarissimi, tanto da trovare spazio nelle righe delle cronache del tempo,
è il caso di quello celeberrimo che Matilde diede per festeggiare la riavvenuta
pacificazione tra Enrico IV e Gregorio VII, talmente fastoso, da essere decantato
da Donizone, biografo contemporaneo a Matilde, nella sua Vita Mathildis. Spesso
questi lasciavano il posto e non solo nelle mense villiche a zuppe di cereali e
minestre varie, che raffazzonavano quello che era a portata di mano. Il gusto
inevitabilmente ne risentiva, tanto più in un’epoca dove non esistevano sistemi
di conservazione adeguati degli ingredienti.
Questo approfondimento terrà quindi conto di queste difficoltà, andando ad
elencare i prodotti potenzialmente ascrivibili ad un paniere medioevale, sia da
un punto di vista di valore storico, che di puro valore tradizionale reggiano,
superando i limiti e le problematiche che il rigore storiografico e la esatta
attribuzione storica potrebbero rendere il lavoro di difficile riuscita.
Si indicheranno, tratteranno e si evidenzieranno per questo motivo, quei prodotti
e quelle particolarità riferibili alla tradizione reggiana, non solo all’epoca
matildica, sottolineando tuttavia questa caratteristica qualora si presenti,
affrontando un’analisi più ampia, con margini temporali e geografici più liberi.
Infine nel paniere dei prodotti “matildizzabili”, troveranno posto anche i prodotti
legati all’artigianato artistico locale, che cavalcando l’onda di Matilde di Canossa,
in questi ultimi anni hanno ottenuto risultati eccellenti sia per quanto riguarda
la lavorazione di materiali quali pietra, legno, roccia, stoffa, vasi e terrecotte, sia
per quanto riguarda le attività relative ai servizi alla persona.
Proprio quest’ultime vanno messe in risalto, in quanto servizi dedicati quali
l’accompagnamento di guide esperte, naturalistiche, turistiche, storiche che
siano, agenzie turistiche, esercizi commerciali quali ristoranti e negozi di prodotti
tipici, possono veicolare in maniera diretta e facile grandi volumi di persone,
entrando direttamente nel mercato turistico. Stesso ragionamento lo si può
fare per i parchi di divertimento e le strutture ricettive adeguate a raccogliere
un numero cospicuo di individui, che mirano a valorizzare in maniera diretta
l’intero territorio matildico e quindi di riflesso il territorio reggiano.
2. OBBIETTIVI
L’obbiettivo primario di questo elaborato è fornire una visione a volo d’uccello
del panorama agricolo produttivo reggiano, che si è rivolto direttamente alla
vendita al dettaglio affrontando il mercato.
Tramite questa analisi si intende puntare l’attenzione su quelle aziende che si
sono mosse verso il cliente entrando quindi de visu nelle logiche di mercato.
Inoltre affrontando tale censimento si analizzerà approfonditamente la possibilità
di affiancare un marchio legato alla figura di Matilde di Canossa, alle produzioni
tipiche, vagliando la convenienza e l’adeguatezza di riferire al mondo medioevale
del XII secolo, prodotti tipici così variegati.
In questo modo si affronterà uno spaccato delle tradizioni storiche e popolari
legate alla figura matildina, all’enogastronomia, ai prodotti, cercando di ovviare
ad inevitabili anacronismi ed inesattezze.
In questa analisi si farà inevitabilmente riferimento anche all’artigianato locale
ed alle attività di servizio che sono volte alla valorizzazione ed alla promozione
del territorio stesso.
Infatti l’obbiettivo principale di questo Studio 2 della Misura 341 del PSR è
proprio quello di fornire alla Provincia di Reggio Emilia, uno strumento valido
per promuovere nella maniera più incisiva ed energica possibile il panorama
reggiano, sia nell’ottica turistica che in quello di valorizzazione delle proprie
produzioni tipiche.
Di riflesso tale analisi è volta a favorire le funzioni territoriali (cura del paesaggio,
conservazione e valorizzazione delle risorse naturali), produttive (qualità e
valorizzazione delle risorse naturali, culturali, del turismo), sociali (vitalità
delle aree rurali, argine allo spopolamento, recupero di tradizioni), oltre che
all’acquisizione da parte degli enti del territorio reggiano, di strumenti adatti
a valorizzare e promuovere direttamente in contesti divulgativi appropriati, il
panorama produttivo di tipicità e vendita di servizi, verso il quale l’attività del
settore primario sta indirizzando sempre maggiori attenzioni e risorse.
L’elemento storico può risultare essere un ottimo volano di valorizzazione
ed implementazione dell’economia locale reggiana, un ottimo ariete pronto
a sfondare il panorama del mercato. Occorre quindi sfruttarlo in maniera
massiccia e nella modalità migliore, evitando problematiche e punti di crisi che
possano ritorcersi contro.
3. AMBIENTAZIONE STORICA
Il territorio reggiano medioevale da un punto di vista naturalistico ed economico
si presenta in maniera totalmente differente da quello moderno. L’evoluzione
che lo ha visto trasformarsi e civilizzarsi con la venuta delle legioni e dei coloni
romani, che non senza difficoltà si sono stanziati nell’agro reggiano, è stata quasi
totalmente spazzata via dall’arrivo delle orde longobarde. Queste di fatto hanno
avviato una pulizia etnica, che non ha lasciato scampo alle preesistenti genti di
matrice romana, iniziando un processo di sostituzione praticamente in toto da una
cultura di anima latina ad una germanica. Il medioevo reggiano si deve proprio
alla grande influenza di questo popolo sulla cultura locale, un’influenza ancora
oggi viva e radicata nelle tradizioni, di cui si vedono ancora moltissime tracce
e segnali. Oltre ai cognomi di origine longobarda, anche i toponimi dei paesi
denotano la stanzialità di queste genti del Nord. Anche la forte differenziazione
religiosa che essi introducono, tra ariani (loro) e cristiani (gli ex romani), lascia
evidenti tracce sul culto e sulla venerazione dei santi, tant’è che le chiese più
antiche reggiane sono dedicate o ai santi longobardi (Giorgio e Michele), oppure
per spirito di coesione e resistenza a quelli ravennati (Vitale ed Apollinare). Oltre
a questi refusi culturali, che si denotano anche in alcuni termini dialettali
reggiani, ritrovabili interamente nel vocabolario longobardo (pànka, skràna, spròk,
stèkk), questa popolazione ha lasciato in eredità alla tradizione reggiana ben più
consistenti testimonianze, legate soprattutto all’introduzione nelle fitte e dense
boscaglie che sostituirono le colture di pianura e di collina, di branchi di maiali.
La suinicoltura, in questo stato primordiale stava alla base dell’alimentazione
longobarda e a loro si deve la scoperta e la specializzazione dell’arte norcina,
apportatrice dei pregiati salumi, per i quali il reggiano e di riflesso tutta l’Emilia
sono celebri.
Tale passaggio apporta notevoli cambiamenti non solo di etnia, lingua o
cultura, ma anche nell’ambiente reggiano e nell’economia, tant’è che i grandi
campi ordinati e fertili, resi tali dalla perfetta centuriazione romana, lasciano
il posto a boschi di querce ed altre essenze, all’interno dei quali pascolavano i
maiali. Il numero delle greggi di ovicaprini si riduce, di conseguenza anche il
volume dei formaggi, mentre compaiono i salumi, la carne suina e gli insaccati.
L’agricoltura resta di sussistenza con la stragrande maggioranza di colture di
cereali, anche di carattere minore e raccolta spontanea di piante, erbe e frutti, i
quali soprattutto quando si potevano avere costituivano una vera prelibatezza.
Infatti, oltre alla difficoltà della coltura di piante da frutto un problema
veramente grave da risolvere era costituito dalla deperibilità della frutta fresca,
la quale si poteva avere solamente in particolari periodi dell’anno e spesso tutta
in un unico momento. Ciò fa sì che si siano selezionate piante in grado di dare
frutta in differenti periodi dell’anno, appaiono così le mele e le pere tardive o
primaticce, oppure si elaborino tecniche di conservazione della frutta in diverse
forme, tramite la confettura, le marmellate, la conservazione sotto spirito o la
confettatura.
La cucina matildica prevede poi l’utilizzo di un grande numero di cereali, che
vengono cotti in zuppe di ogni tipo, oppure in minestre bollite con verdura
e carne. La cacciagione ha un ruolo predominante, soprattutto nelle mense
ricche, dove compaiono poi anche prodotti di pregio quali il riso, in particolare
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per il piatto tipico del medioevo il biancomangiare, i condimenti pregiati, quali
salse, sciroppi ed aceti, le erbe, le verdure, la frutta di ogni tipo, oltre che al pane
miscelato con ogni tipologia di cereali.
Da un punto di vista storico, il territorio reggiano al tempo di Matilde di Canossa,
vive probabilmente il momento di maggiore fulgore mai avuto, allorquando
Reggio Emilia è il centro di tutta Europa e del mondo allora conosciuto.
I territori matildici, situati in un punto altamente strategico, si trovano in mano
alla dinastia Canossa e sono punteggiati su ogni altura e su ogni colle da castelli,
torri e sistemi difensivi, facenti parte di quello che gli storici chiamarono poi
lo scacchiere matildico, ossia quel perfetto sistema a maglie strette costituito
da fortezze e rocche, posto su tre linee di difesa dal monte al piano, in grado
di respingere gli attacchi di chiunque. Storicamente a Canossa e sulle colline
reggiane si gioca la partita più importante per il Medioevo europeo, che vede in
campo il Papato, spalleggiato da quello che viene definito il suo braccio armato,
ossia la Contessa Matilde, contro l’Impero Germanico, l’erede del Sacro Romano
Impero di Carlo Magno. In gioco non c’è solamente la supremazia sull’Italia,
ma anche e soprattutto la supremazia sul mondo Occidentale, per decidere chi
fra papato ed impero deve effettivamente dominare la scena politica europea.
Sotto questa luce va visto il perdono di Canossa, che non è solamente un
momento nel quale un imperatore si inchina al papato, ma un successo politico
enorme che Gregorio VII incamera per Roma, a scapito di Enrico IV e della
Germania intera. A fare da arbitro fra queste potenze c’è Matilde di Canossa,
tanto potente da mettersi al pari dei due uomini più importanti per il tempo,
da intercedere per uno difendendo l’altro. Di notevole valore è poi il fatto che
Matilde fa in modo che uno dei momenti più celebrati per la storia medioevale
europea accadesse a Canossa, proprio perché quella e di riflesso tutta la provincia
reggiana, si presenta come una munitissima arma pronta all’offesa, un sistema
bellico che non teme attacco, tanto è che solo qualche anno più tardi, nelle forre
di Bergonzano e del monte Giumigna, riuscirà a sconfiggere e mettere in fuga
l’intero esercito imperiale, la forza armata più potente che il tempo conosce.
Il territorio reggiano si caratterizza non solo con torri, rocche e castelli, ma anche
con borghi fortificati e villaggi recinti atti alla difesa, che vanno a prendere posto
all’interno del sistema difensivo matildino. In più un altro ruolo importante è
rappresentato dai monasteri che si sviluppano in pianura, ad esempio S. Prospero
di Reggio Emilia, nella Bassa S. Benedetto Polirone, costituito ed incentivato
dalla stessa Matilde ed in montagna Marola.
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4. MATILDE DI CANOSSA
Molto acceso è stato il dibattito intorno alla figura storica di Matilde di Canossa,
donna pioniera dei suoi tempi, ma espressione degli stessi, in grado di crearsi
una fama che ancora la porta ad essere viva nonostante i quasi mille anni
passati. Senza andare ad approfondire tratti, situazioni e vicende che hanno
caratterizzato la sua vita, si può affermare che lei stessa, fu un chiaro esempio
di atipicità medioevale, in quanto donna, colta, conosceva diverse lingue, con
il desiderio monastico, ma costretta dagli eventi a vivere nei tumulti del secolo.
Serva di un destino che probabilmente non voleva, si delineò come una ferrea
sovrana, austera e rigorosa, molto devota ed allo stesso tempo pia e caritatevole
con i più deboli, quanto crudele e vendicativa contro i nemici. Al di là del suo
ruolo istituzionale e politico, del quale come già si è detto, fiumi di inchiostro
sono stati scritti e parole spese in quantità, quello che risulta importante per il
territorio provinciale appare ciò che effettivamente Matilde fece per il territorio
stesso, da un punto di vista economico e produttivo, dal quale derivare una
traccia possibile del paniere di prodotti matildizzabili. Innanzitutto nei tempi
contemporanei alla Gran Contessa l’agricoltura era legata soprattutto al sistema
di sussistenza, con resa molto bassa, tecniche colturali scarse, tanto che la
rivoluzione dell’anno Mille non aveva ancora, almeno nel territorio reggiano,
sortito i grandi risultati che porterà poi in seguito.
L’allevamento era di piccoli capi, bestiame ovicaprino e soprattutto suino, tant’è
che nella contrattualistica medioevale si misuravano i boschi in base a quanti
maiali si riuscivano ad alimentare con le ghiande. I bovini erano di scarsa
quantità, legati soprattutto al fatto di essere utilizzati come trattrici per l’aratura,
solo un secolo più tardi o essendo molto ottimisti alla fine del XII secolo, si può
iniziare a pensare, ad una produzione anche se minima di Parmigiano Reggiano,
dovuta ad un quantitativo di latte sufficiente per la produzione casearia.
5. PRODOTTI E LEGGENDE MATILDICHE
Moltissime sono le leggende che riguardano la figura di Matilde di Canossa
sparse dalla montagna al piano di ogni sorta e ogni tipologia. Una di queste
è molto interessante, in quanto attribuisce a quest’ultima l’introduzione della
castanicoltura in Appennino, per ovviare alla fame cronica di queste popolazioni.
Ora è difficile attribuire storicamente l’inizio della coltivazione di questa pianta,
sta di fatto che essa compare moltissimo tempo indietro e per secoli è stata alla
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base dell’economia montana reggiana. Queste terre di difficile sopravvivenza,
con un clima rigido, spesso con poche precipitazioni durante l’anno, con terreni
boscosi e di non facile messa a coltura, venivano alimentate più o meno fino a
cinquant’anni fa con la castagna, che nella gastronomia montana ha il ruolo
predominante. Pane, dolci, farine, frittelle, polenta, ogni mezzo era adeguato
per mangiare in maniera differente questo frutto, che veniva protetto dalle mani
dei ladri con ogni mezzo. La castagna arrivava poi anche in pianura grazie ai
traffici commerciali che abitualmente avvenivano fra le due zone geografiche,
spesso incentrati tra il baratto fra farina di cereali, difficilmente coltivabili ad
alta quota e quella di castagna.
Ascrivibile al periodo matildico è poi l’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio
Emilia, di cui si ha menzione, grazie a Donizone, già intorno alla metà del
secolo XI, non riferito alla Contessa, ma al padre Bonifacio. Anche se non si
parla né di Balsamico, né di Tradizionale, nella Vita Mathildis si fa riferimento ad
un aceto che viene invecchiato nei solai della rocca di Canossa, ben sette secoli
prima del balsamico estense modenese.
Altri prodotti coevi all’epoca matildica, sono indubbiamente tutti quelli legati
alla frutticoltura, soprattutto di mele, si devono ricordare le diverse cultivar già
elencate e specificate nel Capitulare de Villis carolingio di tre secoli prima, le pere,
le prugne, più o meno selvatiche, tutti i prodotti del sottobosco. Tra questi sia il
fungo, sia il tartufo già comparivano sulle mense dei più abbienti, come del resto
il riso e la pasta fresca, accompagnata spesso da condimenti latticini.
Un argomento a parte è costituito poi dal vino, che al tempo non era solo
una bevanda da accompagnare ai cibi solidi, ma questo stesso costituiva un
alimento e spesso veniva bevuto in quantità elevate non solo per amore alcolico,
ma anche e soprattutto per calmare i crampi della fame. In più il vino non
era mai servito schietto, bevanda che si addiceva solo alla celebrazione della
Messa ed ai medicinali per malati, ma miscelato con acqua o altre sostanze,
dolcificanti o purificatrici. Infatti, uno dei problemi più seri per quanto riguarda
l’alimentazione medioevale si riferisce soprattutto alla mancanza di acqua pura,
che spesso non era sempre a disposizione. Per questo motivo anche il solo fatto
di bere acqua poteva nascondere malattie intestinali, che con la scarsa disciplina
medica del tempo potevano essere potenzialmente micidiali. Anche l’acqua
quindi rientra nel novero dei prodotti matildizzabili, perché già allora costituiva
un elemento di primissima utilità ed importanza per l’alimentazione comune.
Stesso ragionamento per altre bevande quali i distillati di ogni tipologia ed
in particolare di noce, altro albero che dava cibo a volontà e che forniva una
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bevanda che, oltre ad essere gradevole al gusto, era un potente disinfettante ed
un medicinale. Legato alla conservazione della frutta sotto spirito e quindi delle
sciroppature, compaiono poi differenti prodotti, che ancora le razdore reggiane
sono in grado di preparare e che affondano le radici in un passato tanto lontano,
ma ancora molto vivo.
Risulterebbe inoltre molto importante soprattutto a livello commerciale per
sottolineare lo stretto legame correlante il territorio e le sue vicende storiche, fare
combaciare i prodotti stessi con leggende legate alla figura di Matilde di Canossa.
Il territorio reggiano è traboccante di leggende popolari, spesso senza alcun
fondamento storico, anzi molte volte anacronistiche e facilmente smontabili, ma
così radicate nell’immaginario collettivo tradizionale, da sembrare veritiere. Esse
vedono la Gran Contessa, risiedere ed avere palazzi un po’ ovunque, ristorarsi
con vini e bevande in diverse località, fabbricare torri, castelli e soprattutto
chiese in tutto il panorama reggiano. Aneddoti, spunti, particolarità, spesso
avvolti da un’aurea di mistero e romanticismo, che affiancate ad un prodotto
possono costituire quel valore aggiunto che il mercato richiede, per tipicizzare
sempre di più lo stesso.
6. PRODOTTI E AZIENDE “MATILDIZZABILI”
a) CONSERVE/MARMELLATE/CONDIMENTI *
A questa categoria appartengono aziende che producono e/o vendono:
conserve, marmellate, confetture, succhi di frutta, verdura sott’olio e sott’aceto,
condimenti vari, frutta sotto spirito e sciroppata:
° Coop. Agricola “Comunità Marta e Maria”di Giampellegrini S., via Maro 28, Castelnuovo
Monti.
° Azienda Agricola “Fattoria Rossi”, di Rossi Graziano, via G. Leopardi 18, Montecavolo.
° Agriturismo “Montebaducco” di Borghi Davide, via Boiardo 26, Salvarano di Quattro
Castella.
° Azienda Agricola “Antica Fattoria Caseificio Scalabrini”, via S. Michele 1, Bibbiano.
° Agriturismo “Corte dei Landi”, di Landini Raffaello, via Castello 33, Cadè.
° Azienda Agricola “Antico Podere Ferrari”, di Giovanardi Marzia, via O. Cigarini 2, Bagno.
° Azienda Agricola “Rota Paolo”, via Gabelli 12, Reggio Emilia.
° Agriturismo “Il Pozzo”, di Guizzardi Lino, via Fontana 17, Rubiera.
° Agriturismo “Il Casante” di Silvi Antonio, via S. Donnino La Costa 83, Carpineti.
° Azienda Agrituristica “La Valle dei Cavalieri” di Torri Dario, via Caduti 25 Novembre,
Ramiseto.
14
° Azienda Agrituristica “Bosco del Fracasso” via del Bosco del Fracasso 20, Pratissolo.
° Azienda Agrituristica “Corte Bebbi” di Morini Mazzoli Giorgio, via Spallanzani 119,
Bibbiano.
° Azienda Agricola “Antica Ghiacciaia” di Taroni Giacomo e Mario, via Montanara 7/A,
Fogliano.
° Azienda Agricola “Il Girasole di Bertacchini” di Bertacchini Luca, via Zappiano 5, Carpi.
° Agriturismo “Le Scuderie”, di Campani Tiziana, via S. Donnino 77, Carpineti.
° Azienda Agricola “Rossi Fratelli”, via Mandrio 1, Rio Saliceto.
° Azienda Agricola “Davide Gigli e Barbara Masini s.s”, via A. Benedetti 18/1, Villa Minozzo.
° Azienda Agricola “Magnanini Gianluca”, via Caprì 3, Rio Saliceto.
° Azienda Agricola “Malaspina Ervanno”, via Fossa Faiella 2, Correggio.
° Azienda Agricola “Goccini Ennio”, via Fazzano 65, Fazzano di Correggio.
° Azienda Agricola “Campo Alto” di Bondavalli Maura, via Fioravanti 8, S. Maurizio di Reggio E.
* Prodotti presenti in maniera massiccia ai tempi di Matilde di Canossa, dove in
assenza di tecniche di conservazione legate al freddo (ad eccezione dei nevai e
delle ghiacciaie che non sortivano effetti determinanti soprattutto in condizioni
climatiche estive), la trasformazione in marmellate, confetture e la conservazione
tramite aceto ed olio, erano le uniche possibilità di avere frutta e verdura fuori
stagione.
b) MIELE *
A questa categoria appartengono aziende che producono e/o vendono: miele di
differenti tipologie, pappa reale, propoli, polline, cera d’api, api regina.
° Azienda Agricola “L’Ape Linda” di Linda Chiletti, via Colatore 11 Casalgrande Alto (RE),
miele di diverse tipologie, propoli grezza, polline, cera d’api, api regine di razza ligustica.
° Azienda Agricola “Agnesini Mauro”, via Morandi 11, Vezzano sul Crostolo.
° Azienda Agricola “Montanari Enrichetta”, via del Casinazzo 16, Reggio Emilia.
° Azienda Agricola “La Casa delle Api” di Gherpelli Paolo, via Carpi 35, S. Martino in Rio,
miele di diverse tipologie, propoli grezza, polline, cera d’api.
° Azienda Agricola “Battini Ottavio”, via Asioli 7, Correggio.
° Azienda Agricola “Benati Ernesto”, via Cascina 24, Fabbrico.
° Azienda Agriapistica “La Natura” di Leuratti Agostino, via Pontone 113, Carpineti.
° Azienda Agrituristica “Rio delle Castagne” di Camagnoni S., via Bertolini 13/A, S. Giovanni di Q.
° Azienda Agricola Apistica “Al Begarol” di Bigliardi Marco, via Formigine 4/1, S. Tommaso
della Fossa, miele di diverse tipologie, propoli grezza, polline, cera d’api, api regine di razza
ligustica.
° Agriturismo “Mulino in Pietra”, di Caletti C. e Pinchiorri L., via Mulino di Leguigno 1,
Cortogno.
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° Coop Agricola “Comunità Marta e Maria”di Giampellegrini S., via Maro 28, Castelnuovo
Monti.
° Azienda Agricola “Fattoria Rossi”, di Rossi Graziano, via G. Leopardi 18, Montecavolo.
° Agriturismo “Montebaducco” di Borghi Davide, via Boiardo 26, Salvarano di Quattro
Castella.
° Azienda Agricola “Antica Fattoria Caseificio Scalabrini”, via S. Michele 1, Bibbiano.
° Agriturismo “Corte dei Landi”, di Landini Raffaello, via Castello 33, Cadè.
° Azienda Agricola “Antico Podere Ferrari”, di Giovanardi Marzia, via O. Cigarini 2, Bagno.
° Azienda Agricola “Rota Paolo”, via Gabelli 12, Reggio Emilia.
° Agriturismo “Il Pozzo”, di Guizzardi Lino, via Fontana 17, Rubiera.
° Azienda Agricola “Luppi Massimo”, Strada Provinciale Sud, S. Giovanni di Novellara.
° Azienda Agricola “Novelli”, via Roma c/o Consorzio Agrario, Novellara.
° Azienda Agricola “Rossi Fratelli”, via Mandrio 1, Rio Saliceto.
° Azienda Agricola “Davide Gigli e Barbara Masini s.s”, via A. Benedetti 18/1, Villa Minozzo.
° Agriturismo “Le Scuderie”, di Campani Tiziana, via S. Donnino 77, Carpineti.
° Azienda Agricola “Antica Ghiacciaia” di Taroni Giacomo e Mario, via Montanara 7/A,
Fogliano.
° Soc. Agricola “Venturini e Baldini” via Turati 42, Roncolo.
° Azienda Agrituristica “Valle Quinta” di Terzi Leo, via Valle Quinta, S. Girolamo di Guastalla.
° Azienda Agrituristica “La Razza”, di Zoboli Paolo, via Monterampino 6, Canali.
° Azienda Agrituristica “Cielo e Terra” di Giuliano Romano, via Colombaro 9, Rondinara.
° Agriturismo “Villabagno” di Bonacini Giordano, via Lasagni 29, Bagno.
* Il miele nel corso del Medioevo, ed in particolare nell’epoca matildica, era
molto ricercato e molto apprezzato, poiché praticamente era l’unico dolcificante
reperibile in maniera cospicua in natura e veniva utilizzato per fini gastronomici,
miscelato al vino, all’acqua e per terapie medicinali di vario genere.
c) LATTE FRESCO *
A questa categoria appartengono aziende che hanno apprestato distributori automatici presso la propria struttura o in punti strategici del territorio, per la
vendita del latte fresco.
° Azienda Agricola “Tincani Aldino”, di Tincani Mauro, via Radici Nord 12, Castellarano.
° Agriturismo “Montebaducco” di Borghi Davide, via Boiardo 26, Salvarano di Quattro
Castella. (Latte asina)
° Azienda Agricola “Antica Fattoria Caseificio Scalabrini”, via S. Michele 1, Bibbiano.
° Azienda Agricola “Podere Giardino” di Crotti Paolo, via Manzotti 7, Reggio Emilia.
° Azienda Agricola “Bismantova” di Valentini Luca, via Pregheffio, Castelnuovo Monti.
° Azienda Agricola “Rossi Fratelli”, via Mandrio 1, Rio Saliceto.
° Azienda Agricola “Novelli”, via Roma c/o Consorzio Agrario, Novellara.
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° Azienda Agricola “Canepari Massimo”, via per Casalgrande 38, Arceto.
° Azienda Agricola “Fondo Alba Rossa” di Salati Vincenzo, via Grisendi 35, Olmo di Gattatico.
° Azienda Agricola “La Falconara”, via Falconara 4, S. Ilario d’Enza.
° Azienda Agricola “Casale Carpi Farm”, di Carpi L. e G., via Ariosto 108, Bibbiano.
° Azienda Agricola “Elefanti Daniele e Agostino”, via Quarticello 6, Montecchio (yogurt, panna
cotta)
* Nonostante al tempo non esistessero naturalmente distributori, il latte fresco
era molto ricercato, in quanto forniva un ottimo ingrediente per la cucina,
un alimento molto nutriente in un periodo di fame atavica e si utilizzava per
preparazioni gastronomiche e mediche. Costituiva poi una vera rarità, in
quanto quasi tutto il quantitativo che si aveva a disposizione sul momento,
veniva trasformato in latticini ed altri derivati, soprattutto causa l’incapacità di
conservarlo.
d.1.) FORMAGGIO PARMIGIANO REGGIANO D.O.P. *
A questa categoria appartengono aziende che producono e/o vendono nei
propri spacci aziendali, formaggio Parmigiano Reggiano D.O.P.
° Agriturismo “Montebaducco” di Borghi Davide, via Boiardo 26, Salvarano di Quattro
Castella.
° Azienda Agricola “Antica Fattoria Caseificio Scalabrini”, via S. Michele 1, Bibbiano.
° Azienda Agricola “Podere Giardino” di Crotti Paolo, via Manzotti 7, Reggio Emilia
° Azienda Agricola “Bismantova” di Valentini Luca, via Pregheffio, Castelnuovo Monti.
° Azienda Agricola “Rossi Fratelli”, via Mandrio 1, Rio Saliceto.
° Azienda Agricola “Novelli”, via Roma c/o Consorzio Agrario, Novellara.
° Azienda Agricola “Spaggiari Lucia”, via Case Stantini 31, Villa Minozzo.
° Azienda Agricola “Fattoria Rossi”, di Rossi Graziano, via G. Leopardi 18, Montecavolo.
° Azienda Agricola “Antico Podere Ferrari”, di Giovanardi Marzia, via O. Cigarini 2, Bagno.
° Azienda Agrituristica “Rio Luceria” di Benelli Ferruccio, via Lenin 8, S. Polo d’Enza.
° Azienda Agrituristica “Franceschini e Tondelli”, di Franceschini U., via Dinazzano 69,
Correggio.
° Azienda Agricola “Ronzoni Mauro”, via Lazio 1, Reggio Emilia.
° Azienda Agricola “Il Cantone” di Benatti Stefano, via Cantone 5, S. Martino di Guastalla.
° Azienda Agricola “Toaldo”, via Vittoria 1, Novellara.
° Azienda Agrituristica “San Valentino” di Carobbi Emore, via Rontano 35, Castellarano.
° Azienda Agricola “Antica Ghiacciaia” di Taroni Giacomo e Mario, via Montanara 7/A,
Fogliano.
° Azienda Agrituristica “La Razza”, di Zoboli Paolo, via Monterampino 6, Canali.
° Azienda Agricola “Fattoria Fiori”, di Fiori Pier Paolo, via La Strada 22/A, Vetto.
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° Azienda Agricola “Caseificio Sociale del Parco”, di Dolci Martino, via Val Lonza, Ramiseto.
° Azienda Agricola “Bruno Codeluppi s.s.” di Codeluppi Tiziano, Strada Ca’Volpi 8, Piozzano.
° Azienda Agricola “Villa Ajola spa” di Bertani Giuseppe, Strada Ajola 17, Villa Ajola.
° Azienda Agricola “Bartoli Ivan – Le Valli”, Strada Le Valli, Novellara.
* Le prime testimonianze storiche relative al Parmigiano Reggiano sono di quasi
un secolo successive la morte di Matilde di Canossa, in quanto si trova menzione
di cascio parmigiano a partire dal tardo XII secolo, riferito ai grandi possedimenti
monastici posti nelle pianure di Parma (Frassinara) e Reggio Emilia (Gualtirolo).
Nonostante ciò essendo il Parmigiano Reggiano il prodotto tipico per eccellenza
riferito al territorio reggiano, si è valutato impossibile escluderlo dall’elenco dei
prodotti “matildizzabili”, anche perché espressione della grande tradizione
casearia reggiana, già operativa con ottimi risultati ai tempi matildici.
d. 2.) ALTRI FORMAGGI BOVINI E FORMAGGI OVICAPRINI *
A questa categoria appartengono aziende che producono e/o vendono formaggi
bovini o ovicaprini differenti dal Parmigiano Reggiano, quindi caciotte, yogurt,
formaggi freschi, formaggi stagionati, pecorino fresco e stagionato, burro ed
altri derivati del latte.
° Azienda Agricola “Antica Fattoria Caseificio Scalabrini”, via S. Michele 1, Bibbiano.
° Azienda Agricola “Podere Giardino” di Crotti Paolo, via Manzotti 7, Reggio Emilia.
° Azienda Agricola “Rossi Fratelli”, via Mandrio 1, Rio Saliceto.
° Azienda Agricola “Novelli”, via Roma c/o Consorzio Agrario, Novellara.
° Azienda Agricola “Spaggiari Lucia”, via Case Stantini 31, Villa Minozzo.
° Azienda Agricola “Fattoria Rossi”, di Rossi Graziano, via G. Leopardi 18, Montecavolo.
° Azienda Agricola “Antico Podere Ferrari”, di Giovanardi Marzia, via O. Cigarini 2, Bagno.
° Azienda Agrituristica “Rio Luceria” di Benelli Ferruccio, via Lenin 8, S. Polo d’Enza.
° Azienda Agrituristica “Franceschini e Tondelli”, di Franceschini U., via Dinazzano 69,
Correggio.
° Azienda Agricola “Ronzoni Mauro”, via Lazio 1, Reggio Emilia.
° Azienda Agricola “Toaldo”, via Vittoria 1, Novellara.
° Azienda Agricola “Antica Ghiacciaia” di Taroni Giacomo e Mario, via Montanara 7/A,
Fogliano.
° Azienda Agrituristica “La Razza”, di Zoboli Paolo, via Monterampino 6, Canali.
° Azienda Agricola “Fattoria Fiori”, di Fiori Pier Paolo, via La Strada 22/A, Vetto.
° Azienda Agricola “Caseificio Sociale del Parco”, di Dolci Martino, via Val Lonza, Ramiseto.
° Azienda Agricola “Bruno Codeluppi s.s.” di Codeluppi Tiziano, Strada Ca’Volpi 8, Piozzano.
° Azienda Agricola “Villa Ajola spa” di Bertani Giuseppe, Strada Ajola 17, Villa Ajola.
° Azienda Agrituristica “Al Ghet” di Tosi Maria, via Bassa 20, Casalgrande.
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° Azienda Agricola “El Ramicero” di Molinari Roberto, via Casello Vecchio 9, Roncaglio di
Casina.
° Azienda Agricola “Davide Gigli e Barbara Masini s.s”, via A. Benedetti 18/1, Villa Minozzo.
° Azienda Agrituristica “La Valle dei Cavalieri” di Torri Dario, via Caduti 25 Novembre,
Ramiseto.
° “Bragazzi Massimiliano”, Via Chiesa, Loc. Valbona.
° Azienda Agricola “Ribecco e De Biasi”, via Fariolo 80/1, Felina.
° Azienda Agrituristica “La Maestà” di Tarabelloni Silvia ed Alessia, Loc. Faieto di Casina.
° Azienda Agricola “Pascoli Alti” di Montipò M. e c. via S. Bartolomeo 1, Carniana, Villa
Minozzo.
* Formaggi di latte bovino, caprino, burro, ricotta ed altri derivati erano
popolarissimi al tempo, in quanto fornivano in pratica l’unico mezzo per
conservare un alimento fortemente deperibile quale il latte.
e. 1.) CARNE FRESCA DI BOVINO *
A questa categoria appartengono aziende che producono e/o vendono carne
fresca di bovino.
° Agriturismo “Il Casante” di Silvi Antonio, via S. Donnino La Costa 83, Carpineti.
° Azienda Agricola “Allevamento Chianina di Canossa” di Bigi M. ed U., via Banzola 2, Casina.
° Azienda Agricola “Benassi Ivan”, via Schiezza 4, Castelnuovo Monti.
° Azienda Agricola “Le Boccede”, di Zobbi Domenico, via Secchiello 32, Villa Minozzo.
° Azienda Agricola “Antico Podere Ferrari”, di Giovanardi Marzia, via O. Cigarini 2, Bagno.
° Azienda Agricola “Podere Giardino” di Crotti Paolo, via Manzotti 7, Reggio Emilia.
° Azienda Agricola “Il Cantone” di Benatti Stefano, via Cantone 5, S. Martino di Guastalla.
° Azienda Agricola “Toaldo”, via Vittoria 1, Novellara.
° Azienda Agricola “Cassinadri Ugo Giorgio”, via Vettigano 39, Rio Saliceto.
° Azienda Agricola “I Vedrizzi” di Bonini Giovanni, via M. R. Bertolini 13, S. Giovanni di
Querciola.
° Azienda Agricola “Guglielmi Paolo e Daniel”, via Montagnani 7, S. Maurizio di Reggio
Emilia.
° Azienda Agricola “Fondo Alba Rossa” di Salati Vincenzo, via Grisendi 35, Olmo di Gattatico.
° Azienda Agricola “Le Comunaglie” via Le Comunaglie 1, Cinquecerri, Castelnuovo Monti.
* Anche se non rappresentava la tipologia di carne più amata dalle tavole
medioevali, in quanto i nobili preferivano la cacciagione ed i poveri non
mangiavano carne, il bovino era apprezzato e consumato soprattutto quando
aveva portato a termine la sua missione di trattore del tempo. Infatti dopo avere
arato e dissodato i campi e prodotto latte, una volta diventato non più produttivo,
19
si poteva macellare. A tale fine occorreva un animale che desse il giusto rapporto
tra tiro/latte/carne, rapporto risolto nella maniera migliore dalla vacca rossa
reggiana, di cui si parla già in documenti medioevali quasi coevi a Matilde.
e. 2.) CARNE FRESCA DI SUINO E SALUMI *
A questa categoria appartengono aziende che producono e/o vendono carne
fresca di suino, insaccati freschi e stagionati, ed altre tipologie di prodotti derivati
dalla lavorazione del maiale.
° Azienda Agricola “Fattoria Rossi”, di Rossi Graziano, via G. Leopardi 18, Montecavolo.
° Azienda Agricola “Toaldo”, via Vittoria 1, Novellara.
° Azienda Agricola “Antico Podere Ferrari”, di Giovanardi Marzia, via O. Cigarini 2, Bagno.
° Agriturismo “Il Pozzo”, di Guizzardi Lino, via Fontana 17, Rubiera.
° Azienda Agricola “Podere Giardino” di Crotti Paolo, via Manzotti 7, Reggio Emilia.
° Azienda Agrituristica “La Razza”, di Zoboli Paolo, via Monterampino 6, Canali.
° Azienda Agricola “Antica Ghiacciaia” di Taroni Giacomo e Mario, via Montanara 7/A,
Fogliano.
° Azienda Agricola “I Vedrizzi” di Bonini Giovanni, via M.R. Bertolini 13, S. Giovanni di
Querciola.
° Azienda Agricola “Il Girasole di Bertacchini” di Bertacchini Luca, via Zappiano 5, Carpi.
° Agriturismo “Le Scuderie”, di Campani Tiziana, via S. Donnino 77, Carpineti.
° Azienda Agricola “Ronzoni Mauro”, via Lazio 1, Reggio Emilia.
° Azienda Agricola “Rossi Fratelli”, via Mandrio 1, Rio Saliceto.
° Azienda Agrituristica “Rio Luceria” di Benelli Ferruccio, via Lenin 8, S. Polo d’Enza.
° Azienda Agricola “Il Grifo” di Bonacini Giorgio, via Lasagni 29, Bagno.
° Azienda Agrituristica “La Valle dei Cavalieri” di Torri Dario, via Caduti 25 Novembre,
Ramiseto.
° Salumificio Pavesi, Loc. Brugna, Casina.
° Salumificio “Bonini s.n.c.”, via Campanile 4/1, Sarzano di Casina.
° Salumificio “Boni Dante e figli”, Loc. Croce, Castelnovo nè Monti.
° Salumificio “MAER” di Guiducci Pietrino William e c., via Fiume 8, Toano.
° Salumificio “Zanelli Fabrizio”, via F.lli Kennedy 44, Felina.
* Con ogni probabilità è l’elemento matildizzabile per eccellenza, in quanto
l’allevamento, la lavorazione ed il consumo della carne suina, costituivano
l’elemento principe dell’economia rurale al tempo matildico. La cultura del suino,
importata in Emilia dalle popolazioni longobarde intorno al VI secolo dopo
Cristo, nel corso del Medioevo raggiungono un livello qualitativo e quantitativo
eccellente. L’arte norcina si specializza sempre di più cercando di ovviare, con
la creazione di insaccati e prodotti particolari, al problema della conservazione.
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Il suino compare sulle tavole delle persone più abbienti in maniera imponente
e sotto differenti tipologie, entrando al primo posto di diritto nell’economia
curtense emiliana.
e. 3.) ANIMALI DI BASSA CORTE *
A questa categoria appartengono aziende che producono e/o vendono carne di
animali di bassa corte, quali galline, polli, conigli, anatre, oche…
° Azienda Agrituristica “La Valle dei Cavalieri” di Torri Dario, via Caduti 25 Novembre,
Ramiseto.
° Azienda Agricola “I Vedrizzi” di Bonini Giovanni, via M. R. Bertolini 13, S. Giovanni di
Querciola.
° Azienda Agricola “El Ramicero” di Molinari Roberto, via Casello Vecchio 9, Roncaglio di
Casina.
* Galline, polli, conigli, anatre, oche egli altri animali di bassa corte avevano un
ruolo primario nell’economia del uomo medioevale. Essi erano allevati con cura
vicino a casa nei “chiusi”, nominativo fortemente presente nella toponomastica
locale, per evitare ruberie e furti. A livello gastronomico la loro carne, in
particolare quella bianca era molto apprezzata, in quanto veniva preferita per
i giorni di magro (essendo bianca), nei quali non si poteva mangiare carne
rossa. Avevano poi un ruolo importantissimo nel farcire i ripieni di animali più
grandi.
e. 4.) SELVAGGINA*
A questa categoria appartiene un’azienda che offre all’acquirente selvaggina
proveniente dalla propria azienda venatoria, quali lepri, fagiani, pernici…
° Azienda Agrituristica “San Valentino” di Carobbi Emore, via Rontano 35, Castellarano.
* Elemento principe della cucina medioevale, vero e proprio status symbol. Il
nobile, o la persona abbiente è costretto dall’etichetta del tempo a mangiare
in quantità esagerata selvaggina, cacciata da lui stesso in cacce che sono veri e
propri esercizi di guerra. La cacciagione (daini, caprioli, cervi, cinghiali, orsi,
lepri, fagiani, pernici e l’apprezzatissimo francolino), era un vero e proprio
21
obbligo, tanto che la stessa Matilde di Canossa, come del resto Carlo Magno,
moriranno di gotta, provocata dall’eccessivo consumo di questo alimento. Tali
animali erano poi cacciati nelle grandi selve signorili, dove il povero non poteva
cacciare e che hanno lasciato molteplici refusi nella toponomastica locale, nei
toponimi, banno, bandita.
e. 5.) CARNE DI BUFALO (carne/salumi) *
A questa categoria appartiene un’azienda che produce e/o vende carne fresca
ed insaccati di bufalo.
° Azienda Agricola “Il Girasole” di Govi Luciano, via Melato 19, Borzano di Albinea.
* Il bufalo che all’apparenza non sembrerebbe un animale locale, in realtà viene
importato in Emilia dal re dei Longobardi Alboino, durante la sua prima venuta
in Italia, alla fine del VI secolo dopo Cristo. L’abitudine di mangiare la carne
di questo animale, nonostante qualche difficoltà iniziale, avrà il suo massimo
riconoscimento in epoca Rinascimentale, nei grandi banchetti, dove la lingua
salata, si presentava come pietanza immancabile del servizio freddo di credenza.
Essendo un animale d’acqua, la sua carne era molto apprezzata anche perché
secondo i canoni della medicina galenica in voga al tempo (il corpo è formato
dall’equilibrio dei quattro fluidi corporali vitali bile gialla, bile nera, sangue e
flegma), poiché rossa e quindi calda e secca, miscelata con acqua e quindi umida
e fredda.
e. 6.) CARNE DI ASINI/SOMARI/MULI*
(carne/salumi/latticini/cosmetici)
A questa categoria appartiene un’azienda che produce e/o vende carne di asino
e somaro, insaccati, latte d’asina, formaggio di asina e differenti latticini, oltre
che cosmetici preparati tramite la lavorazione del latte.
° Agriturismo “Montebaducco” di Borghi Davide, via Boiardo 26, Salvarano di Quattro
Castella.
* L’asino, il mulo, ed il somaro, erano presenti nella vita medioevale, soprattutto
utilizzato come animali da soma, in grado di svolgere importanti funzioni di
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trasporto. La loro carne veniva utilizzata al termine del loro ciclo vitale. Caso
diverso invece per quanto riguarda il latte d’asina, ricercatissimo elemento della
farmacopea popolare, di tradizione antica classicheggiante, (il mito di Poppea
che faceva il bagno in quel liquido per rimanere giovane era molto conosciuto in
epoca medioevale), soprattutto utilizzato per fini cosmetici e per sanare alcune
malattie.
e. 7.) CARNE DI OVICAPRINI *
A questa categoria appartengono aziende che producono e/o vendono carne
di ovicaprini.
° Azienda Agrituristica “La Valle dei Cavalieri” di Torri Dario, via Caduti 25 Novembre,
Ramiseto.
° Azienda Agrituristica “La Maestà” di Tarabelloni Silvia ed Alessia, Loc. Faieto di Casina.
* L’allevamento ovicaprino era molto diffuso in epoca medioevale, grazie
all’alta adattabilità di questi animali anche a situazioni ed ad ambienti ostili.
La carne veniva utilizzata in quantità ed anche e soprattutto il latte, che veniva
trasformato in formaggi di differenti tipologie. Il caprone poi era guardato con
molto sospetto, poiché già al tempo aveva assunto quei connotati negativi che lo
legavano al Sabba delle streghe ed alla figura di Satana.
f) TROTICOLTURA *
A questa categoria appartiene un’azienda che produce e/o vende trote ed altri
pesci di acqua dolce.
° Troticoltura “Alta Val Secchia Srl” di Pier Paolo Gibertoni, via Porali 1/A, Collagna.
* La pesca d’acqua dolce nel territorio matildico aveva un ruolo importantissimo,
in quanto forniva un alimento che era consumato in grandi quantità sulle tavole.
Ogni tipo di pesce veniva pescato nei pescosi corsi d’acqua del tempo, fornendo
la pietanza tipica dei giorni di magro, nei quali non si poteva mangiare carne.
La tradizione ci parla di trote, barbi, delle preziose anguille e degli enormi lucci
pescati nel Po, talmente grandi da alimentare leggende.
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g) CHIOCCIOLE *
A questa categoria appartiene un’azienda che produce e/o vende chiocciole da
tavola.
° Azienda Agricola “Ca’ Ferrari” di Melotti Mauro, Loc. Ca’Ferrari, Busana.
* Il consumo di chiocciole e lumache era molto elevato in epoca medioevale
derivato dall’epoca antica. La lumaca rappresentava un cibo popolare, che tutti
potevano raccogliere e consumare in diverse tipologie di preparazioni. Nelle
tavole ricche la sua carne era molto apprezzata come cibo da magro, affiancato
a pesce e rane.
h) VINI BIANCHI E ROSSI *
A questa categoria appartengono aziende che producono e/o vendono vini
bianchi e rossi di differenti tipologie, vini in barrique, oltre a liquori e distillati
di ogni tipo.
° Azienda Agrituristica “La Razza”, di Zoboli Paolo, via Monterampino 6, Canali.
° Azienda Agrituristica “Cielo e Terra” di Giuliano Romano, via Colombaro 9 Rondinara.
° Agriturismo “Il Pozzo”, di Guizzardi Lino, via Fontana 17, Rubiera. (liquori)
° Agriturismo “Le Scuderie”, di Campani Tiziana, via S. Donnino 77, Carpineti.
° Azienda Agrituristica “Rio Luceria” di Benelli Ferruccio, via Lenin 8, S. Polo d’Enza.
° Agriturismo “Mulino in Pietra”, di Caletti C. e Pinchiorri L., via Mulino di Leguigno 1, Cortogno.
° Agriturismo “Corte dei Landi”, di Landini Raffaello, via Castello 33, Cadè. (liquori)
° Azienda Agrituristica “San Valentino” di Carobbi Emore, via Rontano 35, Castellarano.
° Azienda Agricola “Spaggiari Lucia”, via Case Stantini 31, Villa Minozzo.
° Azienda Agrituristica “Il Colombo” di Rossi Giovanni, via Carletti 46/48, Correggio.
° Azienda Agrituristica “Il Bove” di Meglioli Lorenzo, via Salimbene da Parma 115, Sesso.
° Azienda Agrituristica “Ca’ di Ferra”, di Ferraboschi Fausto, via S. Faustino 31, Rubiera.
° Azienda Agricola “Reggiana”, di Ferrari Milena, via E. Zacconi 22/A, Borzano di Albinea.
° Azienda Agricola “Fattoria Rossi”, di Rossi Graziano, via G. Leopardi 18, Montecavolo.
° Azienda Agricola “Nobili Carlo” di Nobili Andrea, via Rivasi 38, Calerno di S. Ilario d’Enza.
° Azienda Agricola “Il Girasole di Bertacchini” di Bertacchini Luca, via Zappiano 5, Carpi.
° Azienda Agricola “Talami Virginio”, via S. Prospero 42, Correggio.
° Soc. Agricola “Venturini e Baldini” via Turati 42, Roncolo.
° Azienda Agricola “Antica Ghiacciaia” di Taroni Giacomo e Mario, via Montanara 7/A, Fogliano.
° Azienda Agricola “Il Moro” di Rinaldini Paola, via A. Rivasi, Calerno.
° Azienda Agrituristica “San Valentino” di Carobbi Emore, via Rontano 35, Castellarano.
° Azienda Agricola “Il Ghiardello”, via Settembrini 28, Canali.
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° Azienda Agricola “Lombardini Franco”, via Reatino 23, Novellara.
° Azienda Agricola “Ronzoni Mauro”, via Lazio 1, Reggio Emilia.
° Azienda Agricola “Antico Podere Ferrari”, di Giovanardi Marzia, via O. Cigarini 2, Bagno.
° Azienda Agricola “Zuelli Luciano”, via Fossa Ronchi 25, Budrio di Correggio.
° Azienda Agricola “I Vedrizzi” di Bonini Giovanni, via M. R. Bertolini 13, S. Giovanni di Querciola.
° Azienda Agricola “Bartoli Ivan – Le Valli”, Strada Le Valli, Novellara.
° Azienda Agricola “Gaetano Luciani”, via Viazzone 1, Luzzara.
° Azienda Agricola “Ca’ de Noci”, di Masini G. e A., via F.lli Bandiera 1/2, Quattro Castella. (liquore)
° Azienda Agricola “Cantine Fantesini”, di Fantesini C. e C., via Franchetti 35, Bibbiano.
° Azienda Agricola “Corte Alta”, di Gabbi Ivana, Strada Mulino Lombardi 7, Montecchio Emilia.
° Azienda Agricola “Tenuta La Piccola”, di Fontana Giuseppe, via Casoni 3, Montecchio E. (barrique)
° Azienda Agricola “Agricola Ronzoni”, di Ronzoni Giancarlo, via Armani 9, Massenzatico.
° Azienda Agricola “Galeotti Luigi”, via F.lli Beltrami 4, Rivalta.
° Azienda Agricola “Contessina”, di Bentivogli Adriana, via Scarduini 12, Bagno.
° Azienda Agricola “Casalpriore”, di Ronzoni Gabriele, via Quattro Vie, Stiolo di S. Martino in Rio.
° Azienda Agricola “Vezzani” di Vezzani Stefano, via Geminiola 4, Correggio.
° Azienda Agricola “Boron Giuseppe”, via Ghidozzo 1, Poviglio.
° Azienda Agricola “Amilcare Alberici” via Casaleone 10, Boretto.
° Azienda Agricola “Cottafavi Vittorio”, via Grande 31, Campagnola Emilia.
° Azienda Agricola “Tenuta di Aljano s.s” di Ferioli Marco, via Figno 1, Iano di Scandiano.
° Azienda Agricola “Rossi Cristina” via Valle 38, Novellara.
° Azienda Agricola “Carnevali Vini”, via Araldi 13, S. Faustino di Rubiera.
° Azienda Agricola “Guglielmi Paolo e Daniel”, via Montagnani 7, S. Maurizio di Reggio Emilia.
* Il vino rappresenta un altro prodotto tipico altamente presente sulle tavole
medioevali, in quantità e qualità importanti. Il vino era un vero e proprio alimento,
in quanto sopperiva alla mancanza di elementi nutritivi nella scarsa mensa dei
meno abbienti, mentre rappresentava come la selvaggina un elemento di potere
sulle tavole signorili. Il potente doveva bere molto vino, spesso era annacquato
o miscelato con altri ingredienti, quali miele, resine e sciroppi. Il sapore era
totalmente diverso da quello attuale, mentre per quanto riguarda le tipologie,
si può affermare che di vite labrusca se ne parla già in epoca etrusca, mentre per
quanto riguarda il bianco, grandi vitigni di uve che producevano vino bianco
erano presenti grazie a testimonianze storiche nelle prime colline reggiane già in
epoca matildica. Argomento a parte per quanto riguarda i liquori, i distillati e gli
sciroppi, che avevano un ruolo importantissimo, soprattutto per quanto riguarda
il mondo della farmacopea popolare, quali ottimi disinfettanti ed anestetici in
caso di forti dolori. Venivano prodotti liquori con bacche di noce, lauro, ginepro,
sambuca e molti altri, preparati secondo tradizioni antichissime e rituali al limite
della magia.
25
j) ACETAIE MOSTI COTTI E CONDIMENTI *
A questa categoria appartengono aziende che producono e/o vendono Aceto
Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia, mosto cotto e condimenti balsamici.
° Azienda Agricola “Acetaia Lucenti”, di Lucenti Nando, via Serraglio 11, Roteglia.
° Azienda Agricola “Reggiana”, di Ferrari Milena, via E. Zacconi 22/A, Borzano di Albinea.
° Azienda Agricola “Fattoria Rossi”, di Rossi Graziano, via G. Leopardi 18, Montecavolo.
° Azienda Agricola “Antica Fattoria Caseificio Scalabrini”, via S. Michele 1, Bibbiano.
° Azienda Agricola “Nobili Carlo”, di Nobili Andrea, via Rivasi 38, Calerno di S. Ilario d’Enza.
° Azienda Agricola “Il Girasole di Bertacchini”, di Bertacchini Luca, via Zappiano 5, Carpi.
° Azienda Agricola “Talami Virginio”, via S. Prospero 42, Correggio.
° Azienda Agrituristica “La Razza”, di Zoboli Paolo, via Monterampino 6, Canali.
° Soc. Agricola “Venturini e Baldini” via Turati 42, Roncolo.
° Azienda Agrituristica “Valle Quinta” di Terzi Leo, via Valle Quinta, S. Girolamo di Guastalla.
° Azienda Agricola “Antica Ghiacciaia” di Taroni Giacomo e Mario, via Montanara 7/A, Fogliano.
° Azienda Agricola “Podere i Conti della Mutilena” di Porfilio Gabriele, via A. Volta 39, Reggio E.
° Azienda Agricola “Il Moro” di Rinaldini Paola, via A. Rivasi, Calerno.
° Azienda Agricola “Settelune” di Zanazzi Manuela, via R. da Corniano 32, Bibbiano.
° Azienda Agrituristica “San Valentino” di Carobbi Emore, via Rontano 35, Castellarano.
° Azienda Agrituristica “Il Cavazzone” di Sidoli Giovanni, via Cavazzone 4, Regnano.
° Azienda Agricola “Il Ghiardello”, via Settembrini 28, Canali.
° Azienda Agricola “Bonacini Denis”, via Vettigano 24, Rio Saliceto.
° Azienda Agricola “Lombardini Franco”, via Reatino 23, Novellara.
° Azienda Agricola “L’Amaina” di Amaini Claudio, via Campagnola 25/b, Correggio.
° Acetaia “Il Vascello del Monsignore”, via Cadisotto 5, Cervarezza.
* Per quanto riguarda l’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia, si
può affermare che sia il prodotto matildizzabile per eccellenza, in quanto di
questo ne parla Donizone, biografo contemporaneo di Matilde, nel poema
che racconta la sua vita, la Vita Mathildis. In verità Donizone parla di un aceto
che viene invecchiato nel solaio della rocca di Canossa, riferendolo ad un
episodio precedente la nascita di Matilde, nel quale l’imperatore di Germania
lo manda a richiedere a Bonifacio, padre di Matilde. Non si parla di Balsamico,
poiché di tale preparazione si inizia a trovare traccia storica a partire dal
Settecento, riferito a quello ducale estense. In realtà l’aceto è un condimento
principe nell’alimentazione medioevale, in quanto mitiga i sapori forti e svolge
un’importantissima funzione disinfettante. Aveva poi il ruolo di primo piano di
favorire il gusto agrodolce, prediletto nella cucina medioevale e rinascimentale.
26
k) UOVA *
A questa categoria appartengono aziende che producono e/o vendono uova di
gallina.
° Azienda Agricola “Antico Podere Ferrari”, di Giovanardi Marzia, via O. Cigarini 2, Bagno.
° Azienda Agricola “Rossi Fratelli”, via Mandrio 1, Rio Saliceto.
° Azienda Agricola “Alberti Tamara” di Marani W., via Giarola 29, Cinquecerri, Castelnuovo Monti.
° Azienda Agricola “Uberto Righi”, via Roma 151, S. Martino in Rio.
° Azienda Agricola “Montegrappa”, di Gherpelli Francesco, via Gazzata 6/A, Prato di
Correggio.
* Le uova erano un ingrediente molto utilizzato nella cucina medioevale, in
quanto erano alla base di preparazioni quali la pasta, le torte, gli sfarinati, che
affiancavano le pietanze da grasso e da magro.
i) PASTA FRESCA/FARINE/CEREALI *
A questa categoria appartengono aziende che producono e/o vendono pasta
fresca, pasta secca, farina di cereali di differenti tipologie, cereali sfusi.
° Azienda Agricola “Antico Podere Ferrari”, di Giovanardi Marzia, via O. Cigarini 2, Bagno.
° Agriturismo “Montebaducco” di Borghi Davide, via Boiardo 26, Salvarano di Quattro
Castella.
° Azienda Agricola “Antica Fattoria Caseificio Scalabrini”, via S. Michele 1, Bibbiano.
° Azienda Agricola “Bismantova” di Valentini Luca, via Pregheffio, Castelnuovo Monti.
° Azienda Agricola “I Vedrizzi” di Bonini Giovanni, via M. R. Bertolini 13, S. Giovanni di
Querciola.
° Azienda Agrituristica “Cielo e Terra” di Giuliano Romano, via Colombaro 9, Rondinara.
° Azienda Agricola “Zuelli Luciano”, via Fossa Ronchi 25, Budrio di Correggio.
° Azienda Agricola “Beltrami Gianpaolo”, via Frassinara 16, Cognento di Campagnola Emilia.
° Azienda Agricola “Gaetano Luciani”, via Viazzone 1, Luzzara.
° “Molino Susini”, Via Matteotti 21, Casina.
* Pasta fresca, cereali, farine di ogni tipo erano un ingrediente immancabile per
quanto riguarda l’alimentazione medievale, soprattutto utilizzati per contenere
altri alimenti o uniti ad altri. Di lasagne (la maggior parte della pasta fresca
veniva chiamata così) se ne parla già in epoca molto antica, come di minestre e di
zuppe di cereali che fornivano la basa della puls delle coorti romane e l’elemento
principe delle minestre medioevali di ogni ordine e grado.
27
l) BISCOTTI E PRODOTTI DOLCIARI *
A questa categoria appartengono aziende che producono e/o vendono biscotti
e prodotti dolciari di differenti tipologie e diversi ingredienti.
° Azienda Agricola “Bismantova” di Valentini Luca, via Pregheffio, Castelnuovo Monti.
° “Agroalimentari Cervarezza scrl”, via Frassineto 12, Cervarezza.
* I prodotti dolciari di ogni tipologia erano molto conosciuti ed apprezzati
durante il Medioevo. Diverse tipicità della cultura gastronomica reggiana, dalla
spongata alla ciambella, hanno i loro antenati in preparazioni dei tempi matildici.
Biscotti, torte e pandolci costituivano un’ottima pietanza dei servizi freddi di
credenza, spesso miscelati con confetture, marmellate e miele, che insaporivano
il preparato e soprattutto lo rendevano più morbido alla masticazione.
m. 1.) FRUTTA *
A questa categoria appartengono aziende che producono e/o vendono frutta
fresca di diverse tipologie (amarene, duroni, ciliegie, mele, cocomeri, prugne,
meloni, pesche, fragole, albicocche, uva, fichi, susine).
° Azienda Agricola “Taurasi Vittorio”, via Muraglione 3/A, Baiso.
° Coop. Agri. “Comunità Marta e Maria”di Giampellegrini Simone, via Maro 28, Castelnuovo
Monti.
° Azienda Agricola “Bellavista” di Casini Rita, via Mattaiano 7, Borzano di Albinea.
° Azienda Agrituristica “Al Ghet” di Tosi Maria, via Bassa 20, Casalgrande.
° Azienda Agricola “Mazzacani Aldino”, via Canalazzo 43/c, Casalgrande.
° Azienda Agricola “Nizzoli Enzo”, Viottolo Peloso 18, Salvaterra.
° Azienda Agricola “Romani Aldino”, via Canalazzo 41, Casalgrande.
° Azienda Agricola “Bertoldi Edda”, via Per Reggio 23, Scandiano.
° Azienda Agricola “Dallari Anna Rosa”, via Per Casalgrande 39, Arceto.
° Azienda Agricola “Zambelli Andrea”, via Per Reggio 48/A, Arceto.
° Azienda Agricola “Antico Podere Ferrari”, di Giovanardi Marzia, via O. Cigarini 2, Bagno.
° Azienda Agricola “Contessina”, di Bentivogli Adriana, via Scarduini 12, Bagno.
° Azienda Agricola “Rota Paolo”, via Gabelli 12, Reggio Emilia.
° Azienda Agricola “Carnevali Paolo”, via Canale dell’Erba 49, S. Agata di Rubiera.
° Azienda Agricola “Ortonatura Stiolo”, di Dall’Aglio A., via Stradone 14, Stiolo di S. Martino in Rio.
° Azienda Agricola “Turini Engher”, via Facci 24, S. Martino in Rio.
° Azienda Agricola “Magnani Ermanna”, via Stradone 43, Stiolo di S. Martino in Rio.
° Azienda Agricola “Saccani Adriano”, via Gabella 13, Cadelbosco Sopra.
28
° Azienda Agricola “Scarlassara Natalino”, via L. da Vinci 114, Cadelbosco Sopra.
° Azienda Agricola “Zani Marino”, via Mazzini 192, Argine di Cadelbosco di Sopra.
° Azienda Agricola “Bernasconi Carretti Adrasto”, via Cesis 6, Correggio.
° Azienda Agricola “Del Bue Massimo”, via Fornacelle 22, Correggio.
° Azienda Agricola “Ferrante Emanuela”, via Stradella 21, Correggio.
° Azienda Agricola “Lodi Romano”, via Frassinara 7, Correggio.
° Azienda Agricola “Leoni Guido”, via Fornacelle 7, Correggio.
° Azienda Agricola “Malaspina Ervanno”, via Fossa Faiella 2, Correggio.
° Azienda Agricola “Messori Luca”, via Fossa Ronchi 8, Correggio.
° Azienda Agricola “Bartoli Olmerina”, di Campedelli L., via D. Mazzolari 18, Campagnola Emilia.
° Azienda Agricola “Zuelli Luciano”, via Fossa Ronchi 25, Budrio di Correggio.
° Azienda Agricola “Mainente Grazia”, via Abbazia 15, Campagnola Emilia.
° Azienda Agricola “Bartoli Ivan – Le Valli”, Strada Le Valli, Novellara.
° Azienda Agricola “Luppi Massimo”, Str. Provinciale Sud, S. Giovanni di Novellara.
° Azienda Agricola “Zarantonello Pierluigi e Paolo”, via De Nicola, Novellara.
° Azienda Agricola “Carpi Renzo”, via Gruara 115, Poviglio.
° Azienda Agricola “Ciasullo Ennio”, via Guastalla 1, Rio Saliceto.
° Azienda Agricola “Lanzoni Ader”, via S. Lodovico 87, Rio Saliceto.
° Azienda Agricola “Magnanini Gianluca”, via Caprì 3, Rio Saliceto.
° Azienda Agricola “Zaccarelli Dimero”, via Morandi 8, Rio Saliceto.
° Azienda Agricola “Rossi Fratelli”, via Mandrio 1, Rio Saliceto.
° Azienda Agricola “La Ca’”, di Pignedoli Paolo, via Monchio 12, Felina.
° Azienda Agricola “I Vedrizzi” di Bonini Giovanni, via M. R. Bertolini 13, S. Giovanni di Querciola.
° Azienda Agricola “Campo Alto” di Bondavalli Maura, via Fioravanti 8, S. Maurizio di Reggio E.
° Azienda Agricola “Corte Storchia”, di Trivellato Dina, via G. La Pira 2, Luzzara.
° Azienda Agricola “Gaetano Luciani”, via Viazzone 1, Luzzara.
° Azienda Agricola “Brunelli Angiolino”, via Lunga 10, Correggio.
° Azienda Agrituristica “Antica Golena” di Boschi Cristina, via Bosco 3, Guastalla.
° Azienda Agrituristica “Il Colombo” di Rossi Giovanni, via Carletti 46/48, Correggio.
° Agriturismo “Villabagno” di Bonacini Giordano, via Lasagni 29, Bagno.
° Soc. Agricola “La Libertà”, via Ospedaletto 6, Loc. S. Vittoria di Gualtieri.
° Azienda Agricola “La Palazzina”, di Guarienti Marco, via C. Battisti 17, Gualtieri.
° Azienda Agricola “Benassi Gianni e Silvano”, via Naviglietto di Sotto 1, Mandrio di Correggio.
* La frutta fresca compariva in quantità e qualità importanti sulle tavole medioevali
qualora la stagione e soprattutto il grande problema della conservabilità lo
permettevano. Già il Capitulare de Villis di Carlo Magno del IX secolo redigeva
in forma scritta e sottoforma di legge le piante che dovevano essere coltivate in
un’azienda curtense regia, incentrando l’economia sulle differenti cultivar che
permettevano di avere frutta in momenti diversi della stagione. La medicina
galenica guardava con sospetto alla frutta ritenuta troppo ricca d’acqua e troppo
fredda, quindi andava consumata con moderazione.
29
m. 2) CASTAGNE *
A questa categoria appartengono aziende che producono e/o vendono castagne,
marroni, farine e composte e marmellate.
° Azienda Agricola “Le Comunaglie” via Le Comunaglie 1, Cinquecerri, Castelnuovo Monti.
° Azienda Agricola “Ferrarini Zeno”, via Monchio 16, Felina.
° Azienda Agricola “Salimbeni Venturi” di Salimbeni Venturi Danilo, via D. Alighieri 31, Marola.
° Azienda Agricola “Ca’ Barucca” di Zanelli Fabrizio, via Teppe 52, Felina.
° Azienda Agricola “Guidetti Giampiero”, via Casalecchio 1, Vetto.
° Consorzio Castanicoltori dell’Appennino Reggiano, via Crispi 23, Carpineti.
* Proprio la castagna entra di diritto nel panorama matildico della provincia
reggiana. Infatti la tradizione ricorda che fu la stessa Matilde ad importare
la coltivazione di tale pianta per le popolazioni della montagna, le quali non
avevano di che cibarsi per la povertà del loro territorio. I castagneti invasero i
monti ed ancora ora sono in numero elevato in molte parti della provincia di
Reggio Emilia, ed in particolare nella zona di Marola, altro territorio fortemente
matildico, con la nota abbazia creata grazie al volere della Gran Contessa per
sdebitarsi con l’Eremita Pietro di Marola, che l’aveva consigliata nella maniera
corretta durante la guerra con Enrico IV. Ogni mezzo era utilizzato per
consumare le castagne, sia sotto forma di farina, bollite, arrosto.
m. 3) MIRTILLI *
A questa categoria appartiene un’azienda che produce e vende mirtilli e prodotti
del sottobosco:
° Cooperativa “Val d’Ozola”, via al Frassine 8, Ligonchio.
* I mirtilli ed i prodotti del sottobosco erano consumati in grande quantità, in
quanto erano un cibo alla portata di tutti e sempre presente in quella grande
dispensa a cielo aperto costituita dal bosco.
n) ORTAGGI *
A questa categoria appartengono aziende che producono e/o vendono ortaggi e
verdure di campo, quali (fagioli, zucchine, insalata, aglio, cipolle, carote, zucche,
cavoli, verze, legumi, bietole, scalogno…).
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° Azienda Agricola “Taurasi Vittorio”, via Muraglione 3/A, Baiso.
° Coop. Agri. “Comunità Marta e Maria”di Giampellegrini Simone, via Maro 28, Castelnuovo Monti.
° Azienda Agrituristica “Al Ghet” di Tosi Maria, via Bassa 20, Casalgrande.
° Azienda Agricola “Mazzacani Aldino”, via Canalazzo 43/c, Casalgrande.
° Azienda Agricola “Dallari Anna Rosa”, via Per Casalgrande 39, Arceto.
° Azienda Agricola “Zambelli Andrea”, via Per Reggio 48/A, Arceto.
° Azienda Agricola “Antico Podere Ferrari”, di Giovanardi Marzia, via O. Cigarini 2, Bagno.
° Azienda Agricola “Contessina”, di Bentivogli Adriana, via Scarduini 12, Bagno.
° Azienda Agricola “Rota Paolo”, via Gabelli 12, Reggio Emilia.
° Azienda Agricola “Ortonatura Stiolo”, di Dall’Aglio A., via Stradone 14, Stiolo di S. Martino in Rio.
° Azienda Agricola “Turini Engher”, via Facci 24, S. Martino in Rio.
° Azienda Agricola “Magnani Ermanna”, via Stradone 43, Stiolo di S. Martino in Rio.
° Azienda Agricola “Zani Marino”, via Mazzini 192, Argine di Cadelbosco di Sopra.
° Azienda Agricola “Del Bue Massimo”, via Fornacelle 22, Correggio.
° Azienda Agricola “Malaspina Ervanno”, via Fossa Faiella 2, Correggio.
° Azienda Agricola “Bartoli Olmerina”, di Campedelli L., via D. Mazzolari 18, Campagnola Emilia.
° Azienda Agricola “Zuelli Luciano”, via Fossa Ronchi 25, Budrio di Correggio.
° Azienda Agricola “Mainente Grazia”, via Abbazia 15, Campagnola Emilia.
° Azienda Agricola “Bartoli Ivan – Le Valli”, Strada Le Valli, Novellara.
° Azienda Agricola “Luppi Massimo”, Str. Provinciale Sud, S. Giovanni di Novellara.
° Azienda Agricola “Zarantonello Pierluigi e Paolo”, via De Nicola, Novellara.
° Azienda Agricola “Carpi Renzo”, via Gruara 115, Poviglio.
° Azienda Agricola “Ciasullo Ennio”, via Guastalla 1, Rio Saliceto.
° Azienda Agricola “Magnanini Gianluca”, via Caprì 3, Rio Saliceto.
° Azienda Agricola “Zaccarelli Dimero”, via Morandi 8, Rio Saliceto.
° Azienda Agricola “La Ca’”, di Pignedoli Paolo, via Monchio 12, Felina.
° Azienda Agricola “Campo Alto” di Bondavalli Maura, via Fioravanti 8, S. Maurizio di Reggio E.
° Azienda Agricola “Corte Storchia”, di Trivellato Dina, via G. La Pira 2, Luzzara.
° Azienda Agricola “Gaetano Luciani”, via Viazzone 1, Luzzara.
° Azienda Agricola “Brunelli Angiolino”, via Lunga 10, Correggio.
° Azienda Agrituristica “Antica Golena” di Boschi Cristina, via Bosco 3, Guastalla.
° Azienda Agrituristica “Il Colombo” di Rossi Giovanni, via Carletti 46/48, Correggio.
° Azienda Agricola “La Palazzina”, di Guarienti Marco, via C. Battisti 17, Gualtieri.
° Agriturismo “Mulino in Pietra”, di Caletti C. e Pinchiorri L., via Mulino di Leguigno 1, Cortogno.
° Azienda Agricola “Podere Giardino” di Crotti Paolo, via Manzotti 7, Reggio Emilia
° Azienda Agricola “Bartoli Fabio, Gabriele, Sauro”, via Strada Valle 106, Novellara.
° Azienda Agricola “Goccini Ennio”, via Fazzano 65, Fazzano di Correggio.
° Azienda Agricola “Menozzi Loretta”, via Canolo 11, Correggio.
° Azienda Agricola “Leonardo Caggiati”, via Scaglioni 38, Gualtieri.
° Azienda Agrituristica “Corte Bebbi” di Morini Mazzoli Giorgio, via Spallanzani 119, Bibbiano.
° Azienda Agrituristica “Cielo e Terra” di Giuliano Romano, via Colombaro 9, Rondinara.
° Azienda Agricola “Guglielmi Paolo e Daniel”, via Montagnani 7, S. Maurizio di Reggio Emilia.
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* Gli ortaggi in generale erano consumati in grande quantità nelle mense
medioevali, sia per quanto riguarda quelle ricche, dove si accompagnavano a
carni e preparazioni più raffinate, sia per quanto riguarda quelle più povere,
dove soprattutto i legumi andavano a soppiantare interamente il consumo di
carne per l’apporto proteico. La medicina medioevale prescriveva per le classi
popolari il divieto medico di mangiare carne, in quanto cibo troppo sofisticato
per lo stomaco villico, che andava nutrito con fagioli, piselli ed altri legumi,
molto coltivati nelle terre locali. Ogni tipo di ortaggio commestibile e coltivabile
veniva preso in considerazione e riempiva la dispensa, una volta superati
i problemi di conservabilità che anche la frutta mostrava. Anche di verdura
si occupa il Capitulare de Villis, puntando l’attenzione sulle differenti cultivar
in diversi periodi dell’anno che favorivano la possibilità di avere verdura in
differenti stagioni. Mancano dall’elenco delle verdure matildizzabili, soprattutto
quelle importate dal nuovo modo nel Cinquecento, come melanzane, pomodori
ed altre solanacee e naturalmente la patata, entrata in voga nei gusti culinari
solo nell’Ottocento nei territori emiliani.
o) FUNGHI *
A questa categoria appartengono aziende che raccolgono e vendono funghi
porcini o provenienti da coltivazioni in serra.
° Azienda Agricola “Davide Gigli e Barbara Masini s.s”, via A. Benedetti 18/1, Villa Minozzo.
° “Raffaelli Funghi” srl, via S. Rocco 57/A, Ligonchio.
* I funghi di ogni tipologia commestibile ed i prodotti del sottobosco erano
consumati in grande quantità, in quanto erano un cibo alla portata di tutti e
sempre presente in quella grande dispensa a cielo aperto costituita dal bosco.
p) OLI *
A questa categoria appartengono aziende che producono e/o vendono olio
e derivati dalla spremitura di differenti elementi quali (olive, lavanda ed erbe
officinali, girasoli).
° Azienda Agricola “Antica Ghiacciaia” di Taroni Giacomo e Mario, via Montanara 7/A,
Fogliano. (olio di oliva)
° Azienda Agricola “Il Ciliegio”, di Merlini Marina, via Ho Chi Min 2, S. Ilario d’Enza (Olio di Lavanda)
32
* L’olio in particolare d’oliva era importante nel Medioevo, ma non per fini
alimentari. Infatti questo era utilizzato per le celebrazioni religiose, come olio
Santo per le funzioni quali il Battesimo e l’Estrema Unzione, oppure veniva
prodotto soprattutto per essere utilizzato come combustibile per illuminare le
buie stanze medioevali. Pochissimo uso se ne faceva in cucina, al quale come
condimento si preferiva il grasso di maiale, anche se una quantità minore trovava
posto nelle botteghe degli speziali e dei farmacisti, utilizzato come additivo per
unguenti e medicinali. Le testimonianze storiche suggerite dai ritrovamenti
archeologici e dalla toponomastica locale, individuano in una fascia tra gli odierni
paesi di Montericco e Quattro Castella, la presenza di un numero considerevole
di piante di ulivo, che qui avevano trovato un microclima idoneo alla vita, anche
se di testimonianze sulla loro presenza se ne trovano un po’ trasversalmente in
tutta la pianura reggiana.
q) FIORI/PIANTE E PIANTE OFFICINALI *
A questa categoria appartengono aziende che producono, raccolgono e/o
vendono fiori, piante, piante officinali e che hanno attività di servizio come
progettazione, cura e manutenzione delle aree verdi di parchi e giardini.
° Azienda Agricola “Miniflora”, di Virgilli Giuliana, via di Pantano 168, Carpineti.
° Azienda Agricola “Garden il Girasole”, di Campana Nicoletta, via Radici in Monte 6/D,
Roteglia.
° Azienda Agricola “Idea Verde”, di Guglielmo Marcello, Loc. Boaro 2, Felina.
° Azienda Agricola “Spaggiari Lucia”, via Case Stantini 31, Villa Minozzo.
° Azienda Agricola “Bonvicini Graziano”, via del Cristo 7, Salvaterra.
° Azienda Agricola “Florovivaistica Nizzoli”, di Gianfranco Nizzoli, Viottolo Peloso 26,
Salvaterra.
° Azienda Agricola “Gasparini Giovanni”, via Franceschi 28/B, Casalgrande.
° Azienda Agricola “Maioli Piante”, di Maioli Enzo, via Castello 5, Salvaterra.
° Azienda Agricola “Vivai Piante Canalini”, di Canalini Margherita, via Colombara 5,
Salvaterra.
° Azienda Agricola “Ravasini Renzo”, via Prampolini 2, S. Polo d’Enza.
° Azienda Agricola “Il Giardino” di Manzotti Gianluca, via Rioltorto 16, Chiozza di Scandiano.
° Azienda Agricola “Talea Piante e Fiori” di Fontanili Sara, via Giovanardi 8, S. Bartolomeo.
° Azienda Agricola “Ruozzi Fedele”, via S. Faustino 77/A, Rubiera.
° Azienda Agricola “Lusuardi Federico”, via Mandrio 44, Correggio.
° Azienda Agricola “Sgrò Riccardo e Romana”, via Fosdondo 116, Correggio.
° Azienda Agricola “Magnanini Gianluca”, via Caprì 3, Rio Saliceto.
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° Azienda Agricola “Floricoltura Corradini Mauro e Daniela s.s”, via U. Bassi 3, Reggio Emilia.
° Azienda Agricola “Carla Tamagnini”, via Felesino 16, Cella, Reggio Emilia.
° Azienda Agricola “ Fortunato Ruozi”, via E. Curiel 24/A, Castelnuovo di Sotto.
° Azienda Agricola “Agricopa”, di Codeluppi Paolo, via Pieve 97, Guastalla.
° Azienda Agricola “Piero Codeluppi”, via Ville 53, Guastalla.
° Azienda Agricola “Rossi per il Verde” di Rossi Ermes, via Righetta 45/A, Fabbrico.
° Azienda Agricola “Naturomnia” di Bois Massimiliano, via Montegrande 31, Canova di
Ramiseto.
° Azienda Agricola “Antichi Poderi del Paradiso” di Sorino Tino, Str. Provinciale Nord 8,
Novellara.
* Le piante officinali erano un elemento imprescindibile da ogni giardino,
verziere, orto, brolo che si rispetti, in quanto fornivano le materie prime per
andare a preparare i medicinali e le preparazioni che la farmacopea popolare
e la medicina galenica del tempo somministravano al malato. In più esse erano
un ottimo insaporitore di cibi e la cucina medioevale ne faceva un largo uso, per
coprire sapori, esaltarne altri e farcire vivande. Le piante officinali, unitamente
alle erbe erano talmente importanti, che Carlo Magno nel suo Capitulare de Villis
ricorda che in un’azienda regia dovevano essere coltivate obbligatoriamente:
“…Vogliamo che nell’orto sia coltivata ogni possibile pianta: il giglio, le rose,
la trigonella, la balsarnita, la salvia, la ruta, l’abrotano, il cumino, il rosmarino,
il careium, la scilla, il gladiolo, l’artemisia, l’anice, le coloquentidi, l’indivia, la
visnaga, l’antrisco, la lattuga, la nigella, la rughetta, il nasturzio, la bardana, la
pulicaria, lo snúmio, il prezzemolo, il sedano, il levistico, il ginepro, l’aneto, il
finocchio, la cicoria, il dittamo, la senape, la satureja, il sisimbrio, la menta, il
mentastro, il tanaceto, l’erba gattaia, l’eritrea, il papavero, la bieta, la vulvagine,
l’altea, la malva, gli amaranti, l’erba cipollina, il rafano, la robbia, i cardi, il
coriandolo, il cerfoglio, l’euforbia, la selarcia…”. Grandissima importanza
avevano poi i giardini e quindi la manutenzione e la cura delle piante, in quanto
raffigurazione sulla terra del Paradiso Terrestre ed emblema di potere e ricchezza
per il ceto abbiente.
r). AGRITURISMO *
A questa categoria appartengono aziende che offrono il servizio di agriturismo,
con ristorazione ed agriturismo con sole camere.
° Azienda Agrituristica “Valle Quinta” di Terzi Leo, via Valle Quinta, S. Girolamo di Guastalla.
° Azienda Agrituristica “La Razza”, di Zoboli Paolo, via Monterampino 6, Canali.
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° Azienda Agrituristica “Cielo e Terra” di Giuliano Romano, via Colombaro 9, Rondinara.
° Agriturismo “Villabagno” di Bonacini Giordano, via Lasagni 29, Bagno.
° Agriturismo “Il Casante” di Silvi Antonio, via S. Donnino La Costa 83, Carpineti.
° Agriturismo “Il Pozzo”, di Guizzardi Lino, via Fontana 17, Rubiera.
° Agriturismo “Le Scuderie”, di Campani Tiziana, via S. Donnino 77, Carpineti.
° Azienda Agrituristica “Rio Luceria” di Benelli Ferruccio, via Lenin 8, S. Polo d’Enza.
° Azienda Agricola “Le Boccede”, di Zobbi Domenico, via Secchiello 32, Villa Minozzo.
° Azienda Agrituristica “La Valle dei Cavalieri” di Torri Dario, via Caduti 25 Novembre,
Ramiseto.
° Az. Agrit. “Rio delle Castagne” di Camagnoni Sara, via Bertolini 13/A, S. Giovanni di
Querciola.
° Agriturismo “Mulino in Pietra”, di Caletti C. e Pinchiorri L., via Mulino di Leguigno 1,
Cortogno.
° Agriturismo “Montebaducco” di Borghi Davide, via Boiardo 26, Salvarano di Quattro
Castella.
° Agriturismo “Corte dei Landi”, di Landini Raffaello, via Castello 33, Cadè.
° Azienda Agrituristica “San Valentino” di Carobbi Emore, via Rontano 35, Castellarano.
° Azienda Agrituristica “Il Cavazzone” di Sidoli Giovanni, via Cavazzone 4, Regnano.
° Azienda Agrituristica “Rio Riccò”, di Venturi degli Esposti Vincenzo, via Nazionale Sud,
Busana.
° Azienda Agrituristica “La Collina dei Cavalli”, di Rossi Alessandra, Loc. Colonne di Vedriano.
° Azienda Agrituristica “Il Castello di Marola” di Carrubbi Silvana, via Bellaria, Loc. Marola.
° Azienda Agrituristica “Riserva del Re”, via Sarzano 1, Le Braglie di Casina.
° Azienda Agrituristica “La Lita”, di Barbolini Ermes, via I Ronchi 8, Massa di Toano.
° Azienda Agrituristica “Made in Rov”, di Malvolti Graziano, via Le Bore 19, Villa Minozzo.
° Azienda Agrituristica “Pianvallese” di Lazzari Carla, via Pianvallese, Febbio.
° Azienda Agricola “Spaggiari Lucia”, via Case Stantini 31, Villa Minozzo.
° Azienda Agrituristica “Al Ghet” di Tosi Maria, via Bassa 20, Casalgrande.
° Azienda Agrituristica “La Cantina dei Sapori” via Sessanta 2, S. Polo d’Enza.
° Azienda Agrituristica “Bosco del Fracasso” via del Bosco del Fracasso 20, Pratissolo.
° Azienda Agrituristica “Il Brolo”, via Fulvia 5, Chiozza di Scandiano.
° Azienda Agrituristica “Il Brugnolo”, di Gatti Claudia, via Sabattini 10, Fellegara.
° Azienda Agrituristica “Il Contadino” di Punghellini Guglielmo, via C. Marx 97, Sesso.
° Azienda Agrituristica “Rio Coviola”, di Collini S. e Gandolfi M., via Giovanardi 1/1, Rivalta.
° Azienda Agrituristica “Franceschini e Tondelli”, di Franceschini U., via Dinazzano 69,
Correggio.
° Azienda Agrituristica “Il Boschetto”, di Paterlini Pier Paolo, Strada Boschi 38, Novellara.
° Azienda Agrituristica “Boschi”, di Cani Marino, via Cattanea 54, Reggiolo.
° Azienda Agrituristica “Lucchetta”, di Goldoni Paolo, via Venerio 86, Reggiolo.
° Azienda Agrituristica “Il Vecchio Borgo” di Giovanni Notari, via Montebabbio 22,
Castellarano.
° Azienda Agrituristica “Antica Golena” di Boschi Cristina, via Bosco 3, Guastalla.
° Azienda Agrituristica “Il Colombo” di Rossi Giovanni, via Carletti 46/48, Correggio.
° Azienda Agrituristica “Il Bove” di Meglioli Lorenzo, via Salimbene da Parma 115, Sesso.
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° Azienda Agrituristica “Corte Bebbi” di Morini Mazzoli Giorgio, via Spallanzani 119,
Bibbiano.
° Azienda Agrituristica “Ca’ di Ferra”, di Ferraboschi Fausto, via S. Faustino 31, Rubiera.
° Azienda Agrituristica “L’Orto della Carmen” di Talami Maria, via Mabrazza 21, Fellegara.
° Azienda Agrituristica “La Quercia”, via Crognolo 16, Borzano di Canossa.
° Azienda Agrituristica “Il Ginepro”, via Ginepreto Chiesa 1, Castelnuovo Monti.
° Azienda Agrituristica “Prato dell’Oste”, via Riparotonda 68, Febbio.
° Azienda Agrituristica “Country Club”, via S. Michele 4, Trignano di S. Martino in Rio.
° Azienda Agrituristica “Il Castetto”, via Castetto Bergogno 1, Paullo di Casina.
° Azienda Agrituristica “Campo del Pillo”, via Casolara 3, Castelnuovo Monti.
° Azienda Agrituristica “La Vecchia Fattoria”, via Bebbio Costa 25, Bebbio.
° Azienda Agrituristica “La Prateria” di Bursi Flavio, via O. Cigarini 4/1, Bagno.
° Azienda Agrituristica “Corte Giardino”, via Tomba 29, Reggiolo.
° Azienda Agrituristica “La Latteria di Sordiglio”, Loc. Paullo Sordiglio 1, Casina.
° Azienda Agrituristica “Dario Rota”, via Romani 27, Castellazzo di Reggio Emilia.
° Azienda Agrituristica “Il Pianello” di Ospizi Silvia, via Borgonovo Pianello, Muraglione di
Baiso.
° Azienda Agrituristica “Agoturismo” via Castagneti 2, Valbona.
° Azienda Agrituristica “Le Tre Quercie” di Bertoli Francesco, via Azzarri 68, Gavassa.
° Azienda Agrituristica “Il Glicine”, via Marzabotto 5, Roncolo di Quattro Castella.
° Azienda Agrituristica “Quinta Terra”, via Ca’ de Frati 32, Rio Saliceto.
° Azienda Agrituristica “San Giuseppe”, via Bertozzi 24, Taneto di Gattatico.
° Azienda Agrituristica “Terra del Tuono” di Bertolani Tiziana, via Monzani 5, Corticella.
° Azienda Agricola “Ca’ Barucca” di Zanelli Fabrizio, via Teppe 52, Felina.
* Si è pensato di inserire fra i prodotti matildizzabili gli agriturismi reggiani ed i
servizi da loro offerti, perchè si ritengono veri depositari dell’accoglienza rurale
e presenti attivamente in territori reggiani rimasti a volte ai margini dei percorsi
più frequentati dai flussi turistici. In questo modo essi, offrono la funzione di
mantenere vive queste località, in zone densamente popolate all’epoca matildica,
mentre oramai sempre più colpite dalla fuga verso i centri abitati più grandi.
s). CAVALLI, MANEGGI, CENTRI IPPICI *
A questa categoria appartengono aziende che offrono il servizio di maneggio,
centro ippico, ricovero e pensione di cavalli, scuole ippiche e passeggiate a
cavallo.
° Az. Agrit. “Rio delle Castagne” di Camagnoni Sara, via Bertolini 13/A, S. Giovanni di
Querciola.
° Azienda Agrituristica “La Valle dei Cavalieri” di Torri Dario, via Caduti 25 Novembre,
Ramiseto.
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° Azienda Agrituristica “Rio Luceria” di Benelli Ferruccio, via Lenin 8, S. Polo d’Enza.
° “Ventagri s.r.l.”, via del Lago, Ramiseto.
° “Centro Ippico Gli Stalloni”, via Vaglie 13, Collagna.
° “Centro Ippico Il Vivaio”, Loc. Rescadore, Febbio.
° “Centro Ippico Il Monte”, via Ca’Stradoni 3, Viano.
° “Circolo Ippico Canossa”, Loc. Cerredolo dei Coppi, c/o Azienda Agricola F.& F. Canossa.
° “Circolo Ippico Boco Ranch”, Loc. La Piazza, Bocco di Casina.
° “Circolo Ippico Il Capriccio”, via Talada 17/1, Busana.
° “Maneggio Le Boccede Country House”, Loc. Le Boccede, Villa Minozzo.
° “Ricovero Cavalli Abetina Reale”, Loc. Abetina Reale, Civago.
* Per quanto riguarda i circoli ippici, le pensioni per i cavalli ed i maneggi, si è
valutato che per quanto riguarda il marchio matildino, ricoprano un ruolo molto
importante, poiché mantengono viva la cultura del cavallo. Questa assunse un
significato quasi sacro per le stirpi longobarde dalle quali deriverà la famiglia di
Canossa, rappresentava il vero simbolo di prestigio e pregio nobiliare. Inoltre
tali attività favoriscono attraverso le escursioni e le passeggiate, il mantenimento
di antichi percorsi e la sentieristica storica non più utilizzata odiernamente,
mantenendo vive soprattutto le zone montane e più lontane dal transito dei
grandi traffici commerciali.
t). SERVIZI *
A questa categoria appartengono aziende che offrono servizi alla persona, per
lo più di genere turistico ed orientate al tempo libero di differenti e svariate
tipologie, quali (passeggiate a cavallo, pesca sportiva, escursioni guidate, cura
centri visite, parchi tematici, centri estivi, intrattenimento, ricerca storica e
valorizzazione del territorio, tour operators, organizzazione eventi, gestione
territoriale, professionalità varie relative al territorio reggiano.
° Azienda Agrituristica “Al Ghet” di Tosi Maria, via Bassa 20, Casalgrande. (cavalcate, pony)
° Azienda Agrituristica “La Cantina dei Sapori” via Sessanta 2, S. Polo d’Enza. (pesca)
° Azienda Agrituristica “Pianvallese” di Lazzari Carla, via Pianvallese, Febbio. (pesca)
° Azienda Agrituristica “La Valle dei Cavalieri” di Torri Dario, via Caduti 25 Novembre,
Ramiseto. (escursioni, centro visite).
° “Altri Passi”, Guide ambientali escursionistiche, via Pratizzano, Ramiseto.
° Coop.va “I Briganti del Cerreto s.c.r.l.”, via Circonvallazione, Cerreto Alpi (centro visite,
escursioni, manutenzione verde).
° Coop.va “Il Ginepro” via Chiesa 7, Ginepreto, Castelnovo ne’ Monti (escursioni, centro visite).
° Coop.va “La Sorgente s.c.r.l.” Piazza Peretti 7, Castelnovo ne’ Monti (escursioni, centro visite).
° “Creativ”, Via Pontenovo 10, S. Polo d’Enza. (campi estivi, escursioni, feste, gestione castello).
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° “Gli Gnomi s.a.s”. di Bruni Patrizia & C., via A. Gramsci 32, San Cesario s/P (Mo)
(animazione).
° “Terra delle Valli s.n.c.” di Sepe Marco & C, via della Piana 3, Cecciola di Ramiseto (centro
visite).
° “Sunny Day a.s.d.”, via Val d’Enza 53/E , Sant’Ilario d’Enza. (animazione).
° “Terme di Cervarezza”, piazza S. Lucia delle Fonti 4, Cervarezza.
° “Parco Avventura Cerwood”, via delle Fonti, Cervarezza.
° “Parco Matildico di Montalto srl”, via Francesco Lolli 45, Vezzano sul Crostolo.
° “Incia società cooperativa”, via G. Marconi 24, Bibbiano.
° “Ideanatura”, di Carponi Fabrizio & C. Piazza Caduti 13, Palagano (Mo).
° “AR/S Archeosistemi Soc. Coop. R.L.”, via IX Martiri 11/A, Reggio Emilia.
° “Coordinamento Sistema Po-Matilde”, via Ferri 79, San Benedetto Po (Mn).
° “Matilde di Canossa Golf Club”, via del Casinazzo 1, S. Bartolomeo.
° “Consorzio Terre Matildiche”, via S. Giovanni Bosco 10, Bibbiano (tour operator).
° “Temporeggiano”, di Panciroli David, via G. Deledda 3, Castellarano.
° Associazione pesca sportiva “Lago Lontra” di Canossa, Via Taverne, Carbonizzo di Canossa.
° “Canoa Club Val d’Enza”, di Vetto d’Enza, Loc. Vetto d’Enza.
° “I Giardini dell’Acqua Pesca Sportiva”, via Porali, Collagna.
° “Lago di Virola”, Località Virola, Castelnovo ne’Monti.
° “Lago Macina di Viano”, S. Romano, Viano.
° “Lago Mulino del Tasso”, via del Tasso 1, Casina.
° “Peschiera Zamboni”, via Roncopianigi, Roncopianigi di Febbio, Villa Minozzo.
° “Free Stone Vertigine”, via Bismantova, Castelnovo ne’ Monti. (arrampicata sportiva).
° “Reggio G.A.S. snc”, via Don Minzoni 10/ab, Reggio Emilia. (escursionismo a 360°).
* In questo gruppo si sono racchiuse tutte le professionalità che mirano a
valorizzare e a mantenere vivo il territorio reggiano, attraverso la presa di
coscienza del suo passato storico culturale di notevole interesse, cercando di
riproporlo sotto diverse tipologie di servizio, mirate a coinvolgere un numero
sempre maggiore di persone.
u). ARTIGIANATO ARTISTICO *
A questa categoria appartengono aziende che producono e/o vendono
artigianato artistico e lavorazione di materiali di differenti tipologie (lavorazione
ferro battuto, pietra, legno, ricamo, tessuti, oro, creazioni artistiche, lavorazione
terrecotte, sughero).
° “Artigiani della Pietra”, (Pietra incisa, legno e ricami), Loc. Il Casello, Cortogno di Casina.
° “Iotti Attilio & figli”, (Ferro battuto), via J. Gagarin 33/6, Reggio Emilia.
° “Kleos, Incerti-Simonini & C.”, (Sistemi luminosi), via Cerredolo de’ Coppi 33, Canossa.
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° “La Finestra di Anna Varini”, (Tessuti stampati), via S. Paolo 9, Reggio Emilia.
° “Leoni Ceramiche d’ Arte”, (Stufe/oggetti in ceramica), v. Papa Giovanni XXIII 22, S. Polo
d’Enza.
° “Lo Scrigno di Matilde”, (Ricami per biancheria, arredo, moda), via G. Bonetti 17, S. Polo
d’Enza.
° “Maria Neroni” (Direttrice artistica, consulente storica e disegnatrice), via Veneto 18,
Bibbiano.
° “Tarsie”, (Cotto Policromo Intarsiato), via Monari 13/1, Reggio Emilia
° “Domenichini Ercole Lavorazione del legno”, via Brugna 12/2, Casina.
° “Pasticceria Donelli snc”, (La Bottega delle Cose Buone, Realizzazioni artigianali di
Cioccolato), via Gramsci 8, San Polo d’Enza.
° “Azienda il Decoro”, di Campi Carla, Morsiano di Villa Minozzo.
° “Capanni Cav. Uff. Paolo snc”, U. Sozzi 68, Castelnovo nè Monti.
° Azienda “Art Canossa”, via Val d’Enza 176/b, Ciano d’Enza.
° “Nuova Artigiansughero”, di Guglielmi Danilo & C., v. della Resistenza 14, Cervarezza.
° “Bolzoni Giuseppe e Figli”, via della Resistenza 7, Cervarezza.
° “ Sironi Gino”, via Orpiano 1, Cervarezza.
° “Guerri Piergiorgio e Adriano s.n.c “, via Orpiano 14, Cervarezza.
° “Mazzoni Gino & C.”, via Galassi 15, Cervarezza.
° “Sugherificio Giardino”, v.le Resistenza 12, Cervarezza.
° “Parmeggiani Pietro “, Frassinedolo di Cervarezza.
° “Lavorazione Sasso e Legno”, di Clemente Parmeggiani, via G. Canedoli 1, Busana.
° “Liuteria Canossa” di Arturo Virgoletti, via Costa 21, Monchio delle Olle.
° Azienda “Bruno Lorenzo Ruffini”, Via Cavalieri 5/a, Vetto d’Enza.
° Azienda “Pietra Antica”, via Dei Pozzi 12, Loc. Cereggio di Ramiseto.
° Azienda “Castagnetti”, via Val d’Enza Nord 186, Canossa.
° Azienda ”Lombardi”, via Val d’Enza Nord 190, Canossa.
° Azienda “Astra Mosaico s.n.c.”, di Lucenti C., via Lottizzazione 7/a, Muraglione di Baiso.
° Azienda “Pietro Ostilio Ruffini”, Loc. Cola di Vetto.
* In questo gruppo si sono raccolti tutti gli artigiani che lavorano ancora con
tecniche non industriali ogni tipologia di materiale, dagli antichi cestari in
vimini, ai picciarein della pietra, testimoni di un patrimonio antico e di un sapere
tradizionale che affonda estremamente le sue radici nella tradizione reggiana,
testimone del tempo passato e degli usi e costumi rurali del territorio reggiano.
7. ANALISI DELLE REALTà DI INTERESSE TURISTICO
Valutata l’opportunità di creare un marchio di prodotti matildizzabili, occorre
rivolgere lo sguardo alle potenzialità ed alle prospettive che ciò potrebbe
generare da un punto di vista turistico commerciale. Infatti, come è logico
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occorre fare leva sul gusto matildico e sulle sensazioni che il nostro territorio
riesce indubitabilmente a generare nel visitatore, tuttavia sarebbe utile cercare
di mettere in rete e fruibile sotto unico pacchetto tutto ciò che è ascrivibile a
Matilde stessa.
Se per quanto riguarda i castelli, esiste già un circuito di castelli reggiani, con
offerte turistiche, pacchetti promozionali e relativo sito internet che raccoglie
ventinove emergenze architettoniche e naturalistiche, si può pensare di allargare
il raggio e coinvolgere ulteriori tipicità.
Partendo proprio dai castelli occorrerebbe aumentare il numero delle località
inserite nel circuito, coinvolgendo anche luoghi, castelli, torri, borghi fortificati
e soprattutto resti e vestigia murarie, che raccontino e approfondiscano l’epopea
matildica, partendo da un semplice censimento accompagnato da un mirato
approfondimento storico. Il territorio reggiano trabocca di queste testimonianze,
le quali anche se non mostrano architettonicamente esempi lampanti di
tipologie difensive, ma solo ruderi e avanzi di mura, hanno in sé il fascino del
tempo trascorso e possono essere rese conoscibili ai flussi turistici anche con
una semplice cartellonistica o addirittura visitabili. Non solo castelli, torri o
manufatti difensivi, ma anche e soprattutto chiese, abbazie, oratori, espressione
del sentito fervore religioso della stessa Matilde. Inoltre luoghi storici, come
il Monte Giumigna, le forre di Bergonzano, ambienti che facciano trasudare
l’epoca matildica e che potrebbero essere resi fruibili tramite una semplice e
studiata sentieristica.
Nella rete matildica occorrerebbe poi inserire anche i luoghi della memoria storica,
quali archivi, biblioteche e musei, che ospitano i reperti di pergamene, codici e
manufatti matildici, sovente oggetto di mostre od esposizioni, come nel caso degli
Archivi di Stato di Modena, Reggio Emilia e Mantova, degli Archivi Vescovili di
Modena e Reggio Emilia, delle Abbazie di Nonantola e Marola, della Biblioteca
Estense di Modena e della “A. Panizzi” di Reggio Emilia, dei Musei Civici e di
molte altre istituzioni. Tutto ciò per mettere sul tavolo tutte le carte che Matilde,
ed il mondo matildico mettono a disposizione, non tralasciando neppure tutte le
pubblicazioni, moderne che a tal riguardo sono state redatte per divulgare nella
maniera migliore e più approfondita possibile la cultura matildica.
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8. STRUMENTI PER LA RICERCA
Al fine di ottenere il risultato migliore per la ricerca del numero delle aziende
agricole, al quale attribuire un ipotetico marchio matildico, si è fatto riferimento ad
elenchi di aziende agricole e artigiani, pubblicate dalle differenti organizzazioni
professionali di categoria, unitamente a siti internet di interesse locale e valore
turistico. Fra questi si possono citare:
- “Sapori, colori, odori di casa nostra, dove trovarli e dove acquistarli”, guida
Coldiretti Reggio Emilia;
- “La Spesa nei Campi”, guida C.I.A. Reggio Emilia;
- “Dal Campo”, guida Confagricoltura Reggio Emilia;
- Sito Internet www.appenninoreggiano.it;
- Sito Internet www.terredimatilde.it;
- Sito Internet www.matildedicanossa.it;
- Sito Internet www.castellireggiani.it;
- Sito Internet www.stradadeiviniedeisapori.re.it;
- Sito Internet www.reggiotricolore.com;
- Sito Internet www.stradavinicortireggiane.it;
- Sito Internet www.ilgigantenelparco.it;
- Diversi Siti Internet di valore turistico.
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9. BIBLIOGRAFIA
Per quanto riguarda l’intera epopea matildica, la storia del territorio reggiano,
l’enogastronomia medioevale e l’utilizzo di prodotti tipici si è fatto riferimento
a queste pubblicazioni:
- AA.VV., Studi Matidici, in “Atti e memorie del convegno di studi matildici,
Ottobre, 1963”, Aedes Muratoriana, Modena 1964.
- AA.VV., Studi Matildici, in “Atti e memorie del II convegno di studi matildici,
Maggio 1970”, Aedes Muratoriana, Modena, 1971.
- AA.VV., Studi Matildici, in “Atti e memorie del III convegno di studi matildici,
1977”, Aedes Muratoriana, Modena, 1978.
- ANONIMO, Memoriale Potestatum Regiensium, in Rerum Italicarum Scriptores,
tomo VIII.
- BALLETTI A., Storia di Reggio Emilia, ristampa anastatica del 1922, ed.
Bonsignori, Roma, 1999.
- BERTOLANI DEL RIO M., I castelli reggiani, ed. Tecnostampa, Reggio
Emilia, 1971.
- DELAYTO JACOBO, Annales Estenses, in Rerum Italicarum Scriptores, tomo
XVIII.
- DELLA GAZZATA PIETRO, Chronicon Regiense, a cura di Artioli L., Corradini
C., Santi C., Fondazione G. Maramotti, Reggio Emilia, 2000.
- DONIZONE, Vita Mathildis, a cura di U. Bellocchi e G. Marzi, Aedes
Muratoriana, Modena, 1997.
- FRESTA A., Castelli e pievi del reggiano in età canossiana (sec. X-XII), in “Bollettino
Storico Reggiano”, n°30, Reggio Emilia, 1975.
- FUMAGALLI V., Le origini di una grande dinastia feudale. Adalberto Atto di Canossa.
Tubigen, 1971.
- IORI C., Rocche, torri, castelli nel reggiano, Reggio Emilia, 1958.
- MURATORI L. A., Antiquitates Italicarum Medii Aevi, Modena, 1738.
- PANCIROLI G., Storia di Reggio e provincia, trad. Viani, ed. Barbieri, Reggio
Emilia, 1846.
- SACCANI G., Delle antiche chiese reggiane, a cura di N. Artioli, ed. Bizzocchi,
Reggio Emilia, 1976.
- SALIMBENE DE ADAM, Cronica, di B. Rossi, Radio Tau, Bologna, 1987.
- TACCOLI N., Memorie storiche della città di Reggio di Lombardia, 1742-49, tomi
I, II, III.
42
- TIRABOSCHI G., Dizionario Topografico degli Stati Estensi, ristampa anastatica
del 1824-25, ed. Forni, Bologna, 1963, tomi I-II.
- CAMPARINI L., Cucina tradizionale reggiana, Reggio Emilia, Nironi e Prandi,
1944.
- MONTANARI M., L’alimentazione contadina nell’alto Medioevo, Liguori, 1979.
- MAIOLI G., I racconti della tavola a Reggio Emilia, Bologna, Ges, 1980.
- BERTANI R., Il valore nutritivo e mistico dei piatti tradizionali contadini, Reggio
Emilia, Comune di Reggio Emilia, 1981.
- IORI GALLUZZI M.A., IORI N., La cucina reggiana, Padova, Muzzio,
1987.
- Le strade di Matilde di Canossa. Itinerari automobilistici ed escursionistici nelle zone
matildiche dell’Appennino reggiano, Bologna, Tamari Montagna, 1989.
- CERVI G. IORI M., Percorsi canossani. Alla conoscenza di un territorio fra storia,
arte, ambiente, Canossa, 1994.
- CERVI G., Le terre di Canossa. Alla scoperta di un grande patrimonio di storia, cultura
e natura, a cura di Giuliano Cervi, 1995.
PANCIROLI DAVID
43
44
b) ANALISI DEGLI ASPETTI DI MARKETING E
COMUNICAZIONE
ALCUNE LINEE GUIDA IN TERMINI DI STRATEGIE DI
MARKETING, RIFERITE ALLA LINEA DEI PRODOTTI
MATILDIZZABILI
In un’altra parte di questo studio si è riportato un vasto catalogo di prodotti
oggi realizzati nell’area matildica, che erano presenti in maniera massiccia ai
tempi di Matilde di Canossa, alcuni dei quali molto ricercati ed apprezzati, altri
popolarissimi al tempo, oppure con un ruolo primario nell’economia del uomo
medioevale. Altri ancora erano diffusamente utilizzati come ingredienti nella
cucina medioevale.
L’obiettivo di questo capitolo è valutare l’opportunità di creare un marchio di
prodotti “matildizzabili”, riflettendo sulle potenzialità e sulle prospettive che ciò
potrebbe generare da un punto di vista turistico e commerciale. L’idea è quella
di mettere in rete e fruibile sotto un unico pacchetto tutto ciò che è ascrivibile a
Matilde stessa ed alle relative vicende.
Di seguito si espongono alcune indicazioni sulle modalità con cui questo
progetto può iniziare a concretizzarsi e soprattutto sugli ostacoli e sui rischi che
si potrebbero incontrare, da un punto di vista delle strategie di marketing, alla
luce di una competitività di mercato oggi particolarmente accesa, caratterizzata
da turbolenza e da dinamicità sempre più marcate, da una decrescente fedeltà
del consumatore e da un accorciamento del ciclo di vita dei prodotti e delle
marche.
MATILDE COME FATTORE DI DIFFERENZIAZIONE
Differenziare un prodotto od una linea di prodotti significa presentarli con
caratteristiche in grado di distinguerli da quanto viene offerto dai concorrenti,
in modo che assumano proprietà e percezioni specifiche.
Un prodotto è composto da fattori materiali e da fattori non tangibili. Questi
ultimi sono le componenti per le quali il prodotto viene apprezzato dal cliente/
consumatore al di là dei valori materiali.
Nel caso in esame, la differenziazione potrebbe riguardare aspetti tangibili, ma
dovrebbe riferirsi soprattutto a componenti immateriali, costituite da tipicità
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storico-culturali.
Nel catalogo dei prodotti matildizzabili, a cui prima si è fatto riferimento, il trait
d’union dovrebbe essere proprio la coniugazione in chiave storica di tutta una
serie di prodotti ancora oggi realizzati.
In effetti, tutte le voci del catalogo di prodotti matildizzabili sono potenzialmente
caratterizzabili da attribuzioni tradizionali, storiche, culturali, riferite all’epoca
di Matilde.
Si riporta, di seguito, l’elenco delle categorie prese in esame, ognuna delle quali è
affiancata da almeno un elemento di richiamo storico (modalità d’uso, frequenza
di consumo, caratteristiche percettive ai tempi di Matilde di Canossa).
• Parmigiano-Reggiano: espressione della grande tradizione casearia reggiana.
• Altri formaggi bovini ed ovi-caprini: unico mezzo per conservare un alimento fortemente
deperibile quale il latte.
• Latte fresco: ottimo ingrediente per la cucina, alimento molto nutriente in un periodo di fame.
• Miele di differenti tipologie, pappa reale, propoli, polline, cera d’api, api
regina: unico dolcificante reperibile in maniera cospicua in natura.
• Carne bovina: apprezzata e consumata quando l’animale aveva portato a termine la sua
missione di trattore.
• Carne suina fresca e salumi: costituivano l’elemento principe dell’economia rurale al
tempo matildico.
• Animali di bassa corte: erano molto apprezzati, soprattutto per i giorni di magro.
• Selvaggina: elemento principe della cucina medioevale, status symbol.
• Carne bufalina: massimo riconoscimento nei grandi banchetti.
• Carne di asino e somaro: utilizzata al termine del ciclo vitale dell’animale.
• Carne ovicaprina: utilizzata in quantità, così come il latte.
• Pesce di acqua dolce: pietanza tipica dei giorni di magro.
• Uova: base di preparazioni quali la pasta, le torte, gli sfarinati.
• Chiocciole e lumache: molto apprezzate come cibo da magro, affiancato a pesce e rane.
• Vini bianchi e rossi, liquori e distillati: vero e proprio alimento, oltre che elemento di
potere sulle tavole signorili.
• Olio: importante per le celebrazioni religiose, oltre che come combustibile per
illuminazione.
• Aceto Balsamico Tradizionale: prodotto matildizzabile per eccellenza.
• Pasta fresca, pasta secca, farina: utilizzate per contenere altri alimenti o comunque uniti
ad altri cibi.
• Biscotti e prodotti dolciari: tipicità della cultura gastronomica reggiana
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• Conserve, marmellate, confetture, succhi di frutta, verdure sott’olio e sott’aceto:
uniche possibilità di avere frutta e verdura fuori stagione.
• Frutta fresca: in quantità e qualità importanti sulle tavole medioevali.
• Ortaggi e verdure di campo: consumati in grande quantità nelle mense medioevali, sia
in accompagnamento a carni e preparazioni raffinate, sia per sostituire il consumo di carne
per l’apporto proteico.
• Castagne, marroni: consumati sia sotto forma di farina, sia bollite, sia arrosto.
• Mirtilli e prodotti del sottobosco: alla portata di tutti e sempre presenti nella dispensa
a cielo aperto costituita dal bosco.
• Funghi: cibo alla portata di tutti e sempre presente nel bosco.
• Fiori, piante, cura e manutenzione delle aree verdi: fornivano le materie prime per
preparare medicinali, per insaporire cibi, per coprire sapori ed esaltarne altri.
• Maneggio, centro ippico: la cultura del cavallo assunse un significato quasi sacro,
rappresentando un simbolo di prestigio nobiliare.
• Agriturismo: depositario dell’accoglienza rurale, con la funzione di mantenere vive località
in zone densamente popolate all’epoca matildica.
• Servizi alla persona, per lo più di genere turistico: mirano a valorizzare ed a
mantenere vivo il territorio reggiano, attraverso la presa di coscienza del suo passato storico
culturale.
• Artigianato artistico e lavorazione di materiali di differenti tipologie: testimoni
di un patrimonio antico e di un sapere tradizionale del territorio reggiano.
L’IMPORTANZA DELLA COERENZA DI UNA MARCA
Teoricamente, quindi, tutti i tasselli del catalogo sono potenzialmente coinvolgibili
in una azione di valorizzazione e di differenziazione.
Nella pratica, tuttavia, è immediatamente evidente che la linea di prodotti così
formata risulta molto ampia ed eterogenea sotto tanti punti di vista.
Una prima difficoltà riguarda proprio la vastità dell’ambito considerato.
Questa vastità renderebbe poco efficace un (peraltro inevitabile) lavoro di
segmentazione. Essere attenti alle esigenze di un mercato al giorno d’oggi
significa necessariamente segmentarlo, ossia suddividerlo in gruppi omogenei
(segmenti) composti da acquirenti che hanno caratteristiche tra loro simili per
ciò che concerne le modalità e le motivazioni di consumo.
È difficile pensare che l’approccio al consumo di frutta fresca o di verdura fresca
possa avvenire sulla base di una differenziazione storico/culturale alla pari
con prodotti invece peculiarizzati da immediati e quasi inevitabili contenuti di
47
tradizione e di cultura.
È noto che una marca può coprire un numero anche elevato di prodotti, purché
tutti coerenti tra loro, ovvero con una stessa filosofia. Prodotti che si rivolgono
allo stesso mercato, ma con posizionamenti in diverse fasce di prezzo e di
immagine, convivono precariamente sotto la stessa marca.
Solo in assenza di tensioni all’interno della marca, si può esplicare il potenziale
di un marchio (che non è altro che un nome ed un segno grafico) in un concetto
di marca. Quest’ultima è un contenitore ben più ampio di significati.
LA CONVIVENZA CON LE MARCHE AZIENDALI
Un altro motivo per realizzare un’attenta selezione di aziende e prodotti
riguarda la convivenza tra la marca o comunque le scelte imprenditoriali del
singolo produttore da un lato e la marca matildica dall’altro.
In fase di partenza, non si potrà trascurare l’esistenza pregressa di marchi che
richiamano il concetto e la valenza del territorio matildico; si tratta di marchi
che possono creare una difficoltà a livello di coerenza e di precisione con cui la
marca matildica potrà essere recepita. Si riporta di seguito un esempio di questi
marchi esistenti sul mercato.
La marca è un patrimonio fragile, a forte rischio di disaffezione. Il branding è il
processo con cui si carica il brand di
significati, per trasmettere al mercato
un’opportuna identità (brand identity) e
per fornire alla marca stessa un valore
(brand equity).
Il singolo imprenditore deve essere
consapevole che le sue scelte aziendali
incideranno sulla marca collettiva; se
non sarà disponibile a remare nella
stessa direzione, è opportuno che
non partecipi all’iniziativa, altrimenti
rischierebbe di impoverire le valenze
della marca collettiva.
In altri termini, il marketing mix di
qualsiasi impresa od aggregato di
imprese, per essere efficace, deve
essere assolutamente coerente. Ogni
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elemento del marketing mix deve contribuire a comunicare ai consumatori il
posizionamento voluto, in modo chiaro e coerente.
Il problema per una marca collettiva è che il soggetto gestore della marca si trova
ad effettuare delle scelte relativamente ad alcune leve del marketing mix (in
primo luogo, la leva comunicazione). Le restanti leve (prodotto, distribuzione/
vendita e prezzo) sono ad esclusiva od assolutamente prioritaria gestione da
parte della singola impresa.
Per fare un esempio concreto, si dovrebbe sempre determinare il prezzo e la
scelta dei canali di vendita considerando l’insieme dei fattori che compongono il
marketing mix: il prezzo deve essere coerente con la qualità, l’immagine, i canali
commerciali utilizzati, etc., al fine di ottenere il posizionamento desiderato. Da
questo punto di vista, se le decisioni relative al pricing ed alle modalità di vendita
delle aziende associate sono molto dissimili tra loro, il posizionamento della
marca collettiva (ossia il modo in cui il consumatore percepisce la marca, in
rapporto alle altre marche che soddisfano le stesse esigenze) sarà molto sfumato
se non addirittura contraddittorio.
I MEZZI DI COMUNICAZIONE DEL MARCHIO MATILDICO
Si è affermato che la leva comunicazione è la principale componente del marketing
mix su cui il gestore della marca collettiva può efficacemente intervenire.
Anche nell’ambito di questa leva, il mix dei mezzi e degli strumenti, per essere
efficace, deve essere assolutamente coerente. In un progetto di lancio di una
gamma di prodotti con brand matildico, converrebbe intanto adottare il concetto
di comunicazione olistica, ossia realmente integrata, basata su un mix ben più
ampio di mezzi rispetto al passato.
Stanno infatti velocemente modificandosi gli iter di acquisizione delle informazioni
da parte del consumatore. Sono tanti i nuovi mezzi di comunicazione che si
possono utilizzare, sia diretti sia indiretti (ossia, tramite opinion leader od altri
gangli vitali dotati di autorevolezza e di credibilità). In primo luogo, il web, con
tutto il sistema per rendere accessibile e fruibile il sito; poi, social network (come
Facebook), forum, blog, etc.
Anche le tradizionali relazioni pubbliche sono una tecnica in grado di influenzare
positivamente l’opinione pubblica in generale o l’opinione di pubblici specializzati,
tramite soggetti che possono essere identificati come influenti: contattando loro,
si può giungere a numeri ben più elevati di interlocutori finali.
Altre importanti strategie di comunicazione sono quelle del marketing
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esperienziale, con le quali si cerca di creare emozioni ed esperienze positive
collegate all’utilizzo di un prodotto, di un servizio, di un’area, in modo che
questa associazione resti solida nel tempo.
Infine, le sponsorizzazioni sono in grado di fare leva sull’emotività di determinate
tipologie di destinatari, trasferendo al brand in questione i valori espressi dagli
eventi sponsorizzati. Per l’iniziativa in esame, peraltro, esiste una indubbia
coerenza con sponsorizzazioni nell’area culturale o sociale e con i relativi
principi etici e morali.
I CONTENUTI DEI MESSAGGI
Per quanto riguarda il contenuto della comunicazione, il primo passo sarà
l’individuazione degli obiettivi da raggiungere e dei destinatari a cui rivolgersi.
Negli obiettivi rientra l’immagine desiderata, cioè l’immagine che si desidera
conferire alla marca, per favorire la comprensione e l’accettazione da parte del
consumatore.
Il messaggio dovrà comprendere una promessa base (il vantaggio, chiaramente
individuabile e comprensibile, che l’iniziativa offre al consumatore rispetto alla
concorrenza) ed un argomento-prova (il motivo per cui l’utilizzatore dovrebbe
credere alla promessa).
Alcune esperienze:
Su specifica richiesta del committente, si sono realizzate due interviste di
persona, al fine di identificare nella realtà operativa gli ostacoli incontrati ed
i fattori chiave di successo, ma anche le scelte compiute a livello di coesione
territoriale, di gestione dinamica delle iniziative, di organismi più o meno
formali per la valutazione, per la selezione e per il controllo relativamente a
imprese partecipanti e relativi prodotti.
I due colloqui svolti hanno riguardato le seguenti iniziative:
• Colli Esini San Vicino (colloquio con Fausto Faggioli, presidente di
Earth Academy, European Academy for Rural Tourism Hospitality,
via San Giovanni 41, località Quercioli - FC, telef. 0543.989826; info@
earthacademy.eu)
• Marchio ombrello e marchio di qualità Alto Adige – Südtirol (colloquio con
Petra Giovanelli, resp. Marketing e Comunicazione, Provincia di Bolzano,
Settore Artigianato, Industria e Commercio, via Raffeisen 5, telef. 0471
50
413756; [email protected])
IL COLLOQUIO CON FAUSTO FAGGIOLI
Il colloquio è partito dalla considerazione che tanti marchi sono stati lanciati
e successivamente si sono persi per strada. È quindi importante centrare le
variabili chiave, senza le quali difficilmente una iniziativa come quella dei
prodotti matildici può arrivare al successo.
Un esempio di iter compiuto correttamente è quello del distretto dei Colli Esini
San Vicino, Regione Marche (province di Ancona e Macerata).
Il principale fattore chiave, spesso sottovalutato in termini di risorse da destinare,
è la creazione iniziale del prodotto territorio. È infatti fondamentale aggregarsi
nel territorio, con un grande lavoro di marketing interno. In caso contrario, si
rischia di proporre al mercato una sorta di scatola vuota. Occorre insomma
creare un sistema.
D’altra parte, nel mondo globale l’unico fattore non copiabile è il territorio,
con le sue persone.
A Reggio Emilia, secondo l’interlocutore interpellato, manca proprio il
“prodotto Reggio Emilia”: i singoli servizi e prodotti sono invece già oggi di
elevato livello qualitativo. Reggio dovrebbe vendere cultura, stile di vita.
Nei casi di successo, si è puntato molto sull’identità del territorio, con rilevanti
lavori di marketing interno, dove ognuno alla fine si è sentito protagonista
dello sviluppo. L’obiettivo è anche quello di stimolare la collaborazione dei
soggetti diversi che svolgono un ruolo di front-office: dalla polizia municipale
all’edicolante, dalla reception dell’albergo al benzinaio, che deve essere in
grado di fornire le corrette informazioni, etc.
Per arrivare a questo traguardo, occorrono tanti incontri, con una partecipazione
che solitamente cresce in modo progressivo: per esempio, incontri di settore, per
fare capire l’importanza del dialogo tra operatori diversi (come il commerciante
e l’artigiano).
È indispensabile costituire una commissione, per classificare e selezionare
i produttori ed i prodotti, uno ad uno. La commissione, nei casi presi a
riferimento, era solitamente formata da qualche operatore a rotazione, dalla
Provincia, dall’Asl, da un soggetto esterno (consulente), da un rappresentante
delle categorie agricole, etc.
È corretto che nell’iniziativa entri la pubblica istituzione, ma non devono invece
entrare i partiti politici, che porterebbero a dispersioni di energie.
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Il disciplinare può partire con obiettivi ridotti, per poi alzare progressivamente
il livello. Nel disciplinare del distretto dei Colli Esini si specificava inizialmente
una serie di griglie all’ingresso: per esempio, era obbligatorio partecipare ad un
corso di formazione (si è quindi chiesta disponibilità di tempo, non di denaro);
inoltre, ogni prodotto doveva avere le proprie schede, con cui raccontarsi.
Secondo l’interlocutore, ci sono GAL interessanti, come quello dell’Antico
Frignano, che possono riguardare anche il territorio matildico.
IL CASO DEL MARCHIO OMBRELLO E MARCHIO DI QUALITA’
ALTO ADIGE – SUD TIROL
Il percorso compiuto dal marchio Alto Adige – Südtirol è particolarmente
significativo. Il presupposto di partenza era costituito dal seguente concetto:
l’Alto Adige, quale destinazione turistica e luogo di origine di prodotti e servizi
di qualità, é esposto alla massiccia concorrenza di molte altre regioni e di altri
paesi.
Il progetto del marchio ombrello era quindi finalizzato allo sfruttamento dei
potenziali sinergici ed all’unione delle forze, per aumentare significativamente
l’incisività commerciale.
I presupposti per il successo del marchio ombrello sono stati: un chiaro profilo,
valori ben codificati, un inequivocabile posizionamento. Non si è trattato di
uniformità, ma piuttosto di un reciproco trasferimento d’immagine tramite una
comune impostazione grafica e la trasmissione di un comune messaggio.
L’uso del marchio ombrello è subordinato alla sussistenza dei seguenti requisiti:
• l’utilizzatore del marchio, la sua attività od il suo prodotto devono essere
compatibili con l’identità ed il posizionamento del marchio ombrello e
devono possedere i necessari requisiti di diretta associabilità all’Alto Adige
in quanto impresa, attività o prodotto tipico, peculiare e caratteristico della
regione
• nei settori produttivi il marchio ombrello può essere utilizzato esclusivamente
per beni prodotti interamente in Alto Adige oppure che abbiano subito
la loro prevalente o comunque ultima sostanziale ed economicamente
giustificata lavorazione in provincia di Bolzano. Nel caso dei servizi, il
marchio ombrello può essere utilizzato solamente per i servizi interamente
erogati sul territorio altoatesino
• deve avvenire l’impiego di materiali o di materie prime di prevalente
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provenienza altoatesina; in alternativa, la concezione od il design del
prodotto deve essere stato realizzato interamente in Alto Adige
• l’attività dell’utilizzatore del marchio non può essere illegale, immorale o
discriminante e deve essere apartitica e neutrale sul piano confessionale;
sono in ogni caso esclusi dall’uso del marchio ombrello i beni e servizi
dell’industria pesante nonché i materiali bellici e le armi
• i beni e servizi devono essere di elevata qualità; sono esclusi beni e servizi a
prezzi stracciati; l’utilizzatore del marchio deve poter certificare il successo
dell’attività nel suo settore oppure perseguire iniziative promettenti; l’uso
del marchio ombrello non può essere concesso nel caso in cui l’azienda o
l’utilizzatore registrato o potenziale del marchio sia fatto oggetto di lamentele
da parte dei clienti con una frequenza superiore alla media e tali da fare
supporre carenze qualitative
Le imprese attive nei settori del turismo e della ristorazione che somministrano
cibi e bevande devono adottare misure opportune per valorizzare, rendere
maggiormente visibili e per migliorare il posizionamento dei prodotti di qualità
altoatesini nel settore alberghiero e della gastronomia. L’offerta mirata di prodotti
di qualità altoatesini nel settore alberghiero e della ristorazione è di fondamentale
importanza per l’uso del marchio ombrello, che garantisce l’origine altoatesina.
Le aziende che somministrano cibi e bevande devono offrire nelle loro liste delle
vivande e delle bevande o nel buffet della prima colazione, sempre se disponibili
ed in misura accettabile, anche prodotti tipici altoatesini. Tali prodotti devono
essere contrassegnati od etichettati come prodotti altoatesini.
Questo obbligo vale in ogni caso per tutti i prodotti alimentari altoatesini
(prodotti di qualità altoatesini) recanti il marchio di qualità con l’indicazione
di origine Alto Adige, l’indicazione geografica protetta o la denominazione
d’origine protetta, nonché per i vini DOC le bevande alcoliche altoatesine.
Tra i prodotti alimentari altoatesini rientrano in particolar modo prodotti di
qualità come latte fresco, yogurt e panna, burro e formaggi, pane e se previsti
nelle liste o nel buffet, anche mele e speck. Dei prodotti offerti dei quali siano
disponibili anche prodotti altoatesini, il 25% deve consistere in prodotti
altoatesini.
53
Le diverse fasi del percorso
Per prima cosa, la Giunta Provinciale dell’Alto Adige ha deciso a livello formale
la creazione e la gestione del marchio ombrello.
Il progetto è iniziato con un’ampia analisi del mercato e della concorrenza. Nel
contempo sono stati eseguiti un inventario dei marchi più importanti dell’Alto
Adige, nonché interviste alle relative imprese.
Sulla base dei risultati ottenuti, sono state chiarite l’identità del marchio
ombrello e la questione dell’unicità dell’Alto Adige. A questo scopo sono stati
definiti e disposti in sequenza gerarchica nella piramide i valori rappresentati
dal marchio.
Questa piramide è stata la base per l’identità del marchio; in essa, i valori
rappresentati dal marchio ombrello sono stati suddivisi in valori sostanziali,
valori centrali e differenziatori.
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ÿI valori sostanziali descrivono la base di riferimento; la sostanza del marchio
ombrello è: Alto Adige è vigoroso, affidabile e solido.
ÿI valori centrali sono il nucleo del marchio, ne rispecchia la cultura. Le genti
dell’Alto Adige si concedono il tempo per godersi la vita. Per questo motivo,
nonostante i suoi contrasti e la sua varietà, il marchio emana anche pace e
tranquillità.
ÿAl vertice della piramide ci sono i valori che definiscono il profilo del
marchio (differenziatori). Cosa rende l’Alto Adige unico ed inconfondibile?
Il marchio deve essere cordiale, nel senso di diretto e caloroso. Il marchio è
inoltre ricco di contrasti come la natura del territorio e ricco di tradizioni
come la cultura dell’Alto Adige.
Successivamente sono stati elaborati gli elementi fondamentali della nuova
immagine, ossia del marchio ombrello: il “Südtirol-Panorama”, i caratteri
tipografici ed i colori, oltre ad esempi applicativi come dépliant, confezioni
ed articoli di merchandising. Tutto questo è avvenuto con l’ausilio di svariati
workshop:
I)
i partecipanti abbozzano formulano la loro visione del marchio ombrello
II) si presenta una prima visualizzazione dell’identità di marchio; la
discussione su colori, forme ed immagini affina il profilo del marchio
III) si presentano 300 bozzetti per il nuovo logo; ne vengo scelti e
discussi quattro; nasce nel contempo la prima versione dello slogan di
posizionamento
IV) si presentano due progetti di design e si riprende a lavorare sullo slogan
di posizionamento; si decide di non esporre un panorama arbitrario, ma
un’immagine concreta delle Dolomiti
V) il marchio settoriale del latte: le latterie sono il primo settore a lanciare un
processo di marchio, alla luce del fatto che il differenziatore prioritario del
latte altoatesino è proprio la sua provenienza, richiamando i valori fresco,
soleggiato e gustoso
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I risultati del processo strategico e di design, nel corso di otto presentazioni, sono
stati illustrati ai rappresentanti della politica, dei settori economici, delle agenzie
pubblicitarie dell’Alto Adige, delle agenzie dei grandi marchi e della stampa.
L’obiettivo è il rapido coinvolgimento di gruppi di interesse nel processo, per
verificare il percorso scelto. Il progetto viene discusso in presenza di oltre 150
partecipanti. La strategia ed il design sono poi stati ottimizzati e finalizzati in
base al feedback ottenuto dalle presentazioni.
Questo l’elenco delle presentazioni svolte:
1. gli assessori provinciali
2. la frutticoltura
3. la viticoltura ed altri settori
4. le latterie
5. il turismo
6. lo speck
7. il settore promozionale dell’Alto Adige
8. le agenzie promo-pubblicitarie dei prodotti
Successivamente, con una conferenza stampa, il marchio ombrello è
stato presentato al pubblico.
Nel contempo, si è prevista l’istituzione di una consulta per il marchio ombrello,
con l’incarico di elaborare il regolamento per l’utilizzo e l’assegnazione. La
consulta si compone di un rappresentante per ognuno dei settori commercio,
turismo, artigianato, industria, agricoltura; di un rappresentante di una
agenzia di marketing; di un rappresentante della Camera di Commercio; di un
rappresentante del Comitato Qualità; di un rappresentante della cultura e di un
rappresentante delle attività ricreative.
È quindi iniziato il processo di elaborazione del regolamento (a cura della
consulta del marchio ombrello) e sono state definite le regole per l’assegnazione e
l’utilizzo del marchio; inoltre, è stato elaborato un sistema di controllo pluristadio
a vari livelli e sanzioni.
Nella prima riunione della consulta del marchio ombrello si sono discussi i tratti
fondamentali del regolamento per l’assegnazione e l’utilizzo del marchio stesso.
Si è voluto da un lato permettere la rapida e semplice assegnazione per l’offerta
di prodotti e servizi di qualità, consentendo la veloce diffusione del marchio,
dall’altro impedire il danneggiamento del marchio tramite abusi od applicazioni
errate.
Dopo alcuni mesi è avvenuto il lancio del portale del marchio ombrello, dove gli
applicatori, le agenzie e gli interessati potevano trovare: tutte le informazioni sul
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progetto, le regole e gli esempi di applicazione, i modelli digitali, il regolamento
ed il contratto di licenza.
IL MARCHIO DI QUALITA’
In virtù dell’obbligo normativo di sostituire il marchio protetto Alto Adige con
un marchio di qualità conforme alle disposizioni della stessa UE, nel quadro del
processo di formazione per il marchio ombrello, si è successivamente passati
all’elaborazione di un marchio di qualità corrispondente ai requisiti richiesti. Il
termine “qualità” è stato esplicitato e posto in primo piano, la provenienza “Alto
Adige” è passata in secondo piano. Sono interessati tutti i prodotti agricoli di
qualità sprovvisti di DOP/IGP.
In tutti i prodotti recanti il marchio di qualità, l’enfasi deve sempre essere posta
sul messaggio di qualità, poiché il consumatore non può venire incoraggiato ad
acquistare un prodotto solo sulla base della sua provenienza. La denominazione
di origine rappresenta dunque un’informazione secondaria e come tale sarà
collocata in posizione defilata. Per questo l’indicazione di origine o di provenienza
viene fornita esclusivamente attraverso il marchio di qualità.
Il marchio di “qualità Alto Adige” é un riconoscimento di qualità controllata
per prodotti agricoli ed alimentari. Esso garantisce, unitamente alla rigorosa
origine altoatesina, anche un livello qualitativo ben superiore a quello richiesto
dagli standard di legge. La conformità ai requisiti di qualità viene verificata da
enti di controllo indipendenti ed accreditati.
Con l’approvazione del marchio di qualità, l’Alto Adige si pone all’avanguardia
in tutta Europa. La provincia autonoma di Bolzano è titolare e detiene il
“Marchio di qualità con indicazione d’origine”.
Il marchio di qualità é graficamente armonizzato con il marchio ombrello,
consentendo pertanto non solo di continuare ad affermare un’immagine
unitaria dell’Alto Adige sul mercato, ma anche di sviluppare importanti sinergie
di promozione dei prodotti agroalimentari tipici della regione. Il marchio é stato
approvato dalla Commissione Europea nell’Autunno 2005 in ottemperanza alle
norme restrittive imposte in materia dall’UE.
Il marchio di qualità si inserisce nella strategia di certificazione della qualità
dei prodotti agroalimentari altoatesini e la legge provinciale promuove tutti i
prodotti in grado di garantire al consumatore un alto livello di qualità ed una
rintracciabilità.
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Alla famiglia dei prodotti garantiti dal marchio di qualità appartengono diversi
gruppi merceologici:
• latte e latticini
• pane, strudel di mele e zelten
• verdure
• piccoli frutti
• succo di mela naturale torbido
• miele
• grappa
• mela Alto Adige IGP
• piante officinali ed aromatiche dell'Alto Adige
• speck dell'Alto Adige IGP
• vini Alto Adige DOC
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EMBLEMA DI UBICAZIONE
L’emblema di ubicazione (marchio di localizzazione) è stato concepito per
imprese operanti nel settore produttivo o nel settore dei servizi ed a differenza del
marchio ombrello, può essere utilizzato solo nella comunicazione aziendale.
Il presupposto per l’uso di tale emblema è che l’impresa sia iscritta nel registro
delle imprese della Camera di Commercio della provincia di Bolzano, abbia la
propria sede legale e sociale in Alto Adige, non eserciti attività illegali, immorali
o discriminanti e che, nell’esercizio delle proprie attività, non arrechi danno o
pregiudizio alcuno alla Provincia.
Nell’emblema di ubicazione, analogamente all’applicazione fissa, il marchio
ombrello, il panorama cromatico e la scritta “Impresa del”costituiscono un’unità
indivisibile.
È vietata la promozione di prodotti dell’azienda con l’emblema di ubicazione,
così come l’utilizzo dell’applicazione dell’emblema di ubicazione per le imprese
del settore alimentare, qualora la denominazione sociale faccia riferimento ad
uno o più prodotti dell’azienda stessa.
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BASI NORMATIVE DI UTILIZZO E DISCIPLINARE
La giunta provinciale, sentito il parere di un comitato composto dal Presidente
della Provincia e dagli assessori competenti in materia di commercio, agricoltura,
turismo e sport, approva:
o il programma annuale di marketing
o la ripartizione dei mezzi finanziari annuali per l’attuazione delle iniziative
o le azioni pubblicitarie dei singoli settori
Per il marchio ombrello, la Provincia incarica un gruppo ristretto, composto da
tre soggetti:
• della gestione del marchio ombrello
• dell’esame delle richieste di utilizzo del marchio ombrello
• della decisione in merito ad eventuali quesiti applicativi od interpretativi
relativi alla strategia ed al posizionamento del marchio ombrello
• dell’approvazione delle manifestazioni in cui si può utilizzare l’applicazione
modulare del marchio ombrello
• della determinazione dei diritti di utilizzo previsti in caso di contratto di
licenza
• della determinazione dell’ammontare della percentuale dei controlli a
campione annuali da effettuare presso gli utilizzatori registrati
Il gruppo ristretto è composto:
• dal direttore della ripartizione competente della Provincia
• dal direttore della società Alto Adige Marketing (SMG)
• dal direttore dell’Organizzazione export Alto Adige (EOS)
Per il marchio qualità, la qualità dei prodotti agricoli ed alimentari è garantita
attraverso un programma aperto di controllo della qualità. Il programma di
controllo per ogni categoria di prodotti è eseguito da un organismo di controllo
indipendente ed accreditato, incaricato dall’associazione, organizzazione o
dal consorzio dei produttori della rispettiva categoria, abilitato ad eseguire i
controlli secondo le vigenti norme europee. Il programma di controllo è attuato
in osservanza dei disciplinari previsti per le varie categorie di prodotti.
Presso la Ripartizione Provinciale Artigianato, Industria e Commercio è
costituito il Comitato per la qualità, composto da:
o un rappresentante della Ripartizione Provinciale Artigianato, Industria e
60
Commercio, che lo presiede
un rappresentante della Ripartizione Provinciale Agricoltura
un rappresentante della Ripartizione Provinciale Turismo
un rappresentante della Ripartizione Provinciale Sanità
quattro rappresentanti designati dalle commissioni tecniche
un rappresentante degli organismi di cui si servono le organizzazioni dei
produttori per l’assistenza e l’esecuzione
o un rappresentante delle organizzazioni dei consumatori
Il Comitato per la Qualità prescrive le linee guida per l’unitarietà dell’azione
di marketing della qualità, che costituiscono anche la base per il programma di
marketing annuale; coordina le azioni di marketing che riguardano più prodotti;
esprime un parere alla giunta provinciale sulle domande di utilizzo del “Marchio
di qualità con indicazione d’origine”, che riguardano un nuovo prodotto od una
nuova categoria di prodotti; esprime pareri alla giunta provinciale sui disciplinari
recanti i criteri qualitativi e di origine validi per le varie categorie di prodotti;
esamina i modelli di contratto per l’uso del marchio.
La giunta provinciale nomina una commissione tecnica per ciascun prodotto o
categoria di prodotti ai quali è riconosciuta la possibilità di utilizzare il “Marchio
di qualità con indicazione d’origine”.
Le commissioni tecniche sono composte al massimo da nove membri, in
maggioranza rappresentanti dei produttori e degli utilizzatori del marchio. I
restanti componenti sono rappresentanti delle associazioni di produttori o di
gruppi di interesse della rispettiva categoria di prodotti.
Durante le riunioni delle commissioni, la Camera di Commercio, Industria,
Artigianato ed Agricoltura e la Ripartizione Provinciale Artigianato, Industria e
Commercio sono rappresentate rispettivamente da una persona.
Le commissioni tecniche predispongono il disciplinare con i criteri di qualità e
di origine e le relative modifiche e lo sottopongono all’approvazione della giunta
provinciale, corredato del parere del Comitato per la Qualità; predispongono
i modelli di contratto di uso del marchio e li sottopongono all’approvazione
della giunta provinciale, previo esame del Comitato per la Qualità; possono far
pervenire all’assessore provinciale competente in materia di commercio, entro il
termine di 30 giorni, una presa di posizione riguardante il parere dell’organismo
di controllo indipendente, relativamente al rilascio, diniego oppure alla revoca
del diritto all’utilizzazione del marchio; predispongono i programmi annuali
per la pubblicizzazione dei prodotti; determinano in che modo ed in quale
percentuale gli utilizzatori del marchio sono tenuti a partecipare, nel rispetto del
o
o
o
o
o
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diritto comunitario, alle spese annuali per la pubblicizzazione dei prodotti.
Si può prescindere dalla costituzione di una commissione tecnica, se la giunta
provinciale incarica un organismo già operativo per una determinata categoria
di prodotti.
Per ciascun prodotto o ciascuna categoria di prodotti, la commissione tecnica
elabora uno specifico disciplinare. La giunta provinciale approva il disciplinare,
sentito il parere del Comitato per la Qualità.
Il disciplinare comprende:
oi criteri di qualità ed origine previsti per le varie categorie di prodotti
ole disposizioni relative ai controlli
ole sanzioni
ole modalità di applicazione del marchio di qualità
Il disciplinare tiene conto in modo particolare anche dei criteri di qualità che
riguardano i processi di produzione, la coltivazione nonché l’allevamento ed il
trasporto degli animali adeguati alla specie.
Il diritto ad utilizzare il marchio di qualità può essere concesso ad imprese del
settore agricolo ed alimentare, a produttori di generi alimentari ed ad aziende
commerciali. L’utilizzazione del marchio è autorizzata dall’assessore provinciale
competente in materia di commercio, sentito il parere dell’organismo di controllo
e previa sottoscrizione del contratto all’uso del marchio.
L’autorizzazione all’uso del marchio di qualità per un nuovo prodotto od una
nuova categoria di prodotti è rilasciata dalla giunta provinciale, previo parere
del Comitato per la Qualità.
Possono essere promosse le seguenti iniziative, conformemente al diritto
comunitario:
o azioni pubblicitarie (pubblicità su giornali, riviste, a mezzo radio, televisione ed
internet; cartellonistica, sponsorizzazioni, materiale pubblicitario, volantini,
manifesti ed altri stampati; promozione delle vendite, attività promozionali
presso punti di vendita senza degustazione, punti di informazione, attività
di pubbliche relazioni e convegni)
o azioni promozionali della commercializzazione (organizzazione di fiere
ed esposizioni, partecipazione a tali manifestazioni od iniziative a queste
equiparate nel settore delle relazioni pubbliche, compresi sondaggi, analisi
di mercato e di marketing)
o campagne informative al consumatore (attività di informazione e diffusione
di conoscenze scientifiche sui prodotti, sui marchi di qualità e sulla relativa
disciplina)
62
o misure volte all’attuazione dei programmi di controllo di qualità (spese
relative ai controlli dei prodotti, delle aziende e dell’utilizzo dei marchi di
qualità; non sono ammesse agevolazioni spese per autocontrolli).
Non vengono promosse azioni pubblicitarie a favore di singoli imprenditori o
che nominano una determinata impresa od i prodotti della medesima. Nessuna
azione pubblicitaria promossa può nominare una determinata impresa o
prodotti della medesima.
La Provincia Autonoma di Bolzano può anche concedere contributi alle imprese,
alle associazioni, alle organizzazioni od ai consorzi della categoria dei prodotti
ed alle associazioni di categoria o loro emanazioni per le iniziative messe in
atto dalle stesse nel settore di rispettiva competenza, nel rispetto delle seguenti
percentuali:
o fino al 50% nel caso di azioni pubblicitarie
o fino all’80% per le azioni per la promozione della commercializzazione
o fino al 100% per le iniziative di campagne informative al consumatore
o fino all’80% per i controlli di qualità con una diminuzione graduale annuale
nella misura del 10% fino ad esaurimento al settimo anno
Se lo svolgimento delle iniziative è affidato ad un ente terzo, il contributo è
erogato direttamente a tale ente.
Il direttore della Ripartizione Provinciale Artigianato, Industria e Commercio
vigila sull’osservanza delle disposizioni della presente legge, dei disciplinari e dei
contratti d’uso del marchio. Il direttore può affidare il predetto compito ad un
altro ente pubblico.
SPECIFICHE APPLICATIVE
Considerando le varie esigenze degli utilizzatori del marchio gli elementi base
sono disponibili in diverse forme applicative.
Per i principali mercati e destinatari il marchio é disponibile sia in lingua tedesca
che in lingua italiana.
Il marchio é disponibile in due varianti cromatiche in grado di rispondere in
modo flessibile alle molteplici esigenze dei processi di stampa.
Per le più diffuse forme applicative il marchio di qualità é disponibile in un
format studiato per la stampa in quadricromia. Per media particolari con un
numero limitato di colori di stampa, il marchio di qualità é disponibile in un
format studiato per la stampa bicromatica con colori speciali.
63
La larghezza minima del marchio di qualità (senza outline bianca) non potrà
essere inferiore a 16 mm. Eventuali eccezioni andranno valutate caso per caso.
Nelle applicazioni in co-branding il marchio di qualità sostiene e valorizza il
rispettivo marchio operativo e non deve prevalere sul logo del produttore.
La dimensione del marchio di qualità varia in funzione della grandezza del
rispettivo logo del produttore e di norma corrisponde almeno all’80 % della
dimensione di quest’ultimo.
Qualora in casi eccezionali il marchio operativo debba comparire con un
formato tanto ridotto da richiedere, per il marchio di qualità, dimensioni inferiori
alle minime prescritte di 16 mm, il marchio di qualità dovrà essere impiegato
osservando i valori minimi di grandezza e potrà avere dimensioni maggiori del
rispettivo logo del prodotto.
Il marchio di qualità é localizzato in pieno campo visivo su tutte le superfici
principali del packaging. Idealmente il marchio di qualità dovrebbe essere posto
sulla stessa asse del marchio di produttore e centrato rispetto a quest’ultimo.
Quando questo non fosse possibile, possono essere utilizzati altre importanti assi
di riferimento.
Il marchio di qualità senza denominazione aggiunta può trovare applicazione
su tutto il packaging.
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Per assicurare un adeguato risalto al marchio di qualità, é stata definita una zona
di rispetto, intorno alla quale non possono essere posizionati né elementi di testo,
né altri elementi grafici, alla luce del principio secondo cui tanto più ampia é
la zona di rispetto che circonda il marchio di qualità, tanto più forte é l’effetto
estetico di pregio e di imponenza che essa riesce a trasmettere al marchio.
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Nella comunicazione di settore vengono utilizzati, accanto al marchio
di qualità, i seguenti elementi base del corporate design del marchio
ombrello: la scritta, i colori ed il panorama Alto Adige.
Nella sua applicazione fissa e modulare, il marchio ombrello può essere
utilizzato da tutte le imprese operanti nel settore del turismo, dell’economia o
dell’industria.
L’utilizzo é subordinato alla sussistenza dei requisiti definiti nel regolamento, in
particolare di quelli relativi alla capacità di consolidare o rafforzare l’immagine
dell’Alto Adige, nonché l’identità ed il posizionamento del marchio ombrello.
Qualora quest’ultimo caso non si verifichi, può essere richiesta l’applicazione
dell’emblema di ubicazione, fatto salvo il rispetto degli altri requisiti previsti dal
regolamento.
I principali problemi da contrastare, per quanto riguarda in modo particolare il
marchio ombrello, sono:
o dimensione piccola: la dimensione dell’applicazione fissa non può essere
inferiore a 2/3 del logo in co-branding.
o contrasto carente: la scritta ed il panorama devono risaltare con chiarezza
davanti allo sfondo.
o inosservanza della zona di rispetto: per l’applicazione fissa è prevista una
zona di rispetto pari ad almeno l’altezza di due maiuscole del marchio
ombrello.
o posizionamento errato: l’applicazione fissa deve essere collocata su una delle
assi del logo in co-branding.
o vietata la funzione di collegamento tra l’immagine e lo spazio bianco:
l’applicazione fissa non può fungere da collegamento tra l’immagine e lo
spazio bianco.
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74
Nel caso dell’applicazione fissa la scritta “Alto Adige” o “Südtirol” ed il panorama
stilizzato dell’Alto Adige formano un’unità indivisibile. La dimensione di questa
unità è scalabile esclusivamente in proporzione nonché entro le varianti di
grandezza predefinite.
L’applicazione modulare permette l’uso di tutti gli elementi di base del marchio
ombrello.
Tutte le applicazioni modulari dovranno essere sottoposte all’approvazione del
brand management.
IL SISTEMA DELLE SANZIONI
Il contratto di licenza per l’utilizzo del marchio è valido al massimo per cinque
anni dalla firma della Provincia e può essere rinnovato per altri quattro anni. Il
licenziatario può in qualsiasi momento rinunciare alla licenza d’uso del marchio
ombrello, prima della sua scadenza.
La Provincia Autonoma di Bolzano adotta le opportune misure per mantenere
la protezione legale del “Marchio di Tutela Alto Adige”.
L’abusivo od indebito utilizzo del “Marchio di qualità con indicazione d’origine”
o la violazione delle disposizioni del disciplinare o del contratto d’uso del
marchio, è punito con una sanzione pecuniaria amministrativa da Euro 500,00
ad Euro 5.000,00. Per ogni successiva violazione commessa nell’arco di 24 mesi,
75
l’importo della sanzione viene quintuplicato.
In caso di violazione grave delle disposizioni del disciplinare o del contratto d’uso
del marchio, l’assessore provinciale competente in materia di commercio può
sospendere l’autorizzazione fino a sei mesi. In caso di recidività l’autorizzazione
è revocata.
Per quanto riguarda il marchio ombrello, le non conformità possono essere:
• lievi, quando non pregiudicano l’immagine del marchio ombrello, la sua
identità od il posizionamento che il marchio ombrello intende tutelare
• gravi, quando sono tali da pregiudicare l’immagine del marchio ombrello, la
sua identità od il posizionamento che il marchio ombrello intende tutelare
L’ammonizione è la sanzione applicabile a fronte di non conformità lievi. Essa
consiste nell’invito ad eliminare entro un termine perentorio e ragionevole le
non conformità riscontrate.
La sanzione è applicabile a fronte di non conformità gravi o della reiterazione
per almeno tre volte di non conformità lievi. Essa consiste nel pagamento di una
somma da un minimo di Euro 500,00 ad un massimo di Euro 10.000,00 e può
essere aggiornata annualmente dalla Provincia.
La sospensione, con o senza sanzione, è applicabile per un tempo determinato
non superiore ad un anno a fronte di non conformità gravi.
La sospensione deve essere comunque applicata quando sia stato constatato
un uso improprio del marchio, il licenziatario abbia rifiutato per due volte
consecutive e senza giustificato motivo le visite di controllo, sia stato assunto un
provvedimento cautelativo da parte dell’autorità giudiziaria, non sia stato versato
l’importo della sanzione applicata, non sia stata corretta nei tempi indicati una
non conformità grave riscontrata.
La revoca, con o senza sanzione, è applicata a fronte di una non conformità grave.
Essa è comunque disposta nei seguenti casi: reiterazione di una non conformità
grave; fallimento o cessazione dell’attività del licenziatario; utilizzo del marchio
ombrello in termini illegali o fraudolenti; mancato versamento delle somme
dovute alla Provincia e persistenza nell’inadempimento, nonostante la messa
in mora e la diffida inviate; mancata esecuzione delle indicazioni del gruppo
ristretto o delle competenti ripartizioni della Provincia. La revoca comporta la
cancellazione dall’elenco dei licenziatari.
TORELLI FRANCO
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APPROFONDIMENTO DI ALCUNI PRODOTTI
DELLA TRADIZIONE GASTRONOMICA
REGGIANA CHE POSSONO ESSERE DEFINITI
“MATILDIZZABILI” ED AVENTI LE
CARATTERISTICHE PER RICEVERE LA
CERTIFICAZIONE SPECIALITA’
TRADIZIONALE GARANTITA (S.T.G.)
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PREMESSA
Il passato storico di un territorio che testimonia gli avvenimenti e le vicende
accadute nel trascorrere del tempo, non può esulare in nessun modo, dalla
narrazione di ciò che la cucina tipica e la gastronomia locale hanno sedimentato
nella tradizione e nella cultura, spesso sinonimo di retaggio culturale da
popolazioni diverse che con il passare degli anni sono state inglobate in una
determinata zona. Il territorio reggiano è un chiaro esempio di come gli
sconvolgimenti di etnie differenti nel corso della storia, hanno favorito la nascita
di un sostrato culturale così variopinto, che attinge da più fonti e più culture.
In questo elaborato si effettuerà un’analisi di alcuni prodotti della tradizione
gastronomica reggiana, già presenti in epoca matildica e consumati abitualmente
sulle tavole medioevali. Tale disamina verrà apportata nell’ottica sia di attribuire
ad essi un marchio matildico ascrivibile alla Provincia di Reggio Emilia, ma
anche al fine di ottenere una potenziale certificazione S.T.G. (Specialità
Tradizionale Garantita), la quale come richiede la normativa, prevede che siano
reperite notizie, riferimenti, ricette, di questa preparazione almeno antecedenti
venticinque anni ai giorni nostri.
Si analizzeranno quindi, le barzigole di pecora e di riflesso tutta la carne di ovino, il
riso attraverso la bomba di riso e la torta, i tortelli verdi, la castagna, con le frittelle ed
il castagnaccio, il savoretto, il miele, gli animali da cortile e la carne d’asino, con infine un
breve accenno all’uva fogarina.
BARZIGOLE E CARNE DI OVINO
E’ noto quanto sia stata difficile la romanizzazione dell’agro reggiano, da parte
delle legioni romane nel corso del II secolo avanti Cristo, soprattutto nelle zone
montane di più problematico accesso. Questa fase storica che ha avuto bisogno
di ben tre campagne militari e conclusasi con una completa pulizia etnica da
parte di Roma, verso questi cocciuti Liguri Verabolensi, che avevano eletto
come loro roccaforte la giogaia dei monti che vanno dal Valestra alla Pietra di
Bismantova, non si è conclusa senza lasciare tracce. La romanizzazione di queste
zone fu pesante ed a trecentosessanta gradi, anche per via di una posizione
strategica importantissima, per l’accesso ai passi appenninici e di lì a Roma,
controllare questa zona di media alta collina reggiana, assumeva un’importanza
vitale. Il carpinetano, la valle del Tresinaro divennero quindi fasce territoriali
da dominare con accurata scrupolosità, insistendo con tenacia nella politica di
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insediamento stabile.
Questa fase si protrasse per parecchio tempo, fino circa al VI secolo dopo
Cristo, quando anche in queste zone le orde dei barbari del Nord, penetrarono
massicciamente nell’ordito del tessuto territoriale romano.
I barbari che per il territorio emiliano, ebbero il volto crudele e feroce dei
Longobardi guidati da Alboino, che scesero per la prima volta intorno al 568,
elessero il Nord Italia e quindi anche il reggiano come loro nuova residenza,
presentandosi come i nuovi conquistatori, convinti di soppiantare in toto la cultura
romana, della quale si doveva salvaguardare solamente il diritto e la legislazione,
che essi guardavano con rispetto ed ammirazione. Il carpinetano e la fascia
territoriale sopra descritta, tornarono a diventare una zona strategicamente
troppo importante per essere abbandonata facilmente, anche perché divenne
la linea di confine tra le popolazioni romane, ormai fortemente influenzate
dalla cultura bizantina e dalla Roma rinchiusa in Ravenna e le nuove genti
longobarde, con le loro tradizioni germaniche e nordiche.
Tale zona divenne quindi un campo di battaglia, non solo per eventi bellici, ma
anche e soprattutto un territorio dove insediare radicalmente gli influssi culturali
delle due tradizioni, per cercare di mantenere saldo il legame con le proprie
radici.
Analizzare quindi il carpinetano e la valle del Tresinaro, vuole dire vedere uno
spaccato perfetto dell’evoluzione storica del reggiano, con le varie successioni
di etnie e culture, che poi hanno portato la tradizione reggiana ad essere quello
che è ora.
Non è un caso come spesso viene ricordato, che anche gli edifici cultuali cristiani
più antichi, dopo la profonda fatica che la religione cristiana fece per inserirsi
in una cultura fortemente pagana, abbiano trovato origine in questa zona,
con le chiese di S. Vitale di Carpineti e di S. Apollinare di Casteldaldo, oltre
a varie cappelle quale quella del monte Varigolo, di cui rimangono solo poche
tracce. Queste chiese dedicate ai santi di Ravenna, Apollinare e Vitale, sono
quasi un’eccezione nel territorio reggiano e stanno ad indicare un tentativo di
salvaguardare tale area dall’attacco della nuova influenza longobarda, di eresia
ariana, che dedicava le chiese ai santi Giorgio e Michele. La contrapposizione
tra Longobardi e Bizantini si legge molto bene semplicemente andando a vedere
le chiese ed i loro santi, posti spesso uno da una parte e l’altro dall’altra del
crinale, quasi a fronteggiarsi su di un’ipotetica linea di fuoco.
La contrapposizione fu così netta, che in questa zona la reazione longobarda fu
feroce e non è un caso che proprio qui a tutt’oggi possiamo trovare tantissime
79
testimonianze concrete della loro dominazione. La toponomastica locale parla
chiaramente di paesi nominati con termini di origine longobarda, ad esempio
Romagnano (derivante da Arimannorum/Arimanni, la casta abbiente di questa
etnia), o di cognomi di persone che tradiscono la tradizione germanica, quali
Lamberti, Gualerzi, Gualandri, Giberti…L’influenza longobarda poi si vede
chiaramente nella tradizione culturale reggiana, proprio perché ad essi si deve
l’introduzione della suinicoltura, con l’allevamento allo stato brado di grandi
quantità di suini, nutriti con le ghiande dei boschi di quercie, che favorirono
una fiorente arte norcina, per la quale l’Emilia, come del resto altre zone ad alta
influenza longobarda quali l’Umbria, sono state rese famose e celebri.
Ma proprio nella fascia territoriale di Carpineti e della valle del Tresinaro, di
fronte ad un universo dove il suino la fa da padrone, proprio per differenziarsi e
per gridare ad alta voce l’appartenenza ad una cultura, oramai di minoranza di
matrice bizantina, è rimasta viva e fiorente, nella zona di Baiso e dell’alta valle
del Tresinaro, unica enclave in Emilia, l’abitudine di consumare carne di ovino,
pecora ed agnello, sotto forma di differenti pietanze.
L’allevamento ovino in epoca prelongobarda era attivato in larga scala in
Emilia, tanto che i grandi scrittori classici romani, ricordano che bastavano le
pecore emiliane, per rifornire tutta Roma di lana e latticini. Tante testimonianze
archeologiche, toponomastiche ed iconografiche, ricordano la vocazione
ovina emiliana, una vocazione che va a scemare mano a mano a favore della
suinicoltura.
La pastorizia e la tradizione dell’allevamento ovino rimarranno nel corso di questi
ultimi secoli fortemente radicate soprattutto nell’Alto Appennino Reggiano, fino
a pochi decenni fa con le rotte della transumanza verso la Maremma o il fiume
Po in Inverno, quasi a sostentare una monoeconomia, soprattutto in zone dove
il castagno ed un’agricoltura di sussistenza fornivano il necessario per vivere.
La carne di pecora inoltre non era considerata pericolosa dalla medicina
galenica, la medicina in voga durante il Medioevo e che caratterizzò tutta la
farmacopea e la culinaria fino all’Età dei Lumi. Secondo quest’ultima, l’uomo
composto da quattro fluidi corporali (acqua, aria, sangue e flegma), ai quali si
davano quattro valori (caldo, freddo, umido e secco), doveva alimentarsi con
cibi adeguati per equilibrare i fluidi, in questo caso la carne di ovino non era
quindi particolarmente calda e secca rispetto ad altri animali quali ad esempio
il maiale.
La tradizione reggiana ricorda innumerevoli detti, proverbi, racconti e filastrocche
che lasciano trasparire la centralità di questo animale per l’economia quotidiana
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del montanaro reggiano, raccolte in diverse pubblicazioni di differenti anni
dell’ultimo secolo appena trascorso.
Infatti, se da un lato la montagna reggiana trabocca della tradizione ovina,
praticata da parecchie famiglie nel corso dei secoli, tanto che Filippo Re, nel
suo Viaggio agronomico per la montagna reggiana del 1800, ricorda che in Appennino
erano censite circa 67111 pecore e 14376 capre, a fronte di 5043 buoi, 8273
vacche ed 11300 suini, un numero così grande non corrisponde ad un consumo
quantitativamente importante di carne ovina. La pecora è allevata con grande
cura, la veterinaria popolare ricorre a tutto il suo sapere per salvaguardare la
salute di un animale tanto importante per l’economia domestica, anche se di
essa si utilizzava il latte per i latticini e la lana, mentre la carne veniva consumata
solo al termine del ciclo vitale.
La tradizione locale è impermeata dell’amore del montanaro per le pecore, il
Gigante Cusna era un pastore, la toponomastica locale tradisce luoghi dedicati
al ciclo lavorativo dell’animale, ad esempio il rio Lavero dove venivano lavate
le pecore prima della tosatura, ma solo nella fascia del territorio di Baiso la
tradizione ci tramanda un consumo costante e radicato di carne di ovino, sotto
forma delle note barzigole o di altra natura.
Anche nel Medioevo quindi ed in epoca matildica, la pecora era un animale
tenuto fortemente in considerazione, immancabile nelle stalle, fornitore di lana,
latticini e carne.
La barzigola ed il violino, sono prodotti quindi a forte marchiabilità matildica,
radicati da secoli nella cultura locale di un territorio ristretto e compresso, che
ne ha favorito la custodia ed il mantenimento.
I ricettari antichi non parlano di barzigole o di violino, ma più facilmente di carne
di agnello, pecora o castrato, sotto diverse forme e preparazioni.
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Il Libro settecentesco della famiglia Cassoli, che racchiude ricette e preparazioni
culinarie reggiane, parla di diverse pietanze preparate con carne ovina, ma non
di barzigole: lingua di montone piena, zampe di montone o castrato piene, zampe con cocomero,
in Sornì, spalla di montone o castrato al forno, girata, coda di montone o castrato con il riso,
alla prussiana, gigotto di montone o castrato alla reale, braciole di montone o castrato con rape,
gigotto di montone girato con cocomero, comodato, all’inglese, con cavolfiori, lingua di montone
girata.
Il Ricettario di Casa Re, specifico per la cucina ricca europea e soprattutto di
tradizione reggiana anch’esso della fine del Settecento invece, non parla di
carne di ovino, mentre La Cuciniera Maestra di Leopoldo Bassi del 1884, cita
a tale riguardo, fricassea di agnello, la cui ricetta: “…prendete un pezzo di
agnello dalla parte davanti, tagliatelo a pezzetti e mettetelo in un tegame con
un bicchiere di aceto, un poco di cipolla, pepe e spezie, lasciatevelo due ore, poi
levatelo e mettetelo nella padella asciutta e friggetelo un poco intanto che sfumi
l’acqua, poi aggiungetevi un soppesto di lardo e friggetelo fino che sia venuto bel
rosso, poi levatelo, mettetelo in una casseruola con burro e una scorza di limone
e fatelo bollire fino che sia cotto, poi mettetelo in un piatto e levatevi le scorze di
limone e mandatelo in tavola…” Vengono inoltre citate le costolette di montone:
“…prendete delle costolette di montone, che batterete leggermente onde dare
loro la migliore forma, spolverizzate di sale, pepe e un poco di garofano pesto,
marinatele nell’olio per mezz’ora circa, indi fatele cuocere a fuoco ardente,
affinchè il sugo riesca ben concentrato e servitele con il limone…”
La più antica testimonianza edita che descrive la ricetta per le barzigole è datata
1985, quindi in linea con i venticinque anni che devono passare per ottenere la
certificazione S.T.G. e si trova su di un volume di Maria Alessandra Iori Galluzzi
e Narsete Iori, dal titolo Breve manuale del mangiare reggiano: “…barzigole, per 6
persone occorre 1 chilo di spinale disossato di pecora tagliato a fette. Preparare
una concia con aglio, rosmarino, sale, pepe e vino bianco. Lasciare la carne in
concia per un giorno ed al momento di cuocerla scolare la concia e appoggiarla
sulla gratella calda…”
Vengono inoltre citati i budellini di agnello: “…acquistare il cosìddetto pezzo di
latte, aprirlo e lavarlo molto bene. Metterlo in concia per una notte con acqua,
sale e aceto. Trascorso questo tempo, scolare la concia e cuocerlo in padella
fino alla completa evaporazione dell’acqua contenuta. Indi tagliare i budellini a
dadini. A parte preparare un trito con poco aglio, prezzemolo, burro, olio, farvi
soffriggere la carne, bagnare con mezzo bicchiere di vino bianco secco, sale,
pepe e tirare a cottura con 250 grammi di pomodori pelati da conserva…”
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RISO
BOMBA DI RISO
Per quanto riguarda il riso, esso si può definire un prodotto matildizzabile per
eccellenza per vari motivi e testimonianze.
Innanzitutto il riso compare in Europa, introdotto dagli Arabi intorno al VII
secolo dopo Cristo e tramite la conquista araba della Sicilia e del Meridione
viene introdotto in Italia e nell’Europa centrale. Questo si caratterizza da subito
come un prodotto ricco per eccellenza, un simbolo di ricchezza e benessere, che
quindi non doveva mancare sulle tavole della nobiltà, in un’epoca appunto dove
la tavola ed il cibo erano oltre che nutrimento, ostentazione di ricchezza e di
simbolismo, per sottolineare il proprio potere e prestigio nella società.
Il riso entra sulle tavole medioevali, grazie al piatto più conosciuto del Medioevo,
una pietanza conosciuta in tutta Europa, immancabile in ogni banchetto,
preparato con la medesima ricetta, quasi un precursore dei cibi globalizzati
moderni, (Mc’Donald’s), con lo stesso sapore ovunque: il Biancomangiare.
Questo era un pasticcio di riso con spezie e latte, a volte di mandorla, nel quale
venivano aggiunti tagli di carne, spesso di pollo, che venivano cotti in umido.
Tale piatto dalla forte valenza simbolica era emblema di prestigio, il suo bianco
doveva essere abbagliante, sinonimo di purezza, ricchezza, importanza. Questa
portata attraversa i secoli e finisce nei ricettari settecenteschi senza essere mutata
nel suo insieme, per entrare nella cucina moderna con tutto il suo passato storico,
tanto che anche Pellegrino Artusi, nel suo La scienza in cucina e l’arte di mangiare
bene, il volume che secondo la critica codifica per primo la cucina italiana, lo
cita fra i suoi preparati. Ma la menzione più importante è quella di Donizone,
il biografo contemporaneo a Matilde di Canossa, che ne scrive la Vita Mathildis,
nella quale, la ricorda, raccontando il sontuoso banchetto che la Gran Contessa
offre ai grandi dignitari d’Europa, accorsi a Canossa, nell’Inverno del 1077 per
dirimere la spinosa questione sulle Investiture, che aveva raggiunto il suo punto
più pericoloso con la scomunica dell’Imperatore Enrico IV da parte del papa
Gregorio VII. Al termine della disputa conclusasi con il perdono di Canossa,
Matilde nel banchetto di ringraziamento, che secondo Donizone, sarebbe durato
addirittura alcuni giorni, viene ricordato uno splendido biancomangiare, la cui
bianchezza e superava tutti gli altri visti fino a quel momento.
Un piatto simile rimane nella gastronomia reggiana a ricordare gli antichi fasti,
la bomba di riso, affine di aspetto ed ingredienti, anche se il sapore è differente, in
83
quanto il biancomangiare puntava molto sulla sua dolcezza.
Il Ricettario di Casa Re del Settecento ricorda un piatto simile che nomina
come timballo di riso a B.M., la cui ricetta è: “…insaporisci con burro o midollo.
Poi cuoci bagnando poco per volta, con sugo o brodo, condisci con sale pepe
e droghe. Cotto a dovere e denso fa freddare. Incorporavi 6 tuorli e 4 chiare
dibattute assieme. Fanne b.m., cui potrai abbellire, a tuo grado, ed empine il
centro di un ragù…”
Nella Cuciniera Maestra invece del 1884, compare già la ricetta divisa in due
preparazioni differenti, nominata già bomba di riso: “…prendete varie qualità
di carne, per due libre carne di maiale e vitello, rognoni, fegati, tagliate tutto a
pezzettini e mettetela a cuocere in una casseruola con soffritto di burro di circa
due oncie, cipolla, pepe, spezie, sale e poi quando è cotto aggiungetevi un litro
di latte o panna e fatela bollire e mettetevi a cuocere una libbra e mezzo di riso
e quando è cotto mettetevi un bel pugno di formaggio grattugiato e lasciatelo
piuttosto morbido poi ungete una casseruola col burro, impanatela e vuotatevi
dentro il detto composto e cuocetelo sul fornello o al forno ed è fatto…”
Un’altra preparazione è nominata bomba di riso diversa: “…fate il ragù come
ho detto, eccetto non dovete cuocere il riso con il ragù, ma da per sé nel brodo
di manzo con un cervelletto di Milano e quando è cotto vi mettete una presa di
zafferano e un bel pugno di formaggio grattugiato e lasciatelo piuttosto sodo poi
ungete ed impanate la vostra casseruola e d’intorno mettetevi tutto il riso e nel
mezzo il ragù che venga coperto dal riso e cuocetelo al forno o al fornello…”
Luigi Camparini, il primo gastronomo reggiano degli inizi del Novecento
analizza la tradizione gastronomica reggiana a più riprese, con lo pseudonimo
di Numa Ciripiglia, miscelandola con aneddoti, credenze, voci del sostrato
storico locale nel suo volume del La cucina tradizionale reggiana, uscito nel 1944,
ricordando: “…una preziosità fatta con il riso è la cosìddetta bomba di riso,
la quale è formata con riso commistovi abbondante e già preparato intingolo,
fatto a base di carne di varie specie, sminuzzata, ridotta in minuscoli pezzettini,
cotta con soffritto di burro, cipolla, pepe e sale, ed aggiungendovi latte e panna.
Indi bollito insieme il composto, quando il riso è cotto vi si aggiunge formaggio
lasciandolo il tutto piuttosto morbido che si versa in un recipiente spalmato di
burro e si pone consuetamente a rosolare nel forno…”
Infine anche il Breve manuale del mangiare reggiano di Narsete Iori e Alessandra
Galluzzi ricorda, bomba di riso: “…imburrate ed impanate bene uno stampo
da budino, riempirlo a metà con riso al burro ed uno strato di ragù continuando
con il riso ed il ragù fino al suo riempimento. Coprite con pane grattugiato ed
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infornare per 20 minuti, lasciando girare. Potete sostituire il semplice ragù con
una finanziera o pollo alla cacciatora, oppure facendo lo stampo imburrato e
impanato con fette di prosciutto cotto che richiuderete con il riso, formando con
una scatola…”
TORTA DI RISO
Limitatamente al riso si può fare lo stesso discorso riferito alla bomba anche
per la torta, un dolce radicato da tantissimo tempo nella cultura gastronomica
locale, al quale per lo stesso motivo si potrebbe affiancare il marchio del prodotto
matildizzabile o la certificazione S.T.G.
Di tale preparazione ne esistono differenti versioni, ma già il libro di Famiglia
dei Cassoli del Settecento, di oltre tre secoli fa, ricorda fra le sue pagine la torta
di riso: “…si cuoci il riso nell’acqua, si pesti mandorle scorzate e vi si metta una
scorzetta di limone e cannella in polvere e si unisca tutto assieme con zucchero,
tuorli d’uovo e si faccia la pasta frolla e si formi la torta senza coprirla sopra e
si cuoci…”
Compare poi nella Cuciniera Maestra, di Leopoldo Bassi del 1884, “…prendete
una libra di riso, mettetela in una casseruola con un litro di latte e una libbra
di panna ed un poco di scorzetta di limone grattugiato e fatelo bollire sino che
sia ben cotto spanto e che resti piuttosto molle; poi levatelo e mettetelo in un
tegame e poi prendete una libra di mandorle, pelatele e pestatele nel mortaio con
sei amaretti, poi unite tutto nel tegame aggiungendovi mezza libra di zucchero,
otto uova e quattro tuorli e poi sbattete tutto assieme per mezz’ora, indi ungete
la padella da torta e fatevi la pasta frolla di sotto e vuotatevi il vostro composto
e cuocetelo al forno…” A testimoniare che questo dolce è uscito dai confini
provinciali ed è entrato a fare parte del novero della culinaria italiana, esso
appare nel 1891 nel libro di Pellegrino Artusi, come torta di riso: “…latte 1 litro,
riso grammi 200, zucchero grammi 150, mandorle dolci con 4 amare grammi
100, cedro candito grammi 30, uova intere 3, rossi d’uovo 5, odore di scorza
di limone, una presa di sale. Le mandorle sbucciatele e pestatele nel mortaio
con due cucchiaiate del detto zucchero. Il candito tagliatelo a piccolissimi dadi.
Cuocete il riso ben sodo nel latte, versateci dopo il condimento e quando sarà
diaccio, le uova. Mettete il composto in una teglia unta col burro e spolverizzata
di pangrattato, assodatelo al forno o tra due fuochi, il giorno appresso tagliate la
torta a mandorle e solo quando la mandate in tavola spolverizzatela di zucchero
a velo...”
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Luigi Camparini la cita fra le torte tipiche per eccellenza della tradizione
gastronomica reggiana, accompagnata ad altre preparazioni, quali la torta nera,
la Fiat, quella di tagliatelle, il biscione e la ciambella reggiana.
Nel Breve manuale del mangiare reggiano, la ricetta è riassunta in queste parole: “...per
una tortiera di diametro di circa 25 centimetri occorrono, 300 grammi di riso,
300 grammi di zucchero, 1 litro e ½ di latte, 100 grammi di mandorle, 4 uova
intere, la buccia di un limone grattugiato, 2/300 grammi di Sassolino. Cuocere
il riso nel latte per circa 25 minuti, lasciandolo abbastanza liquido. Aggiungere
le mandorle tritate grossolanamente, la buccia del limone grattugiata e non
appena il composto sarà ben freddo, le uova intere ed il liquore. Preparare un
pasta frolla, foderare con essa la tortiera che avete precedentemente imburrata
ed infarinata, riempitela con il riso. Cuocere per circa un’ora al forno con calore
moderato. Per ottenere una superficie dorata basterà che battiate il tuorlo di un
uovo con l’aiuto di un pennello, pitturiate la superficie della torta dopo circa
20 minuti di cottura. Esistono molte varianti a questa classica ricetta, si può ad
esempio cuocerla senza scatola di pasta frolla, si possono montare gli albumi in
neve, invece di mescolarli con i tuorli al riso freddo. La torta sarà più leggera e
gonfia. Si può evitare l’aggiunta delle mandorle...”
TORTELLI VERDI
Anche il tortello può essere considerato una pietanza medioevale per eccellenza,
quindi meritevole di rientrare nel novero dei prodotti matildizzabili. La sua
tradizione affonda nel passato storico italiano e trova la sua nascita nella filosofia
del riciclo tipico delle epoche passate, allorquando non si poteva, vista la scarsità
dei prodotti, buttare via nulla riguardasse la tavola. Proprio per questo motivo
sembra sia nata l’usanza delle paste ripiene, tortelli, ravioli, cappellacci, agnolotti
e quant’altre presenti in maniera massiccia nella tradizione gastronomica di
differenti città. Per quanto riguarda il tortello, la culinaria storica sembrerebbe
attribuire ad esso un’origine di poco posteriore all’anno Mille, in particolare
nel XI secolo e derivante dalla cultura longobarda, nella quale il radicato
nomadismo che ne stava alla base, la obbligava a riciclare ogni cibo che veniva
consumato. Nasce quindi la necessità di recuperare le carni consumate in umido
o arrosto, i formaggi freschi, che diventano elemento principale di timballi,
tortelli e pasticci, che permettevano alla sfoglia o pasta fresca di avvolgere un
ricco ripieno. I tortelli nati per necessità, diventano anche l’occasione di essere
riempiti con quello che la natura offriva sul momento e da qui i vari ripieni
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di bietole, spinaci, altri erbaggi, o persino dolci, caratterizzati da miele, frutta
candita, marmellata…
A sottolineare lo stretto legame tra il tortello e la tradizione culinaria reggiana, si
deve ricordare che Matilde di Canossa nella documentazione storica giunta sino
a noi, si firma come professante legge longobarda, denunciando l’origine germanica
della sua famiglia. Ciò permette noi di ipotizzare senza sbagliare, che nella mensa
matildina la tradizione del tortello, che spesso veniva condito con formaggio
fresco, burro o ricotta, non Parmigiano Reggiano, che arriverà un secolo più
tardi, fosse ben conosciuta.
Per quanto riguarda i ricettari storici, uno dei più antichi, il Ricettario di Casa
Re ricorda: “…ravioli di ricotta (tortelli): mescola ricotta #1, tuorli 4, chiare
2, sale q.s. un pugno di parmigiano, ed un cucchiaino di droghe. Con pasta
da tagliatellini forma i tortelli s.a. incollandoli con acqua e uova. Cuoci in
acqua bollente come gli gnocchi etc. Apprestagli sempre con formaggio e burro
squagliato. Puoi aggiugner o culì o besciamella, o ragù o pure dar loro una
rosolata…” Inoltre, ravioli all’erba: “…con una buona salsa d’erbaggio fredda
e densa mesci alquanto di ricotta e besciamella, tre tuorli, una chiara, un pugno
di parmigiano, ed un cucchiaino di droghe. Invece della salsa cuoci e spremi,
trincia e fa insaporire, con burro, pepe, sale e droghe degli erbaggi…” In più,
ravioli verdi (veri ravioli): “…fatta l’antecedente composizione, prima di mettervi
le uova unisci panata fredda col latte, metà del volume, allora mescolavi le uova
e fanne i ravioli lombardi cuocendoli come gli altri…”
Il libro di Pellegrino Artusi li elenca in questo modo, tortelli di ricotta o
Raviggiuolo, oppure l’una e l’altro: “…ricotta o Raviggiuolo uniti grammi
200, Parmigiano grammi 40, uova intere 1 e un rosso, odore di noce moscata
e di spezie, un pizzico di sale, un po’ di prezzemolo tritato. Si chiudono in una
sfoglia fatta come quella dei cappelletti e tagliata con un disco rotondo alquanto
più grande. Si possono lasciare colla prima piegatura a mezza luna, ma è da
preferirsi la forma dei cappelletti. Si cuociono nell’acqua salata a sufficienza, si
levano asciutti e si condiscono a cacio e burro. Con questa dose ne otterrete 24
o 25 e possono bastare, essendo grandi, per tre persone…”
Luigi Camparini ne parla nel 1944, in questa maniera: “…tanto l’erbazzone
quanto lo scarpazzone hanno fornito lo spunto per la creazione dei turtee d’erba,
altre creazioni locali che si fanno appunto con dei composti di erbe (biete o
spinaci) analoghi alle dette formazioni o comunque ispirate ad esse. Ad imitazioni
di codesti si fanno anche i turtee ed zocca, a base di polpa di zucca, zucca gialla, o
zucca da turtee o zucca dolza o zucca da foren o zucca da inveren) in cui si frammischiano
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altri ingredienti (talora persino delle mandorle amare), per modificare il sapore e
dell’immancabile nostro grana se ne fanno dei morselli rettangolari, chiusi entro
pasta sfoglia, che vengono poi cotti nell’acqua e presentati in tavola asciutti,
fumanti, stesi a strati, in una zuppiera o in un bacino, abbondantemente conditi
con burro nostrano freschissimo e grana stravecchio…”
Importantissima ai fini della certificazione S.T.G. e della normativa riferita
ai venticinque anni è poi la ricetta che compare sul Breve manuale del mangiare
reggiano: “…tortelli verdi, tortelli ripieni con biete, per il ripieno 1 chilo di biete,
250 grammi di puina o ricotta fresca, 200 grammi di Parmigiano Reggiano
grattugiato, 80 grammi di burro, noce moscata. Lessare e strizzare bene le bietole
utilizzando solo la foglia che farete rosolare in una padella con il burro. Fuori
dal fuoco aggiungere la ricotta, il Parmigiano la noce moscata, il sale ed il pepe.
Procedere al riempimento dei tortelli con tale pesto nel modo solito. Cuocerli
in abbondante acqua salata e condirli con burro e Parmigiano. Vi consiglio di
scaldare prima il piatto dove condire i tortelli onde facilitare lo scioglimento del
burro per consentire una perfetta e rapida amalgama…”
CASTAGNA
Alla castagna ed all’Appennino Reggiano è indissolubilmente legato il nome
di Matilde di Canossa, alla quale secondo la tradizione, si deve una politica di
piantumazione a larga scala a partire dalla collina, fino ad alta quota. Questo
perché le popolazioni che vivevano arroccate sui monti, spesso erano vessate
da una carestia e da un’inedia cronica, dovuta alle difficoltà naturali che un
clima ed un terreno come quello montano offrivano per vivere. Matilde quindi,
commossa dalla povertà di queste genti, offrì loro la pianta del castagno, che li
avrebbe alimentati per tutto l’anno. Ora il limite tra realtà e leggenda a volte
è difficile da districare, tuttavia la montagna reggiana è ricca di antichissimi
castagneti, che per secoli hanno fornito l’elemento basilare per la cucina
montanara. Sebbene la castagna fosse conosciuta ed in maniera massiccia in
epoca classica, sia per quanto riguarda le virtù, che i pericoli, si deve fare notare
che nel corso nel Trecento essa diventerà non più un cibo per nobili, qual’era in
precedenza, ma il cibo per i poveri per eccellenza, quasi a sottolineare campagne
di piantumazione, simili a quella attribuita a Matilde. Da quel momento infatti,
si inizierà a parlare anche di maroni, più consoni alle tavole nobiliari ed al cibo
ricco. La tradizione gastronomica montanara trabocca di pietanze che vedono
come protagonista la castagna, sia bollita, che arrosto, ma soprattutto seccata
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e resa farinosa. Compaiono a questo punto frittelle, polenta, castagnacci,
minestre ed altre svariate preparazioni. A testimoniare il grande utilizzo che
la culinaria reggiana faceva della castagna come ingrediente per la dolciaria
e non solo, appare un manoscritto inedito di Natale Tedeschi, dal titolo Vari
Rimedi, conservato alla Biblioteca Municipale “A. Panizzi” di Reggio Emilia,
che nella Sezione Conservazione, annovera un volume cartaceo, databile tra
il 1701 ed il 1800, che elenca ricette e preparazioni varie della gastronomia
locale. In particolare tra le varie ricette menzionate, si fa memoria di un budino
di castagne, descritto con questa preparazione: “…prendete due bicchieri di
latte. Fateli riscaldare in seguito prendete trenta castagne e dopo averle cotte
nell’acqua, bisogna metterle nel latte e passatele tutte nel setaccio. Prendete
tre rossi d’uovo e sbatteteli con tre cucchiai di zucchero, sbattete in seguito tre
chiare e unitele a tutto il resto, metteteli in una forma e fatela cuocere a Bagno
Maria…”
FRITTELLE DI CASTAGNA
Di questa preparazione dolciaria tipica della gastronomia reggiana, che a volte
prende il nome di Fritlot o Fritloc, ne parla già nel 1945 Luigi Camparini nel suo
Cucina tradizionale reggiana, in questo modo: “…con un intriso di farina di castagne
e acqua leggerissimamente salato e versato a cucchiaiate entro una padella ove
bolla olio o strutto, si fanno frittelle, specie di migliacciuole dette appunto fertlott
che eccitano la ghiottoneria dei fanciulli. In pianura invece l’intriso viene fatto
con farina di castagne stemperata nel latte, talora leggermente addolcito con
zucchero, più frequentemente profumato con buccia di limone grattugiata;
l’intriso viene quindi versato nella padella a cucchiaiate e fritto con olio,
oppure, ma raramente con strutto. Il prodotto è denominato fritelli ed fareina ed
castagna…”
Il Breve Manuale del mangiare reggiano del 1985, le cita in questo modo: “…frittelle
di castagna, fritloc o frittelle di castagne, 300 grammi di farina di castagne, 1
bicchiere di latte, 1 bicchiere di acqua, 1 presa di sale. Preparate con la farina di
castagne, il sale, il latte, l’acqua una pastella abbastanza morbida, che preleverete
a cucchiaiate e friggerete nello strutto bollente (questa è una tipica preparazione
della montagna reggiana, ancora oggi assai gradita)…”
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CASTAGNACCIO
Analogo discorso lo si può fare per un altro prodotto della dolciaria reggiana,
che si prepara con la medesima materia prima, ossia il castagnaccio, che può
assumere differenti nomi, soprattutto più si sale di quota verso l’Appennino e
quindi verso la Toscana, dove assume anche il nome di pattona o focaccia di
maroni.
La cuciniera maestra di Leopoldo Bassi lo nomina già nel 1884, declinandone la
ricetta: “…castagnaccio, focaccia di maroni, fate cuocere e levate la scorza di
una cinquantina di maroni, schiacciateli in un colatoio, quando tutto è passato
aggiungetevi una quarta parte di zucchero in polvere, scorza di limone tagliata
ed un bicchiere di buona crema fate cuocere come il biscotto…”
Importanti poi nell’ottica della certificazione S.T.G. sono i riferimenti diretti
di Luigi Camparini del 1944, che lo ricorda come dolce tipico della montagna
reggiana, ed in parte minore per la bassa e la pianura a base di farina di
castagna. Non deve sorprendere infatti, che prodotti preparati con la farina di
castagne, entrino di rigore nella tradizione gastronomica locale anche di paesi
lontani dall’Appennino, ove la produzione di castagne è totalmente assente o
solo marginale, in quanto la farina di castagna era la protagonista del baratto
più comune degli agricoltori montanari, che scendevano al piano per scambiare
farina di castagno con quella di frumento. Un’ulteriore conferma la sia ha
grazie al Breve manuale del mangiare reggiano, il quale nel 1985, ricorda: “…sia i
grandi che i meno grandi adorano da sempre questo semplicissimo dolce che
la fantasia popolare e le disponibilità finanziarie arricchivano col latte al posto
dell’acqua con uvetta e pinoli o foglioline di rosmarino. Anche la più semplice di
queste preparazioni è assai gustosa e facile da confezionare. Occorrono, farina
di castagna, acqua tiepida, un pizzico di sale, un cucchiaio di olio di oliva, una
teglia ben unta. La pasta dovrà essere abbastanza liquida e senza grumi e la
si dovrà cuocere in forno ben caldo per circa mezz’ora. Sarà pronta quando
avrà assunto l’aspetto caratteristico: screpolato al centro e più basso che ai lati
si serve tiepido o freddo. Una variante consiste nell’aggiungere all’impasto base
un cucchiaino da caffè di lievito in polvere. Si otterrà un castagnaccio più alto
di spessore e più morbido…”
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SAVURET
Il Savuret, o Savoretto, o Saporetto, è un prodotto della tradizione gastronomica
reggiana non semplice da trattare, in quanto è presente trasversalmente al
territorio provinciale, dal monte al piano, ma sotto il medesimo nome a volte si
celano differenze di ingredienti e di preparazioni non di piccolo conto.
Innanzi tutto il Savurett rientra in pieno fra i prodotti matildizzabili, in quanto
nasce dall’esigenza antica di conservare la frutta ed evitare la sua dispersione
con la marcescenza. A tale bisogno si deve la nascita di marmellate, conserve,
confetture e sciroppature, consumate poi nella dolciaria come ripieni di torte
ed altre pietanze da farcire, oppure in accompagnamento. In tale modo per
tutto l’anno, risultava possibile avere quindi la possibilità di consumare frutta,
spesso affiancata a miele, che offriva oltre al consueto apporto vitaminico, anche
un notevole numero di calorie, in un periodo di fame atavica. Non si deve poi
tralasciare, l’importanza di simili preparazioni dolcificanti a trecentosessanta
gradi, in un momento storico, nel quale oltre al miele, era molto difficile avere
differenti preparazioni che favorissero il gusto dolce.
Il settecentesco Libro della famiglia Cassoli, non parla direttamente di Savoretto,
ma elenca fra le varie ricette, nella sezione dedicata ai dolci, il metodo per
confettare la frutta, unendola al mosto cotto, di qualsiasi tipologia, metodologia
che, opportunamente trattata sta alla base della preparazione del Savoret, quasi
a sottolineare, la profonda conoscenza di tali pratiche già nell’Età dei Lumi:
“…confettare tutti i frutti con mosto, dopo lessati i frutti e asciutti, metteteli nel
mosto già passato per staccio, quasi cotto e terminatelo di cuocere a consistenza
di conserva e si metta in vasi…”
In modo differente tratta l’argomento La cuciniera maestra del 1884, che fa
riferimento a molti sapori (alla moda, alla turca, di cedro, di anici, di erbe
odorose, di finocchio, di fragole, di granati, di limone, di mirto, di moscadella,
di prugne, di uva passa, alla reale), che prevedono preparazioni simili, alcune
con l’aggiunta di senape, altre che dopo avere confettato la frutta, provvedono a
cuocere il tutto nel vino, ma in nessuno dei casi si parla mai di mosto cotto.
Chi descrive accuratamente la preparazione del Savurett, ne analizza gli
ingredienti ed i suoi impieghi, anche quelli che esulano dalla sfera gastronomica
è Luigi Camparini, che nel 1944 ricorda: “…ma dove la sapienza, giustamente
orgogliosa delle massaie, particolarmente le collinari, si manifesta è nell’abilità
spiegata a fare il cosìddetto savurett (specie di savore analogo alla mostarda,
cosìddetta perché si ricava dal mòst e dalla saba), fatto da tutte su per giù con
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gli stessi ingredienti, o elementi o componenti, ma le cui proporzioni variano
secondo l’abilità e il gusto di ognuna. Mele e pere, spesso le casaticce, vengono
triturate, frantumate, sbriciolate, strizzate mediante un radein – grattugia
rudimentale rozza e primitiva, di fabbricazione famigliare e talvolta occasionale
- e la poltiglia così formata, ottenuta viene pressata e spremuta in un torchietto
o strettoio, del genere di quello che si usa per purgare i ciccioli dallo strutto:
e il succo che se ne ricava viene versato in un paiolo e fatto bollire, durante
la bollitura a parziale cottura, vi si buttano dentro pezzetti di pere e mele, i
quali, per solito non si sciolgono ne si spappolano completamente, ma restano
pressocchè integri, inalterati. Per parecchie ore viene continuata la bollitura ed
a ogni modo, fino a quando la decozione o la marmellata abbia conseguito una
certa sodezza: il savurett è fatto. Esso viene innanzitutto usato direttamente come
marmellata ed altresì nella formazione di dolci, è anche considerato uno sciroppo
e adoperato sciolto nell’acqua per fare una bibita che riesce dissetante e gustosa
che vien bevuta in particolare maniera durante i lavori più spossanti e prolungati
e duri di campagna come ad esempio la mietitura: intorno a questo composto
si è formato un ciclo di credenze nelle sue virtù, veramente da leggenda, quante
non se ne sono formate, nemmeno in altri tempi per la proverbiale panacea.
Così che oltre ai sopraddetti usi, esso è adoperato come lassativo, non che nella
cura delle scottature, delle sciatiche, delle distorsioni, del male ai denti e di tante
altre infermità e avversità iatture e sventure…”
Come per altri prodotti, importante per la certificazione è poi la testimonianza
che Narsete Iori ed Alessandra Galluzzi lasciano nel 1985 nel Breve manuale del
mangiare reggiano, descrivendo accuratamente quello che chiamano savoretto, savurett,
mosto cotto, saporetto: “…2 litri di mosto cotto, 1 chilo di mele cotogne, 3 pere
della qualità denominata Nobile, 3 pere di qualsiasi qualità, 3/4 mele Ranette,
1 fetta di zucca gialla, la buccia di un’arancia, le dosi di questa specialissima
ricetta variano da massaia a massaia, ed è comunque ancora utilizzata non solo
come componente per il pesto dei tortellini fritti, o al forno, ma anche come
marmellata, come bibita (diluita con acqua è molto dissetante e rinfrescante),
come portentoso medicamento contro le scottature, il mal di denti, la sciatica e
cento altre cose che le tradizioni popolari ci hanno tramandato…”
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MIELE
Il miele si è caratterizzato storicamente come un prodotto che già anticamente
viene scoperto e lavorato dall’uomo. Sia ai tempi degli egizi, che nella civiltà greca
e romana, l’agricoltore comprende molto presto le proprietà e le caratteristiche
di questa sostanza, che in un primo tempo viene raccolta spontaneamente, poi
grazie alle migliorie della apicoltura, viene letteralmente coltivato, in grandi
quantità.
Al miele si attribuiscono non solo il gusto dolce, per secoli è stato l’unico
dolcificante puro, coadiuvato da marmellate e sciroppi, ma anche e soprattutto
virtù terapeutiche e quasi magiche, derivanti dal calore sprigionato e dal suo
colore ambrato.
Carlo Magno nel secolo VIII, all’interno del suo Capitolare de Villis, mette in
chiaro cosa doveva necessariamente e obbligatoriamente avere un’azienda
curtense regia per potere essere definita tale e fra le varie coltivazioni grande
importanza è data all’apicoltura, praticata in grande quantità all’interno di
arnie ricavate da tronchi d’albero vuoti.
Ai tempi di Matilde di Canossa quindi, indubbiamente si faceva largo uso di
miele, sia come dolcificante e quindi come ingrediente importante per quanto
riguarda la dolciaria, sia per la preparazione di una bevanda di origine araba
quale l’idromele, che consisteva in un miscuglio di erbe, acqua e miele. Inoltre
non era di poca importanza il valore che esso aveva come additivo medico sui
piatti, al fine di equilibrare con il suo valore umido e caldo, pietanze troppo
squilibrate verso un fluido.
In provincia di Reggio Emilia, la documentazione storica ricorda come le varie
aziende curtensi fossero votate all’apicoltura, la quale aveva un ruolo molto
importante, tanto da rientrare fra le righe degli inventari aziendali. La cucina
e la farmacopea popolare, vere depositarie del sostrato storico, di credenze e
costumanze di un popolo, sono intrise di preparazioni riguardanti il miele.
Partendo dal settecentesco Libro di Famiglia dei Cassoli, si possono notare
moltissime preparazioni che annoverano fra gli ingredienti il miele, il quale
raffinato, grezzo o aromatizzato in mille modalità, meriterebbe la marchiatura
a prodotto matildico.
Per quanto riguarda il Ricettario di Casa Re lo si trova protagonista del latte
brulè, della crema pasticcera ed in moltissime altre preparazioni che subiscono il
trattamento della caramellatura.
Filippo Re nel suo Viaggio agronomico per la montagna reggiana, descrive in modo
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accurato i modi di vita, l’economia rurale e soprattutto la ristrettezza nonché
l’inedia delle popolazioni montanare reggiane del primo Ottocento, puntando
l’attenzione sulle minime produzioni che permettevano loro un minimo
sostentamento, fra le quali oltre ad un’agricoltura veramente retrograda, la
coltura della castagna e la pastorizia, l’apicoltura assume un ruolo profondamente
importante.
Infine anche i successivi ricettari, sia quelli dei primi decenni del Novecento,
sia quelli redatti negli anni Ottanta, contengono moltissime ricette e pietanze
riferite al miele, o spesso come viene detto con un termine dialettale, alla mela.
ANIMALI DA CORTILE
Un ruolo importantissimo nell’economia domestica di ogni azienda curtense,
fattoria o allevamento, lo hanno avuto nella storia, gli animali da cortile, i
quali storicamente sono stati addomesticati e allevati molto precocemente
dall’uomo.
Polli, galline, conigli, oche ed anatre, razzolano in quantità elevata nelle pagine
storiche, negli elenchi dei beni in possesso all’azienda agricola e come merce di
scambio, spesso come canone affitto da cedere in cambio del terreno. La cucina
medievale dei tempi matildici, conosceva molto bene l’impiego di tali animali,
i valori tradizionali, i rischi e le modalità d’uso secondo la medicina galenica di
carne bianche e rosse.
L’uso poi di carne bianca era importantissimo e molto comune, anche perché era
una carne che non veniva considerata pericolosa, in più spesso erano utilizzate
come riempimento di animali più grandi cucinati arrosto.
Infatti, il banchetto medioevale oltre ad essere un’ostentazione di ricchezza
da parte di chi lo indiceva era un vero e proprio spettacolo, quindi era assai
facile vedere pietanze portate in tavola che vedevano, montoni, buoi, maiali ed
altri animali, contenenti polli, quaglie, anatre, pernici, faraone e quant’altro.
All’interno dei ricettari compaiono diverse ricette che hanno come protagonisti
gli animali da cortile, fra queste, nel Libro di Casa Cassoli: polli in salsa, pollastri
ripieni, con piselli, sopra la gratella, tacchine in salsa, pollarde ripiene, pollarda in bianco
mangiare, anatra comodata, con i piselli, oca piena, germano con salsa, piccioni alle erbette,
fritti, quaglie con salsa, coniglio con cocomero, lepre con le rape e molte altre.
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Stessa situazione nel Ricettario di Casa Re e nella Cuciniera Maestra, dove
compaiono: gallo d’india arrosto (tacchino), lepre alla cacciatora, piccioni in umido, pollastra
a lepre, riffreddo di cappone, alla claustrale, oca alla graticola, piccione in fricassea, pollo alla
contadina, alla cosacca, spalla di montone alla turca e molti altri, come nei restanti
ricettari, fra i quali si deve ricordare al fine di una certificazione S.T.G. il Breve
manuale del mangiare reggiano che detta la ricetta di una preparazione tipicamente
reggiana: “…coniglio arrosto alla reggiana, per sei persone occorrono, 1500
grammi di coniglio, salvia, rosmarino, bacche di ginepro. Lavare il coniglio,
spezzarlo e lasciarlo per almeno 2 ore sotto l’acqua corrente. Preparate una
concia con la salvia, il rosmarino, alcune bacche di ginepro, sale, pepe, aceto e
vino bianco secco, in modo da coprire bene i pezzi di coniglio. Insaporire per
almeno 12 ore in questa concia che scolerete bene quando porterete il coniglio
in una teglia con un po’ d’olio. Cuocere ben coperto per circa un’ora e terminare
a fuoco vivace, scoperchiando per fare colorire i pezzi…”
ASINO
Anche la carne d’asino, ed in particolare di somarina entra di diritto fra i prodotti
matildizzabili, in quanto l’utilizzo dell’asino o di altri equini che non fossero il
cavallo era molto praticato e diffuso nel corso del Medioevo. Soprattutto venivano
impiegati come forza da traino e per la loro mansuetudine come veicolo da
trasporto. Da considerare poi per le classi alte l’impiego del latte d’asina per la
cosmetica e la farmacopea popolare, derivante dall’antica tradizione classica di
Poppea e limitatamente ai cibi afrodisiaci il membro dell’asino.
La documentazione medievale è ricca di riferimenti a questi equini, mentre per
quanto riguarda la cucina si deve ricordare ai fini di un’eventuale certificazione
S.T.G. il Breve manuale del mangiare reggiano, il quale ricorda: “… stracotto d’asina,
tenere per ventiquattro ore in concia preparata con vino rosso fermo, salvia,
garofanini, alloro, odore di noce moscata, sale, pepe, aglio, sedano, carota, un
pezzo di lombo d’asina di circa 1 chilo. Trascorso questo tempo gettare la concia
e rosolare il pezzo di carne con olio, bagnando con una spruzzata di vino rosso,
possibilmente della stessa qualità usata per la concia. Aggiungere 500 grammi
di pomodori pelati o conserva e cuocere per circa due ore. Salare e pepare. Al
momento di servire disporre la carne sul piatto di portata, coperta dalla salsa di
cottura preventivamente setacciata. Si serve anch’essa accompagnata da polenta
abbrustolita calda…”
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UVA FOGARINA
Questa particolare tipologia di uva tipica del reggiano, compare già nel
censimento dei 110 vitigni autoctoni preparati nel 1855 ed è degna di un
approfondimento di natura ampelografica a parte. Per quanto riguarda la
cucina, l’uva fogarina viene citata da Luigi Camparini nel suo Cucina tradizionale
reggiana del 1944, indicata come tipica di Gualtieri.
PANCIROLI DAVID
96
Franco Torelli - Profilo professionale
Franco Torelli, è laureato in Economia e Commercio presso l’Università di Modena, esperto in indagini sociali e di soddisfazione dell’utente, è docente di metodologie statistiche presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
e collabora con l’Università degli Studi di Parma con l’Università Cattolica del
Sacro Cuore, con l’ICE - Istituto Nazionale per il Commercio Estero di Roma.
Svolge attività di consulenza anche per aziende e per istituti di ricerca.
È autore o co-autore di alcune pubblicazioni, tra cui: S. Bracci, S. Meacci, B.
Tonetto, F. Torelli, La customer satisfaction nelle amministrazioni pubbliche:
valutare la qualità percepita dai cittadini - cap. “Come rilevare la customer satisfaction”, in Presidenza del Consiglio dei Ministri, Rubettino Editore, Roma,
2003
David Panciroli - Profilo professionale
David Panciroli, laureato in Storia indirizzo Medioevale presso l’Università di
Bologna, ha conseguito il diploma di Archivista, Paleografo e Diplomatista presso la Scuola dell’Archivio di Stato di Modena ed il titolo di Specialista nella
Valorizzazione Storico Culturale del Patrimonio Alimentare e Gastronomico,
tramite un Master di Primo Livello presso l’Università di Bologna.
Svolge attività di consulenza storica e marketing territoriale, relativa alla valorizzazione dei prodotti e del territorio.
È autore ed ha collaborato in alcune pubblicazioni tra le quali:
“I Castelli scomparsi del comune di Vezzano sul Crostolo”, “Giochiamo con gli
alimenti”, “Bollettino storico Reggiano” della Deputazione di Storia Patria per
le Province Modenesi Sezione di Reggio Emilia” con un approfondimento sul
castello di Rocca Tiniberga.
97
INDICE
ANALISI RELATIVA AD UN EVENTUALE MARCHIO
DA ATTRIBUIRE AD UN PANIERE DI PRODOTTI MATILDICI........................pag 1
ANALISI DEGLI ASPETTI STORICO-PRODUTTIVI E TERRITORIALI...............pag 3
1. PREMESSA......................................................................................................................pag 4
2. OBBIETTIVI ..................................................................................................................pag 8
3. AMBIENTAZIONE STORICA......................................................................................pag 9
4. MATILDE DI CANOSSA . ............................................................................................pag 12
5. PRODOTTI E LEGGENDE MATILDICHE . .............................................................pag 12
6. PRODOTTI ED AZIENDE “MATILDIZZABILI” .....................................................pag 14
7. ANALISI DELLE REALTà DI INTERESSE TURISTICO........................................pag 39
8. STRUMENTI PER LA RICERCA.................................................................................pag 41
9. BIBLIOGRAFIA..............................................................................................................pag 42
ANALISI DEGLI ASPETTI DI MARKETING E COMUNICAZIONE...................Pag 45
MATILDE COME FATTORE DI DIFFERENZIAZIONE..............................................pag 45
L’IMPORTANZA DELLA COERENZA DI UNA MARCA.............................................pag 47
LA CONVIVENZA CON LE MARCHE AZIENDALI....................................................pag 48
I MEZZI DI COMUNICAZIONE DEL MARCHIO MATILDICO...............................pag 49
I CONTENUTI DEI MESSAGGI......................................................................................pag 50
IL COLLOQUIO CON FAUSTO FAGGIOLI..................................................................pag 51
IL CASO DEL MARCHIO OMBRELLO E MARCHIO DI QUALITà
ALTO ADIGE - SUD TIROL.............................................................................................pag 52
IL MARCHIO DI QUALITà.............................................................................................pag 57
BASI NORMATIVE DI UTILIZZO E DISCIPLINARE.................................................pag 60
SPECIFICHE APPLICATIVE............................................................................................pag 63
IL SISTEMA DELLE SANZIONI......................................................................................pag 75
APPROFONDIMENTO DI ALCUNI PRODOTTI DELLA TRADIZIONE
GASTRONOMICA REGGIANA CHE POSSONO ESSERE DEFINITI
“MATILDIZZABILI” ED AVENTI LE CARATTERISTICHE PER
RICEVERE LA CERTIFICAZIONE
SPECIALITà TRADIZIONALE GARANTITA (S.T.G.).............................................Pag 77
99
100