Pubblicazione Periodica del Centro Servizi Volontariato

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Pubblicazione Periodica del Centro Servizi Volontariato
Pubblicazione Periodica del
Centro Servizi Volontariato Toscana
Responsabile Editoriale
Dott.ssa Cristiana Guccinelli
Con la collaborazione di
A cura di
Regione Toscana, Altreconomia,
Regina Podestà, Claudio Machetti
La rivista dell’economia solidale
Dare credito
all’economia
sociale
Strumenti del credito
per i soggetti non profit
Firenze
Auditorium Consiglio Regionale
venerdì 22 e sabato 23 Gennaio 1999
saluti
PAOLO BALLI
Direttore Cesvot
Do il benvenuto a tutti i presenti. Questa struttura insieme alla
Regione Toscana e alla rivista Altreconomia ha organizzato questo
convegno.
L’iniziativa è dedicata alle relazioni che il Terzo settore ha creato con
la finanza tradizionale e con la finanza etica. Quest’ultima finalmente
si avvale dell’operatività di Banca Etica.
Il convegno è stato suddiviso in tre moduli tematici.
Nel primo modulo “la nuova economia sociale e solidale e l’accesso al
credito”, cercheremo di confrontare il rapporto che esiste tra domanda e offerta nel modo di relazionarsi del terzo settore con la finanza
etica e non.
Il secondo modulo “il credito e i soggetti non bancabili nel nord e sud
del mondo”, ci permetterà di conoscere le esperienze più significative
a livello nazionale e internazionale in questo campo.
In fine nel terzo modulo, cercheremo di dare una sintesi di quelle che
sono le proposte sul tappeto e tentare di giungere ad alcune proposte
che siano concretizzabili, soprattutto mettendo in luce quello che può
essere il ruolo delle istituzioni come strumento di collegamento tra
l’economia sociale e la finanza.
LA NUOVA ECONOMIA
SOCIALE E SOLIDALE E
L’ACCESSO AL CREDITO
INTRODUZIONE
Simone Siliani Assessore Regionale alle Politiche
Sociali e Cooperazione allo Sviluppo
Come si conviene ad un’introduzione cercherò
di accendere dei riflettori su alcune delle tematiche più importanti che vorremmo toccare in
questo convegno, che non vorrebbe essere fine a
se stesso ma si accompagna ad una serie di iniziative in cui anche la Regione è attivamente
impegnata. Il convegno vuole testimoniare
anche la necessità che l’ente pubblico, in questo
caso regionale, non si adoperi solo con atti che
gli sono propri per promuovere o collaborare
allo sviluppo di strumenti di finanza o credito
dell’economia sociale. La differenza non è banale. Anche mantenere aperto e sviluppare un
dibattito e una discussione per una crescita culturale non è, credo, marginale rispetto alle possibilità di sviluppo in questo settore.
Ovviamente queste prime due questioni che
voglio sottolineare sono il punto d’avvio delle iniziative di forme alternative di credito di cui la più
diffusa è la banca etica o anche le forme di credito
o microcredito. Il punto di inizio, è sempre bene
tenerlo presente, è quello dell’affermazione di
questi strumenti nei paesi in via di sviluppo, termine del tutto improprio proprio per sostenere
forme autonome di difesa e crescita imprenditoriale locale. Credo che anche in questi paesi si
debbano evolvere strumenti di questo genere e
soprattutto che gli strumenti della micro finanza
o del credito all’economia sociale, non debbano
considerarsi assolutamente separati e alternativi
agli interventi di tipo macro economici.
Penso che questo luogo di nascita della microfi-
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nanza debba essere sempre tenuto presente proprio perché è la crisi generalizzata e lo squilibrio
dello sviluppo che, estendendo la dimensione
finanziaria dei rapporti economici, assume
forme sempre meno controllabili (la mondializzazione) e rende sempre meno efficaci le tradizionali politiche di intervento pubblico. É questa
situazione a spingere la società civile ad organizzarsi secondo forme sempre più articolate e
rispondere ad una accresciuta complessità dei
bisogni. L’altro elemento da sottolineare, spero
in modo non del tutto banale, è il recupero dell’etica come fondamento sostanziale di nuove
modalità di azione sociale a fronte delle questioni aperte dalla crisi. A mio modestissimo parere
il punto è quello di porre la necessità di una
riflessione sulla finalità dello scambio economico
e del legame sociale per cui il tema della solidarietà o dell’economia solidale si inscriva nel
cuore dell’economia e non come elemento correttivo o parzialmente correttivo dei suoi squilibri secondo i metodi tradizionali del We l f a re
State. Penso che la sfida non solo culturale ma
sostanziale sia quella di mettere in discussione i
metodi tradizionali del Welfare State che utilizza
questi strumenti come elementi correttivi degli
squilibri. Il punto è che il dibattito e le iniziative,
le proposte di economia sociale e di finanza etica
pongono in crisi il metodo di fondo del sistema
dello scambio economico. Ritengo che sia un elemento da sviluppare e discutere. Che ciò non
avvenga spesso lo dimostra il fatto che non si
pone in crisi l’impianto complessivo dello scambio economico e che spesso questo settore venga
concepito come una fetta residuale di mercato
che le stesse banche o gli stessi istituti di credito
tradizionali cercano di intercettare con strumenti
più o meno efficaci. Ovviamente questo non è di
per se negativo ma il punto è capire se stiamo
ragionando di altro, oltre che di questo.
In ogni modo l’altro elemento da sottolineare è
quello appena accennato e cioè il fatto che lo sviluppo del terzo settore, in seguito dell’accrescersi della complessità della domanda sociale,
esprime l’esigenza di garantire i livelli di servizi
e la prospettiva etica di recupero dei rapporti
sociali primari, spingere ad entrare in campo e a
ridisegnare un ruolo del terzo settore stesso, nei
confronti anche delle politiche pubbliche.
Dobbiamo evitare due rischi. Il primo è di avere
un’integrazione pro g ressiva del terzo settore
nelle politiche pubbliche tali da renderlo dipendente o un tappa buchi di quello che le politiche
pubbliche non riescono più, per la compressione
delle risorse, a fare, mantenendo una sorta di
continuità con il vecchio modello di We l f a re .
Questo ovviamente spinge in una condizione di
residualità e marginalità il terzo settore. Credo
che sia un rischio assolutamente da evitare .
Naturalmente dire questo significa porre il tema
di cui discutiamo oggi, cioè quello del credito
all’economia sociale e degli strumenti di credito
per i soggetti no profit anche per liberarli o evitare che cadano nella dipendenza dalle politiche
pubbliche.
Altro rischio da evitare, a mio parere, è quello di
p o r re il terzo settore come intermediario fra
società civile e settore pubblico, non come
espressione piena e consapevole della società e
della riarticolazione delle nostre società moderne. Credo che qui si ponga anche la sfida di
come modificare strutturalmente il ruolo delle
politiche pubbliche nei confronti della società
civile. Capisco che può sembrare uno slogan, ma
il tema è come passare da politiche di assistenza
sociale a politiche di partnership.
La prospettiva in cui si muovono le proposte di
banca etica o di strumenti del genere è quella
appunto di concepire il terzo settore come autonomo e alternativo e promotore di nuove regole
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della produzione di beni e di servizi con ambito
di espressione non residuale ad altri soggetti.
Soltanto alcuni elementi ulteriori su cui vorrei
accendere i riflettori: l’ambito strategico in cui si
colloca il terzo settore pone l’esigenza che ad un
livello di crescita avanzato dell’economia sociale
si sviluppi la dimensione di impresa, per cui si
ripropongono se pure con modalità diverse i rapporti con il sistema del credito. Naturalmente
occorre trovare una modalità di relazione funzionale fra il credito ordinario e quello etico, tenendo conto della peculiarità dell’impresa sociale.
Ma non possiamo evitare di discutere e ragionare
su questa relazione perché appunto in un quadro
di crescente finanziarizzazione dell’economia è
necessario far si che il credito possa esprimere
tutte le sue potenzialità di strumento per la riduzione delle aree di povertà e emarg i n a z i o n e .
Credo che occorra completare il circuito risparmio-credito, cioè che alla domanda crescente di
credito corrisponda un’altrettanta consistente
offerta di credito anche con strumenti flessibili e
con modalità diverse. In questo senso, a fronte
della disparità quantitativa di risorse disponibili,
occorre che le strutture di credito tradizionale si
colleghino o si rapportino con quelle preposte
all’economia sociale per garantire un’offerta di
credito consistente ma anche per accompagnare
il processo con una serie di interventi qualitativi
di supporto in materia di consulenza finanziaria
e assistenza tecnica e quant’altro.
Questo terreno di iniziativa è quello naturalmente da discutere e discusso nelle applicazioni
della legge sulle fondazioni bancarie, la L. 461
del 1998, in cui accanto alla realizzazione di specifiche politiche settoriali con finalità sociali, si
può prevedere di sostenere imprese che attivino
canali di credito con la modalità, per esempio,
dei fondi di rotazione che garantiscano autonomia imprenditoriale attraverso la continuità del-
l’afflusso di risorse. Ma il punto è quello di completare e di ampliare questo ciclo, questo rapporto risparmio-credito, superando un rapporto di
dipendenza fra donatori e beneficiari, con vantaggi sicuri per la prospettiva di riforma del
Welfare nella direzione della partnership di cui
dicevo prima.
Prima di soffermarmi sull’esperienza toscana,
vorrei fare un paio di riflessioni sul punto da cui
questi strumenti hanno inizio, i paesi in via di
sviluppo. Mi riferisco ad un dibattito in corso
nel mondo della cooperazione allo sviluppo. In
modo particolare occorre, a mio parere, chiarire
e mettere l’accento in modo forte non solo, come
di solito si tende a fare soprattutto nel mondo
anglosassone, sul micro credito e quindi sulle
attività di credito, ma più in generale sugli strumenti della micro finanza. Questo ci consente di
porre una particolare enfasi sul tema della raccolta del risparmio come attività comunitaria e
non solo come credito alle attività imprenditoriali e quindi di porre l’enfasi sul rapporto fra
lenders e borrows, cioè fra chi dà il credito e chi
lo riceve e quindi chi ha la possibilità di accedere
al credito. Nei paesi in via di sviluppo, in quelli
del terzo mondo, focalizzare soltanto gli strumenti di micro credito può significare escludere i
più poveri dalla possibilità di accesso agli strumenti del micro credito. Ecco allora che gli strumenti della micro finanza si fondano molto sul
ruolo della comunità. La capacità di raccolta di
risparmio, di produzioni, di progetti conformati
alle condizioni particolari della comunità
appaiono importanti. Ovviamente questo non
esclude, anzi penso che sia il tema su cui riflettere, le problematiche più generali delle economie
in questi paesi. In modo particolare, penso che in
questi paesi non si debba pensare che gli strumenti di micro credito possano agire in una
sorta di vuoto spinto, cioè possano fare a meno
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di pro d u r re fenomeni di accumulazione di
risorse interne all’impresa. Poiché il punto
essenziale è lo sviluppo delle piccole e medie
imprese, anche in questi paesi del terzo mondo
dove occorre essere competitivi in un mondo di
m e rcati aperti, anche la piccola impresa per
essere competitiva deve essere in grado di accum u l a re. Quindi, non deve tendenzialmente
o p e r a re solo in settori a bassissimo valore
aggiunto e deve essere in grado di poter accum u l a re per sfuggire ad una non auspicabile
dipendenza dal credito o dipendenza dagli
strumenti di micro credito, come purtroppo in
realtà avviene. Analogamente non possiamo
ritenere che anche in paesi di estrema povertà si
possa pensare che gli strumenti di micro credito
agiscano a prescindere da un sistema di accumulazione di risorse esterne all’impresa, in
grado di creare un ambiente produttivo adeguato allo sviluppo dell’impresa stessa e quindi
a prescindere da un intervento delle comunità,
delle istituzioni in grado di creare un sistema
i n f r a s t rutturale o in grado di sviluppare un
capitale umano che è base dello sviluppo, quindi scuola santità ecc.. Non si può cioè prescindere anche da interventi, da politiche macro
economiche che incidano sulla domanda aggregata, che possono creare le condizioni di un’espansione dell’occupazione anche oltre i confini
delle micro imprese che spesso sono a carattere
familiare.
Questo tema è dibattuto e discusso da chi si
occupa di cooperazione allo sviluppo e penso
che debba essere e possa trovare anche qui uno
spazio di discussione. Quello che anche qui
vorrei sottolineare, è la necessità di politiche di
micro finanza con una pluralità di strumenti
che siano in grado di cambiare le condizioni
sociali e politiche delle comunità. Quindi l’enfasi va posta sull’autonomia delle comunità e
sulle capacità di queste di elaborare un progetto
di sviluppo. Questo a mio parere vale certo nei
paesi del terzo mondo, dove c’è una minore
strutturazione sia del mondo del credito che
istituzionale, ma comincia a valere anche nel
nostro mondo sviluppato. A me ha colpito che
parte della comunità delle Piagge, una parte
diciamo “molto marginale” della nostra società,
stia puntando sulla raccolta del risparmio
all’interno della comunità per sviluppare alcuni
progetti che nascono da quella comunità e che
creano una sorta di responsabilizzazione dei
diversi soggetti all’interno di quella comunità.
É una questione che vale solo per le parti marginali delle società sviluppate? Può darsi e certo
è che anche qui il valore del luogo, la capacità
di autonomia della comunità assume un valore
particolarmente rilevante a dimostrazione del
fatto che la povertà non è solo un fenomeno di
carenza di liquidità che ti impedisce di sviluppare forme di impresa ma anche di rapporti di
p o t e re, di marginalità o di rischio sociale,
disgregazione dei rapporti sociali ecc.. Per farvi
fronte strumenti come quelli della finanza etica,
di raccolta del risparmio e di attivazione dei
rapporti comunitari, possono avere un ruolo
importante.
Ultime due osservazioni che riguardano alcune
iniziative che si sono avviate come istituzioni e
di cui si parlerà più avanti nel corso del convegno. Noi abbiamo promosso un’iniziativa progettuale in collaborazione con la regione Emilia
Romagna per la creazione di nuova occupazione attraverso la promozione di finanza etica e la
nascita di nuove imprese cooperative di servizi
finanziari e per lo sviluppo dell’economia
sociale. É un progetto che si propone di promuovere sul territorio la finanza etica nelle sue
molteplici modalità con l’obiettivo di cre a re
anche nuove opportunità di occupazione.
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L’obiettivo è anche di predisporre strumenti di
servizio e supporti dell’attività del terzo settore
per superare le difficoltà di reperimento e utilizzo di risorse finanziarie. Si prevede, in questo ambito, un’attività formativa con tematiche
tecniche e di attitudine imprenditoriale e la
costituzione di una cooperativa per il sostegno
finanziario e la consulenza di impresa sociale e
un azione di marketing sociale per la disseminazione di risultati e per la comunicazione di
opportunità offerte. Ovviamente in rapporto
con questo progetto si è sviluppata la partecipazione della Regione Toscana al pro g e t t o
della costituzione di Banca Etica.
Infine, l’esperienza del fondo di ro t a z i o n e
costituito dalla Regione e gestito dalla FIDI
Toscana, sulla base della legge regionale 87/97
di cui parlerà il Presidente Kutufà. Questo
fondo ha l’obiettivo di favorire l’accesso al credito per le cooperative sociali e si propone il
potenziamento delle strutture dei servizi sociali e sostenere progetti di inserimento lavorativo
di giovani per rafforzare la capacità lavorativa
delle imprese cooperative.
Queste erano le finalità di questo fondo, in
diretto rapporto con l’impianto e la valorizzazione che le cooperative sociali hanno nella
legge 72/97, la nuova legge sulle politiche
sociali integrate dalla Regione Toscana. Penso e
spero che il Presidente Kutufà ci dirà come ha
funzionato in questo primo anno di attività
questo fondo di rotazione perché io ritengo che
quando si istituiscono fondi o strumenti come
questi, occorre a un certo punto fare una verifica per capire se questi sono strumenti efficienti
ed efficaci oppure se dobbiamo correggere il
tiro a fronte di una loro marginale utilizzazione
o non soddisfacente utilizzazione.
Concludo dicendo che il convegno di oggi
serve anche per noi, Regione Toscana, per capi-
re quali altre migliori iniziative può l’ente pubblico intraprendere per sostenere lo sviluppo di
questo settore, che vorrei ritenere non residuale, non marginale ma come decisivo per l’economia del terzo millennio.
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“LE ISTANZE DELLE ORGANIZZAZIONI
NON PROFIT AL SISTEMA CREDITIZIO”
Claudio Machetti,
Centro Servizi Volontariato Toscana
La visuale che voglio adottare per il mio intervento è quella degli utilizzatori del credito e in
particolare di quegli utilizzatori singolari che
sono le associazioni e le cooperative. Prenderò la
p rospettiva di tutte quelle istanze che hanno
come obiettivo non la creazione di un profitto
ma l’integrazione delle proprie finalità con la
sostenibilità economica.
Evidente è che oggi il settore del non profit ha
assunto e sta assumendo nell’economia mondiale, nell’economia dei paesi più sviluppati e conseguentemente nell’economia italiana, un ruolo
sempre più rilevante anche da un punto di vista
quantitativo. Solo pochi anni fa era difficile sentire parlare di terzo settore in termini così concreti. Da qualche anno le università (soprattutto
quelle private) hanno iniziato ad osservare con
attenzione il settore no profit ed attualmente a
livello internazionale e italiano, se pure con
approcci diversi, si pensa a quest’ultimo come
ad un buon ricettacolo per l’occupazione, talvolta caricandolo forse di eccessive aspettative.
É evidente che un settore così importante della
società e dell’economia non può essere escluso o
escludersi dal sistema del credito. Ha bisogno,
anzi, sempre più frequentemente, di rapportarsi
al sistema creditizio.
Questo avviene per vari motivi. Abbiamo provato ad individuare i casi ricorrenti in cui un’associazione, una cooperativa sociale o un’associazione di volontariato ha bisogno di rivolgersi al
sistema del credito. La motivazione principale è
il consolidamento della propria attività. In questa logica spesso si decide l’acquisto della sede o
il luogo in cui svolge la propria attività sociale.
Altra ragione è la manutenzione straordinaria di
immobili di proprietà. A volte questi ultimi
hanno la necessità di interventi straord i n a r i ,
obbligatori per legge, o di adeguamento alle normative. Talvolta gli immobili sono ereditati dalle
associazioni. In questi casi i dirigenti pro temporae sentono una responsabilità particolare nei
confronti della storia o dell’oggetto in questione.
Parlerò più avanti delle garanzie richieste per il
credito che spesso coinvolgono i dirigenti delle
associazioni. Ci sono poi dei progetti che necessitano di consistenti anticipi di liquidità come la
realizzazione di progetti con l’unione europea.
Oggi moltissime associazioni lavorano per progetti finanziati dall’unione europea che richiedono fideiussioni o garanzie. Infine esistono associazioni che, più semplicemente, hanno nello
svolgimento della loro attività un rapporto stagionale fra le entrate e le uscite le quali non corrispondono effettivamente al livello progettuale
(per esempio chi lavora e si finanzia solo con il
tesseramento).
In questa situazione il sistema creditizio tradizionale non è preparato a ricevere tali clienti
che, per di più, non hanno associazioni di categoria in grado di difenderli o di indirizzarli e
consigliarli rispetto allo strumento più idoneo
da utilizzare per ottenere un credito.
Quale tipo di accoglienza ricevono dagli istituti bancari le associazioni e il terzo settore in
generale?
Visto che le procedure sono complesse o non
adeguate e preparate per un settore e tipologia
di lavoro anomala rispetto a quella che tradizionalmente si rivolge al sistema bancario, testimoniano grosse difficoltà già alla semplice apertura
di un conto corrente.
Quali sono attualmente i problemi più aperti che
ci troviamo di fronte e che oggi vorremmo in
qualche modo provare ad analizzare?
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I problemi maggiori sono i tassi di interesse e le
garanzie bancarie. Questi sono i due punti fondamentali che non riguardano esclusivamente le
associazioni di volontariato per la cooperazione
sociale ma anche le imprese e altri soggetti. Per
questo segmento della nostra società, probabilmente, alcune risposte però possono essere
diverse.
Vediamo ora più da vicino la questione dei tassi
di interesse.
Con le ultime vicende sull’abbassamento del
tasso di sconto il problema può apparire meno
significativo ma non è esatto. Il settore del credito tradizionale, al momento in cui un soggetto
anomalo vi si rivolge per proporre un prestito o
l’affidamento di una certa quantità di denaro, si
trova davanti ad un tipo di valutazione classica,
che prescinde evidentemente da una valutazione
etica. Non a caso sono nati altri strumenti di giudizio. Prescindendo dall’elemento etico, sia del
cliente, che del progetto, appare frequentemente
che il soggetto ha minore credibilità economica.
Gli istituti di credito, perciò, si trovavano ad
applicare dei “tassi di rischio”. Il rapporto fra
terzo settore e le banche fino ad ora è stato tale
da non rendere applicabile il tasso di interesse
riservato ai clienti migliori.
Non sempre è stato ed è così, però abbiamo
notizie di rapporti che si sono sviluppati con
questa logica. Oggi la questione appare meno
importante ma è in corso la ridiscussione dei
mutui contratti negli anni passati a tassi altissimi. Evidentemente, però, anche in questa fase le
organizzazioni del terzo settore si trovano maggiormente in difficoltà, in termini di credibilità e
forza, per rivedere i tassi di inter e s s e .
Comunque l’ostacolo vero, di cui possiamo
discutere in queste giornate di lavoro, è rappresentato dal sistema delle garanzie.
Le associazioni, per la loro stessa natura, fre-
quentemente non sono soggetti bancabili, difficilmente, cioè, possono esprimere garanzie reali
d i rettamente come tali. Si creano allora delle
dinamiche molto particolari in cui il volontario
dirigente è costretto, oltre a svolgere tutte le attività proprie relative alla scelta del volontario, a
dover garantire con il proprio reddito se non con
la propria abitazione, il prestito chiesto al sistema bancario.
Questa è la situazione che ci troviamo davanti
come terzo settore.
Cosa chiedono quindi le associazioni del settore
non profit oggi al mondo bancario tradizionale
come a quello della finanza etica? Innanzi tutto
un rapporto fra le associazioni ed il credito. Non
si può limitare o delegare totalmente alle fondazioni bancarie il rapporto con le associazioni.
C’è però un meccanismo che in qualche modo
oltrepassa il rapporto con le fondazioni bancarie
o comunque non lo esaurisce e richiede, quindi,
un rapporto diretto con le banche vere e proprie.
In questa logica noi chiediamo, prima di tutto,
che il mondo del credito si adegui per rispondere ad esigenze specifiche, creando prodotti ad
hoc, con modalità specifiche non solo nell’ambito della “raccolta”. Crediamo che, per esempio,
l’esperienza di fondi etici voluti da alcuni istituti
di credito sia stata parziale, dato che non ha
riportato un’eguale ricaduta nel settore degli
impieghi nei confronti del terzo settor e .
L’impressione è che sia stata più un’operazione
di marketing che di sostegno al terzo settore.
Una attenzione particolare deve andare al sistema creditizio che nasce proprio per rispondere a
esigenze di questo tipo. La cosi’ detta finanza
etica è nata a sostegno di queste realtà considerate non bancabili.
In questo settore riponiamo molte speranze.
Stiamo, infatti, attendendo, con l’inizio dell’attività della Banca Etica, una diffusione più capilla-
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re sul territorio. Ascolteremo in seguito le esperienze che arrivano dall’estero dove si opera più
concretamente. Comunque non sempre le banche etiche nel mondo hanno dato risposte soddisfacenti al problema delle garanzie e dei tassi. É
probabile che da sole non siano in grado di farlo.
Certo è che le aspettative riposte nei confronti di
Banca Etica e di altri strumenti della finanza
etica sono molto elevate.
Siamo altresì molto interessati alle pro p o s t e
nuove che arrivano dai soggetti del credito tradizionale. Nel momento in cui tutta la nostra
società sta ripensando il meccanismo del welfare
stiamo lavorando sulle nuove normative ad un
sistema così detto “welfare mix”. Un sistema in
cui le istituzioni programmano e realizzano la
loro attività insieme al terzo settore. É evidente
che, soprattutto in questo sistema e su questo
meccanismo di rapporti fra vari livelli e strutture
delle società, le istituzioni non possono rimanere
a guardare. Non possono neanche considerare il
meccanismo del “welfare mix” come una delega
ad altri soggetti, senza che, contemporaneamente, vengano attivati nuovi strumenti che consentano a questi di sopravvivere nella società e
quindi addirittura nel mercato. É necessario che
le istituzioni insieme al terzo settore comincino,
perciò, a trovare soluzioni soprattutto nel settore
delle garanzie. C’è una proposta che noi ci sentiamo di lanciare in questo convegno: quella di
pensare alla costituzione di fondi di garanzie che
funzionino come intermediari fra il mondo del
credito e il settore del non profit. Mentre le istitu zioni chiedono al terzo settore di svolgere un
ruolo attivo, concreto nel nuovo meccanismo di
stato sociale, le associazioni chiedono per contro
un aiuto, non solo in termini economici ma
anche in termini strumentali. Possiamo pensare
a strutture, come quelle utilizzate per altri segmenti, dei consorzi fidi e immaginare che fun-
zionerebbero oltre il settore della cooperazione
sociale. Poiché questo è il titolo del mio intervento, chiederei al sistema creditizio e alle istituzioni di essere in qualche modo strumenti di supporto e non solo erogatori di denaro. E ancora: i
Centri di Servizio del Volontariato sono una
grandissima novità nel panorama italiano. I
Centri di Servizio possano superare, da soli o
coinvolgendo le istituzioni locali, il meccanismo
dei servizi tradizionali (consulenza, formazione,
informazione ecc.) e pensare a servizi di partecipazione (ad esempio consorzi fidi), cioè strumenti di garanzia nei confronti del sistema bancario. Credo che questo debba essere uno degli
elementi da valutare in questi giorni di lavoro.
Mi auguro che le istanze che il mondo del terzo
settore ritiene di sottoporre all’attenzione del
sistema bancario tradizionale e nuovo della
finanza etica e anche delle istituzioni possa, alla
fine di questo convegno, tradursi in proposte
pratiche e concrete; anche per verificare una fase
di sperimentazione utilizzando la disponibilità
del centro Servizi che in qualche modo riesce ad
esserne protagonista. Grazie alla scelta di avere
in Toscana un centro unico, il CESVOT è candidato preferenziale ad una sperimentazione in
questo campo. Siamo disponibili se tro v i a m o
partners che abbiano la volontà di fare lo stesso
percorso.
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“LE DIFFICOLTÀ E LE PROPOSTE DEL
SISTEMA CREDITIZIO”
Stefano Bellaveglia Consiglio di Amministrazione del
Monte dei Paschi di Siena s.p.a.
Premessa
Nelle società avanzate, la crescita economica e il
progresso non eliminano ma anzi di frequente
estendono a nuove fasce di popolazione le
disparità di trattamento, tanto nel godimento
dei diritti fondamentali quanto nell’accesso alle
opportunità proprie di un’economia di mercato.
La domanda di intervento sociale che ne deriva
viene soddisfatta - in gran parte - dal ruolo svolto d la famiglia e dallo Stato. Tuttavia, per le trasformazioni che oggi investono queste istituzioni, il loro intervento - per quanto importante e
insostituibile - necessita di sempre maggiori
integrazioni.
Da qui nasce la possibilità che le organizzazioni
che operano nel privato sociale svolgano un ruolo
sempre più rilevante nel contenere le disparità
sociali e nel trovare modalità di intervento adeguate nel recuperare, o quanto meno nel ridurre,
le penalizzanti differenze di trattamento che si
possono manifestare tra la popolazione.
Per svolgere al meglio il ruolo - sempre più
importante - che anche un’autonornia di mercato gli riconosce, il privato sociale - come ha
autorevolmente sostenuto il Direttore Generale
della Banca d’Italia - deve però caratterizzarsi
per trasparenti assetti di controllo, essere capace
di raccogliere risorse e di indirizzarle verso finalità sociali; deve essere efficiente per corrispondere al meglio all’esigenza di solidarietà sociale
e, infine, deve essere soggetto autonomo di servizio, generatore di nuove competenze, di capa-
cità imprenditoriali e non mero intermediario di
risorse pubbliche1.
É un tale contesto - credo - che si debba porre il
problema del finanzianiento del privato sociale
e del compito che, in tal senso, può svolgere il
sistema creditizio.
Dedicherò il mio intervento, in gran parte, alle
specifiche iniziative avviate dagli intermediari
finanziari, non senza aver brevemente accennato alle caratteristiche assunte dal terzo settore in
Italia e al compito (rilevante) che spetta alle fondazioni di origine bancaria.
Il terzo settore
L’importanza del settore non profit si manifesta
non solo sul piano etico - culturale - come fenomeno la cui diffusione evidenze la cre s c i t a
umana e civile della società italiana - ma anche
su quello economico.
In particolare, ernerge lo spessore sempre più
vasto e articolato del volontariato sociale e della
cooperazione sociale. Il primo raduna persone
che impiegano parte del loro tempo, delle proprie competenze e risorse per aiutare individui
o gruppi i stato di necessità. L’importanza del
loro ruolo è stata confermata dal Parlamento
stesso che, con la legge n. 266 del ‘91, ha disciplinato e promosso il volontariato e le sue organizzazioni.
La cooperazione sociale è costituita da cooperative che gestiscono servizi sociosanitari ed educativi, svolgono attività finalizzate in favore di
portatori di handicap, tossico dipendenti, fornendo anche servizi domiciliari ed è stata disciplinata dalla legge n. 381 sempre del 1991.
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Gli enti non profit sono in grado di rispondere
con efficacia ai bisogni specifici di particolari
segmenti sociali o di settori, caratterizzati anche
da notevoli differenziazioni nella domanda.
di gestire in proprio una o più attività socialmente utili oppure di caratterizzarsi, in tutto o in
parte, come erogatori di sostegno finanziario ad
attività di terzi ritenute meritevoli.
É funzionale, del resto, a rale attività il capillare
radicamento sul territorio e la capacità dimostrata nel selezionare gli interventi necessari al soddisfacimento dei bisogni non standardizzati.
In quest’ultimo caso - è evidente - si tratta di sviluppare adeguate capacità di selezione delle iniziative proposte, nonché‚ di verifica della destinazione dei fondi erogati e dei risultati conseguiti.
La crescita della solidarietà, del volontariato e
dell’intero terzo settore fortemente e ampiamente auspicata per ampliare le aree di protezione
sociale e per instaurare una proficua relazione di
complementarità tra gli interventi di utilità
sociale di carattere privato e quelli di natura
pubbllica, delimitati dalle inefficienze che affliggono i servizi pubblici e dalle stesse esigenze di
riequilibrio dei conti dello Stato.
La lettura dei bilanci delle fondazioni mostra che
l’importo complessivo delle erogazioni effettuate a fini istituzionali - e quindi in favore della
ricerca scientifica, dell’istruzione, dell’arte, della
conservazione e valorizzazione dei beni culturali
e ambientali, della sanità e delle categorie sociali
deboli - nell’esercizio 1995/96 è aumentato di
oltre il 37% rispetto al precedente, passando da
385 a 528 rniliardi2.
Le fondazioni di origine bancaria
Con la legge Amato-Carli, all’inizio di questo
decennio, fu dato avvio - come è noto - alla riforma delle banche pubbliche, scorporando le originarie finalità sociali di assistenza e beneficenza
proprie degli Istituti di credito di diritto e delle
Casse di Risparmio, dall’attività bancaria vera e
propria.
Un importo questo in linea con le contribuzioni
al terzo settore delle grandi fondazioni bancarie
europee e che potrà crescere significativamente
con il miglioramento della redditività bancaria e
con una ulteriore diversificazione dell’attivo
delle fondazioni.
Le prime funzioni furono affidate le fondazioni,
le altre a società per azioni.
L’intervento degli intermediari finanziari.
Il finanziamento del settore non pro profit può
avvenire attraverso quanto canali e cioè: trasferimenti dello Stato, donazioni dei privati, autofinanziamento e capitale di debito.
Le fondazioni di origine bancaria, per i patrimoni di cui dispongono ed essendo esse stesse operatori non profit, possono attivamente contribuire
allo sviluppo del terzo settore, individuando le
aree di intervento e alimentando la crescita di
iniziative di utilità sociale.
In Italia, l’ammontare delle donazioni dei privati
non è elevato - anche per la mancanza di un trattamento fiscale di favore - mentre quello dei contributi pubblici non può non risentire dei vincoli
posti alla crescita della spesa pubblica.
Nel perseguire tali finalità, la legge consente loro
In tale quadro, si inseriscono le iniziative avviate
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dal sistema bancario in favore del settore non
p ro f i t, con la diffusione presso la clientela di
strumenti di raccolta finalizzati.
Si tratta dei fondi comuni mobiliari, conti correnti e certificati di deposito cosiddetti etici. Tali
prodotti - che hanno al momento una limitata
diffusione - prevedono in genere che i sottoscrittori di quote di fondi comuni o i depositanti
devolvano parte della remunerazione loro spettante o dei canoni periodici dovuti a favore di
enti non pro f i t eventualmente anche indicati
dallo stesso investitore nell’ambito di una lista
predisposta dall’intermediario finanziario.
In tal modo le soluzioni proposte assumono o i
caratteri della donazione vera e propria o quelli
del finanziamento a condizione di favore, quando alla mera devoluzione degli utili o dei guadagni realizzati si accompagna, o si sostituisce,
il vincolo per l’intermediario ad investire le
somme ricevute in iniziative conformi a determinati canoni etici o dirette al perseguimento di
particolari e predefiniti obiettivi sociali.
Immagine e reputazione che la vendita dei prodotti etici intende rafforzare soprattutto presso
quei segmenti di clientela più sensibili alle esigenze del settore non pro f i t e che, di norma,
compensano - almeno in parte - i costi organizzativi, ma anche di opportunità che l’intermedio
ostiene nella produzione e nel collocamento di
tali prodotti.
Caratteristiche dell’offerta
Di intermediari che operano attivamente e proficuamente nella finanza etica esistono significative e interessanti realtà soprattutto all’estero,
mi riferisco in particolare alla Grameen Bank
del Bangladesh, che svolge attività creditizia a
f a v o re degli agricoltori delle aree rurali più
povere di quel paese. Ma esistono esperienze
interessanti anche in Germania (la Okobank), in
Olanda (la Trdios Bank), in Svizzera (la Banca
Alternativa Svizzera) e di altri intermediari la
cui attività consiste nel favorire lo sviluppo
delle piccole imprese in paesi del terzo mondo,
ovvero in aree depresse dei paesi più industrializzati.
Negli Stati Uniti d’America grande interesse ha
suscitato la Ilinois Neighborhood Development
Corporation creata da azionisti non profit e attiva nel finanziamento delle aree periferiche più
degradate delle grandi città, soprattutto
Chicago.
Il caso di quest’ultima banca è significativo, in
quanto essa è riuscita a coniugare il rispetto dei
requisiti di vigilanza e quindi di prudenza nell’erogazione del credito con una pluralità di servizi di assistenza e di promozione.
In Italia, l’offerta della così detta finanza etica si
sta realizzando attraverso i fondi comuni e i
conti etici proposti dalle banche commerciali e
attraverso la costituzione della prima vera e
propria Banca Etica3.
I fondi e i conti etici ad oggi attivati - e su cui
poi mi soffermerò - possono essere suddivisi in
due grandi categorie: nella prima rientrano le
iniziative che consentono di devolvere al terzo
settore parte degli interessi ottenuti o dei costi
dovuti e, nella seconda le iniziative che consentono di indirizzare direttamente a prestabilite
finalità sociali i capitali raccolti.
Siamo in presenza, pertanto, nel primo caso di
un contributo vero e proprio e, nel secondo di
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un’erogazione di capitali di credito da utilizzare
e rimborsare con l’attività svolta.
Per scendere nei dettagli, nella prima categoria
si collocano le iniziative avviate dalla Banca
Popolare Commercio e Industria, dalla Banca
P o p o l a re di Milano, dal Gruppo A k ros, dalla
Banca Popolare di Bergamo, dall’Ambroveneto e
dal Gruppo Ras.
La Banca Popolare Commercio e Industria offre,
dal 1994, ai risparmiatori la possibilità di aprire
un conto corrente in cui tutte o parte delle eompetenze di fine anno possono essere devolute ad
una organizzazione umanitaria predefinita.
Una iniziativa analoga è stata avviata - nel ‘95 pure dalla Banca Popolare di Milano, che ha previsto anche particolari gevolazioni alle associazioni del terzo settore che appoggiano alla banca
le loro transazioni finanziarie, tra cui la possibilità di usufruire di spazi espositivi e di indire
riunioni e assemblee in locali messi a disposizione dalla banca stessa.
Conti correnti in cui il titolare può decidere di
devolvere parte degli interessi maturati o delle
stesse somme depositate vengono offerti dalla
Banca Popolare di Bergamo (c.d. conto progresso) e dall’Ambroveneto (c.d. progetto girotondo).
Quest’ultimo offre anche un conto corrente con
canone fisso (18 mila lire) parte del quale viene
devoluto a talune associazioni per conto della
banca e del cliente.
Diversa è l’offerta delle Casse Rurali trentine che emettono dei certificati di deposito etici - a r endimento
dimezzata rispetto ai tassi di mercato - con cui vengono finanziate a tasso agevolato le imprese sociali.
Con riguardo ai fondi comuni etici, quello
proposto dal Gruppo Akros (Azimut solidarietà) consente di devolvere i guadagni eccedenti una determinata soglia a organizzazioni
umanitarie. Akros, da parte sua, contribuisce
all’iniziativa di solidarietà versando a tali
organizzazioni parte delle commissioni che le
spettano.
Anche l’iniziativa avviata dal Gruppo Ras presenta caratteristiche analoghe.
Fondicri propone un fondo - Fondo Mondiale
Roma Caput Mondi - in cui una parte dell’investimento del sottoscrittore viene destinato
alla salvaguardia e al recupero del patrimonio
artistico e culturale di Roma.
Vi è poi un gruppo di fondi etici - Gestnord
ambiente (Gestnord fondi), Green equity fund
(Euromobiliare), San Paolo Hambros salute e
ambiente (Sanpaolo Fondi) - aventi caratteristiche simili e cioè: il sottoscrittore ver i capitali
nel fondo che seleziona le società in cui investire in base a criteri di rispetto ambientale (trattasi di società operanti nei settori dello smaltimento dei rifiuti industriali, del controllo dell’inquinamento dell’acqua e dell’aria, dell’energia pulita o nella produzione di prodotti per la
cura della persona e dell’ambiente).
Infine, un cenno al cosiddetto sistema etico
p roposto da Sanpaolo Fondi: trattasi di tre
fondi comuni (uno azionario, uno obbligazionario e uno bilanciato) che si propongono di
investire le risorse raccolte in base a principi
etici (ad es.: non investono in aziende indifferenti alla tutela dell’arnbiente o che sfruttano il
l a v o ro minorile, né in titoli di Stati che non
rispettano i diritti umani).
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Circa il progetto di Banca Popolare Etica a cui,
negli ultimi anni, hanno contribuito più di 12
mila persone, la Banca d’Italia - come è noto - ha
recentemente dato l’autorizzazione necessaria
all’avvio operativo della banca che inizierà l’attività nei primi mesi dell’anno in corso avvalendosi, nel giro di un paio di anni, di 13 sportelli e
di una rete di promotori finanziari, nonché - da
subito - di un accordo con la Federcasse che renderà posibile distribuire i prodotti della banca
anche attraverso 2.700 sportelli delle banche di
credito cooperativo.
Accordi analoghi - finalizzati anch’essi ad accrescere le possibilità di collocamento dei prodotti
(in tagli da 1 a 10 milioni e di durata semestrale)
e obbligazioni (in taglio minimo da 20 milioni e
durata di oltre i tre anni). La Banca popolare
Etica offrirà anche in conto corrente, dotato di
carta di credito e bancomat, ma senza l’utilizzo
degli assegni.
Gli investitori potranno indicare in quale settore
o iniziativa investire i loro fondi e si vedranno
riconosciuti rendimenti inferiori a quelli di mercato, onde finanziare a tasso agevolato i progetti
del settore non profit.
Le iniziative della Banca MPS
Iniziative nel campo della finanza etica sono in
corso anche nella Banca Monte dei Paschi di
Siena, dove recentemente è stato approvato un
progetto delle competenti funzioni che propone
il lancio di certificati di deposito e di conti correnti a ciò finalizzati. Tali prodotti prevederanno
la devoluzione di una parte del rendimento (i
certificati di deposito) o del canone fisso mensile
(il conto corrente) a finalità sociali meritevoli,
selezionate anche con l’ausilio del cliente investitore.
Le difficoltà delle esperienze in atto
Il successo nella finanza etica dipende certamente da molti fattori.
Un problema che si pone quando le banche che ovviamente in quanto imprese hanno
come obiettivo il profitto - propongono alla
loro clientela soluzioni finanziare vincolate, o
nell’utilizzo dei contributi versati o nella
destinazione delle risorse raccolte, è quello di
predisporre presidi organizzativi e contabili
che rendano trasparente all’investitore l’attività svolta in favore del terzo settore.
Inoltre, con la sua attività di finanziamento
l’intermediario deve r e a l i z z a re vantaggi
e ffettici nei confronti del beneficiario, non
senza tuttavia allentare più di tanto i criteri
tecnici di selezione, né trascurare il rispetto
del principio generale di economicità della
gestione e la stessa specializzazione nei conf ronti del terzo settore deve risultare pur
sempre compatibile con la normativa e i principi dell’ordinamento creditizio.
O c c o r re, dunque, individuare meccanismi
volti a limitare i rischi di credito: meccanismi
che consentano di coniugare da un lato le esigenze di stabilità dell’intermediario erogante
il finanziamento e dall’altro i bisogni e gli
obiettivi individuati di assistenza e supporto
finanziario al terzo settore.
Tutto ciò - è evidente - assume particolare
importanza soprattutto quando si voglia
costituire una banca con lo scopo di finanziare il non profit raccogliendo depositi presso il
pubblico ma anche quando - come si è detto si intenda fornire finanziamenti al terzo settore.
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Del resto l’esperienza estera comprende anche
casi di fallimento di vari progetti o di iniziative non compiutamente decollate.
Minori difficoltà si incontrano - ovviamente quando l’intermediario si limita a raccogliere e
indirizzare fondi verso gli enti non profit giudicati meritevoli, soprattutto se la scelta dei
benefciari viene lasciata al cliente.
Il successo delle iniziative della banche è
anche legato alla presenza di personale particolarmente motivato, come pure di una clientela sensibile alle esigenze dei beneficiari e
disposta in qualche modo a sostenerle e finanziarle nel ternpo.
Nei paesi dove le istituzioni non profit hanno
assunto uno spessore rilevante, esse competono, in molti casi, con quelle commerciali anche
sul mercato delle risorse finanziarie, ottenendo
fondi dagli intermediari sulla base della solvibilità e della reputazione acquisite nel tempo4.
Quando l’intermediario eroga all’irnpresa non
p ro f i t un finanziamento, problematiche del
tutto particolari possono sorgere allorché l’impresa non è in grado di rimborsare il prestito
ricevuto in quanto se per il suo recupero l’intermediario procede esecutivamente può correre il rischio di assumere, nei confronti della
comunità, un p ò la veste di chi antepone i
propri interessi a quelli umanitari e sociali perseguiti dal beneficiario.
É per questo che il finanziamento al terzo settore, con capitale di debito, può probabilmente
essere meglio fornito da intermediari specializzati nel comparto e cioè nella cosiddetta
intermediazione etica.
Come abbiamo visto, il mercato finanziario
etico in Italia ha appena cominciato a muovere
i suoi primi passi e, proprio per questo, merita
di maggiori incentivi, soprattutto di natura
fiscale. Lo stesso Legislatore e il Governo ne
sono consapevoli.
Nell’ambito della riforma Visco, infatti, il
decreto legislativo n. 460 del 4 dicembre 1997
sugli enti non commerciali e le organizzazioni
non lucrative di utilità sociale (ONLUS) ha previsto, all’art. 29, anche la possibilità di accordare appositi incentivi fiscali, per re n d e re più
agevole l’offerta sul mercato di titoli cosiddetti
di solidarietà.
Tale norma resta tuttavia al momento sulla
carta per la mancanza dei decreti di attuazione
previsti5.
Non c’è da augurarsi - in conclusione - che,
anche sul piano fiscale, la finanzaa etica possa
godere in futuro di adeguati incentivi, estesi
non solo ai titoli do solidarietà ma anche a quegli strumenti - come i fondi comuni di investimento etici - ai quali le agevolazioni previste
dal citato decreto legislativo non potranno
applicarsi.
Gli incentivi di cui oggi i fondi comuni etici
possono godere appaiono infatti limitati e
insufficienti, con il rischio di non poter utilizzare appieno in Italia - come al contrario avviene in Inghiliterra e negli Stati Uniti - le indubbie potenzialità di crescita di tali strumenti.
Note
1 C f r.
V. Desario, Il finanziamento del privato sociale, in Bollettino
Economico della Banca d’Italia n. 28/97 pag. 77
2Cfr. Acri, Terzo rapporto sulle fondazioni bancarie, aprile 1998, pag, 86
33
34
3Cfr.
A. Caloia, Ruolo e caratteristiche del risparmio etico in Italia, in Il
risparmio n. 6/1995, pag. 1141 e seg. E. Marchesini, Allo sportello o dal
gestore investimenti a fin di bene, in Il Sole 24 Ore del 3 gennaio 1999, pag.
17
4Cfr, V. Desario, Solidarietà ed etica della finanza: rapporto tra sistema
finanziario e Terzo Settore, in Documento della Banca d’Italia n. 558/97,
pag. 26
5Cfr, E. Narduzzi e L. Bobba, Finanza etica al palo senza incentivi fiscali, ne
Il Sole 24 Ore del I agosto 1998.
“IL FONDO DI DOTAZIONE PER LA
COOPERAZIONE SOCIALE”
Leonello Castaldelli, Fidi Toscana
Grazie al presidente, alla segreteria organizzativa e alle vostre associazioni per l’invito a partecipare ai vostri lavori.
Due parole per chi non conoscesse Fidi Toscana.
Fidi Toscana è la finanziaria della Regione e
delle banche prevalentemente Toscane con significative presenze di banche non toscane operanti
a livello nazionale. La finalità che il legislatore
regionale nel 1975 affidò a questa società era
quella di rilasciare le garanzie sussidiarie per
a g e v o l a re l’accesso al credito delle piccole e
medie imprese. Come noto in Toscana le piccole
e medie imprese sono una realtà portante, diffusa sul territorio, che oggi tendono ad espandersi
anche al di fuori delle tradizionali attività produttive. Mi riferisco al terziario e in questo
ambito anche al settore no profit.
O l t re a questa attività, a partire dal 1993, la
Regione ha pro g ressivamente affidato a Fidi
Toscana la gestione di provvedimenti che agevolano l’accesso al credito alle piccole e medie
imprese. Si tratta di un meccanismo prevalentemente basato su un contributo di conti interessi
che la Fidi Toscana eroga in favore delle imprese
richiedenti quando queste imprese debbono realizzare programmi di investimento. L’intento del
legislatore Regionale e del Consiglio di amministrazione della nostra società è stato quello di
cercare di abbattere, nei limiti del possibile, le
soglie di accesso a questi provvedimenti, dal
punto di vista bancario e delle procedure.
Due parole sulla nostra attività.
Nel campo delle garanzie siamo oggi a circ a
1650 miliardi di crediti garantiti, erogati dal
sistema bancario, mediamente garantiti al 50%.
L’aspetto delle garanzie interessa anche le coo-
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perative sociali in quanto rappresenta un presidio del rischio richiesto dalle banche per la concessione di finanziamenti che può essere risolto
ricorrendo appunto alla Fidi Toscana. In materia
di elargizioni gestite da Fidi Toscana con fondi
regionali si può valutare in circa 1400 miliardi
l’entità degli investimenti realizzati negli ultimi
anni da 4570 imprese. Complessivamente sono
stati erogati dalle banche finanziamenti per 900
miliardi a fronte del miliardo e 400 milioni di
investimenti. L’entità dei contributi in conto
interessi e in conto capitale erogati ammonta a
circa 80 miliardi di lire.
L’incremento di occupazione nelle imprese che
hanno fatto ricorso a questi strumenti è di circa
7200 unità, non poche per una regione come la
nostra, di cui ben 2186 a valere sulla legge
27/93, la legge che incentiva la costituzione di
nuove imprese da parte dei giovani imprenditori. Questo è uno strumento al quale anche le
vostre associazioni possono fare ricorso, al di la
di quello che è lo strumento specifico che il legislatore regionale ha studiato per voi.
Qual è il meccanismo? Voi partite con un’iniziativa (es. vi serve un pulmino, o un ufficio, o un
computer, vi servono delle scrivanie delle sedie
dei telefoni) vi serve cioè quello che tecnicamente noi chiamiamo il capitale fisso di un’impresa,
ammettiamo per l’importo di 100 milioni, di cui
l’imprenditore collettivo (società cooperativa)
dispone solo in parte. Per la differenza deve fare
ricorso al credito bancario. Qui inizia un percorso che non sempre si risolve in maniera totalmente positiva perché subentra, obbiettivamente, un problema di analisi del rischio da parte
della banca in relazione alla solvibilità del soggetto che ricorre al finanziamento, ed alla sua
capacità di produrre reddito futuro in misura
tale da poter garantire il servizio del debito in
linea capitale e per interessi. Occorre inoltre tro-
vare un presidio al rischio perché un’impresa
non si può finanziare sulla parola o esclusivamente su un piano basato sulle aspettative in
assenza di una storia pregressa e quindi della
possibilità di verificare gli andamenti e la redditività. Quindi c’è un problema che riguard a ,
primo: le condizioni di accesso al credito sotto il
profilo del costo per l’impresa, secondo: sotto il
profilo del presidio del rischio, cioè delle garanzie che chi finanzia deve acquisire, terzo della
redditività e quindi della verifica sulla compatibilità complessiva di un finanziamento. Fidi
Toscana cerca di dare un contributo alla soluzione di queste problematiche attraverso un duplice intervento. Da una parte costituendo un
fondo, con le risorse finanziarie della Regione
destino all’erogazione di contributi in conto interessi alle imprese che richiedono finanziamenti
bancari per pagarsi il capitale fisso, dall’altra con
il rilascio di garanzie.
Noi abbiamo stipulato convenzioni con quasi
tutte le banche operanti in regione: il gruppo
bancario Monte dei Paschi, la Banca Toscana,
Cariprato, il Mediocredito Toscano, con il sistema delle Casse di Risparmio, con la Banca
Nazionale del Lavoro, con le Banche di Credito
Cooperativo. Siamo quindi capillarmente presenti sul territorio attraverso gli sportelli bancari
che conoscono questa procedura, hanno la
nostra modulistica e quindi sono in grado di
d a re informazioni e di istru i re le pratiche di
finanziamento.
Per le cooperative sociali il finanziamento agevolato “INSIEME” può essere richiesto il finanziamento fino al 75% delle spese di investimento, con un massimo di 300 milioni, al tasso di
riferimento, attualmente pari al 5,40%.
Su questo tasso c’è un contributo in conti interessi, del 4%. Le condizioni di costo per le cooperative sono quindi estremamente favorevoli. La
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durata massima dei finanziamenti è di 10 anni.
Quali sono le procedure? Sono assai semplici. La
società o cooperativa sociale interessata inoltra
la domanda di agevolazione alla Fidi Toscana.
La Fidi toscana eroga il contributo a realizzazione avvenuta dell’investimento.
Le domande pervenute a Fidi Toscana, purché
e n t ro la fine del mese precedente il trimestre
solare, entrano nelle graduatorie trimestrali in
base alla data di completamento della documentazione. Viene effettuato il calcolo del contributo
a realizzazione dell’investimento. Il meccanismo
è semplice basta seguire le istruzioni.
Il provvedimento “INSIEME” è partito dall’aprile ’98. In questo primo periodo di attività abbiamo ammesso al contributo 24 domande per
4.287.000.000 di investimenti cui corrispondono
3miliardi 178 milioni di finanziamenti agevolativi e contributi per circa 490.000.000 di lire. Le
risorse finanziarie libere sono di circa 500 milioni a disposizione delle nuove domande.
Un osservazione conclusiva. Con la legge 87/- il
legislatore regionale si è fatto carico di un settore
di attività che rientra nell’ambito del no profit.
Oggi stiamo assistendo a modificazione progressiva delle esigenze sociali. Si ha bisogno di maggiore assistenza, c’è una sensibilità diversa verso
tutti coloro che non sono pienamente in possesso
delle facoltà psicofisiche ecc. e quindi nascono
una serie di realtà sul territorio che intendono
p o r t a re contributi alla società. Tutto questo è
nello spirito di questo provvedimento che noi ci
auguriamo possa essere adeguatamente rifinanziato in relazione alla domanda potenziale di
questo settore.
“STRUMENTI DEL CREDITO PER I
SOGGETTI NON-PROFIT
Fondo di dotazione per la cooperazione sociale”
Giorgio Kutufà Presidente Fidi Toscana S.p.A.
Desidero innanzitutto ringraziare gli organizzatori di questo convegno per l’invito di partecipazione rivolto alla nostra società. Permettetemi pertanto - di spendere due parole sull’attività di
Fidi Toscana per inquadrare l’argomento.
Fidi Toscana è nata nel 1975 per iniziativa della
Regione Toscana e delle principali banche operanti nella regione con l’obiettivo di agevolare
l’accesso al credito alle piccole e medie imprese
che presentano prospettive di crescita ma non
sono dotate di adeguate garanzie.
Con queste finalità Fidi Toscana rilascia garanzie
s u s s i d i a r i e alle minori imprese fin dalla sua
costituzione ed opera in stretta collaborazione
con il sistema bancario.
Oltre al rilascio di garanzie Fidi Toscana gestisce
le agevolazioni finanziarie, pre v a l e n t e m e n t e
sotto forma di concessione di contributi in conto
i n t e ressi, che le sono affidate dalla Regione
Toscana.
É presente nel campo della finanza d’impresa
con attività dedicate alla consulenza tecnicofinanziaria volta al reperimento di appropriate
fonti di finanziamento degli investimenti e dei
programmi di sviluppo delle minori imprese.
Nel campo dell’innovazione finanziaria F i d i
Toscana opera con strumenti specifici. Può assumere partecipazioni di minoranza nel capitale
delle imprese industriali e del terziario, nelle
imprese agricole, dell’acquacoltura, della pesca e
della caccia.
Fidi Toscana, con le sue attività, vuole rappresentare uno strumento al servizio delle imprese in
grado di fornire risposte adeguate al fabbisogno
finanziario correlato alle esigenze di sviluppo.
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Sotto questo profilo sono interessanti i risultati
raggiunti nell’attività di rilascio di garanzie sussidiarie. I crediti garantiti dalla nostra società
alla data odierna ammontano a 1.625 miliardi di
l i re, in termini di consistenza complessiva, a
8,865 piccole e medie imprese della Regione.
Significativi appaiono anche i risultati raggiunti
nella concessione delle agevolazioni finanziarie,
a partire dalla legge sull’imprenditoria giovanile
(L.R. 27/93) agli ultimi provvedimenti varati
dalla Regione Toscana, fra cui il fondo destinato
alla concessione di contributi in conto interessi
alle cooperative sociali, oggetto, appunto dell’odierno convegno.
Nell’insieme gli investimenti realizzati con il
contributo regionale assommano a 1. 334 miliardi di lire per 4.577 imprese. I finanziamenti agevolati erogati ammontano a L. 885 miliardi ment re i contributi ammessi sono stati di L. 76
m i l i a rdi. L’ i n c remento dell’occupazione per
effetto degli investimenti agevolati ammessi è
stato di 7.200 unità, di cui 2.186 a valere sulla
legge per l’imprenditoria giovanile, la 27/93.
Nel calcolo degli investimenti realizzati non
sono stati considerati quelli a valere sulla provvista finanziaria agevolata - che rappresenta una
diversa modalità di incentivazione degli investimenti - a valere sui provvedimenti regionali per
il turismo, noti con ALFA e BETA e per le imprese manifatturiere (IRIDE).
Il contributo in conto interessi
La maggior parte delle agevolazioni creditizie
gestite da Fidi Toscana con risorse finanziarie
messe a disposizione dalla Regione Toscana è
basata sulla concessione di un contributo in
conto interessi sui finanziamenti concessi dalle
banche per la realizzazione degli investimenti e
dei programmi di sviluppo previsti dalle normative regionali di riferimento.
I vantaggi per l’impresa beneficiaria sono i
seguenti:
a) la banca applica al finanziamento un tasso di
interesse inferiore al tasso di mercato, che corrisponde al tasso di riferimento per le operazioni
oltre i 18 mesi. Il tasso di riferimento è stabilito
ogni mese dal Ministro del Tesoro ed è pubblicato dalla stampa quotidiana, attualmente è pari al
5,40%;
b) un’ulteriore diminuzione del costo del finanziamento per l’impresa è dato dal contributo in
conto interessi. Tale contributo viene di norma
erogato all’impresa beneficiaria in forma attualizzata. Si trasforma, cioè, in valore attuale la
quota parte del tasso di interesse prevista dall’agevolazione. Il contributo attualizzato è erogato
all’impresa in un’unica soluzione al completamento dell’investimento.
La misura dell’agevolazione varia in relazione al
tipo di impresa, al tipo di investimento, all’ubicazione geografica ed alla struttura dei tassi di
interesse vigente al momento della concessione
dell’agevolazione.
Fidi Toscana pubblica apposite schede informative distribuite alle banche convenzionate ed alle
organizzazioni delle categorie economiche, che
illustrano le caratteristiche dei singoli provvedimenti agevolativi.
Se mi si consente un’ulteriore osservazione di
carattere generale vorrei dire che in un sistema
di imprese come quello della nostra re g i o n e ,
caratterizzato da un eccessivo indebitamento
bancario a breve termine, le agevolazioni creditizie, in quanto leva di finanziamenti a protratta
scadenza, rappresentano un importante fattore
riequilibrativo delle fonti di finanziamento del
capitale investito e costituiscono pertanto una
risposta assai significativa alle esigenze del sistema delle imprese.
Oggi siamo nell’ambito di una particolare tipolo-
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gia di impresa, che rientra nel cosiddetto settore
del non -profit.
In una società complessa come l’attuale in cui le
esigenze dei servizi crescono a vista d’occhio, l’importanza delle attività non profit è destinata necessariamente ad aumentare. Operare, sotto forma di
impresa, all’insegna del non-profit non significa
abdicare ai principi di efficacia e di efficienza.
Al contrario, è convinzione ormai consolidata
che il conseguimento ed il mantenimento nel
tempo dell’equilibrio economico è patrimonio
comune tanto delle imprese che degli enti o
società non-profit. La differenza è nel fatto che
l’ente o la società senza fine di lucro non persegue il profitto come fine esclusivo ma rimane
comunque vincolato, per evidenti ragioni di
sopravvivenza, al conseguimento dei pro p r i
obiettivi all’insegna dell’ economicità della
gestione.
In questo spirito rientrano gli articoli 15 e 18
della legge regionale n. 87 del 24.11.1997 e la successiva deliberazione del Consiglio Regionale n.
386 del 2.12.1997, la cui finalità è appunto quella
di agevolare l’accesso al credito alle cooperative
sociali iscritte all’Albo regionale che realizzano
investimenti.
É significativo che il legislatore regionale abbia
inteso predisporre un fondo di incentivazione
agli investimenti per le cooperative sociali presso la Finanziaria di sviluppo regionale anche con
ciò volendo rimarcare il ruolo che questo settore
può dare alla crescita economica e sociale della
Toscana.
In sintesi le caratteristiche del provvedimento
sono le seguenti:
Beneficiari
Sono beneficiarie le cooperative sociali iscritte
all’Albo regionale ex art. 3 della L.R. 24 novembre 1997, n. 87 “Disciplina dei rapporti tra le coo-
perative sociali e gli enti pubblici che operano
nell’ambito regionale” nella sezione Ao B o C.
Investimenti ammissibili
1. Le spese di investimento ammissibili comprendono, al netto di imposte, tasse, oneri previdenziali e notarili:
a) l’acquisto di terreni o del diritto di superficie;
b) l’acquisto, la costruzione, la ristrutturazione
di fabbricati;
c) l’acquisto di impianti, macchinari, automezzi
ed attrezzature;
d) l’acquisto di brevetti, licenze, marchi, software e spese per la certificazione di qualità;
e) marketing operativo e strategico;
f) spese per l’adeguamento alle normative
vigenti in materia di sicurezza;
g) scorte nella misura massima del 20% dell’investimento totale.
2. L’importo massimo dell’investimento è pari a
L. 300 ml. L’importo massimo del finanziamento
o del leasing agevolato non può essere superiore
al 75% dell’investimento ammissibile.
3. Le spese di investimento ammissibili devono
essere ancora da sostenere o devono essere iniziate non prima di dodici mesi dalla data di presentazione della domanda di contributo a Fidi
Toscana.
4. Il finanziamento o l’operazione di leasing, non
devono essere stati erogati o perfezionati al
momento della presentazione della domanda di
contributo a Fidi Toscana.
5. Ciascuna cooperativa sociale può presentare a
Fidi Toscana più domande di contributo purché‚
a fronte di spese di importo complessivo non
superiore a L. 300 milioni.É da notare come il
l e g i s l a t o re regionale abbia inteso, fra i beni
ammissibili, ricomprendere anche le scorte sia
pure con un massimale, con questo innovando, a
favore del settore, le norme sulle incentivazioni
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che di solito escludono tali beni da quelli su cui
conteggiare i contributi.
Agevolazioni finanziarie
Ai finanziamenti o alle operazioni di leasing agevolabili si applica un contributo in conto interessi
o in conto canoni pari a 4 punti percentuali.
Il contributo è attualizzato ed erogato in una
unica soluzione.
Priorità
Sono prioritarie le domande delle cooperative
sociali finalizzate:
a) alla costruzione, acquisto o ristrutturazione
di beni immobili di proprietà delle cooperative o
ad esse concessi in uso gratuito o affitto purché
di durata almeno pari all’ammortamento del
finanziamento. Tali beni immobili devono essere
destinati alla creazione e sviluppo di Centri
diurni, residenziali o estivi per servizi sociosanitari o educativi o per attività collaterali
all’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati (art. 1 L. 381/91);
b) ai progetti di intervento compresi nel piano
zonale di assistenza sociale ex L. R. 3 ottobre
1997, n. 72 “Organizzazione e promozione di un
sistema di diritti di cittadinanza e di pari opportunità: riordino dei servizi socio-assistenziali e
socio-sanitari integrati”;
c) agli interventi che assicurino l’inserimento
lavorativo di giovani fino a 35 anni di età in
cerca di prima occupazione o l’occupazione di
lavoratori in mobilità;
d) agli interventi in zone di comuni montani.
Le priorità di cui sopra non sono cumulabili e
comportano una anticipazione convenzionale di
60 giorni della data di completamento della
documentazione.
Tasso di interesse
Non superiore al tasso di riferimento per le
imprese industriali, attualmente pari al 5,40%.
Durata
Fino a 10 anni per le seguenti spese:
acquisto di terreni o del diritto di superficie;
acquisto, costruzione, ristrutturazione di fabbricati;
acquisto di impianti.
Fino a 5 anni per le altre spese ammissibili.
Procedura
Fidi Toscana S.p.A. istruisce la domanda di contributo dopo il completamento della documentazione da parte della cooperativa sociale. L a
documentazione deve essere completata, pena la
decadenza, entro 90 giorni dalla prima richiesta
di completamento.
Fidi Toscana S.p.A. concede ogni tre mesi i contributi alle cooperative sociali che siano in possesso dei necessari requisiti e che abbiano completato la documentazione almeno 30 giorni
prima della fine del trimestre, secondo una graduatoria costituita in base all’ordine cronologico
della data di completamento della documentazione, tenendo conto delle priorità.
Fidi Toscana S.p.A. trasmette comunicazione
dell’avvenuta concessione dei contributi al beneficiario interessato e alla banca o alla società di
leasing finanziatrice.
La banca o la società di leasing finanziatrice
comunica a Fidi Toscana S.p.A. le proprie decisioni in merito, entro tre mesi dal ricevimento
della comunicazione di Fidi Toscana S.p.A.
Fidi Toscana S.p.A. eroga i contributi in conto
interessi o in conto canoni attualizzati in un’unica soluzione, in concomitanza con la prima scadenza utile prevista dal piano di ammortamento
del finanziamento o del leasing. Il tasso di attua-
45
46
lizzazione è pari al tasso ufficiale di sconto in
vigore alla data della graduatoria di concessione
dei contributi.
Erogazione
L’ e rogazione dei contributi attualizzati è
subordinata:
a) alla realizzazione dell’investimento da
parte della cooperativa sociale e all’erogazione
a saldo del finanziamento o al perfezionamento dell’operazione di leasing, nonché‚ all’acquisizione di una dichiarazione sostitutiva di
atto notorio, rilasciata dalla cooperativa sociale ai sensi degli arti. 4 e 20 della Legge
4.1.1968, n. 15, attestante che l’investimento è
stato effettuato ed è conforme al pro g e t t o
ammesso ai contributi.
Non alterano la conformità al progetto di investimento ammesso ai contributi eventuali
modifiche che, fatte comunque salve le finalità
dell’investimento, non spostino in misura
superiore al 20% l’importo globale e la proporzione tra le diverse tipologie di spesa (immobili; impianti, macchinari, arredi, attrezzature,
altre spese).
In ogni caso i contributi sono erogati in relazione all’importo dell’investimento effettivamente realizzato dalla cooperativa sociale e
comunque non oltre l’importo del progetto di
investimento ammesso ai contributi;
b) all’acquisizione, ove prevista, della certificazione ai sensi del D. Lgs. n. 490/94 (antimafia).
Il diritto al contributo decade ove la cooperativa sociale non completa l’investimento entro
18 mesi dalla data della graduatoria di concessione dei contributi medesimi e non ottenga,
e n t ro tale data l’erogazione, anche parziale,
del finanziamento o il perfezionamento dell’operazione di leasing.
Compensi
Fidi Toscana S.p.A. percepisce dai richiedenti,
al momento dell’ammissione al contributo, un
compenso di L. 600.000 (oltre IVA) per ogni
domanda presentata.
Garanzie sussidiarie
Fidi Toscana S.p.A. può rilasciare garanzie
sussidiarie sulle operazioni di finanziamento
p reviste dalla L.R. 87/97 nell’ambito delle
disposizioni di legge e statutarie che ne disciplinano l’attività.
Per dare operatività al provvedimento testé illustrato - da noi denominato “INSIEME” - è stato a
suo tempo costituito un apposito fondo per la
concessione di contributi in conto interessi dell’importo di L. 1.000 milioni.
Alla data odierna, dopo circa sette mesi di attività, sono pervenute a Fidi Toscana 30 domande
di agevolazione per circa 5 miliardi di investimenti. Le domande erogate e deliberate assommano a n. 24 per un totale di 4.287 milioni di
investimenti a cui corrispondono 3.178 milioni
di finanziamenti agevolabili per 482,9 milioni di
contributi in conto interessi.
Rimangono disponibili per ulteriori interventi
493 milioni di risorse finanziarie non impegnate.
Riteniamo tali risultati abbastanza significativi
tenuto conto del periodo limitato di operatività del provvedimento che dimostrano
comunque un’attenzione ed una risposta all’iniziativa del tutto confortante.
D e s i d e ro inoltre ringraziare le banche che
hanno aderito all’iniziativa mediante le convenzioni stipulate con la nostra società, e cioè
il sistema delle Casse di Risparmio, il Gruppo
bancario Monte dei Paschi, le Banche di
Credito Cooperativo e le altre banche aderenti.
Ricordo infine la possibilità per le cooperative
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sociali di poter far ricorso alla garanzia sussidiaria della nostra società per agevolare l’accesso ai finanziamenti necessari per la realizzazione
degli investimenti previsti dal provvedimento
“INSIEME”.
IL CREDITO AI SOGGETTI
“NON BANCABILI”
NEL NORD E NEL
SUD DEL MONDO
INTRODUZIONE
Francesco Terreri Direttore di “Altreconomia”
Volevo introdurre gli interventi che verranno
facendo fondamentalmente due osservazioni che
mi pare siano sorte dalle relazioni fin qui sentite.
Abbiamo parlato di economia sociale, di terzo
settore e anche con alcune accezioni di economia
solidale. Come vedremo in seguito, i destinatari
di questa azione di tipo economico e finanziario
sono molti e diversificati. C’è un terzo settore
o rganizzato e c’è un terzo settore informale,
soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Ma non
solo. Abbiamo sentito parlare di potenziali ma
anche di effettivi fruitori e quando parleremo di
micro credito, di destinatari che non sono altro
che persone o gruppi in condizioni particolarmente difficili e svantaggiate. Questi possono
avere una prospettiva diversa se gli si fa credito
in senso ampio, cioè in senso tecnico finanziario
come della fiducia nelle capacità, nell’intelligenza oltre che nell’imprenditorialità. Tutto questo
però significa, credo, come questione generale
che quando parliamo di terzo settore, di economia sociale e della sua relazione con il credito e
con il settore finanziario, non stiamo parlando
solamente di come si possa sostenere finanziariamente un cliente impossibile per le banche. Il
no profit non deve, cioè, correre il rischio di fare
da tappa buchi del sistema finanziario perché il
terzo settore dell’economia sociale, l’attivazione
di soggetti cosiddetti non bancabili ecc., offrono
oggi dei beni ulteriori a tutta la società, i così
detti beni relazionali. Piu’ in generale offre dei
beni pubblici a disposizione di tutti. A questo
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punto il problema per il sistema finanziario non
è solo cosa si debba fare per quei soggetti fino ad
ora rimasti tagliati fuori dal credito ma capire
anche come questo si riverbera sulla stessa attività finanziaria. Quale attività finanziaria dobbiamo concepire perché la società abbia ha
disposizione ulteriori beni pubblici o relazionali,
opportunità ulteriori di migliorare la vita di
tutti. Questa è una domanda generale che credo
il sistema finanziario si debba porre.
dibattito
Adele Incerpi della Regione Toscana
Volevo innanzitutto ringraziare l’assessore
Siliani che mi ha permesso di assistere a questo
interessantissima introduzione della Banca Etica.
Per la prima volta in Italia si sta per creare uno
strumento che non direi alternativo ma al quanto integrativo al sistema tradizionale del credito.
Intanto mi presento. Sono una dirigente dello
sviluppo economico della regione Toscana che
segue lo sviluppo delle piccole e medie imprese
giovanili e femminili. A p roposito delle pari
opportunità mi auspicherei l’8 marzo che è il
giorno della donna come apertura di uno sportello. Mi sembrerebbe opportuno, visto che non
sono solo un dirigente dello sviluppo economico
ma faccio parte anche del comitato pari opportunità, introdurre il problema dei finanziamenti ai
tradizionali soggetti deboli. Noi abbiamo in
Toscana e in Italia una scolarizzazione femminile
a livello universitario che è a favore del mondo
femminile, il 52.8%, mentre il GAP occupazionale rispetto al mondo maschile è ad un livello del
9.6. Siamo ancora purtroppo considerati soggetti
deboli perché poi queste somme sono quantitative. Ovviamente se analizziamo il parametro
qualità o meglio il livello qualitativo il quadro è
ancora peggiore. Vorrà dire che non siamo in
grado e che questi nuovi incentivi effettivamente
ci dovrebbero dare nuove possibilità.
Mi sembra quindi fondamentale riuscire a dare
finanziamenti, prestiti d’onore, prestiti di restituzione garantita come in Francia, dove le donne si
sono organizzate con i famosi gruppi Totomsem
in cui 5 o 6 donne che credono nell’impresa di
una di loro fanno fideiussione e garantiscono
per quel progetto. Queste sono forme di auto
gestione che considero bellissime e in cui i soggetti non sono tanto deboli di idee. Sono queste
le cose che vanno sostenute.
Noi vorremmo però lavorare sul credito, sui
nuovi strumenti di credito per soggetti femminili e giovanili in base alle leggi esistenti, sia la
legge statale 215, sia il nuovo PRS della regione
Toscana con il progetto di iniziativa regionale. Se
con la Banca Etica nel frattempo creeremo qualche progetto insieme e se riusciamo a creare un
monitoraggio potremmo dimostrare effettivamente che non è nata un’altra banca ma un etica
della banca. .
Io chiedo due cose: prima un incontro per valutare in che modo la Banca Etica e noi possiamo
fare un programma sperimentale di sostegno al
superamento delle difficoltà dei soggetti femminili che presentano progetti non re a l i z z a b i l i .
Quanto meno dobbiamo impegnarci a superare
l’esiguità del numero dei progetti finanziati e
quindi dare la possibilità di un credito reale di
sostegno alle idee. Un ottimo esempio in questo
senso è stato il nostro Giannini della Banca
d’America e d’Italia che, nel 1930 a San
Francisco, creò questa iniziativa: parlava con i
nostri emigranti, li valutava, riusciva a sapere
se le idee funzionavano e se avevano un progetto sostenibile dava fiducia ed ero g a v a
denaro. Il rischio era del 2%, praticamente irrisorio. In compenso chi va a San Francisco
conosce gli unici gruppi di emigrati considerati rispettabili negli Stati Uniti D’America pro-
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prio perché un banchiere illuminato a quel
tempo creò la base per convertire la nostra
valigia di cartone in una promettente cassetta
delle idee.
Vorrei perciò fare una proposta pubblica e poi
in un secondo tempo mi riserverò di parlare
con voi in altra sede per definirla meglio. Visto
che come Regione Toscana stiamo lavorando
alla creazione dei progetti europei, avevo proposto sia a livello di sviluppo economico che
agricolo, di cultura e su altri settori, la creazione di nuove piccole imprese. Parlo di micro
imprese dove le donne hanno bisogno di auto
stima, di crescere, di consolidarsi su una economia piccola. Noi ci misuriamo con la gestione della casa però siamo pronte a svilupparci
anche più in la’, procedendo per piccoli passi.
Credo anche che la piccola impresa consenta
una sperimentazione di se e delle pro p r i e
capacità che può essere utile. Quindi sto
seguendo un progetto sperimentale nel nuovo
piano di sviluppo che attiva il credito e lo collega al credito ministeriale sulla legge 215 per
la creazione di nuove imprese femminili cioè
sviluppo di imprenditoria femminile.
All’interno di questo sviluppo, che noi vorremmo collegare con il DOCU come creazione
di nuove piccole imprese femminile, desidereremo pr e s e n t a re dei progetti sperimentali.
Dico noi perché siamo collegati in rete: tutte le
provincie e tutte le commissioni di pari opportunità, tutte le commissioni dello sviluppo
economico per la creazione di piccole e nuove
i m p rese. Noi vorremmo pre s e n t a re questo
progetto di investimento sullo sviluppo economico delle donne ma reinvestire nelle strutture
di servizio. La Banca Etica cioè può proporre,
come ha fatto la Cinelli per il Brunello di
Montealcino, una linea di credito donna.
Abbiamo già proposto alla Fidi Toscana un
fondo di solidarietà donna e quindi, al
momento in cui faremo la revisione della legge
11, cre e remo anche le direttive al consiglio
regionale. L’accesso al credito è consentito a
chi ha già delle garanzie ma nessuno finanzia
le idee. Il vero problema, quando mi trovo 350
progetti di donne, alcuni bellissimi e veramente nuovi, è la mancanza di possibilità di realizzarli. Non è più un problema il tasso di interessi. Con l’1.4 siamo al di sotto del tasso di
interesse di crescita per cui potremmo speculare ma le donne non credo che vogliano questo.
Credo invece che siano più interessate a inves t i re nei servizi sociali perché garantiscono
come mantenersi. A livello di imprese e di
lavoro autonomo le donne non sono presenti,
molto spesso perché la famigli è a loro carico.
La così detta azione di cura nasce dalla carenza dei servizi sociali veri a portata di mano. La
coordinazione di tutti questi interventi, se cresce la flessibilità dei tempi di lavoro, se crescono i servizi sociali organizzati in modo diverso, se cresce la nostra possibilità di dividere il
lavoro di cura con gli uomini o le associazioni
o con altri soggetti, renderanno possibile la
nostra imprenditorialità. Questo penso di
averlo capito. Possiamo dare sfogo a queste
idee, riuscire a finanziarle e mandarle avanti
solamente alla condizione che parallelamente
crescano nuove forme di sostegno sociale.
Francesco Sedda dell’associazione “Terre e
Libertà”
Noi abbiamo preparato un intervento molto critico verso il sistema creditizio attuale e in qualche modo cerca di dare un consiglio, il più benevolo possibile, ai dirigenti di Banca Etica.
Firenze che è una bella città d’arte e di storia è
un luogo ideale e ad alto valore simbolico in cui
parlare di finanza essendo stata insieme a Siena,
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fin dal medio evo, culla di forme ben organizzate dell’attività del credito. Come ben sapete la
Monte dei Paschi di Siena è stata una delle
prime banche se non la prima in assoluto del
mondo.
La famiglia dei Medici, che non era ben vista
dalla maggioranza del popolo, durante il proprio governo ha costruito buona parte della
Firenze rinascimentale e ha accumulato grandi
fortune prestando denaro a vari regnanti ed eminenze del clero, spesso per finanziare guerre con
i loro costosi eserciti mercenari. Dai Medici ad
oggi la situazione della finanza si è assai sviluppata fino a diventare il motore economico principale, alimentando la produzione ed il consumo
che determinano importanti effetti culturali e
sociali. Si potrebbe dire, in un certo senso, che la
società di domani è il risultato di ciò che decidiamo di finanziare oggi. Le logiche profonde che
nel presente muovono la maggiore parte dei
capitali monetari industriali stanno consentendo
a gruppi ristretti di cittadini di produrre danni
alla maggior parte di uomini e donne: peggiorando le condizioni di vita attraverso lo sfruttamento, causando gravi danni all’ambiente alterandolo. Soffermandoci all’Italia, ad esempio, il
sistema bancario tradizionale è responsabile del
distorto prima e assente oggi sviluppo economico. Le grandi risorse monetarie e patrimoniali
che detiene, raccolte dai risparmi sul territorio,
non vengono fatte circolare tra gli strati della
popolazione meno abbiente al fine di migliorarne le condizioni di vita e quindi di elevare il
grado di benessere della società.
Le banche esistenti, al contrario, mettono a
disposizione le ingenti risorse raccolte da tutta la
popolazione a ceti benestanti e dominanti e agli
stessi proprietari delle banche per ampliare la
loro ricchezze e il loro potere e per poter speculare a livello internazionale, per arricchire coloro
che investono nei così detti capitali di rischio,
alimentando così sistemi parassitari a lungo termine illusori e rendite finanziarie.
Un altra osservazione nasce dalle varie problematiche specifiche dei finanziamenti rispetto al
terzo settore dell’economia sociale. Ci sono problemi che riguardano proprio in pratica i tassi di
interesse. Oggi sembra che la cosa non sia più un
grande ostacolo perché c’è una tendenza alla
diminuzione dei tassi. L’integrazione europea
consente un certo miglioramento anche se la
situazione va comunque verificata. Se parliamo
di imprese sociali o di produttori nei paesi in via
di sviluppo, in questa fase siamo in una situazione per cui i prezzi delle materie prime agricole
sono in caduta libera precipitosa e non è sufficiente l’attuale caduta dei tassi di interesse. Il
responsabile della Fidi Toscana sosteneva che
l’abbattimento del tasso di interesse di riferimento di 4 punti, in alcuni casi dà la possibilità
alle cooperative sociali di ottenere un finanziamento a costo zero. Questo è vero ma ci sono
attualmente situazioni, parlo di paesi in via di
sviluppo, in cui si hanno, invece, pro d u t t o r i
addirittura in condizioni di deflazione dei prezzi. Paesi in cui i prezzi stanno addirittura scendendo. In tali contesti non basta abbassare un
poco i tassi di interesse.
Ci sono poi altre questioni. Esistono opportunità
di finanziamento agevolato per il capitale fisso
delle imprese sociali, delle cooperative sociali.
C’è il problema di come finanziare il capitale
circolante che è un problema gravoso in alcuni
casi. Pensiamo a quei progetti finanziati dal
fondo sociale europeo che arriva al rendiconto o
comunque in una fase successiva, lasciando
comunque scoperta l’impresa sociale, la cooperativa per un certo periodo. Vi è inoltre il grosso
problema delle garanzie. A fronte di tutto que-
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sto la finanza etica off re qualcosa di diverso
rispetto alla finanza tradizionale. Senza dubbio
uno può andare a controllare i tassi inferiori,
sicuramente un meccanismo di garanzie. Alla
fine però l’impressione è che la vera differenza
tra queste proposte nuove di finanza e la finanza tradizionale sia nel fatto che la finanza etica
fa promozione di impresa sociale, l’accompagnamento dello sviluppo dell’impresa in generale e dell’impresa sociale in particolare. Questo
mix fra fiducia, progettualità e gestione del
rischio sembra davvero uno specifico, se non
altro in Italia, della finanza etica. Questa è una
sfida che si presenta a tutto il sistema bancario
su cui ragionare insieme.
Noi siamo soci di Banca Etica e da tempo seguiamo le sorti non solo di Banca Etica ma del movimento della finanza etica ché è molto più ampio.
Certamente Banca Etica è all’avanguardia sia per
la capacità di muovere su queste tematiche la
popolazione e in termini economici di raccolta
per il futuro.
Negli ultimi anni, montando il credo liberista, si
è inserita nella complessiva strategia della finanza tradizionale, il supporto economico decisivo
al progetto di smantellamento dello stato sociale
cioè quel complesso di strutture e organizzazioni
pubbliche che eroga a tutti servizi fondamentali
come l’istruzione, l’assistenza sanitaria e i trasporti. Per consentire che quest’obbiettivo si realizzi e in tempi brevi, per esempio, vengono
finanziati, in maniera indiscriminata, una miriade di soggetti privati che, ponendosi sul mercato, offrono gli stessi servizi del pubblico a costi
di lavoro più bassi, con deboli garanzie ai lavoratori. Esempio paradigmatico sono le molte
cooperative sociali di servizi che poste in sfrenata competizione si aggiudicano temporaneamente l’appalto di vari servizi confrontandosi fra
l o ro nelle tristemente famose gare a ribasso.
Dunque si vuole creare una frammentazione nel
mondo del lavoro costruendo una galassia di
imprese private che sono in competizione sul
costo e sulle condizioni di lavoro dei dipendenti
provocando un netto peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori in termini di orario
settimanale, di busta paga e ritmo di lavoro, la
così detta produzione giornaliera, diritti sindacali, ecc..
L’augurio finale è che Banca Etica non partecipi
all’impresa di travasare lavoro dal pubblico al
privato anche se è detto sociale ma invece contribuisca a creare reali e nuove opportunità di lavoro in settori manifatturieri e di servizi con grandi
potenzialità attualmente non espresse di artigianato nazionale, di commercio eco solidale, turismo culturale e difesa ambientale del territorio
attivandosi fattivamente a ridurre il tasso di
disoccupazione nazionale e a migliorare le condizioni di vita dei lavoratori e la qualità di quei
beni e servizi offerti da quei progetti che saranno
finanziati.
Dunque non finanziare quelle realtà private presenti anche in parte nel terzo settore e nel
mondo del volontariato che vorrebbero surrogarlo a buon mercato facendo pagare ai lavoratori il prezzo di generale arretramento delle loro
condizioni di vita e agli utenti lo scadimento
della qualità del servizio offerto.
La Banca Etica non deve accettare tale strategia
dissennata e certo non interessata al bene collettivo. Ci auspichiamo perciò che già dai primi
progetti finanziati si noti la nuova rotta con le
scelte di:
1°) distribuire risorse in forma di credito a valide
condizioni generali di uomini e donne in difficoltà perché disoccupati, precari o lavoratori in
nero italiani e del resto del mondo che, forniti di
un valido progetto, possono migliorare l’aspetto
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economico della loro vita riscattandosi dalla
miseria in cui si trovano.
2°) lavorare in sinergia con il sistema pubblico
che attraverso gli enti locali sta contribuendo a
far nascere Banca Etica ( 130 comuni e 5 regioni
compresa la regione Toscana che ha stanziato
diverse quote).
“QUALE E QUANTO CREDITO PER
L’ECONOMIA SOCIALE?”
Stefano Zamagni docente di Economia
Università di Bologna
Questa è per me un occasione preziosa di confronto e di riflessione su di un tema straordinariamente importante, eppure sottovalutato, sia
nel dibattito culturale sia in quello genericamente politico del nostro paese. In Italia non è una
novità far precedere i fatti alla riflessione. La
finanza etica ne è un tipico esempio. Non così
avviene in altri paesi dove, solitamente, la riflessione sistematica, condotta a più livelli, guida
l’azione. Perciò esprimo la mia gratitudine per
questa iniziativa.
Adesso una parola di chiarimento sul termine,
poc’anzi evocato, di economia civile. Da qualche
anno ho introdotto nel dibattito culturale accademico italiano il concetto di economia civile.
Quando si parla di economia sociale l’oggetto o
il referente empirico è la cooperativa. Tra i vari
tipi di produzione, a queste, nate con una precisa carta d’identità, opportunamente si applica
l’espressione di economia sociale. Negli ultimi
15/20anni, però, notiamo, accanto alla forma
antica della prima cooperativa, il fiorire di altre
espressioni che non hanno la stessa forma dell’impresa originaria. Se prendiamo in considerazione un’associazione, una fondazione non bancaria o altre espressioni di volontariato, in effetti
non potremo chiamarle cooperative. Questo perché tecnicamente e giuridicamente la cooperativa è una forma di impresa con statuto specifico
che deve rispondere a determinati re q u i s i t i .
Eppure si tratta di organizzazioni che possiedono le stesse finalità e operatività. È perciò un
errore metodologico inserire tutta questa varietà
di esperienze nell’espressione economia sociale.
L’associazionismo ha certamente affinità con il
61
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movimento cooperativo ma anche forti elementi
di differenziazione. In secondo luogo non rendiamo giustizia alla pluralità di forme che una
società civile avanzata deve essere in grado di
esprimere. Così abbiamo bisogno di un termine
che comprenda tutte queste varietà organizzative e questo termine è economia civile.
L’economia civile, quindi, non è altro che l’insieme dell’economia sociale e di tutte queste altre
espressioni della società civile organizzata. Non
ha senso perciò parlare di economia sociale e
civile in quanto l’economia civile compre n d e
quella sociale.
È d’obbligo, ora, chiarire la scelta del termine
“economia civile”. In realtà tale espressione è
tipica della tradizione italiana. Il vocabolo, diffuso e usato fin dall’inizio dell’ottocento, è poi
stato dimenticato. La prima volta in cui il termine “economia civile” appare è il 1753. In quell’anno l’università di Napoli istituisce la prima
cattedra universitaria di Economia civile al
mondo. Antonio Genovesi ne è il professore e il
suo libro fondamentale è appunto: “Lezioni di
economia civile”. Questa letteratura non è stata
tradotta nei paesi anglofoni mentre i francesi la
conoscevano. Altre ragioni però ne hanno impedito la diffusione. È accaduto comunque che
negli Stati Uniti d’America questo movimento
abbia cominciato a diffondersi con il termine
generico non profit. L’espressione terzo settore è
invece francese.
Io, rifacendomi alla nostra tradizione, parlo di
economia civile. Il termine comprendeva, allora
come oggi, realtà quali le cooperative, il non profit, le associazioni, le fondazioni e tutto ciò che di
analogo verrà nel prossimo futuro.
Per chiudere, una precisazione: nella letteratura
di lingua francese l’espressione di economica
civile viene resa con l’espressione di economia
solidale. I libri di Latouche e di Laville parlano
appunto di economia solidale. La definizione
data da questi studiosi è analoga a quella di economia civile. L’economia civile comprende sia la
cooperazione che l’economia sociale e il non profit. Il termine quindi è capace di intercettare tutte
le varianti.
L’argomento su cui vorrei richiamare ora l’attenzione è quello della finanza etica. La mia funzione di studioso è, come già accennavo, riflettere
su ciò che avviene per comprendere quale sia la
filosofia di fondo che muove la finanza etica. C’è
bisogno di tr o v a re la ragione per cui in un
società avanzata, in una economia globalizzata,
le esperienze di finanza etica stanno crescendo.
La spiegazione, che mi sono dato, è che i protagonisti di tali iniziative hanno capito che si può
utilizzare il mercato come mezzo per realizzare
politiche di distribuzione della ricchezza in
senso egualitario. É una antica idea quella per il
m e rcato, mentre riesce a generare risultati di
efficienza, non è in grado di assicurare risultati
di equità, ad assicurare cioè una equa distribuzione delle risorse.
Ma qual è stata la conseguenza di questa concettualizzazione antica nella scienza economica?
Quella di prevedere l’intervento dello stato per
realizzare obiettivi di ridistribuzione. Lo stato
interviene con il meccanismo della tassazione
progressiva. L’idea diffusa sulla quale si sono
formate intere generazioni di economisti è stata
quella del modello dicotomia sociale: il mercato
per raggiungere l’efficienza e l’intervento dello
stato per raggiungere la giustizia, attraverso
l’imposizione coercitiva del pagamento delle
tasse. Lo stato sociale è il prodotto di questo
pensiero. Nel Welfare State lo stato interviene,
come in Italia, prelevando denaro dal nord e trasferendolo al sud. É successo però che questo
modello di ridistribuzione coercitiva sia entrato
in crisi. L’ingresso nell’epoca della globalizzazio-
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64
ne rende l’azione di ridistribuzione dello stato
non funzionale. La globalizzazione ha distrutto
strumenti tradizionali del potere statale quali ad
esempio il protezionismo, la politica del tasso di
cambio o la politica finanziaria monetaria ecc..
Senza queste armi lo stato può fare ben poco,
p e rché aumentare la tassazione, per un equa
ripartizione della ricchezza, significa la fuga di
capitali in paesi più propizi al regime di mercato. Perciò gli stati nazionali non possono più
adottare questo tipo di politica. Coloro i quali si
occupano di economia civile a livello pratico (e
non teorico) hanno capito, così, che l’unico
modo di realizzare la ridistribuzione è servirsi
del mercato. Il mercato da potenziale generatore
di diseguaglianze diventa un alleato, uno strumento per raggiungere maggiore giustizia.
Questa è l’intuizione fondamentale che da valore e credibilità alle forme di cui stiamo parlando.
Il compito di ridistribuire ricchezza, da sempre
appannaggio dello stato, viene trasferito alla
società civile la quale però per raggiungere pienamente l’obiettivo deve organizzarsi soprattutto sul piano finanziario. Senza risolvere il nodo
finanziario la società civile organizzata non può
decollare. Quando le organizzazioni prendevano
soldi dallo stato o dalla pubblica amministrazione tutto era risolto. Le non profit erano una propagazione dello stato il quale distribuiva fondi
tramite loro. Ma questo modello non poteva
durare a lungo: i soldi dallo stato man mano si
sono ridotti sempre più e il ruolo del ridistributore è umiliante. Quindi per realizzare l’obiettivo
della maggiore equità, dando a tutti pari opportunità, bisogna che queste organizzazioni dell’economia civile si rendano autonome. Per far ciò
debbono avere accesso al credito e imparare a
gestirlo. Da questa considerazione è nato il problema del credito ai soggetti non profit, del credito all’economia civile. Il problema che è cultura-
le e politico al tempo stesso rappresenta un
punto di svolta.
Se le cose stanno così quali sono le questioni
urgenti da risolvere alla luce di questa premessa? Sono tre.
Il 1° problema è quello che riguarda la questione, a mio giudizio più delicata, dell’istruttoria
così detta etica. Nessuno sa come stabilire un
ordinamento di meritorietà nell’ambito dei progetti dell’economia civile. Mentre nell’ambito
dell’economia privata il metodo di valutazione,
l’analisi costi e benefici, ha come suo fondamento la massimizzazione del profitto, nell’ambito
dei progetti che provengono dai soggetti dell’economia civile non conosciamo i criteri per
darne un giudizio complessivo. La distribuzione, in Italia, avveniva, finora, secondo i vecchi
criteri partitocratici, ma è chiaro che questa prassi non può andare avanti. Non solo. Con il vecchio metodo si possono distribuire pochi soldi.
Oggi però le fondazioni bancarie hanno troppi
fondi che non sanno come utilizzare. La nuova
legge Ciampi impone infatti che i soldi siano
distribuiti seguendo criteri di istruttoria etica ma
pochi sanno condurla. Gli economisti hanno prodotto pochissima letteratura in proposito e
comunque, nel caso italiano, i finanziatori non
sono ancora entrati in questo ordine di idee.
Fino ad ora i soldi si elargivano in base alle simpatie, al colore politico o ideologico. Ve n e t e
meno queste procedure non si ha alcun criterio.
La prima azione da intraprendere allora, è compilare dei manuali sull’istruttoria etica. Ancora
oggi, in effetti, non c’è un’identità di vedute. Ci
sono posizioni teoriche diverse ed è difficile dire
qual è migliore o peggiore. Bisogna comunque
diffidare della superficialità come delle soluzioni
certe. É un paradosso, però, che le fondazioni
non assegnino i fondi perché incapaci di condurre le istruttorie. Lo stesso problema lo incontrerà
65
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la Banca Etica. La Banca Etica sta riscuotendo
un grande successo ma impiegare i fondi che
raccoglie non sarà semplice. La Banca Etica è
una banca che deve coprirsi dai rischi e deve
quindi avere un’istruttoria.
Prioritario è quindi sviluppare per l’economia
civile un’analisi rigorosamente economica e
finanziaria parallela a quella tradizionale.
Il 2° nodo è stabilire dei criteri, che vanno
sotto il nome di rating, per far funzionare il
settore della finanza etica nelle sue varie articolazioni e formulazioni. Ma il rating non lo
può fare un’agenzia esterna. Soprattutto non
la possiamo far fare a soggetti for profit.
Questa operazione è compito dei soggetti del
mondo dell’economia civile prima fra tutti
Banca Etica. Mi aspetto che la Banca Etica
cominci a fare scuola circa il modo di arrivare
ad elaborare l’istruttoria e di promuovere, lei
stessa o con altri in consorzio, una agenzia
chiamata a fissare il rating. Se ciò non avviene
nelle espressioni stesse dell’economia civile,
ovviamente, interverrà il mondo privato o lo
stato. Queste ingerenze minerebbero l’autonomia, quindi la libertà di intenti e di azione
dell’economia sociale.
Il 3° nodo è quello che, in un certo senso,
riguarda il problema della accountability. É un
temine che possiamo tradurre con trasparenza
e responsabilità. Significa che i soggetti dell’economia civile devono diventare trasparenti e
responsabili. Anche questa è condizione
necessaria all’ingresso nel mercato di cui ci
vogliamo servire per piegarlo ad obiettivi di
solidarietà. Il mercato è sicuramente un generatore di ineguaglianze ma può essere convertito agli scopi della società civile. Dipende da
noi.
La mia tesi è che la società civile può impedire
al mercato di cre a re ulteriori ineguaglianze
mantenendolo sotto controllo. Lo stato non è
più in grado oggi, per la ragione di cui si è
detto sopra. Non è una sfida da poco ma l’obiettivo è raggiungibile, ce lo confermano i
risultati. Per questo è necessario insistere sulla
trasparenza e sulla responsabilità. I detrattori
chiederanno di rimanere fuori dal mercato ma
rimanerne estromessi significa dover contare
nello stato che non può garantire la nostra
sopravvivenza. Significherebbe cioè cancellarci.
Infine un’ultima osservazione. è necessario
che il mondo dell’economia civile trovi modo
di interagire con le amministrazioni locali,
regioni, comunali, ecc.. Fondamentale è
diventare soggetti in grado di proporre forme
e modelli di gestione alternativi di varie categorie di servizi, da quelli dell’assistenza a
quelli educativi, al commercio eco solidale
ecc.. Non possiamo più continuare a svolgere
semplicemente un’azione di critica. Dobbiamo
proporre modelli di gestione così che le amministrazioni locali possano offrirci le loro risorse. Ciò significa inventarsi, sperimentando,
modi di gestire i servizi sociali con metodi
nuovi come quello del voucher e del contro
voucher. Alcune esperienze stanno finalmente
nascendo anche in Italia.
Chiudo con questa considerazione. A
Toqueville, nella sua opera, dichiara che fra
tutte le leggi che reggono le società umane ve
n’è una più chiara e precisa rispetto alle altre:
perché gli uomini restino civili o lo divengano
bisogna che l’arte di associarsi si sviluppi e si
perfezioni nello stesso rapporto con cui si
accresce il miglioramento delle condizioni di
vita. La conclusione è che quanto più un
paese procede sulla via dello sviluppo tanto
più ha bisogno di fare economia civile. Ecco
p e rché iniziative come quella di oggi sono
importanti.
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“NUOVI STRUMENTI DEL CREDITO: LA
PROPOSTA DI BANCA ETICA”
Fabio Salviato Presidente di Banca Etica
Ringrazio gli organizzatori per avermi dato la
possibilità di presentare a questo convegno di
Firenze la proposta di Banca Etica. Colgo l’occasione di oggi per dare la notizia in anteprima
dell’apertura ufficiale della Banca Etica con il
primo sportello che avverrà l’8 marzo prossimo.
È una data significativa perché si tratta dell’ottenimento di un risultato molto importante per
l’autorizzazione, l’operatività, l’omologazione,
l’iscrizione in camera di commercio. La prima
Banca Etica alternativa in Italia rappresenta un
importantissimo risultato, per tutto il mondo del
terzo settore, dell’associazionismo, del volontariato e della cooperazione, e per tutti coloro che
si riconoscono nell’economia civile. Per la prima
volta infatti, tutto questo mondo, che non ha mai
avuto rappresentanza significativa all’interno
della collettività finanziaria, può finalmente
sedere intorno al tavolo della comunità finanziaria. Forse non ce ne rendiamo conto, ma dal
punto di vista del cambiamento politico e sociale
questo è un fatto che non sarebbe potuto avvenire 5 o 10 anni fa, non è solo un forte segnale politico di riconoscimento, ma anche un risultato
che riconosce la crescita del terzo settore in
Italia.
La finanza nell’era della globalizzazione
L’attuale sistema economico, politico e sociale,
presenta sempre di più situazioni di integrazione così strette e ramificate che, quando parliamo
e discutiamo del nostro mondo, lo dobbiamo
oramai necessariamente fare immaginandocelo
come un villaggio globale, dove tutto ciò che si
produce, si pensa, si pianifica, ha ripercussioni
positive o negative su tutto il nostro pianeta.
Frenare, anzi impedire o mettersi “contro” questa evoluzione “naturale” e inevitabile è considerato come compiere un atto di cecità, di incoscienza, di mettersi “fuori” dalla storia.
L’accadere del mercato mondiale unico, integrato, autoregolatore è, si afferma, incluso nel corso
della storia. Non si può evitare e non si potrebbe
resistergli.
Si capisce quindi perché le classi dirigenti dei
nostri paesi hanno stimato, specialmente durante questi ultimi vent’anni, che il loro ruolo principale - in quanto poteri pubblici - era di facilitare i processi che portano verso la costituzione
del mercato mondiale e di creare - ognuno nel
proprio paese - le condizioni più favorevoli perché l’integrazione/adeguamento del merc a t o
locale (nazione) nel mercato mondiale si faccia
nel modo più efficace, nell’interesse prioritario
degli agenti economici che operano nel mercato
locale.
L’attività che più rappresenta questa tendenza
alla globalizzazione è indubbiamente quella
finanziaria. Ingenti capitali si spostano da una
parte all’altra del mondo, nello spazio di poche
ore; il giro d’affari giornaliero del mercato totale
del denaro era negli anni ’80 di 300 miliardi di
dollari, oggi è di 1.500 miliardi di dollari. Si tratta di denaro caldo “Hot Money” cioè denaro
molto mobile, alla ricerca di sbocchi speculativi
a breve termine. La liberalizzazione dei capitali
ha come conseguenza la delega, nelle mani di
pochi finanzieri e banchieri, della politica finanziaria di tutto il nostro pianeta. I banchieri
hanno come obiettivo principale la massimizzazione del profitto, mentre la finanza etica ha come
obiettivo la massimizzazione dell’utilità sociale.
Grazie alla liberalizzazione ed agli effetti della
globalizzazione, stiamo però registrando preoccupanti segnali relativi allo sviluppo del nostro
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pianeta. È sufficiente leggere le ultime ricerche
pubblicate dal Worldwatch Institute, dalla Banca
Mondiale, dall’Onu, per capire le conseguenze
dello sfruttamento indiscriminato delle risorse
naturali e sempre più rilevanti problemi sociali,
potrebbero nei prossimi decenni arrivare a mettere in discussione la stessa esistenza dell’uomo
sulla terra, alcune cifre possono farci capire
quanto sia critica la situazione.
Negli ultimi 20 anni la popolazione mondiale ha
fatto un balzo in avanti del 60% arrivando a 5,3
miliardi di persone, è previsto il raddoppio a 11
miliardi entro 40 anni.
La diff e renza di reddito tra nazioni ricche e
nazioni povere è passata da 30/1 nel 1960 a 60/1
del 1990. Purtroppo il differenziale è destinato
ad aumentare e si calcola che nel 2020 il differenziale potrebbe attestarsi intorno a 120/1.
Il 25% della popolazione mondiale pre s e n t e
nelle nazioni industrializzate consuma il 70%
delle risorse mondiali.
Sulla terra ci sono 800 milioni di disoccupati e sottoccupati e quasi 200 milioni di persone che hanno
una speranza di vita inferiore ai 60 anni.
I bambini lavoratori nel mondo sono stimati in 250
milioni (per il 61% in Asia) uno su quattro lavora
nove ore al giorno per sei giorni alla settimana.
I tre uomini più ricchi del mondo possiedono
beni che superano la somma del PIL dei 48 paesi
meno sviluppati.
Lo squilibrio non riguarda solamente il rapporto
tra occidente e Terzo mondo, ma anche l’Europa.
In Europa vivono 37 milioni di poveri e 5 milioni
senza tetto, complessivamente nei paesi industrializzati, una popolazione compresa tra il 7%
e il 17% di quella totale risulta povera.
In Italia (fonte Eurostat) il 10% più ricco della
popolazione, rastrella il 24% del reddito totale.
Mentre al 10% della popolazione più povera, va
invece una quota del 2,6%.
Detto brutalmente, se la maggioranza della
popolazione del Sud del mondo è costretta a
v i v e re con meno di 1 dollaro al giorno, o si
“inventa” altre forme di economia e di relazioni
sociali o è destinata a scomparire.
Quali prospettive future e quanti investimenti
servirebbero per risolvere alcuni gravi problemi
che affliggono il nostro pianeta?
Nel 2050 gli assetati potre b b e ro diventare 2
miliardi
Per raggiungere un migliore livello di vita nei
paesi in via di sviluppo occorr e re b b e ro 40
m i l i a rdi di dollari all’anno. Meno del 4% di
quanto possiedono le 225 persone più ricche del
mondo.
Servirebbero 6 miliardi di dollari $ americani per
garantire a tutti l’istruzione di base (in USA se
ne spendono 8 in cosmetici).
Per acqua ed infrastrutture igieniche potrebbero
b a s t a re 9 miliardi di usd (meno degli 11 che
spendono gli europei in gelati).
Per la salute servirebbero 13 miliardi di dollari $
americani (Europa e USA ne spendono 17 solo in
cibo per animali).
Tutto questo sta ad indicare che nel nostro villaggio globale, sempre più interdipendente e
dove tutto si intreccia, magari in tempo reale,
stiamo sostenendo costi, non solo umani, oramai
non più assorbibili, costi che gravano sempre
più sui bilanci e sulla vita sia delle persone che
delle famiglie, delle comunità ed anche su quelle
dei vari paesi.
La novità, lo sviluppo dell’economia civile.
Uno dei fenomeni più rilevanti nell’ultimo ventennio è l’affermazione sia delle varie espressioni del privato sociale sia dell’economia civile.
Si tratta di quel vasto e variegato arcipelago di
formazioni sociali a base volontaria, più o meno
organizzate e professionalizzate, che svolgono
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attività senza fini di lucro in una pluralità di
campi: a quello sanitario, a quello culturale e a
quello propriamente economico; una realtà certamente rivelatrice di un tentativo dal basso di
ricostruire il legame sociale, la di là delle difficoltà che i singoli individui si trovano quotidianamente ad affrontare.
L’oggetto sociale dell’economia civile risiede in
un flusso di relazioni economiche finalizzato a
produrre e riprodurre socialità, ovvero legame
sociale, laddove l’esclusività del mercato lo
allenta, lo spezza, lo disgrega e la debolezza
dell’intervento sociale dello stato non è in
grado di riaggregarlo in nuove coesioni.
L’economia civile tende, dunque, a riconciliare
economia e società. Essa costruisce rapporti
sociali all’interno dei quali le relazioni tra gli
uomini sono liberate dal dispotismo del valore
di scambio e della sua massimizzazione. In
quanto tale, restituisce voce e prospettiva al
c i rcuito della solidarietà e della re c i p ro c i t à ,
delle relazioni cooperative e mutualistiche, dell’economia a componente prevalentemente non
monetaria ( parallela fino alla fine del XIX
secolo all’economia di mercato) che il dominio
dello scambio mercantile, nel nostro secolo ha
isterilito.
La globalizzazione e il ruolo degli stati.
Il processo della globalizzazione dei mercati in
atto, ottiene come risultati la progressiva emarginazione del ruolo dello stato, che non riesce
più ad imporre una politica propria di regolatore degli squilibri di reddito tra fasce deboli e
ricche della popolazione, Lo stesso contro l l o
della moneta è sfuggito, in modo significativo,
ai poteri pubblici (i parlamenti soprattutto) a
beneficio dei mercati finanziari. Questi ultimi
non fanno che proclamare che lo spostamento
dei poteri è normale e giusto, perché si ritiene
che i mercati finanziari funzionino in modo più
“razionale” degli Stati. In base a questa presunzione ( per altro non confermata dalla realtà),
gli “operatori-gestionali” si credono autorizzati
a imporre ciò che essi chiamano una “disciplina
finanziaria” alle autorità politiche nazionali e,
ben inteso, ai cittadini/consumatori. La trasformazione della moneta in mercanzia di scambio
sui mercati finanziari mondiali è diventata una
lunga serie di imperativi economici, come: l’inflazione zero; bilancia dei pagamenti equilibrata; equilibri amministrativi e quindi riduzione
dei deficit pubblici; riduzione delle spese pubbliche, soprattutto delle spese sociali; riduzione
della pressione fiscale sul capitale e incitamento
fiscale in favore degli investimenti privati. Il 3
febbraio 1986 a Davos (Svizzera) in occasione
del World Economic Forum l’allora presidente
della Bundesbank affermava: “i dirigenti politici debbono sapere che sono ormai sottomessi al
controllo dei mercati finanziari”.
Globalizzazione e concentrazione di ricchezza
Il processo di globalizzazione sta comportando
una progressiva e continua concentrazione, a
volte indiscriminata, di ricchezza di pochi a
danno di molti, le prime tre persone più ricche
del mondo hanno un reddito uguale al
1.000.000.000 di persone più povere del pianeta.
Il ritorno massiccio della povertà rappresenta
non solo la negazione dello stato moderno, ma
essa si traduce nel fatto che l’economia attuale
si pone come nemica della cittadinanza. Più di
60 milioni di poveri (su 300 milioni) negli USA,
il paese più ricco e potente del mondo. Più di
52 milioni di poveri (su circa 300 milioni), nei
paesi dell’Unione Europea, la più grande
potenza commerciale del mondo. Solo in Gran
B retagna sono stati registrati nel 1994, 13,9
milioni di poveri su circa 60 milioni di persone.
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Qual’ è l’intuizione profetica partita con il commercio equo e solidale e la finanza etica?
La possibilità di procedere ad una ridistribuzione interna delle risorse tra fasce povere ed emarginate e fasce ricche della popolazione, in che
modo? attraverso un utilizzo altro, equo, diverso, degli strumenti che stanno alla base del processo di globalizzazione in corso, cioè la finanza
etica ed il commercio etico (ecco perché sia il
consumo critico che la finanza etica, potrebbero
rappresentare interessanti risposte alla concentrazione di ricchezza nelle mani di pochi, ed al
p ro g ressivo processo di disoccupazione che
coinvolge centinaia di milioni di persone nel
nostro pianeta).
La ridistribuzione viene trasferita a livello di
società civile che si pone sempre di più come
soggetto, come attore protagonista, del cambiamento, partendo dal sostegno e dal soddisfacimento delle fasce povere ed emarginate della
popolazione (in Italia sono considerate povere
più di 7 milioni di persone). Nel mondo si costituiscono e si consolidano sempre di più re t i
internazionali di solidarietà, singoli cittadini,
decidono liberamente di costituirsi in associazioni, cooperative, enti, organizzazioni che partono
dal desiderio di pro d u r re prodotti e servizi
necessari al soddisfacimento delle necessità presenti nella società. Paradossalmente il sistema
della globalizzazione produce prodotti che non
possono essere acquistati da miliardi di persone,
perché non dispongono delle risorse necessarie
per acquistarli, e servizi, in particolare credito
che non viene erogato a più di 2.000.000.000 di
persone considerate, non bancabili.
Si sta formando un nuovo mercato informale,
che nel terzo mondo prende il nome della
microimpresa, nei paesi occidentali del terzo settore o economia civile, un mercato in rapida e
continua espansione, dove sempre di più circola-
no merci, prodotti, servizi che rispondono ai
bisogni delle persone che li richiedono.
La vera questione per l’economia mondiale non
è l’integrazione/adattamento delle economie
locali nelle economie mondiali, ma il sapere
quali principi, quali regole e quali istituzioni
devono essere definiti e messi in pratica durante
i prossimi venticinque anni al posto e luogo dei
principi proposti dall’economia del merc a t o
capitalista, perché gli 8 miliardi di persone possano essere dei soggetti cittadini, capaci di soddisfare i loro bisogni di base in acqua potabile,
alloggio, alimentazione, energia, salute, educazione, informazione, trasporto, comunicazione,
espressione artistica, partecipazione alla gestione della comunità. Detto altrimenti: su che base
e per quali mezzi si deve e si può costruire la ricchezza comune mondiale?
Lo sviluppo della ricchezza mondiale passa attraverso la re-invenzione di nuove forme di economia mutualistica, cooperativa, solidale.
Il grande nodo per fare crescere e decollare queste
interessanti proposte è la finanza, una finanza
capace di dare credito all’emergere del nuovo, le
organizzazioni non-proft devono rendersi sempre
di più indipendenti e sostenibili, i soggetti dell’economia civile devono sempre di più imparare a
saper gestire il credito, devono crescere. Per fare
questo devono cre d e re nelle proprie forze e
potenzialità, devono saper costruire nuovi strumenti di verifica e controllo (certificazione etica,
società di rating, servizi dedicati, dobbiamo
inventare soggetti in grado di proporre modelli di
gestione originali, in tutti i campi di attività).
Solo in questo modo il mondo dell’economia
civile potrà crescere in maniera robusta e visibile, saprà proporre alla società civile alternative
praticabili e potrà nel medio periodo piegare le
regole del mercato, modificandole in senso etico
e solidale.
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In Italia stiamo assistendo ad una vertiginosa
crescita di ciò che viene definito Terzo settore,
più di 53.000 organizzazioni sono in collegamento con più di 6.000.0000 di persone disposte a
donare o a mettere a disposizione del proprio
tempo libero per gli altri, insomma disposte ad
entrare nella spera della gratuità, della disponibilità, dello scambio relazionale, reciproco, dell’aiuto. Molti sono portati a farlo in seguito al
fallimento dello stato (non in grado di garantire
adeguata assistenza) e del mercato (che provoca
sempre più poveri).
Le organizzazioni che si pongono quale obbiettivo lo sviluppo della società civile, quale nuovo
modello di sviluppo eco-sostenibile, dovranno
riconsiderare attentamente il proprio atteggiamento, in quanto organizzazione, nei confronti
della gestione del denaro. In Pratica io volontario o donatore sono disposto a continuare a fare
la mia parte, solo se la mia organizzazione si
comporterà in maniera trasparente e partecipativa e, nelle scelte di carattere economico priviligerà la massimizzazione dell’utilità sociale e non
del profitto, e quindi finanza etica e non finanza
tradizionale.
L’esperienza di Banca Etica
L’8 marzo del 1999 partirà ufficialmente la Banca
Popolare Etica.
La Banca Popolare Etica è un’iniziativa privata
che coinvolge più di 13.000 soci (2.000 persone
giuridiche e Comuni Provincie Regioni 11.000
persone fisiche, più di 200 comuni, 30 provincie,
e 5 regioni Italiane) si pone quale interlocutrice
con il mondo imprenditoriale e con il mondo
finanziario attraverso il coinvolgimento delle
varie parti sociali.
La Banca Popolare Etica è una banca innovativa
in quanto prevede le circoscrizioni territoriali,
presenti in quasi ogni città d’Italia, il comitato
Etico, la certificazione Etica, e la realizzazione
del bilancio sociale da presentare all’assemblea
dei soci.
I settori di intervento di Banca Etica sono:
Cooperazione sociale: le cooperative di solidarietà sociale che sono circa 3.000 in Italia, stanno
vivendo un momento di esplosione incredibile.
Si prospetta che nei prossimi tre anni passeranno
a 8.000 o 10.000, comunque si stanno evolvendo
e crescendo.
Cooperazione internazionale: in Italia ci sono
c i rca 200 organizzazioni non governative.
All’interno di questo settore è inserito anche il
commercio equo e solidale: in Italia ci sono circa
200 botteghe terzo mondo
Difesa e tutela dell’ambiente.
Sport, cultura, spettacolo.
Diritto alla casa, all’occupazione, lotta all’usura,
forme di sostegno a piccole attività di credito.
Un altro settore che non avevamo previsto fin
dall’inizio è il rapporto con gli enti pubblici.
Recentemente anche la regione Toscana è diventata socia di Banca Etica. Numericamente gli enti
pubblici sono consistenti: sono soci 130 Comuni,
5 Regioni e 30 Provincie, con questi soci si sta
tessendo un rapporto molto interessante. In
alcuni casi abbiamo la possibilità, in situazioni
di tagli di bilancio, di incrementare il denaro
attraverso la costituzione di fondi rotativi che
vengono moltiplicati e gestiti da un intermediario come Banca Etica. In gran parte del mondo
finanziario non si riesce a capire che il terzo settore è sostenibile dal punto di vista economico.
Certo mancano risorse anche imprenditoriali,
ma si stanno facendo degli sforzi notevoli. Il no
profit non significa non per scopo di lucro, ma
“not for profit”, cioè non per profitto. Quindi le
capacità imprenditoriali e di governo di questo
s e t t o re stanno aumentando sempre di più e
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quindi il rapporto con l’ente pubblico è un rapporto interessante. Si parla di sostenere anche
finanziariamente le oasi, i parchi naturali ma
anche, in prospettiva futura, il collocamento di
buoni ordinari o comunali e l’affiancamento nel
collocamento dei buoni ordinari regionali. Si
può immaginare come la chiusura di un cerchio,
pensiamo alle grandi città spesso invivibili dove
c’è devastazione ambientale, il privato sociale si
sta organizzando e si costituisce in comitati ed
organizzazioni. Si vuole la pista ciclabile, oppure
la ricostruzione del teatro, ma il comune dice di
non avere fondi sufficienti. Attraverso l’intervento di Banca Etica che cerca di capire le esigenze della gente, si può ottenere positivamente
il collocamento di questi BOC (Buoni Ordinari
Comunali) che sono certificati di Banca Etica
finalizzati alla costruzione di queste opere pubbliche. Il cittadino lo capisce e partecipa.
Quando entriamo in contatto con gli amministratori degli enti pubblici, dobbiamo lavorare
insieme, questo è il futuro, le regole si fanno
insieme, si stabiliscono insieme, si da credito e si
da fiducia reciprocamente. L’ente pubblico sta
per capire e molte regioni stanno lavorando. Si
parla della gestione, attraverso Banca Etica, del
prestito d’onore, la regione Emilia Romagna ce
lo sta affidando.
Allora questa Banca parte, e come funzionerà?
Ci sarà uno sportello a Padova, ma l’obiettivo è
quello di creare uffici in tutto il territorio nazionale. Entro il primo anno è prevista l’apertura a
Brescia, Milano, Modena, Roma, dove cioè c’è
una base sociale già organizzata e pronta per l’apertura di questi uffici. Dall’8 marzo noi offriremo obbligazioni Banca Etica finalizzate, per cui
il risparmiatore può, acquistando le obbligazioni, scegliere la finalizzazione già al momento
dell’acquisto, quindi il cliente indica alla Banca il
settore nel quale investire i propri soldi. I settori
sono quelli che vi ho detto pre c e d e n t e m e n t e .
L’obbligazione verrà remunerata all’1,8%. È un
tasso inferiore ma non di molto rispetto ai tassi
di mercato delle obbligazioni che prossimamente saranno del 2,5%. Contemporaneamente verrà
offerta l’obbligazione ad un taglio minimo, purt roppo piuttosto alto, di 20.000.000 di Lire in
quanto Banca Etica ha un capitale sociale inferiore ai 50 miliardi, cifra che permette di emettere
obbligazioni a tagli inferiori. Quindi quando
avremo i 50 miliardi potremo emettere obbligazioni a tagli inferiori. I certificati di deposito, che
avranno tagli inferiori, sono di 10.00 Euro, le
obbligazioni con tagli da 1.000, 2.000, 3.000 e
5.000 Euro quindi da 1.900.000 a 6.000.000 o
7.000.000 di Lire. I certificati di deposito hanno
scadenza breve, 6 mesi, 12 mesi, 18 mesi fino a
6o mesi e anche questi sono finalizzati. Il risparmiatore potrà aprire anche un conto di investimento e nell’arco dei primi due mesi di vita di
Banca Etica potrà anche accendere un conto corrente normale e noi rilasceremo il bancomat e la
carta di credito senza il libretto degli assegni.
Anche a distanza tutto sommato il risparmiatore
può effettuare operazioni bancarie fin dall’inizio.
Ci avvarremo della distribuzione dei certificati
di deposito e delle obbligazioni attraverso una
convenzione che abbiamo stipulato con alcune
banche che sono: la Banca Popolare di Milano e
quella dell’Emilia. Sono state inoltre firmate convenzioni con le Casse Rurali, le Banche di
Credito Cooperativo ed anche la Federazione
Toscana delle BCC ha manifestato interesse.
Una caratteristica fondamentale di Banca Etica è
che già nello statuto è stato previsto il Comitato
Etico, il quale verifica e controlla l’operatività
della Banca. Un’altra caratteristica importante
sono le circoscrizioni territoriali. Noi abbiamo
cioè una settantina di uffici sparsi nel territorio
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nazionale con dei comitati e tutti i soci vengono
associati alla circoscrizione di riferimento dove
c’è un rappresentante. Queste circoscrizioni rappresentano da un certo punto di vista il movimento e seguono l’aspetto culturale, formativo e
informativo della Banca e più in generale della
finanza etica.
Altra caratteristica importante è l’istruttoria etica
o sociale che abbiamo messo a punto.
L’istruttoria sostanzialmente è un questionario
che si basa su dieci valori fondamentali che il
richiedente deve dimostrare di saper rispettare e
che sono:
la partecipazione democratica
il volontariato
la solidarietà
i legali territoriali
il rispetto dell’ambiente
la qualità sociale prodotta
il rispetto delle condizioni di lavoro
la cooperazione e l’associazionismo
la trasparenza
le pari opportunità.
Naturalmente annualmente attraverso la realizzazione del bilancio sociale verrà reso conto del
monitoraggio e di tutti i finanziamenti erogati
attraverso il bilancio sociale.
In prospettiva abbiamo anche l’obiettivo di sviluppare questa iniziativa con prodotti di banca
assicurazione. Quindi stiamo già lavorando con
delle assicurazioni partner per proporre anche
prodotti di banca assicurazione e anche la costituzione di una società gestione fondi di investimento specializzati in un settore specifico come
la cooperazione sociale che potrebbe essere ad
es. casa ecologica.
Vo r rei fare altre considerazioni sul rischio di
questa impresa, a molti sembra un rischio molto
alto quello del non profit. Due anni fa la Banca
Mondiale, un interlocutore la di fuori delle parti,
ha fatto una ricerca sulle banche etiche alternative, sono risultate circa 1.000 banche etiche alternative a livello mondiale ottenendo dei risultati
significativi. L’insolvenza è risultata al di sotto o
intorno al 3%, cioè molto bassa. Recentemente
noi abbiamo fatto per Banca d’Italia una ricerca
prendendo in considerazione il finanziamento di
CTM-MAG, che è una delle principali finanziarie in Italia che stanno operando nel terzo settore. Dei circa 60 miliardi di impieghi fatti durante
i 10 anni di attività sono state individuate circa
23 partite anomale, 21 si sono risolte nell’arco
dei 3 – 6 mesi. Ma la cosa interessante è che 21
interlocutori hanno avvisato immediatamente la
finanziaria della situazione di difficoltà. Nel
sistema normale succede esattamente il contrario. Addirittura 60 miliardi hanno insolvenza 0,
che è un risultato del tutto eccezionale. Quindi
quando sento osservazioni sul rischio, io rispondo che c’è da fare chiarezza su di una mentalità
veramente superata, soprattutto in Italia.
Concludo facendo un appello a tutti. Con grande fatica e determinazione siamo riusciti a conseguire questo importante risultato che è Banca
Etica. Ripeto, vogliamo portare avanti questa
iniziativa in modo contagioso, comunicativo.
Crediamo che l’8 marzo sia il primo passo per lo
sviluppo, anche in Italia, di un certo tipo di
finanza. In Germania, grazie all’esperienza di
Eko Bank, esiste nel mondo bancario un operatore socio-ambientale, cosa che mi auguro avvenga
anche il Italia, per cui un operatore adeguatamente formato che conosce e che fornisce informazioni sul terzo settore. Se una banca od un
intermediario finanziario vuole entrare o vuole
fare finanza etica, deve dare al risparmiatore una
garanzia su tutta la raccolta e la gestione. Certo
non può finanziare fabbriche di armi e poi lavar-
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si la coscienza con il conto etico, come succede
nella stragrande maggioranza dei casi. Quindi
c e rchiamo concretamente, con uno spirito
sereno di collaborazione, di iniziare un percorso. Molto intelligenti sono state queste due
banche che sostanzialmente riconoscono che
può esistere un intermediario finanziario di
questa natura e questo genere, perché sanno
che loro non possono cambiare pelle. Loro
mettono a disposizione la loro struttura professionale, la loro capacità, la loro rete distributiva, ma riconoscono l’esistenza di questo in
modo r e c i p roco e mutualistico. Cre s c i a m o
insieme in un cammino. Noi non abbiamo da
insegnare niente a nessuno e non abbiamo la
verità. Questa è la novità: in Italia da 10 anni a
questa parte esiste una nuova categoria, che lo
vogliamo o no, di persone critiche responsabili
e che fortunatamente vogliono consumare i
prodotti e risparmiare in modo diverso. I produttori del terzo mondo sono sempre esistiti,
ma i prodotti del commercio equo e solidale
esistono perché ad un certo punto una categoria di consumatori li ha richiesti, e una categoria di risparmiatori in questo momento, secondo noi potenzialmente molto elevata di circa
5/6 milioni di persone, chiedono un rapporto
più chiaro, più trasparente con il proprio denaro, non solo per Banca Etica ma per tutto il
sistema.
Per informazioni
Banca Popolare Etica
Piazzetta Forzatè nr 2
35137- Padova
Te. 049/8771111- FAX 049/664922
[email protected]
www.bancaetica.com
3° INTERVENTO
“MICROIMPRESA NEL NORD E NEL SUD:
COMPARAZIONE DEI FATTORI CHIAVE”
William Burrus Vice presidente Accion Internecional
Vorrei unirmi ai miei colleghi di Acciòn nel ringraziarvi per l’opportunità concessa e il privilegio di essere qui in Italia a condividere con voi
in questa sala la nostra esperienza. Può essere
utile provare a sottolineare le affinità e le divergenze tra le esperienze nel Sud e quelle nel Nord
del mondo, come si è sviluppata la microimpresa, quali sono le somiglianze, quali le differenze,
e questo ci può aiutare nel comprendere il fenomeno.
Comparerò brevemente sei fattori chiave:
1. Il primo è il contesto normativo, e con questo
intendo il livello di complessità del sistema legale e delle relative leggi che hanno aiutato o
impedito, incentivato o disincentivato lo sviluppo della microimpresa sia al Sud che al Nord.
2. Il secondo è la mission di questo tipo di organizzazione, o meglio i valori di fondo, ciò che è
alla base della loro esistenza, che è una delle
questioni principali quando si stabiliscono dei
programmi di microimpresa.
3. Il terzo è il mercato, vale a dire il potenziale
n u m e ro di clienti o prestatori e il livello e le
risorse competitive che possono più o meno esistere per le loro attività al Sud e al Nord.
4. Il quarto sono le fonti di finanziamento e di
capitale, dove per finanziamento intendo la
copertura dei costi di esercizio, per capitale la
creazione di linee di credito.
5. Il quinto è quello che chiamerò la struttura
organizzativa, e cioè descrivere brevemente qual
è la tipologia organizzativa che emerge in ciascuna delle due realtà.
6. E per finire, alcuni esiti operativi, e alcune
considerazioni metodologiche sull’uso delle tec-
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nologie e le differenze nella struttura dei costi
nei vari contesti.
Primo punto: il contesto normativo.
Il contesto nel Sud - e qui ci riferiamo in particolare all’America Latina, che è l’area dove opera
Acciòn - è generalmente meno definito e più
aperto; ci sono meno opzioni, meno controlli e il
professor Zamagni ha detto che c’è meno accountability (trasparenza e responsabilità), soprattutto
per il settore non profit. Non ci sono autorità che
controllino o che definiscano chiaramente quello
che si può o non si può fare. Nel Nord, negli
Stati Uniti per esempio, la situazione è più complessa, le opzioni sono molto definite così come i
tipi e le istituzioni finanziarie che possono essere
create per depositare i risparmi e favorire il credito. I controlli da parte del governo, sia a livello
di singolo Stato che federale, sono molto stretti,
attenti verso le istituzioni che forniscono credito.
Una seconda differenza è nella struttura dei tassi
di interesse. In termini generali, in A m e r i c a
Latina non sono definiti dei massimali, e quindi
i tassi vengono generalmente applicati in modo
da coprire sempre i costi, in relazione al breakeven (cioè il punto di pareggio tra costi e ricavi).
Maria Otero ha fatto l’esempio del Bancosol che
applica tassi d’interesse di mercato. Negli Stati
Uniti invece il prestito al consumatore è regolato
da massimali sui tassi che le banche e qualsiasi
altro istituto finanziario possono applicare.
Infine, in America Latina ci sono pochi incentivi
ad investire nella microimpresa, e questo soprattutto per le banche. In genere anzi ci sono disincentivi al prestito per le microimprese, ed è per
questo che molte banche non effettuano prestiti.
Negli Usa, come ha detto Cathy Quense, ci sono
crescenti incentivi affinché le banche entrino nel
settore; è stato citato in particolare il Community
Reinvestment Act, che è un provvedimento che
non solo incoraggia, ma richiede che le banche
investano una percentuale del loro portafoglio
disponibile per i prestiti alle comunità locali.
Queste banche ricevono un “rating”, cioè una
valutazione in base ai risultati ottenuti, e se
vogliono aprire una nuova filiale o acquisire una
banca, questo “rating” influisce sulla decisione
del governo di dare o meno il permesso.
Secondo punto: la mission o i valori di fondo.
Ci sono tre principi fondamentali: ciò che chiamiamo impatto sociale, cioè quello che accade
alle comunità e ai lavoratori che ricevono prestiti; la scale, cioè la grandezza dell’ambito di azione; l’autosostenibilità.
In America Latina l’impatto sociale è molto
importante, ed è questo il motivo per cui molte
associazioni operano nel microcredito. C’è l’assunto che se vengono creati nuovi posti di lavoro, aumentano le entrate per le famiglie e i singoli, come risultato della crescita dell’attività
commerciale, ed è un gran risultato non solo per
loro ma anche per la comunità in cui risiedono e
per la società. Negli Usa l’impatto sociale è
comunque molto importante, ed è probabilmente il primo motivo per cui vengono effettuate
queste attività: se ci si chiede perché si fanno
programmi di microcredito, la risposta è che si
pensa di avere un forte impatto sociale. Acciòn
International recentemente ha condotto uno studio sui suoi clienti per verificare l’impatto delle
sue attività, ed in effetti c’è stata una influenza
molto positiva, in termini di creazione di posti di
lavoro, creazione di depositi, introiti.
La scala è molto importante in America Latina e
nel Sud, se si considera l’enormità del problema
in quei paesi, i milioni di persone che vivono in
miseria; questo vuol dire che i programmi devono essere ad ampio raggio per avere un qualche
tipo di impatto. Ovviamente la scala dipende dal
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paese in cui ci si trova, il numero di clienti che
bisogna raggiungere in Bangladesh o in Pakistan
è diverso da quello che si deve raggiungere in
Messico o negli Stati Uniti. In Usa, appunto, la
scala non è stata ancora raggiunta. I programmi
sono ancora molto piccoli.
Per quanto riguarda l’autosostenibilità, di nuovo
citando Maria Otero e il caso di Bancosol, è ora
dimostrato che è possibile coniugare la mission
dell’organizzazione con la ricerca del profitto e
che deve essere fatto. Negli Usa non è stato ancora fatto, è un campo totalmente nuovo e come ha
detto Cathy Quense con i nostri pro g r a m m i
copriamo dal 20 al 60% delle spese, una quota
ancora insufficiente, c’è ancora bisogno di sussidi.
Terzo punto: il ruolo del mercato.
Nel Sud la maggior parte della popolazione è
potenzialmente cliente del microcredito, in molti
paesi più del 50% è coinvolta in qualche attività
di microimpresa ed ha probabilmente bisogno di
prestiti. Nel Nord si tratta di una percentuale
molto più piccola, del 4-5% della popolazione; il
numero di persone è molto più piccolo. Inoltre
nel Nord non solo il numero, ma anche la tipologia delle persone che potrebbero avere bisogno
del microcredito è differenziata: negli Stati Uniti
si va dai recenti immigrati a operai o impiegati
bianchi licenziati da una grande azienda e che
cercano di mettersi in proprio.
Un altro elemento di differenza è che in America
Latina c’è una grossa domanda inevasa di credito, le micro i m p rese sono sottocapitalizzate e
dipendono dagli strozzini, che ovviamente
richiedono dei tassi di interessi molto alti. Negli
Usa ci sono molte opportunità, le carte di credito
per esempio sono accessibili a molte persone,
che possono finanziarsi il capitale circolante tramite la propria personale carta di credito, e questo accede spesso.
Infine, nel Sud, una volta entrato in attività,
non hai bisogno di farti pubblicità, perché c’è
tanta di quella domanda che una volta che
metti un’insegna fuori dalla porta e dici “siamo
in commercio, siamo pronti a concedere prestiti”, cosa farai con le migliaia di persone che
avrai fuori della porta? Negli Stati Uniti questo
non accade, il mercato è molto più piccolo e
bisogna essere molto aggressivi, devi andare a
c e rc a re il cliente, ed è difficile perché spesso
sono inaccessibili. Molte volte per esempio
sono immigrati illegali, senza permesso di soggiorno, sono restii a presentarsi da noi e questo
è un problema.
Quarto punto: le fonti di finanziamento.
Originariamente, come ha detto Maria Otero, in
America Latina molto denaro veniva da donazioni, quello che noi chiamiamo soft money, e
questo sussidio non doveva essere ripagato. Ma
in maniera rapida molte organizzazioni di
microfinanza sono passate ad un finanziamento
proveniente dalle entrate, in altre parole sono
autosufficienti. Negli Usa invece molti progetti
di microcredito necessitano ancora di donazioni
per sopravvivere.
Da dove vengono i soldi? In termini generali,
prima di tutto ci sono le banche che concedono
denaro a programmi che a loro volta concedono
queste somme in piccoli prestiti. Si comincia poi
a cercare altri modi per costituire il capitale, ad
esempio tramite l’accumulo di risparmio a livello locale per poi poterlo prestare. In Usa le fonti
sono private e pubbliche. La stessa Accion ha
preso la decisione strategica di posizionarsi tra
le banche e i suoi clienti. Andiamo dalla Bank of
America e gli diciamo “prestaci 300.000 dollari”;
noi poi facciamo da intermediari e con questo
denaro concediamo prestiti da 200-300 dollari ai
nostri clienti.
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Quinto punto: la struttura organizzativa.
Nel Sud c’è il fenomeno di associazioni non profit
che si trasformano in istituzioni finanziarie, banche o “financiera”, o in qualsiasi altro tipo di istituzione regolata. Questo è molto comune in
America Latina ed in molte altre zone del Sud
del mondo. Inoltre, e questo è molto interessante, alcune banche si sono accorte che questo è il
più grande mercato scoperto del mondo, un area
dove possono cominciare a fare profitti; e così
nascono banche specializzate in questo settore,
delle nuove banche ma anche delle banche tradizionali che cominciano a finanziare la microimpresa.
Negli Usa le banche commerciali si stanno muovendo allo stesso modo, ma grazie alla tecnologia. Lo fanno attraverso il cosiddetto “credit scoring” (punteggio di credito), che è un meccanismo creato per predeterminare i fattori in base ai
quali si possa presumere se un cliente rimborserà
o no il prestito. Conducono poi un’analisi di
migliaia di persone per vedere quale corrisponde
a questi fattori, creando così un Credit Scoring
Model in base al quale vedere chi vi possa corrispondere o meno. Questo permette alle banche
di elargire crediti sempre più piccoli, da 10.000 a
25.000 dollari per i vari microimprenditori, se
corrispondono al profilo disegnato.
Sesto punto: gli esiti operativi.
Prima di tutto la struttura dei costi. Quanto costa
creare un programma di microcredito al Sud, e
quanto al Nord? È chiaro che in termini generali
i salari nel Sud sono molto più bassi. In
Guatemala paghiamo i nostri funzionari, spesso
gente molto preparata, 200 o 300 dollari al mese,
mentre negli Usa la stessa persona costa 2.000
dollari al mese, come minimo. Questa è una
grossa differenza per raggiungere l’autosufficienza, i costi nel Nord sono ovviamente molto
più alti. Altri costi come quelli dei trasporti sono
più bassi al Sud e questo rende più facile l’autos u fficienza, mentre complica le cose in paesi
come gli Stati Uniti.
Una seconda differenza negli esiti è relativa ai
p restiti di gruppo, a quelli che chiamiamo
“gruppi di solidarietà”. In molti nostri programmi al Sud questa metodologia ha significato un
avanzamento, un salto di qualità, e questo ha
permesso di raggiungere molti più clienti perché
organizzati in gruppi. Questa metodologia ha
avuto molto successo in America Latina.
Applicata negli Stati Uniti ha avuto un successo
parziale. Abbiamo costituito i gruppi di solidarietà, ma anche concesso prestiti individuali, ai
singoli, e questo ovviamente fa crescere i costi.
Infine, una delle maggiori differenze è quella
tecnologica. La tecnologia non è accessibile in
molti paesi del Sud, che quindi devono contare
su altre risorse. In Usa, Canada, Europa, la tecnologia disponibile rende molto più efficienti e
redditizi questi tipi di prestito, più di quanto lo
siano stati fino ad ora. Vediamo questi vantaggi:
tu alzi la cornetta del telefono, digiti un numero
e parli con un funzionario che sta a 2.000 miglia
di distanza, e in questo modo puoi ricevere un
mutuo sulla casa, un carta di credito, un mutuo
per la macchina, semplicemente per telefono.
Penso che questo sia molto innovativo, e noi
stiamo cominciando a farlo. Cathy Quense ha
parlato dei Centri di Servizio che stiamo creando
negli Usa, in modo che i nostri programmi possano essere seguiti da un solo centro che concede
i prestiti invece di varie stazioni disseminate sul
territorio. Credo che questo sia un avanzamento,
un progresso alla stessa stregua dei gruppi di
solidarietà. Se applichiamo la tecnologia in
modo nuovo per indirizzarci verso i poveri, faremo un grosso passo avanti.
Concludendo, quello che vi voglio dire è che se
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andiamo nel Sud del mondo, in America Latina,
Africa, Asia, troveremo migliaia di organizzazioni che lavorano nel microcredito ed è un campo
nuovo, un’ottima notizia quindi. Ma la cattiva
notizia è che sono poco strutturate, in altre parole se poi da questa massa di org a n i z z a z i o n i
togliamo le 4 o 5 str u t t u re di vertice, A s a ,
Grameen, Accion, vedremo che esse raggruppano l’85% dei crediti, cioè l’80% dei clienti di tutto
il mondo. Ci sono migliaia di org a n i z z a z i o n i
molto molto piccole, con poche centinaia o
migliaia di clienti e questo nonostante la necessità di raggiungere milioni e milioni di persone,
perché troppe persone in questo mondo sono
povere. Penso che questa è la sfida principale
che attende le organizzazioni del Sud del
mondo.
Nel Nord bisogna ancora provare che il microcredito sia una strategia efficace per ridurre la
povertà e generare sviluppo economico. Negli
Usa, in Canada e credo in Europa, sia dell’est
che dell’ovest, è un campo ancora molto nuovo,
bisogna ancora renderlo operativo; le persone si
chiedono come può esser fatto, bisogna ancora
convincerle che questa strategia a lungo termine
può essere vincente per lo sviluppo economico.
Accion International, lo pensa, lo spera, e sta
lavorando in questo senso, ma non è stata ancora provata la sua efficacia. In questo senso siamo
ancora dei pionieri.
2° INTERVENTO STRANIERO
“MICROIMPRESA NEL NORD:
L’ESPERIENZA DI ACCION IN USA”
Catherine Quense, direttrice finanziaria di Acciòn
Internacional
Vo r rei ringraziare tutti voi per la splendida
opportunità di essere qui e di poter condividere
con voi non solo l’esperienza dell’America
Latina, che dura da 35 anni, ma anche quella
molto più recente iniziata nel 1991 negli Stati
Uniti, che consiste nel tentativo di esportare ciò
che abbiamo imparato e che ha così ben funzionato in America Latina in un contesto molto differente, quello degli Usa.
I principi alla base di ciò di cui ha parlato Maria
cosi come la metodologia descritta per lavorare
nel settore del microcredito nel Sud del mondo
sono molto simili a quelli del Nord, sebbene i
clienti con cui parliamo così come il contesto di
riferimento, la struttura dei costi, il tipo di
governo, siano molto diversi. Vorrei descrivervi
un paio di nostri clienti nel Nord per darvi un
immagine delle persone con cui lavoriamo.
- Jessica Garzia e Alice Herrera sono due donne
di El Paso, in Texas, proprio al confine con il
Messico, che hanno lavorato per anni come
direttrici locali di una azienda di trasporti, cosa
molto strana in un settore dominato dagli uomini. Questa compagnia cominciò a chiudere i suoi
uffici a El Paso un paio di anni fa, e Jessica e
Alice furono licenziate. Non riuscirono a trovare
un secondo lavoro allo stesso livello economico
di quello precedente nell’area di El Paso, dove
risiedevano con le loro famiglie. Decisero perciò
di creare una loro impresa, una azienda di trasporti. La chiamarono “7 Sons Tru c k i n g
Transportation” dai loro 7 figli, pensando che in
qualche modo questo le avrebbe potute aiutare
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in un mondo dominato dagli uomini.
Ricevettero un prestito da due organizzazioni
non pro f i t inclusa Acciòn Internacional; 5.000
dollari da Acciòn e un altro prestito di 25.000
dollari da un’altra organizzazione per poter
comprare computer, organizzare l’attività, ottenere la licenza, cominciare l’attività e richiedere
i mezzi di trasporto. Oggi vanno meglio di
quanto avessero previsto: con un fatturato di
300.000 dollari hanno entrambe un salario
annuo di 30.000 dollari, che è un buon salario
per quelle zone, e profitti per 25.000 dollari
reinvestiti nell’azienda.
- Un’altra cliente di Acciòn negli Usa è Patrice
Berry, di San Diego in California, altra zona di
confine. Patrice è una ragazza madre che riceve
sussidi dallo Stato. In seguito al programma di
riforma del Welfare State, chiamato “Riforma
negli Stati Uniti”, il suo sussidio è sceso fino a
600 dollari mensili, insufficienti per badare a sé
e alla sua famiglia. Dopo aver seguito un corso
di formazione gestito da un partner locale di
Acciòn Internacional, è diventata una “Day
C a re Provider”, per fornire servizi di asilo a
domicilio nella sua casa. Ha richiesto un prestito da Acciòn ed ha ricevuto una autorizzazione
per ogni bambino di cui si occupava. Ora è in
piena attività, ha ricevuto da Acciòn un prestito
dilazionato in tre rate per un totale di 5.000 dollari, e lo ha sempre ripagato.
Questi sono tipici esempi di persone con cui
Acciòn Internacional lavora negli Stati Uniti e, a
d i ff e renza dell’America Latina, dove i nostri
clienti sono al limite della sopravvivenza, questi non lo sono, ma sono sulla soglia di povertà
o della dipendenza dai sussidi governativi.
Ci sono gruppi molto eterogenei:
• I nuovi immigrati, per la maggior parte
• Lavoratori a domicilio
• Lavoratori come Jessica e Alice precedentemente licenziati da grosse aziende
• Madri come Patrice che cercano di passare
dal sussidio al mercato del lavoro
• Molti individui con reddito basso o in diminuzione
Ciò che effettivamente unisce tutte queste persone è che non hanno la possibilità di accedere
a fonti di finanziamento. Sare b b e ro rifiutati
dalle banche, e neanche viene loro in mente di
andare in una banca a richiedere un prestito.
Vorrei fare un piccolo riassunto del modo in cui
si sono sviluppati i programmi di microimpresa
in Usa a partire dagli anni ’80 e poi più rapidamente negli anni ’90:
• nel 1990 ci fu un show televisivo sulla
Grameen Bank, e nacque l’interesse per questo
tipo di attività;
• le associazioni non profit tentano di affrontare le differenze di reddito che si creano con i
meccanismi di mercato. Oggi in America il 10%
della popolazione è povera, e questa percentuale arriva al 25% per gli ispanici e gli afroamericani. Tra il 1979 e il 1992 il reddito del 40% delle
famiglie più ricche è aumentato per una percentuale che va dal 5 al 17%, mentre il restante
60% ha visto una diminuzione che va dal 2 al
16%. Le differenze stanno aumentando;
• nello stesso periodo c’è stato un dibattito in
Usa sull’efficacia dei programmi di “entitlement”, programmi di welfare basati sull’elargizione di sussidi statali. Con la riforma del welfare molte persone stanno sempre più velocemente uscendo da questo meccanismo di tutela,
una massa sempre più ingente che non può
essere completamente riassorbita tramite programmi di micro c redito o di avviamento al
l a v o ro. Circa il 30% delle donne che da due
anni non ricevono più sussidi ancora non ha
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trovato lavoro, nonostante il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti sia molto basso;
• c’è un crescente disagio nelle aeree urbane: a
Los Angeles ci fu la rivolta nel 1992. La povertà
nelle zone rurali, specialmente quelle di confine,
sta aumentando;
• c’è un crescente flusso di immigrazione,
soprattutto a causa della terribile situazione
politica in America Centrale negli anni ’80. Da
allora ci sono stati molti immigrati, non solo
nelle città di confine, ma anche a Boston, New
York, Chicago.
Attualmente il microcredito comincia ad essere
conosciuto nel Nord. Questa mattina abbiamo
sentito parlare degli sforzi che si stanno facendo
in Europa e che stanno dando i loro frutti in
Irlanda, Francia, Olanda. Fundusz Mikro, in
Polonia, ha circa 5.500 clienti; in Canada c’è la
Fondazione Calmeadow che utilizza una metodologia simile a quella di Accion ed ha circa 500
clienti. Come vedete i numeri sono molto diversi
da quelli sudamericani, ma stanno crescendo.
Negli Usa c’è una “Associazione per lo sviluppo
dell’imprenditoria”, nata dalla “National Trade
Association” (Associazione Nazionale del
Commercio), che si occupa di microimpresa, con
c i rca 600 membri tra professionisti, politici,
finanziatori. Nel settore del microcredito ci sono
due tipi di organizzazioni: le prime, sono quelle
basate sul credito, come Accion. Sono circa 300 le
organizzazioni che lavorano per il credito alla
microimpresa, con prestiti complessivi di circa
35 milioni di dollari. Ci sono poi organizzazioni
che lavorano sulla formazione-lavoro, come ad
esempio quella che si è preoccupata di avviare al
lavoro Patrice Berry.
Negli Usa vengono considerate microimprese le
aziende con fatturato inferiore ai 55.000 dollari
annui e con, in genere, un massimo di 5 addetti.
Ci sono 11,8 milioni di attività economiche autorizzate che possiamo catalogare come microimpresa, ma sono almeno 15 milioni se includiamo
tutte quelle non autorizzate. Si parla del 5%
della popolazione; c’è un mercato, e vediamo
che anche qui c’è una grossa diff e renza con
l’America Latina. Questo numero non include le
imprese avanzate, ad alta intensità di capitale o
alto livello intellettuale, come le aziende di servizi legali o sanitari, che a livello organizzativo
sono molto semplici.
Il Governo ha iniziato ad avere un ruolo nel settore con il “Community Reinvestment Act” del
1977, modificato nel 1995, che incoraggia il prestito e l’investimento bancario nei luoghi dove le
stesse banche risiedono. Le banche stavano in
effetti fuggendo dalle zone interne delle città, e
attraverso il Communty Reinvestment Act è
stato introdotto un criterio di valutazione delle
banche stesse, dipendente dagli investimenti
effettuati a livello locale. Le banche quindi si
sono sforzate di investire a livello locale, sia
direttamente, sia attraverso intermediari come
Accion.
È stato aperto un fondo a livello nazionale,
anche attraverso piccole associazioni commerciali o più recentemente attraverso le
“Community Developing Finance Institutions”.
Un paio di nostri programmi riceveranno finanziamenti da queste organizzazioni. C’è stato un
certo appoggio da parte di questo governo,
soprattutto da parte del Ministro del tesoro, ma
anche grazie allo stesso Presidente ed a Hillary
Clinton.
Nel settore privato ci sono alcune fondazioni
leader in questa attività di finanziamento della
microimpresa e di supporto di progetti pilota,
come ad esempio la Charles Stewart Mott
Foundation. Un’esperienza di tipo bancario è
quella della South Shore Bank di Chicago. Ma
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anche alcune banche più tradizionali cominciano
a concedere prestiti per progetti di microimpresa
a tassi piuttosto bassi. Gli investitori “socialmente responsabili”, o investitori etici, sia come singoli che come gruppi, collegati ad esempio con
una Chiesa, prestano denaro direttamente o
attraverso il nostro fondo di garanzia chiamato
Bridge Fund. Un esempio di coinvolgimento del
settore privato è il Community Reinvestment
Fund che un paio di anni fa ha garantito il portafoglio di Accion a New York, una cosa che è
andata in prima pagina sul Wall Street Journal,
una sorta di securitization (garanzia tramite
obbligazioni) dei prestiti di microcredito.
Lasciate che vi dia qualche delucidazione sul
ruolo di Accion International negli Usa. La
nostra mission è di creare cambiamenti di lungo
periodo nelle nostre comunità fornendo prestiti
per attività commerciali e servizi a lavoratori
autonomi, ai quali le barriere per l’acceso al credito impediscono la mobilità socio-economica.
Non si tratta necessariamente di poveri, ma di
persone che non possono accedere al credito, di
cui circa il 50% sono effettivamente povere.
L’obiettivo di Accion è di cre a re un modello
nazionale di microcredito che combini obiettivi
finanziari (economie di scala e autosufficienza)
con obiettivi sociali, facendo sì che i nostri clienti
abbiano i mezzi per essere autosufficienti economicamente e inseriti nella loro comunità. La
nostra strategia negli Stati Uniti è stata quella di
creare un network come in America Latina, ma
in questo caso abbiamo dovuto creare organizzazioni non profit, con consigli di amministrazione
che comprendevano persone provenienti dal settore privato, banche ed imprese, così come i leader di ogni comunità.
Abbiamo programmi in sei città degli Stati Uniti,
in Texas (due), in California, in Nuovo Messico,
a New York e a Chicago. In questi due ultimi
casi si tratta di interventi in periferie a basso reddito con popolazione di origine ispanica. Negli
Usa ci occupiamo solo di credito, costituendo
partnership con associazioni che si occupano di
formazione e assistenza, lavori che non facciamo
direttamente. Abbiamo anche una partnership
con banche per i prestiti: lavoriamo con 30 banche in tutto il paese.
La metodologia è molto simile a quella latinoamericana. Ci sono i gruppi di solidarietà, gruppi
di persone con piccole attività commerciali che
raggruppiamo per ottenere e per garantirsi reciprocamente il prestito. I prestiti di piccola entità
sono di circa mille dollari, mentre i prestiti più
g rossi partono da 5.000 e possono arrivare a
25.000 dollari. Le garanzie sono flessibili, e i prestiti hanno una rapida circolazione. I tassi d’interesse sono al livello di mercato.
Probabilmente abbiamo il più grande programma di microcredito che vi sia al momento negli
Stati Uniti. Abbiamo prestato complessivamente
una somma di più di 15,5 milioni di dollari, il
portafoglio corrente è di 3,5 milioni dollari, quello a rischio (oltre 39 giorni) è di circa il 9%. Il
tasso di soff e renza è inferiore al 4%, ed è un
buon risultato. La misura media del prestito è
inferiore ai 3.000 dollari - 2.745 dollari - mentre
la media dei prestiti a bilancio è di 3.795 dollari.
Più di 2.600 clienti hanno ricevuto crediti, e
attualmente 1.055 sono attivi. L’autosufficienza,
in altre parole la capacità di coprire i costi con le
entrate, riguarda il 37% dei destinatari del credito. Vediamo dunque che il cammino verso l’autosufficienza è ancora lento e distante dall’esperienza latinoamericana, ad esempio di Bancosol.
P rofilo del cliente. Per l’80% è un esponente
delle minoranze, 65% ispanici; il 42% del totale
sono donne; il 49% svolge attività a domicilio.
Tra coloro che ricevono prestiti per la prima
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volta, il 56% è a basso reddito. Settori economici:
servizi 41%, commercio 35%, produzione/artigianato 24%.
Abbiamo anche condotto, un anno fa, uno studio
sull’impatto dei nostri programmi, un’analisi dei
nostri clienti, e abbiamo trovato alcune cose
molto interessanti. I clienti a basso reddito che
hanno ricevuto 4 prestiti (in 2 anni e mezzo)
hanno incrementato i redditi da attività del 96%
e il capitale del 46%. È importante l’impatto qualitativo: il recupero della fiducia in se stessi, il
miglioramento delle relazioni in famiglia e nella
comunità. Abbiamo quindi avuto la certezza di
avere un impatto sulla vita e sulle attività economiche dei nostri clienti.
Le nostre sfide verso il futuro nel Nord del mondo.
Primo, raggiungere una scala adeguata, allargare l’ambito di azione: 1.055 clienti sono troppo
pochi, siamo presenti solo in sei zone, dobbiamo
c re a re un struttura che ci permetta di agire a
livello nazionale.
La nostra seconda sfida è quella di raggiungere
l’autosufficienza, perché il costo delle attività
economiche negli Stati Uniti è molto alto. I salari
dei nostri funzionari sono molto più elevati
rispetto all’America Latina, e abbiamo bisogno
di essere innovativi nel campo tecnologico, con
l’uso di posta elettronica e collegamenti satellitari che possano permettere ai nostri funzionari il
collegamento diretto tramite i loro computer
portatili. Dobbiamo rafforzare la struttura organizzativa. Comincia ad essere molto diff i c i l e
lavorare con sei organizzazioni indipendenti, e
se dovessimo espanderci in tutti gli Stati del
paese ci troveremo con 50 organizzazioni indipendenti; dobbiamo in qualche modo centralizzare l’organizzazione.
La terza sfida è pro d u r re un impatto sociale
delle nostre attività, affinché i clienti possano
diventare una voce potente per il cambiamento a
livello locale e nazionale. Come ha detto il professor Zamagni, si tratta di sviluppare politiche
di redistribuzione del reddito, politiche di giustizia sociale attraverso i meccanismi di mercato.
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1° INTERVENTO STRANIERO
“IL PROGETTO MICROCREDITO NEL SUD
DEL MONDO:
RECENTI TENDENZE E SFIDE”
Maria Otero - Acciòn Internacional
Grazie. Questa è la sola parola italiana che posso
usare nel mio intervento.
Prima di cominciare l’intervento vorrei rivolgere
i miei ringraziamenti agli organizzatori di questo convegno, in particolare per l’onore che ci
hanno fatto nell’invitarci, e soprattutto per l’opportunità data ad Acciòn Internacional di condividere la sua esperienza con voi.
Vorrei anche dire che è importante, quando si
parla di tematiche che interessano il Nord del
mondo, osservare attentamente ciò che accade
nel Sud del mondo, perché si può imparare
molto dall’esperienza della micro i m p resa nel
Sud e penso che l’introduzione del pro f e s s o r
Zamagni ci ha aiutato molto in questo senso.
Ciò che farò questo pomeriggio sarà riassumere
l’esperienza della microimpresa nel Sud, in quelli che chiamiamo “paesi in via di sviluppo”. Dal
punto di vista di Acciòn Internacional, che lavora nel settore da più di 25 anni, diventa realmente un riassunto di ciò che abbiamo fatto e che
riflette le nostre migliori esperienze.
Penso che la prima cosa importante da dire è che
il lavoro nella microimpresa emerge, si origina
dal settore non profit, lo stesso settore di cui stiamo trattando questa sera. In particolare quando
parliamo di microfinanza ci riferiamo alla fornitura di servizi finanziari, di credito e risparmio,
a poveri e poverissimi.
È importante capire cosa intendiamo per
microimpresa nei paesi in via di sviluppo: parliamo di milioni di persone che fanno dei piccoli
lavori, con le pelli, le ceramiche, i metalli, che
vendono oggetti lungo la strada e che vivono
attraverso l’autoimpiego, perché non hanno le
conoscenze e le capacità di integrarsi nei meccanismi dell’economia formale, e sono capaci di
sopravvivere solo tramite queste attività nell’economia informale. Ci sono milioni di queste
persone nelle più grandi città del mondo in via
di sviluppo: Nairobi, New Delhi, La Paz, Città
del Guatemala, li troverete ovunque e vedrete
che rappresentano la grande maggioranza dei
lavoratori.
Diamo uno sguardo a questo tipo di microimpresa, che ha un piccolissimo fatturato e di solito
impiega da 1 a 5 persone. Ci dobbiamo chiedere:
come possiamo rendere accessibili i capitali a
queste persone, che sono considerarti “non bancabili”? Non c’è nessuna banca tradizionale che
estenderebbe i suoi crediti a questo settore economico.
Le sfide principali, direi i principi fondamentali
p resenti nelle organizzazioni che forniscono
microcredito sono, a mio parere, due, e le organizzazioni che riescono a metterle in pratica
sono quelle maggiormente sviluppate:
- il primo è la scale, l’ambito d’azione, cioè la
possibilità di raggiungere un vasto numero di
persone. Raggiungere un grande numero di persone con prestiti molto bassi diventa essenziale
perché la domanda di credito è enorme. Quando
il Messico ha bisogno di creare un milione di
posti di lavoro ogni anno e non ha la capacità di
farlo, molte tra queste persone finiranno per
lavorare nel settore informale e avranno bisogno
di capitali per la loro attività. Sappiamo anche
che questa azione deve essere ad ampio raggio
se vogliamo in qualche modo agire sul problema
della povertà; se dobbiamo diminuire il livello di
povertà, allora dobbiamo essere capaci di ragg i u n g e re milioni di persone, e quindi essere
capaci di avere una copertura a livello nazionale
che non può concentrarsi solo nelle grandi aree
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urbane o in zone specifiche. Questo concetto di
scale diventa il principio più importante in questo ambito;
- il secondo è l’autosufficienza. Questo concetto
incorpora termini molto interessanti in una prospettiva non profit e consiste nel fatto che le organizzazioni che elargiscono questi crediti coprono
i costi della loro attività con gli interessi sul prestito. Nella maggior parte dei casi si tratta di
associazioni non profit, ma il fatto di coprire i
costi li emancipa dalla prospettiva di essere
dipendenti sia dall’assistenza pubblica che da
qualsiasi altra forma di sussidio. Questo è
importante in quanto crea un legame con il settore finanziario, con il mercato. Ci sono già delle
esperienze che dimostrano che questo può essere fatto, e ne parlerò brevemente in seguito. Ci
sono infatti delle organizzazioni che fanno credito e che sono autosufficienti. Se queste associazioni non vogliono essere dipendenti, devono
accedere alle fonti commerciali dei fondi e devono avere la capacità di costruire un legame con il
settore commerciale, e se riescono a farlo termina il bisogno di sussidi e termina la necessità di
raccogliere denaro da fonti esterne.
Ora, se diamo un occhiata veloce ad alcuni
esempi di organizzazioni che hanno raggiunto
questi obiettivi, vedremo, e questo è un messaggio che vi voglio lasciare, che ci sono molte organizzazioni nei paesi in via di sviluppo che ci
sono riuscite.
Le condizioni del successo del microcredito
Sono sicura che molti di voi hanno sentito parlare della Grameen Bank. È la più famosa, in
Bangladesh, ed è molto importante perché ha
avuto un grosso ruolo nel far conoscere questo
settore. La Grameen Bank oggi ha 2,5 milioni di
clienti, per la maggior parte donne, è presente
nel 50% dei villaggi del paese, è ancora dipen-
dente per una certa quota da sussidi esterni o
donazioni. È una esperienza molto importante,
ma non l’unica. Nello stesso Bangladesh ci sono
altre due organizzazioni che danno un grande
contributo nel campo del microcredito. Una di
esse è la BRAC, che ha 1,5 milioni di clienti con
p restiti molto piccoli e lavora in altri settori
come quello dell’educazione. Attualmente ha
anche ottenuto la licenza bancaria e si sta quindi
trasformando da organizzazione non pro f i t a
banca commerciale. Poi c’è ASA, un’organizzazione presente da 4-5 anni con 800.000 clienti e
costi molto bassi.
Direi che forse la migliore organizzazione nel
settore del credito e risparmio è indonesiana:
Bank Rakyat Indonesia (BRI) è stata capace di raccogliere il denaro dalle famiglie contadine per
poi effettuare prestiti alla popolazione. Sono 20
milioni di depositi, molto piccoli. Avete qui una
vera intermediazione finanziaria, capace di
mobilitare una parte della popolazione che altrimenti non avrebbe avuto la possibilità di accedere ai capitali.
In Africa le esperienze più avanzate sono in
Kenya, la K-REP che si sta trasformando in una
banca, e in Uganda, la Centenary Bank, creata
dalla Chiesa cattolica, che è a tutti gli effetti un
banca commerciale. In America Latina si può
a ff e r m a re che l’esperienza di Accion è la più
avanzata, perché lavora con 19 istituzioni indipendenti in 15 paesi. Accion, come associazione
non profit, non elargisce direttamente il prestito,
ma garantisce il credito, fornisce l’assistenza tecnica e la formazione per organizzazioni locali
autonome, che sono indipendenti. Sono loro che
forniscono il prestito ai lavoratori molto poveri.
Se mettete insieme tutte le attività della nostra
rete oggi, i prestiti ammontano a 600 milioni di
dollari ogni anno, ciascuno di grandezza variabile tra i 100 e i 200 dollari, ad una clientela com-
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posta per il 60% da donne. Negli ultimi quattro
anni abbiamo avuto 1,5 milioni di clienti, e quello che è veramente importante, e che si può
e s t r a p o l a re dall’esperienza di Accion, è che
molte delle associazioni locali di microfinanza
sono autosufficienti, cioè coprono i costi.
Ora, come è possibile? Perché queste esperienze
e questi esempi si affermano? L’idea innovativa
è quella di un metodo non tradizionale di prestito del denaro, un metodo che può essere definito
dei “gruppi di solidarietà”. L’idea cioè è di prestare denaro senza garanzie accessorie di tipo
tradizionale, in modo che i prestiti possano essere garantiti da tutte le persone di un gruppo “di
solidarietà” e che tutti siano responsabili del
pagamento. Sono gruppi autoformatisi, che si
formano cioè tra persone che hanno la loro attività - possono essere ad esempio quattro donne
che vendono ortaggi al mercato - a cui il prestito
viene direttamente elargito, e ammonta in genere a 60, 70, 80 dollari a persona.
Perché funziona? Primo, i prestiti sono molto
bassi e a breve termine, sul capitale circolante,
che è proprio quello di cui i “microimprenditori”
hanno bisogno. Secondo, e questo è molto
importante, se il credito viene ripagato, si può
accedere ad una seconda ed anche terza linea di
credito, e questo è un incentivo molto importante per il rimborso del prestito. Terza questione
molto importante è che il tasso di interesse è
quello di mercato, non un tasso agevolato o sussidiato. Dal punto di vista di chi riceve il denaro,
che in alternativa può solo rivolgersi agli strozzini a prezzi molto cari, un prestito con interessi di
mercato è molto conveniente.
I n o l t re la procedura per ottenere il credito è
molto veloce, la domanda è molto semplice e in
molti luoghi le donne possono firmare semplicemente lasciando l’impronta del loro pollice, per-
ché non sanno néleggere né scrivere (questo
r i g u a rda anche gli uomini ma soprattutto le
donne). Il processo di erogazione del prestito
richiede 2 o 3 giorni, a volte una settimana. E il
funzionario dell’organizzazione di microfinanza
va direttamente dal cliente, risparmiando in
questo modo alle donne il costo e la fatica di
andare in banca, magari con i bambini, facendo
la fila per ottenere un prestito.
Tutte queste modalità di prestito sono abbastanza atipiche, ma utilizzano principi di mercato e
rendono possibile alle organizzazioni di verificare ciò di cui ha bisogno la microimpresa. I microcrediti rispondono alle necessità del mercato,
hanno incentivi per il rimborso, permettono una
rapida espansione a molti clienti, sono efficienti
e coprono i costi del prestito: come vedete alla
base ci sono principi di mercato.
Accion International è riuscita a sviluppare la
metodologia dei gruppi di solidarietà nel progettare gli interventi sin dai primi anni ’80, utilizzandola con migliaia di clienti. Abbiamo dimostrato che:
- i poveri ripagano il prestito. C’è sempre stata
l’idea che i poveri non sanno utilizzare i capitali
e non rimborsano i prestiti, e invece il nostro
tasso di “sofferenze” sui crediti è solo del 2%;
- le organizzazioni di microfinanza possono
coprire i costi;
- col tempo possono aumentare le loro risorse per
raggiungere un numero crescente di persone.
Accanto a questa metodologia innovativa, l’altro
elemento chiave per l’affermazione delle esperienze di microcredito è l’accesso al mercato dei
capitali. Intendo dire che per raggiungere un
vasto numero di persone e rendere loro possibile
l’accesso al credito, devi essere capace come
organizzazione di accedere a capitali sul mercato. I donatori non hanno abbastanza denaro, i
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governi neanche, il denaro è in effetti concentrato nel mercato finanziario. Quindi per poter
effettuare un’azione massiccia, ad ampio raggio,
devi poter accedere a questo tipo di fondi.
Come?
In primo luogo tramite i prestiti che un’associazione non profit in Africa o in America Latina
ottiene dalle banche. Ma questa è la cosa più difficile, e allora Accion nel 1986 creò un fondo di
garanzia chiamato “Bridge Fund” che forniva
appunto garanzie alle banche locali che prestavano denaro alle nostre associazioni. In questo
modo, le banche non rischiavano, e contemporaneamente si garantiva l’accesso al prestito. Mano
a mano che il denaro cresceva, le banche cominciarono ad assumersi dei costi, concedendo prestiti sempre maggiori indipendentemente dalle
garanzie. In questo modo si è garantito l’accesso
a quote sempre crescenti di capitali e questo per
Accion ha significato un’impressionante crescita
della quota di portafoglio a nostra disposizione,
e le organizzazioni locali di microfinanza a questo punto potevano pagare il denaro che avrebbero poi prestato ai microimprenditori. Questa è
la via principale per legarsi al mercato dei capitali, e forse la più semplice.
Il secondo modo per creare questo legame è la
trasformazione della associazioni non profit in
istituzioni finanziarie, in banche vere e proprie.
In quanto banche queste organizzazioni possono
accedere al mercato dei capitali, fanno parte del
settore bancario del loro paese, e pertanto hanno
accesso a fondi più cospicui. Possono anche
attrarre investitori dal settore privato, che è proprio il modo in cui cominciano le loro attività. In
questo modo però dobbiamo conciliare obiettivi
tra loro contraddittori, il profitto e gli obiettivi
sociali. Questo è proprio alla base delle esperienze, come la vostra, di banche etiche. C’è poi
anche una terza via per accedere al mercato dei
capitali ed è lo sviluppo di strumenti finanziari
autonomi, come ad esempio obbligazioni o certificati di deposito.
Il caso Bancosol (Bolivia)
Lasciate che vi presenti un caso, un’esperienza
che ha attraversato tutte queste fasi, per chiarire
meglio questi concetti. Vi parlerò di Bancosol, in
Bolivia, il mio paese. Bancosol inizialmente è
un’associazione non profit, Prodem, e comincia
collegandosi con Accion e con alcuni esponenti
del settore privato, circa 11 anni fa. Prodem utilizza la metodologia dei gruppi di solidarietà e
in due anni riesce a raggiungere circa 15 mila
persone, con un tasso di sofferenze vicino allo
zero e con la copertura dei costi. Si accorge rapidamente, tuttavia, che fino a quando non avrà
accesso a fondi più rilevanti, non potrà avere un
impatto significativo sulla povertà nel paese.
Questo è il motivo che porta Prodem, due anni
dopo l’inizio della sua attività, a pensare di trasformarsi in banca commerciale. Il processo di
trasformazione segue questi passi:
• attrarre gli investitori. All’inizio è molto difficile rendere conveniente questo tipo di attività;
• a d d e s t r a re lo staff, tutto formato da gente
p roveniente dal mondo non pro f i t, un altro
campo d’intervento che ha richiesto una notevole trasformazione;
• c h i e d e re la licenza bancaria e spiegare ai
supervisori finanziari e politici del sistema bancario il nuovo tipo di approccio al cr e d i t o .
Un’esperienza molto formativa soprattutto per
politici;
• migliorare i sistemi di informazione e comunicazione, sia per la sorveglianza delle autorità
locali che per le valutazioni della rete di Accion;
• infine, essere una istituzione commerc i a l e
come le altre, ma con obiettivi sociali. Una
“banca etica” insomma.
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A partire dal 1992 Bancosol comincia la sua attività e continua a crescere. In tre anni raccoglie
da sola il 40% dei clienti del settore bancario in
Bolivia. Comincia ad operare a livello nazionale,
senza più limiti e restrizioni alla possibilità di
finanziamento. Il finanziamento avviene infatti
anche tramite prestiti e certificati di deposito
provenienti da Fondi di investimento, anche statunitensi, e l’attività continua a generare profitti.
Oggi Bancosol è un’istituzione bancaria leader in
Bolivia, pur avendo un importo medio dei prestiti che va dai 100 ai 150 dollari. Ma ciò che sta
accadendo adesso, ed è molto importante, è che
Bancosol sta influenzando la politica bancaria
del paese. Questa banca non solo garantisce prestiti ai poveri, ma lavora con i politici, con le istituzioni di sorveglianza, i ministri delle finanze
per cambiare le leggi che regolano il sistema
finanziario del paese.
Un’altro elemento positivo dell’esperienza boliviana è che si è creata una certa competizione
positiva: oggi ci sono varie organizzazioni che
concedono prestiti ai poverissimi e che competono tra di loro per fare al meglio il loro lavoro.
Così adesso una donna molto povera che non sa
né leggere né scrivere può scegliere tra queste
organizzazioni quella che offre i prestiti migliori.
Dieci anni fa poteva solo rivolgersi agli strozzini:
per noi questo è veramente un cambiamento
strutturale che consideriamo molto importante.
E Bancosol continua ad essere una delle più redditizie ed efficienti banche del paese.
Per finire possiamo dare un sguardo alle principali sfide che ci aspettano, come microfinanza al
servizio della microimpresa, nel Sud del mondo:
- la prima è che dobbiamo ancora costruire le
competenze per far sì che ciò che è accaduto con
Bancosol possa ripetersi nel resto del mondo;
- la seconda è far sì che queste organizzazioni
abbiano come fonte principale di introiti il mer-
cato, e non il denaro proveniente da donazioni.
Questa è una trasformazione importante, ed è
molto difficile da farsi;
- infine occorre comprendere meglio la relazione
tra microimpresa e povertà. La microimpresa
non è la risposta alla povertà, è una componente,
molto importante, che si deve coordinare con
a l t re questioni egualmente molto importanti,
come l’educazione e la salute, per far uscire le
persone dalla condizione di povertà.
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“PROGETTO MICROCREDITO:
GLI SVILUPPI IN ITALIA”
Aldo Moauro Consorzio ETIMOS
Alle soglie del 2000 la povertà di certe aree del
Sud del mondo non è più un fenomeno transitorio ma stabile, e la globalizzazione aggrava la
situazione anziché alleviarla. Ma il Sud si è
mosso contemporaneamente alle varie strategie
di aiuto allo sviluppo adottate dal Nord, offrendo esempi concreti di sopravvivenza, convertendo attività economiche marginali, struttura portante del proprio tessuto economico, in meccanismi propulsori della lotta alla povertà. A compiere tale processo sono state le comunità popolari e non i governi.
Anche se gli scenari sociali e politici in cui è portata avanti la sfida di produrre a partire da una
condizione diffusa di povertà sono diversi da
regione a regione, gli attori principali sono in
tutti i casi le persone, i gruppi o le strutture dei
settori popolari attive nella produzione artigianale o agricola, nella piccola commercializzazione, nei servizi. Tali attività fanno parte del “settore informale” dell’economia, e in particolare
del mondo della microimpresa, ed è oggi riconosciuta la loro capacità di generare reddito e di
c re a re lavoro in realtà povere senza supporto
esterno. Alla base di ciò sta il concetto di “sviluppo partecipativo”, per cui gli elementi di solidità di queste microimprese vanno al di là degli
aspetti tecnico-economici, per comprendere la
risorsa “politico-sociale”, cioè il controllo diretto
degli stessi beneficiari sulle risorse e le istituzioni. Esigenze prioritarie per lo sviluppo di queste
attività del settore informale e microimprenditoriale sono l’accesso ai servizi finanziari e l’accesso a mercati funzionanti e “assorbenti”. È in questo contesto che è nato e si è sviluppato il movimento del microcredito.
Cooperazione e microcredito
A livello di cooperazione allo sviluppo governativa, soprattutto nei paesi europei, vi è stata
recentemente una forte tendenza a dare alla
cooperazione una nuova dimensione, non più
solo da governo a governo, ma integrando l’elemento della partecipazione imprenditoriale
privata nella promozione del settore privato
nei paesi in via di sviluppo. Ad esempio i n
Italia segnali in questa direzione sono i crediti
di aiuto per la piccola e media impresa e il
fondo, poco usato e da qualche anno paralizzato, per la creazione di joint-ventures con controparti del Sud del mondo. In tutti questi casi
però non si tratta di risorse e programmi orientati
all’economia popolare. Le proposte per una
nuova legge italiana sulla Cooperazione sembrano aprirsi a qualche novità in tal senso:
maggiore enfasi alla cooperazione decentrata,
di cui gli Enti Locali sono protagonisti, e
accenni alla microfinanza e al microcredito.
Le poche esperienze italiane di successo nel
mettersi in relazione con il settore informale
p o p o l a re nei paesi in via di sviluppo sono
state condotte da alcune ong, dal commercio
equo e solidale e dalla finanza etica. È a partire
da queste esperienze che ora si stanno sviluppando i progetti di microcredito. In particolare
l’approccio di ETIMOS (nuovo nome di CTMMAG) alla finanza etica presenta una caratteristica preziosa per le iniziative di microcredito:
quella che viene definita in letteratura interl i n k i n g, ovvero “effettuazione simultanea di
transazioni tra le parti su vari mercati, dove le
condizioni di una transazione sono contingenti
alle condizioni di un’altra”. ETIMOS infatti ha
combinato nella sua esperienza il credito al
commercio equo con quello ad altri settori non
profit, che potevano entrare in relazione con il
fair trade, e l’attività di credito con quella di
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promozione d’impresa sociale. Ma perché l’interlinking è così importante? Facciamo l’esempio degli usurai (moneylenders), in molti paesi
del Sud i soggetti principali che il microcredito
“sfida”sul mercato: gli usurai spesso pongono
come condizione al prestito di essere utilizzati
dai loro “affidati” come canali commerc i a l i
esclusivi. La proposta alternativa, dunque, è
più forte - e anche meno rischiosa - se è
anch’essa finanziaria e commerciale (i n t e rlinking).
L’azione di Etimos
Dal 2 al 4 febbraio 1997 si è tenuto a
Washington il primo Summit sul microcredito,
che ha riunito rappresentanti di ong, organizzazioni di microfinanza, imprese impegnate
nel sociale, gruppi di base del Nord e del Sud
del mondo, agenzie delle Nazioni Unite,
Governi nazionali, istituzioni internazionali
(per l’Italia c’erano il Consorzio ETIMOS e
alcune ong). In questa sede si è lanciata una
campagna globale per raggiungere, entro il
2005, 100 milioni di famiglie povere, soprattutto le donne di queste famiglie, con crediti per
attività lavorative autonome e altri servizi
finanziari e commerciali. Il Summit ha valutato che saranno necessari 21,6 miliardi di dollari per far fronte alle necessità stimate. Le risorse necessarie per raggiungere tale obiettivo
arriveranno da diversi donatori e investitori,
agenzie governative, istituzioni non governative, il pubblico in generale e i risparmi dei
clienti dei microcrediti e di altri membri delle
loro comunità. Anche gli Enti locali in Italia
potrebbero fare la loro parte.
Attualmente le istituzioni di microfinanza raggiungono circa 16 milioni di persone, con un
portafoglio crediti di 2 miliardi e mezzo di
dollari (4.000 miliardi di Lire). Buona parte
delle iniziative di microfinanza ha come destinatarie le donne. Queste, oltre a essere escluse
dai tradizionali servizi bancari ancora più
degli uomini, rappresentano la maggioranza
(900 milioni) del miliardo e 300 milioni di persone che nel mondo vivono con meno di 1 doll a ro al giorno. Attraverso l’opportunità di
incontrarsi, di diventare finanziariamente
indipendenti, di usufruire delle iniziative collaterali della finanza solidale, come la formazione e l’assistenza tecnica, le donne possono
recuperare la fiducia in se stesse e offrire un
grande contributo per il miglioramento delle
condizioni socio-economiche delle pro p r i e
famiglie.
ETIMOS è nato come CTM-MAG nel 1989 con
lo specifico obiettivo di sostenere finanziariamente il commercio equo e solidale accanto
alla CTM, la principale centrale di importazione in Italia. Molte cooperative che fanno parte
del Consorzio gestiscono la rete delle “botteghe del mondo”, abbinando all’attività commerciale la proposta del risparmio etico. ETIMOS è stato tra i principali protagonisti della
costituzione della prima Banca Etica in Italia.
Con la partecipazione al Microcredit Summit
di Washington, il Consorzio ha avviato un progetto microcredito che oggi sta diventando la
sua attività principale. ETIMOS si pro p o n e
quindi come principale organizzazione italiana di microfinanza nel Sud del mondo, ma
anche nelle aree più povere dei paesi industrializzati, e dunque anche in Italia, in partnership con Banca Etica. Già nel 1998 i crediti
al Sud del mondo sono cresciuti. Sono stati
finanziati progetti di credito popolare a Quito,
Ecuador, e a San Gaspar Chajul, Guatemala;
imprese sociali dei Sem Terra e di altri “esclusi
dallo sviluppo” in Brasile; attività degli immigrati in Italia e progetti di ritorno, ad esempio
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in Senegal. Il portafoglio prestiti di ETIMOS
sarà nei prossimi anni composto da una percentuale sempre più rilevante di attività “nei
Sud” del mondo, con l’obiettivo di fornire servizi finanziari e di consulenza alla microimpresa, ai progetti di microcredito e ai produttori del commercio equo e solidale.
ECONOMIA SOCIALE,
BANCHE, FINANZA ETICA,
ENTI LOCALI: PROPOSTE
OPERATIVE
INTRODUZIONE
Luca Bellandi Regione Toscana
La Regione Toscana, nella mia persona, coordina
questa sezione che ha non a caso ha un titolo e
un riferimento preciso al rapporto fra terzo settori, istituzioni e credito.
La Regione Toscana ha inteso partecipare ed
incentivare questo convegno perché si colloca
all’interno di un complesso di rapporti e in una
dimensione in cui deve tro v a re collocazione
anche la politica del credito.
Come Regione Toscana abbiamo attivato una
serie di nuovi strumenti e abbiamo reso evidenti
alcune scoperte, novità e fatti che ormai la crisi
del Welfare State pone in rilievo. Abbiamo recepito il dato ormai evidente della crisi dei servizi
sociali, di un modo di erogazione dei servizi
sociali. Abbiamo recepito come evidente la
necessità con il terzo settore di un rapporto che
deve sempre privilegiare il partenariato e non
più il rapporto di semplice committenza attraverso strumenti contrattuali.
Abbiamo, e questo è il fatto particolare, recuperato a pieno la dimensione locale. Si è parlato di
come il gruppo e l’identità locale costituisca uno
strumento di garanzia per l’accesso al credito e
quindi anche per le politiche di sviluppo sul versante istituzionale. Perché poi è questo il nostro
compito. Abbiamo trasferito tutte le competenze
del sociale agli enti locali non delegato ma trasferito e gli enti locali hanno la titolarità piena.
Abbiamo mantenuto come regione i compiti e le
mansioni e funzioni di programmazione che
debbono svolgersi a livello locale autonoma-
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mente gestiti, sulla base di indirizzi e scelte di
carattere generale, dai soggetti locali, per lo sviluppo in loco -che poi non sono altro che gli enti
locali-. Questo è un altro passaggio necessario
che mi sento in dovere di sottolineare. I comuni
e gli enti locali si organizzano attraverso piani di
zona in cui scattano tutte quelle modalità di rapporto che vanno inventate spesso fra terzo settore e soggetti istituzionali. É un problema che ho
vissuto facendo parte del gruppo che collabora a
redigere la messa in atto del piano sanitario e del
piano di zona, alla dialettica spesso complicata,
difficile e a volte estremamente fluida che c’è
nelle diverse situazioni della Toscana. Però qui
sta la novità e qui si deve misurare anche la
struttura del credito. Noi abbiamo un progetto
che nel nostro piccolo è un progetto di sviluppo
e di disseminazione della banca etica. Un progetto di formazione e comunitario di carattere inter
regionale svolto in collaborazione con l’Emilia
Romagna e che ha come obiettivo, non tanto la
costituzione di una banca etica. Ci siamo infatti
limitati a sottoscrivere delle quote, però intendiamo provvedere ad un’attività di formazione e
predisposizione di strutture tecniche a questa
diffusione sul territorio inserendo questo strumento all’interno dei piani territoriali. Vedete
bene, lo dico per inciso, che anche la Fidi
Toscana deve operare così: il funzionario che ieri
ha spiegato l’attività della Fidi toscana non ha
detto che lo strumento del fondo di dotazione
della Fidi Toscana si inserisce ed è previsto che si
inserisca dentro le politiche di pianificazione del
territorio sulla nostra legge 72.
Abbiamo in più, ed è un elemento che mi preme
in particolare di sottolineare, uno strumento di
intervento diretto della Regione. Quindi da un
lato la programmazione zonale dei comuni con
p a r t i c o l a re rapporto ma sempre rapporti di
autonomia e mai di subordinazione e un partico-
l a re strumento regionale che viene chiamato
“ p rogramma di iniziativa regionale” e che
riguarda in un caso specificamente le reti di solidarietà. Con questo programma la regione interviene nel rispetto del principio di sussidiarietà
cioè riconoscendo che è necessario che ci sia la
dimensione regionale per poter re a l i z z a re ed
esplicitare. Si intende intervenire così per promuovere e rendere appunto espliciti strumenti
di sostegno alle organizzazioni del terzo settore
e in particolare per stabilire le modalità di rapporto diverso fra strutture ed organizzazioni del
terzo settore ed istituzioni. Uno strumento previsto all’interno di questo programma sono i “patti
territoriali” che è una novità su cui merita soffermarsi. É importante perché la dimensione istituzionale che può apparire in alcuni casi un po’
condizionante nei patti territoriali si riduce notevolmente. Ci sono dentro le istituzioni, i sindacati, i soggetti del terzo settore e insieme si stabiliscono modalità nuove di erogazione di servizio, interventi di carattere di emergenza -come
può esserlo il problema degli emigrati-. Si prevedono forme nuove di partenariato e di sperimentazione di nuove attività. Questo ha anche
una ricaduta in termini occupazionali, a mio
avviso, perché è nell’ambito di questo patto e
particolare rapporto che si stabilisce fra i soggetti istituzionali e le forze sociali, sindacati, soggetti formalmente non organizzati, diverse forme di
erogazione di servizio e di attività. Si riesce per
tanto a coprire nicchie e zone dove non è possibile intervenire con la politica normale. Abbiamo
un progetto comunitario anche sulle banche
tempo. Questa novità si sta rivelando di grande
attrazione per i giovani e specialmente per le
donne.
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“TERZO SETTORE E CREDITO:
PROSPETTIVE POSSIBILI”
Nuccio Iovene –Segretario generale del Forum
del Terzo settoreÉ ormai evidente che, nel nostro Paese, sul terzo
settore si riversino grandi aspettative, sia in termini di crescita dell’occupazione sia in termini
di risposta a bisogni sociali emergenti; bisogni ai
quali lo stato, le istituzioni, il mercato, non sono
in grado di rispondere attraverso la creazione di
comunità, di coesione sociale, di identità sociale.
Le richieste e le aspettative nei confronti delle
organizzazioni del terzo settore, rispetto a questi
problemi, sono sempre più insistenti e importanti. Francamente spaventa che sulla gracile struttura del terzo settore possano concentrarsi problemi tanto rilevanti e indubbiamente sproporzionati. Occorre rebbe, perciò, fare maggiore
attenzione alle effettive potenzialità e alla realtà
concreta che esso può rappresentare. Pensare
che il terzo settore possa essere la soluzione a
tutti i mali sociali e a tutte le emergenze di questo fine secolo sarebbe ingeneroso. Ciò non
toglie che una parte fondamentale di questa
realtà ha già giocato e gioca tuttora un ruolo rilevante. Questa precisazione può sembrare tesa a
ridimensionare le aspettative ma avverto veramente il rischio di un’enfasi che potrebbe risolversi in delusione. Dobbiamo invece avere un
quadro ben preciso della situazione e dei suoi
possibili sviluppi.
Passiamo allora ad analizzare i fatti concre t i .
Non c’è dubbio che il terzo settore, in particolare
in Italia, è in grande crescita e dagli ultimi dati
fornitici dall’IREF, emerge una situazione assai
dinamica. L’ISTAT ha istituito il primo gruppo
di indagine sul terzo settore poco tempo fa. Non
disponendo di dati ufficiali, che comunque
sarebbero indispensabili e utili per progettare il
futuro e capire meglio la realtà del terzo settore,
ci basiamo quindi su quello che diversi istituti di
r i c e rca autonomamente hanno realizzato nel
corso degli ultimi 10 anni.
Quando ha cominciato a circolare la consapevolezza che il terzo settore potesse avere una rilevanza anche economica ed occupazionale nel
nostro Paese, a metà degli anni ’90, ci si basava
sui dati che L’IRS, l’Istituto di Ricerca Sociale di
Milano, ed in particolare Giampaolo Barbetta
aveva estrapolato all’interno di una ricerca internazionale coordinata dalla Johns Hopkins
University di Baltimora. L’indagine metteva in
relazione realtà e paesi diversi (12 per l’esattezza, di cui 5 sviluppati e 7 in via di sviluppo) sui
quali, con parametri simili, si prendevano in
considerazione le realtà del terzo settore. È
emerso che in Italia c’erano, nel ’91, oltre 400.000
occupati a tempo pieno nel terzo settore, pari
all’intero settore del credito e delle Assicurazioni
nel nostro Paese. È un dato rilevante a cui si
aggiungono circa 300.000 volontari equivalenti
tempo pieno e quindi, in realtà, corrispondente
ad un aggregato di almeno tre milioni di persone di fatto coinvolte. Un contributo tutt’altro che
trascurabile e comunque non ancora paragonabile a quanto già si era determinato in altri paesi
europei presi in esame. L’Italia infatti risultava
l’ultimo tra i paesi sviluppati. Da allora abbiamo
disquisito sempre su quei dati. L’IREF quest’anno ha tentato un aggiornamento e finalmente,
anche attraverso l’impegno dell’ISTAT nel censimento e al lavoro di rilevazione del prossimo
futuro, che la nuova ricerca che la Johns Opkins
University ha ampliato a 22 paesi, l’Italia
disporrà di dati più attendibili e rilevanti.
Comunque le nuove valutazioni del IREF indicano che nel giro di 6 anni la crescita del terzo settore è stata notevolissima. Dai 400.000 occupati a
tempo pieno si è passati a 690.000 con una per-
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122
centuale di occupazione che sfiora il 3.5%.
Questi dati, rilevanti in se, lo sono maggiormente se inseriti nel contesto socio economico che
questo paese vive; sul fatto che da anni la disoccupazione si sia stabilizzata al 12.5%, che si continui a verificare una perdita di posti di lavoro
nei settori tradizionali e non si intravedano al
momento soluzioni o inversioni di tendenza
significative. Il terzo settore è invece un settore
in crescita. Spesso, affrontando il tema della crescita e del contributo all’occupazione, i primi ad
essere preoccupati e a sottolineare aspetti problematici sono stati proprio i soggetti del terzo
settore. In più occasioni abbiamo ripetuto, e noi
del Forum ne siamo convinti, che il terzo settore
non nasce per creare occupazione. Sicuramente
non è questo il primo obiettivo.
L’occupazione è l’effetto di un’azione che ha altri
obiettivi: fare crescere la partecipazione dei cittadini, tutelare i diritti, offrire servizi, costruire
comunità, dare una risposta ai bisogni sociali,
cioè alle emergenze sociali più impellenti. La
c rescita dell’occupazione è semplicemente il
frutto di questa attività. Non può quindi essere
scambiato il fine con il mezzo e soprattutto,
quando si mette in campo una strategia per la
crescita del terzo settore nel nostro paese, non si
deve scambiare il soggetto di riferimento e gli
obiettivi che questo persegue; si rischiere b b e
altrimenti di “drogare” una crescita e provocare
danni invece che risultati positivi. Il terzo settore
è cresciuto anche in assenza di particolari norme
di sostegno nel corso di questi anni. È cresciuto
in visibilità e radicamento, in consapevolezza
tanto da darsi anche uno strumento di rappresentanza e coordinamento, di confronto al proprio interno e di capacità di interlocuzione nei
confronti del governo e del parlamento.
Il Forum Permanente del Terzo Settore è un
esperienza che non ha eguali all’estero e rappre-
senta una delle novità, uno dei punti di forza del
terzo settore. Nel nostro paese questo processo
di coordinamento e di rafforzamento delle realtà
del terzo settore è andato avanti anche sul versante, non meno importante, della crescita di
consapevolezza, di essere e sentirsi sistema.
Come sistema ha la necessità, quindi, di servizi
finanziari, di consulenza amministrativa, di certificazioni di qualità e così via. Non è un caso
che nello stesso periodo in cui si è sviluppato il
lavoro comune del Forum Permanente, del suo
moltiplicarsi in tante esperienze regionali e locali, è maturata l’esperienza di Banca Etica, si è
consolidato il marchio di garanzia del commercio equo-solidale “TransFair”; è nata l’agenzia
del terzo settore Aster-X. Sta nascendo la mutua
del terzo settore “Unaterra”. Potrei citare tante
esperienze e realtà in cui forze diverse per storia,
tradizioni, cultura, radicamento, hanno deciso di
cooperare per costruire una struttura di servizio
unitaria. In un mondo per lungo tempo vissuto
di auto re f e renzialità e auto sufficienza è un
passo avanti notevolissimo e molto rilevante.
Vedremo i frutti che darà nel prossimo futuro.
Tra questi punti di riferimento, tra questi elementi, certamente gli aspetti del finanziamento,
dell’auto finanziamento e del credito sono quelli
più importanti.
Il terzo settore si è mosso in due direzioni. Da un
lato quello di diversificare sempre di più le fonti
del proprio finanziamento, cercando di ridurre
la dipendenza da un unica fonte, sia essa il rapporto con il pubblico e con le istituzioni o l’autofinanziamento legato alla quota associativa. Si
sono messe in campo, a questo scopo, delle attività in grado di equilibrare i propri bilanci, indirizzate alla capacità di raccolta fondi, attraverso
lo sviluppo della progettualità per l’accesso a
finanziamenti europei e per l’erogazione di servizi. Si è cominciato a porsi il problema di un
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vero e proprio marketing sociale, attraverso l’erogazione di beni e servizi, finalizzati al sostegno delle attività sociali a cui si fa riferimento. È
ovvio che le singole associazioni hanno operato
con maggiore o minor efficacia. Questo comunque è stato il fenomeno comune che ha spinto ad
i n t e r rogarsi, a seguire corsi di formazione e
occasioni di incontro per misurare esperienze
nuove su questo campo. Inoltre si è aperto tutto
il tema dell’accesso al credito. Chi ha fatto associazionismo o volontariato negli anni ‘80, sa
come era trattato dal sistema creditizio tradizionale. Prima ancora della facilità o meno dell’accesso al credito, c’era un problema di comunicazione, di linguaggio, di comprensione di quale
fosse il mondo di riferimento e quali esigenze e
problemi potesse avere. In seguito subentravano
gli altri aspetti, quelli appunto di ottenere fiducia da parte dell’istituto di credito e quindi di
avere i finanziamenti a certe condizioni, spesso
subendo meccanismi più o meno vessatori.
Non c’è dubbio che la crescita di consapevolezza
e il cambiamento di mentalità circa il terzo settore nasce dalle aspettative che ha suscitato. Da
questo punto di vista il primo risultato concreto
è senz’altro la Banca Etica. Nel nostro Paese
Banca Etica è stata una realtà che, ancor prima di
essere operativa, ha prodotto risultati concreti a
favore del terzo settore. I 22 “pazzi” che 3 anni
fa costituirono l’associazione finanza etica e poi
la cooperativa verso la Banca Etica lanciarono
una grande sfida, prima di tutto a loro stessi e
alle loro associazioni. Si trattava di raccogliere 12
miliardi e mezzo di capitale sociale e di dare vita
alla prima banca alternativa. Arrivavamo con
qualche ritardo rispetto ad esperienze straniere e
soprattutto cominciavamo ad operare in una
realtà assolutamente distante dalle tematiche
della finanza etica, tranne poche lodevoli eccezioni prevalentemente concentrate nel nord
Italia e legata alla rete delle MAG. Per il resto,
nel sistema bancario tradizionale e nella stessa
esperienza dell’organizzazione del terzo settore,
si era sviluppato una sensibilità al tema della
finanza etica. Mentre i fondi etici si scambiano a
Wall Street già da un decennio, in Italia non avevano avuto cittadinanza nemmeno quelli legati
all’ambiente, nonostante un movimento ambientalista significativo.
Il primo risultato ottenuto da Banca Etica è stato
proprio aver costretto tante banche tradizionali e
tanti uomini del marketing ad interrogarsi e scoprire quello che definiscono un nuovo target di
riferimento.
Questo penso sia stato il primo vero successo.
Comunque ero consapevole allora, come lo sono
oggi, che Banca Etica, per quanto possa funzionare bene, da sola non sarà sufficiente a rispondere a tutti i problemi di credito che uno sviluppo serio del terzo settore porrà nel nostro Paese.
Sono convinto che occorrerà una pluralità di
soggetti i quali funzioneranno al meglio se la
Banca Etica sarà forte e centrale in questo schieramento. Una Banca Etica rispetto alla quale
tutti saranno costretti a misurarsi nelle loro scelte e azioni.
È comunque sorprendente come negli ultimi 3
anni, dalla compagnia per lo sviluppo dell’impresa sociale promossa dalla Banca di Roma, alla
messa in campo da parte di varie banche di prodotti cosiddetti etici, il panorama sia profondamente cambiato.
Il problema del credito, quindi, è e sarà ancora
di più, rispetto ad una crescita sostenuta per la
quale lavoriamo nel terzo settore, decisivo e centrale. Lo abbiamo affrontato provando a darci
uno strumento auto gestito, in grado di interpretare e rispondere pienamente ai bisogni che il
nostro mondo di riferimento esprime. Questo è
stata l’esperienza di Banca Etica. Da qui sono
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emerse nuove opportunità che vanno sicuramente gestite e sulle quali occorrerà lavorare
seriamente. Restano poi altri piani e altri livelli
rispetto ai quali stiamo lavorando. Sicuramente
c’è un problema di misure legislative e normative da mettere in campo rispetto al credito. In
questi anni, ed in particolare nell’ultimo anno,
abbiamo lavorato su due fronti. Inizialmente
alla legittimazione del terzo settore che, senza
coordinamento, stentava ad ottenere risposte
concrete sulle scelte politiche, legislative e normative. Dal periodo che va dalla firma del patto
per la solidarietà del 18/4/98, alla finanziaria
’99, al patto per lo sviluppo e l’occupazione
(che si sta discutendo con le altre parti sociali e
vedrà la firma di un protocollo di intesa
aggiuntivo ed integrativo con il Forum del
Terzo Settore), si è cominciato a definire un pacchetto di provvedimenti che prevedono anche il
credito. Per esempio, nella finanziaria, si è riusciti ad estendere le agevolazioni previste per le
piccole e medie imprese alle imprese sociali. Tra
queste c’è il regolamento che dovrà essere definito ma il tema del credito è uno dei tipici strumenti attraverso i quali si è sostenuta la piccola
e media impresa del nostro Paese.
C’è poi il famoso discorso dei titoli di solidarietà inseriti nel Decreto legislativo 460/97,
quello sulle Onlus, che riguarda in specifico il
sostegno a quegli istituti di credito che emetteranno titoli di solidarietà attraverso un meccanismo di defiscalizzazione. Il ministero del
tesoro e il governo sono in ritardo su questo
punto. Non hanno infatti emanato il decre t o
relativo e noi stiamo lavorando perché ci sia
una misura immediata anche perché ci interessa rispetto alla partenza, prevista per l’8 marzo,
del primo sportello di banca etica. In verità noi
avevamo lavorato affinché questa misura fosse
sostanzialmente diversa. La richiesta fatta al
governo, nell’ambito del patto dello sviluppo e
occupazione, di monitorare l’andamento della
460, di capirne i risultati prodotti, e quali problemi avesse aperto, era volta ad intro d u r re ,
entro la scadenza del 2° anno, possibili modifiche e correttivi così come previsto dalla legge
delega. Chiedevamo di intervenire utilizzando
la leva fiscale non per premiare l’istituto di credito che emetteva il titolo di solidarietà ma per
p re m i a re il comportamento del consumatore
che si orientava verso i titoli di solidarietà preferendoli ad altri titoli e ad altre scelte. Offrire
la defiscalizzazione al singolo risparmiatore
quindi, premiando il comportamento virtuoso
del cittadino. Su questo stiamo insistendo e c’è
una partita aperta con il ministero delle finanze
proprio nell’ambito del pacchetto di proposte
avanzate per il patto per lo sviluppo che riguarda tutti questi aspetti.
C’è la necessità, inoltre, di dare vita ai consorzi
fidi. Abbiamo cominciato a lavorarci tre anni fa.
Avevamo chiesto di dare su questo tema un
segnale di risposta, di disponibilità e di interesse alla lega delle cooperative, al mondo di
COOP consumo ma, dopo un primo accenno di
interesse, questi soggetti hanno lasciato cadere
la questione. Oggi il problema si presenta in
tutta la sua forza ed urgenza e riguarda anche i
rapporti con le istituzioni locali, le re g i o n i .
Comunque la crescita delle opportunità e le
possibilità di accesso al credito come strumento
finalizzato alla realtà del terzo settore non può
che aumentare e moltiplicarsi.
Infine c’è il problema delle fondazioni bancarie
con il quale concluderei il mio intervento. È un
tema ancora sottovalutato anche dalle organizzazioni del terzo settore. Credo non ci sia piena
consapevolezza di ciò che le fondazioni bancarie possano rappresentare, nel prossimo futuro,
per le realtà del terzo settore e per la loro fisio-
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nomia. Per questo occorre tentare di recuperare
i ritardi il più celermente possibile.
Le fondazioni bancarie sono nate quasi per caso,
come lo stesso ministro Amato che ne ha avviato
la costituzione in previsione della privatizzazione del sistema bancario del nostro paese, ha
sostenuto. In effetti quando si è pensato alla privatizzazione del sistema bancario nessuno ha
seriamente considerato cosa sarebbero divenute
le fondazioni, nate come soluzione al problema
di privatizzare le casse di risparmio e gli istituti
di credito di diritto pubblico, 88 fondazioni,
55.000-60.000 miliardi di patrimonio stimato, un
intervento annuo in base alla redditività che è
fra le più basse del mondo, di circa 2500 /3.000
miliardi di lire l’anno. Se consideriamo le risorse
pubbliche che lo stato riesce ad investire su temi
sociali diviene evidente l’entità e la rilevanza che
ha il tema delle fondazioni bancarie.
Il problema è che le fondazioni bancarie, in particolare i protagonisti attuali delle fondazioni
bancarie, non hanno alcun interesse a svolgere il
mestiere che gli sarebbe proprio. C’è invece interesse a mantenere il controllo delle banche di
riferimento. In questi anni, hanno fatto di tutto
per mantenerne fortemente intrecciati i rapporti
a fronte dei tentativi di spingerle, attraverso fortissimi incentivi fiscali e direttive, verso la separazione. La nuova legge sulle fondazioni bancarie, che poi è una legge delega approvata in
seconda lettura alla camera, è una legge che ha
stemperato ulteriormente i labili contorni e le
indicazioni che aveva nei confronti delle fondazioni bancarie. Si è introdotta addirittura la possibilità che le fondazioni bancarie operino per lo
“sviluppo economico locale”, un’attività propria
del credito che quindi si sovrappone ai compiti
fondamentali che le fondazioni avr e b b e ro .
Lasciando la possibilità che le fondazioni siano
presenti anche nei pacchetti di controllo delle
banche, inoltre, si è messo in forse quel processo
di separazione dei destini delle fondazioni bancarie e delle banche di riferimento, che poi era
uno degli obiettivi fondamentali della legge.
La legge del resto non aveva risolto il problema
della natura delle fondazioni lasciando loro la
possibilità di operare sia come fondazioni di erogazione e di finanziamento (come avviene
nell’80% dei casi nel mondo), o come fondazioni
operative. Non solo gli attuali amministratori
delle fondazioni sono particolarmente attenti a
mantenere il controllo sulle banche, ma di fatto
amano fare il mestiere dei banchieri invece che
quello di gestori di fondazioni, che sarebbero
rilevantissime per lo sviluppo sociale dei territori. Le fondazioni di erogazione, per altro, sono
una realtà che non esisteva in Italia fino al ’91.
Fino ad allora le fondazioni erano basate su
patrimoni scarsissimi e fortemente operative,
legate alla gestione di una attività. Solo la legge
sulle fondazioni bancarie ha fatto emergere un
modello che poteva essere paragonabile a quello
degli Stati Uniti d’America o di altre realtà. Così
nel giro di 8 anni la fondazione CARIPLO, per
consistenza patrimoniale, è divenuta la più grande fondazione del mondo. Se consideriamo, nel
bene e nel male, quello che producono la fondazione Rockefeller, Soros e le altre, si possono
discutere la qualità e gli indirizzi degli interventi, ma non certamente le dimensioni o l’impatto
che esse hanno.
Per il terzo settore è chiaro come il problema sia
rilevantissimo. Dunque queste fondazioni non
solo vogliono continuare a fare le banche, ma
vogliono anche gestire in proprio gran parte
delle attività. Anziché far crescere una professionalità specifica nella capacità di erogazione, che
significa costruirsi come struttura leggera, in
grado di leggere il territorio ed i suoi bisogni
sociali, individuare i soggetti e gli oggetti meri-
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tevoli di finanziamento, essere di supporto alle
realtà sociali locali, di fatto costituiscono strutture burocratiche elefantiache, dai costi molto elevati, e con un rapporto squilibrato tra costi, operatività e benefici sociali. Uno squilibrio evidente
tra quanto serve per sostenere la fondazione e
quanto viene investito per l’utilità sociale a cui
dovrebbe essere chiamata; inoltre senza nessun
c o n t rollo e trasparenza e con diseguaglianze
enormi tra centro-nord e sud. L’80% degli investimenti fin qui realizzati dalle fondazioni bancarie sono concentrati al nord, il 18% è concentrato nel centro e solo il 2% al sud del nostro
paese, con il paradosso che là dove ci sono istituzioni forti, una società civile più ricca e servizi
più efficienti si somma anche l’intervento delle
fondazioni mentre dove è presente una società
più disgregata, in difficoltà, istituzioni sicuramente meno funzionanti e meno traspare n t i ,
manca anche l’intervento delle fondazioni.
P e rciò assecondare questo processo significa
accentuare gli squilibri storici e tradizionali del
nostro Paese.
Intervenire per modificare questi indirizzi dal
punto di vista legislativo è l’obiettivo che il
Forum sta perseguendo, chiedendo, una volta
approvata la legge, che almeno i decreti delegati
tengano conto di questi problemi, di queste perplessità e di queste questioni. In ogni caso questa non è più una partita che si gioca a livello
nazionale, sui tavoli parlamentari. È necessario
attivare la capacità del terzo settore di chiedere
conto delle attività delle fondazioni nei loro territori, di invocare la trasparenza nelle erogazioni
– piuttosto che costruirsi il canale riservato per
avere qualche briciola – e sull’impatto sociale
che l’attività delle fondazioni sviluppa a livello
territoriale, oppure riuscire a costruire un meccanismo attraverso il quale si garantisca una rappresentanza del terzo settore nei futuri organi di
indirizzo delle fondazioni previsti dalla legge;
altrimenti questa partita rischia di essere persa.
Per le dimensioni e l’entità del problema, il futuro del terzo settore rischia di essere in parte snaturato. Noi viviamo in un Paese nel quale il
terzo settore è radicato fortemente sul territori e
basato sulla partecipazione dei cittadini, un
terzo settore popolare che rischierebbe invece di
essere, nella sua struttura originaria, modificato
da parte delle fondazioni a propria immagine e
somiglianza.
Queste sono sfide rilevantissime per il futuro e
quello che chiediamo agli altri ed in particolare
alle fondazioni dovremo, a maggior ragione,
pretenderlo da noi stessi. Non è un caso che il
Forum del Terzo Settore stia lavorando, fra le
altre cose, ad una carta della donazione come
strumento per incentivare i cittadini a sostenere
l’attività del terzo settore tramite le donazioni e,
al tempo stesso, dare garanzie ai cittadini rispetto alla trasparenza e alle finalità con cui la raccolta fondi viene realizzata. Per prevenire i troppi casi di truffa perpetrati in nome della solidarietà non bastano e non servono i controlli delle
forze dell’ordine o degli uffici pubblici. Serve
soprattutto l’aumento della consapevolezza dei
cittadini che donano di avere dei diritti e la
capacità di trasparenza e responsabilità delle
associazioni che ricevono. Questi due aspetti
sono ineludibili affinché non si crei confusione.
Un processo di crescita, sviluppo e una fase
costituente è ancora pienamente aperta nel
nostro paese per il terzo settore. Fortunatamente
questi ne ha piena consapevolezza e si sta dando
gli strumenti, pur con qualche limite ed errore,
per affrontare la fase che abbiamo di fronte. Il
credito è uno degli aspetti fondamentali di questa crescita e di questo sviluppo. La questione
del credito però non si risolve unicamente con
l’esperienza centrale, decisiva e fondamentale di
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Banca Etica, ma attraverso la messa in campo di
vari strumenti e soprattutto con l’ambizione di
voler cambiare, contribuire a cambiare il comportamento e il modo di funzionare del sistema
del credito tradizionale del nostro Paese.
Non è una piccola ambizione ma io credo che
varrebbe la pena tentare.
“PROGETTO MICROCREDITO:
IL CONTRIBUTO DEL COMMERCIO EQUO”
Marco Noris, Consorzio CTM-Altromercato
La collaborazione tra CTM e ETIMOS (CTMMAG), in questi anni, ha creato sinergie grazie
alle quali il settore finanziario e il settore comm e rciale, hanno saputo darsi re c i p ro c a m e n t e
molti contributi. In questo senso si sono potute
sviluppare delle pratiche originali per quanto
r i g u a rda la cooperazione sia nel commerc i o
equo che nella finanza etica. Per comprendere
meglio la convergenza del percorso sviluppato
da questi due settori dell’economia sociale, partiamo da alcuni dati significativi.
La crescita del commercio equo è costante: ogni
anno nella sola Europa abbiamo un incremento
di botteghe del fair trade che si aggira intorno al
20%. Attualmente in questi punti vendita sono
impegnati circa 60.000 volontari e 4.000 lavoratori. Questo è l’importante risultato dei 30 anni di
storia del movimento; ma tale dato passa addirittura in secondo piano se consideriamo che il
coefficiente fatturato/produzione del commercio
equo è tale da creare nel sud del mondo un’occupazione ben 150 volte superiore di quella creata dal commercio tradizionale. Ciò significa che
a livello mondiale, considerando il fatturato
complessivamente prodotto dal commercio equo
di circa 600 milioni di dollari, il numero di occupati nel fair trade è pari a quello creato da un
volume di fatturato di 90 miliardi di dollari del
commercio tradizionale. Tali dati sono noti agli
operatori del commercio equo e portano una
riflessione sulle dimensioni e sulle potenzialità
del movimento più approfondite di quelle che
fino ad ora sono state fatte. Si impone anche un
cambiamento nella considerazione e nell’approccio all’analisi di questo mondo: è importante sottolineare che si è passati da una fase nella quale
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veniva proposta la testimonianza di economia
solidale ad una più matura dove si è cominciato
a costruire un vero e proprio laboratorio di economia alternativa. All’interno di questo laboratorio l’esperienza italiana di CTM e ETIMOS
merita una posizione di rilievo: importante è
stata la specifica scelta di limitare il ricorso al
tradizionale sistema creditizio per il soddisfacimento dei bisogni operativi del commerc i o
equo, primo fra tutti il prefinanziamento dei
produttori, uno dei principi cardini del commercio equo stesso.
La peculiarità di questa esperienza presuppone
una presa di coscienza dell’importanza dell’atto
finanziario come prima fase del processo economico e soprattutto del suo predominio gerarchico sulle seguenti funzioni di produzione e di
consumo. In questo senso è utile sottolineare che
il movimento del commercio equo in Euro p a
come nel mondo è stato una delle voci più critiche per quanto riguarda l’attuale sistema dei
consumi e ha saputo proporre concretamente
un’alternativa produttiva attraverso il mercato
di sbocco delle proprie botteghe; ma è altrettanto
utile sottolineare che la sua azione è stata spesso
carente dal punto di vista della ricerca delle fonti
finanziarie alternative esponendosi al rischio di
veder minata la propria indipendenza dal sistema creditizio tradizionale. L’importanza del fattore finanziario nel commercio equo va comunque al di la della semplice ricerca delle fonti
finanziarie alternative. In tale direzione serve
un’analisi più approfondita, soprattutto per
quanto riguarda le implicazioni culturali e progettuali. Innanzi tutto, se si vuole costruire un
vero laboratorio di economia alternativa, lo si
può fare prendendo coscienza dell’importanza
del fattore finanziario e della sua funzione specifica. Questa coscienza deve essere diffusa e
cementata all’interno del movimento del com-
mercio equo e questo vale tanto per gli operatori
quanto per i consumatori. Ma è soprattutto dal
punto di vista progettuale, in particolare sul versante degli impieghi nel Sud mondo, che uno
s t retto legame fra commercio equo e finanza
etica può produrre gli effetti più significativi.
Possiamo affermare che il movimento del commercio equo ha consentito in questi anni il raggiungimento di una vita dignitosa per milioni di
persone facendo nascere e crescere un sempre
maggior numero di produttori. Si può dire che il
commercio equo è stato il motore primo di una
rinascita in termini sia economici che culturali di
una progettualità che era ed è tuttora negata
dalla destrutturazione operata dal sistema economico dominante. Gli effetti di questa rinascita
hanno portato ad oggi una crescita e un consolidamento di numerose attività produttive che
richiedono un’attenzione particolare in relazione
a nuove esigenze che si sono venute a creare per
i nostri produttori e partner nel sud del mondo.
Per quanto riguarda il versante finanziario è
sorta una nuova domanda non più semplicemente rivolta all’attività di prefinanziamento
commerciale ma legata anche a esigenze di trasformazione e di crescita diverse. É fondamentale rispondere anche a queste domande dando
quella spinta necessaria a provocare il salto di
qualità per l’intero sistema. In particolare sarebbe importante saper promuovere un’azione economica che vada al di là, per esempio, della semplice produzione orientata all’esportazione. In
tale direzione, a partire dalle condizioni di vita
rese migliori dal commercio equo, è importante
saper pro m u o v e re un’attività più completa e
specificatamente rivolta all’auto sviluppo delle
realtà produttive del fair trade. Concretamente
già oggi CTM si trova a rispondere alle nuove
esigenze dei produttori. Ad esempio la Dezign
Inc., nostro produttore dello Zimbabwe, intende
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trasformarsi in un’azienda controllata direttamente dai lavoratori e per questo chiede il
nostro intervento finanziario a livello di partecipazione di capitale. Un esempio analogo, in
Cile, lo rileviamo con i produttori di miele che
facevano capo alla fondazione Fundesval: da
pochi mesi i lavoratori hanno costituito una
cooperativa, Apicoop, con lo scopo di acquistare
macchinari e immobili dalla fondazione stessa.
Questi due esempi non hanno rilevanza solo in
termini di promozione di impresa che le centrali
di commercio equo possono intrapre n d e re a
favore dei loro produttori ma hanno una valenza culturale molto significativa. In questi casi
specifici i produttori chiedono la possibilità,
attraverso lo strumento finanziario, di poter
rispettare, nel modo più completo possibile, uno
dei principi cardine del commercio equo e solidale, cioè la partecipazione diretta del lavoratore alla vita dell’azienda anche dal punto di vista
decisionale. In tal senso la scelta effettuata da
CTM di pro c e d e re alla raccolta di capitale e
risparmio, può essere vista anche alla luce di
queste nuove richieste. CTM in particolare, al di
là dell’attività di prefinanziamento, è intenzionata a raccogliere capitale principalmente in
due direzioni: una interna per un suo bisogno
volto alla capitalizzazione e al rafforzamento
patrimoniale sia della centrale che delle singole
realtà di commercio equo a partire dalle botteghe e l’altra esterna cioè una raccolta di capitale
più legata alle esigenze dei suoi produttori con
un occhio di riguardo al microcredito. Questo
ultimo indirizzo è di particolare rilevanza poiché vuole coniugare l’esperienza specifica del
commercio equo con le vaste potenzialità della
m i c rofinanza. In questo contesto l’esperienza
italiana crea un terreno forse più fertile che
altrove.
Dal punto di vista operativo l’azione combinata
di microcredito e commercio equo può portare a
significative evoluzioni: non è azzardato ipotizz a re nel medio/lungo periodo una re l a z i o n e
virtuosa fra microcredito e commercio equo che
porti addirittura al superamento della dipendenza dal prefinanziamento nella sua forma
attuale grazie all’appoggio e alla creazione di
strutture finanziarie locali nel Sud del mondo,
autosostenibili, in grado di rispondere direttamente alle esigenze dei produttori. I vantaggi
che deriverebbero dalla concretizzazione di questa ipotesi sono evidenti sia in termini economici che culturali. In primo luogo la creazione di
un’organizzazione finanziaria legata ai produttori consentirebbe un miglioramento in termini
di tasso di interesse dell’azione di finanziamento e l’abbattimento sia dei costi che dei rischi di
cambio; questi benefici si potrebbero tradurre in
nuove e più diffuse attività di sviluppo per intere aree. In secondo luogo l’autosostenibilità
finanziaria o perlomeno una relativa indipendenza da fonti esterne, potrebbe favorire la
nascita di un corrispondente mercato interno
per gli attuali produttori di commercio equo con
la conseguenza di limitare i rischi di una produzione che in questo momento è rivolta prevalentemente all’esportazione.
In generale si può dire che un’azione così combinata e rivolta all’auto sviluppo comporterebbe
un balzo in avanti non solo per il mondo del
commercio equo ma anche per quella che è la
concezione delle pratiche concrete della cooperazione internazionale. Ed è in questa direzione
che il consorzio CTM-Altromercato vuole portare avanti quelle che sono state definite le iniziative equo solidali: non solo commercio equo ma
anche l’attivazione di tutti quegli interventi culturali ed operativi in grado di coinvolgere il
maggior numero di soggetti attivi a vario titolo
nella cooperazione internazionale, dalle orga-
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nizzazioni di finanza etica al mondo dell’associazionismo in generale.
Per poter portare avanti tale azione, sarà importante avere un approccio mentale teso sempre di
più al dialogo e al confronto: solo dal necessario
scambio di esperienze tra le singole realtà e dalla
valorizzazione delle loro specificità culturali ed
operative si potrà costru i re una pro g e t t u a l i t à
comune.
Cercherò di mettere in luce le necessità e i problemi che riguardano il soddisfacimento del fabbisogno finanziario da parte di una particolare
i m p resa sociale come quella che si occupa di
commercio equo. Per la sua caratteristica commerciale questo tipo di impresa potrebbe sembrare più favorita rispetto ad altre che si occupano prevalentemente di servizi.
Ieri affermavo che uno dei principi cardini del
commercio equo è il prefinanziamento ai produttori. Questo significa che nel momento in cui
si stipula un contratto è necessario prefinanziare
circa il 50% della merce ordinata. Ciò comporta
una prima necessità finanziaria piuttosto consistente alla quale poi si aggiungono tutta una
serie di costi che vanno a pesare sull’intera struttura. Innanzi tutto per la particolare tipologia di
commercio che svolgiamo e per il tipo di produttori che abbiamo, dall’ordine della merce e relativo prefinanziamento, agli acquisti delle botteghe, i tempi sono decisamente molto lunghi
soprattutto per quanto riguarda il rientro dell’impegno finanziario (per alcuni prodotti possono superare addirittura i 18 mesi). Questo implica una serie di costi molto alti, in primo luogo di
magazzino. Altro punto critico sono i margini
piuttosto bassi che caratterizzano l’attività delle
organizzazioni di commercio equo. La spiegazione spesso non risiede nel prezzo equo pagato
al produttore ma in altri fattori: ad esempio vi
sono molti prodotti, come quelli agricoli, sui
quali gravano dazi di importazione piuttosto
pesanti grazie al protezionismo attuato in questi
anni dall’Europa attraverso la politica agricola
comunitaria. Inoltre, sottolineando in particolare
la formazione del prezzo dei prodotti agricoli, la
politica protezionistica europea nel settore è
stata la principale causa dell’abbattimento dei
prezzi nel mercato mondiale; non va dimenticato, infatti, che l’Europa è il secondo produttore e
consumatore mondiale di prodotti agricoli.
Naturalmente dobbiamo conciliare in questi casi
due esigenze fondamentali: quello del mantenimento del prezzo equo pagato al produttore e
quello del mantenimento di un prezzo di vendita che ci consenta di rimanere nel mercato.
A tutte queste componenti (prefinanziamento,
impossibilità di avere grossi margini, problemi
di magazzino ecc.) si somma la complessità tipica della struttura interna di una organizzazione
di fair trade; qualcuno all’interno del movimento
ha riassunto così la nostra situazione: da un lato
abbiamo un fatturato da piccolo supermercato di
provincia e dall’altro una complessità operativa
da multinazionale.
Non bisogna poi dimenticare che la politica di
prefinanziamento comporta sempre per le centrali di commercio equo un indebitamento che
tende ad essere strutturale in assenza di una
forte capitalizzazione e di un forte rafforzamento patrimoniale della struttura. Questa situazione rischia di rendere non bancabile anche una
struttura affermata nel proprio mercato come
quella di CTM.
Per quanto riguarda in particolare l’accesso al
credito a fronte di fabbisogni finanziari, generalmente di medio periodo, l’esperienza europea di
altre centrali del commercio equo ha mostrato
come in passato abbiano faticato ad ottenere i
finanziamenti necessari dagli istituti di credito.
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C’è da dire che in Italia l’esperienza è stata leggermente diversa. Il lavoro comune fra CTM e
ETIMOS (CTM-MAG) che presupponeva l’accesso alla fonte della finanza etica, aveva in parte
risolto il problema e, a livello culturale, aveva
portato una maggiore consapevolezza dell’importanza dell’atto finanziario come motore
primo di tutto il processo economico.
Esistono inoltre una serie di problematiche che
vanno a sommarsi alle precedenti. Un esempio
molto concreto è l’acquisto di un nuovo magazzino che CTM ha recentemente concluso e che
sposta, quindi, i tempi medi del fabbisogno
finanziario: la crescita e lo sviluppo del commercio equo comporterà senz’altro un aumento
degli indebitamenti di lungo periodo. Anche per
questo motivo l’inizio della raccolta interna al
consorzio CTM-Altro m e rcato di risparmio e
capitale e, in pratica, l’apertura all’auto finanziamento, sono fondamentali.
Possiamo affermare, alla luce di tali valutazioni,
che se un particolare tipo si impresa sociale
come CTM che può vantare ogni anno tassi di
crescita di fatturato, necessita per svolgere la sua
attività di risorse finanziarie esterne così consistenti, il problema si presenta in misura anche
più pressante per tutta una serie di realtà dell’economia civile e del terzo settore in generale.
Le soluzioni praticabili: da un lato Banca Etica
dovrebbe risolvere in parte questo problema ma
non basta. Da questo punto di vista il volontariato rimane ancora oggi la principale risorsa di un
mondo che attualmente non è in grado di autosostenersi. Un altro aspetto importante, da non
sottovalutare per il mondo dell’impresa sociale e
dell’associazionismo in generale, è il mantenimento, o meglio l’incremento del radicamento
sul proprio territorio. In tal senso il trasferimento da parte dello Stato dei compiti dell’economia
civile agli enti locali, può portare una conver-
genza di interessi ed operativa tra str u t t u re
imprenditoriali dell’economia civile ed enti locali stessi che, in caso di collaborazione e di progettualità comune, potrebbero disporre di ulteriori risorse finanziarie.
Concludo riassumendo quelle che a mio parere
possono essere le strade possibili alla soluzione
del problema delle fonti finanziarie per l’impresa sociale: la finanza etica, in particolare Banca
Etica, che si pone come il soggetto più importante in tale contesto, e la collaborazione progettuale con le strutture pubbliche, in particolare con
gli Enti Locali.
Ritengo comunque che la ricerca dell’auto sostenibilità economica, soprattutto sul versante
finanziario e sul rafforzamento patrimoniale
delle singole realtà, sia di primaria importanza
per tutto il settore: in particolare, nelle realtà
cooperative, il coinvolgimento della base nel
risparmio sociale e nella capitalizzazione della
s t ruttura diventano fondamentali e sono la
migliore salvaguardia dell’autonomia, dell’indipendenza e della continuità progettuale per ogni
organizzazione.
141
142
“IL RUOLO DEGLI ENTI LOCALI FRA
CREDITO E TERZO SETTORE: FORME DI
GARANZIA”
Marcello Bucci Presidente Anci Toscana
Il mio intervento aggiunge un ulteriore punto di
vista alle tematiche fin qui illustrate. C’è da analizzare infatti il problema di come la crescita del
terzo settore interroghi il sistema delle autonomie affrontando tre questioni:
La 1° è quella del ruolo e responsabilità che il
sistema delle autonomie ha rispetto alla crescita
e la realtà di questo soggetto.
La 2° riguarda la partecipazione e la modalità di
partecipazione del terzo settore alla definizione
delle politiche locali.
La 3°, in fine, è quella che riguarda le questioni
relative all’affidamento dei servizi, il rapporto di
servizio che si stabilisce fra il sistema delle autonomie e le realtà del terzo settore.
Partirei da una sottolineatura che ha me sembra
particolarmente importante in questo momento,
cioè il rilievo istituzionale che la crescita del
terzo settore può rivestire. Noi siamo in una fase
in cui lo stesso sistema delle autonomie è impegnato alla rideterminazione della propria fisionomia, delle proprie attribuzioni e responsabilità. Siamo davvero in pieno processo di decentramento amministrativo che presenta sicuramente degli elementi importanti di novità ma
che non può dirsi ancora concluso e il cui esito
non è assolutamente scontato. Esso è caratterizzato da molte contraddizioni e soprattutto dal
riemergere costante di forti tentazioni e da forti
resistenze centristiche. Tuttavia è un processo
particolarmente significativo per i soggetti e le
realtà su cui oggi discutiamo. Il motivo è che un
decentramento di potere e un maggiore potere
alle autonomie significa, intanto, avvicinare lo
stato alle comunità, quindi arricchire la possibi-
lità delle molteplici forme di partecipazione dei
cittadini e per tanto le potenzialità dello sviluppo della cittadinanza attiva. Mi sembra che, in
estrema sintesi, questo possa essere il senso di
un processo che credo debba vedere fortemente
i n t e ressato anche il mondo del terzo settore
rispetto agli esiti del federalismo o di decentramento delle competenze verso il sistema delle
regioni e delle autonomie. Si tratta di stabilire
modelli più ricchi e articolati di organizzazione
del sistema di relazioni fra stato e società civile
ma ciò avviene in modo assolutamente contraddittorio dovendo confrontarsi con re s i s t e n z e
centralistiche ancora forti. Qualcuno ha parlato
di un federalismo preterintenzionale. A me sembra più che si tratti di essere presenti ad un federalismo di espoliazione, in cui si passano ai
gradi bassi dell’organizzazione statale le questioni che scottano senza delegare poteri, strumenti e risorse. Questa è la fase in cui siamo: crescono le responsabilità del sistema delle autonomie mentre non cresce in misura equa la possibilità di autonoma determinazione e i poteri.
Qui è il punto di crisi. Un sistema fortemente
decentrato dello stato che abbia al centro, soprattutto nel rapporto con i bisogni fondamentali dei
cittadini, il sistema delle autonomie locali è un
punto particolarmente rilevante. Si tratta di
affermare il principio della sussidiarietà che non
deve risolversi esclusivamente all’interno del
rapporto fra le istituzioni dello stato. Non è una
questione che riguarda soltanto le competenze
fra lo stato centrale, le regioni, le provincie e i
comuni. É qualcosa che implica immediatamente e direttamente un rapporto con la società e
quindi con i cittadini, facendo attenzione però al
rischio che il principio di sussidiarietà possa
significare anche un indebolimento e un venire
meno del senso di responsabilità dello stato e del
pubblico rispetto ai diritti dei cittadini. La tenta-
143
144
zione potrebbe essere di affidarsi a una presunta
capacità di auto organizzazione del cittadino
singolo o di fare riferimento, pressoché esclusivamente, alla famiglia che, per altro, mi sembra
fortemente in difficoltà nello svolgere anche le
funzioni tradizionali. C’è quindi il problema di
costruire un processo di decentramento basato
sulla sussidiarietà. Ciò significa mettere in
campo soggetti che non sono solo istituzionali o
pubblici senza far venire meno la responsabilità
dei soggetti istituzionali e pubblici. Questa è, a
mio parere, la ragione per la quale il processo di
crescita del terzo settore assume un fortissimo
rilievo nei confronti dei meccanismi di riforme
istituzionali nel nostro paese.
Ritengo perciò sbagliato considerare il ruolo del
terzo settore in funzione sostitutiva o comunque
residuale rispetto ad un pubblico che fugge le
proprie responsabilità per difficoltà finanziarie o
per incapacità di articolare una risposta modellata sulla diversificazione della domanda. Sarebbe
un modo inadeguato di affrontare il problema e
per collocare le funzioni, il ruolo, le responsabilità del terzo settore.
Il volontariato, l’associazionismo, la cooperazione sociale rappresentano, pur con ruoli e funzioni diverse, uno strumento importante per riartic o l a re le funzioni dello stato e del pubblico,
senza venire meno quel principio di responsabilità pubblica.
C’è una prima area di questioni che si pongono.
Siamo in presenza di una realtà nella quale il
mercato non è in grado di soddisfare domande e
bisogni diffusi che riguardano il benessere sociale, la qualità dell’ambiente, della ricchezza e la
varietà delle relazioni umane. Ugualmente lo
stato per i problemi che conseguono alla crisi
fiscale, alle sue rigidità non può dare risposte
soddisfacenti.
Al interno di queste difficoltà stanno per intero
le autonomie locali, alle quali si attribuiscono,
proprio su questo terreno, responsabilità crescenti. Mi sembra allora di poter sottolineare
come lo sviluppo delle autonomie abbia bisogno
della crescita del terzo settore. Parte da qui una
prima questione che giustifica, motiva e legittima gli interventi delle amministrazioni locali
che le chiama in causa rispetto alla crescita e alla
qualificazione del terzo settore; non soltanto
come intervento assistenziale o di riproposizione
di forme più o meno aggiornate di collateralismo ma con una forte implicazione di tipo istituzionale che riguarda il modello e il funzionamento delle nostre istituzioni. Questo a maggior
ragione in presenza di una trasformazione dei
comuni all’interno di questo processo e di attribuzione di responsabilità. Il comune deve cambiare e modificare le proprie funzioni. Il comune
non può più gestire direttamente servizi e interventi come ha fatto fino ad oggi, non solo nelle
aree in cui tradizionalmente si sono sviluppate
le società di gestione ma anche in queste aree
che riguardano spesso i servizi alla persona.
Avvertiamo una difficoltà crescente ad essere
all’altezza delle domande che vengono presentate; perciò i comuni devono essere sempre meno
gestori e sempre più assumere una funzione di
governo, di indirizzo, di controllo, di programmazione, di scelta fra le diverse opzioni che alla
comunità locale si presentano. C’è un problema
di riorganizzazione delle gestioni di una serie di
servizi; portandoli all’esterno rispetto alla
gestione diretta delle amministrazioni pubbliche
ne consegue il problema delle garanzie, del controllo della qualità delle prestazioni, della scelta
degli interlocutori a cui affidare queste competenze e responsabilità.
Questa è un’area molto vasta all’interno della
quale può e deve inserirsi l’economia sociale
perché c’è un problema di arricchimento e quali-
145
146
ficazione delle prestazioni.
Molto spesso siamo concentrati nella determinazione e l’individuazione degli ambiti di intervento sul tema più specifico dei servizi sociali e
credo che occorra cominciare a guardare anche
ad altre aree, per esempio l’ambiente o la cultura, la comunicazione sociale ecc.. Io credo che il
quadro di opportunità e necessità su cui stabilire
rapporti fra la realtà dei comuni e il sistema del
terzo settore sia in pro g ressiva crescita e che
riguardi aspetti e parti importanti della qualità
della vita delle città.
C’è poi il problema che riguarda le risorse.
Assistiamo anche nelle nostre realtà toscane, in
cui tutto sommato il sistema dei servizi ha livelli
di qualità relativamente elevati, ad un progressivo abbandono della gestione diretta per ragioni
di compatibilità dei bilanci e di difficoltà economiche. La questione delle risorse si pone con
grande forza. Una delle discussioni ricorrenti,
che emergono con le cooperative sociali o le
organizzazioni che offrono servizi, riguarda la
modalità di affidamento di questi, la contestazione delle forme di gara impostate sul massimo
ribasso ed esclusivamente sul prezzo. Credo che
sia una critica molto giusta. Come associazione
dei comuni insieme alle altre associazioni delle
autonomie e alle associazioni impre n d i t o r i a l i
abbiamo sottoscritto un protocollo di intesa con
la regione Toscana per la questione dei criteri di
organizzazione degli appalti per l’affidamento
dei servizi, che abbandona il criterio del massimo ribasso. Questo criterio nasce, però, da una
necessità determinata dallo squilibrio della
disponibilità di risorse che il sistema delle autonomie, in particolare i comuni, debbono reperire
per fronteggiare una domanda sociale crescente.
É un punto dolente perché nella realtà dei comuni della Toscana la spesa per interventi sociali è
relativamente elevata. É una spesa su cui, tra
l’altro, si fanno gravare, a mio avviso impropriamente, anche oneri che dovrebbero stare altrove.
Un elemento rilevante, una base di partenza
importante per la qualificazione del sistema
sanitario regionale è che la regione toscana raggiunga il pareggio nel bilancio sanitario.
Il raggiungimento del pareggio del bilancio
sanitario ha, infatti, conseguenze sulla disponibilità delle risorse dei comuni. Il pareggio del
bilancio sanitario regionale è ottenuto, in effetti,
scaricando una parte rilevante della spesa sanitaria sui comuni. Quell’area fra la spesa sanitaria
e sociale è stata attribuita ai comuni che se ne
stanno facendo carico. Una parte delle prestazioni sanitarie che hanno implicazioni di tipo sociale comportano un aggravio delle pre s t a z i o n i
richieste ai comuni e al loro intervento. La diminuzione delle degenze negli ospedali significa
immediatamente, per una fascia di popolazione,
una crescita di interventi di assistenza domiciliare. C’è stato insomma, nel corso di questi anni,
una sostanziale diminuzione dell’intervento
della regione nell’area sociale e a carico e danno
dei comuni.
É un problema che si riflette immediatamente
nella necessità, a fronte di domanda crescente, di
trovare le forme e i meccanismi che spesso sono
di integrazione e affidamento di servizio al massimo ribasso.
Una ostacolo che dobbiamo cercare di superare
ma che ha appunto questa implicazione relativa
alla disponibilità delle risorse che non può non
essere considerata. Credo che una parte di questi
p roblemi debbano essere aff rontati andando
verso una qualificazione della spesa sociale. Ci
sono ancora, in effetti, margini di recupero anche
nella qualità della spesa dei comuni. Per esempio attraverso forti elementi di integrazione dei
diversi canali di spesa che spesso si sovrappongono o non si integrano per raggiungere un
147
148
effetto moltiplicatore che invece sarebbe possibile attraverso uno sviluppo territoriale di scambi.
La progettualità di un area sopra comunale è ciò
a cui punta la recente legge regionale per i servizi sociali. Quindi ricerca della possibilità di una
razionalizzazione, della qualificazione della
spesa anche attraverso un maggiore sforzo della
stessa regione rispetto alla spesa sociale.
All’interno di questo ragionamento una possibilità per abbandonare la strada che guarda solo al
prezzo e impostata sul massimo ribasso implica
responsabilità anche del terzo settore, dell’impresa sociale. Se abbandoniamo il criterio del
massimo ribasso, avremo bisogno di un’impresa
sociale in grado di qualificarsi e misurarsi sul
terreno dell’affidamento e della qualità. Si pone
pertanto il problema della capacità dell’impresa
sociale di rispondere e misurarsi con criteri di
valutazione della qualità delle prestazioni e di
determinati standard.
C’è necessità di sviluppare un lavoro serrato su
questi temi perché la determinazione dei criteri
di valutazione della qualità nei confronti dei servizi pubblici e in particolare dei servizi alla persona è uno dei meccanismi e degli strumenti che
possano consentire di superare le condizioni e i
limiti della gestione diretta e al tempo stesso le
contraddizioni che si determinano quando il
ragionamento si concentra solo sul prezzo.
La determinazione di questi criteri, però, non può
percorrere semplicemente i criteri di soddisfazione del cliente utilizzati tradizionalmente dall’impresa privata perché siamo in presenza di prestazioni che richiedono valutazioni molto differenziate. Ciò è un terreno di discussione sul quale i
comuni, le realtà del terzo settore devono cominciare a lavorare e sperimentare insieme. Trà l’altro
si sta discutendo anche nella giunta regionale
toscana, la questione dei buoni servizio.
Bisogna affrontare il problema dell’accredita-
mento e la valutazione della qualità dei parametri e degli standard.
Per fare questo c’è bisogno di un’impresa sociale
che sia in grado di crescere. É una responsabilità
del pubblico, della regione e del sistema delle
autonomie sostenere e determinare le condizioni
che aiutino l’impresa sociale a qualificare la propria struttura, la propria presenza e capacità.
Attraverso quali strumenti? Penso che l’intervento degli enti pubblici per le garanzie sul credito, per gli aspetti finanziari siano un punto
importante ma non quello centrale dell’intervento, non quello più rilevante tra le possibilità che i
comuni e gli enti pubblici possono avere.
Credo che ci sia la necessità di una chiara individuazione delle possibili aree di intervento e l’affermazione di un criterio di programmazione
che garantisca continuità e certezza. Tale condizione è necessaria affinché si possano mettere in
piedi dei processi di qualificazione dell’impresa
in grado di ammortizzare una serie di investimenti che debbono essere fatti. Quindi programmazione, certezza, continuità, rispetto al rapporto che si stabilisce L’oscillazione annuale nella
determinazione delle aree di servizio da affidare
è un elemento che certamente non aiuta a far
crescere il sistema.
Il criterio di selezione e affidamento è collegato a
modalità di controllo e di valutazione delle prestazioni che siano oggettive, verificabili, confrontabili e trasparenti.
All’interno di questo contesto credo che ci sia la
possibilità e la necessità di intervenire anche con
strumenti di sostegno diretto quali l’orientamento, la formazione, la consulenza. Siamo ora
impegnati alla costituzione di sportelli unici per
le imprese che dovrebbero diventare punti di
orientamento per impiantare, sui territori comunali, realtà imprenditoriali. Ritengo che all’interno degli sportelli unici per l’impresa, debbano
149
150
esserci anche quegli strumenti di informazione,
supporto e consulenza specifici alle esigenze
dell’impresa sociale per l’accesso alla pubblica
amministrazione e come punti di contatto.
Ci sono infine le questioni relative al sostegno
per il credito all’impresa sociale. Le sollecitazioni che ci sono pervenute riguardano la possibilità di partecipazione dei comuni all’alimentazione e alla costituzione di fondi per consorzi di
garanzia.
In questo senso diviene importante poter disporre di alcuni elementi legislativi, normativi e di
coordinamento regionale. Si tratta però di intervenire su terreni delicati. Leggevo stamani di
una situazione che non è eccezionale e che si sta
verificando fra l’azienda sanitaria fiorentina e le
organizzazioni che svolgono, in convenzione,
servizi per l’azienda, le quali hanno accumulato
un credito di circa 10 miliardi. Ciò determina
una situazione di grave difficoltà perché le risorse che mancano, debbono essere coperte attraverso il ricorso al credito ordinario e attraverso
meccanismi di indebitamento.
Alla luce di questi fatti penso che di fronte a difficoltà oggettive di bilancio, che possono determinarsi, devono scattare meccanismi di compensazione quali appunto l’intervento su fondi di
garanzia per il credito, il sostegno alla banca
etica ecc.
Ritengo che uno strumento particolarmente
importante, a cui pensano alcune aree della
Toscana, sia quello dello sviluppo di patti territoriali per la qualità dello sviluppo sociale.
Questa soluzione è coerente con gli indirizzi e i
criteri di integrazione che stanno alla base della
legge regionale 72 la quale può implicare integrazioni settoriali. Penso, ad esempio, alle
potenzialità che si aprono con l’approvazione
della legge di riforma della gestione del patrimonio residenziale pubblico. La regione toscana
ha fatto la scelta di attribuire la competenza
della gestione, la titolarità del patrimonio residenziale pubblico, ai comuni. Il che significa la
possibilità di riportare all’interno di criteri di
gestione e programmazione degli interventi
sociali un patrimonio significativo. Molte possibilità ci sono sia all’interno dei nuovi soggetti
gestori sia nella determinazione di progetti innovativi in questo campo di integrazione e lavoro
comune con le realtà del terzo settore. Mi è stato
presentato, tempo fa, un progetto per gruppi e
persone sole che, pur non avendo bisogno di
assistenza hanno la necessità di org a n i z z a r s i
insieme con modelli abitativi che garantiscono
spazi di autonomia con servizi comuni e che
potrebbero, all’interno di una gestione innovativa del patrimonio residenziale pubblico, trovare
risposte adeguate appunto in un rapporto di
scambio e di interazione con realtà del terzo settore.
L’altro aspetto che, a mio avviso, rende importante il patto territoriale è quello del coinvolgimento di soggetti diversi. Per esempio il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali che
spesso, rispetto a queste tematiche, rappresentano, più che un elemento di propulsione, di sviluppo e di crescita, l’elemento di freno.
É un soggetto particolarmente importante come
lo è la questione delle fondazioni bancarie. Io
credo che quello sia il terreno su cui anche le
fondazioni bancarie debbono essere chiamate.
Questa partita si gioca nell’arco di pochi mesi,
da qui all’attuazione dei decreti da parte del
governo. Credo che si debba affermare con forza
che i titolari delle decisioni di un patrimonio così
rilevante, destinato a crescere, debbono essere,
non più i tradizionali soggetti che gestiscono le
fondazioni bancarie con nomine a vita, ma i soggetti che sul territorio hanno le maggiori responsabilità rispetto alle domande sociali, alle auto-
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152
nomie e delle associazioni del volontariato, della
cooperazione ecc. A tale proposito dobbiamo
cercare di superare la disattenzione da parte dei
comuni rispetto alle fondazioni. I sindaci già
partecipano alle fondazioni in quota minoritaria
e poco influente dal punto di vista numerico ma
è vero anche che, fino ad oggi, non hanno svolto
la funzione di chiedere conto della trasparenza.
Forse questo è un vizio sia dei comuni che delle
associazioni: l’attenzione alla spartizione dei
contributi, all’elenco dei beneficiari, ha prevalso
rispetto alla necessità di impostare l’iniziativa
politica e istituzionale che trasformi il ru o l o
delle fondazioni bancarie. Non è un caso la latitanza e il silenzio che su questo tema si avverte
perché di beneficiari ve ne sono tanti ma il problema è di ricostruire il sistema.
Credo che questo possa essere un terreno di iniziativa immediata su cui l’associazione dei
comuni è disposta a lavorare insieme alle associazioni e alle realtà del terzo settore. Noi stiamo
p romuovendo un’iniziativa affinché in tutti i
consigli comunali si discuta di questo problema
e credo che potrebbe essere interessante promuovere l’intesa con le associazioni che fanno
riferimento al forum del terzo settore e trovare
modalità significative di iniziativa.
Concludo sottolineando come il rapporto fra il
sistema delle autonomie e il terzo settore sia un
rapporto che incide sul modello di assetto dello
stato che noi stiamo costruendo e sugli esiti che
questo avrà.
CONCLUSIONI
“FINANZA ETICA ED ENTI LOCALI: UNA
PARTNERSHIP PER PROMUOVERE L’ECONOMIA SOCIALE E SOLIDALE”
Francesco Terreri, direttore di Altrafinanza, rivista
del Consorzio Etimos (già direttore di Altreconomia)
Dai contributi che abbiamo ascoltato è venuto
fuori un profilo dell’economia sociale dai confini
molto più ampi di quelli tradizionalmente
immaginati. Il professor Zamagni, non a caso,
parla di economia civile, ovvero della società
civile che si organizza in campo economico.
Abbiamo visto che l’economia civile, sociale,
solidale spazia dalle attività di servizi alla persone alle imprese sociali, dal commercio e dalla
finanza etica alla produzione socialmente ed
ecologicamente compatibile. Gli amici di Accion
International ci hanno spiegato che, nel caso dei
programmi di microcredito - e lo stesso per molti
aspetti si può dire del fair trade, il commercio
equo e solidale - è un obiettivo etico in sé quello
del riscatto e della dignità dei più poveri, che si
cerca di ottenere con attività di mercato a condizioni di mercato, consentendo però agli esclusi
di avere quelle opportunità, come l’accesso al
credito, che oggi vengono loro negate.
Tutto questo costituisce una sfida per il mondo
bancario e finanziario, e sicuramente la nascita
di Banca Etica, e anche solo l’annuncio di questo
progetto, ha mosso le acque. Perché quando noi
parliamo di economia sociale e della sua relazione con il credito e con il settore finanziario, non
stiamo parlando solo di come si può sostenere
finanziariamente qualche cliente impossibile
delle banche. E in generale il non profit non deve,
a mio parere, correre il rischio di fare da tappabuchi del sistema finanziario. L’economia sociale, l’attivazione economica di soggetti poveri,
cosiddetti non bancabili, ecc. offrono oggi a tutta
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154
la società dei beni ulteriori rispetto ai beni materiali, a volte dei beni pubblici e spesso quelli che
Zamagni ha chiamato “beni relazionali”. Il problema quindi per il sistema finanziario non è
solo cosa si debba fare per quei soggetti fino ad
ora rimasti tagliati fuori dal credito, ma anche
capire come questo si riverbera sulla stessa attività finanziaria “normale”, e cioè: quale attività
finanziaria dobbiamo concepire perché la società
abbia ha disposizione ulteriori beni pubblici o
relazionali, delle opportunità ulteriori di miglior a re la vita di tutti? Questa è una domanda
generale che credo il sistema finanziario si debba
porre.
Finora la risposta del mondo bancario è stata
insoddisfacente. Le stesse Fondazioni, citate nel
dibattito, non sono ancora entrate nell’idea di
essere un veicolo di risorse per l’economia civile.
E al di là dell’aspetto quantitativo, di quante
risorse le Fondazioni bancarie oggi destinano al
non profit, c’è l’aspetto qualitativo: non c’è ancora una cultura dell’istruttoria etica, o di quella
economica eticamente orientata. Che poi rimanda ad una “antica” carenza del sistema bancario
italiano: la difficoltà a valutare i progetti d’impresa, e non solo il patrimonio di chi chiede un
p restito. La novità della finanza etica si nota
soprattutto sotto questo aspetto.
Oggi infatti alcune differenze tra finanza etica e
finanza tradizionale potrebbero sembrare attenuate. Prendiamo la questione dei tassi di interesse, che era un grosso ostacolo per l’economia
sociale fino a poco tempo fa. La selezione del
credito operata con i tassi penalizzava infatti
soprattutto le piccolissime imprese e le imprese
sociali. Oggi sembra che la cosa non sia più un
grande problema perché c’è una tendenza alla
diminuzione del costo del denaro, in cui ha giocato un ruolo importante l’integrazione europea
e la nascita dell’euro. Tuttavia attenzione alle
facili generalizzazioni: se parliamo di microimprese e di produttori nei paesi in via di sviluppo,
in questa fase i prezzi delle materie prime agricole sono in caduta libera, molto più dei tassi di
interesse, e quindi anche tassi che a noi paiono
bassi sono pesanti, in termini reali, per il Sud del
mondo.
Comunque la situazione, almeno per il terzo settore in Italia, sembra migliore. Esistono opportunità di finanziamento agevolato per il capitale
fisso delle imprese sociali, delle cooperative
sociali. C’è però il problema di come finanziare il
capitale circolante, che è un problema grosso in
alcuni casi. Pensiamo a quei progetti in cui c’è
un finanziamento del Fondo sociale europeo,
che arriva al momento del rendiconto, o comunque in una fase successiva all’effettuazione del
progetto, lasciando quindi scoperta l’impresa
sociale per un certo periodo. Vi è poi il grosso
problema delle garanzie. A fronte di tutto questo
la finanza etica offre qualcosa di diverso rispetto
alla finanza tradizionale. Senza dubbio dei tassi
di interesse sostenibili. Sicuramente meccanismi
di garanzia basati sulla re s p o n s a b i l i z z a z i o n e
personale e comunitaria piuttosto che sul patrimonio, e quindi più accessibili. Alla fin fine però
l’impressione è che la vera differenza tra queste
proposte nuove di finanza e la finanza tradizionale sia nel fatto che la finanza etica fa una cosa
che le banche fanno poco o per niente: la promozione di impresa sociale, l’accompagnamento dello
sviluppo dell’impresa in generale e dell’impresa sociale in particolare. È quel mix, di cui si è parlato, tra
fiducia, progettualità e gestione del rischio il
vero specifico della finanza etica. Pensiamo alle
iniziative di microfinanza, in cui il rapporto con
il micro i m p re n d i t o re, il valore, economico e
sociale, del progetto e la verifica di efficienza del
mercato consentono di fare credito ai più poveri,
agli esclusi dallo sviluppo.
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È in un contesto in cui la finanza e la banca si
pongono delle domande sul senso del loro lavoro che Regioni ed enti locali, le istituzioni più
vicine ai cittadini, possono meglio trovare un
ruolo nella promozione dell’economia sociale.
Certo, la tradizionale “scusa” dei problemi di
bilancio oggi viene alimentata dal ridimensionamento della spesa pubblica. Lo scarico di
responsabilità ancora troppo di frequente caratterizza i rapporti tra i diversi enti, soprattutto
quanto le questioni - settori sociali marginali,
povertà, soggetti “non bancabili” - sono difficili.
È stato detto, giustamente, che occorre passare,
nei rapporti tra enti locali ed economia sociale,
alla valutazione della qualità del servizio, del
progetto, dell’iniziativa, sulla base della quale
decidere il sostegno. Questa della qualità dei servizi, della loro valutazione sulla base della
rispondenza alle esigenze dell’utenza è, per la
verità, un problema generale del settore pubblico, oltre che del privato sociale. Comunque
siamo sulla strada giusta: svolgere una sorta di
istruttoria etica, valutare le conseguenze. È per
questo che oggi è importante rafforzare dei rapporti di partnership tra enti locali, economia
sociale e finanza etica e socialmente orientata.
Partnership su progetti: è la tematica dei “patti
territoriali”.
Patti territoriali per la qualità dello sviluppo sociale,
dunque. Ma il patto territoriale deve essere
un’assunzione di responsabilità, non un modo di
tirare soldi dal centro. Significa far convergere
diverse risorse (pubblico, Fondazioni, risparmio
etico), precisare le idee forza e le destinazioni,
valorizzare l’autorganizzazione dei soggetti più
deboli, promuovere l’impresa sociale, pensare al
credito agevolato, ma ancor più al microcredito.
E a livello locale possono essere rinnovati anche
gli strumenti della solidarietà internazionale. Gli
Enti Locali potrebbero ad esempio collaborare ai
progetti di microfinanza nel Sud del mondo con
Banca Etica, il Consorzio Etimos, le ong, sia traducendoli in veri e propri progetti di cooperazione decentrata, sia con specifiche iniziative
come la costituzione di fondi di garanzia per
finanziamenti e per l’avvio di nuove “banche e
imprese dei poveri”, le partecipazioni in capitale
a queste istituzioni di microfinanza o a microimprese, la promozione di sbocchi di mercato e di
collaborazioni commerciali (commercio equo e
solidale) con piccole realtà del Sud del mondo.
Gli ingredienti da cucinare sono, appunto, la
fiducia, la progettualità, la gestione del rischio,
con l’obiettivo di migliorare, più ancora che condizioni economiche, i legami sociali, di rendere
la finanza, il mercato, lo Stato amici delle persone.
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159
APPENDICE
REGIONE TOSCANA
Giunta Regionale
FONDO SOCIALE EUROPEO
“PARCO PROGETTI: UNA RETE PER LO
SVILUPPO LOCALE”
Programma
970033/1/1
Operativo
Multiregionale
Programma
970034/1/1
Operativo
Multiregionale
Regione proponente: REGIONE TOSCANA
Titolo del progetto:
Creazione di nuova occupazione attraverso la promozione della finanza etica e la nascita di nuove imprese
cooperative di servizi finanziari per lo sviluppo dell’economia sociale.
(Ammesso a finanziamento con D.D. n.
363/III/98)
161
160
2. SCHEDA DI
DESCRIZIONE SINTETICA
DEL PROGETTO
INTERREGIONALE
1
2.1 Analisi delle motivazioni, degli obiettivi e
dei destinatari
L’azione proposta si inserisce nel quadro delle
attività per la strutturazione della finanza etica
in Italia. La finanza etica risponde fondamentalmente a due nuove tipologie di bisogni: da
una parte la creazione di organismi finanziari
di supporto a quelle entità economiche (cooperative sociali, associazioni, ONG, ecc.) che difficilmente possano accedere al credito e al mercato dei capitali, dall’altra parte, la richiesta
s e m p re più pressante e quantitativamente
significativa di risparmiatori che cercano un
utilizzo del proprio denaro finalizzato alla solidarietà, ad opere e ad attività con forte contenuto etico (cooperazione terzo mondo, protezione delle categorie deboli, commercio equo e
solidale, altre attività solidaristico/sociali) e,
più in generale, mirino a sostenere una qualità
della vita migliore, qui ed ora.
In Italia la finanza etica fino ad oggi si è
espressa su scala locale attraverso l'esperienza
delle diverse MAG (Mutua Auto Gestione),
fatta eccezione della realtà CTM-MAG di
Padova che attraverso le Botteghe del Terzo
Mondo ha una diffusione capillare su tutto il
territorio nazionale.
In altri paesi europei per esempio, in
Germania (Ökobank), in Belgio e in Olanda
(Triodos BK), in Svizzera (RAFAD e ABS), nei
Paesi Bassi (EDCS). La finanza etica si è strutturata con vere e proprie strutture bancarie
alternative alla finanza tradizionale.
É in questa panoramica che anche in Italia oggi
sta nascendo la Banca Etica, che aggrega un
grande numero di attori sociali tra cui sindacati, cooperative sociali, enti locali, banche popolari, associazioni di tutela e controllo, associazioni culturali mutue autogestite ed altre tipologie di ONG con forte radicamento locale e
con una dimensione economica/sociale rilevante.
L'obiettivo del presente progetto è la promozione sul territorio della finanza etica nelle sue
molteplici modalità e la creazione di occupazione, sia tramite la nascita di nuove imprese,
sia tramite il potenziamento di realtà già esistenti che si occupano da tempo di raccolta e
impiego etico di capitali. Tali soggetti si specializzeranno inoltre anche in altri servizi come la
ricerca applicata all'economia non profit e la
consulenza gestionale su aspetti contabili e
amministrativi.
Le caratteristiche di multiregionalità si estrinsecano in alcune attività chiave che hanno
loscopo di raggiungere la massima efficienza
dell'intervento, realizzare economie di scala e
armonia dell'intervento su tutti i territori
regionali dove avviene l'intervento.
In particolare, la multiregionalità si realizza in
quelle attività che sono estranee al carattere
precipuo del territorio dove si svolgono, e più
in particolare:
• la progettazione complessiva delle dispense
dell'intervento
• l'ideazione e la redazione delle dispense
didattiche
• la strategia complessiva di comunicazione,
diffusione e comunicazione e più in particolare:
163
162
• disegno e strategia di marketing
• materiali grafici (arte)
• riproduzione pieghevoli
• partecipazione a fiere e convegni
• convegni e seminari
• pubblicazioni
• pagine www
Complessivamente, la multiregionalità impegnerà una percentuale della spesa complessiva
pari al 25-30%.
Note
1Questa scheda, da compilare solamente dnel caso di progetto interregio nale, deve contenere informazioni generali sul progetto complessivo. Per
quanto riguarda i sotto progetti regionali che lo compongono dovranno
essere compilate anche le successive schede del formulario.
3. DESCRIZIONE
SINTETICA DEL
PROGETTO REGIONALE
E DEL SOTTO PROGETTO
INTERREGIONALE
3.1 Analisi del contesto di riferimento
Nonostante il mondo economico e finanziario
siano ancorati alle leggi del mercato e del profitto, più di qualcuno ha iniziato a guardare "al
terzo settore" non più solo come settore rispetto allo Stato e al mercato o valido solo dove
questi falliscono, ma come ad un soggetto
autonomo con una propria proposta socio-economica: l'economia civile e solidale.
In termini quantitativi, in tutta Europa è in
rapida crescita il peso economico, oltre che
sociale, che il terzo settore sta progressivamente assumendo. La crescita è giustificata da un
insieme di cause strutturali e contingenti: da
una parte la globalizzazione, la forte competi-
tività del sistema economico internazionale
tendono, sul breve periodo, ad emarginare gli
strati di popolazione incapaci di adattamento
ed impongono soluzioni che il mercato classico
non è in grado di dare; dall'altra parte, sono
nati nuovi bisogni, nuove esigenze che nessun
mercato per il momento può soddisfare; tutta
una serie di servizi alla persona o all'ambiente
non sono facilmente monetizzabili o erogabili
a condizioni standard di mercato. All'interno
di questo quadro, le forze più vitali dell'economia sociale rispondono erogando i servizi e
soddisfacendo le necessità più impellenti.
Il cosiddetto terzo settore è in tumultuosa crescita, sia nel resto del mondo; solo in Iatlia,
nell'ultimo periodo, il terzo settore ha creato
molte aziende e molti occupati.
Di fronte a questa situazione economica, il terzo
settore, tuttavia, soffre di alcune strozzature che
impediscono un efficace sviluppo competitivo;
molto spesso le imprese del terzo settore sono
sottocapitalizzate, non hanno il circolante per
permettere la ricerca e lo sviluppo, il livello di
investimento è basso, il grado di dipendenza da
lavori pubblici è molto alto. A completamento
di questa realtà economico-finanziaria, l'accesso
al credito delle imprese del terzo settore è quanto meno arduo: la struttura leggera, la mancanza di riserve finanziarie e/o di proprietà, impediscono di fatto il ricorso al credito bancario tradizionale; la provvista finanziaria necessaria
viene ottenuta troppo spesso al di fuori dei
canali bancari tradizionali.
In questo contesto, risulta necessaria la creazione di strumenti a servizio e supporto del
terzo settore; tali imprese di servizi e consulenze finanziarie, agendo sul mercato, si differenziano dal sistema bancario tradizionale per
diversi aspetti: da una parte l'utilizzo totale dei
165
164
mezzi finanziari più innovativi (project financing) che dimensionando il finanziamento all'idea e al progetto e non esclusivamente alla
p reesistente capacità finanziaria; dall'altra
parte, pur rimanendo con la flessibilità e l'operatività dell'azienda totalmente privata, coagulando gli interessi di tutti i soggetti del settore
nell'iniziativa (ONG, enti locali, ecc...).
3.2.1. Prima fase: Ideazione e progettazione
Questa fase prevede la progettazione dell’intero percorso progettuale che include:
• l’intervento formativo,
• la creazione di imprese cooperative,
• l’assistenza e l’accompagnamento
• la promozione sul territorio
• la disseminazione e la valutazione.
3.2 Contenuti
Il programma di lavoro si articola in 4 linee
principali:
1. Ideazione e progettazione.
2. Formazione: realizzazione del corso di formazione per i futuri membri della cooperativa.
3. Costituzione dell’impresa: messa a punto
della cooperativa per il sostegno finanziario e
di consulenza di impresa sociale.
4. Azioni di pr o m o z i o n e / c o m u n i c a z i o n e
miranti a sviluppare la domanda locale: diffusione delle opportunità offerte da questa cooperativa, sia per i prodotti finanziari (raccolta
rispermio e crediti), sia per i servizi di gestione
d’impresa.
Queste linee di lavoro si articolano in fasi da
sviluppare per un periodo di tempo equivalente a 2 anni, per praticità organizzativa e per
pemettere l’avvio della cooperativa già dopo il
primo anno. Dopo un periodo di progettazione, si avvierà la formazione; seguirà la costituzione della cooperativa; quindi si avvierà la
fase di promozione e comunicazione.
Si prevede il coinvolgimento occupazionale di
5 persone in ambito regionale, legato all’utilizzazione delle figure professionali innovative
formate.
A tale impatto occupazionale, si aggiunge l’indotto creato dal maggiore flusso finanziario
garantito nei confronti del terzo settoree.
Questa prima fase avrà la durata di 4 mesi
Le attività previste sono le seguenti:
• Progettazione di:
Formazione
Creazione di imprese
Diffusione
• Realizzazione del materiale didattico e di
pubblicità/promozione dei corsi
• Identificazione delle sedi fisiche per lo svol
gimento dei corsi e preselezione dei parteci panti al progetto.
La progettazione della formazione
La progettazione della formazione richiederà
la compartecipazione dei docenti e la formazione di gruppi di lavoro sotto il coordinamento di un supervisore per la pragrammazione.
In tal senso, il responabile del progetto individuerà i docenti interni ed esterni. Alla fine
della programmazione didattica, che richiederà un periodo di due mesi circa, verrà elaborato il materiale didattico (dispense e manuali) da distribuire tra gli allievi. É prevista la
p roduzione di una dispensa tematica per
ognuna delle macr o - a ree formative (tre
dispense in totale).
La sede di corso si occuperà di preselezionare
un numero congruo di partecipanti.
Nello stesso periodo, verranno effettuate le
167
166
opportune attività di pubblicizzazione tramite
inserzioni sulla stampa locale e annunci sulle
radio e TV locali. In questa fase verranno coinvolti, nelle attività di pubblicizzazione dei
corsi, anche gli enti locali responsabili della
formazione. La fase di promozione-pubblicizzazione avrà una durata di due mesi.
I prodotti di questa attività saranno:
• il “programma didattico” verrà veicolato
dal supervisore della programmazione a
tutte le organizzazioni competenti territo rialmente;
• il materiale didattico, sotto forma di tre
dispense, verrà prodotto ed inviato alle
organizzazioni competenti territorialmente;
• il materiale promozionale elaborato verrà
messo a disposizione delle organizzazioni
competenti territorialmente;
• verranno individuare le sedi logistiche ter
ritoriali di svolgimento del corso, con indi
cazione delle strutture e delle caratteristiche.
zione di impresa
• La programmazione e distribuzione terri toriale degli interventi degli esperti
• L’individuazione delle apparecchiature e
programmi software necessari per la
gestione delle attività finanziarie.
• L’elaborazione del percorso per la defini zione della fabbilità d’impresa.
La progettazione della costituzione di impresa
La progettazione della costituzione di impresa
sarà svolta avvalendosi di un gruppo di esperti del settore, (sviluppo prodotti finanziari, pianifi cazione di impresa, aspetti giuridico-normativi),
che permettano di mettere a punto il programma di accompagnamento della realtà cooperative che si formerà al termine del processo formativo. Verrà prodotto un manuale finalizzato
all’illustrazione della costituzione di una cooperativa di tipo finanziario da applicare poi,
da parte degli esperti che interverranno su
questa linea di lavoro, alla cooperativa.
Questo manuale integrerà le dispense distribuite nei corsi di formazione.
I prodotti di questa attività saranno:
• Il programma di consulenza per la crea -
I prodotti di questa attività saranno:
• Il programma di definizione per la stesura
della pianificazione di marketing.
• La programmazione e distribuzione terri toriale degli interventi con la cooperativa.
• L’elaborazione del percorso per la defini zione della promozione e comunicazione
delle cooperative sul territorio.
La progettazione della diffusione
La progettazione della diffusione (promozione della cooperativa sul territorio di appartenenza) sarà svolta vvalendosi di esperti di
marketing sociale che metteranno a punto i
p e rcorsi di indagine di mercato e di analisi
degli strumenti di comunicazione. Allo stesso
tempo, questi esperti dovranno pianificare gli
interventi con la cooperativa, determinarne i
tempi, l’organizzazione territoriale e le modalità. Dovranno prevedere anche gli output specifici per l’impresa.
3.2.2 Seconda Fase: Formazione: realizzazione
del corso di formazione per i futuri membri
della cooperativa.
La seconda fase, della durata complessiva di
sette mesi, riguarda l’organizzazione e la realizzazione di un corso di formazione n e l l a
sede individuata in precedenza.
Verrà nominata, di concerto tra il responsabile
168
e le organizzazioni partecipanti, una commissione di selezionatori che si occuperà della
selezione delle domande pervenute e che condurrà un colloquio-intervista, di tutti gli allievi
preselezionati. Al termine delle attività di selezione verranno identificati i nomi dei 20 partecipanti al corso con una lista di riserva di 5
candidati.
L’attività corsuale sarà strutturata in un corso
della durata complessiva di 484 ore a cui parteciperanno i 20 allievi selezionati, da svolgersi
a cura e sotto la responsabilità dell’organizzazione locale in una sede territorialmene compatibile con l’area geografica coperta dall’organizzazione medesima. Una stretta sorveglianza
e valutazione on-going verrà effettuata al fine
di assicurare uno standard unico a tutti i corsi.
Si realizzerà un corso della durata di 484 ore;
al corso parteciperanno 20 persone. Il corso
avrà la seguente composizione:
AREE
FORMATIVE
AREA
SOCIO CULTURALE
ore 120
AREA
TECNICO/
SCIENTIFICA
ore 164
Acquisizione
capacità
organizzative
AREA
ORGANIZZATIVO
FUNZIONALE
SOECIALISTICA
ore 200
SOECIALISTICA
ore 200
Acquisizione
abilità
specialistiche
169
AREE DISCIPLINARI
• Orientamento al profi
lo professionale
• Pari opportunità
• Tecniche comunicazionali
• Le organizzazioni non
p rofit nella società e
nell’economia italiana
• Economia delle orga nizzazioni non profit
• Diritto commerciale
per gli enti ONP
• Inglese professionalizzante
• Informatica e teleco municazioni
• Tecnica bancaria e
finana ziaria
• I servizi e gli strumenti
finanziari
• Legislazione
sulla
finanza sociale
• Contabilità e tratta mento fiscale degli enti
ONP
• Marketing strategico e
operativo
• Tecniche comunicazio nali verso l’esterno
• Organizzazione gestio ne e sviluppo di un’as sociazione
• Analisi e controllo di
gestione
• Analisi dei progetti
• Marketing finanaziario
• Tecniche relazionali
specialistiche
• Project Work: idfeazio ne, analisi e presenta zione di un progetto per
lo strat up
171
170
La programmazione esecutiva del corso verrà
definita nella prima fase progettuale; la metodologia usata comunque priviligerà la socializzazione e la partecipazione attiva dei partecipanti, attraverso lavori di gruppo, spazi dedicati alla risposta di domandem sperimantazione e laboratori su tematiche specifiche, dibattiti e confronti. In particolare si farà ricorso ad
e s e rcitazioni individualei e di gruppi, ro l e playing e simulazioni, ricerca-analisi individuale e di gruppo, progettazione individuale e
di gruppo.
Gli obiettivi didattico-formativi che il corso si
prefigge, oltre all’appprendimento delle nozioni, sono:
• abitudine all’autoanalisi critica;
• abitudine al lavoro di gruppo;
• sviluppo delle capacità di leadership ed
organizzative;
• abitudine al alvoro per obietivi;
• corretta gestione del tempo e degli strumenti;
• orientamento al mercato e al cliente;
• sviluppo delle attitudini di imprenditorialità
• Il corso verrà introdotto dallìesposizione
del “patto formativo”, dalle finalità e dalle
caratteristiche del corso, e dall’evidenzazio ne delle motivazioni e delle aspettative.
• Un tutor sarà sempre presente ad accompa gnare il corso dal punto di vista organizza tivo r didattico; sarà anche a disposizione
del personale non docente part-time, per la
logistica del corso medesimo.
• Data la natura intensiva del corso e l’area
geografica ampia su sui ogni corso insiste, è
prevista un’indennità di frequenza per ogni
partecipante al fine di coprire le eventuali
spese di viaggio e divitto che ogni parteci
pante affronterà dalla propria residenza.
• Alla fine del corso verrà effettuata una
prova finale al fine di evidenziare il grado
di soddisfazione e di trasmissione di com petenze del corso medesino. La valutazione
dell’intervento formastivo sarà orientata
prevalentemente alla rivelazione dei fattori
di cambiamento o di innovazione in riferin mento al programma e agli obiettivi presta biliti. Verificare l’eficacia del progetto signi fica innanzitutto verificare se e in che
modo struttura, metodologie didattiche,
contenuti abbiano perseguito gli obiettivi
del progetto.
3.2.3 Terza Fase: Costituzione dell’impresa:
messa apunto della cooperativa per il sostegno finanziario di imprese sociale
In questa fase si daraà avvio alla costituzione
dell’impresa cooperativa. Sitratta di una cooperativa che si prevede composte da circa 3-5
persone. Si prevede un periodo di 7 mesi di
tempo.
Questa attività sarà potata avanti attraverso un
gruppo di esprti che, insieme ai componenti
della cooperatica, effettueranno tuti i passi
necesari per arrivare alla costituzione.
Si realizzerà quindi uno studio di fattibilità
economica dell’impresa cooperativa, che includetrà gli aspetti di pianificazione delle attività,
organizzazione del lavoro, necassità finanziarie, programazione con ipotesi di raggiungimento del punto di equilibrio.
Insieme a questi aspetti, con gli esperti di questioni giuridiche e amministrative, si realizzeranno invece i passaggi per l’avvio delle attività e quindi i requisiti formali, messa a punto
dello statuto, le necessità di tipo amministrativo e si effettuerà la pianificazione realtiva ai
passaggi formali per la costituzione delle cooperative.
173
172
Le attività di monitoriggio garantiranno l’effettuazione di questi passaggi e si concluderanno
alla costituzione e avvio delle cooperative.
3.2.4 Quarta Fase: Azioni di promozione/comunicazione miranti a sviluppare la domanda
locale: diffusione delle opportunità offerte da
questa cooperativa, sia per i prodotti finananziari (raccolta risparmio e crediti), sia per i servizi di gestione dell’impresa
In questa fase si effettueranno anche le azioni di
promozione e comunicazione per la cooperativa
formata.
Questa attività implicherà gli esperti in marketingsociale con lo scopo di effettuare le ricerche
di mercato ed analisi delle strategie di comunicazione e promozione da adattare alla realtà territoriale. L’attività degli esperti si avvarrà anche
della partecipazione attiva dei componenti della
cooperativa, sia per raccolta dati sia nella fase di
definizione delle attività promozionali. Inoltre si
metteranno a punto i materiali pubblicitari: si
prevedono piccoli opuscoli illustrati, contando
su contributo di uno studio di grafica pubblicitaria. Si stamperanno poi i materialigrafici e si
effettuerà il monitaraggio dell’avvio delle attività promozionali.
In questa fase inoltre si effettueranno anche le
attività realtive alla disseminazione e valutazione, definite come attività post-pro g e t t u a l i .
Queste prevedono la realizzazione di alcuni
incontri seminariali che illustreranno i rusultatai
della formazione e dell’avvio dell’impresa cooperativa e costituiranno, oltretutto, un forte
momento promozionale per le attività della stessa che andranno ad occuparsi della difusione
del progetto generale sul territorio di competenza. A tali seminari-convegni verranno invitati,
oltre ai rappresentanti delle ONG locali, anche le
rappresentanze economico-sindacali più significative dell’area (Camere di Commerc i o ,
Associazioni di categiria, Istituti di credito, sindacati di lavoratori, enti amministrative locali,
organizzazioni di consumatori, ecc...).
Verranno curate le attività complementari di
diffusione e disseminazione dei risultati, attraverso l’elaborazione di apposite pagine www e
loro pubblicizzazione, al pubblicazione di articoli informativi sulla stampa rilevante e la partecipazione a seminari, convegni e conferenze
di rilevanza nazionale ed internazionale. Oltre
alle diverse attività di monitoraggio previste
per i diversi moduli e afsi alla conclusione del
p rogetto si effetterà anche una valutazione
finale dello stesso. La fase di monitoraggiio e
valutazione sarà svolta on-giong dal responsabile di progetto che verificherà in itinere lo
svolgimento delle attività didattiche e operative e consiglierà gli aggiustamenti necessari
affinché vengano rispettati gli standard definiti
dalla programmazione.
3.3. Obiettivi previsti e coerenza con il programma Operativo e collegamenti con la programmazione regionale e nazionale
Ci si attende la creazione di 1 impresa cooperativa in Toscana (funzioneranno come cooperative fidi), composta da 5 persone.
Questa nuova impresa di servizi finanziari
avrà un ruolo di grande responsabilità nel
futuro immediato per la diffusione e la conoscenza dell’iniziativa della Banca Popolare
Etica e per il consolidamento e la strutturazione territoriale della stessa.
Si tratta della creazione di una piccola impresa
di consulenza finanziaria e gestionale finalizzata alla gestione locale della Banca Popolare
Etica che dovrà occuparsi sia della raccolta
175
174
locale del risparmio sia dell’impiego in loco
dei capitali (fornitura del capitale di avviamento per nuove imprese nonché del capitale
di partecipazione edi rischio per impr e s e
sociali, la gestione tecnico/amministrativa
delle pratiche, selezione e valutazione dei progetti presentati a finanziamento, follow-up,
scambio di esperienze, disseminazione e diffusione eccetera).
Quindi, queste azioni si propongono la creazione di un’impresa cooperativa in Toscana,
che possa off r i re consulenza, servizi e strumenti finanziari per la crescita dell’economia
sociale del proprio territorio tramite il finanziamento di progetti ambientali, cooperative
sociali, ONG, associazionismo.
La creazione di questa nuova impresa suppone:
a) la creazione di nuovi posti di lavoro nella
stessa cooperatica;
b) l’appoggio alla creazione di nuovi sbocchi
occupazioni nell’ambito dell’economia non profit tramite il supporto finanziario alle imprese
sociali.
Tale strategia di sviluppo locale suppone un
periodo di formazione dei futuri integranti
della cooperativa, la costituzione vera e propria dell’impresa e una fase conclusiva di campagne di diffusione e comunicazione sulla
nuova cooperativa tendenti a sviluppare la
domanda locale dei loro servizi.
Oltre a tale aspetto, un’importante obiettivo
consiste nello sbocco occupazionale delle figure professionali formate nei confronti del terzo
settore già esistente; si prevede un’occupazione aggiuntiva di circa 5 professionisti.
3.4. Metodologie per la realizzazione
La partecipazione di due regioni permetterà di
i n d i v i d u a re un gruppo di coord i n a m e n t o
interregionale che avrà come scopo quello di
ottimizzare i costi (evitando, per esempio, la
duplicazione della redazione di materiali promozionali e formativi), e soprattutto di mantenere l’omogeneità dei progetti anche nelle fasi
esecutive. Ciò, per esempio, anche tramite l’organizzazione di momenti promozionali comuni, nonché la progettazione comune delle
diverse fasi del progetto.
3.5. Elementi di trasferibilità e meccanismi di
pubblicizzazione e di diffusione
Il progetto ha funzione dimostrativa, in quanto
tende a creare e a rendere stabile un nuovo
modello economico. Inoltre, costituisce un’importante salto logico e qualitativo all’interno
del settore non profit, fornendo gli strumenti
professionali e finanziari adeguati per la creazione di imprese da un lato concorrenziali sul
mercato e, dall’altro, animate da forte “tensione etica”. L’impatto e l’effetto dimostrativo
sarà quindi privilegiato al fine di portare a
conoscenza dell’opinione pubblica di come
modelli “alternativi” di economia possano
e s s e re efficaci ed efficienti, posizionarsi sul
mercato ed occupare una nicchia economica
significativa. La dimostrazione di come il settore non profit possa creare occupazione stabile
e sostenibile permetterà la diffusione di forti
comportamenti imitativi e moltiplicatori, con
la diffusione dell’autoimpiego e la creazione di
i m p rese per la copertura dei nuovi bisogni
delle persone e delle imprese già evidenziati
nel Libro Bianco UE “crescita, competitività e
occupazione”. Oltretutto, il progetto generale
mira proprio al supporto tecnico e finanziario
anche al fine della creazione di nuove imprese
non profit.
La comunicazione e la diffusione dei risultati
177
176
rappresenta un obiettivo primario del progetto,
mirante a diffondere ed a promuovere in generale la finanza alternativa ed etica, ed in particolare l’attività della nuova impresa creata.
La comunicazione e la diffusione del progetto
comporta quindi due momenti che si possono
riassumere nel seguente modo.
1. Sviluppo di campagne di promozione ed
informazione a livello locale per la diffusione
delle opportunità offerte da questa nuova cooperativa sia per i prodotti finanziari (raccolta
risparmio e crediti), sia per i servizi di gestione
dell’impresa;
2. una campagna a livello nazionale di diffusione dei risultati del progetto, la quale prevede il seguente mix di intrventi:
• articoli su giornali specializzati sulle tema tiche sociali, ambientali, di finanza alternativa
di volontariato e di tematiche del lavoro sia
nazionali (Nigrizia, Mani tese, Altra finanza,
Il Sole 24 Ore, gli inserti specialistici di quo tidiani a grande diffusione come il Corriere
della Sera, La Repubblica, La Stampa o
periodici sopecializzati come Politica ed
Economia, Il Sole 24 Ore) sia internazionali;
• ampiamento delle pagine www. esistenti
(indirizzo: http: //www.citinv.it/iniziati ve/info/equo/ be.htm - La Banca Etica su
internet) con inserimento di apposite pagine
relative ai risultati del progetto di formazione;
il tutto verrà accompagnato da un’opportuna
attività di pubblicizzazione e informazione;
• Organizzazione di Convegni, conferenze e
incontri a livello regionale (almeno un evento),
• d i ffusione e promozione del progetto su
quotidiani e radio locali;
• partecipazione a mostre o convegni interna
zionali su territorio europeo per illustrare i
risultati del progetto.
3.6 Durata totale
Data prevista di avvio 1 giugno 1998
Data di conclusione 30 maggio 2001
Azioni previste dal progetto
1. Progettazione interregionale
2. Corso di formazione
3. Costituzione d’impresa
4. Diffusione e promozione
Periodo di realizzazione e Durata (n° giorni)
1. giugno-settembre 1998
50
2. ottobre 1998- aprile 1999
120
3. maggio 1999 - novembre 1999
150
4. ottobre 1998 - maggio 2000
150
3.7. Atti formali (delibere, decreti, bandi,
determinazioni, ecc.) che definiscono la cantierabilità dei progetti entro 30 giorni dall’approvazione del finanziamento da parte del
Ministero del Lavoro.
________________________________________
________________________________________
________________________________________
________________________________________
3.8. Destinatari
Azione
Tipologia destinatari
N°
progettazione e
coordinamento
Componenti comitato
scientifico
5
Corso di
formazione
Persone non occupate
20
Costituzione
d’impresa
persone non occupate
5
179
178
3.9. Risulti – impatti
Ci si attende la creazione di un’impresa cooperativa in Toscana (funzioneranno come cooperative fidi) composta da 5 persone. Questa
nuova impresa di servizi finanziari avrà un
ruolo di grande responsabilità nel futuro
immediato per la diffusione e la conoscenza
dell’iniziativa della Banca Popolare Etica e per
il consolidamento e la strutturazione territoriale della stessa.
Si tratta della creazione di una piccola impresa
di consulenza finanziaria e gestionale finalizzata alla gestione locale della Banca Etica che
dovrà occuparsi sia della raccolta locale del
risparmio sia dell’impiego in loco dei capitali
(fornitura del capitale di avviamento per
nuove imprese, nonché del capitale di partecipazione e di rischio per imprese sociali, la
gestione tecnico/amministrativa delle pratiche, selezione e valutazione dei progetti presentati a finanziamento, follow-up, scambio di
esperienze, disseminazione e diffusione, eccetera).
4. PREVENTIVO COSTI DEL
PROGETTO REGIONALE E
DEL SOTTO PROGETTO
INTERREGIONALE
4.1. Costo totale del progetto
Di cui
F.S.E.
Fondo di Rotazione
Altro finanziamento Pubblico
Contributo privato
£ 460.180.000
£ 207.081.000
£ 253.099.000
£
£
4.2. Costo complessivo e per singolo progetto - “Progetto Interregionale”
Regione
Partner
Oltre a tale occupazione, si prevede che almeno
altre 5 persone formate verranno assorbite dal
mondo delle associazioni non profit regionali.
Ammontare finanziamento
richiesto per tipo di fonte
GSE
Fondo di
rotazione
Altro
Contributo TOTALE
finaziam. privato
pubblico
% sul
Totale
Emilia
Romagna
Toscana
_________
_________
_________
_________
153.000.000 187.000.000 ________ _________ 340.000.000 42
207.081.000 253.099.000 ________ _________ 460.180.000 58
__________ __________ ________ _________ __________ ________
__________ __________ ________ _________ __________ ________
__________ __________ ________ _________ __________ ________
__________ __________ ________ _________ __________ ________
Totale
Interreg.
360.081.000 440.099.000
800.180.000 100%
180
DELIBERAZIONE 2 DICEMBRE 1997, N. 386
Fondo di dotazione per l’accesso al credito da
parte delle cooperative sociali iscritte all’albo
regionale della Regione Toscana. Direttive
alla Fidi Toscana S.p.A. ai sensi dell’art. 15
della L.R. 24 novembre 1997, n. 87.
Il Presidente mette in approvazione la seguente
proposta di deliberazione:
IL CONSIGLIO REGIONALE
Premesso che la L.R. 24 novembre 1997, n. 87
recante la “Disciplina dei rapporti tra le cooperative sociali e gli enti pubblici che operano
nell’ambito regionale” nel riconoscere e valorizzare il ruolo delle cooperative sociali, definisce misure di promozione, sostengono e sviluppo della cooperazione sociale:
Visto:
- l’art. 15 della stessa legge regionale il quale
prevede che la Regione Toscana concorre ad
agevolare l’accesso al credito delle cooperative
sociali iscritte all’albo regionale della Toscana
che realizzino investimenti in beni materiali,
immateriali e scorte;
- in particolare il comma 3 dell’art. 15, succitato, prevede l’istituzione di un apposito fondo
di dotazione disciplinato con specifica direttiva
approvata dal Consiglio regionale, con la quale
siano stabilite le modalità per l’ammissione ai
contributi, i criteri di assegnazione e le modalità di rendicontazione della gestione del
fondo;
Ritenuto dover approvare il testo delle direttivi
alla Fidi Toscana S.p.A. allegato al pre s e n t e
atto quale parte integrante e sostanziale;
DELIBERA
1. le modalità per l’ammissione delle cooperati-
ve sociali iscritte all’albo regionale della
Toscana ai contributi, i criteri di assegnazione
dei contributi e le modalità di rendicontazione
della gestione del fondo, sono definiti con la
direttiva contenuta nell’Allegato che costituisce
parte integrante e sostanziale alla pre s e n t e
deliberazione;
2. la presente deliberazione, unitamente
all’Allegato, è pubblicata sul Bollettino
Ufficiale della Regione Toscana ai sensi dell’art.
2 comma 3, della L.R. 15 marzo 1996, n. 18
“Ordinamento del B.U.R.T. e norme per la pubblicazione degli atti”.
IL CONSIGLIO APPROVA
Con la maggioranza prevista dall’art. 15 dello
Statuto.
Il Presidente
Angelo Passaleva
Il Segretario
Tommaso Franci
Allegato
Direttive di attuazione alla Fidi To s c a n a
S.p.A., ai sensi dell’art. 15 della L.R . 24
novembre 1997, n. 87 “Disciplina dei rapporti
tra le cooperative sociali e gli enti pubblici
che operano nell’ambito regionale.”
Art. 1
Beneficiari degli interventi
1. Sono beneficiarie degli interventi le cooperative sociali iscritte all’Albo regionale ex art. 3
della L.R. 24 novembre 1997, n. 87 “Disciplina
dei rapporti tra le cooperative sociali e gli enti
pubblici che operano nell’ambito re g i o n a l e ”
nella sezione A o B o C.
181
182
Art. 2
Priorità
1. Sono prioritarie le domande delle cooperative
sociali finalizzate:
a) costruzione, acquisto o ristrutturazione di
beni immobili di proprietà delle cooperative o
ad esse concessi in uso gratuito o affitto purché
di durata almeno pari all’ammortamento del
finanziamento.
Tali beni immobili devono essere destinati alla
creazione e sviluppo di Centri diurni, residenziali o estivi per servizi socio-sanitari o educativi
o per attività collaterali all’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati (art. 1 L. 381/91);
b) i progetti di intervento compresi nel piano
zonale di assistenza sociale ex L.R. 3 ottobre
1997, n. 72 “Organizzazione e promozione di un
sistema di diritti di cittadinanza e di pari opportunità: riordino dei servizi socio-assistenziali e
socio-sanitari integrati”;
c) interventi che assicurino l’inserimento lavorativo di giovani fino a 35 anni di età in cerca di
prima occupazione o l’occupazione di lavoratori
in mobilità;
d) interventi in zone di comuni montani.
2. Le priorità suddette non sono cumulabili e
comportano una anticipazione convenzionale di
sessanta giorni dalla data di completamento
della documentazione.
Art. 3
Spese di intervento ammissibili
1. Le spese di investimento ammissibili - per un
importo massimo di L. 300.000.000 - comprendono, al netto di imposte, tasse e spese notarili;
a) l’acquisto di terreni o del diritto di superficie;
b) l’acquisto, la costruzione, la ristrutturazione
di fabbricati;
c) l’acquisto di impianti, macchinari, automezzi
e attrezzature;
d) l’acquisto di brevetti, licenze, marchi, software, e spese per la certificazione di qualità;
e) marketing operativo e strategico;
f) spese per l’adeguamento alle normative vigenti in materia di sicurezza;
g) scorte nella misura massima del 20% dell’investimento totale.
2. Le spese indicate al comma 1 devono essere
ancora da sostenere o devono essere iniziate non
prima di dodici mesi dalla data di presentazione
della domanda di contributo.
Art. 4
Importo del contributo
1. Il contributo in conto interessi è concesso nella
misura di 4 punti su un finanziamento a medio
termine o su un leasing regolati ad un tasso di
interesse non superiore al tasso di riferimento
per le imprese industriali. Il finanziamento a
medio termine, o il leasing agevolato, deve avere
un importo non superiore al 75% dell’investimento ed una durata non superiore a 10 anni per
le spese indicate all’art. 3, comma 1, lett. a), b) e
c) quest’ultima per quanto attiene agli impianti;
un importo non superiore al 75% dell’investimento ed una durata non superiore a 5 anni per
le spese indicate all’art. 3 comma 1, lett. c) escluse le spese per impianti, d), e), f), g).
2. Il finanziamento, o il leasing, non deve essere
stato erogato o perfezionato, al momento della
presentazione della domanda di contributo da
parte della cooperativa sociale.
Art. 5
Documentazione
1. Le cooperative sociali devono presentare la
domanda di contributo a Fidi Toscana S.p.A.,
allegando la seguente documentazione:
a) certificato di iscrizione all’albo regionale delle
cooperative sociali ex L.R. 87/’97;
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b) l’atto costitutivo e lo statuto vigente;
c) dichiarazione attestante il Comune dove
viene realizzato l’investimento;
d) dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà attestante l’esistenza dei requisiti di priorità (ove sussistenti);
e) la descrizione e l’importo complessivo dell’investimento, con l’indicazione della copertura finanziaria;
f) il conto economico di previsione dopo la realizzazione dell’investimento;
g) una dichiarazione sostitutiva di atto notorio
attestante che la cooperativa non ha ricevuto né
richiederà altri incentivi pubblici per lo stesso
progetto;
h) attestazione della data di inizio dell’investimento.
2. Ciascuna cooperativa sociale può presentare
a Fidi Toscana S.p.A. più domande di contributo, purché a fronte di spese di importo complessivo non superiori al massimale indicato all’art.
3.
Art. 6
Procedure
1. Fidi Toscana S.p.A. istruisce la domanda di
contributo dopo il completamento della documentazione da parte della cooperativa sociale.
La documentazione deve essere completata,
pena la decadenza, entro 90 giorni dalla prima
richiesta di completamento.
2. Fidi Toscana S.p.A. concede ogni tre mesi i
contributi alle cooperative sociali che siano in
possesso dei necessari requisiti e che abbiano
completato la documentazione almeno 30 giorni prima della fine del trimestre, secondo una
graduatoria costituita in base all’ordine cronologico della data di completamento della documentazione, tenendo conto delle priorità definite dall’art. 2.
3. Fidi Toscana S.p.A. trasmette alla Giunta
regionale e al Consiglio regionale la graduatoria trimestrale entro 15 giorni dalla sua compilazione. Fidi Toscana S.p.A. inoltre trasmette
comunicazione dell’avvenuta concessione di
contributi alla cooperativa sociale interessata e
alla banca o alla società di leasing finanziatrice.
4. La banca o la società di leasing finanziatrice
comunica a Fidi Toscana S.p.A. le proprie decisioni in merito entro tre mesi dal ricevimento
della comunicazione della Fidi Toscana S.p.A.
5. Fidi Toscana S.p.A. eroga i contributi in conto
interessi o canoni attualizzati in un’unica soluzione. Il tasso di attualizzazione è pari al tasso
ufficiale di sconto in vigore alla data della graduatoria di concessione dei contributi.
6. L’erogazione è subordinata:
a) alla realizzazione dell’investimento da parte
della cooperativa sociale e all’erogazione a
saldo del finanziamento o al perfezionamento
dell’operazione di leasing, nonché all’acquisizione di una dichiarazione sostitutiva di atto
notorio rilasciata dalla cooperativa sociale
medesima attestante che l’investimento è stato
effettuato ed è conforme al progetto ammesso
ai contributi.
Non alterano la conformità al progetto di investimento ammesso ai contributi eventuali modifiche che, fatte comunque salve le finalità dell’investimento, non spostino in misura superiore al 20% l’importo globale e la proporzione tra
le diverse tipologie di spesa (immobili, impianti, macchinari, arredi, attrezzature, altre spese).
In ogni caso i contributi sono erogati in relazione all’importo dell’investimento effettivamente
realizzato dalla cooperativa sociale e comunque
non oltre l’importo del progetto di investimento ammesso ai contributi.
b) all’acquisizione, ove prevista, dalla certificazione ai sensi del D. Lgs. 8 agosto 1994, n. 490.
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7. Il diritto al contributo decade ove la cooperativa sociale non completi l’investimento entro
18 mesi dalla data della graduatoria di concessione dei contributi medesimi e non ottenga
entra tale data l’erogazione, anche parziale, del
finanziamento o il perfezionamento dell’operazione di leasing.
8. La Giunta regionale esercita i controlli in merito
all’attuazione della presente direttiva. Le risultanze dei controlli sulle cooperative sociali ammesse
al contributo sono trasmesse a Fidi Toscana S.p.A.
per gli atti conseguenti.
Il rifiuto dei controlli della Giunta regionale da
parte delle cooperative sociali comporta la
sospensione del contributo concesso e non erogato da parte di Fidi Toscana S.p.A.
Il diritto al contributo da parte della cooperativa
sociale beneficiaria decade qualora sia accertata la
non sussistenza dei requisiti previsti dalla presente direttiva o qualora la cooperativa sociale persista nel rifiutare i controlli della Giunta regionale.
In tale caso, Fidi Toscana S.p.A. deve provvedere
al recupero del contributo.
9. Fidi Toscana S.p.A. assicura a tutte le cooperative sociali che hanno presentato domanda di contributo la conoscenza degli atti relativi alle procedure di ammissione o di esclusione che le riguardano. Fidi Toscana S.p.A. assicura altresì ai soggetti pubblici e privati che lo richiedono la conoscenza di dati statistici riassuntivi degli interventi
effettuati ai sensi della presente direttiva.
Art. 7
Compensi a Fidi Toscana S.p.A.
1. Alla Fidi Toscana S.p.A. è riconosciuto il diritto di perc e p i re dalle cooperative sociali, al
momento dell’ammissione al contributo, un
compenso per l’attività svolta nell’attuazione
della presente direttiva pari a L. 600.000=, oltre
IVA, per ogni domanda presentata.
Art. 8
Rendiconto e indicazione dei risultati
1. Fidi Toscana S.p.A. trasmette annualmente
alla Giunta regionale e al Consiglio regionale il
rendiconto dei contributi richiesti, concessi ed
erogati.
2. Fidi Toscana S.p.A. trasmette alla Giunta
regionale e al Consiglio regionale una relazione
annuale contenente le indicazioni dei risultati
della presente direttiva, che segnala:
a) il rapporto tra l’importo dei contributi concessi e l’importo dei finanziamenti o leasing e degli
investimenti agevolati;
b) la variazione dell’occupazione in conseguenza
dell’investimento:
c) la tipologia dell’investimento;
d) le aree geografiche dei beneficiari, suddivise
per territorio provinciale.
Art. 9
Interessi
1. Gli interessi maturati sulle disponibilità liquide del fondo sono destinati all’incremento del
fondo medesimo, al netto degli oneri fiscali di
competenza, degli oneri per il recupero dei contributi, nonché delle spese di gestione del fondo.
Le spese per la pubblicazione degli interventi
sono a carico del fondo in misura non superiore
al 2% annuo della consistenza del fondo medesimo ad inizio anno.
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IL SUMMIT INTERNAZIONALE SUL
MICROCREDITO DI ABIDJAN
(COSTA D’AVORIO), 24-26 GIUGNO 1999
Oltre sette milioni di posti di lavoro in un anno:
tanti sono i nuovi destinatari - e quindi le nuove
“microimprese” avviate - raggiunti nei paesi in
via di sviluppo dai programmi di microcredito
tra il giugno ’98 e il giugno ’99. Erano 14 milioni
808 mila un anno fa, sono 22 milioni 341 mila
oggi, secondo i dati resi pubblici durante il meeting mondiale degli operatori della “finanza dei
poveri”, il Microcredit Summit, svoltosi tra il 24 e
il 26 giugno 1999 ad Abidjan, in Costa d’Avorio.
Certo, i poveri nel mondo si contano a miliardi.
Ma questa modalità innovativa di promozione
dello sviluppo, che fa leva sulla voglia di riscatto
degli esclusi, soprattutto delle donne, è ormai
uscita dalla marginalità e si propone come interlocutore delle grandi istituzioni pubbliche e private.
La maggior parte dei destinatari è in Asia, dove
il microcredito è nato con l’esperienza della bengalese Grameen Bank: poco meno di 17 milioni di
“clienti”. Ma il progetto internazionale è decollato anche in Africa, dove i destinatari sfiorano i 3
milioni, e in America Latina, dove sono quasi 2
milioni. Più piccole, ma significative, le cifre
dell’Europa, soprattutto dell’Est (440 mila), del
Nordamerica (43 mila) e, novità assoluta, del
Medio Oriente (41 mila clienti). Dei destinatari
dei piccoli prestiti, più della metà sono nella
fascia inferiore della popolazione che vive sotto
la linea di povertà. Insomma gli esclusi totali,
quelli per i quali, secondo la Banca Mondiale,
“non c’è futuro” nell’attuale sistema economico.
Questo dei più poveri è stato uno dei temi centrali nel confronto di Abidjan tra delegazioni di
80 paesi: come identificarli e soprattutto, come
ha sottolineato nel suo intervento Sam Daley-
Harris, direttore della campagna internazionale,
come conciliare la sostenibilità finanziaria delle
banche dei poveri con il finanziamento dei poverissimi. Quattro gli assi di lavoro definiti al summit: raggiungere coloro che vivono con meno di
un dollaro al giorno; coinvolgere le donne, spesso il pilastro principale delle famiglie e delle
comunità locali; costruire istituzioni finanziarie
indipendenti; assicurare l’impatto sociale dei
microcrediti.
Queste linee di lavoro sono state concretizzate,
ad esempio, nelle iniziative della Edcs, la
Ecumenical Development Cooperative Society olandese, in pratica una banca etica promossa dal
Consiglio Economico delle Chiese, che ha presentato, nei giorni di Abidjan, il suo lavoro in
Costa d’Avorio: 1,4 miliardi di franchi cfa (la
moneta dell’Africa francofona), cioè oltre 4
miliardi di lire di crediti concessi soprattutto a
piccole cooperative di commercializzazione di
p rodotti alimentari, con cui si è arrivati a
“impiantare un vero e proprio mercato”, ha spiegato Mariam Dao Gabala, la rappresentante di
Edcs per l’Africa francofona. Una sorta di “commercio equo e solidale” su scala locale. Oppure
nelle iniziative dei principali protagonisti italiani
del movimento del micr o c redito, la B a n c a
Popolare Etica e la finanziaria Ctm-Mag, che proprio in questi giorni ha cambiato nome in
Etimos. In Senegal una “joint-venture”, un programma comune, tra Banca Etica, Etimos, l’ong
lombarda Acra, la Banca di Credito Cooperativo
di Treviglio (una delle prime ad aderire a Banca
Etica) e le associazioni degli immigrati senegalesi di Bergamo punta alla costituzione di piccole
“casse di risparmio” che raccolgano risparmio
sia localmente che tra i senegalesi emigrati, ad
esempio in Italia, e lo utilizzino per finanziare
piccole attività economiche e iniziative che permettano il ritorno e il reinserimento degli emi-
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grati nel loro paese. In sostanza una “mobilitazione” anche delle rimesse degli immigrati per
lo sviluppo locale. E in Benin Etimos lavorerà
con Vita Microbank, una organizzazione locale di
microfinanza, per finanziare i contadini delle
zone più interne e meno favorite dal punto di
vista climatico e sociale. Oltre alle iniziative
della finanza etica, qualcosa in Italia si muove
anche a livello istituzionale. Il microcredito è
stato inserito nella proposta di nuova legge sulla
cooperazione allo sviluppo e il Ministero degli
Esteri è divenuto donatore del Cgap,
Consultative Group to Assist the Poorest, la “sezione” di microfinanza della Banca Mondiale.
Francesco Terreri
I destinatari dei programmi di microcredito per grandi regioni (metà 1999)
Africa...........................................................2.981.885
America Latina e Caraibi..........................1.947.082
Asia............................................................16.887.073
Medio Oriente.................................................41.208
Totale paesi in via di sviluppo ....................21.857.248
Nord America..................................................42.992
Europa e Paesi in transizione......................440.824
Totale generale ........................................22.341.064
INDICE
Presentazione Paolo Balli direttore CESVOT...................................pag
LA NUOVA ECONOMIA SOCIALE E SOLIDALE
E L’ACCESSO AL CREDITO
Introduzione Simone Siliani Ass. politiche sociali
e cooperazione allo sviluppo – Regione Toscana.......................pag
Le istanze delle organizzazioni non profit
al sistema creditizio Claudio Machetti Cesvot...........................pag
Le diffficoltà e le proposte del sistema creditizio
Stefano Bellaveglia Consiglio di Amministrazione
Monte dei Paschi di Siena s.p.a.....................................................pag
Fondo di dotazione per la cooperazione sociale
Lionello Castaldelli Fidi Toscana..................................................pag
Strumenti del credito per i soggetti non profit
Giorgio Kutufà Presidente Fidi Toscana......................................pag
IL CREDITO AI SOGGETTI “NON BANCABILI” NEL NORD
E NEL SUD DEL MONDO
Introduzione Francesco Terreri Direttore di Altreconomia ......pag
Dibattiti.............................................................................................pag
Quale e quanto credito per l’economia civile?
Stefano Zamagni Docente di Economia
Università di Bologna.....................................................................pag
Nuovi strumenti del credito: la proposta di Banca Etica
Fabio Salviato Presidente di Banca Etica.....................................pag
3° INTERVENTO
Microimpresa nel Nord e nel Sud del Mondo:
comparazione dei fattori chiave William Burrus
vice presidente Acciòn Internacional...........................................pag
2° INTERVENTO SANITARIO
Microimpresa nel Nord: l’esperienza di Acciòn in USA
Catherine Quense - Acciòn Internacional....................................pag
1° INTERVENTO SANITARIO
Il progetto microcredito nel sud del Mondo:
l’esperienza Boliviana Maria Otero - Acciòn Internacional......pag
Progetto Microcredito: gli sviluppi in Italia
Aldo Moauro CTM Altromercato.................................................pag
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ECONOMIA SOCIALE, BANCHE, FINANZA ETICA,
ENTI LOCALI: PROPOSTE OPERATIVE
Introduzione Luca Bellandi Regione Toscana ............................pag
Terzo settore e credito: prospettive possibili
Nuccio Iovene Portavoce del Forum del Terzo Settore.............pag
Progetto Microcredito: il contributo del commercio equo
Marco Noris consorsio CTM-Altromercato................................pag
Il ruolo degli Enti Locali fra credito e Terzo Settore:
forme di garanzia Marcello Bucci presidente Anci Toscana.....pag
Conclusioni Francesco Terreri.......................................................pag
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APPENDICE
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Regione Toscana: Creazione di nuova occupazione
attraverso la promozione della finanza etica e la nascita
di nuove imprese cooperative di servizi finanziari per lo
sviluppo dell’economia sociale.....................................................Pag ???
Deliberazione 2 dicembre 1997, n.386..........................................pag 180
Il summit internazionale di Abidjan (Costa d’Avorio),
24-26 giugno 1999 a cura di Francesco Terreri............................pag 188
Della Collana “I Quaderni” del CESVOT sono pubblicati:
1 Lo stato di attuazione del D.M. 21/11/91 e successive modifiche
Relazione assemblea del seminario
2 Volontari e politiche sociali: La Legge regionale 72/97
Atti del Convegno
3 Gli strumenti della programmazione nella raccolta del sangue e del plasma
Cristiana Guccinelli - Regina Podestà
4 Terzo settore, Europa e nuova legislazione italiana sulle Onlus
Cristiana Guccinelli - Regina Podestà
5 Privacy e volontariato
Regina Podestà
6 La comunicazione per il volontariato
Andrea Volterrani
7 Identità e bisogni del volontariato in Toscana
Andrea Salvini
8 Le domande e i dubbi delle organizzazioni di volontariato
Gisella Seghettini
9 La popolazione anziana: servizi e bisogni - la realtà aretina
Roberto Barbieri - Marco La Mastra
10 Raccolta normativa commentata - Leggi fiscali e volontariato
Stefano Ragghianti
11 Oltre il disagio - Identità territoriale e condizione giovanile in Valdera
Giovanni Bechelloni - Felicita Gabellieri
Progetto grafico
, Pontedera
Stampa La Grafica Pisana, Buti