Incontro con Luigia Usuelli sul tema: “Come aiutare i figli

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Incontro con Luigia Usuelli sul tema: “Come aiutare i figli
Incontro con Luigia Usuelli sul tema: “Come aiutare i figli preadolescenti a crescere in consapevolezza e
stima nella dimensione affettiva e sessuale” del 1.03.2012 Scuola San Carlo Inverigo
Io non sono un’esperta dello sviluppo di questa fascia di età, dell’adolescenza, della pre-adolescenza.
Io sono un’ostetrica ed il mio cammino professionale ha avuto a che fare con una grande attrattiva che mi
ha preso nell’adolescenza.
Il mio intervento parte da un’esperienza che mi ha preso nell’adolescenza, sono stata attratta non dai
bambini che nascono, ma dal rapporto unitivo che genera.
Noi pensiamo all’adolescenza come ad un momento di crisi da parte dei ragazzi, ma sostanzialmente nella
storia naturale della crescita c’è l’infanzia e l’età adulta, poi di mezzo c’è questo tempo che qualcuno ha
voluto chiamare adolescenza, ma che in realtà è un tempo in cui i ragazzi maturano dal punto di vista
corporeo e vengono ad essere maggiormente definiti da questa differenza sessuale, che non voglio definire
diversità, ma che spesso viene confusa con la diversità. E’ una differenza sessuale che costituisce così nel
profondo tanto da essere in modo identico persona, cioè entrambe persone, ma con una differenza
costitutiva, cioè un modo diverso di essere persone, dove sostanzialmente l’uno è l’attrattiva dell’altro.
Io fin dai 9 anni dicevo: “io voglio fare l’ostetrica”, anche se non sapevo neanche bene cosa fosse
l’ostetrica, anzi dicevo “la levatrice” perché a quel tempo si usava questo termine. Ero attratta da questa
unione di un uomo e di una donna, da questa unità duale uomo - donna che genera, che arriva a generare.
Ero molto affascinata dal corpo maschile e femminile, ero attratta dal fatto che ci potesse essere un’unione
che generava e che addirittura veniva rappresentata, prima ancora che dalla nascita del bambino, con un
corpo che si trasformava in modo così prepotente, che si imponeva alla mia vista (la gravidanza).
Perché vi dico questo? Perché il mio punto di attenzione fin da piccola è stata la generazione e desideravo
conoscere e comprendere di cosa si trattava.
Questo aspetto della corporalità mi ha sempre affascinato: ero così affascinata dal corpo, dalle
trasformazioni del mio corpo che volevo saperne di più e quindi andavo a documentarmi dove era possibile.
Ricordo che le mie domande erano rivolte principalmente a mia madre, che non sapeva bene cosa
rispondermi, ma che cercava di spiegarmi cosa volesse dire “diventare donna”.
Perché dico questo? Perché seguendo, custodendo, prendendomi cura di questo aspetto della generazione
(il percorso nascita), mi sono resa conto, accompagnando l’umano in questa esperienza, che donne adulte
non conoscevano il loro corpo. Nel corso degli anni dell’esercizio della mia professione incontravo donne
più grandi o donne molte giovani che procreavano.
Mi sono resa conto che era necessaria un’educazione non solo sull’aspetto procreativo, ma un’educazione
alla conoscenza di sé, del proprio corpo, e cos’ì mi sono avvicinata a quelle fasce d’età giovanili per poter
appunto parlarne con loro.
Ho così incontrato giovani donne - io preferisco chiamarle giovani donne, non adolescenti - di 14, 15, 16, 17
anni che non avevano avuto una educazione su “chi erano”, “cosa erano”. Il corpo era ormai diventato solo
corpo, cioè era qualcosa che non era più animato, non c’era più “l’io” nel corpo.
Il corpo è il luogo dove abita l’io, è lo strumento attraverso cui mi metto in relazione con l’altro e con quello
che c’è. Il corpo è lo strumento della conoscenza dell’io. Col tempo vi è stata sempre più una
oggettivizzazione del corpo, che prende la connotazione di oggetto, per cui è importante solo l’apparire.
Ma - mi dicevo - come mai si è persa la dimensione del corpo e anima, che cambia, che reagisce, che soffre,
che gioisce? Tutto ciò che ha a che fare con l’esistenza, l’esistenziale, non c’è più.
Il corpo diventa qualcosa da usare dentro un’esperienza di bisogno, di piacere.
La traiettoria oggi è ridotta a: mancanza - bisogno - piacere.
E’ lo stesso meccanismo della fame: ho una mancanza di cibo, quindi un bisogno, ho fame, mangio e provo
piacere.
Il corpo diventa quindi lo strumento attraverso cui soddisfare un bisogno.
Ciò che sollecita il desiderio di conoscenza è un’altra traiettoria che è quella della domanda di senso,
questo fa scaturire un desiderio ed il passaggio successivo è quello di godere quando questo desiderio si
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compie. Traiettoria: domanda - desiderio - gaudio La prima traiettoria è quella di qualcuno che guarda solo
a sé, la seconda è quella del desiderio che apre all’altro.
Incontrando queste giovani ragazze, partendo dal semplice “come siamo fatte”, scoprivano delle cose che
non avevano mai immaginato.
Perché questo accade? Perché è necessaria la presenza di adulti che accettano di fare un cammino con i
ragazzi accompagnandoli nel fare una scoperta non scontata, permettendo loro di conoscere la realtà e di
diventare grandi; sono necessari adulti che conoscano la potenza del cuore e il significato del corpo.
Un rapporto educativo ha bisogno di quella vicinanza che è propria dell’amore. Un rapporto educativo è un
incontro tra due libertà.
Sempre di più mi sono accorta che la fascia più ricettiva e interessante è la fascia dai 10 ai 13 anni, quella in
cui avvengono i cambiamenti maggiori. Ma dentro questo cambiamento, mi son sempre domandata, cosa
cercano questi ragazzi? Un essere protagonisti, una ricerca dell’altro, un desiderio… e quindi l’affettività
deve essere già conosciuta da questi ragazzi, è impossibile, dicevo, che non abbiano conosciuto l’affezione
su di sé, perché nella storia umana di un uomo l’io continuamente si compie nel tu.
La cosa è così evidente in ogni tappa dell’esperienza umana.
Il primo scambio di sguardo tra un neonato e sua madre è un’affettività.
Ma noi crediamo che il bambino non lo riconosca.
Un’affettività, parte sempre dentro un’offerta da parte di un altro.
Una cosa che mi stupiva sempre tantissimo e che ho scoperto con l’esercizio della mia professione è che il
momento dell’allattamento, che noi pensiamo sempre nasca dalla fame del bambino, dal bisogno di cibo,
non parte così. Il bambino quando nasce non ha fame, prima che abbia fame passano 24-48 ore. Cosa
accade quindi? La presenza del bambino stimola la madre all’offerta del seno e l’esperienza del bambino è
quella di una corrispondenza totalizzante. Il bambino vive un’esperienza di bene ricevuto così totalizzante
che scatta il desiderio che riaccada. Questa è un’esperienza che è tipica dell’amore e infatti solo dopo 24-48
ore, quando il bambino vive l’esperienza della fame, si avvicina al seno già con una conoscenza: si avvicina,
percepisce, riconosce qualcosa di già conosciuta e poi accade qualcosa di nuovo, dal seno fluisce un
nutrimento a misura di quel bambino.
Nell’umano non possiamo mai scindere la traiettoria del bisogno da quella del desiderio.
Il bambino fin da piccolo riconosce il bene, riconosce una affettività che è offerta in un rapporto di
reciprocità.
L’essere genitore è la cosa più ardua, si tratta di accompagnare nella crescita prima un bambino/a, poi un
piccolo uomo, una piccola donna che si avvicinano alla vita e devono essere stimati per i loro tentativi di
diventare uomini e donne.
Spesso l’adolescenza mette in crisi i genitori, che incontrano qualcuno che inizia a scegliere, ad esercitare
una libertà che lo porta a scegliere il bene che più gli corrisponde.
Poi è chiaro che lui ha vissuto dentro una famiglia ed ha guardato i propri genitori ed ha imparato da loro a
riconoscere il bene. I figli ci guardano continuamente ed imparano, osservando questo rapporto uomo donna.
Cosa vuol dire questo? Che, certo, noi vediamo una ragazzina che dall’oggi al domani si trucca, si mette un
abito un po’ aderente… e genitori la guardano e si domandano “cosa è successo?”.
I genitori non si domandano cosa sta accadendo si preoccupano del fatto che esca così.
Oppure il ragazzino che in inverno gira con la maglietta a maniche corte.
Sono dei tentativi di essere protagonisti. Non ci fermiamo a domandarci cosa sta accadendo, ma li
giudichiamo e arriviamo a dire “non ci siamo, sei fuori”.
Scoprono dentro la crescita le modificazioni corporee e attraverso queste la differenza sessuale dell’altro.
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La differenza sessuale non è costitutiva dell’io, ma si manifesta anche attraverso lo scoprire che l’altro ad
un certo punto mi suscita un’attrattiva ed io desidero piacere, desidero essere riconosciuta e viceversa.
Il mondo che incontrano oggi è difficile e, quando noi li guardiamo solo in negativo, ci dimentichiamo che
sicuramente gli anni che hanno passato con noi, il loro guardarci, ha costruito una capacità di scelta, di
scegliere cos’è il bene. E allora iniziamo a mettere i paletti; non che non servano i paletti, ma se servono a
non fare esercitare la loro libertà, allora poi saltano e non servono a molto.
Bisogna che ci avviciniamo con più stima e fiducia ai nostri ragazzi, che sono cresciuti dentro un approccio
educativo. Se non sono cresciuti con un approccio educativo che teneva conto anche della loro libertà
allora sì ci dobbiamo preoccupare, perché a quel punto la libertà per loro sarà fare semplicemente quello
che voglio e non essere in grado di riconoscere e scegliere il bene che mi corrisponde.
L’uomo è rapporto, cresce dentro a dei rapporti che spesso sono inevitabili: non ci siamo scelti i genitori, i
fratelli, le maestre, gli incontri fatti.
Ad un certo punto però il ragazzo sceglie con chi stare e questo ha proprio a che fare con l’affettività.
L’affettività è l’animo umano provocato da qualcosa, da qualcuno al quale desidero aderire. E’ un processo
di adesione.
Tu con chi stai, con chi scegli di stare? Chi ti attrae? La natura stessa aiuta questo processo di adesione
attraverso l’attrattiva che è lo strumento per cui l’uomo tende a desiderare, a comprendere, partecipare,
essere “con e per”. Un’attrattiva molto particolare è quella dell’innamoramento, che non ha nulla a che
vedere con il “mi piace, non mi piace”, ma accade in modo improvviso e che sconvolge.
L’innamoramento è una tappa dell’esistenza umana dove l’io intuisce che forse è possibile un’unione,
intuisce che con l’altro c’è qualcosa che li può unire.
Noi però abbiamo paura dei ragazzi che si innamorano.
Uno di fronte ad un ragazzo innamorato dovrebbe dire “ma davvero? Davvero ti è capitata sta cosa? Ti
interessa? Sii leale con te stesso e con il tuo desiderio e verifica di cosa si tratta”.
Mentre noi iniziamo a dirgli “sei piccola, sei piccolo, ma cosa è sta storia…”
E’ una tappa dei nostri figli che ci fa paura.
Quando uno è innamorato si prende cura di sé, allora certi gesti, come il pettinarsi, lavarsi, mettersi in tiro...
ci sembrano delle banalità, ma sono cose che anche noi abbiamo fatto. La cosa più importante è che siano
leali con il loro desiderio che non è “mi piace, non mi piace”.
Dobbiamo starci a questa cosa, per spiegare a loro e a noi stessi cos’è il desiderio.
Perché il desiderio ci spalanca e crea uno spazio all’altro che ci mette nelle condizioni di accogliere l’altro
con i suoi limiti. All’inizio dell’altro non conosciamo nulla, ma c’è un’attrattiva che uno si porta dietro nel
tempo. Alcuni innamoramenti poi decadono, piuttosto che certe storie di amicizia iniziano e li
accompagnano per tutta l’esistenza.
Quello che oggi spaventa sono i legami, costruire un legame, che è quello che la mentalità dominate tende
a distruggere. Un legame sembra essere qualcosa di pesante.
A volte anche noi non ci fidiamo di loro e pensiamo che i nostri ragazzi non abbiamo la capacità di costruire
e di giudicare quello che accade.
Io ricevo spesso confidenze dai ragazzi, questo è legato al fatto che li prendo sul serio, ma dico quello che
penso. Questo non vuol dire che bisogna fargli fare quello che vogliono, io pongo un giudizio, poi sei tu che
scegli. Noi li vediamo e abbiamo paura, si perderanno, come se la garanzia del loro compiersi fossimo noi.
Noi li accompagniamo, in realtà la garanzia che loro si compiano è che sono creature fatte da qualcuno che
li ama più di noi. Dio non ci ha creato per trasformarci, Dio ci ha creato per amarci. E che cos’è l’amore? Lo
impariamo cammin facendo ancora oggi a 40, 50, 60 anni.
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Quello che noi desideriamo per i nostri figli, quello che desiderano anche loro, è che siano felici e la felicità
ha a che fare con l’andare nella profondità dell’esperienza. Cioè ha a che fare con la traiettoria: domanda desiderio - gaudio. E’ un’esperienza che una volta che hai fatto sai che è possibile rifare.
Questo aspetto del corpo secondo me è importantissimo, invece di dire “ho un corpo” si dovrebbe dire
“sono un corpo”, ciò che tocca il corpo tocca anche l’anima. Il corpo è il luogo della scoperta dell’io,
condizione per la relazione e la libertà ed è la strada attraverso cui l’io si educa lentamente ad essere per
l’altro.
Mi è capitato proprio oggi, con un ragazzino di 12 anni, che ha problemi con l’affettività (in affido) non
voleva fare i compiti era seduto ad un tavolo solo e arrabbiato.
Mi sono avvicinata a guardare il suo lavoro e gli ho messo una mano sulla spalla. Per noi questo gesto è
normale all’interno di un’affettività. Io ho sentito il suo corpo sussultare. Si è girato e mi ha guardato come
per dire “ma cosa è questa cosa?”. Il corpo è molto più delle parole. La mia gestualità manifestava
un’affezione che era sincera, ma non sapevo che era così potente dentro la storia dell’altro.
Finirei con questa affermazione, che è forte, ma che noi non possiamo non trasmettere ai nostri figli, cioè
che il corpo è il sacramento di tutta la persona ed è la possibilità di diventare adulti. E’ una missione ardua
essere genitori. Sicuramente in questo bisogna farsi aiutare dentro una comunità, come per esempio certe
scelte che voi avete già fatto per i vostri figli, come venire in questa scuola, dove il valore della persona e
dell’altro, l’incontro con l’altro viene ad essere giudicato.
Quello che uno “ha messo” dentro al figlio rimane anche se un bel giorno, esercitando male la sua libertà, il
figlio abbandona la nostra direzione. Quello che è stato dato rimane e poi ritorna.
Noi ci preoccupiamo, ma non conosciamo più questa questione della differenza sessuale che ha a che fare
con l’identità della persona e con il modo in cui il mio sguardo si sposta nell’altro e l’altro si sposta dentro di
me. Altro aspetto tralasciato è la differenza delle generazioni.
La differenza delle generazioni è quello che uno trasmette di generazione in generazione, quell’aspetto così
importante che ho ricevuto dai miei nonni e genitori che è quella traditio per cui vale la pena vivere e la
vita è bellissima.
Noi non osiamo più dire ai nostri figli che è bellissimo amare, avere dei figli… è come se avessimo quasi
paura della bellezza e allora ci riduciamo all’etica, al comportamento.
Noi sbagliamo, ma è attraverso la presenza del figlio che imparo ad essere genitore.
I nostri figli perdonano i nostri sbagli. E’ proprio attraverso il perdono che un uomo e una donna possono
pensare di stare insieme ed il perdono non lo abbiamo imparato attraverso un criterio etico ma ne abbiamo
fatto esperienza continuamente proprio rispetto alla nostra fragilità di fronte a Colui che più di tutti ci ama
perché ci ha fatto.
Quindi, abbiamo più stima dei nostri figli, cerchiamo di capire cosa vogliono dire con certi comportamenti,
non giudichiamoli subito. Dare stima vuol dire essere certi che il cammino che abbiamo fatto fino a qui è
per portarli dentro ad un’educazione e non solo per trasmettergli la vita. La vita non è semplicemente
procreazione, ma è contemporaneamente educazione. E questa è la trasmissione tra le generazioni e se
non c’è educazione, se non c’è trasmissione tra le generazioni, la vita non è compiuta.
Domande
Noi che lavoriamo con i ragazzi di 11, 12, 13 anni vediamo che un’esigenza fortissima è quella dell’amicizia,
che non è più solo il giocare e stare bene insieme, ma è anche confidenza, dialogo, apertura.
Mi sembra una cosa molto positiva, però vedo anche la fragilità di questa amicizia.
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Oggi siamo amici per la pelle, ma domani trovo un’altra amica e non ti guardo più.
Oppure vedo che ragazzi che vorrebbero essere amici di qualcuno, ma l’altro si nega e, quindi, questi ragazzi
si sentono un po’ esclusi dall’altro e ci soffrono.
Perché è così difficile essere amici? Perché all’amicizia si accompagna anche sofferenza a volte?
Cosa sta sotto a queste dinamiche strane?
L’amicizia parte sempre da un’attrattiva, bisogna capire la natura di questa attrattiva.
Se l’amicizia chiude e non apre è qualcosa di riduttivo, è quella condizione di possesso reciproco che non ha
niente a che vedere con l’amicizia vera. L’amicizia vera allarga.
Questo non esclude che ci possa essere un’amica o un amico del cuore, perché ci possono essere delle
sensibilità che si ritrovano, ma quando chiude è pericoloso.
Spesso diventa un ricatto. Tu devi essere come desidero io. Quindi c’è tutto un tentativo di seguire l’altro,
ma non c’è l’io di uno dei due, c’è uno che esercita un potere sull’altro.
Lo stesso vale per i gruppi di amici, che a volte sono dei gruppi chiusi. Oppure c’è il desiderio di entrare in
un gruppo, che non è l’amicizia, ma il desiderio di appartenenza al gruppo.
Io sarei molto semplice… se non ti vogliono, guarda altrove, cos’è tutta questa fatica?
Un legame continuo e sincero in cui c’è una lealtà e sincerità tra i due è qualcosa da custodire nel tempo.
La fedeltà al legame determina l’amicizia, certe amicizie vanno avanti negli anni, anche dentro a delle ferite,
ma la fedeltà ad un rapporto avuto poi ritrova invece conferma nel tempo.
Secondo me è importante l’aspetto che all’interno della famiglia il figlio non è il centro, il figlio è un ospite,
che ad un certo punto se ne va. Il centro della famiglia è il rapporto uomo - donna.
In caso contrario il figlio vive nella condizione che deve sempre piacere e non deludere mai i propri genitori,
ed è una faticaccia. Perché deve essere sempre al massimo.
C’è il figlio ideale e se al centro c’è lui e non il rapporto, spesso questi figli arrancano per piacere ai genitori,
sia dal punto di vista scolastico che delle prestazioni, c’è la performance del figlio e questo è molto pericolo.
Proprio riferendomi a quest’ultima sollecitazione, io sono separata, quindi al centro non posso mettere la
vita di coppia.
No, non è vero, al centro c’è sempre il rapporto, il dialogo dei genitori, anche se il padre o la madre non c’è.
Non è vera questa affermazione.
In che senso?
Se il figlio vede che i genitori dialogano.
Ma se questo non avviene?
E’ una ferita per il figlio, ma questo non lo schiaccerà. C’è comunque il rapporto madre - figlio o padre figlio che è per sempre, che va oltre il rapporto tra i genitori.
Anche se un figlio non ha un’esperienza di padre vicino troverà altri padri, perché l’atteggiamento materno,
paterno, non è qualcosa che ha a che fare semplicemente con la generazione, ma anche con uomini e
donne che hanno questo atteggiamento nel rapporto con gli altri.
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Spesso i ragazzi hanno il desiderio di apparire e cercano di assomigliare a qualcuno, hanno come punti di
riferimento dei modelli che sono coloro che appaiono di più, che sono più forti, più belli, più prepotenti e che
sono per loro attraenti. Come aiutarli a vivere con più decisione la propria libertà?
Prima di preoccuparmi di cosa fare mi vien da chiedermi di cosa si tratta. Perché si comporta così?
Non è una questione di moda, quando uno vuol farsi notare è come se si imponesse come presenza, anche
in modo forte. Cosa c’è dietro a questa cosa?
Penso che un comportamento ha sempre dietro un perché. Prima di preoccuparmi devo chiedermi cosa
vuol dire e posso chiederlo al ragazzo. Dentro un rapporto di stima reciproca si può osare anche
domandare.
C’è un tempo in cui si desidera essere protagonisti.
Se pensiamo a facebook, a tutte le foto che si fanno, c’è il desiderio di apparire, di esserci, di essere
protagonisti, ma nello stesso tempo loro sanno bene che i contatti non sono gli amici.
Capire cos’è questo desiderio di essere protagonisti, che potrebbe avere anche una connotazione positiva.
Farsi notare è il desiderio di esserci, bisogna capire perché è così.
L’altro è mistero ai nostri occhi che però si fa conoscere nel tempo.
Non posso guardare l’altro come un problema. I ragazzi non sono un problema, hanno una vita: vanno a
scuola, tornano a casa, hanno lavorato, tornano stanchi e arrivano e buttano la borsa per terra e noi “metti
a posto la borsa” e loro “sì dopo”.
Come possono raccontare di sé?
Se vedono che i genitori si raccontano, allora desiderano intervenire e si raccontano, ma se a tavola è
“come è andata oggi?” - bene - “non è successo niente?” - niente - uno è lì che si sta accostando al cibo e…
“la verifica? cosa hai preso? come è andata? e gli altri?”. E’ uno stress, ma voi vi immedesimate? Io mi
immedesimo…
Se invece uno chiede “cosa ti è accaduto oggi? Pensa, a me è accaduto questo… e a te, non è accaduto
niente oggi?”. Se parto a raccontare io, probabilmente il figlio racconterà qualcosa, se vedo adulti che
raccontano… ma se vedo gli adulti che mi fanno l’esame appena vengo a casa… e la verifica e la verifica…
I ragazzi non vanno controllati, dobbiamo vigilare con pazienza e attendiamo, sbagliando anche.
L’importante è che loro siano leali con il loro desiderio, con se stessi.
Se una ragazza arriva che vuole truccarsi, o mettersi le scarpe col tacco, allora io posso apprezzare il
tentativo che voglia essere una giovane donna e dirle “no, no, così non va, vieni con me...” e le faccio
vedere come ci si trucca con un gusto estetico. Non è che dobbiamo dire “no, è presto”. Il fatto che voglia
essere bella non è una brutta cosa, è il truccarsi in modo brutto che non va bene.
Dobbiamo educarli alla bellezza.
Non è che dobbiamo tarpare i tentativi di questi piccoli uomini e piccole donne.
Un ragazzo che ci dice “io esco”. Invece di dire “ma dove vai così”, dire “stai bene, sei bello, vai”.
Le figlie, i primi uomini che desiderano sono i padri, allora ogni tanto dite “come sei bella!”, onorate le
vostre figlie.
Sul fatto del trucco, la maglietta... io ho una figlia e secondo me c’è un percorso e noi genitori in alcuni casi
dobbiamo mettere dei paletti come il trucco, le compagnie. Se mia figlia arriva a casa e mi dice “da domani
mi trucco” non è che le dico “si, va bene, perché vuoi essere bella”.
Non dice “domani mi trucco”, arriva truccata, è diverso. Ad un certo punto decide che si trucca.
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Se però io a 11 anni non ritengo che mia figlia sia adatta, pronta, a truccarsi…
Glielo vieti e poi lei si trucca appena esce.
No, non lo vieto, però magari ne parliamo, ne discutiamo insieme… perché ti vuoi truccare? Vestire in un
determinato modo?
Io non sono qui a dire quello che dovete fare, dico che il bene i nostri figli se lo scelgono, poi devono
verificare se è il bene. Tu puoi correggere, che vuol dire reggere insieme, ma non è mai un’imposizione.
Quando incominciano a crescere, e la tappa del corpo è molto importante, la maturazione del corpo è
molto importante nella crescita, perché ci sono ragazzine che crescono con la maturazione del corpo a 11
anni, chi a 15, chi a 13, chi a 14, ma ci sono anche genitori che tendono a tenere i bambini piccoli, che
trattengono la crescita. Dipende, secondo me il corpo è qualcosa cosa che dentro alla sviluppo porta ad una
crescita anche di comportamenti. Poi io non discuto, i paletti possono avere un approccio educativo, però
se vengono messi per rassicurare i genitori…
Mi ricordo ancora che una volta una mia sorella, che amava il trucco, era a tavola truccata (si era
dimenticata di struccarsi). Noi eravamo 6 figli, quindi una tavola numerosa. Mio padre la vede e le dice “vai
a lavarti la faccia” e lei “no, non me la lavo” e mio padre “vai a lavarti la faccia” e lei è andata. Poi, appena
uscito mio padre, lei si è truccata di nuovo. Questo per dire che uno sceglie. Non è che si può lasciar fare,
bisogna sapere che scelgono, esercitano la loro libertà e devono imparare a scegliere, anche sbagliando.
Il paletto quindi sicuramente serve, non è che metto in discussione il paletto, ma se il paletto serve per
addomesticare il figlio, allora non va bene.
Io ho una piccola donna di quasi 10 anni ed è sempre arrabbiata, molto pessimista. Ora io mi devo
comportare come con i bambini piccoli quando fanno i capricci, che si dice “tu li devi lasciar stare, prima o
poi smettono” o devo seguirla con infinita pazienza, le devo andare dietro? E’ molto difficile, è una
situazione molto particolare per lei e quindi non so…
No, non lo so, non posso dare una risposta, non sono un’esperta, però mi vien da dire che i capricci
esistono quando si inizia a chiamarli così. La domanda è “ma cosa mi sta chiedendo?”.
Il bambino si pone e se non lo capisci si impone e noi questo lo definiamo capriccio.
A volte non si riesce a capire che cosa chiedono, ma attraverso la vicinanza è più facile che domandino. Con
la vicinanza tutto cambia.
Io le starei vicino, domandandosi che cosa sta chiedendo.
I nostri bambini alla medie non sono più bambini, stanno crescendo. L’uomo cresce e man mano che cresce
ha bisogni e desideri, hanno una vita, con tutto ciò che comporta, ma tutto è per un di più.
Anche questo momento difficile per sua figlia è per un di più, ma stiamo vigili, disposti ad accogliere tutto.
Fra gli adolescenti avvengono anche giochi di simpatie, antipatie, odi. Quali sono i meccanismi che spingono
ad avere simpatia per uno, antipatia per un altro oppure l’odio, l’amore etc etc
C’è anche questo aspetto che poi se non fosse incanalato può generare anche quei famosi conflitti veri e
propri.
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C’è quello che c’è tra gli adulti. Ci sono le stesse fragilità che troviamo nel mondo degli adulti. Non è
possibile incanalare un io, deve scoprire, essere leale nella ricerca di cos’è il suo bene. Certi atteggiamenti
feriscono l’altro e te, ma poi è possibile ricominciare quando uno dà un giudizio. Solo il perdono, la
misericordia fa ripartire, riconoscere che è un atto che non è a misura dell’altro e di te, mi dispiace, chiedo
perdono e il perdono dell’altro ti fa rimuovere.
Le simpatie, le antipatie fanno parte dell’umano.
Nel mondo degli adulti si assiste a violenze che sono veramente qualcosa di terribile. Queste nascono, hanno
un seme nell’adolescenza o no? O si generano per molti altri motivi dopo l’adolescenza?
Quando noi abbiamo un atteggiamento semplicemente legato all’istinto, a qualsiasi età, siamo violenti.
E’ un fatto di educazione, di guidare l’istinto allo scopo. Se l’istinto rimane puro istinto, allora il male c’è.
L’adulto che fa violenze inaudite ha una storia di vita senza bene ricevuto. Eppure per natura sin da piccoli,
semplicemente perché qualcuno ci veste, ci nutre, ci lava, ci tocca, riceviamo un bene, un beneficio, ma per
l’umano questo non basta. L’umano ha il desiderio dell’infinito e non può darselo da sé, quindi è sempre
dentro una ricerca, quindi ci sono delle situazioni di dolore grandissimo che possono provocare certe
violenze, oppure siamo semplicemente di fronte ad una disumanità, non c’è più l’umano.
Io vi ringrazio, perché è sempre una grande occasione. Accetto sempre queste sfide perché mi riportano
alla verità di me, continuamente e quindi vi ringrazio di questo invito.
Sbagliando si impara, l’importante è che partiamo dalla presenza e non da quello che vogliamo che loro
diventino. La felicità non gliela possiamo dare noi, ma possiamo accompagnarli alla felicità.