FAMIGLIA SPERANZA E FUTURO In Africa la vera ricchezza della

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FAMIGLIA SPERANZA E FUTURO In Africa la vera ricchezza della
FAMIGLIA SPERANZA E FUTURO
In Africa la vera ricchezza della gente sono i figli. Le famiglie in paesi come il Burundi hanno mediamente
6-7-8 figli. Sono l’unica ricchezza godibile e raggiungibile. I figli riempiono la casa, aiutano a coltivare,
raccolgono la legna per cucinare, scendono alla sorgente a prender l’acqua. I più grandi curano i più piccoli
mentre i genitori sono al campo a coltivare.
La vera sorpresa è tornare in Burundi dopo tanti anni e vedere nel volto della gente lo stupore di scoprire che
ho 5 figli. Io Muzungu (bianco) ho 5 figli. Ridono contenti, anch’io ho cercato la ricchezza dei figli. Perché
io e Roberta abbiamo 5 figli non lo so neanch’io. Nel 1992 eravamo con la nostra piccola Elisa, nata in
Burundi, a Kininya, nel nord del paese, a portare delle verdure e uova ad un orfanotrofio delle Suore di
Madre Teresa. La Madre superiora nel ringraziarci e salutarci ci ferma prima di salire sulla Land e ci
chiede: - Ma perché non adottate un piccolo dell’orfanotrofio?
Questa domanda, lo scopriamo ancora oggi, ci cambia la vita. Perché, noi famiglia con un figlio naturale,
dobbiamo adottare un altro bimbo? Ma perché no? Il viaggio di ritorno alla missione è un susseguirsi di
domande tra noi due, di riflessione e di discussione. Il giorno dopo partono una serie di telefonate
all’Ambasciata Italiana, al Tribunale dei Minori di Milano, ai nostri genitori. E’ il caos. Il tribunale di
Milano ci chiede una relazione psico-attitudinale da uno psicologo riconosciuto dal governo. Ne troviamo
uno Belga, parla francese e basta (bonta sua – è la sua lingua). Facciamo due incontri. E’ una tragedia,
finchè si tratta di parlare in francese di vaccinazioni e punture o di tubazioni dell’acqua e cemento va bene,
ma parlare di sentimenti e intenzioni non ce la facciamo. Abbandoniamo l’idea (per il momento), torneremo
in Italia da li a 5 mesi e faremo tutto da Milano. Nel frattempo siamo in attesa di Francesca. Rientriamo in
Italia.
Troviamo una casa al settimo piano di un condominio, scala A, interno 25, porta blindata! Gulp. Dove sono
le famiglie del Burundi che alle sei del mattino venivano a trovarci, dove sono i bimbi chiassosi che
venivano a portarci i primi fiori della stagione delle piogge? Stiamo cambiando vita. Non ce la facciamo
però a starci dentro. Dov’è la comunità delle famiglie, dov’è l’incontro, il confronto, la condivisione?
Non è bene che l’uomo sia solo (Gn 2,18), e non è bene che la famiglia sia sola. La famiglia è l’unica
soluzione culturale e sociale che tutte le società organizzate hanno trovato. La formula del villaggio africano
o delle vecchie cascine lombarde di una volta, forse esprimono al meglio la migliore soluzione possibile
dello stare insieme. Ci si educa vivendo insieme, si cresce insieme quando si ha bisogno dell’altro. Al
ritorno in Italia è stato spontaneo per noi cercare con forza e determinazione una comunità familiare, dove
rivivere e condividere la voglia di stare insieme. Ci abbiamo messo tre anni, ma ce l’abbiamo fatta, siamo
entrati in comunità con Anita appena arrivata dal Burundi, adottata dopo la brutta guerra che ha sconvolto il
paese. In Comunità ogni famiglia è sovrana ma è in continua relazione. Non sapremo vivere da soli, non ci è
possibile farlo. Il nostro appartamentino in scala A ci stava troppo stretto. I nostri urbanisti e architetti
secondo me dovrebbero rivedere alcuni concetti nel costruire le case. La costruzione di continui divisori e
pareti dove ci porta? Spazi sempre più piccoli, ma dove li mettiamo 5 figli? La condivisione apre il cuore,
non sono sempre rose e fiori, non si può certo pretendere di avere sempre ragione, ma io mi confronto ogni
giorno con mia moglie e con il mio vicino. Ti accetto così come sei, come Dio ti ha messo a fianco a me. La
relazione mi fa crescere, mi guida, mi stimola e soprattutto la condivisione apre la porta di casa. Dopo Anita
è arrivato un secondo figlio adottato, Cristian, italiano. E’ arrivato con una emergenza per sole due
settimane, è rimasto 14 anni, che fatica però. C’è anche un’altra figlia, Lucia di 12 anni. Da un anno e mezzo
vive con noi un piccolo Ivoriano, Pierre, con un affido a termine. Lui è il 27° ospite che passa da casa nostra.
Grazie Madre Superiora di Kininya.
Quante volte ho visto i bambini del Burundi fare i monelli ed essere sgridati da degli adulti qualsiasi. Loro
non lo sanno ma questa si chiama Alleanza educativa. Per ogni bambino qualsiasi adulto è l’adulto, non
importa che sia tuo genitore o meno, è da rispettare e ascoltare. Qui in Italia questo valore lo stiamo
perdendo, provate a sgridare un ragazzo che butta una carta per terra in giro per Milano… è rischioso! Ma
anche all’oratorio si può correre lo stesso rischio. I nostri figli godono della nostra scelta di vita comunitaria,
il continuo via vai di persone, di ragazzi svantaggiati che si fermano in famiglia per qualche mese, educano
all’accoglienza, al dono del proprio tempo per stare con chi ha più bisogno, il diverso non fa più paura, non
è più diverso.
Francesca a novembre è partita per il Burundi, l’aveva detto all’età di 12 anni – io da grande andrò in
Burundi a fare la volontaria……. Caparbia e cocciuta mia figlia starà via un anno, con il progetto di fare
animazione tra i giovani e portare l’esperienza degli scout e del Grest a Bugenyuzi. Che gioia per due
genitori! Ma la lontananza si sente, lei ha 19 anni, ma chi poteva fermarla?
La famiglia oggi pretende di farcela da sola, non vuole interferenze di altri. La scuola, la società di calcio, il
doposcuola, sono parcheggi temporanei, non devono fare molto, devono solo badare ai figli. Educare no
grazie, ci penso io.
Concediamo troppo ai figli, c’è tutto ed hanno tutto. Esce un film a Los Angeles? La stessa notte è già
scaricato sul PC a Milano, con il computer comprato da me papà, con la connessione pagata da me papà,
ricopiato sul Cd, comprato da me papà. Però l’ha scaricato lui, lo fanno tutti, che figlio corsaro!
Vi ricordate quando si aspettava Natale per vedere il film di Walt Disney al cinema? Non c’è più l’attesa, il
senso dell’attesa. L’attesa del bimbo che nasce per fortuna c’è ancora, anche se i supermercati ci portano a
Natale già agli inizi di novembre con mille luci e improponibili alberi di natale.
Ho l’impressione che noi famiglie ci siamo un po’ sedute, ci siamo adagiate sulle nostre risorse pensando di
essere forti e indistruttibili. La fede ci ha salvato tante volte, ma abbiamo sempre meno voce in capitolo
all’interno del contesto educativo sociale. Il futuro è difficile, credo che lo pensasse anche mio padre, è
facile per noi adulti ricordare i bei tempi, lo facevano anche i nostri genitori. La frase: - si stava meglio
quando si stava peggio - risuonava molte volte a casa mia, ricordando il periodo della guerra. Ma oggi cosa
possiamo dire? Permettiamo tutto, ma solo perché è il costume, perché si usa così. Una volta ero all’una e
mezza di notte ad aspettare mia figlia che usciva dalla discoteca, c’era un altro genitore che non conoscevo,
ci guardavamo con vergogna e rassegnazione, ma perché all’una di notte non posso essere nel mio letto?
Abbiamo avuto il coraggio di farci avanti e di raccontarci quanto eravamo stupidi ad aspettare due sedicenni
intortate dalla musica a tutto volume. Plagiati dai figli e dai tempi. Non è più successo. Sono convinto che
dobbiamo partire dalle piccole cose, le semplici parole di casa, una preghiera prima del pasto, un confronto
su quello che succede nel mondo, una riflessione, l’educazione ambientale in casa partendo dai rubinetti
dell’acqua mai sempre aperti totalmente, la raccolta differenziata fatta con passione e attenzione.
Per amor di Sion non tacerò (Is, 62-1), questa frase del salmo mi guida da qualche anno. Non è facile
parlare, soprattutto non è facile parlare al momento giusto e con le parole giuste. Credo che il futuro della
famiglia dipenda molto da questo versetto. Il futuro della mia famiglia è qui, ovvero dal coraggio che
avremo come genitori di raccontare che i miei figli sono la mia ricchezza, a dimostragli che io e Roberta ci
amiamo come dall’inizio, a capire che l’attesa è un valore immenso, che mi fa pensare, ragionare e crescere.
C’è un tempo per giocare e un tempo per pregare, un tempo per ballare e un tempo per studiare. Non c’è il
tempo “subitotuttoadesso”. Il valore delle piccole cose, del conoscere piano piano, del dare spazio a capire, a
comprendere. Non posso permettere che la tv, internet, un cartellone pubblicitario, mi stravolgano una
identità, una personalità, una armonia di crescita in un momento. Parlerò già da domani, non voglio tacere.
Voglio esserci in questo mondo come famiglia, non ho paura. E’ possibile riportare in primo piano i valori
autentici della nostra vita, dello stare insieme, di gioire con un sorriso ricevuto sul metrò. Nelle nostre città
si può tessere dei piccoli villaggi africani, delle piccole comunità alleate, forti e coraggiose. Genitori che
sappiano dire no e dire anche si, sempre grati dei doni ricevuti. Proprio oggi, ho incontrato Barbara, amica
con due figli di 9 e 6 anni, le chiedo come va e mi risponde molto semplicemente che si è separata da tre
mesi, cosa vuoi, dice lei, oggi succede. Sono allibito, cosa succede oggi? Cosa succede oggi? Me lo ripeto
ancora adesso. Siamo deficienti, ci stiamo omologando a quello che succede. Aborro questo pensiero, la
moda tutta uguale, mille adolescenti che vanno alle stesse superiori tutti vestiti uguali, tutti con lo stesso
zaino, lo stesso giubbotto “trendy”. Ma io sono io, il Buon Dio mi ha fatto così. Ho una voglia matta di
trasmetterlo ai miei figli, di tirare fuori il meglio di loro stessi, il bello che c’è dentro, i loro desideri, le loro
speranze. Ma tutto ciò è possibile se i figli crescono in una società dove i valori della famiglia, sono al primo
posto. Dove una Alleanza educativa sia vera, autentica tra tutti. Io credo che sia possibile. L’educazione alla
responsabilità è primaria e doverosa, più sapremo essere cercatori di santità e più i doni del Buon Dio ci
saranno dati, a noi e ai nostri figli e alle famiglie in difficoltà.
Carlo Leoni, maggio 2013