nota alla sentenza della corte costituzionale 30

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nota alla sentenza della corte costituzionale 30
NOTA ALLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE 30 APRILE
2015, N. 70, CHE HA DICHIARATO INCOSTITUZIONALE L‟AZZERAMENTO
DEL MECCANISMO PEREQUATIVO DELLE PENSIONI. PROPORZIONALITA
DEL GIUDICE, PENSIONI, DIRITTI DELLE NUOVE GENERAZIONI
1) Note introduttive. - 2) I contenuti della sentenza. – 3) Qualche considerazione.
1) Anche grazie alla stampa quotidiana e alle trasmissioni di intrattenimento televisivo si è
realizzata una diffusa informazione sui contenuti della sentenza della Corte costituzionale n. 70 del
2015 che, con ogni conseguenza legale, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell‟intero
comma 25 dell‟art. 24 del d. l. n. 201 del 2011 (conv. in l. n. 214 del 2011) che aveva escluso le
pensioni di importo lordo superiore a tre volte quello del trattamento minimo dal meccanismo di
rivalutazione annuale di cui all‟art. 34 della l. n. 448 del 1998.
Pure noto è che il Governo ha appena assunto scelte politiche di rilievo per fronteggiare le
conseguenze della sentenza, o, meglio, per conciliare quelle che secondo l‟ordinamento sarebbero le
conseguenze della sentenza (la operatività retroattiva del meccanismo di rivalutazione) con le
necessità, o esigenze, del presente. I giudizi su di esse possono variare, ma la celerità della risposta
e, quindi, l‟immediato adito concesso ad una eventuale reazione da parte degli interessati esprimono
un atteggiamento leale.
Si considera, però, utile evidenziare qualche passaggio della sentenza che merita attenzione.
Allo stesso modo si esprimeranno alcune considerazioni, che sembrano di fondo, sui
condizionamenti di diritto e di fatto che possono pesare sulla determinazione dei seguiti complessivi
della sentenza, il che appare di particolare interesse nel momento in cui si considera che essa è
destinata, non a restare isolata, ma ad essere seguita da altre pronunce della Corte costituzionale in
materia di pensioni e, più in generale, di redditi fissi erogati dall‟apparato pubblico ai cittadini (v.
articolo di G. TROVATI, su Il sole 24 ore, del 9 maggio 2015, nel quale si sono evidenziate le
questioni di costituzionalità proposte in tema di decurtazioni delle pensioni e di blocco degli
stipendi pubblici, destinate con buona probabilità ad essere accresciute da quelle riguardanti la
successiva sospensione degli assegni vitalizi ai parlamentari condannati, considerato il contenuto
della precedente sentenza della Corte costituzionale n. 3 del 1966).
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2) Nella sentenza sei elementi appaiono significativi.
Il primo, evidente, sta nel dispositivo. Questo dichiara la incostituzionalità, non di
significati o di insiemi di parole, ma di un intero comma di una legge. Non recando alcun limite o
condizione a tale dichiarazione lascia collegare a questo tutte le conseguenze che l‟ordinamento
stabilisce nei confronti di una norma dichiarata incostituzionale e, cioè, la cessazione di efficacia (v.
art. 136 Cost.) e la cessazione di applicazione (v. art. 30 l. n. 87 del 1953), il che è la impossibilità
di far valere in giudizio la norma stessa, insieme al disconoscimento ad essa di ogni attitudine a
qualificare fattispecie ed è equivalente ad una ordinaria statuizione di annullamemento del Giudice
amministrativo su un atto amministrativo.
Il secondo, altrettanto evidente, sta nei punti 5, 6, 7 8 e 9 della motivazione. E‟ costituito
dalla minuziosità con cui sono presentate le diverse disposizioni succedutesi nel tempo per limitare
la rivalutazione delle pensioni e le diverse statuizioni della Corte e in questo contesto, della ripresa
del passaggio di una precedente sentenza (la n. 316 del 2010), nel quale, da un lato, si finiva per
ammettere la tollerabilità di un azzeramento della rivalutazione per le pensioni qualificate elevate
perché di importo superiore ad 8 volte l‟importo di trattamento minimo, dall‟altro si rivolgeva un
monito al legislatore sulla incostituzionalità di un prolungamento nel tempo di tale azzeramento (ciò
a prescindere dalla pensione). Con questo la Corte è sembrata indicare una soglia di tollerabilità del
sacrificio del trattamento pensionistico, e, cioè, la rivalutazione delle pensioni di importo più
elevato, per un periodo di tempo circoscritto e, insieme, nel ricordare il precedente “monito”, è
sembrata dare una spiegazione del proprio ricorso ad un annullamento radicale della disciplina
sottoposta al suo giudizio (reiterante una lunga sequenza di altre dello stesso segno).
Il terzo sta nel punto 3 ed è la dichiarazione di inammissibilità di una questione di
legittimità costituzionale costruita sulla violazione del principio della certezza del diritto. Al
riguardo si sottolinea che la Corte non ha escluso in termini generali che una compressione dei
trattamenti pensionistici leda la certezza del diritto e che quest‟ultima sia un bene giuridico
garantito dalla CEDU; questa conclusione non poteva esserci perché nella CEDU con insistenza la
certezza del diritto è proposta come un principio, se non un bene tutelato, e alla stregua di essa una
compressione delle aspettative pensionistiche costituisce una divergenza non recuperabile rispetto
alle previsioni che ognuno può fare in ordine al proprio reddito. Semplicemente, la Corte ha preso
atto che la ordinanza di rimessione aveva lamentato una violazione dell‟art. 117 della Costituzione
attraverso la violazione della CEDU (da essa evocata sotto la specie di obbligo internazionale, come
fattore di limitazione per la legislazione ordinaria), ma non aveva poi spiegato quale statuizione
della CEDU sulla certezza del diritto fosse stata violata e, ulteriormente, i termini in cui ciò fosse
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avvenuto ed aveva semplicemente richiamato un insieme di statuizioni contenute nella Carta dei
diritti fondamentali della UE (in nessun caso qualificabile come attuativa o esplicativa della
CEDU) tra i quali, indubbiamente, quello della certezza del diritto, senza nulla spiegare o
argomentare. Resta, però, che nel preambolo della CEDU c‟è una chiara canonizzazione della
“preminenza del diritto” che ribadisce quanto previsto nel preambolo e nell‟art. 3 del Trattato di
Londra, del 1949, istitutivo del Consiglio d‟Europa.
Il quarto sta nel punto 4 ed è la esclusione che la mancata rivalutazione delle pensioni
costituisca una prestazione imposta, con conseguente assoggettamento alla relativa disciplina
costituzionale. Al riguardo si nota che nella precedente sentenza n. 116 del 2013 la Corte aveva
qualificato il prelievo di solidarietà imposto sulle pensioni dall‟art. 18, c. 22-bis del d.l. 6 luglio
2011, n. 98, conv. in l. 15 luglio 2011, n. 111 (e poi ripristinato pressoché identico dal c. 486 dell‟
art. 1 della l. 27 dicembre 2013 n. 147) come una prestazione tributaria imposta. Nel caso di specie,
al contrario, la Corte ha escluso tale qualificazione, motivando con il fatto che la misura censurata
non aveva portato ad un esborso ai danni dei pensionati. Viene facile obiettare che la inflazione è
assimilabile, in realtà, ad un tributo, per la riduzione del potere d‟acquisto che essa comporta ai
danni dei redditi fissi ed il vantaggio per lo Stato debitore e che la corresponsione della
rivalutazione è una compensazione della prima, sicché impostando il tutto come una somma
algebrica tra inflazione, rivalutazione e mancata rivalutazione, quest‟ultima non sostanzia altro che
il libero corso degli effetti della inflazione. La obiezione, però, non è del tutto esatta, o almeno è
troppo semplificata, nel senso che la inflazione non opera con la generalità di un tributo, perché
colpisce più alcune transazioni che non altre (di oggetto di tipo diverso) e che le misure dirette a
neutralizzare la inflazione (come la c. d. indennità di contingenza e la rivalutazione) non si
risolvono solo nella neutralizzazione della inflazione già realizzatasi, ma hanno dei loro propri
effetti in positivo di determinazione di inflazione aggiuntiva, il tutto nel contesto di una propensione
degli Stati europei più della prevenzione che della compensazione rispetto alla inflazione. A ciò si
aggiunge la considerazione intuitiva che l‟ottenere qualcosa in meno è diverso dal non ottenere
qualcosa in più, confortata dalla piuttosto ricorrente diversità di atteggiamento delle Corti europee
dinnanzi a diminuzioni o, viceversa, a non adeguamenti di trattamenti pensionistici (v. sentenza del
Consiglio di Stato del Liechstein 2014-2-003/28-02-2014-StGH 2013/183 reperibile nel sito
ufficiale della Corte costituzionale ungherese, w.w.w. mkab.hu- in English- Summaries- 1995, a
partire dalla sentenza 1995/43, usando le parole chiave Right to social security-right to a pension,
che ha considerato legittimo un abbattimento dell‟adeguamento delle pensioni al costo della vita
deciso dalle autorità pubbliche in quanto mancava una precisa disposizione che a tale adeguamento
desse carattere di “established right”, nonché le sentenze della Corte costituzione Ungherese, pur
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in generale orientata a favore dei pensionati, 29 aprile 1999, n. 26, caso 51793 e 27 maggio 1997,
n. 277B, caso 5/1997, reperibili allo stesso modo della prima, a partire dalla sentenza 1995/43 e
utilizzando le stesse parole chiave).
Il quinto si trova al punto 8 (ma con una notazione esplicativa al punto 1 del fatto nella
parte in cui riassume l‟ordinanza del Tribunale ordinario di Palermo) ed è la affermazione di una
necessaria correlazione tra la prestazione pensionistica e la retribuzione percepita. Tale
affermazione è ribadita da altre, ancora più stringenti. In primo luogo si ha quella per cui la
pensione deve essere proporzionata alla quantità e alla “qualità” del lavoro prestato, il che dà spazio
a trattamenti differenziati in relazione alla quantità della retribuzione percepita, ma anche al tipo di
rapporto di lavoro (che può comportare, come ad esempio per i dirigenti di azienda, o i militari, o i
piloti civili, esposizione a particolari soggezioni), a fenomeni di mobbing o ad instabilità per
esigenze di rapporto fiduciario o per esigenze di una pienissima attitudine fisica, la cui simulazione,
si è visto, può dare luogo a conseguenze tragiche). In secondo luogo, si ha quello che si trae dalla
esposizione della ordinanza del Tribunale di Palermo e, cioè, la presentazione della pensione come
un prolungamento della retribuzione (a conforto si nota che, se per alcuni incarichi imprenditoriali
di particolare rilievo può essere opportuno corrispondere emolumenti assai elevati in un tempo
circoscritto, per altri incarichi, di uguale, se non maggiore rilievo, la di diversa natura e cioè non
imprenditoriali, può essere opportuno, senz‟altro corrispondere emolumenti dello stesso volume, ma
con frazionamento nel lungo periodo, per non sovraccaricare il percipiente della preoccupazione
della conveniente messa a profitto di un guadagno esorbitante le proprie capacità di valutazione e
progettazione finanziaria, esercitate in precedenza per anni su valori modesti). In sintesi, la Corte si
mostra convinta che le pensioni in partenza – e, cioè al momento della loro liquidazionecommisurate alla retribuzione, devono restare commisurate a quest‟ultima, ciò anche se
è
consapevole che una parte delle pensione è liquidata secondo il criterio contributivo (v. il quarto
capoverso della motivazione). Nell‟interpretare le statuizioni della Corte che individuano il giusto
elemento di commisurazione delle pensioni (almeno di quelle erogate con il sistema retributivo) non
c‟è da confondersi: è la retribuzione e non altro (non i contributi).
Il sesto elemento si trova nel punto 10 e sta nella censura di una carenza di raffronto tra la
soluzione del blocco dell‟adeguamento e le esigenze delle finanze pubbliche. Indubbiamente essa
sulle prime può sembrare astratta e formalistica perché è evidente e noto a tutti che nel momento in
cui la misura censurata dalla Corte fu adottata, le finanze pubbliche si trovavano in un momento
assai difficile. Più comprensibile e circostanziata essa appare, però, se si legge la sentenza in
confronto con la precedente n. 116 del 2013, relativa al prelievo di solidarietà sulle pensioni, nella
quale si statuiva che l‟ordinario strumento per sovvenire alle esigenze di bilancio è la fiscalità
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generale gravante sulla generalità dei redditi, in luogo di un prelievo coattivo gravante solo su un
tipo di reddito, largamente diffuso in tutte le famiglie, ma pur sempre non generale di tutti i cittadini
(e senza elementi tali da giustificare un trattamento deteriore rispetto a quello di altri redditi, tra i
quali anche quelli da capitale)
A parte le dichiarazioni sugli organi di stampa, in dottrina,un primo commento alla sentenza
si è avuto da S. LIETO, Trattare in modo uguale i disuguali. Nota alla sentenza n. 70/2015, in
w.w.w., Forum costituzionale, 2015 e da GUSTAVO PIGA, 6 buone ragioni per stare con la Corte
costituzionale, nel suo omonimo sito, maggio 2015.
3) Si esprime ora qualche considerazione, più introduttiva che conclusiva sui problemi
evocati dalla sentenza o gravanti come condizionamenti sulla attuazione di essa.
Sono quelli: A) della graduazione delle dichiarazioni giurisdizionali di invalidità degli atti
dei pubblici poteri (e in particolare, delle statuizioni di annullamento); B) della ottemperanza alle
decisioni della Corte costituzionale; C) della estensione in materia di prestazioni pensionistiche di
veri e propri diritti di proprietà o, invece, di diritti acquisiti e della intensità delle tutele rispettive;
D), del fondamento della ricorrentemente presentata categoria dei diritti delle generazioni future.
A) Circa il primo e, cioè, la possibilità o meno per il Giudice di graduare le conseguenze del
proprio accertamento della invalidità di un atto dei pubblici poteri (lasciando da parte il Giudice
civile ristretta alla misura della non applicazione o alla constatazione della non esistenza) può essere
interessante il richiamo alle sentenze del Consiglio di Stato, Sez. IV, 11 maggio 2011, n. 2755,
della Corte costituzionale 11 febbraio 2015 n. 10 (sulla c. d. Robin tax) e della Adunanza plenaria
13 aprile n. 4 e il confronto di queste con quello che si annota.
La prima e, cioè, quella del Consiglio di Stato, Sez. IV, 10 maggio 2011, n. 2755 (in
Giurisdiz. amm., I, 708) ha statuito che il Giudice amministrativo può decidere di escludere o di
limitare temporalmente le conseguenze dell‟annullamento. Tale statuizione era apparsa al Giudice,
sia giustificata dalla esigenza di evitare una demolizione dell‟atto del tutto inutile al fine di
soddisfare l‟interesse del ricorrente (e foriera, invece, di un vuoto di disciplina per una classe
importante di fatti), sia sostenibile giuridicamente sulla base della mancanza di contrarie
disposizioni scritte e dal richiamo operato dall‟art. 1 del Codice del processo amministrativo al
“diritto europeo” nell‟ambito del quale l‟at. 246 del TFUE ammette in modo generalizzato e con
riguardo ad ogni tipo di atto la possibilità per il Giudice della UE di decidere sulla estensione da
assegnare alle proprie pronunce di accertamento della invalidità. Tale sentenza, rimasta negli anni
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isolata, in dottrina è stata fatta oggetto di numerosi commenti (al riguardo si rinvia per brevità agli
autori citati in Una risposta sulla proposta di abolire TAR e Consiglio di Stato, in Giurisdiz. Amm.
, 2013, IV, 180-181 e poi la nota Sulla legge elettorale, in Giurisdiz. amm., 2013, A, 470,
riguardante la sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014 sul sistema elettorale per le elezioni
politiche, caratterizzata da una forte delimitazione all‟indietro degli effetti della dichiarazione di
incostituzionalità; a questi si aggiunge S. FOA‟, Il Giudice amministrativo tra effettività delle tutele
e suggestioni della Corte di giustizia; ipotesi di annullamento ex nunc del provvedimento
illegittimo, in w.w.w. Federalismi, 2012).
La seconda, e, cioè la sentenza della Corte costituzionale 11 febbraio 2015, n. 10, ha una
parte molto estesa e approfondita nella quale si spiega perché, dichiarata incostituzionale la
disposizione di cui ai commi 16-18 dell‟art. 81 del d. l. 25 giugno 2008, n. 112 (conv. in l. 6 agosto
2008, n. 133) che aveva istituito un prelievo addizionale all‟Imposta sul reddito delle società nei
confronti delle imprese operanti nel settore della commercializzazione degli idrocarburi, la
produzione dell‟effetto di annullamento è stata circoscritta al futuro e, cioè, a partire dalla data di
pubblicazione in Gazzetta ufficiale e non già dalla data in cui la prestazione tributaria ha
incominciato ad operare. La ragione della dichiarazione di incostituzionalità sta essenzialmente
nella ravvisata incongruenza tra la proclamata finalità del prelievo di incidere su un ipotetico “sovra
reddito” delle impresse considerate, commisurando, però, il prelevo su tutto il reddito di tali
imprese. La ragione della esclusione della retrodatazione degli effetti è additata, in generale, nella
tollerabilità di un tributo anche speciale se di durata temporanea e, in particolare, nella esigenza che
la affermazione della legalità costituzionale da parte della Corte costituzionale, quale “custode della
Costituzione” (v. punto 7 della motivazione), si realizzi nel rispetto di tutti i valori sanciti dalla
Costituzione e, in particolare, che il rispetto dei principi da questa stabiliti circa la imposizione
fiscale non avvenga a danno del principio dell‟equilibrio di bilancio canonizzato dall‟art. 81, con
questo collegando alle prescrizioni di tale articolo la possibilità di determinare uno stato di necessità
rispetto al quale contenere le esigenze di rispetto dei altri principi e canoni costituzionali (con la
precisazione che ciò, però, deve avvenire con stretta proporzionalità). In sintesi, la Corte, nel caso di
specie, ha fatto valere una sorta di stato di necessità, nel senso che la non retrodatazione degli effetti
della sentenza –pur prescritta dall‟ordinamento- è presentata come necessitata dalla esigenza di
evitare una manovra di bilancio che, probabilmente decisa in modo estemporaneo, avrebbe colpito
altri redditi più facilmente aggredibili. Su tale sentenza, oltre ai primi commenti di stampa che
evidenziano il vincolo del nuovo art. 81 della Costituzione, v. in dottrina F. AULETTA, La Robin
tax, la Corte costituzionale e il processo civile: omnis actor post judicium tristis, in w.w.w.
Judicium, 2015, mentre per una informazione sui successivi esiti relativi ai rimborsi, v. Robin tax,
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la difficile partita dei rimborsi, in w.w.w. press rider, 16 maggio 2015 e D. MESSINEO, Accadde
domani: l’illegittimità costituzionale ipotetica di un seguito legislativo mancato nella sentenza della
Corte costituzionale sulla Robin tax, in w.w.w. Quaderni cost. 2015.
La terza, e cioè la sentenza dell‟Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (in w.w.w.
Sentenze Italia, news, con preciso e interessante commento di G. CASAMASSIMA, La tutela
annullatoria tra principio della domanda e poteri ufficiosi del Giudice) è correttamente intesa come
riaffermazione della regola della indefettibilità per il Giudice dell‟esito dell‟annullamento dell‟atto
impugnato, se richiesto dalla parte (e, naturalmente, se l‟atto è illegittimo e se l‟annullamento può
essere utile per la parte) e, quindi, della impossibilità per questo, facendo valere ragioni di
proporzionalità, di dare luogo di sua iniziativa ad esiti risarcitori. Ciò è esatto. Ma è anche esatto
che la sentenza reca una parte importante nella quale si afferma che il Giudice, anche con riguardo
all‟interesse del ricorrente, ha la possibilità di determinare la portata dell‟annullamento, sia nel
senso della estensione e, cioè, dei rapporti coinvolti (v. punto 4), sia nel senso temporale (v. punto
7, nel quale, come ben rilevato nella nota di G. CASAMASSIMA, ribadisce i contenuti della
sentenza n. 2755 del 20122, sulla quale ci si è soffermati in precedenza). Incidentalmente si nota
che la sentenza reca una interessante citazione testuale della sentenza del Conseil d‟Etat francese,
11 maggio 2004, Association A, che con riferimento a conseguenze manifestamente eccessive
del‟annullamento, ha amesso il potere ufficioso del Giudice di circoscrivere la estensione temporale
di questo solo “à titre exceptionnel” (su tale sentenza, v. interessante commento di S. FOA‟, op. cit.,
8 e ss.).
Ci si spinge a qualche conclusione. Si rileva una indubbia tendenza della Corte
costituzionale e del Giudice amministrativo ad adottare un criterio di proporzionalità anche nella
loro attività, che per la propria natura giurisdizionale, invece, dovrebbe essere vincolata a parametri
normativi precisi. Rispetto a tale tendenza, la sentenza n. 70 del 2015 appare in contrasto per il suo
dispositivo di annullamento ex tunc. Facile rilevare è, però, che tale sentenza è stata preceduta da
molte altre nella stessa materia, molto “proporzionate” alle esigenze del Legislatore, risoltesi in puri
differimenti delle conclusioni relative a soluzioni pensionistiche tutte dello stesso segno e, quindi,
costituisce, in realtà, il tentativo della Corte di porre termine con un “ultimo giudicato” ad una
vicenda complessiva di giudicati inottemperati o comunque volontariamente non compresi.
Sicuramente esiste una esigenza generale di migliore comprensione delle decisioni della
Corte costituzionale e delle dinamiche secondo cui sono prodotte, il che potrebbe realizzarsi
attraverso la pubblicazione delle opinioni dissenzienti.
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B) Da queste ultime considerazioni si passa ai secondi problemi e, cioè, quelli ella
ottemperanza e del seguito da dare alle sentenze della Corte costituzionale.
Al riguardo le norme positive danno delle indicazioni, ma non anche delle precisazioni
concludenti. Ci si riferisce all‟art. 136 della Costituzione, all‟artt. 30 della l. n. 87 del 1953 sulla
Corte costituzionale, agli articoli 139 e 108, rispettivamente del Regolamento del Senato e del
Regolamento della Camera dei deputati, all‟art. 15, c. 2, lett. e della legge n. 400 del 1988 sulla
Presidenza del Consiglio dei ministri.
Le indicazioni stanno nella delineazione di una procedura accelerata per porre il Parlamento
in condizioni di decidere sul seguito da dare alle sentenze della Corte costituzionale. E‟
contemplato, infatti, che le sentenze della Corte costituzionale abbiano carattere demolitorio e che
esse debbano essere rapidamente poste nella disponibilità del Governo e del Parlamento, affinché
possano rapidamente decidere il seguito da dare ad esse. Per quanto riguarda il Parlamento, si
segnala che le disposizioni precedentemente ricordate dei Regolamenti parlamentari contemplano la
rapida trasmissione della sentenza alla Commissione parlamentare competente e il potere ella
Commissione di esprimersi sulle iniziative necessarie (ciò che nel caso presente, per i
condizionamenti politico-partitico esistenti, si è realizzato purtroppo in forma solo ufficiosa
attraverso un intervento ben documentato, sugli organi di stampa del Presidente della Commissione
lavoro del Senato, Senatore Sacconi, e cioè, La tentazione (sbagliata) del ricalcolo, su Il corriere
della sera del 9 maggio 2015).
Per completezza si aggiunge che la disposizione della legge n. 400 esclude la utilizzabilità
del decreto legge per ripristinare la efficacia di disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte.
Tutto ciò dà il segno di una attività della Corte costituzionale limitata alla eliminazione delle
disposizioni giudicate incostituzionali e di una successiva attività, di pronta instaurazione, per
colmare le lacune determinatesi nella legislazione, affidata al Parlamento e a Governo, configurata
come una vera e propria attività politica, con ampi margini di libertà, tanto che l‟unico limite
concerne l‟impiego del decreto legge per l‟eventuale ripristino delle disposizioni dichiarate
illegittime. Manca, però, una procedura per porre la Corte in condizione di dare rapidamente la sua
replica finale alla risposta delle forze politiche alla sua sentenza, pur se dal punto di vista
concettuale una legge che viola il giudicato costituzionale, viola l‟art. 136 della Costituzione e,
quindi, è da considerare inficiata da uno specifico, grave, vizio di illegittimità costituzionale da
accertarsi in via prioritaria. Mentre per il giudizio amministrativo, all‟annullamento segue l‟attività
riparatrice della Amministrazione e questa, a sua volta, è sottoposta al giudizio di ottemperanza,
caratterizzato da particolare snellezza e facilità di attivazione e rinforzabile attraverso comminatorie
ed astreintes, per il giudizio sulle leggi, dopo la sentenza non è previsto nulla di più della possibilità
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di un rapido inizio dell‟iter parlamentare per la nuova legge (senza alcuna garanzia sulla
conclusione di questo). Finora un rimedio a ciò è stato adottato dalla Corte con sentenze sempre
meno demolitrici e sempre più sostitutive rispetto alla attività del Parlamento, il che, però, contrasta
con la ripartizione dei poteri stabilita dalla Costituzione.
Al riguardo c‟è da domandarsi se tutto questo non debba essere ripensato in sede di riforme
costituzionali, o, almeno, non possa essere considerato in sede di organizzazione dei lavori della
Corte, assicurando ai ricorsi per la violazione del giudicato costituzionale una trattazione più celere
rispetto ai giudizi ordinari, così realizzando un avvicinamento al giudizio amministrativo, del resto
del tutto consentito, atteso che l‟art. 22 della legge n. 87 del 1953 stabilisce che il giudizio dinnanzi
alla Corte, per quello che non è previsto positivamente, segua le regole del processo amministrativo.
In dottrina al riguardo, oltre agli autori citati nella già ricordata nota Sul sistema elettorale
(tra cui S. CICCONETTI, Il rinnovo del contributo di solidarietà sulle pensioni; una possibile
violazione del giudicato costituzionale, in w.w.w. AIC, 2014), v. :F. DEL CANTO, La violazione
del giudicato costituzionale da parte del legislatore per immediata e reiterata produzione
normativa, in Giur. it. , 2011, 1016; R. PINARDI, L’horror vacui nel giudizio sulle leggi,Milano
2007 e A. MANZELLA, Corte costituzionale e Parlamento, in Studi costituzionali e di politica
costituzionale, 2011, 103.
C). Si giunge al terzo ordine di problemi, relativo alle situazioni giuridiche da riconoscere in
materia di prestazioni pensionistiche e, in particolare, alla figura dei diritti acquisiti, sempre più
discussa, benché la tutela di essi abbia la stessa sostanza di quella dell‟affidamento e della sicurezza
giuridica, costituenti l„elemento fondante di ogni ordinamento giuridico ed avente tutela in quasi
tutti gli ordinamenti , con i nomi correnti di acquired rights o di vested rights.
Al riguardo si erano già svolte delle considerazioni in Rule of law, Stato di diritto e certezza
del diritto, pubblicato nel sito w.w.w. Sentenze Italia, news, febbraio 2015.
Si ricorda che una parte delle prestazioni pensionistiche attualmente erogate è commisurata
ai contributi versati, secondo una relazione matematica all‟apparenza precisa, ma in realtà esposta a
notevoli complicazioni per il tentativo solo in parte destinato a successo di tener conto di tutte le
variabili. Queste sono le prestazioni erogate con il c. d. sistema contributivo.
Un‟altra parte è commisurata, invece, all‟ultima retribuzione percepita (o alla media delle
ultime percepite) e agli anni utili secondo una percentuale, in concreto riconoscendo al pensionato
una percentuale della retribuzione per ogni anno utile (fino ad una somma
massima di tali
percentuali dell‟80 per cento), assumendosi che i contributi via via accumulati nel corso degli anni
abbiano prodotto una utilità per chi li ha riscossi e che comunque un parte di questi possa essere
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“inutile”, o per la premorienza dell‟interessato o semplicemente perché esuberante rispetto alla
pensione da liquidare. La corrispondenza di ogni pensione ai contributi versati non è assicurata e,
quindi, nella pensione può cogliersi una sorta di “guadagno da quotazione di borsa” o di “capital
gain” ch dir si voglia. Queste sono le pensioni erogate con il sistema retributivo. Si ricorda, per
completezza, che molto spesso una parte di queste prestazioni corrisponde a riscatti di anni e, cioè,
ha come base un vero e proprio accordo tra il dipendente-pensionando e l‟Amministrazione
previdenziale, per cui questi, in cambio di un contributo determinato applicando per ogni anno (o
frazione di anno) riscattato una percentuale dell‟ammontare della retribuzione annua percepita al
momento della domanda di riscatto e moltiplicando l‟importo per il numero di anni riscattati,
ottiene la certezza di un vantaggio pensionistico in termini di periodo utile ai fini del calcolo della
pensione da effettuarsi al momento della cessazione dal servizio, sulla base della retribuzione finale
secondo la stessa percentuale di commisurazione (c.d. aliquota di rendimento) utilizzato per gli anni
di servizio materiale. Tutto ciò risulta di regola da un apposito modulo di domanda sottoscritto
dall‟interessato. La parte di pensione che si ascrive al riscatto altro non è che una prestazione della
Amministrazione previdenziale conseguente ad un impegno preso al momento della ricezione della
domanda di riscatto. Sicuramente il meccanismo è favorevole al dipendente, ma è anche da
considerare che non è neutro dal punto di vista della giustizia nelle progressioni lavorative, perché
esso dà un vantaggio a chi precocemente ha accettato incarichi e lavori anche modesti, giacché
ottiene ai fini pensionistici, con un ridotto esborso, la equiparazione di questi rispetto ad altri più
prestigiosi o remunerati, in definitiva andando nel senso della raccomandazione rivolta da un
Ministro del lavoro di qualche anno fa ai giovani, di non essere troppo esigenti, o “chosy”, nella
scelta della prima occupazione..
Questo fa dire che sicuramente la parte di pensione che aritmeticamente corrisponde ai
contributi costituisce un diritto pieno, o, se si vuole, per usare la terminologia dell‟esperantico
diritto europeo, una proprietà del pensionato,
ma che anche la parte che rappresenta la
valorizzazione di tali contributi attraverso vari meccanismi, diretti o indiretti, è oggetto di diritti,
originati da un consenso implicito, quale quello che si realizza sulle condizioni di trattamento
pensionistico all‟inizio e nel corso del rapporto di servizio e poi al momento della liquidazione della
pensione, o, addirittura, da consensi espressi, quali quelli che si realizzano attraverso il meccanismo
del riscatto. Pertanto, anche rispetto a pensioni attribuite “sulla base” di contributi versati, pur senza
essere ad essi commisurate matematicamente secondo un meccanismo percentuale, esistono diritti
del percipiente.
Al riguardo si completa con alcuni riferimenti giurisprudenziali.
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Per quanto riguarda la Corte costituzionale italiana, sembra che quelli citati nella sentenza
commentata siano più che sufficienti. Tra questi si segnalano, in particolare, la sentenza n. 316 del
2010 (relativa, come si è detto, ad un precedente blocco della perequazione) e la sentenza n. 116 del
2013 (relativa ad un contributo di solidarietà, oggetto del commento Alcune notazioni sulla sentenza
della Corte costituzionale 3 giugno 2013, n. 116 sulla incostituzionalità del prelievo di
perequazione sulle pensioni , in Giurisdiz. amm. , 2012, A, 1420).
Si va ora alla Corte EDU.
Passando in rassegna la
giurisprudenza di questa rapidamente si incontra la sentenza
Cichopek 11 maggio 2013, n. 172 (caso 15189/10, originato dalla sentenza della Corte
costituzionale polacca 24 febbraio 2010, in caso K 6/09). Essa ha considerato illegittimo il ricalcolo
della pensione secondo un criterio di commisurazione ai contributi versati, e in generale alla
anzianità contributiva, più restrittivo rispetto a quello in base al quale la pensione era stata
originariamente calcolata. Dalla sua lettura completa emerge, però, che essa aveva riguardato un
folto gruppo di ex appartenenti alla polizia politica del precedente regime comunista, alla quale il
regime stesso aveva accordato un regime pensionistico di particolare favore, successivamente
limitato (ma non eliminato) da una successiva legge (originatrice del ricorso) e che la motivazione
era stata che una legge nazionale può sopprimere privilegi pecuniari di natura e giustificazione
politica garantiti ad ex funzionari di regimi totalitari. Ancora più esplicita e costruita sulla
specificità del caso era stata la sentenza della Corte costituzionale polacca (citata poco sopra), la
quale aveva affermato che i privilegi pensionistici in questione potevano essere limitati perché
acquisiti in modo “disonorevole” quale ricompensa per i servizi politici prestati. In calce a tale
sentenza sono citate altre sentenze dello stesso segno e legate a casi simili (sentenza ECHR, 2
marzo 2000, ricorso 52442/99, SCHWENGEL c. Germania e sentenza 16 ottobre 2012, ricorso
49646/10, Lessing c. Germania). Si rappresenta, in conclusione che la Corte EDU (o ECHR, che dir
si voglia)
ha considerato legittime leggi di Stati ex comunisti che hanno ridotto trattamenti
pensionistici in essere, di particolare favore, accordati durante il regime comunista ad alcune
categorie di funzionari a ragione di una particolare condizione politica di adesione attiva ai valori
propri di essi; in altre parole, hanno considerato legittima la eliminazione, non tanto del privilegio
pensionistico in sé, quanto di un privilegio “politico”, fondato, cioè sulla adesione a valori politici
considerati condannabili.
Spostandosi dai casi legati alla epurazione negli Stati ex comunisti a casi più generali,
risulta che la Corte EDU ha seguito impostazioni diverse.
Al riguardo sono significative le sentenze 7 luglio 2011, in causa Sturner c. Austria,
37452/02 e 18 febbraio 209, in causa Andrejeva c. Lettonia, 55707/00, secondo le quali la legge di
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uno Stato la quale prevede il versamento automatico di un contributo per una prestazione sociale,
deve essere considerata determinatrice ed individuatrice di un diritto di proprietà (o, comunque, di
un “interesse patrimoniale rilevante nel campo di applicazione dell‟art. 1 del Protocollo 1 della
CEDU”). Nello stesso senso, riguardante, però, le liquidazioni e un prelievo fiscale la sentenza della
stesa Corte 2 luglio 2013, sul caso RSZ- Hungary, 41838/11 (citata da A. GAMBARO, in
Armonizzazione dei diritti di proprietà e linguaggio dei giudici europei: tra assonanze e dissonanze
in Proprietà e diritto europeo,, Napoli, 2013, 209-210), alla quale può aggiungersi, sempre della
stessa Corte la sentenza 15 aprile 2014, caso Stefanetti c. Italia, n. 21838/10.
Andando alle Corti degli altri paesi europei, spicca, per completezza delle argomentazioni e
la risonanza che ha avuto nella dottrina, la sentenza della Corte costituzionale ungherese n. 43/1995,
del 30 giugno 1995 (le cui massime sono pubblicate in Inglese nel sito della Corte costituzionale
ungherese, w.w.w. mkab.hu, in English; case law; translations, sommarie, 1995, ed il cui testo
integrale, tradotto non ufficialmente in Inglese, si trova in L. SOLYOM e G. BRUNNER,
Constitutional judiciary in a new democracy: the hungarian Constitutional Court, Michigan
University,, 2000, 322 e ss.).
Nella massima (ufficiale) è chiaramente precisato che è una esigenza costituzionale che nelle
modificazioni legislative del sistema di welfare l‟azione dello Stato sia “calcolabile” e, cioè,
prevedibile e che le prestazioni di welfare riguardate dal ricorso (nel caso si trattava di prestazioni
puramente assistenziali e non previdenziali) non potevano essere ridotte retroattivamente, ostandovi
ragioni di protezione della certezza del diritto e di tutela dei “vested interests”, e cioè degli
interessi consolidati.
Nel testo della motivazione (nella sua traduzione non ufficiale) sembrano interessanti le
seguenti proposizioni. Il pagamento obbligatorio di contributi nell‟ambito del sistema previdenziale
obbligatorio dà luogo ad una pretesa individuale e predeterminata che merita dallo Stato un alto
grado di garanzia e di protezione delle legittime aspettative. Le prestazioni già acquisite e godute
richiedono una protezione più alta (rispetto a quelle di prossimo godimento, cui la sentenza si
riferisce). La tutela costituzionale contro eventuali decisioni modificative in pejus cambia a seconda
che nella prestazione ci sia o meno un elemento assicurativo: la base della tutela costituzionale nel
primo caso sta nel diritto di proprietà, nell‟altro nel requisito della certezza del diritto. Con riguardo
alla prima evenienza, spiega poi meglio che se beni del cittadino sono prelevati in base alla legge
allo scopo di garantire la sicurezza sociale, la legge deve assicurare la sicurezza sociale stessa anche
attraverso la produzione di valore a quanto prelevato con i contributi, pur se la disciplina del
prelievo di questi ultimi esclude una esatta corrispondenza tra pagamenti e prestazioni. Con
riguardo alla seconda evenienza, spiega che essa è individuata dal carattere puramente assistenziale
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del trattamento e, cioè, dalla assenza i qualsiasi contributo (come è ad esempio quello riguardato dal
giudizio, sostituito da un sussidio per maternità). Secondo la sentenza, in definitiva, nei confronti
delle prestazioni sociali esistono due fasce di tutela: una è quella del diritto di proprietà, che opera
per le prestazioni acquisite onerosamente con elementi assicurativi (il che non significa necessità
del pieno carattere assicurativo), l‟altra è quella propria dell‟affidamento che vale per glia altri casi
e, cioè, per le prestazioni acquisite senza oneri. Questo non significa che le prestazioni non possano
essere ridotte; ciò, però, può avvenire nel primo caso a titolo di estrema ratio, alla stessa stregua di
una espropriazione individuale (e quindi, in mancanza di alternative, tra cui evidentemente la
distribuzione diffusa del sacrificio), nell‟altro, più agevolmente, ma sempre nel rispetto delle
posizioni acquisite e tenendo presenti le capacità adattative dei soggetti colpiti.
Simili per contenuto a tale sentenza sono altre. Una è la sentenza del Tribunale
costituzionale
polacco 11 febbraio 1992 (caso K 14/91 – Pensions laws, citata da D.
ROBERTSON, The judge as political theorist:contemporary constitutional review,Princeton
University press, 2010, 95 e ss.), che ha dichiarata illegittima una riduzione della rivalutazione dei
trattamenti pensionistici, specificando che il diritto alla prestazione sussiste senza alcuna necessità
di correlazione “algebrica” tra contributi e prestazione e che ai fini del sovvenire alle difficoltà di
bilancio la distribuzione dei sacrifici rappresenta lo strumento costituzionalmente corretto. Altre due
sono le sentenze della Corte costituzionale ungherese, 28 aprile 1993, 26/1993 (sul 51/93) e 27
maggio 1997 277/B/1997 (sul caso 5/1997), entrambe riaffermanti il valore della certezza del diritto
anche in materia pensionistica. Un‟altra ancora è la sentenza della Corte costituzionale ceca II US
405 /02 (testo in Inglese al sito w.w.w. test. Concourt. Cz/angl_verze/doc 2-405-02) nel senso che
eventuali modificazioni retroattive dei trattamenti pensionistici ledono il valore della certezza del
diritto e della prevedibilità della legislazione. Infine, si ha l‟ultima delle sentenze del Tribunale
costituzione portoghese sulle riduzioni dei trattamenti pensionistici , 19 dicembre 2013, caso 862/13
(reperibile nel sito w.w.w. tribunalconstitucionale.pt), che superando una precedente sentenza della
Corte EDU (dell‟ ottobre 2913, sul caso De Concesiao- Portogallo), favorevole
al Governo
prevalentemente sulla base della considerazione che i tagli alle pensioni erano attestati a circa il 10
per cento, ha dichiarato la incostituzionalità di essi perché retroattivi e minanti l‟affidamento dei
cittadini (ciò con particolare riguardo ad un ricalcolo delle pensioni dei dipendenti pubblici secondo
un nuovo criterio).
In dottrina, con specifico riguardo alla sentenza ungherese n. 43/1995, v.: L SOLYOM e G.
BRUNNER, op cit., 322 e ss.; A. SAJO, Implementing welfare in Eastern Europe after communism,
in Economic, social, cultural right in practise, 2004 e How the rule of law killed Hungarian welfare
reform, in Eastern European constitutional review, 1996, 31 e ss. ; R. UITZ, A concise guide to the
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rule of law, in G. PALOMBELLA e N. WALKER (a. c.) Relocating the rule of law, Oxford and
Portland, Oregon, 2009, 90 e ss.; Z. SZENTE, The protection of legitimate expectetions in
Hungarian public law (reperibile attraverso Google).
Più in generale possono vedersi W. THOMPSON e R. PRICE, The political economy of
reform- Lessons from pensions, product markets and labour markets in ten OECD countries, in
w.w.w. OECD, 2009, 35 e ss. (con interessanti rilievi sulla accoglienza dei progetti di riforma
pensionistica presso la popolazione: negative da parte dei più anziani che ne sono colpiti, scettica da
parte dei più giovani presentati come beneficiari) e A. TSETOURA, Property protection as a limit
to deteriorating social security , in European journal of social security, 2013, 55 e ss (reperibile
anche in w.w.w., EJSS).
Due elementi colpiscono e meritano considerazione.
Il primo è una notevole presenza di statuizioni delle Corti dell‟Est europeo, che è dovuto alla
presenza in tali Paesi di una politica di riduzione del welfare, succeduta ad una espansione di
quest‟ultimo tra gli anni ‟70 e ‟90 e, cioè ne periodi in cui il regime aveva cercato attraverso di essa
di supplire alla propria incapacità di governo della società, determinata anche dalla concorrenza di
modelli tratti dalla economia di mercato.
Il secondo è la almeno latente conducibilità della dottrina più orientata verso riforme
pensonistiche alla cerchia culturale dei paesi anglosassoni, nei quali la operatività dei fondi
pensione privata è ormai sviluppata e in cerca di ulteriore espansione, così come lo sono i detentori
delle cognizioni ad essa relative.
D). Si giunge all‟ultimo ordine di problemi e, cioè quello costituito dalla ricorrente
ostensione della categoria dei diritti delle generazioni.
Nella sentenza essa manca. Al riguardo, però, si dà comunque qualche notazione perché
ogni diminuzione delle prestazioni pensionistiche, o, meglio, ogni ristrutturazione del sistema
pensionistico è presentata come funzionale alle esigenze delle generazioni future.
Si rileva che all‟interno della categoria si deve distinguere tra diverse fasce. Una prima di
esse (quella più prossima ai pensionati) è costituita dai maggiorenni ancora non pensionati: è
evidente che essi sono pienamente titolari del diritto di voto e, quindi, il rivolgere le attenzioni ad
essi costituisce una legittima scelta di bacino elettorale, così come sembra che tale scelta, pur
giovandosi dell‟aura di immagine derivante dalla suggestiva evocazione della gioventù, non sia
necessariamente equa perché trascura gli anziani, in possesso di minori chances di adattamento
alle vicende della società, né producente, perché non sempre la alienazione del consenso degli
anziani derivante da operazioni di compressione dei trattamenti loro spettanti è compensata da un
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consenso attivo dei giovani in favore dei quali sono presentate tali operazioni, per il semplice fatto
che questi, o sono scettici sul vantaggio che può loro venire, o sono attratti da ideali di grande
apertura, o ancora tutte e due le cose. Una seconda fascia è quella degli infradiciottenni, che ancora
non votano; riguardo questi il discorso è ancora più netto, perché è difficile comprendere quali
siano le loro reali aspirazioni e soprattutto quali esse potrebbero essere. Un‟altra ancora è quella di
chi non è ancora nato (e, per estensione, se si vuole, di chi non è ancora concepito, o in
concepimento); in questo caso si riconoscono dei diritti a chi non può averli, facendosi guidare da
un ossimoro secondo il quale si dice che può avere diritti chi non può averli.
In altri casi, spostandosi dalla esclusiva considerazione degli esseri umani, il riferimento si
estende a tutto il mondo naturale (comprensivo di ambiente fisico, animali e umanità e
corrispondente a quello che per la Chiesa cattolica è il Creato), ciò che accade essenzialmente per le
questioni ambientali o per la tutela degli animali, in quanto esseri (indubbiamente) senzienti.
Non sempre il riferimento è chiaro. Almeno nel linguaggio politico appare sostanzialmente
cumulativo perché è impiegato per conferire alla frazione di elettorato rappresentata, una sorta di
auctoritas o accrescimento di valore derivanti dal (preteso) collegamento al voto delle fasce giovani,
nonché al futuro (preteso) consenso, o plauso, della posterità. A volte, però, semplicemente il
riferimento è compiuto per un puro atteggiamento di accondiscendenza per i giovani, teso a
decidere per il loro futuro, o, comunque, ad inserirsi in questo, più sublimando un senso di
genitorialità non più realizzabile o prolungabile, che coltivando il ricordo esatto della gioventù,
ricorrentemente dominata più dal desiderio di decidere il proprio futuro in modo anche dirompente,
che a percorrere strade accuratamente tracciate o disegnate da altri (al riguardo, v. le felici
considerazioni di M. LUCIANI, Generazioni future, distribuzioni temporali della spesa pubblica e
vincoli costituzionali , in Teorie e modelli per lo sviluppo sostenibile e della responsabilità
intergenerazionale, (a. c. ) R. BIFULCO e A. D‟ALOIA, Napoli, 2008, 423 e ss.).
Il riferimento di cui si è detto, quando avviene sul piano politico è, però, contrastante con la
impostazione della Costituzione. Ad un rapporto di rappresentanza necessariamente basato al fondo
su un rapporto diretto tra i rappresentanti politici e le persone degli elettori (e assecondato più o
meno felicemente dalle scelte sulle dimensioni dei collegi elettorali), proprio di essa, si sostituisce
un altro basato su un predominate rapporto tra il rappresentante ed entità del tutto astratte e prive di
legame con le persone fisiche (ora il “popolo”, ora la “patria”, ora altro). Ancora, al forte
riconoscimento della persona fisica come elemento fondante dell‟ordinamento (e al riconoscimento
dei diversi corpi della società solo in secondo grado come sedi di esplicazione della persona fisica),
proprio dell‟art. 2 della Costituzione, si aggiunge e contrappone il tributo morale ad entità del tutto
astratte. Sempre dal punto di vista costituzionale (ma anche della teoria generale del diritto) si
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osserva che, se è vero che ad ogni persona esistente corrisponde una sua sfera di diritti e se è vero
che ogni diritto esiste e si afferma a scapito di altri, il riconoscere dei diritti a chi persona non è, va
a scapito dei diritti di chi è persona. Pure si osserva, dal punto di vista etico, che è più facile
concepire la cura per chi è lontano (e, al limite, la umanità) che non soccorrere chi è prossimo.
Il riferimento, quando si realizza sul piano della attività amministrativa, quasi sempre si
risolve in una evocazione dei problemi della tutela ambientale e dei soggetti cui attribuire o
riconoscere compiti in tal senso, tutelando interessi a titolarità in parte individualizzate, in parte
non, ma comunque senz‟altro meritevoli. In questo ambito di temi, del tutto giustificato appare il
tentativo di individuare procedure e soggetti per una efficace tutela, compiuto da diversi studiosi
(al riguardo si segnala l‟approfondito studio di F. de LEONARDIS, Tutela delle generazioni future
e organismi preposti alla tutela, Diritti interni, diritto comunitario e principi costituzionali, (a. c.)
V. PARISIO, Milano 2009, 75 e ss.).
Allargando il discorso, si afferma che allorché il tema del diritto delle generazioni future è
inserito in quello più generale della tutela dell‟ordine naturale (al quale appartengono le pure
possibilità teoriche di nascita degli uomini, atteso che queste non sono ancora individualizzate in
vita o in progetto di vita) si evoca un tema serio, perché rispetto a tale ordine c‟è effettivamente una
necessità di tutela ed anche una responsabilità di tutela, spettante agli uomini attualmente viventi,
così come ad essi spetta l‟esercizio della tutela degli (esistenti) interessi degli animali (sui quali, v.
F. RESCIGNO, Una nuova frontiera per i diritti esistenziali: gli esseri animali, in Giur. cost.,
2006, 3183 e ss. e prima ancora, I diritti degli animali. Da res a soggetti,Torino 2005). In tutto
questo si è in disaccordo con le pur ben svolte tesi di A. PISANO‟ , in Diritti deumanbizzati,
animali, ambiente, generazioni future, specie umana, Milano 2013, che, invece riconosce specifici
diritti solo alla specie umana.
Riassuntivamente, si osserva dal punto di vista operativo, che l‟incidere sulle generazioni
anziane è facile, per la staticità comportamentale di esse (bisognerebbe, però, in questo contesto,
domandarsi, come ha fatto G. PIGA, op. cit., quale effetto di moltiplicazione della domanda può
avere l‟aumento o il mantenimento della capacità di spesa dei pensionati) e che, invece il rapporto
(preteso) con le generazioni future subisce l‟ostacolo della mancanza di dirette ed immediate
cognizioni , sicché la percezione dei bisogni di esse e la determinazione dei mezzi è solo eventuale
risultato di una attività imponente e dispendiosa, produttrice di ruoli gratificanti per chi la esercita e
spesso esposta ad errori.
Indubbiamente si constata la organizzazione di una comunità scientifica istituzionalizzata e
dotata di mezzi , che rivendica a sé la preoccupazione per le generazioni future (ormai del tutto
esorbitante rispetto al Progetto nazionale di ricerca finanziata, o PRIN, su Un diritto per il futuro e
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concretatosi nella stampa del già citato volume collettaneo a. c. di R. BIFULCO e A. D‟ALOIA, Un
diritto per il futuro, cit., che si segnala come un pressoché completa apporto dottrinale sul tema dei
diritti delle generazioni future).
In materia pensionistica tutto ciò si traduce nella insistenza sulla proposta del ricalcolo con il
sistema
contributivo delle pensioni, o delle parti di pensione, già calcolate con il sistema
retributivo. Si deve porre mente al fatto che tale passaggio (con la idea inespressa, ma sottostante
della privatizzazione del sistema pensionistico) richiede studi e passaggi amministrativi, esposti,
ora a semplici errori di calcolo, ora ad errori di impostazione e di scelta di variabili, ma sempre
idoneo ad alimentare una cerchia di cultori ormai in fase di consolidamento e strutturazione.
Parafrasando il passaggio della sentenza n. 10 della Corte costituzionale in cui si è sancito per la
Corte un ruolo di custode della Costituzione e notato che il dibattito successivo alla sentenza n. 70
ha fatto emergere, ulteriormente, dei “custodi” della Corte costituzionale, a favore delle nuove
generazioni, ci si può domandare quis custodiet custodes? Quis alet custodes?
Resta che, comunque, la giurisprudenza della Corte costituzionale ha posto dei limiti ad
operazioni troppo incisive sul sistema previdenziale e che essa (salve graduazioni delle restituzioni)
deve essere rispettata .
Al fine di ricavare ulteriori sollecitazioni e spunti ulteriori, in dottrina, v. : R. BIFULCO,
Rappresentare chi non esiste ancora, in Rappresentanza politica gruppi di pressione elites al
potere, (a. c. L. CHIEFFI), Torino 2006, 265 e ss. e Diritto e generazioni future,Torino, 2008; D.
THOMPSON, In rappresentanza delle generazioni future. Presentismo politico e amministrazione
fiduciaria democratica, in
Filosofia e questioni pubbliche, 2007, 13 e ss.; L. BUFFONI,
Solidarietà intergenerazionale, in w.w.w. Federalismi, 2007.
Felice Ancora
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