Intervento Mauro Sarti - Emilia
Transcript
Intervento Mauro Sarti - Emilia
L’informazione clandestina: migranti e rifugiati nei media Mauro Sarti, Università di Bologna, agenzia di stampa Redattore Sociale Buongiorno. A me spetta il compito di moderare la mattinata e, soprattutto, di introdurre i relatori. Prima mi è stato chiesto di introdurre il tema di questa giornata sui diritti e sui richiedenti asilo, trattando brevemente il tema dell’informazione e l’immigrazione sui media. Non citerò le ricerche, che sicuramente molti di voi conoscono, che ci raccontano della criminalizzazione, della eccessiva tematizzazione, di momenti di grande attenzione seguiti da momenti di completa disattenzione sul tema dell’immigrazione, della confusione dei termini ed altro (lo faremo tra poco incidentalmente). Parto invece – visto che sono stato presentato come giornalista dell’agenzia di stampa “Redattore Sociale”, oltre che docente universitario di giornalismo – dal notiziario di ieri di “Redattore Sociale”, da due notizie che ho trovato casualmente mentre preparavo gli appunti per questa mattina. Una riguarda i consumi: gli stranieri, sempre più simili agli italiani, fanno la spesa nelle catene di grande distribuzione, guardano la Tv, fanno mutui, comprano auto e così via. È una ricerca sul marketing della popolazione straniera residente in Italia (cosa comprano, le marche che preferiscono, ecc.), ovvero una notizia che riguarda la normalità. Poi, come era prevedibile, poche righe più sotto, c’erano i commenti ai due suicidi nel Cpt di Modena dell’altro giorno, di cui sicuramente sapete. Ecco, l’informazione sull’immigrazione si muove tra questi due lontani punti di riferimento Uno è lo straniero visto come consumatore. È innegabile non vedere anche alcune iniziative lodevoli, cito ad esempio l’inserto settimanale “Metropoli” di Repubblica sull’immigrazione, che però vede sicuramente negli stranieri che vivono in Italia dei consumatori, degli utilizzatori delle banche per il trasferimento di denaro all’estero (che poi sono i grandi sponsor e i grandi investitori di queste iniziative). Da un lato i consumatori dicevamo, quindi gli stranieri che si adeguano ai ritmi, ai tempi, ai costi e agli usi della nostra società e, dall’altro, i criminali, i clandestini, gli assassini, i ladri che, dunque, devono essere rinchiusi, oppure che perdono la testa e decidono di finire così la loro vita. Non è mia intenzione in questa sede buttare la croce addosso all’informazione, che pure ha tante colpe. E non solo perché sono iscritto ad un ordine professionale, ma perché penso che stiamo assistendo a fatti nuovi. Fatti nuovi che riguardano le fonti relative all’informazione sull’immigrazione, l’agenzia di stampa “Redattore Sociale” è una di queste ma ne esistono altre. Fatti nuovi che riguardano il modo di fare giornalismo, il nostro mestiere. Oggi si tende a parlare di giornalismi, al plurale. Immaginate le inchieste che vengono fatte e vendute oggi in libreria allegate a un dvd, inchieste che non vengono più pubblicate sui quotidiani, ma che utilizzano altri supporto mediatici. Pensate a “Gomorra”, il libro di Roberto Saviano, che è un romanzo e inchiesta giornalistica insieme. Pensate al libro del giornalista di Repubblica Giovanni Maria Bellu, “I fantasmi di Portopalo”: un romanzo che racconta di un fatto di cronaca il cui autore ha realizzato una difficile investigazione per andare a individuare i cadaveri del più grande naufragio di immigrati avvenuto al al largo della Sicilia in questi ultimi anni. Pensate a “Mamadou va a morire”, il libro di Gabriele Del Grande, che è qui con noi oggi, una storia raccolta nel nord Africa, storie di immigrati, delle loro famiglie, dei parenti che hanno perso i loro cari nell’attraversamento del mare. Pensate al fatto che ci sono oggi sulla piazza, da un po’ di anni ormai, tanti giornali free-press, giornali gratuiti (City, Leggo, Metro, il gruppo E-polis) – li conoscete, li prendiamo tutti nelle stazioni, in centro e in città – che sono giornali molto sfogliati e letti anche dagli stranieri che vivono nel nostro paese. Giornali che, devo dire, hanno perso una grande opportunità, cioè quella di fare un’informazione che possa essere utile anche ai cittadini stranieri che vivono in Italia e nelle nostre città. Sono giornali che vengono presi e letti soprattutto dai cosiddetti non lettori, che, sintetizzando e semplificando un po’, sono soprattutto le donne - che leggono i giornali ma non li comprano, cioè non compiono materialmente l’atto di acquisto di andare in edicola ad acquistare il quotidiano - sono i giovani che non leggono i giornali se non per alcune fasce di giornali di nicchia (i giornali sportivi, i giornali più politici (Libero piuttosto che il Manifesto). E sono gli stranieri che sui giornali italiani – devo dire bei giornali, bei quotidiani, fra i più bei giornali d’Europa – non trovano nulla che possa interessare la popolazione straniera, se non criminalizzarla. Questa esperienza di giornali free-press, che ci viene dal nord Europa, poteva essere un’opportunità per un’informazione, più attenta ai bisogno di alcune nuove fasce della popolazione. Ovviamente nei limiti dei formati e delle righe che questi giornali ci propongono; un’opportunità, al momento, ancora non sfruttata. Dicevamo: “giornalismi”. Un nuovo giornalismo di inchiesta che si sposta su altri media (i dvd, i romanzi, sul web, ovviamente, e anche un po’ sui giornali che stanno riprendendo quello che negli anni d’ora si chiamava inchiesta giornalistica). Abbiamo citato “Metropoli”, inserto sull’immigrazione di Repubblica. Ci sono altre esperienze di informazione multietnica, multiculturale, di giornalismo cosiddetto etnico, quello in lingua, che viene fatto da alcuni grandi editori italiani. “Stranieri in Italia” è il primo e sicuramente lo conoscete, dove lavorano molti colleghi giornalisti stranieri. Un’informazione che è sempre più al femminile. Questo vale per tante professioni, ovviamente, ma, secondo me è da sottolineare il fatto che - visto che si parla di criminalizzazione degli stranieri – della collocazione della cronaca che li riguarda solitamente all’interno della cronaca nera - chi racconta questo tipo di notizie sui quotidiani siano sempre più giovani colleghe che spesso si trovano a dover raccontare anche di immigrazione sui loro giornali: le notizie arrivano dalle stesse fonti che loro frequentano per altri motivi (la Questura, la Prefettura, i carabinieri, gli uffici immigrazione). Questo è un dato sul quale è opportuno riflettere. uesto porta nuove sensibilità, nuove attenzioni, tanto è vero che sui giornali cosiddetti femminili (magazine come “il Venerdì” , “Io Donna”, ma anche i mensili come Marie-Claire, Vanity Fair, a vostra scelta, anche i più glamour che potete) spesso i temi del sociale, e spesso anche quelli dell’immigrazione, sono trattati con bellissimi reportage fotografici, da firme di prestigio. In sostanza gli editori pensano – non a torto - che quel pubblico, ovviamente non è soltanto femminile ma anche molto maschile, sia più attento e abbia maggiore sensibilità per quei temi. Poi c’è un altro ambito che riguarda l’informazione cosiddetta alternativa (un po’ di anni fa si chiamava, anche in queste aule, controinformazione), quell’informazione che nasce grazie all’avvento del web, soprattutto ai costi ridotti che il web ci permette. Penso all’agenzia di stampa Misna, che forse conoscete, e che si occupa soprattutto di informazione dal sud del mondo. Anche quello è un filone che sta crescendo. La Rai ha recentemente aperto a Nairobi, dopo molti anni, un suo primo ufficio di corrispondenza. Iniziano ad affiorare nei palinsesti televisivi anche del servizio pubblico, magari a tarda ora, spazi che raccontano di questo continente di cui non si parla mai, o molto raramente. Il cammino è in salita ma ci sono cose che, come abbiamo visto, si stanno muovendo. Poi è vero, se guardiamo alle ricerche e agli studi, l’informazione italiana, per quanto riguarda l’immigrazione, non fa un buon lavoro. C’è poco approfondimento, c’è confusione di termini, non si fanno parlare gli interlocutori stranieri, si utilizzano sempre le stesse fonti, c’è pigrizia e disattenzione, superficialità. Chi si occupa di immigrazione è spesso la stessa persona che segue la cronaca nera e la cronaca giudiziaria. E questo molte frequentemente incide anche sul linguaggio utilizzato. I giornali (dico giornali perché mi viene più naturale, per la televisione il discorso è ancora molto più indietro), spendono raramente energie, risorse, giornalisti, pagine, per i temi del cosiddetto “giornalismo sociale”. Solo recentemente, e con molta prudenza, stanno facendo piccoli passi avanti. Concludo per dare la parola a chi deve veramente parlare questa mattina. Dicevo confusione di termini: noi oggi parliamo di rifugiati richiedenti asilo. È un termine che giornalisticamente non esiste. È un termine che non viene utilizzato nei quotidiani e dalla grande informazione. Avete mai visto un titolo che parla di rifugiati richiedenti asilo? No. Si parla di immigrati, stranieri, clandestini, profughi. Nulla si fa perché anche i termini che vengono utilizzati contribuiscano a creare differenza, per fare chiarezza, magari eliminari stereotipi e pregiudizi. Ci vorrà ancora un po’ di tempo, ma non sono pessimista: penso al relativamente poco tempo che è passato per togliere la parola “barboni” dai quotidiani. Siamo a Bologna e c’è un giornale che conoscete, si chiama “Piazza Grande”, che fa informazione sul disagio sociale, l’ha fatta molto in passato e la fa tuttora. Fra le tante cose buone che ha fatto, ha aiutato a trovare un linguaggio nuovo per parlare dei senza casa, degli homeless. Non è tanto, ma è un dato significativo. Certo, se devo essere sincero non mi spaventa ancora oggi leggere la parola “barboni” sul giornale però, fino a non molti anni fa, la parola “barboni” aveva esclusivamente un’accezione negativa. Oggi, se viene usata – lo fa spesso ad esempio, nella nostra città, il Resto del Carlino, meno gli altri giornali – viene fatto provocatoriamente. Ma si sa che ci sono delle alternative. Allora, se un piccolo giornale, fatto da una decina di senza casa squattrinati, è riuscito ad incidere sul linguaggio da utilizzare quando si parla di questi problemi, non solo a Bologna ma in tutta Italia, allora possiamo essere fiduciosi che anche che presto possano accadere cose nuove anche per quanto riguarda il tema dell’immigrazione. Perché, se c’è confusione di termini, e anche il linguaggio è scorretto, ovviamente non c’è informazione, mancano i dati per scrivere correttamente. E, cosa peggiore, non c’è chiarezza anche sui diritti che devono essere tutelati. Se l’informazione non è adeguata, non è approfondita, non è corretta, non è puntuale, anche i diritti che devono essere tutelati non sono puntuali, non sono corretti. Non sono conosciuti. Chiudo ricordando che l’anno prossimo, il 2008, è il sessantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo che ci ricorda, appunto, questi importanti diritti. L’art. 2, cito testualmente, dice: “Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente dichiarazione. Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza – e chiudo – : nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del paese o del territorio, sia indipendente o sottoposto ad amministrazione fiduciaria, o non autonomo, o soggetto a qualsiasi limitazione di sovranità”. Mi risulta che la Rai stia lavorando a un format sui diritti umani. Vediamo se il prossimo anno riuscirà a realizzarlo. Ora lascio la parola alla professoressa Gentili. Grazie.