Eugenio Viola, L`ossimoro di Fabio, in Paesaggi
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Eugenio Viola, L`ossimoro di Fabio, in Paesaggi
L’ossimoro Di Fabio Ogni opera d’arte è figlia del suo tempo, e spesso è madre dei nostri sentimenti. W. Kandinsky L’ossimoro (dal greco oksýmōron), è noto, «è un procedimento retorico che consiste nell’unire due parole o espressioni che sono inconciliabili nel significato in quanto indicano propriamente una antitesi o contrarietà. […] In quanto espressione dell’antitesi, l’ossimoro unisce contrapponendoli due pensieri o due significati che sono di per sé inconciliabili perché l’uno esprime il contrario dell’altro […] in modo da creare una contrapposizione che viene superata nell’accostamento».1 Un espediente letterario variamente utilizzato, dalla classicità ai nostri giorni, allo scopo di produrre un inatteso cortocircuito, una sorprendente ed inaspettata “energia di senso” in grado di colpire l’ascoltatore o il lettore oltre l’apparente conflittualità semantica . Le caratteristiche peculiari all’ossimoro hanno inoltre permesso a poeti e mistici, nel corso dei secoli, di rappresentare letterariamente l'ineffabile. Nell'impossibilità di rappresentare Dio lo si descrive asintoticamente: così gli gnostici parlavano di una luce oscura; gli alchimisti di un sole nero (Jorge Luis Borges). Un’attitudine che Umberto Eco fa risalire allo pseudo-Dionigi, definendola come l’affermazione di una «compresenza di contrari».2 Il celebre ossimoro con cui W. Kandinsky principia Lo Spirituale nell’Arte (1911), suona come una dichiarazione programmatica di intenti che definisce, puntualmente, le caratteristiche fondanti l’opera d’arte: il suo valore storico e collettivo ed il suo contraltare emotivo e personale; la sua mediazione tra istanza ideale e reale ed i riferimenti culturali entro cui contestualizzarla, analizzabili in un momento storico determinato. In realtà, Lo Spirituale nell’Arte è nel suo complesso un libro ossimorico, fondamentale eppure irrisolto, attraversato da profezie laiche imbevute di misticismo e filosofia dell’arte, meditazioni metafisiche e segreti artigianali; elementi eterogenei che si riflettono nello stile incertamente perentorio del volume. 3 Traslato dalla prassi letteraria alla speculazione estetica, l’ossimoro ben si presta ad identificare l’odierna cultura del visivo, insinuando meccanismi di lettura della realtà fondati su una percezione di immagini e fenomeni che oltrepassano i confini del “logicamente rappresentabile”. È questo il caso di Alberto Di Fabio, la cui strategia nel suo complesso, rappresenta, a mio avviso, l’espressione di un irriducibile “ossimoro visivo”, di un “mistero mimetico” generato da un’alchimia che riflette sul significato originale e originario dell’opera. L’ossimoro visivo può quindi essere elevato a chiave interpretativa privilegiata, atta ad indicare, nella poetica di Di Fabio, lo spazio illusorio per esprimere una molteplicità di punti di vista, la presenza simultanea di piani diversi di realtà che rimandano ad una cosa e al suo contrario, per riflettere dialetticamente sui concetti di contiguità e opposizione, per creare una convergenza concettuale tra contrari, una coincidentia oppositorum tra elementi diversi, posti in relazione analogica e simmetrica. L’obiettivo è indagare la funzione stessa dell’immagine, la “contingenza metafisica” della forma, risolta in una pratica “scientificamente trascendente”, frutto di uno sguardo strabico che protende un occhio al futuro strizzando l’altro al passato. Radicalizzando i termini della questione, la stessa relazione tra domini dell’arte e territori della scienza, da sempre centrale nella teoria e nella pratica di Alberto Di Fabio, è a sua volta D. Corno, Ossimoro, definizione, in “Enciclopedia dell'Italiano”, Treccani, 2011, http://www.treccani.it/enciclopedia/ossimoro_(Enciclopedia-dell'Italiano)/, (data accesso 18 giugno 2014). 2 U. Eco, Kant e l'ornitorinco, Bompiani, Milano, 1997, p. 20. 3 Cfr. W. Kandinsky, Lo Spirituale nell’Arte, ed. it. a cura di E. Pontiggia, SE Milano, 1989. 1 1 risolta in un ossimoro che attraversa la storia di un rapporto di lungo corso, almeno dalla nascita della scienza moderna. Una relazione carica di ambiguità e anomalie che trova esempi fondanti nel passato. Uno per tutti: Leonardo Da Vinci, prototipo universale dell'artista scienziato, vissuto in un’epoca in cui arte e scienza erano considerate ancora strategie conoscitive di uguale valore prima della rivoluzione galileiana e la conseguente specializzazione dei saperi. D'altronde arte e scienza sembrano discipline apparentemente inconciliabili: nell’attuale quadro epistemologico, oltre che nella percezione comune, sono collocate agli estremi opposti della visione del mondo, sia per tematiche affrontate sia per modalità progettuali adottate. La scienza è solitamente vista come il regno delle certezze “oggettive” e l’arte come il luogo della radicale singolarità soggettiva del sentire umano: la prima puntuale applicazione del metodo, la seconda creatività pura. Eppure entrambe, con i rispettivi strumenti e le relative chiavi interpretative a disposizione, tentano di dare un senso al mondo e all’uomo un posto al suo interno, assumendosi inoltre oggi il compito, gravoso, di influenzare gli orientamenti culturali e l’immaginario collettivo, avendo ereditato, loro malgrado, il ruolo primario che un tempo era assegnato ad ideologia e metafisica. Gestendo i termini di questo rapporto oltre la mera volontà oppositiva di confronto, con l’obiettivo di indagare le condizioni che lo rendono invece possibile, arte e scienza possono essere esplorate in maniera parallela, alla stregua di strumenti complementari di riappropriazione semantica del mondo. Su questa premessa metodologica necessaria si basa “l’ossimoro Di Fabio”, che assume la pittura a strumento privilegiato di esplorazione del mondo naturale, impegnandosi a restituire immagini che possano suggerire vie alternative di visione e, dunque, di comprensione. Non a caso i riferimenti teorici cui Alberto Di Fabio attinge sono quelli presocratici: Talete, Anassimandro e Anassimene, filosofi che gettano le basi del pensiero occidentale, riconducendo la totalità dei fenomeni a un unico principio (l’archè), o all’opposto il pluralismo ontologico che caratterizza la concezione atomistica democritea: due estremi assunti come presupposti concettuali atti a passare con disinvoltura e con andamento ondivago dal particulare all’universale. Quest’attitudine è rintracciabile sin dai primi lavori dell’artista dedicati alle montagne natie, all’altopiano del Velino e ai paesaggi della Marsica. Sono opere dall’aspetto minerale, memori della lezione metafisica di Carrà e Sironi, che nella poetica di Alberto Di Fabio assurgono a simboli di purezza e di elevazione spirituale, fornendo le chiavi di accesso per spostarsi progressivamente, nel corso degli anni, all’approfondimento dei meccanismi interni e dei ritmi che regolano il cosmo, e da lì, nella vertigine aperta tra macrocosmo e microcosmo, all’interesse per la genetica, il DNA ed i recettori sinaptici. Questo fil rouge sottile restituisce una mappatura complessa dei Paesaggi della Mente di Alberto Di Fabio, una serie ideale di opere lunga oltre un ventennio che titola questa mostra, coincidente con il ritorno dell’artista nella sua regione d’origine: l’Abruzzo. I Paesaggi della Mente sono opere nutrite dall’ossimoro di una pittura “realisticamente astratta”, in cui Alberto Di Fabio si cimenta con la sfida prometeica di rendere visibile l’invisibile attraverso la magia epifanica dell’arte. Il suo pennello, vero “microscopio telescopico” della mente, svela quanto è normalmente occultato all’occhio umano: gli elementi subatomici, il mondo dei microrganismi, l’elettromagnetismo dei neuroni, le mappature cosmiche. In occasione di una mia recente visita al suo studio, propedeutica alla preparazione di questa mostra nonché “causa” di questo mio scritto, Alberto Di Fabio mi mostra alcuni interventi che ha realizzato su alcune fotografie di galassie, un’intromissione pittorica che ne accentua l’aspetto straniante. Incuriosito inizio ad osservarle con attenzione, chiedo ulteriori 2 informazioni: «mi collego spesso ai siti della NASA. Da anni studio le fotografie delle galassie – mi rivela Di Fabio - sono interessato a fenomeni come le tempeste solari, le radiazioni, le pressioni magnetiche. Ogni mio lavoro è in stretta relazione con le teorie scientifiche, ad esempio quella degli spazi curvi e convessi e del Big Bang. Queste teorie rappresentano la preparazione delle mie tele, attraverso cui mi addentro nei vari livelli di teorie e filosofie che provo a descrivere».4 Le parole dell’artista mi confermano il suo legame di lungo corso con l’universo della ricerca, nel cui contesto si inseriscono il premio speciale istituito dall’astrofisico Remo Ruffini all’interno del premio Fondazione Michetti, conferitogli nel 2010, ed il dialogo col progetto ATLAS del CERN, l’Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare, culminato in una conferenza ospitata dall’istituto ginevrino, il cui titolo, non a caso, recitava: Art meets science in the work of Alberto di Fabio.5 Riconoscimenti prestigiosi che “certificano” l’interesse dell’artista, la sua indagine liminale animata da contaminazioni e visioni, ibridazioni e sconfinamenti tra due mondi apparentemente inconciliabili e distanti. Aggirandomi nel suo studio, mi ritrovo circondato da atomi, cellule e neuroni che dalle tele esposte danno vita a visioni e danze cosmiche protese alla costante ricerca di un’armonia mai raggiunta tra materia e spirito, conoscibile e inconoscibile. Un dialogo serrato tra arte e scienza fortemente evocativo, che mi riporta ancora a Lo spirituale nell’arte, in cui il nume tutelare dell’astrattismo consegna ai posteri la propria Weltanschauung: oltre le caratteristiche relative lo “specifico” pittorico, il rapporto centrale con la musica di Schönberg e Skrjabin ed una serie di risonanze teosofiche a noi ormai lontane, questo libro prende atto della “dissoluzione del soggetto”, enfatizzando quello che oggi si chiamerebbe piuttosto l’importanza del ruolo dell’osservatore e del suo “punto di vista”; pone l’occhio della mente al centro del rapporto tra l’osservatore e il mondo, proprio come gli antichi maestri della prospettiva avevano fornito un modello matematico della visione “fisiologica”. In sintesi, propone una visione smaterializzata dell’Essere che parte dall’occhio per giungere allo spirito e pervenire all’astrazione.6 Più tardi, in Sguardo al passato, Kandinsky giunge ad identificare il manifestarsi dell’esperienza artistica stessa con la «creazione del mondo»: «il dipingere è uno scontro tempestoso di mondi diversi, che in questa battaglia si definiscono reciprocamente per creare un mondo nuovo, che è l’opera. Ogni opera nasce così, come nasce il Cosmo, attraverso le catastrofi che dal caotico frastuono degli strumenti vanno a formare una Sinfonia, la Musica delle sfere. La creazione di un’opera è la creazione del mondo».7 È interessante notare, ai fini del mio discorso, come questo pensiero si sviluppi negli stessi anni in cui la relatività e la fisica quantistica cominciano a porre, in termini scientifici, la questione metodologica del ruolo dell’osservatore. Un secolo dopo, questa concezione del mondo basata su vibrazione e movimento generati da un insieme di campi di forze, come disegno o “danza cosmica”, è la visione ormai assunta dalla fisica quantistica che ha definitivamente soppiantato la fisica newtoniana. A poco più di un secolo dalla “scoperta” dell’astrattismo (Primo acquarello astratto di Kandinsky risale al 1910), un’altra scoperta, avvenuta nel 2012 proprio all’interno di ATLAS, ha portato all’identificazione del bosone di Higgs, la cosiddetta “particella di Dio” che conferisce massa alle particelle elementari, divenendo contestualmente una delle principali fonti d’ispirazione per i lavori più recenti di Alberto Di Fabio e oggetto di analisi approfondita nell’ambito della sua stessa presentazione al CERN. Il bosone di Higgs è uno dei primi elementi conosciuti nell’Universo, risalente ad una fase in cui lo spazio-tempo era interamente occupato da Dichiarazione dell’artista raccolta dallo scrivente nel suo studio romano, Roma 31 maggio 2014. Cfr. http://home.web.cern.ch/cern-people/updates/2014/04/art-meets-science-work-alberto-difabio (ultimo accesso: 18 giugno 2014). 6 Cfr. W. Kandinsky, Lo Spirituale nell’Arte, cit. 7 W. Kandinsky, ed. it. Testo d’autore e altri scritti russi. 1902-1922, a cura di G. De Michelis, Bari 1975, p.129. 4 5 3 particelle energetiche, prive della massa che non esisteva ancora. Ricollegando le scoperte della fisica quantistica alle intuizioni della filosofia naturalistica presocratica, l’ultima produzione di Alberto Di Fabio è direttamente influenzata da questa teoria, sotto l’aspetto scientifico ma soprattutto emozionale: «La tematica della scienza e di tutti gli elementi che compongono il mondo della fisica si manifesta nei miei lavori grazie a una certa sensibilità che mi fa percepire il battito del cuore del nostro Pianeta, il movimento della danza cosmica. In India la chiamano Shiva, in Occidente fisica quantistica. Noi artisti l’avvertiamo in maniera più forte, abbiamo delle antenne che ci consentono di sentire il soffio del vento divino. Esiste un senso di spiritualità universale che è dentro l’uomo, in ogni componente della natura e della fisica. Nei dipinti cerco di racchiudere un tutto quantico. Mi appassiona la ricerca e tento di decifrare la vibrazione delle note che compongono il Cosmo. La pittura, per me, è il solo mezzo per farlo».8 Questa considerazione di Alberto Di Fabio porta a spostare i termini del rapporto tra arte e scienza su un piano conoscitivo, a porre in luce come nella prima esista una dimensione epistemologica che ha forti risonanze nella seconda. «Annunciare il mondo e riproporre continuamente il suo mistero attraverso la costruzione di strumenti di rappresentazione che tentano di doppiare il capo pericoloso della metafisica nascosta e stratificata del linguaggio comune, rileva puntualmente Ignazio Licata, è ciò che fa di scienza ed arte una “coppia semantica” le cui affinità non vanno ricercate a valle, nell'esito, ma a monte, nell'intento cognitivo del gioco della mente davanti al problema della descrizione del mondo».9 È con questa attitudine che Alberto Di Fabio, da oltre vent’anni, indaga l’immaginario della scienza attraverso la pittura. L’enigma della pittura nel suo lavoro sfida quello della scienza, offrendosi come caleidoscopica lente di ingrandimento che permette un percorso affascinante tra “macro” e “micro”, in un gioco compiaciuto e simbiotico di forme e colori che mira a destabilizzare le coordinate della visione, suggerendo livelli di significato ulteriori, oltre le apparenze fenomenologiche del reale. D'altronde, al cospetto della pittura sinaptica di Alberto Di Fabio, si è immediatamente catafratti nei meandri della materia pittorica, sospinti in un viaggio astrale a cavallo di galassie di pigmenti e costellazioni di colori. L’artista rimanda nei suoi lavori dai titoli evocativi, memori delle sue ricerche e dei suoi interessi (Elevazione e Permutazione, Energie, Cosmogonia arancione, sono alcuni dei titoli delle opere inserite in questa nostra mostra), la trasposizione pittorica – o meglio, pittoricistica – di apparati molecolari sconosciuti che diventano immediatamente familiari, accattivanti nel loro manifestare la malcelata maestria dell’artista, sospesa tra passato e futuro e coltivata nel limbo del suo studio, dove si dedica quotidianamente, per molte ore, all’“esercizio” della pittura, in un corpo a corpo con la tela, finalmente liberatasi dai vincoli del cavalletto, che si offre prona, in attesa di essere ghermita da pennellate, sgocciolamenti e sapienti velature di colore. Mi spiega a tal proposito Di Fabio: «dipingo sempre le tele stese. Per me è come recitare un mantra, i lavori diventano preghiere, formule scientifiche. Raggiungo uno stato di vera e propria meditazione», 10 restituito dall’artista sotto forma di strutture inusitate, di concatenazioni organiche e molecolari che richiamano, per dissonanza, la versione romantica delle scaturigini care alla vertigine dell’Art Biotech. «Il mio obiettivo è produrre con la pittura bidimensionale una sorta di elettromagnetismo, delle onde, come può fare un quadro optical o un’installazione sonora per suscitare nell’osservatore delle emozioni. È una pittura astratta, sono formule matematiche che provengono dal reale; l’astratto organico che vive in ognuno di noi. In alcuni dei miei quadri ci sono delle componenti molto vicine alle teorie della fisica o dell’astrofisica. Questo G. Bria, Ad occhio nudo. Intervista ad Alberto di Fabio, http://www.espoarte.net/arte/alberto-difabio-ad-occhio-nudo/#.U6GusZTV_7U (data accesso: 18 giugno 2014) 9 I. Licata, Osservando la resistenza del mondo, in “Sci Art”, Mat Edizioni, Milano, 2009, p.38. 10 Dichiarazione dell’artista raccolta dallo scrivente nel suo studio romano, Roma 31 maggio 2014. 8 4 non si spiega solo perché ho letto dei libri scientifici, ma è dettato dalla percezione. Ripeto sono formule fisiche provenienti dall’universo per illuminare la strada verso un benessere totale fatto di luce».11 E non è una questione meramente formale ma di appercezione, tramite cui l’artista, quasi sorprendentemente, si avvicina alle teorie della scienza molecolare con le sue visioni ultramondane. Dalla prospettiva della storia dell’arte invece, l’ossimorica “metafisica molecolare” di Alberto Di Fabio, disvelata attraverso il mistero della pittura, sussume la grande tradizione delle avanguardie, di cui l’artista ne riprende le ricerche sulla luce e il movimento, indagate dai futuristi e in particolare da Umberto Boccioni e Giacomo Balla (emblematica in questo senso la serie delle Compenetrazioni Iridescenti, 1912) e poi proseguite dall’espressionismo astratto, dallo spazialismo e dalle sperimentazioni cinetiche degli anni sessanta e settanta. Riguardo a queste ultime, non è estranea l’influenza del padre artista, Pasquale Di Fabio, il cui lavoro ho scoperto, per la prima volta, nello studio di Alberto, e penso in particolare ad alcune opere in cui il raffronto tra i due artisti è più stringente, come nella serie delle Realtà parallele (2010-11). Suggestioni diverse, attinte da entrambe le “prospettive”, artistica e scientifica, collidono in opere non più fondate su un'opposizione tra realtà e finzione ma piuttosto su una confusione crescente tra realtà e immagine. Opere che restituiscono una situazione di “immersione”, più simile, e in questo ha ragione Régis Débray, all'ascolto che alla contemplazione, espressione di un fenomeno celebrante il passaggio dall'epoca dell'immagine come rappresentazione al proliferare indeterminato del visivo, modificando a tal punto la grammatica e la pragmatica della visione da trasformare lo sguardo in una modalità dell'ascolto.12 Di Fabio restituisce in sostanza sistemi di rappresentazione complessi che mostrano aspetti diversi e sfaccettature molteplici, interpretabili in base alla “prospettiva” con cui sono osservati e percepiti. Visioni “tecnologicamente ancestrali”, illuminate da tinte accese in cui l’arancio, il blu, il viola, il fucsia, l’argento, agiscono come forze contrastanti, masse potenti che nel loro andamento propagatorio mettono in moto l’intera composizione, contribuiscono a creare l’ossimoro di un’ “arte scientifica” in cui l’opera, al pari di una teoria, diviene una scelta “prospettica” sul mondo, ovvero una strategia cognitiva ed estetica atta a restituire un modello complementare di rappresentazione schiuso su quello che con Ananda Kentish Coomaraswamy mi piace chiamare la trasfigurazione della natura dell’arte.13 Un “evento” che pur partendo da presupposti e codici espressivi diversi, è in grado di cogliere aspetti ulteriori dei fenomeni presi in esame dalla scienza contribuendo, dalla sua “prospettiva”, complementare e non necessariamente antitetica, alla sua comprensione e decodificazione. In questo, credo, risieda, in ultima analisi, il Wesen dell’ossimoro Di Fabio. Eugenio Viola G. Bria, Ad occhio nudo, cit. R. Debray, Vita e morte dell'immagine. Una storia dello sguardo in Occidente, Il Castoro, Milano, 1999, p. 228 e segg. 13 Cfr. A. K. Coomaraswamy, La trasfigurazione della natura dell’arte, a cura di G. Marchianò, Abscondita, 11 12 5