Panorama Travel - Teatro del Sale

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Panorama Travel - Teatro del Sale
Protagonisti in Cucina: L'Alchimista
Le carni «povere» nei suoi tegami diventano piatti sublimi: collo di pollo ripieno, fegato lardellato, zampa alla
parmigiana. Perché Fabio Picchi, un ex ragazzo del '77, ha conservato lo spirito provocatorio della sua giovinezza, anche
ai fornelli. E, insensibile al fascino dell'esotico, lo chef toscano predilige materie prime tradizionali. Che prova e riprova,
fino a raggiungere la perfezione.
Sembra una storia americana. Di quelle dove il protagonista, una volta raggiunto il successo, guarda il suo impero
economico e, una mano sulla spalla del figlio, pronuncia l'immancabile battuta: «Questa è l'America, ragazzo».
L'irresistibile ascesa del nostro, che lo ha portato a godere di fama mondiale, suggerisce questa immagine. Ma non siamo
negli Stati Uniti e, come vedremo, il personaggio non assomiglia minimamente a quello stereotipo. Il nostro protagonista
si chiama Fabio Picchi, fiorentino con sangue livornese nelle vene, carattere aperto e tracotante simpatia. Lo scenario,
invece, è il quartiere di Santa Croce,a Firenze, accanto al mercato di Sant'Ambrogio.
Qui 19 anni or sono Fabio e la moglie Benedetta dettero vita al Cibrèo, l'impresa gastronomica destinata a divenire un
punto di riferimento obbligato della ristorazione fiorentina e non solo. Erano gli anni del riflusso, succeduti ai fermenti del
'77, quando molti giovani cercavano di riversare in attività artigianali le idee, i sogni e le passioni che non avevano
trovato accoglimento nella società politica. Fabio scelse il mestiere di ristoratore. Suoi riferimenti culturali erano la cucina
della mamma e i raid gastronomici compiuti con il padre in giro per l'Italia. Così la cucina del Cibrèo è stata, fin
dall'inizio, una sintesi fra la certezza, consolatoria e rassicurante, dei sapori di casa, e l'apertura al confronto con le
tradizioni «altre», osservate con rispetto e umiltà e assimilate, prima che imitate. Una cucina di due metri per tre e
un'arcaica stufa a legna costituivano il laboratorio per la messa a punto di quelle semplici ma precise alchimie che,
partendo dagli ingredienti acquistati ogni mattina sui banchi del vicino mercato, dovevano produrre piatti di grande
impatto sensoriale.
Nacquero così le numerose zuppe, di pane, di cavolo e lampredotto (lo stomaco del bovino, che a Firenze viene anche
venduto dagli ambulanti come farcitura dei panini), il passato di peperoni gialli e quello di carciofi, che hanno affascinato
la prima clientela del Cibrèo e ancor oggi ne costituiscono uno dei caratteri distintivi. Piatti ispirati direttamente alla
cucina familiare e quotidiana, come molte delle pietanze, tese a valorizzare carni «povere», come il collo di pollo ripieno,
il fegato lardellato e la zampa alla parmigiana. Tutto ciò mentre il grosso della ristorazione infarciva i propri menu di
astici, di petti d'oca e di tartufi oppure si sbizzarriva in improbabili esercizi di creatività e in cromatismi da nouvelle
cuisine.
Se l'imperativo dell'epoca era stupire il cliente, Fabio mirava a suscitare emozioni gustative, convinto che la sua missione
fosse quella di far godere chi va al ristorante per mangiare, e non già chi vi cerca spettacolo. Filosofia che è rimasta
sempre la stessa, anche se oggi il Cibrèo è un locale più di tono, con una cucina un po' più grande e meglio attrezzata,
ed è frequentato da regnanti e capi di Stato. Anche i piatti restano sostanzialmente gli stessi perché «non si può
migliorare ciò che è, di per sé, perfetto», dichiara Fabio riferendosi ai suoi calamari in zimino. Ma ogni tanto, confessa, gli
viene voglia di «rompere il giocattolo», e allora, smonta e rimonta, prova e riprova, alla fine dà forma a un nuovo piatto
che propone con l'emozione di un fanciullo agli amici scrutandone le reazioni, non soddisfatto fin quando non ne riesce a
cogliere sicuri segni di godimento. E accaduto così con l'aspic di pomodoro, con il passato nero di seppie, con il baccalà
mantecato e con la «riscoperta» dello stoccafisso.
A suo dire, la vera difficoltà del mestiere di cuoco sta oggi nell'approvvigionarsi delle materie prime giuste fra quelle,
apparentemente, di facile reperimento: dal parmigiano, al prosciutto cotto, ai pomodori pelati, alle carni locali; e
considera una facile scorciatoia lavorare ingredienti esotici «banalizzati e sopravvalutati», quali il petto d'oca e l'agnello
pre salé. Fabio ha spesso calcato la mano su questo andar contro corrente, con intimo divertimento del proprio spirito
polemico, fino all'aperta provocazione nei confronti dei critici gastronomici. Forse per questo la valutazione del Cibrèo
sulle principali guide di settore è al di sotto dei suoi meriti. Ma i critici stranieri, forse meno provinciali dei nostri, e più
attenti alla sostanza di ciò che mettono in bocca che alla forma con cui viene loro presentata, continuano a considerare il
Picchi il miglior cuoco di Firenze. Più volte premiato e coccolato all'estero, si rincresce di non godere di eguale
considerazione anche nella sua città. Sarà per questo che si è di nuovo impegnato in politica alla testa di artigiani e
commercianti desiderosi di riqualificare il proprio ruolo e, con esso, l'immagine della propria città.
febbraio 1999 · Nanni Ricci · Panorama Travel
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