COMITATO SCIENTIFICO

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COMITATO SCIENTIFICO
Roma, 3 dicembre 2007
Intestazioni fiduciarie a soggetti “non professionali” e imputazione
dei redditi
CIRCOLARE N. 3
Circonvallazione Clodia, 86 – 00195 Roma – Tel. +39 06.37.22.850 - Fax +39 06.37.22.624 www.knos.it [email protected]
Sede Legale: Via Verdi, 33 – Venezia
CIRCOLARE N. 3
Roma, 3 dicembre 2007
SOMMARIO
1. Premessa................................................................................................................................ 3
2. Il rapporto fiduciario nell’imposizione diretta (a cura di Mattia Varesano) ............... 3
3. Intestazioni fiduciarie e soggettività di imposta, tra certezza, semplicità applicativa,
rilevanza delle forme giuridiche e salvaguardia del principio di progressività (a cura
di Dario Stevanato e Renato Bogoni)................................................................................... 16
Circonvallazione Clodia, 86 – 00195 Roma – Tel. +39 06.37.22.850 - Fax +39 06.37.22.624 www.knos.it [email protected]
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1. Premessa
Il fenomeno dell’intestazione fiduciaria trova ampia applicazione pratica. In particolare è
diffuso il ricorso a tale negozio nell’ambito delle relazioni familiari – tramite l’intestazione
fiduciaria di alcuni beni a congiunti o conviventi - o nel sempre più frequente caso del
“portage” di partecipazioni,
mediante l’intestazione a soggetti appartenenti al settore
bancario o finanziario di partecipazioni destinate ad un soggetto che in un primo momento
non vuole comparire di fronte ai terzi.
Tuttavia, a differenza di altri istituti di recente introduzione nel nostro ordinamento (come il
trust), il predetto negozio non è stato oggetto di un’esplicita regolamentazione fiscale. La
circolare affronta tale tema ed, in specie, è volta a chiarire quale tra il fiduciario ed il
fiduciante sia il destinatario degli obblighi fiscali.
In presenza di pareri discordanti in merito, soprattutto qualora il ruolo di fiduciario sia
assunto da soggetti diversi dalle società autorizzate, la circolare si pone l’obiettivo di
individuarne il corretto trattamento giuridico e tributario.
2. Il rapporto fiduciario nell’imposizione diretta (a cura di Mattia Varesano)
Il fenomeno dell’intestazione fiduciaria pone alcune rilevanti problematiche circa la corretta
identificazione del soggetto a cui deve essere imputata l’obbligazione tributaria (ed i
connessi adempimenti dichiarativi), in particolar modo nel settore dell’imposizione diretta.
Con il negozio fiduciario, infatti, si assiste ad una dissociazione tra il soggetto
sostanzialmente proprietario del bene oggetto della fiducia, e chi ne è formalmente
intestatario di fronte ai terzi. Ciò mette in crisi l’ordinario nesso di collegamento tra
l’elemento oggettivo (reddito) e quello soggettivo (“possessore del reddito”) della fattispecie
impositiva, che di norma si riconosce nella titolarità della fonte produttiva del reddito stesso
(sia esso bene, diritto e/o attività).
In parole più semplici, nei casi ordinari in cui vi è effettiva congruenza tra forma e sostanza,
la sola titolarità di un diritto reale sulla fonte produttiva del reddito risulta essere
normalmente condizione sufficiente all’imputazione in capo a tale soggetto del reddito
medesimo: così il soggetto titolare del diritto di proprietà (o altro diritto reale di godimento)
su un immobile sarà pacificamente il soggetto passivo a cui saranno imputati i redditi
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derivanti da quell’immobile, i dividendi pagati da una società saranno altresì imputabili
quali redditi al socio che risulterà titolare della quota o delle azioni (o titolare di un altro
diritto reale a cui è associato il possesso, quale usufrutto o pegno).
In tutti questi casi, poco importa chi sia l’effettivo soggetto che gode del reddito prodotto, in
quanto l’eventuale discrepanza tra soggetto titolare del diritto reale sul fattore che produce il
reddito e soggetto consumatore del reddito stesso, riguarda una situazione che si colloca a
valle rispetto al momento impositivo, in quanto attiene alla sfera della “consumazione” del
reddito.
Ad esempio, nessuno ipotizzerebbe che il comodatario di un’immobile debba dichiarare la
rendita catastale, ancorché sia tale soggetto l’effettivo fruitore dell’immobile. Ancora, il fatto
che i dividendi distribuiti da una società vengano dirottati verso soggetti beneficiari diversi
dal socio, non costituisce di per sé modificazione del soggetto passivo di imposta (il
“possessore” dei redditi è comunque il socio), almeno fin quando non si dimostri che il socio
rappresenta un soggetto interposto tra il fattore produttivo del reddito (la società) ed il suo
proprietario effettivo: ma in quest’ultimo caso si rientra in una situazione di dissociazione tra
proprietà formale e sostanziale, che, come detto, pone in crisi l’automatica identificazione del
soggetto passivo d’imposta con il titolare del diritto reale sulla fonte produttiva del reddito.
Il negozio fiduciario, a differenza della interposizione fittizia di persona, enfatizza
maggiormente la problematica in esame, in quanto esso non è, come invece il secondo, un
negozio simulato: con il negozio fiduciario infatti le parti vogliono realmente che la proprietà
del bene venga assunta dal fiduciario, mentre nell’interposizione soggettiva fittizia il negozio
con cui si trasferisce il diritto reale sul bene è simulato e quindi in realtà non voluto. In
questa seconda fattispecie, perciò, la dissociazione tra proprietà formale (o giuridica) e
sostanziale è solo apparente, in quanto in realtà la proprietà tanto sostanziale che giuridica
del bene sono rimaste, sin dall’origine, in capo al soggetto interponente: anche in questo caso
perciò, ai sensi di legge, il nesso di collegamento tra l’elemento oggettivo e l’elemento
soggettivo della fattispecie impositiva consisterà, esattamente come nella situazione
“normale”, nella titolarità del diritto reale di godimento sulla fonte del reddito.
L’interposizione fittizia di persona, nel campo dell’imposizione diretta, palesa proprio in ciò
la sua natura patologica: tale simulazione tende a modificare, contra legem, il nesso di
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collegamento tra il reddito (oggetto dell’imposizione) ed il soggetto passivo dell’imposta (il
proprietario del fattore produttivo), sostituendo a quest’ultimo un soggetto diverso, in vista
di una distorsiva riduzione del carico impositivo: in tali fattispecie, sarà onere del Fisco
accertare la simulazione al fine di riportare la fattispecie impositiva nei giusti binari , ovvero
individuando nell’interponente (titolare tanto giuridico che sostanziale del bene, diritto e/o
attività che producono il reddito) il soggetto passivo di imposta.
Nel negozio fiduciario la dissociazione tra proprietà economica (sostanziale) e giuridica
(formale) è invece effettiva: si pone allora il problema se il nesso di collegamento tra reddito
prodotto e soggetto passivo di imposta debba essere individuato seguendo l’evidenza
giuridico-formale, riconoscendo perciò nel fiduciario l’obbligato d’imposta, o viceversa se si
debba dare rilevanza alla sostanza economica e quindi riconoscere nel fiduciante il soggetto
passivo.
Far prevalere la sostanza economica rinunciando ai criteri giuridico-formali nella
determinazione dell’imposta pare tuttavia essere una strada poco praticabile (e forse
nemmeno desiderabile) nel nostro ordinamento tributario, basato, nella selezione degli
elementi della fattispecie impositiva, sul rinvio al diritto civile ed agli effetti dei negozi
giuridici ( 1 ). Tuttavia, l’imposizione fiscale in capo al fiduciario pare essere, di contro, una
soluzione comunque insoddisfacente, in quanto risulta poco in armonia con i concetti
costituzionali di “personalità dell’imposta”, di “capacità contributiva”, e dello stesso
concetto di “possesso di reddito”, i quali presupporrebbero che l’onere fiscale fosse a carico
del soggetto che effettivamente ha la piena disponibilità del reddito prodotto.
Ed è proprio l’espressione utilizzata dal legislatore tributario quale presupposto dell’imposta
sui redditi che sottolinea l’insoddisfazione, nel rapporto fiduciario, per il collegamento
1 Ci si era già posti tali interrogativi nella circolare 2/2007 del Centro Studi UNGDC riguardo al regime tributario del “leaseback”, andando in quella sede a sostenere la prevalenza della sostanza sulle forma anche in campo tributario. Tuttavia, nel caso
del lease-back non si era voluto affermare una generica superiorità del criterio sostanziale rispetto a quello giuridico-formale
(come in passato teorizzato dalla scuola di Pavia), ma piuttosto si era sostenuto, nel silenzio della legge tributaria su tale
fattispecie impositiva, la derivazione delle regole tributarie di individuazione delle fattispecie impositive da quelle civili (e
contabili): nel caso del lease-back la spalmatura della plusvalenza sulla durata del patto di retrolocazione è conseguente alla
trasposizione di una norma codicistica (e quindi di diritto civile) in ambito tributario, supportata anche dal fatto che la stessa
natura giuridica del contratto di lease-back viene sempre più riconosciuta dalla giurisprudenza come quella di un contratto
complesso ma unitario di tipo sinallagmatico, e non già l’effetto di due negozi separati ed autonomi. Il principio della
“substance over form”, nel caso del lease-back, non era perciò stato recepito come autonomo principio del diritto tributario, ma
era dovuto ad un suo recepimento in sede civilistica (tanto nella qualificazione del contratto che nella sua espressione di
bilancio).
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basato sul criterio giuridico-formale: l’utilizzo del concetto di “possesso”, benché espressione
ambigua e mal correlabile con un concetto astratto qual è il reddito 2 , evoca quantomeno
l’idea della situazione di fatto, in contrapposizione con la situazione di diritto, in quanto il
possesso è per definizione il potere di fatto sulla cosa, che può anche non essere
accompagnato dal legittimo diritto reale sulla stessa. Ma, come già rilevato, il concetto di
“possesso di reddito” indicato all’art. 1 del Tuir, ha un valore sistematico troppo debole per
poter fondare, solamente su tale rilievo, la legittimità dell’imposizione in capo al fiduciante,
andando con ciò a sconfessare il rapporto giuridico esistente tra il bene, fonte del reddito, e il
fiduciario, titolare di detto bene.
Il fondamentale bisogno di un criterio giuridico-formale a supporto dell’imputazione
soggettiva del reddito ha portato perciò, anche in campo tributario, ad indagare sulla reale
natura del rapporto fiduciario, nella contrapposizione tra fiducia romanistica e germanistica.
Secondo l’interpretazione più tradizionale (fiducia romanistica) il negozio di intestazione
fiduciaria è qualificabile come un “procedimento complesso assimilabile a quello del negozio
indiretto, che si articola in due distinti, ma collegati, negozi, dei quali, il primo, avente carattere reale
ed esterno (trasferimento della proprietà del bene dal fiduciante al fiduciario), l’altro, interno
ed obbligatorio, volto a modificare il risultato finale del negozio esterno, per cui il fiduciario è tenuto a
ritrasferire al fiduciante o ad un terzo da esso indicatogli il bene o il diritto acquistato col negozio
reale” 3 .
L’efficacia meramente obbligatoria della fiducia romanistica, comporta che il fiduciario abbia
piena titolarità del diritto, con il solo limite di un obbligo che lo lega personalmente al
fiduciante: questo non ha alcun diritto sul bene ma solo una pretesa verso il fiduciario.
Perciò, se il fiduciario dispone del bene in violazione del pactum fiduciae, gli atti da lui
compiuti hanno piena efficacia, costituendo di contro un illecito contrattuale nei confronti
del fiduciante, il quale ha diritto al risarcimento del danno. Egualmente, i creditori del
2 Come rilevato da numerosa dottrina, il concetto giuridico di possesso, ai sensi degli art. 1140 e ss del C.C., non può riguardare
un concetto astratto qual è il reddito (generico incremento patrimoniale), ma potrà riferirsi solo ai beni (denaro, crediti, azioni,
immobili etc…) che esprimono tale incremento. Il concetto di “possesso di reddito” perciò mal si presta a determinare il criterio
normativo d’imputazione soggettiva del reddito, in quanto possiede un valore sistematico molto debole, proprio perché non
supportato da una precisa valenza giuridica, come invece ha il possesso di beni nel proprio senso codicistico.
3 Cass. 1° aprile 2003 n. 4886.
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fiduciario possono agire esecutivamente sul bene: anche qui, se l’esecuzione avverrà, il
fiduciario dovrà risarcire il danno.
A tale impostazione, si contrappone quella della fiducia germanistica, secondo la quale
l’intestazione non attribuisce al fiduciario la titolarità del diritto, che rimane in capo al
fiduciante, bensì solo la legittimazione all’esercizio dei poteri e delle facoltà ad esso inerenti.
Tale filone interpretativo fonda il proprio convincimento innanzitutto su diverse norme
speciali in tema di società fiduciarie, e ne ammette l’estendibilità ad ogni negozio fiduciario
richiamando la disciplina del mandato senza rappresentanza, secondo quanto disposto in
particolare dagli articoli 1706-1707 c.c.. Tali norme, infatti, prevedono un rafforzamento della
posizione del mandante, attribuendo a questo la rivendica delle cose mobili non registrate
acquistate per suo conto, ma in nome proprio, dal mandatario (1706), e ponendo al riparo
dalle ragioni dei creditori del mandatario i beni acquistati da questo in esecuzione del
mandato (1707), in deroga perciò al principio generale dell’efficacia meramente obbligatoria
del contratto di mandato.
E’ ovvio che la scelta tra l’una e l’altra configurazione del fenomeno dell’intestazione
fiduciaria – o per meglio dire, ove si ammetta la plausibilità di entrambe, la riconducibilità di
ciascuna singola fattispecie concreta all’una o all’altra delle due possibili configurazioni – ha
rilevanti risvolti sull’identificazione del soggetto passivo di imposta: se, infatti, si dovesse
propendere per la fiducia germanistica, allora verrebbe a mancare, nel rapporto fiduciario, la
dissociazione tra proprietà sostanziale del bene-fonte e titolarità giuridica dello stesso, in
quanto
quest’ultima
risulterebbe
comunque
riferibile
al
soggetto
fiduciante.
Si
ripresenterebbe perciò l’ordinario nesso di collegamento tra reddito e soggetto a cui
imputarlo, cioè la titolarità giuridica della fonte produttiva.
Tale soluzione interpretativa rappresenterebbe la soluzione ottimale sotto il profilo
tributario: si riuscirebbe quindi ad imputare il reddito al soggetto che effettivamente ne
dispone senza andare a forzare il principio di derivazione dal diritto civile della selezione
degli elementi della fattispecie impositiva.
Ma al di là di giudizi di preferibilità fondati su logiche squisitamente tributarie, la razionalità
delle due interpretazioni sopra ricordate deve essere indagata esclusivamente sul piano
civilistico, in quanto, per quel che si è detto, è su tale piano che si determina l’effetto
negoziale che poi diviene elemento dell’imposizione tributaria. E’ vero infatti che i negozi
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civilistici rilevano, per il diritto tributario, come “fatti” e non come manifestazioni di
autonomia negoziale. Tuttavia, nell’ambito degli aspetti fattuali rilevanti per l’interposizione,
non si possono trascurare gli effetti giuridici che promanano dai rapporti posti in essere.
L’effetto del trasferimento della proprietà insito in una certa visione del rapporto fiduciario
non può dunque essere facilmente superato ai fini di una corretta individuazione del
soggetto passivo dell’imposta sui redditi derivanti dalla titolarità del bene-fonte.
L’interpretazione che vuole il negozio fiduciario caratterizzato da una fiducia di tipo
germanistico, è peraltro del tutto condivisibile se riferita alle società fiduciarie, ovvero a
soggetti che per definizione amministrano beni non propri: nel rapporto che si instaura tra
soggetto terzo e società fiduciaria è facile per il primo riconoscere che a monte del soggetto
con cui interagisce vi è un soggetto diverso, e quindi in tali situazioni non si viene a creare
nessun legittimo affidamento del terzo sul carattere reale dell’intestazione.
A sostegno di tale interpretazione, vi è poi il condivisibile allargamento analogico, ad ogni
società fiduciaria, di numerose leggi speciali che disciplinano tali società in diversi settori
economici, norme che prevedono, più o meno esplicitamente, la separazione di patrimoni tra
beni oggetto dell’intestazione fiduciaria e beni direttamente afferenti alla società fiduciaria:
ad esempio l’art. 1 u.c. del r.d. 29/03/1942 n.239 dispone che “le società fiduciarie che
abbiano intestato al proprio nome titoli azionari appartenenti a terzi, sono tenute a dichiarare
le generalità degli effettivi proprietari dei titoli stessi”, norma che esclude chiaramente che la
titolarità anche giuridica di detti beni sia riferibile al soggetto fiduciario.
Non pare invece altrettanto condivisibile l’allargamento della fiducia germanistica ad ogni
rapporto fiduciario: qualora infatti il soggetto fiduciario non sia un soggetto che
professionalmente amministra beni altrui (o che si relazioni ai terzi in tale veste), si viene a
creare, nel terzo che interagisca con questo, la legittima convinzione che lo stesso fiduciario
sia la diretta controparte del rapporto, e che quindi l’intestazione ad esso del bene sia
effettiva. In quest’ottica, le norme speciali in tema di intestazioni di beni a società fiduciarie
si pongono in deroga rispetto ad un regime altrimenti operante, che fa perno sulla titolarità
giuridico formale dei beni intestati al fiduciario.
Affermare che l’intestazione al fiduciario del bene non rappresenta un trasferimento della
titolarità del diritto reale significa deprimere il legittimo affidamento del terzo, a favore dei
diritti vantati dal soggetto fiduciante. Ma il risolvere a favore di quest’ultimo il conflitto tra
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due posizioni giuridiche conflittuali entrambe meritevoli di tutela, pare del tutto contrario
alle logiche ed ai principi del nostro ordinamento civilistico: si andrebbe infatti a premiare
un soggetto (il fiduciante) che ha voluto ed architettato il negozio giuridico, ed è perciò
consapevole dei rischi che avrebbe potuto sopportare, a danno di un soggetto (il terzo) del
tutto inconsapevole del negozio in essere tra il fiduciario, con cui si è relazionato, e il
fiduciante, e quindi ignaro (anche usando la normale diligenza) dei rischi a cui sarebbe
potuto andare incontro.
In tale ottica, non si può nemmeno generalizzare ad ogni rapporto fiduciario la valenza delle
norme
(artt. 1706 – 1707 c.c.) che invece, al contrario di quanto detto, proteggono, in
determinati casi, il mandante rispetto alle pretese creditorie dei terzi nei confronti del
mandatario: in primo luogo perché non tutti i negozi fiduciari possono assimilarsi ai
contratti di mandato senza rappresentanza, in quanto tale identificazione può essere al più
accettata per negozi fiduciari dinamici (dove cioè il fiduciario amministra una dote
patrimoniale anche modificando la sua composizione qualitativa nei singoli beni), mentre
pare un po’ forzata per pure intestazioni statiche. Si pensi al caso in cui venga intestato al
fiduciario un terreno, per qual si voglia motivo, senza prevedere che il fiduciario debba
locarlo o disporne in alcun modo, limitandosi a fare da intestatario; in questo caso gli unici
atti giuridici che si individuano sono il trasferimento della proprietà dal fiduciante al
fiduciario all’atto dell’intestazione e il ritrasferimento a conclusione del negozio fiduciario:
qui non si riscontrano i presupposti del contratto di mandato in quanto l’intestatario non si
obbliga a compiere nessun atto giuridico per conto del fiduciante.
A tal riguardo è stato correttamente sottolineato che “esiste una fondamentale diversità di
causa – e quindi di un elemento fondamentale di identificazione – tra contratto di mandato e
rapporto fiduciario, posto che nel primo la causa è costituita dal compimento di uno o più
atti giuridici per conto del mandante, mentre nel secondo la causa è identificabile nella
intestazione di beni e cioè nella spersonalizzazione della proprietà, che è l’elemento
essenziale e costante del rapporto, al quale può connettersi (ma ciò non sempre avviene)
anche il compimento di atti giuridici, che ne costituisce perciò l’effetto anziché la causa” ( 4 ).
La differenza causale tra i due contratti non permetterebbe perciò la loro assimilazione, e
4 DI MAIO FEDERICO “Amministrazione fiduciaria di beni: quale fiducia?” in Le Società, 1995, pg 329.
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quindi impedirebbe che le norme specificatamente previste per il contratto di mandato
possano essere meccanicamente estere ai rapporti fiduciari.
Ma anche ammesso che le norme in tema di mandato (in particolare art. 1706-1707 c.c.)
possano validamente essere applicate al negozio fiduciario in genere, sostenendo
l’equiparazione sostanziale tra l’una e l’altra forma contrattuale, queste a ben guardare non
avallano in nessun modo la natura germanistica della fiducia, in quanto non prevedono che
la titolarità del bene acquistato dal mandatario sia direttamente attribuita al mandante ma
piuttosto prevedono un ritrasferimento automatico (ex lege) ( 5 ) della proprietà di detti beni,
peraltro limitato solo ai beni mobili non registrati. In sostanza, ammettere che nel mandato
senza rappresentanza vi sia un ritrasferimento ex lege della proprietà dal mandatario al
mandante, significa comunque ammettere che la titolarità del diritto è stata in primis
trasferita al mandatario e solo in un secondo momento (ancorché eventualmente contestuale)
ritrasferita al mandante: ciò significa, nel caso del negozio fiduciario, che la titolarità del bene
è stata comunque trasferita al fiduciario, cosa che contrasta con la stessa definizione di
fiducia germanistica, per la quale, come detto, non viene trasferita la titolarità del diritto ma
solo la legittimazione all’esercizio dei poteri e delle facoltà ad esso inerenti.
Alla luce di quanto evidenziato, si può allora ragionevolmente affermare che la
riconducibilità dell’intestazione fiduciaria nell’una o nell’altra delle due configurazioni
possibili (fiducia romanistica o germanistica) dipende essenzialmente dalla qualifica del
soggetto fiduciario.
Qualora tale ruolo sia ricoperto da una società fiduciaria ( 6 ) - cosa che comporta che il terzo
possa e debba essere cosciente del ruolo di “interposto” rivestito da tale soggetto - allora è
comprensibile l’inquadramento del rapporto fiduciario nel tipo “germanistico”, con
5 Si veda sul punto MINERVINI, Il mandato, la commissione, la spedizione in Trattato di diritto civile diretto da Vassalli, Torino, 1952,
102s. FERRARA Jr in Gli imprenditori e le Società, 129ss, LUMINOSO, Il mandato e la commissione in Trattato di diritto privato diretto da
Rescigno, Torino, 1985.
Sul punto, altra dottrina (CALVO, La proprietà del mandatari, 99ss), pur ammettendo che la tesi del trasferimento automatico
appare più corretta rispetto a quella del trasferimento diretto, evidenzia come tale ricostruzione risulti comunque in contrasto
con il contenuto sostanziale del rapporto di gestione: la circostanza che le parti abbiano stipulato un mandato senza
rappresentanza è intesa come espressione della volontà di far discendere il successivo effetto traslativo dal compimento di un
autonomo negozio, restando nel frattempo la proprietà del bene in capo al mandatario. In questa prospettiva si nega, perciò, che
l’attribuzione della rei vindicatio al mandante consegua all’operatività di un meccanismo acquisitivo immediato, ravvisandosi
piuttosto nella legittimazione del mandante ad agire in via petitoria (pur non essendo ancora proprietario) uno strumento di
tutela “reale” del proprio diritto di credito, avente ad oggetto l’acquisto della proprietà del bene mobile.
6 Si deve qui interpretare quale società fiduciaria ogni società che ha per oggetto professionale l’amministrazione di beni per
conto terzi.
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l’attribuzione, in campo fiscale, dei redditi direttamente in capo al soggetto fiduciante, che
risulta essere effettivo titolare, anche da un punto di vista giuridico, del bene oggetto della
fiducia. Se, diversamente, il ruolo del fiduciario viene rivestito da un altro soggetto, non
professionale, si deve allora riconoscere il carattere reale dell’intestazione e quindi
ricondurre il negozio fiduciario alla fiducia romanistica: in tali casi, dando rilievo al nesso
giuridico-formale tra reddito e bene-fonte, sarà il fiduciario il soggetto passivo d’imposta
(anche dal punto di vista dichiarativo).
Concorde rispetto a tali conclusioni sembra essere la Giurisprudenza di legittimità: le
pronunce più recenti, che hanno affrontato il tema dei rapporti fiduciari, hanno
tendenzialmente affermato la natura germanistica della fiducia ogni qual volta si trattasse di
rapporti con società fiduciarie, mentre l’interpretazione più tradizionale (fiducia romanistica)
è stata confermata nei casi in cui il rapporto fiduciario si instaurava tra persone fisiche o nei
quali, comunque, il soggetto fiduciario non rivestiva la specifica qualifica di società fiduciaria
( 7 ).
La posizione dell’Amministrazione Finanziaria pare essere invece, almeno a prima vista,
differente: nella circolare 136/E del 07/12/2006 si legge che “l’istituto dell’intestazione
fiduciaria non modifica il soggetto d’imposta passivo identificabile sempre e comunque nel
fiduciante”. La portata di tale affermazione, che letteralmente parrebbe riguardare ogni
rapporto fiduciario, deve essere tuttavia ridimensionata considerando che l’amministrazione
finanziaria si è sempre espressa ( 8 ) su fattispecie in cui il ruolo di fiduciario era ricoperto da
una società fiduciaria.
Si dubita che la stessa risposta sarebbe stata data dall’amministrazione qualora fosse stata
interpellata su un rapporto fiduciario tra due soggetti privati: tale convinzione nasce dalle
seguenti considerazioni. L’interpretazione fornita dall’amministrazione non si basa su una
pretesa prevalenza dell’aspetto sostanziale rispetto a quello giuridico-formale (che come
rilevato avrebbe portato in ogni fattispecie di rapporto fiduciario ad identificare nel
7 Per una rassegna di tali sentenze si permetta di rimandare a M. PIAZZA “L’intestazione fiduciaria di immobili”, in Trust e attività
fiduciarie, 1/2007 pag.39 e ss.
8 Precedentemente alla circolare 136/e del 2006, si ricordano le circolari n.16/1985, risoluzione 153/E del 1999, circolare 49/E
del 2004, ricordate nella stessa circolare del 2006. Si vedano inoltre Direzione Regionale dell’Emilia Romagna 909/14280/2003,
Direzione Regionale della Lombardia Risoluzione 118299/2001 e Direzione Centrale Normativa e Contenzioso, Risoluzione n.
163048 del 12 ottobre 2004.
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fiduciante il soggetto passivo d’imposta in quanto sostanzialmente proprietario del benefonte), ma, coerentemente alle conclusioni a cui siamo pervenuti, si dà rilevanza comunque
alla natura giuridica del rapporto fiduciario, individuando nella fiducia germanistica la
configurazione del rapporto tra fiduciante e società fiduciaria. Qualora l’amministrazione
avesse indagato sulla natura della fiducia nel caso in cui il rapporto d’intestazione non
avesse coinvolto una società fiduciaria, si può ritenere che la stessa sarebbe giunta a diverse
conclusioni, in quanto risultano troppo deboli le motivazioni a sostegno della natura
germanistica della fiducia anche in tali fattispecie: andare a sconfessare il legittimo
affidamento del terzo in ragione di una forzata equiparazione tra rapporto fiduciario e
mandato senza rappresentanza, e la conseguente applicazione analogica di due norme
comunque limitate nella loro portata, pare essere, come sopra evidenziato, una
interpretazione poco sostenibile prima di tutto in chiave civilistica.
Si potrebbe inoltre argomentare a favore della tesi qui sostenuta, facendo riferimento alle
istruzioni alla compilazione del modello 770 dei sostituti di imposta: il fatto che il modello
preveda esplicitamente degli adempimenti dichiarativi da parte di società fiduciarie e non
generalmente di soggetti fiduciari, farebbe ragionevolmente pensare che vi sia una differenza
tra le posizioni delle società fiduciarie rispetto a qualsiasi altro soggetto che ricopra il ruolo
di intestatario di beni: ed infatti, tale differenza può giustificarsi secondo quanto qui
sostenuto, e cioè che le società fiduciarie non sono soggetti passivi d’imposta (ma
eventualmente sostituti) mentre gli altri soggetti fiduciari “non qualificati” rivestono tale
qualifica.
Prima di poter confermare definitivamente le soluzioni interpretative qui avanzate, si deve
valutare come tali soluzioni si rapportino ai principi tributari di “personalità dell’imposta”
ed in generale di “capacità contributiva”, che, come già rilevato, potrebbero a prima vista a
privilegiare l’aspetto sostanziale del rapporto e quindi l’imputazione del reddito in capo al
fiduciante.
Si deve innanzitutto ricordare che le norme tributarie e quindi le loro interpretazioni devono
ricercare razionali compromessi tra valori quali la precisione, la semplicità, la certezza e le
esigenze di tutela dell’interesse erariale, con il limite invalicabile costituito dai principi
costituzionali, quali in particolare il concetto di capacità contributiva e di progressività del
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sistema impositivo, che non possono essere sostanzialmente stravolti per effetto della ricerca
di detto compromesso.
In relazione ai due limiti costituzionali evidenziati, l’individuazione del soggetto passivo di
imposta nel fiduciario, nei casi di intestazioni di beni a soggetti non qualificati (diversi dalle
società fiduciarie), ancorché non li soddisfi con totale precisione, risulta essere tuttavia una
soluzione comunque accettabile: infatti, la modificazione del soggetto passivo di imposta
rispetto al “reale possessore” del reddito non altera, in linea di principio, la grandezza
economica su cui si fonda l’imposizione diretta, in quanto il reddito prodotto dal bene-fonte
oggetto dell’intestazione tenderà a rappresentare in modo più o meno eguale l’imponibile sia
che venga dichiarato dal fiduciante che dal fiduciario ( 9 ). Il concetto di capacità contributiva
risulta, perciò, comunque salvaguardato: mediante l’identificazione nel fiduciario del
soggetto passivo non si rischia infatti, se non in casi marginali e patologici, di tassare capacite
economiche inesistenti o di non tassare una capacità contributiva esistente.
Neppure dal punto di vista della progressività del sistema si ritiene che l’imputazione del
reddito in capo al fiduciario possa alterare in modo significativo tale principio: potrebbe
infatti succedere che, mediante l’interposizione di un soggetto diverso, si riesca a trasformare
un’imposizione progressiva in una proporzionale (ad esempio dividendo un’unica
partecipazione qualificata in due partecipazioni non qualificate si riuscirebbe a godere della
tassazione sostitutiva del 12,5%, piuttosto che far partecipare i redditi derivanti da tali
partecipazioni nell’imponibile Irpef), ma tali alterazioni risultano essere comunque marginali
e poco incidenti rispetto alla progressività dell’intero sistema.
Più concreta è la possibilità che l’imputazione del reddito in capo al fiduciario violi il
principio di uguaglianza, o meglio alteri il principio di “personalità dell’imposizione”: due
9 Ciò non significa che mediante l’intestazione fiduciaria non si riesca a ridurre il carico impositivo modificando l’imponibile
fiscale, in quanto ciò può avvenire se i regimi di detenzione del bene sono diversi tra fiduciante o fiduciario o anche solo in base
a caratteristiche soggettive diverse tra l’uno e l’altro. Si pensi ad esempio a intestazioni fiduciare di immobili (casa in montagna,
casa al mare etc…) a persone che trasferiscano, anche solo nominalmente, la loro residenza nell’immobile oggetto del rapporto
fiduciario: ciò potrebbe portare a ridurre il reddito da fabbricato da dichiarare, in quanto potrebbe così configurarsi un’ipotesi
di detrazione per prima casa, o comunque limitare in tal modo il supplemento del terzo per gli immobili ad uso abitativo non
locati (art. 41 Tuir). I casi di manipolazione dell’imponibile per mezzo di interposizioni di persone possono essere sicuramente
molti e di consistenza notevoli: tuttavia essi non costituiscono unacontroindicazione, nella valutazione degli interessi in gioco,
tale da poter controbilanciare gli aspetti positivi di semplificazione e certezza che, come vedremo meglio in seguito,
l’identificazione del soggetto passivo d’imposta nel fiduciario comporta. Inoltre si deve sempre sottolineare che le deformazioni
dell’imposnibile, come ogni altro vantaggio fiscale ricercato mediante interposizioni reali o fittizie, possono sempre essere
disconosciuti dall’amministrazione mediante o la norma anti-elusiva o anche cercando di dimostrare la simulazione.
13
soggetti del tutto identici potrebbero infatti avere carichi impositivi anche significativamente
differenti, qualora uno dei due provvedesse alla intestazione di parte dei beni-fonte a
soggetti che godono di aliquote marginali più basse rispetto a quella a cui sarebbe soggetto
altrimenti il fiduciante. Ma al di là che i due soggetti non possono essere considerati nella
medesima posizione giuridica, in quanto il soggetto che ha posto in essere l’intestazione
fiduciaria si spoglia del diritto reale sul bene-fonte, sopportando tutti i rischi dovuti alla
possibile inadempienza del soggetto fiduciario (aspetto che già di per sé sconfesserebbe una
violazione del principio di uguaglianza), si deve comunque sottolineare che tale aspetto
distorisivo dell’imposizione personale può essere comunque accettato qualora l’intestazione
si giustifichi per altri interessi meritevoli di tutela, diversi dal risparmio di imposta: se
invece, come spesso avviene, l’intestazione fiduciaria venisse fatta solo per fruire di carichi
impositivi più bassi, allora si porrebbe il problema di un ipotetico disconoscimento di tali
risparmi di imposta, mediante la supposta applicabilità di normative antielusive, senza
bisogno perciò di sostenere su un piano generale l’inadeguatezza dell’individuazione del
soggetto fiduciario quale soggetto passivo d’imposta.
I pregi dell’imputazione del reddito in capo al fiduciario sono innanzitutto la semplicità e la
certezza del prelievo. Se infatti, nonostante la configurazione romanistica del rapporto
fiduciario, si ritenesse di dover seguire la sostanza economica del fenomeno, individuando
nel fiduciante l’obbligato d’imposta (e abbandonando perciò la correlazione tra effetti dei
negozi giuridici in campo civilistico e presupposti dell’imposizione fiscale), le complicazioni
in sede dichiarativa e di riscossione dell’imposta diverrebbero molteplici e assai rilevanti.
Si pensi ad esempio alla seguente fattispecie: la detenzione, da parte di un soggetto straniero
e per mezzo di un fiduciario italiano, di una partecipazione in una impresa italiana. Uno
degli aspetti fondamentali che caratterizza il rapporto fiduciario è, quasi sempre,
l’anonimato verso i terzi del soggetto a monte, per cui è impensabile che il soggetto
fiduciario del nostro esempio possa dichiarare all’organo amministrativo della società
partecipata di applicare la ritenuta alla fonte, in quanto in tal modo dovrebbe svelare la sua
posizione di interposto nei confronti di un diverso soggetto straniero. Supponiamo che il
14
soggetto fiduciario possa informare il fisco ( 10 ) della sua natura di interposto indicando le
generalità del soggetto fiduciante, che nella nostra ipotesi è il soggetto passivo d’imposta: il
Fisco, che non ha incassato niente per mezzo del meccanismo della ritenuta alla fonte,
dovrebbe perciò andare a pretendere l’imposta dovuta (supponiamo che il fiduciante
straniero non paghi tasse adeguate nel suo Stato di residenza) nei confronti di tale soggetto,
con evidenti difficoltà in fase di riscossione coattiva nei confronti di un non residente, resa
ancor più difficile dal fatto che il diritto reale sulla partecipazione appartiene ad un soggetto
diverso (il fiduciario) e quindi il bene non è soggetto direttamente a esecuzione. Inoltre
l’Amministrazione finanziaria non potrebbe nemmeno avanzare pretese nei confronti della
società erogante il dividendo, in quanto la mancata effettuazione della ritenuta non potrebbe
essere a lei imputata (la qualifica di socio infatti è giuridicamente rivestita dal fiduciario).
Rimarrebbe perciò il solo soggetto fiduciario, il quale potrebbe ben essere considerato
responsabile non avendo dichiarato alla società la condizione di straniero del fiduciante: ma
anche qui vi sarebbero grosse problematiche, almeno stando alle norme attualmente vigenti,
a definire i limiti di detta responsabilità.
Ben più semplice e lineare pare essere la situazione se invece si riconosce direttamente nel
fiduciario il soggetto passivo d’imposta: innanzitutto si eliminerebbero i problemi di
comunicazione al Fisco del rapporto fiduciario intercorrente, ed in secondo luogo si avrebbe
un’identificazione del soggetto passivo con il titolare del diritto reale sul bene-fonte, cosa che
potrebbe maggiormente garantire l’Erario in sede di riscossione. Inoltre, come già
evidenziato, il riconoscimento del fiduciario quale soggetto passivo non preclude
all’amministrazione, qualora il negozio fiduciario fosse fatto al fine di garantire in capo al
fiduciante risparmi d’imposta non spettanti, di disconoscere tali risparmi, applicando, se del
caso, la norma antielusiva.
In conclusione, anche analizzando il rapporto fiduciario da un piano squisitamente
tributario, si deve riconoscere la preferenza per le conclusioni a cui si è giunti indagando la
10 Il soggetto fiduciario potrebbe informare il fisco della sua natura di interposto tramite il modello 770, ma allora andrebbe
previsto un obbligo dichiarativo ad oggi mancante, nonché predisposta un’apposita modulistica, aspetti che andrebbero a
complicare ed appesantire l’intero iter di imposizione. Già tali questioni mettono in evidenza come il riconoscimento del
fiduciante quale soggetto passivo d’imposta porti a complicazioni rispetto alla identificazione dell’obbligato d’imposta con il
fiduciario, titolare del diritto reale sul bene fonte.
15
natura civilistica di tale negozio: nell’identificazione del soggetto passivo d’imposta, nel
campo dell’imposizione diretta, si dovrà allora distinguere tra negozi fiduciari in cui il ruolo
di intestatario è rivestito da un soggetto qualificato (società fiduciaria), nel qual caso, essendo
la fiducia di tipo germanistico, il soggetto passivo deve essere riconosciuto nel fiduciante,
mentre in tutte le altre configurazioni del rapporto fiduciario, dove si evidenzia una fiducia
di tipo romanistico, il soggetto passivo d’imposta dovrà essere identificato con il fiduciario.
3. Intestazioni fiduciarie e soggettività di imposta, tra certezza, semplicità applicativa,
rilevanza delle forme giuridiche e salvaguardia del principio di progressività (a cura di
Dario Stevanato e Renato Bogoni)
Come osservato, l’intestazione fiduciaria, pur essendo generalmente svolta da società a ciò
debitamente autorizzate, interessa spesso anche altri soggetti. L’individuazione del corretto
trattamento giuridico di tale situazione richiede la preliminare valutazione della sua
legittimità. A tal proposito si può ragionevolmente affermare che non costituisce violazione
di attività riservata la prestazione di un singolo atto fiduciario da parte di un soggetto non
organizzato in forma di impresa 11 . La persona fisica che si intesti i beni di terzi non è
sanzionabile, in quanto l’esecuzione di singole intestazioni fiduciarie non configura lo
svolgimento di “attività propria di società fiduciaria”. Questa regola generale si evince dalla
formula utilizzata per individuare l’opzione dell’interposizione ovvero “per tramite di società
fiduciaria o per interposta persona”. Al riguardo, quale esempio a valere per tutte le
disposizioni riportanti la predetta formula può essere citato l’art. 2360 cod. civ., secondo cui
“è vietato alle società di costituire o di aumentare il capitale mediante sottoscrizione reciproca di
azioni, anche per tramite di società fiduciaria o per interposta persona”.
Al fine di definire il regime fiscale della fattispecie, la circolare mette in evidenza come
preliminarmente si debba analizzare la natura del soggetto che svolge l’attività fiduciaria, in
11 Orientamento sostenuto dal Tribunale di Milano, sez. penale, 3 ottobre 2006, e condiviso da F. DI MAIO nel commento alla
sentenza in Le Società, n. 8/2007, p. 997. Alcune pronunce, tuttavia, seguono un indirizzo contrario, come Tribunale di Como, 2
marzo 2005, n. 942, e Tribunale di Genova, 23 maggio 2005. Va notato, peraltro, che più volte i nostri tribunali e la stessa
Suprema Corte hanno avuto modo di trattare in merito a casi di intestazione fiduciaria a persone fisiche, senza nulla eccepire, si
veda, in tal senso, da ultimo Sentenza 2 maggio 2007, n. 10121/07.
16
quanto nel nostro ordinamento gli effetti che derivano dall’intestazione dei beni ad una
società fiduciaria, piuttosto che ad un altro soggetto (persona fisica), sono assai diversi.
Il concetto di “fiducia” tradizionalmente assunto dal nostro ordinamento è quello della
fiducia romanistica 12 . Come già evidenziato tale fiducia – che configura una forma di
interposizione reale di persona 13 – presuppone che con l’intestazione fiduciaria l’interposto
acquisti effettivamente la titolarità del bene o del diritto, ma, in virtù di un rapporto
obbligatorio interno con l’interponente, sia tenuto ad un dato comportamento convenuto con
il fiduciante ed a retrocedere i beni a quest’ultimo al verificarsi di una situazione
determinante il venir meno della “causa fiduciae” 14 .
Se tale sistema configura l’espressione tipica del nostro ordinamento, si deve tuttavia rilevare
che l’attività svolta dalle società fiduciarie configura una deviazione dallo schema
romanistico, come emerge, oltre che dalla stessa definizione data dal legislatore all’attività da
esse svolte 15 , anche da altre norme presenti nel nostro ordinamento, tra le quali:
-
l’ art. 3, nono comma, d.l. 30 gennaio 1979, n. 26, convertito in legge 3 aprile 1979, n. 95, e
l’art. 2, decimo comma, del d.l. 5 giugno 1986, n. 233, convertito in legge 1° agosto 1986,
n. 430, che regolano la richiesta alle società fiduciarie delle “generalità degli effettivi
proprietari dei titoli azionari e delle altre partecipazioni sociali intestati al proprio nome”.
12 Tale orientamento è quello tradizionalmente espresso dalla nostra dottrina, che (al di fuori delle attività riservate alle società
fiduciarie) ha sempre negato cittadinanza nel nostro ordinamento alla fiducia germanistica; si veda in proposito CARIOTA
FERRARA, I negozi fiduciari, Padova, 1936.
13 L’interposizione reale può realizzarsi in due modi: (i) tramite il compimento da parte dell’intermediario di un atto che non
suppone alcuna qualità speciale nell’agente, anche se nell’interesse altrui o (ii) mediante la realizzazione di un atto che richiede
nel contraente un diritto anteriore, il quale suppone nell’agente la qualità di proprietario o creditore. L’interposto figura, quindi,
come un mandatario in nome proprio nel primo caso, laddove risulta essere un fiduciario nell’altra ipotesi. Nell’interposizione
reale di persona non esiste simulazione, l’interposto acquista effettivamente i diritti derivanti dal contratto (Cfr. NANNI,
Interposizione di persona, in Enc. giur. Treccani, XVII, Roma). Detta simulazione si configura, invece, nell’interposizione fittizia
di persona, in cui l’interposto appare come acquirente del bene, mentre gli effetti del negozio (ossia il trasferimento del diritto di
proprietà) si producono in favore dell’interponente.
14 Cfr. NOTARIATO, studio cit..
15 In specie, l’art. 1 l. 23 novembre 1939, n. 1966, qualifica società fiduciarie e di revisione quelle che, comunque denominate, si
propongono, sotto forma di impresa, di assumere l’amministrazione dei beni per conto di terzi, l’organizzazione e la revisione
contabile di aziende e la rappresentanza dei portatori di azioni e di obbligazioni. la società, assumendo l’amministrazione dei
beni per conto di terzi, acquista la sola legittimazione ad esercitare in nome proprio, anche se nell’interesse altrui, un diritto, la
cui titolarità rimane al fiduciante. Emerge, pertanto, che la fiducia contemplata sia di tipo germanistico. Tale interpretazione è
stata ripetutamente sostenuta anche dalla Corte di Cassazione secondo cui “il fiduciante, malgrado l’intestazione del bene alla società
fiduciaria, ne conserva la proprietà effettiva ed è quindi in grado di disporne, senza necessità di alcun formale ritrasferimento di detto
bene da parte della società fiduciaria” (Cfr. Corte di Cassazione, sentenza 29 maggio – 14 ottobre 1997, n. 10031/97).
17
-
l’art. 1, ultimo comma, R.D. 29 marzo 1942, n. 239 per cui “le società fiduciarie che
abbiano intestato al proprio nome titoli azionari appartenenti a terzi sono tenute a
dichiarare le generalità degli effettivi proprietari dei titoli stessi”;
-
l’art. 20, secondo comma, d.m. 12 marzo 1981, che regola il deposito dei titoli emessi o
pagabili all’estero, secondo il quale che il deposito può “essere costituito anche al nome
di società fiduciarie” che abbiano acquistato titoli o quote per conto di residenti, con
obbligo di indicare ogni effettivo proprietario;
-
l’art. 9, primo comma, l. 29 dicembre 1962, n. 1745, che impone degli obblighi di
comunicazione, in capo alle società fiduciarie, dei “nomi degli effettivi proprietari delle
azioni ad esse intestate ed appartenenti a terzi”.
Come osservato tale schema configura una deviazione rispetto al nostro ordinamento. Si
deve ritenere che l’elemento che ha indotto il legislatore a consentire detta deroga sia da
rinvenire
“nell’affidamento
dei
terzi”.
In
specie,
le
società
fiduciarie
svolgono
istituzionalmente l’attività di amministrazione dei beni per conto terzi e, quindi, la natura
fiduciaria del negozio è nota all’esterno ed è verificabile mediante la documentazione
contrattuale; la loro attività, inoltre, è espressamente disciplinata da leggi speciali. Ne deriva
che i terzi che intrattengono relazioni economiche con la società fiduciaria devono conoscere
che l’oggetto della trattativa appartiene solo fiduciariamente a tale società. Nel rapporto con i
terzi si realizza “l’inversione della conoscenza, si sa per certo che la società fiduciaria è l’unico
soggetto deputato ad amministrare beni di terzi per cui è immediatamente presumibile che la trattativa
concerna un bene di cui la società fiduciaria dispone per via del rapporto fiduciario” 16 . Va notato,
pertanto, che l’obbligo di trasparenza imposto dal legislatore garantisce la corretta
circolazione dei beni. La medesima correttezza non risulta conseguibile dalla intestazione ad
altro soggetto, essendo evidente, tra l’altro, che solo alle società fiduciarie è imposto, a tutela
della correttezza del loro operato, un obbligo di comunicazione o di svelamento alle Autorità
preposte alla vigilanza della attività fiduciaria.
Le riflessioni sopra esposte inducono, pertanto, ad avallare l’interpretazione secondo cui la
fiducia è germanistica, qualora l’attività in esame sia svolta da società fiduciarie, mentre è
romanistica, in ogni altro caso.
16 Cfr. F. DI MAIO, cit..
18
Dal punto di vista tributario, ciò ci porta a ritenere che in presenza delle prime gli obblighi
fiscali sono posti in capo al fiduciante; al contrario, sono a carico del fiduciario nell’altra
ipotesi.
Il tema affrontato (l’individuazione del soggetto passivo dell’imposta sul reddito, nel caso di
intestazioni fiduciarie a soggetti “non professionali”) ha carattere strutturale, e coinvolge
profili di fiscalità generale assai delicati quali – tra gli altri – la nozione di “possesso del
reddito”, la rilevanza della proprietà formale nell’individuazione del soggetto passivo del
tributo sul reddito, i rischi di elusione della progressività dell’imposizione, che si collegano a
loro volta temi, altrettanto delicati, di matrice civilistica, in ordine all’inquadramento dei
rapporti fiduciari nell’ambito degli schemi romanistico ovvero germanistico.
Le argomentazioni sostenute nella circolare per risolvere la questione dell’imputabilità dei
redditi conseguiti in relazione ad una “fonte produttiva” trasferita fiduciariamente ad un
soggetto persona fisica, o che comunque non riveste la qualifica professionale di società
fiduciaria, appaiono pienamente sostenibili, e rientranti nell’ambito delle opzioni consentite
all’interprete.
In effetti, nel diritto tributario devono essere contemperate esigenze di vario tipo, quali la
certezza, la semplicità, l’equità, la praticabilità e l’accertabilità dell’imposta, la progressitività
dell’imposizione (ove operante a livello di principio) e così via. Di fronte a queste diverse
esigenze, l’imputazione e la tassazione dei redditi in capo al fiduciario sembra in linea con la
rilevanza delle forme giuridiche, e col dato formale del trasferimento della proprietà del bene
dal fiduciante al fiduciario. L’intestazione del bene in capo a quest’ultimo realizza sul piano
formale il presupposto dell’imposizione sul reddito, che si basa su una relazione tra il
soggetto e la fonte produttiva basata sull’esercizio di poteri dominicali (o basati su diritti
reali di godimento) sul bene. Tale relazione viene in effetti a concretizzarsi in capo al
fiduciario, al quale viene trasferita la proprietà del bene-fonte. Gli ulteriori sviluppi della
fattispecie, operanti sul versante civilistico, e attinenti ai rapporti obbligatori che vincolano il
fiduciario al fiduciante, restano esterni alla fattispecie impositiva, e si risolvono sul piano
patrimoniale, senza avere conseguenze reddituali. Andrebbero peraltro indagati gli effetti di
tali rapporti e trasferimenti ai fini di altri tributi, come quello successorio, applicabile ora
anche ai trasferimenti a titolo gratuito nonché alla costituzione di vincoli di destinazione; una
tale indagine esula tuttavia dalle presenti riflessioni, e si deve pertanto fare un rinvio ad altri
19
approfondimenti. Sembra comunque che una ipotetica rilevanza dei “trasferimenti interni”
tra fiduciante e fiduciario (e viceversa), ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni,
avrebbe anche l’effetto di confermare la “patrimonializzazione” dei redditi in capo al
fiduciario, e l’obbligo di assolvere il tributo sul reddito in relazione ai beni a lui intestati.
Una ulteriore conferma dell’assetto descritto ed argomentato sotto diversi profili dalla
circolare, si può rintracciare nella norma sull’interposizione di persona, ovvero il comma 3
dell’art. 37 del Dpr 600/1973, secondo cui “In sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono
imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche
sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta
persona”. Secondo una diffusa opinione, tale disposizione si riferirebbe alla sola
interposizione fittizia, regolando cioè il caso della simulazione di persona: la norma avrebbe
cioè valore confermativo del potere, spettante all’amministrazione finanziaria, di far valere
l’interposizione (fittizia) di persona direttamente nell’avviso di accertamento, senza dover
passare per un’azione civile di simulazione.
Ora, affinché operi il meccanismo di re-imputazione dei redditi in capo all’interponente,
occorre che la titolarità del reddito (in capo all’interposto) sia solo “apparente”; non sembra
tuttavia questo il caso dei redditi, conseguiti in relazione al bene-fonte, nella fattispecie di
trasferimento ed intestazione del cespite produttivo ad un fiduciario. In tali ipotesi, infatti,
l’intestazione non è apparente ma effettiva, e il trasferimento della proprietà non è simulato
ma realmente voluto.
Inoltre, in merito ai dubbi relativi alla possibilità che con il negozio fiduciario si possa, in
ipotesi peraltro residuali 17 , derogare alla progressività dell’imposta personale, si può
obiettare che a livello di sistema il principio di progressività dell’imposta incontra di per sé
dei limiti accettati dal legislatore ogni qual volta si sia in presenza di regimi di imposizione
sostitutiva. Né il fenomeno dell’intestazione fiduciaria si presta a derogare alla correttezza di
tale principio in misura maggiore rispetto a quanto insito nella stessa impostazione
normativa: si pensi, ad esempio, al possessore di una rilevante partecipazione non qualificata
17 Si può ragionevolmente escludere che con l’intestazione fiduciara (a persone fisiche) nel settore immobiliare gli autori mirino a perseguire
fini di risparmio fiscale: considerata la rilevanza che in tale ambito rivestono le imposte indirette per i successivi trasferimenti al fiduciante, il
carico fiscale complessivo dell’operazione non consentirà effettivi risparmi. D’altro canto nell’ambito dei valori mobiliari i presunti vantaggi
fiscali perseguibili si limiterebbero a pochi punti percentuali e difficilmente possono costituire la reale causa del ricorso a tali fattispecie.
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in una multinazionale, che potrà godere della tassazione del 12,50%, diversamente dal
modesto artigiano che possiede il 50% della bottega di calzolaio.
Un ulteriore parallelismo può essere tentato tra l’ipotesi sopra esaminata, di intestazione
fiduciaria, e l’istituto del trust: anche in tali fattispecie siamo infatti di fronte ad uno
spossessamento che si coniuga ad una intestazione dei beni al trust, figura che viene sovente
accostata a quella della fiducia. Ebbene, non vi è dubbio che i beni trasferiti al trust non
appartengono più al disponente, e che il disponente non è tenuto a dichiarare i redditi che
dagli stessi deriveranno, come dimostrano da ultimo le norme che riconoscono soggettività
passiva al trust (si vedano le modifiche apportate all’art. 73 del Tuir dalla L. 296/2006, che ha
attribuito al trust soggettività passiva ai fini dell’imposta sul reddito). Il rischio di una
possibile erosione del principio di progressività dell’imposizione - che rappresenta forse il
maggiore ostacolo concettuale al riconoscimento della soggettività passiva in capo al
fiduciario - non ha dunque impedito al legislatore di attribuire soggettività passiva al trust,
rinunciando alla progressività dell’imposta sui beni conferiti, a favore di un’imposizione di
tipo proporzionale (giusta l’inclusione del trust tra i soggetti passivi dell’Ires). Ad ulteriore
conferma che anche il principio di progressività dell’imposizione non è un valore assoluto da
considerare isolatamente, ma da contemperare con le altre esigenze su menzionate, ovvero
con la certezza, la semplicità applicativa, la rilevanza degli schemi civilistici e degli assetti
giuridico-formali, etc..
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COMITATO SCIENTIFICO
Centro Studi UNGDC
PRESIDENTE
Presidente Prof. Raffaello Lupi
Area Fiscale
Coordinatore
Prof. Dario Stevanato*
Prof. Mauro Beghin
Dott. Nicola Cavalluzzo
Dott. Lelio Cacciapaglia
Dott. Franco Michelotti
Responsabili
Prof. Paolo Montesano
Dott. Raffaele Rizzardi
Dott. Maurizio Tozzi
Ricercatore
Dott. Mattia Varesano*
CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
Centro Studi UNGDC
Presidente
Dott. Michele Testa
Segretario
Dott. Eros De March
Dott. Renato Bogoni*
Consiglieri
Dott. Luigi Carunchio
Dott. Andrea Bonechi
*Relatori del documento
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