COMITATO SCIENTIFICO
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COMITATO SCIENTIFICO
Roma, 3 dicembre 2007 Intestazioni fiduciarie a soggetti “non professionali” e imputazione dei redditi CIRCOLARE N. 3 Circonvallazione Clodia, 86 – 00195 Roma – Tel. +39 06.37.22.850 - Fax +39 06.37.22.624 www.knos.it [email protected] Sede Legale: Via Verdi, 33 – Venezia CIRCOLARE N. 3 Roma, 3 dicembre 2007 SOMMARIO 1. Premessa................................................................................................................................ 3 2. Il rapporto fiduciario nell’imposizione diretta (a cura di Mattia Varesano) ............... 3 3. Intestazioni fiduciarie e soggettività di imposta, tra certezza, semplicità applicativa, rilevanza delle forme giuridiche e salvaguardia del principio di progressività (a cura di Dario Stevanato e Renato Bogoni)................................................................................... 16 Circonvallazione Clodia, 86 – 00195 Roma – Tel. +39 06.37.22.850 - Fax +39 06.37.22.624 www.knos.it [email protected] Sede Legale: Via Verdi, 33 – Venezia 1. Premessa Il fenomeno dell’intestazione fiduciaria trova ampia applicazione pratica. In particolare è diffuso il ricorso a tale negozio nell’ambito delle relazioni familiari – tramite l’intestazione fiduciaria di alcuni beni a congiunti o conviventi - o nel sempre più frequente caso del “portage” di partecipazioni, mediante l’intestazione a soggetti appartenenti al settore bancario o finanziario di partecipazioni destinate ad un soggetto che in un primo momento non vuole comparire di fronte ai terzi. Tuttavia, a differenza di altri istituti di recente introduzione nel nostro ordinamento (come il trust), il predetto negozio non è stato oggetto di un’esplicita regolamentazione fiscale. La circolare affronta tale tema ed, in specie, è volta a chiarire quale tra il fiduciario ed il fiduciante sia il destinatario degli obblighi fiscali. In presenza di pareri discordanti in merito, soprattutto qualora il ruolo di fiduciario sia assunto da soggetti diversi dalle società autorizzate, la circolare si pone l’obiettivo di individuarne il corretto trattamento giuridico e tributario. 2. Il rapporto fiduciario nell’imposizione diretta (a cura di Mattia Varesano) Il fenomeno dell’intestazione fiduciaria pone alcune rilevanti problematiche circa la corretta identificazione del soggetto a cui deve essere imputata l’obbligazione tributaria (ed i connessi adempimenti dichiarativi), in particolar modo nel settore dell’imposizione diretta. Con il negozio fiduciario, infatti, si assiste ad una dissociazione tra il soggetto sostanzialmente proprietario del bene oggetto della fiducia, e chi ne è formalmente intestatario di fronte ai terzi. Ciò mette in crisi l’ordinario nesso di collegamento tra l’elemento oggettivo (reddito) e quello soggettivo (“possessore del reddito”) della fattispecie impositiva, che di norma si riconosce nella titolarità della fonte produttiva del reddito stesso (sia esso bene, diritto e/o attività). In parole più semplici, nei casi ordinari in cui vi è effettiva congruenza tra forma e sostanza, la sola titolarità di un diritto reale sulla fonte produttiva del reddito risulta essere normalmente condizione sufficiente all’imputazione in capo a tale soggetto del reddito medesimo: così il soggetto titolare del diritto di proprietà (o altro diritto reale di godimento) su un immobile sarà pacificamente il soggetto passivo a cui saranno imputati i redditi 3 derivanti da quell’immobile, i dividendi pagati da una società saranno altresì imputabili quali redditi al socio che risulterà titolare della quota o delle azioni (o titolare di un altro diritto reale a cui è associato il possesso, quale usufrutto o pegno). In tutti questi casi, poco importa chi sia l’effettivo soggetto che gode del reddito prodotto, in quanto l’eventuale discrepanza tra soggetto titolare del diritto reale sul fattore che produce il reddito e soggetto consumatore del reddito stesso, riguarda una situazione che si colloca a valle rispetto al momento impositivo, in quanto attiene alla sfera della “consumazione” del reddito. Ad esempio, nessuno ipotizzerebbe che il comodatario di un’immobile debba dichiarare la rendita catastale, ancorché sia tale soggetto l’effettivo fruitore dell’immobile. Ancora, il fatto che i dividendi distribuiti da una società vengano dirottati verso soggetti beneficiari diversi dal socio, non costituisce di per sé modificazione del soggetto passivo di imposta (il “possessore” dei redditi è comunque il socio), almeno fin quando non si dimostri che il socio rappresenta un soggetto interposto tra il fattore produttivo del reddito (la società) ed il suo proprietario effettivo: ma in quest’ultimo caso si rientra in una situazione di dissociazione tra proprietà formale e sostanziale, che, come detto, pone in crisi l’automatica identificazione del soggetto passivo d’imposta con il titolare del diritto reale sulla fonte produttiva del reddito. Il negozio fiduciario, a differenza della interposizione fittizia di persona, enfatizza maggiormente la problematica in esame, in quanto esso non è, come invece il secondo, un negozio simulato: con il negozio fiduciario infatti le parti vogliono realmente che la proprietà del bene venga assunta dal fiduciario, mentre nell’interposizione soggettiva fittizia il negozio con cui si trasferisce il diritto reale sul bene è simulato e quindi in realtà non voluto. In questa seconda fattispecie, perciò, la dissociazione tra proprietà formale (o giuridica) e sostanziale è solo apparente, in quanto in realtà la proprietà tanto sostanziale che giuridica del bene sono rimaste, sin dall’origine, in capo al soggetto interponente: anche in questo caso perciò, ai sensi di legge, il nesso di collegamento tra l’elemento oggettivo e l’elemento soggettivo della fattispecie impositiva consisterà, esattamente come nella situazione “normale”, nella titolarità del diritto reale di godimento sulla fonte del reddito. L’interposizione fittizia di persona, nel campo dell’imposizione diretta, palesa proprio in ciò la sua natura patologica: tale simulazione tende a modificare, contra legem, il nesso di 4 collegamento tra il reddito (oggetto dell’imposizione) ed il soggetto passivo dell’imposta (il proprietario del fattore produttivo), sostituendo a quest’ultimo un soggetto diverso, in vista di una distorsiva riduzione del carico impositivo: in tali fattispecie, sarà onere del Fisco accertare la simulazione al fine di riportare la fattispecie impositiva nei giusti binari , ovvero individuando nell’interponente (titolare tanto giuridico che sostanziale del bene, diritto e/o attività che producono il reddito) il soggetto passivo di imposta. Nel negozio fiduciario la dissociazione tra proprietà economica (sostanziale) e giuridica (formale) è invece effettiva: si pone allora il problema se il nesso di collegamento tra reddito prodotto e soggetto passivo di imposta debba essere individuato seguendo l’evidenza giuridico-formale, riconoscendo perciò nel fiduciario l’obbligato d’imposta, o viceversa se si debba dare rilevanza alla sostanza economica e quindi riconoscere nel fiduciante il soggetto passivo. Far prevalere la sostanza economica rinunciando ai criteri giuridico-formali nella determinazione dell’imposta pare tuttavia essere una strada poco praticabile (e forse nemmeno desiderabile) nel nostro ordinamento tributario, basato, nella selezione degli elementi della fattispecie impositiva, sul rinvio al diritto civile ed agli effetti dei negozi giuridici ( 1 ). Tuttavia, l’imposizione fiscale in capo al fiduciario pare essere, di contro, una soluzione comunque insoddisfacente, in quanto risulta poco in armonia con i concetti costituzionali di “personalità dell’imposta”, di “capacità contributiva”, e dello stesso concetto di “possesso di reddito”, i quali presupporrebbero che l’onere fiscale fosse a carico del soggetto che effettivamente ha la piena disponibilità del reddito prodotto. Ed è proprio l’espressione utilizzata dal legislatore tributario quale presupposto dell’imposta sui redditi che sottolinea l’insoddisfazione, nel rapporto fiduciario, per il collegamento 1 Ci si era già posti tali interrogativi nella circolare 2/2007 del Centro Studi UNGDC riguardo al regime tributario del “leaseback”, andando in quella sede a sostenere la prevalenza della sostanza sulle forma anche in campo tributario. Tuttavia, nel caso del lease-back non si era voluto affermare una generica superiorità del criterio sostanziale rispetto a quello giuridico-formale (come in passato teorizzato dalla scuola di Pavia), ma piuttosto si era sostenuto, nel silenzio della legge tributaria su tale fattispecie impositiva, la derivazione delle regole tributarie di individuazione delle fattispecie impositive da quelle civili (e contabili): nel caso del lease-back la spalmatura della plusvalenza sulla durata del patto di retrolocazione è conseguente alla trasposizione di una norma codicistica (e quindi di diritto civile) in ambito tributario, supportata anche dal fatto che la stessa natura giuridica del contratto di lease-back viene sempre più riconosciuta dalla giurisprudenza come quella di un contratto complesso ma unitario di tipo sinallagmatico, e non già l’effetto di due negozi separati ed autonomi. Il principio della “substance over form”, nel caso del lease-back, non era perciò stato recepito come autonomo principio del diritto tributario, ma era dovuto ad un suo recepimento in sede civilistica (tanto nella qualificazione del contratto che nella sua espressione di bilancio). 5 basato sul criterio giuridico-formale: l’utilizzo del concetto di “possesso”, benché espressione ambigua e mal correlabile con un concetto astratto qual è il reddito 2 , evoca quantomeno l’idea della situazione di fatto, in contrapposizione con la situazione di diritto, in quanto il possesso è per definizione il potere di fatto sulla cosa, che può anche non essere accompagnato dal legittimo diritto reale sulla stessa. Ma, come già rilevato, il concetto di “possesso di reddito” indicato all’art. 1 del Tuir, ha un valore sistematico troppo debole per poter fondare, solamente su tale rilievo, la legittimità dell’imposizione in capo al fiduciante, andando con ciò a sconfessare il rapporto giuridico esistente tra il bene, fonte del reddito, e il fiduciario, titolare di detto bene. Il fondamentale bisogno di un criterio giuridico-formale a supporto dell’imputazione soggettiva del reddito ha portato perciò, anche in campo tributario, ad indagare sulla reale natura del rapporto fiduciario, nella contrapposizione tra fiducia romanistica e germanistica. Secondo l’interpretazione più tradizionale (fiducia romanistica) il negozio di intestazione fiduciaria è qualificabile come un “procedimento complesso assimilabile a quello del negozio indiretto, che si articola in due distinti, ma collegati, negozi, dei quali, il primo, avente carattere reale ed esterno (trasferimento della proprietà del bene dal fiduciante al fiduciario), l’altro, interno ed obbligatorio, volto a modificare il risultato finale del negozio esterno, per cui il fiduciario è tenuto a ritrasferire al fiduciante o ad un terzo da esso indicatogli il bene o il diritto acquistato col negozio reale” 3 . L’efficacia meramente obbligatoria della fiducia romanistica, comporta che il fiduciario abbia piena titolarità del diritto, con il solo limite di un obbligo che lo lega personalmente al fiduciante: questo non ha alcun diritto sul bene ma solo una pretesa verso il fiduciario. Perciò, se il fiduciario dispone del bene in violazione del pactum fiduciae, gli atti da lui compiuti hanno piena efficacia, costituendo di contro un illecito contrattuale nei confronti del fiduciante, il quale ha diritto al risarcimento del danno. Egualmente, i creditori del 2 Come rilevato da numerosa dottrina, il concetto giuridico di possesso, ai sensi degli art. 1140 e ss del C.C., non può riguardare un concetto astratto qual è il reddito (generico incremento patrimoniale), ma potrà riferirsi solo ai beni (denaro, crediti, azioni, immobili etc…) che esprimono tale incremento. Il concetto di “possesso di reddito” perciò mal si presta a determinare il criterio normativo d’imputazione soggettiva del reddito, in quanto possiede un valore sistematico molto debole, proprio perché non supportato da una precisa valenza giuridica, come invece ha il possesso di beni nel proprio senso codicistico. 3 Cass. 1° aprile 2003 n. 4886. 6 fiduciario possono agire esecutivamente sul bene: anche qui, se l’esecuzione avverrà, il fiduciario dovrà risarcire il danno. A tale impostazione, si contrappone quella della fiducia germanistica, secondo la quale l’intestazione non attribuisce al fiduciario la titolarità del diritto, che rimane in capo al fiduciante, bensì solo la legittimazione all’esercizio dei poteri e delle facoltà ad esso inerenti. Tale filone interpretativo fonda il proprio convincimento innanzitutto su diverse norme speciali in tema di società fiduciarie, e ne ammette l’estendibilità ad ogni negozio fiduciario richiamando la disciplina del mandato senza rappresentanza, secondo quanto disposto in particolare dagli articoli 1706-1707 c.c.. Tali norme, infatti, prevedono un rafforzamento della posizione del mandante, attribuendo a questo la rivendica delle cose mobili non registrate acquistate per suo conto, ma in nome proprio, dal mandatario (1706), e ponendo al riparo dalle ragioni dei creditori del mandatario i beni acquistati da questo in esecuzione del mandato (1707), in deroga perciò al principio generale dell’efficacia meramente obbligatoria del contratto di mandato. E’ ovvio che la scelta tra l’una e l’altra configurazione del fenomeno dell’intestazione fiduciaria – o per meglio dire, ove si ammetta la plausibilità di entrambe, la riconducibilità di ciascuna singola fattispecie concreta all’una o all’altra delle due possibili configurazioni – ha rilevanti risvolti sull’identificazione del soggetto passivo di imposta: se, infatti, si dovesse propendere per la fiducia germanistica, allora verrebbe a mancare, nel rapporto fiduciario, la dissociazione tra proprietà sostanziale del bene-fonte e titolarità giuridica dello stesso, in quanto quest’ultima risulterebbe comunque riferibile al soggetto fiduciante. Si ripresenterebbe perciò l’ordinario nesso di collegamento tra reddito e soggetto a cui imputarlo, cioè la titolarità giuridica della fonte produttiva. Tale soluzione interpretativa rappresenterebbe la soluzione ottimale sotto il profilo tributario: si riuscirebbe quindi ad imputare il reddito al soggetto che effettivamente ne dispone senza andare a forzare il principio di derivazione dal diritto civile della selezione degli elementi della fattispecie impositiva. Ma al di là di giudizi di preferibilità fondati su logiche squisitamente tributarie, la razionalità delle due interpretazioni sopra ricordate deve essere indagata esclusivamente sul piano civilistico, in quanto, per quel che si è detto, è su tale piano che si determina l’effetto negoziale che poi diviene elemento dell’imposizione tributaria. E’ vero infatti che i negozi 7 civilistici rilevano, per il diritto tributario, come “fatti” e non come manifestazioni di autonomia negoziale. Tuttavia, nell’ambito degli aspetti fattuali rilevanti per l’interposizione, non si possono trascurare gli effetti giuridici che promanano dai rapporti posti in essere. L’effetto del trasferimento della proprietà insito in una certa visione del rapporto fiduciario non può dunque essere facilmente superato ai fini di una corretta individuazione del soggetto passivo dell’imposta sui redditi derivanti dalla titolarità del bene-fonte. L’interpretazione che vuole il negozio fiduciario caratterizzato da una fiducia di tipo germanistico, è peraltro del tutto condivisibile se riferita alle società fiduciarie, ovvero a soggetti che per definizione amministrano beni non propri: nel rapporto che si instaura tra soggetto terzo e società fiduciaria è facile per il primo riconoscere che a monte del soggetto con cui interagisce vi è un soggetto diverso, e quindi in tali situazioni non si viene a creare nessun legittimo affidamento del terzo sul carattere reale dell’intestazione. A sostegno di tale interpretazione, vi è poi il condivisibile allargamento analogico, ad ogni società fiduciaria, di numerose leggi speciali che disciplinano tali società in diversi settori economici, norme che prevedono, più o meno esplicitamente, la separazione di patrimoni tra beni oggetto dell’intestazione fiduciaria e beni direttamente afferenti alla società fiduciaria: ad esempio l’art. 1 u.c. del r.d. 29/03/1942 n.239 dispone che “le società fiduciarie che abbiano intestato al proprio nome titoli azionari appartenenti a terzi, sono tenute a dichiarare le generalità degli effettivi proprietari dei titoli stessi”, norma che esclude chiaramente che la titolarità anche giuridica di detti beni sia riferibile al soggetto fiduciario. Non pare invece altrettanto condivisibile l’allargamento della fiducia germanistica ad ogni rapporto fiduciario: qualora infatti il soggetto fiduciario non sia un soggetto che professionalmente amministra beni altrui (o che si relazioni ai terzi in tale veste), si viene a creare, nel terzo che interagisca con questo, la legittima convinzione che lo stesso fiduciario sia la diretta controparte del rapporto, e che quindi l’intestazione ad esso del bene sia effettiva. In quest’ottica, le norme speciali in tema di intestazioni di beni a società fiduciarie si pongono in deroga rispetto ad un regime altrimenti operante, che fa perno sulla titolarità giuridico formale dei beni intestati al fiduciario. Affermare che l’intestazione al fiduciario del bene non rappresenta un trasferimento della titolarità del diritto reale significa deprimere il legittimo affidamento del terzo, a favore dei diritti vantati dal soggetto fiduciante. Ma il risolvere a favore di quest’ultimo il conflitto tra 8 due posizioni giuridiche conflittuali entrambe meritevoli di tutela, pare del tutto contrario alle logiche ed ai principi del nostro ordinamento civilistico: si andrebbe infatti a premiare un soggetto (il fiduciante) che ha voluto ed architettato il negozio giuridico, ed è perciò consapevole dei rischi che avrebbe potuto sopportare, a danno di un soggetto (il terzo) del tutto inconsapevole del negozio in essere tra il fiduciario, con cui si è relazionato, e il fiduciante, e quindi ignaro (anche usando la normale diligenza) dei rischi a cui sarebbe potuto andare incontro. In tale ottica, non si può nemmeno generalizzare ad ogni rapporto fiduciario la valenza delle norme (artt. 1706 – 1707 c.c.) che invece, al contrario di quanto detto, proteggono, in determinati casi, il mandante rispetto alle pretese creditorie dei terzi nei confronti del mandatario: in primo luogo perché non tutti i negozi fiduciari possono assimilarsi ai contratti di mandato senza rappresentanza, in quanto tale identificazione può essere al più accettata per negozi fiduciari dinamici (dove cioè il fiduciario amministra una dote patrimoniale anche modificando la sua composizione qualitativa nei singoli beni), mentre pare un po’ forzata per pure intestazioni statiche. Si pensi al caso in cui venga intestato al fiduciario un terreno, per qual si voglia motivo, senza prevedere che il fiduciario debba locarlo o disporne in alcun modo, limitandosi a fare da intestatario; in questo caso gli unici atti giuridici che si individuano sono il trasferimento della proprietà dal fiduciante al fiduciario all’atto dell’intestazione e il ritrasferimento a conclusione del negozio fiduciario: qui non si riscontrano i presupposti del contratto di mandato in quanto l’intestatario non si obbliga a compiere nessun atto giuridico per conto del fiduciante. A tal riguardo è stato correttamente sottolineato che “esiste una fondamentale diversità di causa – e quindi di un elemento fondamentale di identificazione – tra contratto di mandato e rapporto fiduciario, posto che nel primo la causa è costituita dal compimento di uno o più atti giuridici per conto del mandante, mentre nel secondo la causa è identificabile nella intestazione di beni e cioè nella spersonalizzazione della proprietà, che è l’elemento essenziale e costante del rapporto, al quale può connettersi (ma ciò non sempre avviene) anche il compimento di atti giuridici, che ne costituisce perciò l’effetto anziché la causa” ( 4 ). La differenza causale tra i due contratti non permetterebbe perciò la loro assimilazione, e 4 DI MAIO FEDERICO “Amministrazione fiduciaria di beni: quale fiducia?” in Le Società, 1995, pg 329. 9 quindi impedirebbe che le norme specificatamente previste per il contratto di mandato possano essere meccanicamente estere ai rapporti fiduciari. Ma anche ammesso che le norme in tema di mandato (in particolare art. 1706-1707 c.c.) possano validamente essere applicate al negozio fiduciario in genere, sostenendo l’equiparazione sostanziale tra l’una e l’altra forma contrattuale, queste a ben guardare non avallano in nessun modo la natura germanistica della fiducia, in quanto non prevedono che la titolarità del bene acquistato dal mandatario sia direttamente attribuita al mandante ma piuttosto prevedono un ritrasferimento automatico (ex lege) ( 5 ) della proprietà di detti beni, peraltro limitato solo ai beni mobili non registrati. In sostanza, ammettere che nel mandato senza rappresentanza vi sia un ritrasferimento ex lege della proprietà dal mandatario al mandante, significa comunque ammettere che la titolarità del diritto è stata in primis trasferita al mandatario e solo in un secondo momento (ancorché eventualmente contestuale) ritrasferita al mandante: ciò significa, nel caso del negozio fiduciario, che la titolarità del bene è stata comunque trasferita al fiduciario, cosa che contrasta con la stessa definizione di fiducia germanistica, per la quale, come detto, non viene trasferita la titolarità del diritto ma solo la legittimazione all’esercizio dei poteri e delle facoltà ad esso inerenti. Alla luce di quanto evidenziato, si può allora ragionevolmente affermare che la riconducibilità dell’intestazione fiduciaria nell’una o nell’altra delle due configurazioni possibili (fiducia romanistica o germanistica) dipende essenzialmente dalla qualifica del soggetto fiduciario. Qualora tale ruolo sia ricoperto da una società fiduciaria ( 6 ) - cosa che comporta che il terzo possa e debba essere cosciente del ruolo di “interposto” rivestito da tale soggetto - allora è comprensibile l’inquadramento del rapporto fiduciario nel tipo “germanistico”, con 5 Si veda sul punto MINERVINI, Il mandato, la commissione, la spedizione in Trattato di diritto civile diretto da Vassalli, Torino, 1952, 102s. FERRARA Jr in Gli imprenditori e le Società, 129ss, LUMINOSO, Il mandato e la commissione in Trattato di diritto privato diretto da Rescigno, Torino, 1985. Sul punto, altra dottrina (CALVO, La proprietà del mandatari, 99ss), pur ammettendo che la tesi del trasferimento automatico appare più corretta rispetto a quella del trasferimento diretto, evidenzia come tale ricostruzione risulti comunque in contrasto con il contenuto sostanziale del rapporto di gestione: la circostanza che le parti abbiano stipulato un mandato senza rappresentanza è intesa come espressione della volontà di far discendere il successivo effetto traslativo dal compimento di un autonomo negozio, restando nel frattempo la proprietà del bene in capo al mandatario. In questa prospettiva si nega, perciò, che l’attribuzione della rei vindicatio al mandante consegua all’operatività di un meccanismo acquisitivo immediato, ravvisandosi piuttosto nella legittimazione del mandante ad agire in via petitoria (pur non essendo ancora proprietario) uno strumento di tutela “reale” del proprio diritto di credito, avente ad oggetto l’acquisto della proprietà del bene mobile. 6 Si deve qui interpretare quale società fiduciaria ogni società che ha per oggetto professionale l’amministrazione di beni per conto terzi. 10 l’attribuzione, in campo fiscale, dei redditi direttamente in capo al soggetto fiduciante, che risulta essere effettivo titolare, anche da un punto di vista giuridico, del bene oggetto della fiducia. Se, diversamente, il ruolo del fiduciario viene rivestito da un altro soggetto, non professionale, si deve allora riconoscere il carattere reale dell’intestazione e quindi ricondurre il negozio fiduciario alla fiducia romanistica: in tali casi, dando rilievo al nesso giuridico-formale tra reddito e bene-fonte, sarà il fiduciario il soggetto passivo d’imposta (anche dal punto di vista dichiarativo). Concorde rispetto a tali conclusioni sembra essere la Giurisprudenza di legittimità: le pronunce più recenti, che hanno affrontato il tema dei rapporti fiduciari, hanno tendenzialmente affermato la natura germanistica della fiducia ogni qual volta si trattasse di rapporti con società fiduciarie, mentre l’interpretazione più tradizionale (fiducia romanistica) è stata confermata nei casi in cui il rapporto fiduciario si instaurava tra persone fisiche o nei quali, comunque, il soggetto fiduciario non rivestiva la specifica qualifica di società fiduciaria ( 7 ). La posizione dell’Amministrazione Finanziaria pare essere invece, almeno a prima vista, differente: nella circolare 136/E del 07/12/2006 si legge che “l’istituto dell’intestazione fiduciaria non modifica il soggetto d’imposta passivo identificabile sempre e comunque nel fiduciante”. La portata di tale affermazione, che letteralmente parrebbe riguardare ogni rapporto fiduciario, deve essere tuttavia ridimensionata considerando che l’amministrazione finanziaria si è sempre espressa ( 8 ) su fattispecie in cui il ruolo di fiduciario era ricoperto da una società fiduciaria. Si dubita che la stessa risposta sarebbe stata data dall’amministrazione qualora fosse stata interpellata su un rapporto fiduciario tra due soggetti privati: tale convinzione nasce dalle seguenti considerazioni. L’interpretazione fornita dall’amministrazione non si basa su una pretesa prevalenza dell’aspetto sostanziale rispetto a quello giuridico-formale (che come rilevato avrebbe portato in ogni fattispecie di rapporto fiduciario ad identificare nel 7 Per una rassegna di tali sentenze si permetta di rimandare a M. PIAZZA “L’intestazione fiduciaria di immobili”, in Trust e attività fiduciarie, 1/2007 pag.39 e ss. 8 Precedentemente alla circolare 136/e del 2006, si ricordano le circolari n.16/1985, risoluzione 153/E del 1999, circolare 49/E del 2004, ricordate nella stessa circolare del 2006. Si vedano inoltre Direzione Regionale dell’Emilia Romagna 909/14280/2003, Direzione Regionale della Lombardia Risoluzione 118299/2001 e Direzione Centrale Normativa e Contenzioso, Risoluzione n. 163048 del 12 ottobre 2004. 11 fiduciante il soggetto passivo d’imposta in quanto sostanzialmente proprietario del benefonte), ma, coerentemente alle conclusioni a cui siamo pervenuti, si dà rilevanza comunque alla natura giuridica del rapporto fiduciario, individuando nella fiducia germanistica la configurazione del rapporto tra fiduciante e società fiduciaria. Qualora l’amministrazione avesse indagato sulla natura della fiducia nel caso in cui il rapporto d’intestazione non avesse coinvolto una società fiduciaria, si può ritenere che la stessa sarebbe giunta a diverse conclusioni, in quanto risultano troppo deboli le motivazioni a sostegno della natura germanistica della fiducia anche in tali fattispecie: andare a sconfessare il legittimo affidamento del terzo in ragione di una forzata equiparazione tra rapporto fiduciario e mandato senza rappresentanza, e la conseguente applicazione analogica di due norme comunque limitate nella loro portata, pare essere, come sopra evidenziato, una interpretazione poco sostenibile prima di tutto in chiave civilistica. Si potrebbe inoltre argomentare a favore della tesi qui sostenuta, facendo riferimento alle istruzioni alla compilazione del modello 770 dei sostituti di imposta: il fatto che il modello preveda esplicitamente degli adempimenti dichiarativi da parte di società fiduciarie e non generalmente di soggetti fiduciari, farebbe ragionevolmente pensare che vi sia una differenza tra le posizioni delle società fiduciarie rispetto a qualsiasi altro soggetto che ricopra il ruolo di intestatario di beni: ed infatti, tale differenza può giustificarsi secondo quanto qui sostenuto, e cioè che le società fiduciarie non sono soggetti passivi d’imposta (ma eventualmente sostituti) mentre gli altri soggetti fiduciari “non qualificati” rivestono tale qualifica. Prima di poter confermare definitivamente le soluzioni interpretative qui avanzate, si deve valutare come tali soluzioni si rapportino ai principi tributari di “personalità dell’imposta” ed in generale di “capacità contributiva”, che, come già rilevato, potrebbero a prima vista a privilegiare l’aspetto sostanziale del rapporto e quindi l’imputazione del reddito in capo al fiduciante. Si deve innanzitutto ricordare che le norme tributarie e quindi le loro interpretazioni devono ricercare razionali compromessi tra valori quali la precisione, la semplicità, la certezza e le esigenze di tutela dell’interesse erariale, con il limite invalicabile costituito dai principi costituzionali, quali in particolare il concetto di capacità contributiva e di progressività del 12 sistema impositivo, che non possono essere sostanzialmente stravolti per effetto della ricerca di detto compromesso. In relazione ai due limiti costituzionali evidenziati, l’individuazione del soggetto passivo di imposta nel fiduciario, nei casi di intestazioni di beni a soggetti non qualificati (diversi dalle società fiduciarie), ancorché non li soddisfi con totale precisione, risulta essere tuttavia una soluzione comunque accettabile: infatti, la modificazione del soggetto passivo di imposta rispetto al “reale possessore” del reddito non altera, in linea di principio, la grandezza economica su cui si fonda l’imposizione diretta, in quanto il reddito prodotto dal bene-fonte oggetto dell’intestazione tenderà a rappresentare in modo più o meno eguale l’imponibile sia che venga dichiarato dal fiduciante che dal fiduciario ( 9 ). Il concetto di capacità contributiva risulta, perciò, comunque salvaguardato: mediante l’identificazione nel fiduciario del soggetto passivo non si rischia infatti, se non in casi marginali e patologici, di tassare capacite economiche inesistenti o di non tassare una capacità contributiva esistente. Neppure dal punto di vista della progressività del sistema si ritiene che l’imputazione del reddito in capo al fiduciario possa alterare in modo significativo tale principio: potrebbe infatti succedere che, mediante l’interposizione di un soggetto diverso, si riesca a trasformare un’imposizione progressiva in una proporzionale (ad esempio dividendo un’unica partecipazione qualificata in due partecipazioni non qualificate si riuscirebbe a godere della tassazione sostitutiva del 12,5%, piuttosto che far partecipare i redditi derivanti da tali partecipazioni nell’imponibile Irpef), ma tali alterazioni risultano essere comunque marginali e poco incidenti rispetto alla progressività dell’intero sistema. Più concreta è la possibilità che l’imputazione del reddito in capo al fiduciario violi il principio di uguaglianza, o meglio alteri il principio di “personalità dell’imposizione”: due 9 Ciò non significa che mediante l’intestazione fiduciaria non si riesca a ridurre il carico impositivo modificando l’imponibile fiscale, in quanto ciò può avvenire se i regimi di detenzione del bene sono diversi tra fiduciante o fiduciario o anche solo in base a caratteristiche soggettive diverse tra l’uno e l’altro. Si pensi ad esempio a intestazioni fiduciare di immobili (casa in montagna, casa al mare etc…) a persone che trasferiscano, anche solo nominalmente, la loro residenza nell’immobile oggetto del rapporto fiduciario: ciò potrebbe portare a ridurre il reddito da fabbricato da dichiarare, in quanto potrebbe così configurarsi un’ipotesi di detrazione per prima casa, o comunque limitare in tal modo il supplemento del terzo per gli immobili ad uso abitativo non locati (art. 41 Tuir). I casi di manipolazione dell’imponibile per mezzo di interposizioni di persone possono essere sicuramente molti e di consistenza notevoli: tuttavia essi non costituiscono unacontroindicazione, nella valutazione degli interessi in gioco, tale da poter controbilanciare gli aspetti positivi di semplificazione e certezza che, come vedremo meglio in seguito, l’identificazione del soggetto passivo d’imposta nel fiduciario comporta. Inoltre si deve sempre sottolineare che le deformazioni dell’imposnibile, come ogni altro vantaggio fiscale ricercato mediante interposizioni reali o fittizie, possono sempre essere disconosciuti dall’amministrazione mediante o la norma anti-elusiva o anche cercando di dimostrare la simulazione. 13 soggetti del tutto identici potrebbero infatti avere carichi impositivi anche significativamente differenti, qualora uno dei due provvedesse alla intestazione di parte dei beni-fonte a soggetti che godono di aliquote marginali più basse rispetto a quella a cui sarebbe soggetto altrimenti il fiduciante. Ma al di là che i due soggetti non possono essere considerati nella medesima posizione giuridica, in quanto il soggetto che ha posto in essere l’intestazione fiduciaria si spoglia del diritto reale sul bene-fonte, sopportando tutti i rischi dovuti alla possibile inadempienza del soggetto fiduciario (aspetto che già di per sé sconfesserebbe una violazione del principio di uguaglianza), si deve comunque sottolineare che tale aspetto distorisivo dell’imposizione personale può essere comunque accettato qualora l’intestazione si giustifichi per altri interessi meritevoli di tutela, diversi dal risparmio di imposta: se invece, come spesso avviene, l’intestazione fiduciaria venisse fatta solo per fruire di carichi impositivi più bassi, allora si porrebbe il problema di un ipotetico disconoscimento di tali risparmi di imposta, mediante la supposta applicabilità di normative antielusive, senza bisogno perciò di sostenere su un piano generale l’inadeguatezza dell’individuazione del soggetto fiduciario quale soggetto passivo d’imposta. I pregi dell’imputazione del reddito in capo al fiduciario sono innanzitutto la semplicità e la certezza del prelievo. Se infatti, nonostante la configurazione romanistica del rapporto fiduciario, si ritenesse di dover seguire la sostanza economica del fenomeno, individuando nel fiduciante l’obbligato d’imposta (e abbandonando perciò la correlazione tra effetti dei negozi giuridici in campo civilistico e presupposti dell’imposizione fiscale), le complicazioni in sede dichiarativa e di riscossione dell’imposta diverrebbero molteplici e assai rilevanti. Si pensi ad esempio alla seguente fattispecie: la detenzione, da parte di un soggetto straniero e per mezzo di un fiduciario italiano, di una partecipazione in una impresa italiana. Uno degli aspetti fondamentali che caratterizza il rapporto fiduciario è, quasi sempre, l’anonimato verso i terzi del soggetto a monte, per cui è impensabile che il soggetto fiduciario del nostro esempio possa dichiarare all’organo amministrativo della società partecipata di applicare la ritenuta alla fonte, in quanto in tal modo dovrebbe svelare la sua posizione di interposto nei confronti di un diverso soggetto straniero. Supponiamo che il 14 soggetto fiduciario possa informare il fisco ( 10 ) della sua natura di interposto indicando le generalità del soggetto fiduciante, che nella nostra ipotesi è il soggetto passivo d’imposta: il Fisco, che non ha incassato niente per mezzo del meccanismo della ritenuta alla fonte, dovrebbe perciò andare a pretendere l’imposta dovuta (supponiamo che il fiduciante straniero non paghi tasse adeguate nel suo Stato di residenza) nei confronti di tale soggetto, con evidenti difficoltà in fase di riscossione coattiva nei confronti di un non residente, resa ancor più difficile dal fatto che il diritto reale sulla partecipazione appartiene ad un soggetto diverso (il fiduciario) e quindi il bene non è soggetto direttamente a esecuzione. Inoltre l’Amministrazione finanziaria non potrebbe nemmeno avanzare pretese nei confronti della società erogante il dividendo, in quanto la mancata effettuazione della ritenuta non potrebbe essere a lei imputata (la qualifica di socio infatti è giuridicamente rivestita dal fiduciario). Rimarrebbe perciò il solo soggetto fiduciario, il quale potrebbe ben essere considerato responsabile non avendo dichiarato alla società la condizione di straniero del fiduciante: ma anche qui vi sarebbero grosse problematiche, almeno stando alle norme attualmente vigenti, a definire i limiti di detta responsabilità. Ben più semplice e lineare pare essere la situazione se invece si riconosce direttamente nel fiduciario il soggetto passivo d’imposta: innanzitutto si eliminerebbero i problemi di comunicazione al Fisco del rapporto fiduciario intercorrente, ed in secondo luogo si avrebbe un’identificazione del soggetto passivo con il titolare del diritto reale sul bene-fonte, cosa che potrebbe maggiormente garantire l’Erario in sede di riscossione. Inoltre, come già evidenziato, il riconoscimento del fiduciario quale soggetto passivo non preclude all’amministrazione, qualora il negozio fiduciario fosse fatto al fine di garantire in capo al fiduciante risparmi d’imposta non spettanti, di disconoscere tali risparmi, applicando, se del caso, la norma antielusiva. In conclusione, anche analizzando il rapporto fiduciario da un piano squisitamente tributario, si deve riconoscere la preferenza per le conclusioni a cui si è giunti indagando la 10 Il soggetto fiduciario potrebbe informare il fisco della sua natura di interposto tramite il modello 770, ma allora andrebbe previsto un obbligo dichiarativo ad oggi mancante, nonché predisposta un’apposita modulistica, aspetti che andrebbero a complicare ed appesantire l’intero iter di imposizione. Già tali questioni mettono in evidenza come il riconoscimento del fiduciante quale soggetto passivo d’imposta porti a complicazioni rispetto alla identificazione dell’obbligato d’imposta con il fiduciario, titolare del diritto reale sul bene fonte. 15 natura civilistica di tale negozio: nell’identificazione del soggetto passivo d’imposta, nel campo dell’imposizione diretta, si dovrà allora distinguere tra negozi fiduciari in cui il ruolo di intestatario è rivestito da un soggetto qualificato (società fiduciaria), nel qual caso, essendo la fiducia di tipo germanistico, il soggetto passivo deve essere riconosciuto nel fiduciante, mentre in tutte le altre configurazioni del rapporto fiduciario, dove si evidenzia una fiducia di tipo romanistico, il soggetto passivo d’imposta dovrà essere identificato con il fiduciario. 3. Intestazioni fiduciarie e soggettività di imposta, tra certezza, semplicità applicativa, rilevanza delle forme giuridiche e salvaguardia del principio di progressività (a cura di Dario Stevanato e Renato Bogoni) Come osservato, l’intestazione fiduciaria, pur essendo generalmente svolta da società a ciò debitamente autorizzate, interessa spesso anche altri soggetti. L’individuazione del corretto trattamento giuridico di tale situazione richiede la preliminare valutazione della sua legittimità. A tal proposito si può ragionevolmente affermare che non costituisce violazione di attività riservata la prestazione di un singolo atto fiduciario da parte di un soggetto non organizzato in forma di impresa 11 . La persona fisica che si intesti i beni di terzi non è sanzionabile, in quanto l’esecuzione di singole intestazioni fiduciarie non configura lo svolgimento di “attività propria di società fiduciaria”. Questa regola generale si evince dalla formula utilizzata per individuare l’opzione dell’interposizione ovvero “per tramite di società fiduciaria o per interposta persona”. Al riguardo, quale esempio a valere per tutte le disposizioni riportanti la predetta formula può essere citato l’art. 2360 cod. civ., secondo cui “è vietato alle società di costituire o di aumentare il capitale mediante sottoscrizione reciproca di azioni, anche per tramite di società fiduciaria o per interposta persona”. Al fine di definire il regime fiscale della fattispecie, la circolare mette in evidenza come preliminarmente si debba analizzare la natura del soggetto che svolge l’attività fiduciaria, in 11 Orientamento sostenuto dal Tribunale di Milano, sez. penale, 3 ottobre 2006, e condiviso da F. DI MAIO nel commento alla sentenza in Le Società, n. 8/2007, p. 997. Alcune pronunce, tuttavia, seguono un indirizzo contrario, come Tribunale di Como, 2 marzo 2005, n. 942, e Tribunale di Genova, 23 maggio 2005. Va notato, peraltro, che più volte i nostri tribunali e la stessa Suprema Corte hanno avuto modo di trattare in merito a casi di intestazione fiduciaria a persone fisiche, senza nulla eccepire, si veda, in tal senso, da ultimo Sentenza 2 maggio 2007, n. 10121/07. 16 quanto nel nostro ordinamento gli effetti che derivano dall’intestazione dei beni ad una società fiduciaria, piuttosto che ad un altro soggetto (persona fisica), sono assai diversi. Il concetto di “fiducia” tradizionalmente assunto dal nostro ordinamento è quello della fiducia romanistica 12 . Come già evidenziato tale fiducia – che configura una forma di interposizione reale di persona 13 – presuppone che con l’intestazione fiduciaria l’interposto acquisti effettivamente la titolarità del bene o del diritto, ma, in virtù di un rapporto obbligatorio interno con l’interponente, sia tenuto ad un dato comportamento convenuto con il fiduciante ed a retrocedere i beni a quest’ultimo al verificarsi di una situazione determinante il venir meno della “causa fiduciae” 14 . Se tale sistema configura l’espressione tipica del nostro ordinamento, si deve tuttavia rilevare che l’attività svolta dalle società fiduciarie configura una deviazione dallo schema romanistico, come emerge, oltre che dalla stessa definizione data dal legislatore all’attività da esse svolte 15 , anche da altre norme presenti nel nostro ordinamento, tra le quali: - l’ art. 3, nono comma, d.l. 30 gennaio 1979, n. 26, convertito in legge 3 aprile 1979, n. 95, e l’art. 2, decimo comma, del d.l. 5 giugno 1986, n. 233, convertito in legge 1° agosto 1986, n. 430, che regolano la richiesta alle società fiduciarie delle “generalità degli effettivi proprietari dei titoli azionari e delle altre partecipazioni sociali intestati al proprio nome”. 12 Tale orientamento è quello tradizionalmente espresso dalla nostra dottrina, che (al di fuori delle attività riservate alle società fiduciarie) ha sempre negato cittadinanza nel nostro ordinamento alla fiducia germanistica; si veda in proposito CARIOTA FERRARA, I negozi fiduciari, Padova, 1936. 13 L’interposizione reale può realizzarsi in due modi: (i) tramite il compimento da parte dell’intermediario di un atto che non suppone alcuna qualità speciale nell’agente, anche se nell’interesse altrui o (ii) mediante la realizzazione di un atto che richiede nel contraente un diritto anteriore, il quale suppone nell’agente la qualità di proprietario o creditore. L’interposto figura, quindi, come un mandatario in nome proprio nel primo caso, laddove risulta essere un fiduciario nell’altra ipotesi. Nell’interposizione reale di persona non esiste simulazione, l’interposto acquista effettivamente i diritti derivanti dal contratto (Cfr. NANNI, Interposizione di persona, in Enc. giur. Treccani, XVII, Roma). Detta simulazione si configura, invece, nell’interposizione fittizia di persona, in cui l’interposto appare come acquirente del bene, mentre gli effetti del negozio (ossia il trasferimento del diritto di proprietà) si producono in favore dell’interponente. 14 Cfr. NOTARIATO, studio cit.. 15 In specie, l’art. 1 l. 23 novembre 1939, n. 1966, qualifica società fiduciarie e di revisione quelle che, comunque denominate, si propongono, sotto forma di impresa, di assumere l’amministrazione dei beni per conto di terzi, l’organizzazione e la revisione contabile di aziende e la rappresentanza dei portatori di azioni e di obbligazioni. la società, assumendo l’amministrazione dei beni per conto di terzi, acquista la sola legittimazione ad esercitare in nome proprio, anche se nell’interesse altrui, un diritto, la cui titolarità rimane al fiduciante. Emerge, pertanto, che la fiducia contemplata sia di tipo germanistico. Tale interpretazione è stata ripetutamente sostenuta anche dalla Corte di Cassazione secondo cui “il fiduciante, malgrado l’intestazione del bene alla società fiduciaria, ne conserva la proprietà effettiva ed è quindi in grado di disporne, senza necessità di alcun formale ritrasferimento di detto bene da parte della società fiduciaria” (Cfr. Corte di Cassazione, sentenza 29 maggio – 14 ottobre 1997, n. 10031/97). 17 - l’art. 1, ultimo comma, R.D. 29 marzo 1942, n. 239 per cui “le società fiduciarie che abbiano intestato al proprio nome titoli azionari appartenenti a terzi sono tenute a dichiarare le generalità degli effettivi proprietari dei titoli stessi”; - l’art. 20, secondo comma, d.m. 12 marzo 1981, che regola il deposito dei titoli emessi o pagabili all’estero, secondo il quale che il deposito può “essere costituito anche al nome di società fiduciarie” che abbiano acquistato titoli o quote per conto di residenti, con obbligo di indicare ogni effettivo proprietario; - l’art. 9, primo comma, l. 29 dicembre 1962, n. 1745, che impone degli obblighi di comunicazione, in capo alle società fiduciarie, dei “nomi degli effettivi proprietari delle azioni ad esse intestate ed appartenenti a terzi”. Come osservato tale schema configura una deviazione rispetto al nostro ordinamento. Si deve ritenere che l’elemento che ha indotto il legislatore a consentire detta deroga sia da rinvenire “nell’affidamento dei terzi”. In specie, le società fiduciarie svolgono istituzionalmente l’attività di amministrazione dei beni per conto terzi e, quindi, la natura fiduciaria del negozio è nota all’esterno ed è verificabile mediante la documentazione contrattuale; la loro attività, inoltre, è espressamente disciplinata da leggi speciali. Ne deriva che i terzi che intrattengono relazioni economiche con la società fiduciaria devono conoscere che l’oggetto della trattativa appartiene solo fiduciariamente a tale società. Nel rapporto con i terzi si realizza “l’inversione della conoscenza, si sa per certo che la società fiduciaria è l’unico soggetto deputato ad amministrare beni di terzi per cui è immediatamente presumibile che la trattativa concerna un bene di cui la società fiduciaria dispone per via del rapporto fiduciario” 16 . Va notato, pertanto, che l’obbligo di trasparenza imposto dal legislatore garantisce la corretta circolazione dei beni. La medesima correttezza non risulta conseguibile dalla intestazione ad altro soggetto, essendo evidente, tra l’altro, che solo alle società fiduciarie è imposto, a tutela della correttezza del loro operato, un obbligo di comunicazione o di svelamento alle Autorità preposte alla vigilanza della attività fiduciaria. Le riflessioni sopra esposte inducono, pertanto, ad avallare l’interpretazione secondo cui la fiducia è germanistica, qualora l’attività in esame sia svolta da società fiduciarie, mentre è romanistica, in ogni altro caso. 16 Cfr. F. DI MAIO, cit.. 18 Dal punto di vista tributario, ciò ci porta a ritenere che in presenza delle prime gli obblighi fiscali sono posti in capo al fiduciante; al contrario, sono a carico del fiduciario nell’altra ipotesi. Il tema affrontato (l’individuazione del soggetto passivo dell’imposta sul reddito, nel caso di intestazioni fiduciarie a soggetti “non professionali”) ha carattere strutturale, e coinvolge profili di fiscalità generale assai delicati quali – tra gli altri – la nozione di “possesso del reddito”, la rilevanza della proprietà formale nell’individuazione del soggetto passivo del tributo sul reddito, i rischi di elusione della progressività dell’imposizione, che si collegano a loro volta temi, altrettanto delicati, di matrice civilistica, in ordine all’inquadramento dei rapporti fiduciari nell’ambito degli schemi romanistico ovvero germanistico. Le argomentazioni sostenute nella circolare per risolvere la questione dell’imputabilità dei redditi conseguiti in relazione ad una “fonte produttiva” trasferita fiduciariamente ad un soggetto persona fisica, o che comunque non riveste la qualifica professionale di società fiduciaria, appaiono pienamente sostenibili, e rientranti nell’ambito delle opzioni consentite all’interprete. In effetti, nel diritto tributario devono essere contemperate esigenze di vario tipo, quali la certezza, la semplicità, l’equità, la praticabilità e l’accertabilità dell’imposta, la progressitività dell’imposizione (ove operante a livello di principio) e così via. Di fronte a queste diverse esigenze, l’imputazione e la tassazione dei redditi in capo al fiduciario sembra in linea con la rilevanza delle forme giuridiche, e col dato formale del trasferimento della proprietà del bene dal fiduciante al fiduciario. L’intestazione del bene in capo a quest’ultimo realizza sul piano formale il presupposto dell’imposizione sul reddito, che si basa su una relazione tra il soggetto e la fonte produttiva basata sull’esercizio di poteri dominicali (o basati su diritti reali di godimento) sul bene. Tale relazione viene in effetti a concretizzarsi in capo al fiduciario, al quale viene trasferita la proprietà del bene-fonte. Gli ulteriori sviluppi della fattispecie, operanti sul versante civilistico, e attinenti ai rapporti obbligatori che vincolano il fiduciario al fiduciante, restano esterni alla fattispecie impositiva, e si risolvono sul piano patrimoniale, senza avere conseguenze reddituali. Andrebbero peraltro indagati gli effetti di tali rapporti e trasferimenti ai fini di altri tributi, come quello successorio, applicabile ora anche ai trasferimenti a titolo gratuito nonché alla costituzione di vincoli di destinazione; una tale indagine esula tuttavia dalle presenti riflessioni, e si deve pertanto fare un rinvio ad altri 19 approfondimenti. Sembra comunque che una ipotetica rilevanza dei “trasferimenti interni” tra fiduciante e fiduciario (e viceversa), ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni, avrebbe anche l’effetto di confermare la “patrimonializzazione” dei redditi in capo al fiduciario, e l’obbligo di assolvere il tributo sul reddito in relazione ai beni a lui intestati. Una ulteriore conferma dell’assetto descritto ed argomentato sotto diversi profili dalla circolare, si può rintracciare nella norma sull’interposizione di persona, ovvero il comma 3 dell’art. 37 del Dpr 600/1973, secondo cui “In sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona”. Secondo una diffusa opinione, tale disposizione si riferirebbe alla sola interposizione fittizia, regolando cioè il caso della simulazione di persona: la norma avrebbe cioè valore confermativo del potere, spettante all’amministrazione finanziaria, di far valere l’interposizione (fittizia) di persona direttamente nell’avviso di accertamento, senza dover passare per un’azione civile di simulazione. Ora, affinché operi il meccanismo di re-imputazione dei redditi in capo all’interponente, occorre che la titolarità del reddito (in capo all’interposto) sia solo “apparente”; non sembra tuttavia questo il caso dei redditi, conseguiti in relazione al bene-fonte, nella fattispecie di trasferimento ed intestazione del cespite produttivo ad un fiduciario. In tali ipotesi, infatti, l’intestazione non è apparente ma effettiva, e il trasferimento della proprietà non è simulato ma realmente voluto. Inoltre, in merito ai dubbi relativi alla possibilità che con il negozio fiduciario si possa, in ipotesi peraltro residuali 17 , derogare alla progressività dell’imposta personale, si può obiettare che a livello di sistema il principio di progressività dell’imposta incontra di per sé dei limiti accettati dal legislatore ogni qual volta si sia in presenza di regimi di imposizione sostitutiva. Né il fenomeno dell’intestazione fiduciaria si presta a derogare alla correttezza di tale principio in misura maggiore rispetto a quanto insito nella stessa impostazione normativa: si pensi, ad esempio, al possessore di una rilevante partecipazione non qualificata 17 Si può ragionevolmente escludere che con l’intestazione fiduciara (a persone fisiche) nel settore immobiliare gli autori mirino a perseguire fini di risparmio fiscale: considerata la rilevanza che in tale ambito rivestono le imposte indirette per i successivi trasferimenti al fiduciante, il carico fiscale complessivo dell’operazione non consentirà effettivi risparmi. D’altro canto nell’ambito dei valori mobiliari i presunti vantaggi fiscali perseguibili si limiterebbero a pochi punti percentuali e difficilmente possono costituire la reale causa del ricorso a tali fattispecie. 20 in una multinazionale, che potrà godere della tassazione del 12,50%, diversamente dal modesto artigiano che possiede il 50% della bottega di calzolaio. Un ulteriore parallelismo può essere tentato tra l’ipotesi sopra esaminata, di intestazione fiduciaria, e l’istituto del trust: anche in tali fattispecie siamo infatti di fronte ad uno spossessamento che si coniuga ad una intestazione dei beni al trust, figura che viene sovente accostata a quella della fiducia. Ebbene, non vi è dubbio che i beni trasferiti al trust non appartengono più al disponente, e che il disponente non è tenuto a dichiarare i redditi che dagli stessi deriveranno, come dimostrano da ultimo le norme che riconoscono soggettività passiva al trust (si vedano le modifiche apportate all’art. 73 del Tuir dalla L. 296/2006, che ha attribuito al trust soggettività passiva ai fini dell’imposta sul reddito). Il rischio di una possibile erosione del principio di progressività dell’imposizione - che rappresenta forse il maggiore ostacolo concettuale al riconoscimento della soggettività passiva in capo al fiduciario - non ha dunque impedito al legislatore di attribuire soggettività passiva al trust, rinunciando alla progressività dell’imposta sui beni conferiti, a favore di un’imposizione di tipo proporzionale (giusta l’inclusione del trust tra i soggetti passivi dell’Ires). Ad ulteriore conferma che anche il principio di progressività dell’imposizione non è un valore assoluto da considerare isolatamente, ma da contemperare con le altre esigenze su menzionate, ovvero con la certezza, la semplicità applicativa, la rilevanza degli schemi civilistici e degli assetti giuridico-formali, etc.. 21 COMITATO SCIENTIFICO Centro Studi UNGDC PRESIDENTE Presidente Prof. Raffaello Lupi Area Fiscale Coordinatore Prof. Dario Stevanato* Prof. Mauro Beghin Dott. Nicola Cavalluzzo Dott. Lelio Cacciapaglia Dott. Franco Michelotti Responsabili Prof. Paolo Montesano Dott. Raffaele Rizzardi Dott. Maurizio Tozzi Ricercatore Dott. Mattia Varesano* CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE Centro Studi UNGDC Presidente Dott. Michele Testa Segretario Dott. Eros De March Dott. Renato Bogoni* Consiglieri Dott. Luigi Carunchio Dott. Andrea Bonechi *Relatori del documento 22