Pubblicazione Periodica del Centro Servizi Volontariato
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Pubblicazione Periodica del Centro Servizi Volontariato
Pubblicazione Periodica del Centro Servizi Volontariato Toscana Responsabile Editoriale Dott.ssa Cristiana Guccinelli Con la collaborazione di A cura di Regione Toscana, Altreconomia, Regina Podestà, Claudio Machetti La rivista dell’economia solidale Dare credito all’economia sociale Strumenti del credito per i soggetti non profit Firenze Auditorium Consiglio Regionale venerdì 22 e sabato 23 Gennaio 1999 saluti PAOLO BALLI Direttore Cesvot Do il benvenuto a tutti i presenti. Questa struttura insieme alla Regione Toscana e alla rivista Altreconomia ha organizzato questo convegno. L’iniziativa è dedicata alle relazioni che il Terzo settore ha creato con la finanza tradizionale e con la finanza etica. Quest’ultima finalmente si avvale dell’operatività di Banca Etica. Il convegno è stato suddiviso in tre moduli tematici. Nel primo modulo “la nuova economia sociale e solidale e l’accesso al credito”, cercheremo di confrontare il rapporto che esiste tra domanda e offerta nel modo di relazionarsi del terzo settore con la finanza etica e non. Il secondo modulo “il credito e i soggetti non bancabili nel nord e sud del mondo”, ci permetterà di conoscere le esperienze più significative a livello nazionale e internazionale in questo campo. In fine nel terzo modulo, cercheremo di dare una sintesi di quelle che sono le proposte sul tappeto e tentare di giungere ad alcune proposte che siano concretizzabili, soprattutto mettendo in luce quello che può essere il ruolo delle istituzioni come strumento di collegamento tra l’economia sociale e la finanza. LA NUOVA ECONOMIA SOCIALE E SOLIDALE E L’ACCESSO AL CREDITO INTRODUZIONE Simone Siliani Assessore Regionale alle Politiche Sociali e Cooperazione allo Sviluppo Come si conviene ad un’introduzione cercherò di accendere dei riflettori su alcune delle tematiche più importanti che vorremmo toccare in questo convegno, che non vorrebbe essere fine a se stesso ma si accompagna ad una serie di iniziative in cui anche la Regione è attivamente impegnata. Il convegno vuole testimoniare anche la necessità che l’ente pubblico, in questo caso regionale, non si adoperi solo con atti che gli sono propri per promuovere o collaborare allo sviluppo di strumenti di finanza o credito dell’economia sociale. La differenza non è banale. Anche mantenere aperto e sviluppare un dibattito e una discussione per una crescita culturale non è, credo, marginale rispetto alle possibilità di sviluppo in questo settore. Ovviamente queste prime due questioni che voglio sottolineare sono il punto d’avvio delle iniziative di forme alternative di credito di cui la più diffusa è la banca etica o anche le forme di credito o microcredito. Il punto di inizio, è sempre bene tenerlo presente, è quello dell’affermazione di questi strumenti nei paesi in via di sviluppo, termine del tutto improprio proprio per sostenere forme autonome di difesa e crescita imprenditoriale locale. Credo che anche in questi paesi si debbano evolvere strumenti di questo genere e soprattutto che gli strumenti della micro finanza o del credito all’economia sociale, non debbano considerarsi assolutamente separati e alternativi agli interventi di tipo macro economici. Penso che questo luogo di nascita della microfi- 7 8 nanza debba essere sempre tenuto presente proprio perché è la crisi generalizzata e lo squilibrio dello sviluppo che, estendendo la dimensione finanziaria dei rapporti economici, assume forme sempre meno controllabili (la mondializzazione) e rende sempre meno efficaci le tradizionali politiche di intervento pubblico. É questa situazione a spingere la società civile ad organizzarsi secondo forme sempre più articolate e rispondere ad una accresciuta complessità dei bisogni. L’altro elemento da sottolineare, spero in modo non del tutto banale, è il recupero dell’etica come fondamento sostanziale di nuove modalità di azione sociale a fronte delle questioni aperte dalla crisi. A mio modestissimo parere il punto è quello di porre la necessità di una riflessione sulla finalità dello scambio economico e del legame sociale per cui il tema della solidarietà o dell’economia solidale si inscriva nel cuore dell’economia e non come elemento correttivo o parzialmente correttivo dei suoi squilibri secondo i metodi tradizionali del We l f a re State. Penso che la sfida non solo culturale ma sostanziale sia quella di mettere in discussione i metodi tradizionali del Welfare State che utilizza questi strumenti come elementi correttivi degli squilibri. Il punto è che il dibattito e le iniziative, le proposte di economia sociale e di finanza etica pongono in crisi il metodo di fondo del sistema dello scambio economico. Ritengo che sia un elemento da sviluppare e discutere. Che ciò non avvenga spesso lo dimostra il fatto che non si pone in crisi l’impianto complessivo dello scambio economico e che spesso questo settore venga concepito come una fetta residuale di mercato che le stesse banche o gli stessi istituti di credito tradizionali cercano di intercettare con strumenti più o meno efficaci. Ovviamente questo non è di per se negativo ma il punto è capire se stiamo ragionando di altro, oltre che di questo. In ogni modo l’altro elemento da sottolineare è quello appena accennato e cioè il fatto che lo sviluppo del terzo settore, in seguito dell’accrescersi della complessità della domanda sociale, esprime l’esigenza di garantire i livelli di servizi e la prospettiva etica di recupero dei rapporti sociali primari, spingere ad entrare in campo e a ridisegnare un ruolo del terzo settore stesso, nei confronti anche delle politiche pubbliche. Dobbiamo evitare due rischi. Il primo è di avere un’integrazione pro g ressiva del terzo settore nelle politiche pubbliche tali da renderlo dipendente o un tappa buchi di quello che le politiche pubbliche non riescono più, per la compressione delle risorse, a fare, mantenendo una sorta di continuità con il vecchio modello di We l f a re . Questo ovviamente spinge in una condizione di residualità e marginalità il terzo settore. Credo che sia un rischio assolutamente da evitare . Naturalmente dire questo significa porre il tema di cui discutiamo oggi, cioè quello del credito all’economia sociale e degli strumenti di credito per i soggetti no profit anche per liberarli o evitare che cadano nella dipendenza dalle politiche pubbliche. Altro rischio da evitare, a mio parere, è quello di p o r re il terzo settore come intermediario fra società civile e settore pubblico, non come espressione piena e consapevole della società e della riarticolazione delle nostre società moderne. Credo che qui si ponga anche la sfida di come modificare strutturalmente il ruolo delle politiche pubbliche nei confronti della società civile. Capisco che può sembrare uno slogan, ma il tema è come passare da politiche di assistenza sociale a politiche di partnership. La prospettiva in cui si muovono le proposte di banca etica o di strumenti del genere è quella appunto di concepire il terzo settore come autonomo e alternativo e promotore di nuove regole 9 10 della produzione di beni e di servizi con ambito di espressione non residuale ad altri soggetti. Soltanto alcuni elementi ulteriori su cui vorrei accendere i riflettori: l’ambito strategico in cui si colloca il terzo settore pone l’esigenza che ad un livello di crescita avanzato dell’economia sociale si sviluppi la dimensione di impresa, per cui si ripropongono se pure con modalità diverse i rapporti con il sistema del credito. Naturalmente occorre trovare una modalità di relazione funzionale fra il credito ordinario e quello etico, tenendo conto della peculiarità dell’impresa sociale. Ma non possiamo evitare di discutere e ragionare su questa relazione perché appunto in un quadro di crescente finanziarizzazione dell’economia è necessario far si che il credito possa esprimere tutte le sue potenzialità di strumento per la riduzione delle aree di povertà e emarg i n a z i o n e . Credo che occorra completare il circuito risparmio-credito, cioè che alla domanda crescente di credito corrisponda un’altrettanta consistente offerta di credito anche con strumenti flessibili e con modalità diverse. In questo senso, a fronte della disparità quantitativa di risorse disponibili, occorre che le strutture di credito tradizionale si colleghino o si rapportino con quelle preposte all’economia sociale per garantire un’offerta di credito consistente ma anche per accompagnare il processo con una serie di interventi qualitativi di supporto in materia di consulenza finanziaria e assistenza tecnica e quant’altro. Questo terreno di iniziativa è quello naturalmente da discutere e discusso nelle applicazioni della legge sulle fondazioni bancarie, la L. 461 del 1998, in cui accanto alla realizzazione di specifiche politiche settoriali con finalità sociali, si può prevedere di sostenere imprese che attivino canali di credito con la modalità, per esempio, dei fondi di rotazione che garantiscano autonomia imprenditoriale attraverso la continuità del- l’afflusso di risorse. Ma il punto è quello di completare e di ampliare questo ciclo, questo rapporto risparmio-credito, superando un rapporto di dipendenza fra donatori e beneficiari, con vantaggi sicuri per la prospettiva di riforma del Welfare nella direzione della partnership di cui dicevo prima. Prima di soffermarmi sull’esperienza toscana, vorrei fare un paio di riflessioni sul punto da cui questi strumenti hanno inizio, i paesi in via di sviluppo. Mi riferisco ad un dibattito in corso nel mondo della cooperazione allo sviluppo. In modo particolare occorre, a mio parere, chiarire e mettere l’accento in modo forte non solo, come di solito si tende a fare soprattutto nel mondo anglosassone, sul micro credito e quindi sulle attività di credito, ma più in generale sugli strumenti della micro finanza. Questo ci consente di porre una particolare enfasi sul tema della raccolta del risparmio come attività comunitaria e non solo come credito alle attività imprenditoriali e quindi di porre l’enfasi sul rapporto fra lenders e borrows, cioè fra chi dà il credito e chi lo riceve e quindi chi ha la possibilità di accedere al credito. Nei paesi in via di sviluppo, in quelli del terzo mondo, focalizzare soltanto gli strumenti di micro credito può significare escludere i più poveri dalla possibilità di accesso agli strumenti del micro credito. Ecco allora che gli strumenti della micro finanza si fondano molto sul ruolo della comunità. La capacità di raccolta di risparmio, di produzioni, di progetti conformati alle condizioni particolari della comunità appaiono importanti. Ovviamente questo non esclude, anzi penso che sia il tema su cui riflettere, le problematiche più generali delle economie in questi paesi. In modo particolare, penso che in questi paesi non si debba pensare che gli strumenti di micro credito possano agire in una sorta di vuoto spinto, cioè possano fare a meno 11 12 di pro d u r re fenomeni di accumulazione di risorse interne all’impresa. Poiché il punto essenziale è lo sviluppo delle piccole e medie imprese, anche in questi paesi del terzo mondo dove occorre essere competitivi in un mondo di m e rcati aperti, anche la piccola impresa per essere competitiva deve essere in grado di accum u l a re. Quindi, non deve tendenzialmente o p e r a re solo in settori a bassissimo valore aggiunto e deve essere in grado di poter accum u l a re per sfuggire ad una non auspicabile dipendenza dal credito o dipendenza dagli strumenti di micro credito, come purtroppo in realtà avviene. Analogamente non possiamo ritenere che anche in paesi di estrema povertà si possa pensare che gli strumenti di micro credito agiscano a prescindere da un sistema di accumulazione di risorse esterne all’impresa, in grado di creare un ambiente produttivo adeguato allo sviluppo dell’impresa stessa e quindi a prescindere da un intervento delle comunità, delle istituzioni in grado di creare un sistema i n f r a s t rutturale o in grado di sviluppare un capitale umano che è base dello sviluppo, quindi scuola santità ecc.. Non si può cioè prescindere anche da interventi, da politiche macro economiche che incidano sulla domanda aggregata, che possono creare le condizioni di un’espansione dell’occupazione anche oltre i confini delle micro imprese che spesso sono a carattere familiare. Questo tema è dibattuto e discusso da chi si occupa di cooperazione allo sviluppo e penso che debba essere e possa trovare anche qui uno spazio di discussione. Quello che anche qui vorrei sottolineare, è la necessità di politiche di micro finanza con una pluralità di strumenti che siano in grado di cambiare le condizioni sociali e politiche delle comunità. Quindi l’enfasi va posta sull’autonomia delle comunità e sulle capacità di queste di elaborare un progetto di sviluppo. Questo a mio parere vale certo nei paesi del terzo mondo, dove c’è una minore strutturazione sia del mondo del credito che istituzionale, ma comincia a valere anche nel nostro mondo sviluppato. A me ha colpito che parte della comunità delle Piagge, una parte diciamo “molto marginale” della nostra società, stia puntando sulla raccolta del risparmio all’interno della comunità per sviluppare alcuni progetti che nascono da quella comunità e che creano una sorta di responsabilizzazione dei diversi soggetti all’interno di quella comunità. É una questione che vale solo per le parti marginali delle società sviluppate? Può darsi e certo è che anche qui il valore del luogo, la capacità di autonomia della comunità assume un valore particolarmente rilevante a dimostrazione del fatto che la povertà non è solo un fenomeno di carenza di liquidità che ti impedisce di sviluppare forme di impresa ma anche di rapporti di p o t e re, di marginalità o di rischio sociale, disgregazione dei rapporti sociali ecc.. Per farvi fronte strumenti come quelli della finanza etica, di raccolta del risparmio e di attivazione dei rapporti comunitari, possono avere un ruolo importante. Ultime due osservazioni che riguardano alcune iniziative che si sono avviate come istituzioni e di cui si parlerà più avanti nel corso del convegno. Noi abbiamo promosso un’iniziativa progettuale in collaborazione con la regione Emilia Romagna per la creazione di nuova occupazione attraverso la promozione di finanza etica e la nascita di nuove imprese cooperative di servizi finanziari e per lo sviluppo dell’economia sociale. É un progetto che si propone di promuovere sul territorio la finanza etica nelle sue molteplici modalità con l’obiettivo di cre a re anche nuove opportunità di occupazione. 13 14 L’obiettivo è anche di predisporre strumenti di servizio e supporti dell’attività del terzo settore per superare le difficoltà di reperimento e utilizzo di risorse finanziarie. Si prevede, in questo ambito, un’attività formativa con tematiche tecniche e di attitudine imprenditoriale e la costituzione di una cooperativa per il sostegno finanziario e la consulenza di impresa sociale e un azione di marketing sociale per la disseminazione di risultati e per la comunicazione di opportunità offerte. Ovviamente in rapporto con questo progetto si è sviluppata la partecipazione della Regione Toscana al pro g e t t o della costituzione di Banca Etica. Infine, l’esperienza del fondo di ro t a z i o n e costituito dalla Regione e gestito dalla FIDI Toscana, sulla base della legge regionale 87/97 di cui parlerà il Presidente Kutufà. Questo fondo ha l’obiettivo di favorire l’accesso al credito per le cooperative sociali e si propone il potenziamento delle strutture dei servizi sociali e sostenere progetti di inserimento lavorativo di giovani per rafforzare la capacità lavorativa delle imprese cooperative. Queste erano le finalità di questo fondo, in diretto rapporto con l’impianto e la valorizzazione che le cooperative sociali hanno nella legge 72/97, la nuova legge sulle politiche sociali integrate dalla Regione Toscana. Penso e spero che il Presidente Kutufà ci dirà come ha funzionato in questo primo anno di attività questo fondo di rotazione perché io ritengo che quando si istituiscono fondi o strumenti come questi, occorre a un certo punto fare una verifica per capire se questi sono strumenti efficienti ed efficaci oppure se dobbiamo correggere il tiro a fronte di una loro marginale utilizzazione o non soddisfacente utilizzazione. Concludo dicendo che il convegno di oggi serve anche per noi, Regione Toscana, per capi- re quali altre migliori iniziative può l’ente pubblico intraprendere per sostenere lo sviluppo di questo settore, che vorrei ritenere non residuale, non marginale ma come decisivo per l’economia del terzo millennio. 15 16 “LE ISTANZE DELLE ORGANIZZAZIONI NON PROFIT AL SISTEMA CREDITIZIO” Claudio Machetti, Centro Servizi Volontariato Toscana La visuale che voglio adottare per il mio intervento è quella degli utilizzatori del credito e in particolare di quegli utilizzatori singolari che sono le associazioni e le cooperative. Prenderò la p rospettiva di tutte quelle istanze che hanno come obiettivo non la creazione di un profitto ma l’integrazione delle proprie finalità con la sostenibilità economica. Evidente è che oggi il settore del non profit ha assunto e sta assumendo nell’economia mondiale, nell’economia dei paesi più sviluppati e conseguentemente nell’economia italiana, un ruolo sempre più rilevante anche da un punto di vista quantitativo. Solo pochi anni fa era difficile sentire parlare di terzo settore in termini così concreti. Da qualche anno le università (soprattutto quelle private) hanno iniziato ad osservare con attenzione il settore no profit ed attualmente a livello internazionale e italiano, se pure con approcci diversi, si pensa a quest’ultimo come ad un buon ricettacolo per l’occupazione, talvolta caricandolo forse di eccessive aspettative. É evidente che un settore così importante della società e dell’economia non può essere escluso o escludersi dal sistema del credito. Ha bisogno, anzi, sempre più frequentemente, di rapportarsi al sistema creditizio. Questo avviene per vari motivi. Abbiamo provato ad individuare i casi ricorrenti in cui un’associazione, una cooperativa sociale o un’associazione di volontariato ha bisogno di rivolgersi al sistema del credito. La motivazione principale è il consolidamento della propria attività. In questa logica spesso si decide l’acquisto della sede o il luogo in cui svolge la propria attività sociale. Altra ragione è la manutenzione straordinaria di immobili di proprietà. A volte questi ultimi hanno la necessità di interventi straord i n a r i , obbligatori per legge, o di adeguamento alle normative. Talvolta gli immobili sono ereditati dalle associazioni. In questi casi i dirigenti pro temporae sentono una responsabilità particolare nei confronti della storia o dell’oggetto in questione. Parlerò più avanti delle garanzie richieste per il credito che spesso coinvolgono i dirigenti delle associazioni. Ci sono poi dei progetti che necessitano di consistenti anticipi di liquidità come la realizzazione di progetti con l’unione europea. Oggi moltissime associazioni lavorano per progetti finanziati dall’unione europea che richiedono fideiussioni o garanzie. Infine esistono associazioni che, più semplicemente, hanno nello svolgimento della loro attività un rapporto stagionale fra le entrate e le uscite le quali non corrispondono effettivamente al livello progettuale (per esempio chi lavora e si finanzia solo con il tesseramento). In questa situazione il sistema creditizio tradizionale non è preparato a ricevere tali clienti che, per di più, non hanno associazioni di categoria in grado di difenderli o di indirizzarli e consigliarli rispetto allo strumento più idoneo da utilizzare per ottenere un credito. Quale tipo di accoglienza ricevono dagli istituti bancari le associazioni e il terzo settore in generale? Visto che le procedure sono complesse o non adeguate e preparate per un settore e tipologia di lavoro anomala rispetto a quella che tradizionalmente si rivolge al sistema bancario, testimoniano grosse difficoltà già alla semplice apertura di un conto corrente. Quali sono attualmente i problemi più aperti che ci troviamo di fronte e che oggi vorremmo in qualche modo provare ad analizzare? 17 18 I problemi maggiori sono i tassi di interesse e le garanzie bancarie. Questi sono i due punti fondamentali che non riguardano esclusivamente le associazioni di volontariato per la cooperazione sociale ma anche le imprese e altri soggetti. Per questo segmento della nostra società, probabilmente, alcune risposte però possono essere diverse. Vediamo ora più da vicino la questione dei tassi di interesse. Con le ultime vicende sull’abbassamento del tasso di sconto il problema può apparire meno significativo ma non è esatto. Il settore del credito tradizionale, al momento in cui un soggetto anomalo vi si rivolge per proporre un prestito o l’affidamento di una certa quantità di denaro, si trova davanti ad un tipo di valutazione classica, che prescinde evidentemente da una valutazione etica. Non a caso sono nati altri strumenti di giudizio. Prescindendo dall’elemento etico, sia del cliente, che del progetto, appare frequentemente che il soggetto ha minore credibilità economica. Gli istituti di credito, perciò, si trovavano ad applicare dei “tassi di rischio”. Il rapporto fra terzo settore e le banche fino ad ora è stato tale da non rendere applicabile il tasso di interesse riservato ai clienti migliori. Non sempre è stato ed è così, però abbiamo notizie di rapporti che si sono sviluppati con questa logica. Oggi la questione appare meno importante ma è in corso la ridiscussione dei mutui contratti negli anni passati a tassi altissimi. Evidentemente, però, anche in questa fase le organizzazioni del terzo settore si trovano maggiormente in difficoltà, in termini di credibilità e forza, per rivedere i tassi di inter e s s e . Comunque l’ostacolo vero, di cui possiamo discutere in queste giornate di lavoro, è rappresentato dal sistema delle garanzie. Le associazioni, per la loro stessa natura, fre- quentemente non sono soggetti bancabili, difficilmente, cioè, possono esprimere garanzie reali d i rettamente come tali. Si creano allora delle dinamiche molto particolari in cui il volontario dirigente è costretto, oltre a svolgere tutte le attività proprie relative alla scelta del volontario, a dover garantire con il proprio reddito se non con la propria abitazione, il prestito chiesto al sistema bancario. Questa è la situazione che ci troviamo davanti come terzo settore. Cosa chiedono quindi le associazioni del settore non profit oggi al mondo bancario tradizionale come a quello della finanza etica? Innanzi tutto un rapporto fra le associazioni ed il credito. Non si può limitare o delegare totalmente alle fondazioni bancarie il rapporto con le associazioni. C’è però un meccanismo che in qualche modo oltrepassa il rapporto con le fondazioni bancarie o comunque non lo esaurisce e richiede, quindi, un rapporto diretto con le banche vere e proprie. In questa logica noi chiediamo, prima di tutto, che il mondo del credito si adegui per rispondere ad esigenze specifiche, creando prodotti ad hoc, con modalità specifiche non solo nell’ambito della “raccolta”. Crediamo che, per esempio, l’esperienza di fondi etici voluti da alcuni istituti di credito sia stata parziale, dato che non ha riportato un’eguale ricaduta nel settore degli impieghi nei confronti del terzo settor e . L’impressione è che sia stata più un’operazione di marketing che di sostegno al terzo settore. Una attenzione particolare deve andare al sistema creditizio che nasce proprio per rispondere a esigenze di questo tipo. La cosi’ detta finanza etica è nata a sostegno di queste realtà considerate non bancabili. In questo settore riponiamo molte speranze. Stiamo, infatti, attendendo, con l’inizio dell’attività della Banca Etica, una diffusione più capilla- 19 20 re sul territorio. Ascolteremo in seguito le esperienze che arrivano dall’estero dove si opera più concretamente. Comunque non sempre le banche etiche nel mondo hanno dato risposte soddisfacenti al problema delle garanzie e dei tassi. É probabile che da sole non siano in grado di farlo. Certo è che le aspettative riposte nei confronti di Banca Etica e di altri strumenti della finanza etica sono molto elevate. Siamo altresì molto interessati alle pro p o s t e nuove che arrivano dai soggetti del credito tradizionale. Nel momento in cui tutta la nostra società sta ripensando il meccanismo del welfare stiamo lavorando sulle nuove normative ad un sistema così detto “welfare mix”. Un sistema in cui le istituzioni programmano e realizzano la loro attività insieme al terzo settore. É evidente che, soprattutto in questo sistema e su questo meccanismo di rapporti fra vari livelli e strutture delle società, le istituzioni non possono rimanere a guardare. Non possono neanche considerare il meccanismo del “welfare mix” come una delega ad altri soggetti, senza che, contemporaneamente, vengano attivati nuovi strumenti che consentano a questi di sopravvivere nella società e quindi addirittura nel mercato. É necessario che le istituzioni insieme al terzo settore comincino, perciò, a trovare soluzioni soprattutto nel settore delle garanzie. C’è una proposta che noi ci sentiamo di lanciare in questo convegno: quella di pensare alla costituzione di fondi di garanzie che funzionino come intermediari fra il mondo del credito e il settore del non profit. Mentre le istitu zioni chiedono al terzo settore di svolgere un ruolo attivo, concreto nel nuovo meccanismo di stato sociale, le associazioni chiedono per contro un aiuto, non solo in termini economici ma anche in termini strumentali. Possiamo pensare a strutture, come quelle utilizzate per altri segmenti, dei consorzi fidi e immaginare che fun- zionerebbero oltre il settore della cooperazione sociale. Poiché questo è il titolo del mio intervento, chiederei al sistema creditizio e alle istituzioni di essere in qualche modo strumenti di supporto e non solo erogatori di denaro. E ancora: i Centri di Servizio del Volontariato sono una grandissima novità nel panorama italiano. I Centri di Servizio possano superare, da soli o coinvolgendo le istituzioni locali, il meccanismo dei servizi tradizionali (consulenza, formazione, informazione ecc.) e pensare a servizi di partecipazione (ad esempio consorzi fidi), cioè strumenti di garanzia nei confronti del sistema bancario. Credo che questo debba essere uno degli elementi da valutare in questi giorni di lavoro. Mi auguro che le istanze che il mondo del terzo settore ritiene di sottoporre all’attenzione del sistema bancario tradizionale e nuovo della finanza etica e anche delle istituzioni possa, alla fine di questo convegno, tradursi in proposte pratiche e concrete; anche per verificare una fase di sperimentazione utilizzando la disponibilità del centro Servizi che in qualche modo riesce ad esserne protagonista. Grazie alla scelta di avere in Toscana un centro unico, il CESVOT è candidato preferenziale ad una sperimentazione in questo campo. Siamo disponibili se tro v i a m o partners che abbiano la volontà di fare lo stesso percorso. 21 22 “LE DIFFICOLTÀ E LE PROPOSTE DEL SISTEMA CREDITIZIO” Stefano Bellaveglia Consiglio di Amministrazione del Monte dei Paschi di Siena s.p.a. Premessa Nelle società avanzate, la crescita economica e il progresso non eliminano ma anzi di frequente estendono a nuove fasce di popolazione le disparità di trattamento, tanto nel godimento dei diritti fondamentali quanto nell’accesso alle opportunità proprie di un’economia di mercato. La domanda di intervento sociale che ne deriva viene soddisfatta - in gran parte - dal ruolo svolto d la famiglia e dallo Stato. Tuttavia, per le trasformazioni che oggi investono queste istituzioni, il loro intervento - per quanto importante e insostituibile - necessita di sempre maggiori integrazioni. Da qui nasce la possibilità che le organizzazioni che operano nel privato sociale svolgano un ruolo sempre più rilevante nel contenere le disparità sociali e nel trovare modalità di intervento adeguate nel recuperare, o quanto meno nel ridurre, le penalizzanti differenze di trattamento che si possono manifestare tra la popolazione. Per svolgere al meglio il ruolo - sempre più importante - che anche un’autonornia di mercato gli riconosce, il privato sociale - come ha autorevolmente sostenuto il Direttore Generale della Banca d’Italia - deve però caratterizzarsi per trasparenti assetti di controllo, essere capace di raccogliere risorse e di indirizzarle verso finalità sociali; deve essere efficiente per corrispondere al meglio all’esigenza di solidarietà sociale e, infine, deve essere soggetto autonomo di servizio, generatore di nuove competenze, di capa- cità imprenditoriali e non mero intermediario di risorse pubbliche1. É un tale contesto - credo - che si debba porre il problema del finanzianiento del privato sociale e del compito che, in tal senso, può svolgere il sistema creditizio. Dedicherò il mio intervento, in gran parte, alle specifiche iniziative avviate dagli intermediari finanziari, non senza aver brevemente accennato alle caratteristiche assunte dal terzo settore in Italia e al compito (rilevante) che spetta alle fondazioni di origine bancaria. Il terzo settore L’importanza del settore non profit si manifesta non solo sul piano etico - culturale - come fenomeno la cui diffusione evidenze la cre s c i t a umana e civile della società italiana - ma anche su quello economico. In particolare, ernerge lo spessore sempre più vasto e articolato del volontariato sociale e della cooperazione sociale. Il primo raduna persone che impiegano parte del loro tempo, delle proprie competenze e risorse per aiutare individui o gruppi i stato di necessità. L’importanza del loro ruolo è stata confermata dal Parlamento stesso che, con la legge n. 266 del ‘91, ha disciplinato e promosso il volontariato e le sue organizzazioni. La cooperazione sociale è costituita da cooperative che gestiscono servizi sociosanitari ed educativi, svolgono attività finalizzate in favore di portatori di handicap, tossico dipendenti, fornendo anche servizi domiciliari ed è stata disciplinata dalla legge n. 381 sempre del 1991. 23 24 Gli enti non profit sono in grado di rispondere con efficacia ai bisogni specifici di particolari segmenti sociali o di settori, caratterizzati anche da notevoli differenziazioni nella domanda. di gestire in proprio una o più attività socialmente utili oppure di caratterizzarsi, in tutto o in parte, come erogatori di sostegno finanziario ad attività di terzi ritenute meritevoli. É funzionale, del resto, a rale attività il capillare radicamento sul territorio e la capacità dimostrata nel selezionare gli interventi necessari al soddisfacimento dei bisogni non standardizzati. In quest’ultimo caso - è evidente - si tratta di sviluppare adeguate capacità di selezione delle iniziative proposte, nonché‚ di verifica della destinazione dei fondi erogati e dei risultati conseguiti. La crescita della solidarietà, del volontariato e dell’intero terzo settore fortemente e ampiamente auspicata per ampliare le aree di protezione sociale e per instaurare una proficua relazione di complementarità tra gli interventi di utilità sociale di carattere privato e quelli di natura pubbllica, delimitati dalle inefficienze che affliggono i servizi pubblici e dalle stesse esigenze di riequilibrio dei conti dello Stato. La lettura dei bilanci delle fondazioni mostra che l’importo complessivo delle erogazioni effettuate a fini istituzionali - e quindi in favore della ricerca scientifica, dell’istruzione, dell’arte, della conservazione e valorizzazione dei beni culturali e ambientali, della sanità e delle categorie sociali deboli - nell’esercizio 1995/96 è aumentato di oltre il 37% rispetto al precedente, passando da 385 a 528 rniliardi2. Le fondazioni di origine bancaria Con la legge Amato-Carli, all’inizio di questo decennio, fu dato avvio - come è noto - alla riforma delle banche pubbliche, scorporando le originarie finalità sociali di assistenza e beneficenza proprie degli Istituti di credito di diritto e delle Casse di Risparmio, dall’attività bancaria vera e propria. Un importo questo in linea con le contribuzioni al terzo settore delle grandi fondazioni bancarie europee e che potrà crescere significativamente con il miglioramento della redditività bancaria e con una ulteriore diversificazione dell’attivo delle fondazioni. Le prime funzioni furono affidate le fondazioni, le altre a società per azioni. L’intervento degli intermediari finanziari. Il finanziamento del settore non pro profit può avvenire attraverso quanto canali e cioè: trasferimenti dello Stato, donazioni dei privati, autofinanziamento e capitale di debito. Le fondazioni di origine bancaria, per i patrimoni di cui dispongono ed essendo esse stesse operatori non profit, possono attivamente contribuire allo sviluppo del terzo settore, individuando le aree di intervento e alimentando la crescita di iniziative di utilità sociale. In Italia, l’ammontare delle donazioni dei privati non è elevato - anche per la mancanza di un trattamento fiscale di favore - mentre quello dei contributi pubblici non può non risentire dei vincoli posti alla crescita della spesa pubblica. Nel perseguire tali finalità, la legge consente loro In tale quadro, si inseriscono le iniziative avviate 25 26 dal sistema bancario in favore del settore non p ro f i t, con la diffusione presso la clientela di strumenti di raccolta finalizzati. Si tratta dei fondi comuni mobiliari, conti correnti e certificati di deposito cosiddetti etici. Tali prodotti - che hanno al momento una limitata diffusione - prevedono in genere che i sottoscrittori di quote di fondi comuni o i depositanti devolvano parte della remunerazione loro spettante o dei canoni periodici dovuti a favore di enti non pro f i t eventualmente anche indicati dallo stesso investitore nell’ambito di una lista predisposta dall’intermediario finanziario. In tal modo le soluzioni proposte assumono o i caratteri della donazione vera e propria o quelli del finanziamento a condizione di favore, quando alla mera devoluzione degli utili o dei guadagni realizzati si accompagna, o si sostituisce, il vincolo per l’intermediario ad investire le somme ricevute in iniziative conformi a determinati canoni etici o dirette al perseguimento di particolari e predefiniti obiettivi sociali. Immagine e reputazione che la vendita dei prodotti etici intende rafforzare soprattutto presso quei segmenti di clientela più sensibili alle esigenze del settore non pro f i t e che, di norma, compensano - almeno in parte - i costi organizzativi, ma anche di opportunità che l’intermedio ostiene nella produzione e nel collocamento di tali prodotti. Caratteristiche dell’offerta Di intermediari che operano attivamente e proficuamente nella finanza etica esistono significative e interessanti realtà soprattutto all’estero, mi riferisco in particolare alla Grameen Bank del Bangladesh, che svolge attività creditizia a f a v o re degli agricoltori delle aree rurali più povere di quel paese. Ma esistono esperienze interessanti anche in Germania (la Okobank), in Olanda (la Trdios Bank), in Svizzera (la Banca Alternativa Svizzera) e di altri intermediari la cui attività consiste nel favorire lo sviluppo delle piccole imprese in paesi del terzo mondo, ovvero in aree depresse dei paesi più industrializzati. Negli Stati Uniti d’America grande interesse ha suscitato la Ilinois Neighborhood Development Corporation creata da azionisti non profit e attiva nel finanziamento delle aree periferiche più degradate delle grandi città, soprattutto Chicago. Il caso di quest’ultima banca è significativo, in quanto essa è riuscita a coniugare il rispetto dei requisiti di vigilanza e quindi di prudenza nell’erogazione del credito con una pluralità di servizi di assistenza e di promozione. In Italia, l’offerta della così detta finanza etica si sta realizzando attraverso i fondi comuni e i conti etici proposti dalle banche commerciali e attraverso la costituzione della prima vera e propria Banca Etica3. I fondi e i conti etici ad oggi attivati - e su cui poi mi soffermerò - possono essere suddivisi in due grandi categorie: nella prima rientrano le iniziative che consentono di devolvere al terzo settore parte degli interessi ottenuti o dei costi dovuti e, nella seconda le iniziative che consentono di indirizzare direttamente a prestabilite finalità sociali i capitali raccolti. Siamo in presenza, pertanto, nel primo caso di un contributo vero e proprio e, nel secondo di 27 28 un’erogazione di capitali di credito da utilizzare e rimborsare con l’attività svolta. Per scendere nei dettagli, nella prima categoria si collocano le iniziative avviate dalla Banca Popolare Commercio e Industria, dalla Banca P o p o l a re di Milano, dal Gruppo A k ros, dalla Banca Popolare di Bergamo, dall’Ambroveneto e dal Gruppo Ras. La Banca Popolare Commercio e Industria offre, dal 1994, ai risparmiatori la possibilità di aprire un conto corrente in cui tutte o parte delle eompetenze di fine anno possono essere devolute ad una organizzazione umanitaria predefinita. Una iniziativa analoga è stata avviata - nel ‘95 pure dalla Banca Popolare di Milano, che ha previsto anche particolari gevolazioni alle associazioni del terzo settore che appoggiano alla banca le loro transazioni finanziarie, tra cui la possibilità di usufruire di spazi espositivi e di indire riunioni e assemblee in locali messi a disposizione dalla banca stessa. Conti correnti in cui il titolare può decidere di devolvere parte degli interessi maturati o delle stesse somme depositate vengono offerti dalla Banca Popolare di Bergamo (c.d. conto progresso) e dall’Ambroveneto (c.d. progetto girotondo). Quest’ultimo offre anche un conto corrente con canone fisso (18 mila lire) parte del quale viene devoluto a talune associazioni per conto della banca e del cliente. Diversa è l’offerta delle Casse Rurali trentine che emettono dei certificati di deposito etici - a r endimento dimezzata rispetto ai tassi di mercato - con cui vengono finanziate a tasso agevolato le imprese sociali. Con riguardo ai fondi comuni etici, quello proposto dal Gruppo Akros (Azimut solidarietà) consente di devolvere i guadagni eccedenti una determinata soglia a organizzazioni umanitarie. Akros, da parte sua, contribuisce all’iniziativa di solidarietà versando a tali organizzazioni parte delle commissioni che le spettano. Anche l’iniziativa avviata dal Gruppo Ras presenta caratteristiche analoghe. Fondicri propone un fondo - Fondo Mondiale Roma Caput Mondi - in cui una parte dell’investimento del sottoscrittore viene destinato alla salvaguardia e al recupero del patrimonio artistico e culturale di Roma. Vi è poi un gruppo di fondi etici - Gestnord ambiente (Gestnord fondi), Green equity fund (Euromobiliare), San Paolo Hambros salute e ambiente (Sanpaolo Fondi) - aventi caratteristiche simili e cioè: il sottoscrittore ver i capitali nel fondo che seleziona le società in cui investire in base a criteri di rispetto ambientale (trattasi di società operanti nei settori dello smaltimento dei rifiuti industriali, del controllo dell’inquinamento dell’acqua e dell’aria, dell’energia pulita o nella produzione di prodotti per la cura della persona e dell’ambiente). Infine, un cenno al cosiddetto sistema etico p roposto da Sanpaolo Fondi: trattasi di tre fondi comuni (uno azionario, uno obbligazionario e uno bilanciato) che si propongono di investire le risorse raccolte in base a principi etici (ad es.: non investono in aziende indifferenti alla tutela dell’arnbiente o che sfruttano il l a v o ro minorile, né in titoli di Stati che non rispettano i diritti umani). 29 30 Circa il progetto di Banca Popolare Etica a cui, negli ultimi anni, hanno contribuito più di 12 mila persone, la Banca d’Italia - come è noto - ha recentemente dato l’autorizzazione necessaria all’avvio operativo della banca che inizierà l’attività nei primi mesi dell’anno in corso avvalendosi, nel giro di un paio di anni, di 13 sportelli e di una rete di promotori finanziari, nonché - da subito - di un accordo con la Federcasse che renderà posibile distribuire i prodotti della banca anche attraverso 2.700 sportelli delle banche di credito cooperativo. Accordi analoghi - finalizzati anch’essi ad accrescere le possibilità di collocamento dei prodotti (in tagli da 1 a 10 milioni e di durata semestrale) e obbligazioni (in taglio minimo da 20 milioni e durata di oltre i tre anni). La Banca popolare Etica offrirà anche in conto corrente, dotato di carta di credito e bancomat, ma senza l’utilizzo degli assegni. Gli investitori potranno indicare in quale settore o iniziativa investire i loro fondi e si vedranno riconosciuti rendimenti inferiori a quelli di mercato, onde finanziare a tasso agevolato i progetti del settore non profit. Le iniziative della Banca MPS Iniziative nel campo della finanza etica sono in corso anche nella Banca Monte dei Paschi di Siena, dove recentemente è stato approvato un progetto delle competenti funzioni che propone il lancio di certificati di deposito e di conti correnti a ciò finalizzati. Tali prodotti prevederanno la devoluzione di una parte del rendimento (i certificati di deposito) o del canone fisso mensile (il conto corrente) a finalità sociali meritevoli, selezionate anche con l’ausilio del cliente investitore. Le difficoltà delle esperienze in atto Il successo nella finanza etica dipende certamente da molti fattori. Un problema che si pone quando le banche che ovviamente in quanto imprese hanno come obiettivo il profitto - propongono alla loro clientela soluzioni finanziare vincolate, o nell’utilizzo dei contributi versati o nella destinazione delle risorse raccolte, è quello di predisporre presidi organizzativi e contabili che rendano trasparente all’investitore l’attività svolta in favore del terzo settore. Inoltre, con la sua attività di finanziamento l’intermediario deve r e a l i z z a re vantaggi e ffettici nei confronti del beneficiario, non senza tuttavia allentare più di tanto i criteri tecnici di selezione, né trascurare il rispetto del principio generale di economicità della gestione e la stessa specializzazione nei conf ronti del terzo settore deve risultare pur sempre compatibile con la normativa e i principi dell’ordinamento creditizio. O c c o r re, dunque, individuare meccanismi volti a limitare i rischi di credito: meccanismi che consentano di coniugare da un lato le esigenze di stabilità dell’intermediario erogante il finanziamento e dall’altro i bisogni e gli obiettivi individuati di assistenza e supporto finanziario al terzo settore. Tutto ciò - è evidente - assume particolare importanza soprattutto quando si voglia costituire una banca con lo scopo di finanziare il non profit raccogliendo depositi presso il pubblico ma anche quando - come si è detto si intenda fornire finanziamenti al terzo settore. 31 32 Del resto l’esperienza estera comprende anche casi di fallimento di vari progetti o di iniziative non compiutamente decollate. Minori difficoltà si incontrano - ovviamente quando l’intermediario si limita a raccogliere e indirizzare fondi verso gli enti non profit giudicati meritevoli, soprattutto se la scelta dei benefciari viene lasciata al cliente. Il successo delle iniziative della banche è anche legato alla presenza di personale particolarmente motivato, come pure di una clientela sensibile alle esigenze dei beneficiari e disposta in qualche modo a sostenerle e finanziarle nel ternpo. Nei paesi dove le istituzioni non profit hanno assunto uno spessore rilevante, esse competono, in molti casi, con quelle commerciali anche sul mercato delle risorse finanziarie, ottenendo fondi dagli intermediari sulla base della solvibilità e della reputazione acquisite nel tempo4. Quando l’intermediario eroga all’irnpresa non p ro f i t un finanziamento, problematiche del tutto particolari possono sorgere allorché l’impresa non è in grado di rimborsare il prestito ricevuto in quanto se per il suo recupero l’intermediario procede esecutivamente può correre il rischio di assumere, nei confronti della comunità, un p ò la veste di chi antepone i propri interessi a quelli umanitari e sociali perseguiti dal beneficiario. É per questo che il finanziamento al terzo settore, con capitale di debito, può probabilmente essere meglio fornito da intermediari specializzati nel comparto e cioè nella cosiddetta intermediazione etica. Come abbiamo visto, il mercato finanziario etico in Italia ha appena cominciato a muovere i suoi primi passi e, proprio per questo, merita di maggiori incentivi, soprattutto di natura fiscale. Lo stesso Legislatore e il Governo ne sono consapevoli. Nell’ambito della riforma Visco, infatti, il decreto legislativo n. 460 del 4 dicembre 1997 sugli enti non commerciali e le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) ha previsto, all’art. 29, anche la possibilità di accordare appositi incentivi fiscali, per re n d e re più agevole l’offerta sul mercato di titoli cosiddetti di solidarietà. Tale norma resta tuttavia al momento sulla carta per la mancanza dei decreti di attuazione previsti5. Non c’è da augurarsi - in conclusione - che, anche sul piano fiscale, la finanzaa etica possa godere in futuro di adeguati incentivi, estesi non solo ai titoli do solidarietà ma anche a quegli strumenti - come i fondi comuni di investimento etici - ai quali le agevolazioni previste dal citato decreto legislativo non potranno applicarsi. Gli incentivi di cui oggi i fondi comuni etici possono godere appaiono infatti limitati e insufficienti, con il rischio di non poter utilizzare appieno in Italia - come al contrario avviene in Inghiliterra e negli Stati Uniti - le indubbie potenzialità di crescita di tali strumenti. Note 1 C f r. V. Desario, Il finanziamento del privato sociale, in Bollettino Economico della Banca d’Italia n. 28/97 pag. 77 2Cfr. Acri, Terzo rapporto sulle fondazioni bancarie, aprile 1998, pag, 86 33 34 3Cfr. A. Caloia, Ruolo e caratteristiche del risparmio etico in Italia, in Il risparmio n. 6/1995, pag. 1141 e seg. E. Marchesini, Allo sportello o dal gestore investimenti a fin di bene, in Il Sole 24 Ore del 3 gennaio 1999, pag. 17 4Cfr, V. Desario, Solidarietà ed etica della finanza: rapporto tra sistema finanziario e Terzo Settore, in Documento della Banca d’Italia n. 558/97, pag. 26 5Cfr, E. Narduzzi e L. Bobba, Finanza etica al palo senza incentivi fiscali, ne Il Sole 24 Ore del I agosto 1998. “IL FONDO DI DOTAZIONE PER LA COOPERAZIONE SOCIALE” Leonello Castaldelli, Fidi Toscana Grazie al presidente, alla segreteria organizzativa e alle vostre associazioni per l’invito a partecipare ai vostri lavori. Due parole per chi non conoscesse Fidi Toscana. Fidi Toscana è la finanziaria della Regione e delle banche prevalentemente Toscane con significative presenze di banche non toscane operanti a livello nazionale. La finalità che il legislatore regionale nel 1975 affidò a questa società era quella di rilasciare le garanzie sussidiarie per a g e v o l a re l’accesso al credito delle piccole e medie imprese. Come noto in Toscana le piccole e medie imprese sono una realtà portante, diffusa sul territorio, che oggi tendono ad espandersi anche al di fuori delle tradizionali attività produttive. Mi riferisco al terziario e in questo ambito anche al settore no profit. O l t re a questa attività, a partire dal 1993, la Regione ha pro g ressivamente affidato a Fidi Toscana la gestione di provvedimenti che agevolano l’accesso al credito alle piccole e medie imprese. Si tratta di un meccanismo prevalentemente basato su un contributo di conti interessi che la Fidi Toscana eroga in favore delle imprese richiedenti quando queste imprese debbono realizzare programmi di investimento. L’intento del legislatore Regionale e del Consiglio di amministrazione della nostra società è stato quello di cercare di abbattere, nei limiti del possibile, le soglie di accesso a questi provvedimenti, dal punto di vista bancario e delle procedure. Due parole sulla nostra attività. Nel campo delle garanzie siamo oggi a circ a 1650 miliardi di crediti garantiti, erogati dal sistema bancario, mediamente garantiti al 50%. L’aspetto delle garanzie interessa anche le coo- 35 36 perative sociali in quanto rappresenta un presidio del rischio richiesto dalle banche per la concessione di finanziamenti che può essere risolto ricorrendo appunto alla Fidi Toscana. In materia di elargizioni gestite da Fidi Toscana con fondi regionali si può valutare in circa 1400 miliardi l’entità degli investimenti realizzati negli ultimi anni da 4570 imprese. Complessivamente sono stati erogati dalle banche finanziamenti per 900 miliardi a fronte del miliardo e 400 milioni di investimenti. L’entità dei contributi in conto interessi e in conto capitale erogati ammonta a circa 80 miliardi di lire. L’incremento di occupazione nelle imprese che hanno fatto ricorso a questi strumenti è di circa 7200 unità, non poche per una regione come la nostra, di cui ben 2186 a valere sulla legge 27/93, la legge che incentiva la costituzione di nuove imprese da parte dei giovani imprenditori. Questo è uno strumento al quale anche le vostre associazioni possono fare ricorso, al di la di quello che è lo strumento specifico che il legislatore regionale ha studiato per voi. Qual è il meccanismo? Voi partite con un’iniziativa (es. vi serve un pulmino, o un ufficio, o un computer, vi servono delle scrivanie delle sedie dei telefoni) vi serve cioè quello che tecnicamente noi chiamiamo il capitale fisso di un’impresa, ammettiamo per l’importo di 100 milioni, di cui l’imprenditore collettivo (società cooperativa) dispone solo in parte. Per la differenza deve fare ricorso al credito bancario. Qui inizia un percorso che non sempre si risolve in maniera totalmente positiva perché subentra, obbiettivamente, un problema di analisi del rischio da parte della banca in relazione alla solvibilità del soggetto che ricorre al finanziamento, ed alla sua capacità di produrre reddito futuro in misura tale da poter garantire il servizio del debito in linea capitale e per interessi. Occorre inoltre tro- vare un presidio al rischio perché un’impresa non si può finanziare sulla parola o esclusivamente su un piano basato sulle aspettative in assenza di una storia pregressa e quindi della possibilità di verificare gli andamenti e la redditività. Quindi c’è un problema che riguard a , primo: le condizioni di accesso al credito sotto il profilo del costo per l’impresa, secondo: sotto il profilo del presidio del rischio, cioè delle garanzie che chi finanzia deve acquisire, terzo della redditività e quindi della verifica sulla compatibilità complessiva di un finanziamento. Fidi Toscana cerca di dare un contributo alla soluzione di queste problematiche attraverso un duplice intervento. Da una parte costituendo un fondo, con le risorse finanziarie della Regione destino all’erogazione di contributi in conto interessi alle imprese che richiedono finanziamenti bancari per pagarsi il capitale fisso, dall’altra con il rilascio di garanzie. Noi abbiamo stipulato convenzioni con quasi tutte le banche operanti in regione: il gruppo bancario Monte dei Paschi, la Banca Toscana, Cariprato, il Mediocredito Toscano, con il sistema delle Casse di Risparmio, con la Banca Nazionale del Lavoro, con le Banche di Credito Cooperativo. Siamo quindi capillarmente presenti sul territorio attraverso gli sportelli bancari che conoscono questa procedura, hanno la nostra modulistica e quindi sono in grado di d a re informazioni e di istru i re le pratiche di finanziamento. Per le cooperative sociali il finanziamento agevolato “INSIEME” può essere richiesto il finanziamento fino al 75% delle spese di investimento, con un massimo di 300 milioni, al tasso di riferimento, attualmente pari al 5,40%. Su questo tasso c’è un contributo in conti interessi, del 4%. Le condizioni di costo per le cooperative sono quindi estremamente favorevoli. La 37 38 durata massima dei finanziamenti è di 10 anni. Quali sono le procedure? Sono assai semplici. La società o cooperativa sociale interessata inoltra la domanda di agevolazione alla Fidi Toscana. La Fidi toscana eroga il contributo a realizzazione avvenuta dell’investimento. Le domande pervenute a Fidi Toscana, purché e n t ro la fine del mese precedente il trimestre solare, entrano nelle graduatorie trimestrali in base alla data di completamento della documentazione. Viene effettuato il calcolo del contributo a realizzazione dell’investimento. Il meccanismo è semplice basta seguire le istruzioni. Il provvedimento “INSIEME” è partito dall’aprile ’98. In questo primo periodo di attività abbiamo ammesso al contributo 24 domande per 4.287.000.000 di investimenti cui corrispondono 3miliardi 178 milioni di finanziamenti agevolativi e contributi per circa 490.000.000 di lire. Le risorse finanziarie libere sono di circa 500 milioni a disposizione delle nuove domande. Un osservazione conclusiva. Con la legge 87/- il legislatore regionale si è fatto carico di un settore di attività che rientra nell’ambito del no profit. Oggi stiamo assistendo a modificazione progressiva delle esigenze sociali. Si ha bisogno di maggiore assistenza, c’è una sensibilità diversa verso tutti coloro che non sono pienamente in possesso delle facoltà psicofisiche ecc. e quindi nascono una serie di realtà sul territorio che intendono p o r t a re contributi alla società. Tutto questo è nello spirito di questo provvedimento che noi ci auguriamo possa essere adeguatamente rifinanziato in relazione alla domanda potenziale di questo settore. “STRUMENTI DEL CREDITO PER I SOGGETTI NON-PROFIT Fondo di dotazione per la cooperazione sociale” Giorgio Kutufà Presidente Fidi Toscana S.p.A. Desidero innanzitutto ringraziare gli organizzatori di questo convegno per l’invito di partecipazione rivolto alla nostra società. Permettetemi pertanto - di spendere due parole sull’attività di Fidi Toscana per inquadrare l’argomento. Fidi Toscana è nata nel 1975 per iniziativa della Regione Toscana e delle principali banche operanti nella regione con l’obiettivo di agevolare l’accesso al credito alle piccole e medie imprese che presentano prospettive di crescita ma non sono dotate di adeguate garanzie. Con queste finalità Fidi Toscana rilascia garanzie s u s s i d i a r i e alle minori imprese fin dalla sua costituzione ed opera in stretta collaborazione con il sistema bancario. Oltre al rilascio di garanzie Fidi Toscana gestisce le agevolazioni finanziarie, pre v a l e n t e m e n t e sotto forma di concessione di contributi in conto i n t e ressi, che le sono affidate dalla Regione Toscana. É presente nel campo della finanza d’impresa con attività dedicate alla consulenza tecnicofinanziaria volta al reperimento di appropriate fonti di finanziamento degli investimenti e dei programmi di sviluppo delle minori imprese. Nel campo dell’innovazione finanziaria F i d i Toscana opera con strumenti specifici. Può assumere partecipazioni di minoranza nel capitale delle imprese industriali e del terziario, nelle imprese agricole, dell’acquacoltura, della pesca e della caccia. Fidi Toscana, con le sue attività, vuole rappresentare uno strumento al servizio delle imprese in grado di fornire risposte adeguate al fabbisogno finanziario correlato alle esigenze di sviluppo. 39 40 Sotto questo profilo sono interessanti i risultati raggiunti nell’attività di rilascio di garanzie sussidiarie. I crediti garantiti dalla nostra società alla data odierna ammontano a 1.625 miliardi di l i re, in termini di consistenza complessiva, a 8,865 piccole e medie imprese della Regione. Significativi appaiono anche i risultati raggiunti nella concessione delle agevolazioni finanziarie, a partire dalla legge sull’imprenditoria giovanile (L.R. 27/93) agli ultimi provvedimenti varati dalla Regione Toscana, fra cui il fondo destinato alla concessione di contributi in conto interessi alle cooperative sociali, oggetto, appunto dell’odierno convegno. Nell’insieme gli investimenti realizzati con il contributo regionale assommano a 1. 334 miliardi di lire per 4.577 imprese. I finanziamenti agevolati erogati ammontano a L. 885 miliardi ment re i contributi ammessi sono stati di L. 76 m i l i a rdi. L’ i n c remento dell’occupazione per effetto degli investimenti agevolati ammessi è stato di 7.200 unità, di cui 2.186 a valere sulla legge per l’imprenditoria giovanile, la 27/93. Nel calcolo degli investimenti realizzati non sono stati considerati quelli a valere sulla provvista finanziaria agevolata - che rappresenta una diversa modalità di incentivazione degli investimenti - a valere sui provvedimenti regionali per il turismo, noti con ALFA e BETA e per le imprese manifatturiere (IRIDE). Il contributo in conto interessi La maggior parte delle agevolazioni creditizie gestite da Fidi Toscana con risorse finanziarie messe a disposizione dalla Regione Toscana è basata sulla concessione di un contributo in conto interessi sui finanziamenti concessi dalle banche per la realizzazione degli investimenti e dei programmi di sviluppo previsti dalle normative regionali di riferimento. I vantaggi per l’impresa beneficiaria sono i seguenti: a) la banca applica al finanziamento un tasso di interesse inferiore al tasso di mercato, che corrisponde al tasso di riferimento per le operazioni oltre i 18 mesi. Il tasso di riferimento è stabilito ogni mese dal Ministro del Tesoro ed è pubblicato dalla stampa quotidiana, attualmente è pari al 5,40%; b) un’ulteriore diminuzione del costo del finanziamento per l’impresa è dato dal contributo in conto interessi. Tale contributo viene di norma erogato all’impresa beneficiaria in forma attualizzata. Si trasforma, cioè, in valore attuale la quota parte del tasso di interesse prevista dall’agevolazione. Il contributo attualizzato è erogato all’impresa in un’unica soluzione al completamento dell’investimento. La misura dell’agevolazione varia in relazione al tipo di impresa, al tipo di investimento, all’ubicazione geografica ed alla struttura dei tassi di interesse vigente al momento della concessione dell’agevolazione. Fidi Toscana pubblica apposite schede informative distribuite alle banche convenzionate ed alle organizzazioni delle categorie economiche, che illustrano le caratteristiche dei singoli provvedimenti agevolativi. Se mi si consente un’ulteriore osservazione di carattere generale vorrei dire che in un sistema di imprese come quello della nostra re g i o n e , caratterizzato da un eccessivo indebitamento bancario a breve termine, le agevolazioni creditizie, in quanto leva di finanziamenti a protratta scadenza, rappresentano un importante fattore riequilibrativo delle fonti di finanziamento del capitale investito e costituiscono pertanto una risposta assai significativa alle esigenze del sistema delle imprese. Oggi siamo nell’ambito di una particolare tipolo- 41 42 gia di impresa, che rientra nel cosiddetto settore del non -profit. In una società complessa come l’attuale in cui le esigenze dei servizi crescono a vista d’occhio, l’importanza delle attività non profit è destinata necessariamente ad aumentare. Operare, sotto forma di impresa, all’insegna del non-profit non significa abdicare ai principi di efficacia e di efficienza. Al contrario, è convinzione ormai consolidata che il conseguimento ed il mantenimento nel tempo dell’equilibrio economico è patrimonio comune tanto delle imprese che degli enti o società non-profit. La differenza è nel fatto che l’ente o la società senza fine di lucro non persegue il profitto come fine esclusivo ma rimane comunque vincolato, per evidenti ragioni di sopravvivenza, al conseguimento dei pro p r i obiettivi all’insegna dell’ economicità della gestione. In questo spirito rientrano gli articoli 15 e 18 della legge regionale n. 87 del 24.11.1997 e la successiva deliberazione del Consiglio Regionale n. 386 del 2.12.1997, la cui finalità è appunto quella di agevolare l’accesso al credito alle cooperative sociali iscritte all’Albo regionale che realizzano investimenti. É significativo che il legislatore regionale abbia inteso predisporre un fondo di incentivazione agli investimenti per le cooperative sociali presso la Finanziaria di sviluppo regionale anche con ciò volendo rimarcare il ruolo che questo settore può dare alla crescita economica e sociale della Toscana. In sintesi le caratteristiche del provvedimento sono le seguenti: Beneficiari Sono beneficiarie le cooperative sociali iscritte all’Albo regionale ex art. 3 della L.R. 24 novembre 1997, n. 87 “Disciplina dei rapporti tra le coo- perative sociali e gli enti pubblici che operano nell’ambito regionale” nella sezione Ao B o C. Investimenti ammissibili 1. Le spese di investimento ammissibili comprendono, al netto di imposte, tasse, oneri previdenziali e notarili: a) l’acquisto di terreni o del diritto di superficie; b) l’acquisto, la costruzione, la ristrutturazione di fabbricati; c) l’acquisto di impianti, macchinari, automezzi ed attrezzature; d) l’acquisto di brevetti, licenze, marchi, software e spese per la certificazione di qualità; e) marketing operativo e strategico; f) spese per l’adeguamento alle normative vigenti in materia di sicurezza; g) scorte nella misura massima del 20% dell’investimento totale. 2. L’importo massimo dell’investimento è pari a L. 300 ml. L’importo massimo del finanziamento o del leasing agevolato non può essere superiore al 75% dell’investimento ammissibile. 3. Le spese di investimento ammissibili devono essere ancora da sostenere o devono essere iniziate non prima di dodici mesi dalla data di presentazione della domanda di contributo a Fidi Toscana. 4. Il finanziamento o l’operazione di leasing, non devono essere stati erogati o perfezionati al momento della presentazione della domanda di contributo a Fidi Toscana. 5. Ciascuna cooperativa sociale può presentare a Fidi Toscana più domande di contributo purché‚ a fronte di spese di importo complessivo non superiore a L. 300 milioni.É da notare come il l e g i s l a t o re regionale abbia inteso, fra i beni ammissibili, ricomprendere anche le scorte sia pure con un massimale, con questo innovando, a favore del settore, le norme sulle incentivazioni 43 44 che di solito escludono tali beni da quelli su cui conteggiare i contributi. Agevolazioni finanziarie Ai finanziamenti o alle operazioni di leasing agevolabili si applica un contributo in conto interessi o in conto canoni pari a 4 punti percentuali. Il contributo è attualizzato ed erogato in una unica soluzione. Priorità Sono prioritarie le domande delle cooperative sociali finalizzate: a) alla costruzione, acquisto o ristrutturazione di beni immobili di proprietà delle cooperative o ad esse concessi in uso gratuito o affitto purché di durata almeno pari all’ammortamento del finanziamento. Tali beni immobili devono essere destinati alla creazione e sviluppo di Centri diurni, residenziali o estivi per servizi sociosanitari o educativi o per attività collaterali all’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati (art. 1 L. 381/91); b) ai progetti di intervento compresi nel piano zonale di assistenza sociale ex L. R. 3 ottobre 1997, n. 72 “Organizzazione e promozione di un sistema di diritti di cittadinanza e di pari opportunità: riordino dei servizi socio-assistenziali e socio-sanitari integrati”; c) agli interventi che assicurino l’inserimento lavorativo di giovani fino a 35 anni di età in cerca di prima occupazione o l’occupazione di lavoratori in mobilità; d) agli interventi in zone di comuni montani. Le priorità di cui sopra non sono cumulabili e comportano una anticipazione convenzionale di 60 giorni della data di completamento della documentazione. Tasso di interesse Non superiore al tasso di riferimento per le imprese industriali, attualmente pari al 5,40%. Durata Fino a 10 anni per le seguenti spese: acquisto di terreni o del diritto di superficie; acquisto, costruzione, ristrutturazione di fabbricati; acquisto di impianti. Fino a 5 anni per le altre spese ammissibili. Procedura Fidi Toscana S.p.A. istruisce la domanda di contributo dopo il completamento della documentazione da parte della cooperativa sociale. L a documentazione deve essere completata, pena la decadenza, entro 90 giorni dalla prima richiesta di completamento. Fidi Toscana S.p.A. concede ogni tre mesi i contributi alle cooperative sociali che siano in possesso dei necessari requisiti e che abbiano completato la documentazione almeno 30 giorni prima della fine del trimestre, secondo una graduatoria costituita in base all’ordine cronologico della data di completamento della documentazione, tenendo conto delle priorità. Fidi Toscana S.p.A. trasmette comunicazione dell’avvenuta concessione dei contributi al beneficiario interessato e alla banca o alla società di leasing finanziatrice. La banca o la società di leasing finanziatrice comunica a Fidi Toscana S.p.A. le proprie decisioni in merito, entro tre mesi dal ricevimento della comunicazione di Fidi Toscana S.p.A. Fidi Toscana S.p.A. eroga i contributi in conto interessi o in conto canoni attualizzati in un’unica soluzione, in concomitanza con la prima scadenza utile prevista dal piano di ammortamento del finanziamento o del leasing. Il tasso di attua- 45 46 lizzazione è pari al tasso ufficiale di sconto in vigore alla data della graduatoria di concessione dei contributi. Erogazione L’ e rogazione dei contributi attualizzati è subordinata: a) alla realizzazione dell’investimento da parte della cooperativa sociale e all’erogazione a saldo del finanziamento o al perfezionamento dell’operazione di leasing, nonché‚ all’acquisizione di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dalla cooperativa sociale ai sensi degli arti. 4 e 20 della Legge 4.1.1968, n. 15, attestante che l’investimento è stato effettuato ed è conforme al pro g e t t o ammesso ai contributi. Non alterano la conformità al progetto di investimento ammesso ai contributi eventuali modifiche che, fatte comunque salve le finalità dell’investimento, non spostino in misura superiore al 20% l’importo globale e la proporzione tra le diverse tipologie di spesa (immobili; impianti, macchinari, arredi, attrezzature, altre spese). In ogni caso i contributi sono erogati in relazione all’importo dell’investimento effettivamente realizzato dalla cooperativa sociale e comunque non oltre l’importo del progetto di investimento ammesso ai contributi; b) all’acquisizione, ove prevista, della certificazione ai sensi del D. Lgs. n. 490/94 (antimafia). Il diritto al contributo decade ove la cooperativa sociale non completa l’investimento entro 18 mesi dalla data della graduatoria di concessione dei contributi medesimi e non ottenga, e n t ro tale data l’erogazione, anche parziale, del finanziamento o il perfezionamento dell’operazione di leasing. Compensi Fidi Toscana S.p.A. percepisce dai richiedenti, al momento dell’ammissione al contributo, un compenso di L. 600.000 (oltre IVA) per ogni domanda presentata. Garanzie sussidiarie Fidi Toscana S.p.A. può rilasciare garanzie sussidiarie sulle operazioni di finanziamento p reviste dalla L.R. 87/97 nell’ambito delle disposizioni di legge e statutarie che ne disciplinano l’attività. Per dare operatività al provvedimento testé illustrato - da noi denominato “INSIEME” - è stato a suo tempo costituito un apposito fondo per la concessione di contributi in conto interessi dell’importo di L. 1.000 milioni. Alla data odierna, dopo circa sette mesi di attività, sono pervenute a Fidi Toscana 30 domande di agevolazione per circa 5 miliardi di investimenti. Le domande erogate e deliberate assommano a n. 24 per un totale di 4.287 milioni di investimenti a cui corrispondono 3.178 milioni di finanziamenti agevolabili per 482,9 milioni di contributi in conto interessi. Rimangono disponibili per ulteriori interventi 493 milioni di risorse finanziarie non impegnate. Riteniamo tali risultati abbastanza significativi tenuto conto del periodo limitato di operatività del provvedimento che dimostrano comunque un’attenzione ed una risposta all’iniziativa del tutto confortante. D e s i d e ro inoltre ringraziare le banche che hanno aderito all’iniziativa mediante le convenzioni stipulate con la nostra società, e cioè il sistema delle Casse di Risparmio, il Gruppo bancario Monte dei Paschi, le Banche di Credito Cooperativo e le altre banche aderenti. Ricordo infine la possibilità per le cooperative 47 48 sociali di poter far ricorso alla garanzia sussidiaria della nostra società per agevolare l’accesso ai finanziamenti necessari per la realizzazione degli investimenti previsti dal provvedimento “INSIEME”. IL CREDITO AI SOGGETTI “NON BANCABILI” NEL NORD E NEL SUD DEL MONDO INTRODUZIONE Francesco Terreri Direttore di “Altreconomia” Volevo introdurre gli interventi che verranno facendo fondamentalmente due osservazioni che mi pare siano sorte dalle relazioni fin qui sentite. Abbiamo parlato di economia sociale, di terzo settore e anche con alcune accezioni di economia solidale. Come vedremo in seguito, i destinatari di questa azione di tipo economico e finanziario sono molti e diversificati. C’è un terzo settore o rganizzato e c’è un terzo settore informale, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Ma non solo. Abbiamo sentito parlare di potenziali ma anche di effettivi fruitori e quando parleremo di micro credito, di destinatari che non sono altro che persone o gruppi in condizioni particolarmente difficili e svantaggiate. Questi possono avere una prospettiva diversa se gli si fa credito in senso ampio, cioè in senso tecnico finanziario come della fiducia nelle capacità, nell’intelligenza oltre che nell’imprenditorialità. Tutto questo però significa, credo, come questione generale che quando parliamo di terzo settore, di economia sociale e della sua relazione con il credito e con il settore finanziario, non stiamo parlando solamente di come si possa sostenere finanziariamente un cliente impossibile per le banche. Il no profit non deve, cioè, correre il rischio di fare da tappa buchi del sistema finanziario perché il terzo settore dell’economia sociale, l’attivazione di soggetti cosiddetti non bancabili ecc., offrono oggi dei beni ulteriori a tutta la società, i così detti beni relazionali. Piu’ in generale offre dei beni pubblici a disposizione di tutti. A questo 51 52 punto il problema per il sistema finanziario non è solo cosa si debba fare per quei soggetti fino ad ora rimasti tagliati fuori dal credito ma capire anche come questo si riverbera sulla stessa attività finanziaria. Quale attività finanziaria dobbiamo concepire perché la società abbia ha disposizione ulteriori beni pubblici o relazionali, opportunità ulteriori di migliorare la vita di tutti. Questa è una domanda generale che credo il sistema finanziario si debba porre. dibattito Adele Incerpi della Regione Toscana Volevo innanzitutto ringraziare l’assessore Siliani che mi ha permesso di assistere a questo interessantissima introduzione della Banca Etica. Per la prima volta in Italia si sta per creare uno strumento che non direi alternativo ma al quanto integrativo al sistema tradizionale del credito. Intanto mi presento. Sono una dirigente dello sviluppo economico della regione Toscana che segue lo sviluppo delle piccole e medie imprese giovanili e femminili. A p roposito delle pari opportunità mi auspicherei l’8 marzo che è il giorno della donna come apertura di uno sportello. Mi sembrerebbe opportuno, visto che non sono solo un dirigente dello sviluppo economico ma faccio parte anche del comitato pari opportunità, introdurre il problema dei finanziamenti ai tradizionali soggetti deboli. Noi abbiamo in Toscana e in Italia una scolarizzazione femminile a livello universitario che è a favore del mondo femminile, il 52.8%, mentre il GAP occupazionale rispetto al mondo maschile è ad un livello del 9.6. Siamo ancora purtroppo considerati soggetti deboli perché poi queste somme sono quantitative. Ovviamente se analizziamo il parametro qualità o meglio il livello qualitativo il quadro è ancora peggiore. Vorrà dire che non siamo in grado e che questi nuovi incentivi effettivamente ci dovrebbero dare nuove possibilità. Mi sembra quindi fondamentale riuscire a dare finanziamenti, prestiti d’onore, prestiti di restituzione garantita come in Francia, dove le donne si sono organizzate con i famosi gruppi Totomsem in cui 5 o 6 donne che credono nell’impresa di una di loro fanno fideiussione e garantiscono per quel progetto. Queste sono forme di auto gestione che considero bellissime e in cui i soggetti non sono tanto deboli di idee. Sono queste le cose che vanno sostenute. Noi vorremmo però lavorare sul credito, sui nuovi strumenti di credito per soggetti femminili e giovanili in base alle leggi esistenti, sia la legge statale 215, sia il nuovo PRS della regione Toscana con il progetto di iniziativa regionale. Se con la Banca Etica nel frattempo creeremo qualche progetto insieme e se riusciamo a creare un monitoraggio potremmo dimostrare effettivamente che non è nata un’altra banca ma un etica della banca. . Io chiedo due cose: prima un incontro per valutare in che modo la Banca Etica e noi possiamo fare un programma sperimentale di sostegno al superamento delle difficoltà dei soggetti femminili che presentano progetti non re a l i z z a b i l i . Quanto meno dobbiamo impegnarci a superare l’esiguità del numero dei progetti finanziati e quindi dare la possibilità di un credito reale di sostegno alle idee. Un ottimo esempio in questo senso è stato il nostro Giannini della Banca d’America e d’Italia che, nel 1930 a San Francisco, creò questa iniziativa: parlava con i nostri emigranti, li valutava, riusciva a sapere se le idee funzionavano e se avevano un progetto sostenibile dava fiducia ed ero g a v a denaro. Il rischio era del 2%, praticamente irrisorio. In compenso chi va a San Francisco conosce gli unici gruppi di emigrati considerati rispettabili negli Stati Uniti D’America pro- 53 54 prio perché un banchiere illuminato a quel tempo creò la base per convertire la nostra valigia di cartone in una promettente cassetta delle idee. Vorrei perciò fare una proposta pubblica e poi in un secondo tempo mi riserverò di parlare con voi in altra sede per definirla meglio. Visto che come Regione Toscana stiamo lavorando alla creazione dei progetti europei, avevo proposto sia a livello di sviluppo economico che agricolo, di cultura e su altri settori, la creazione di nuove piccole imprese. Parlo di micro imprese dove le donne hanno bisogno di auto stima, di crescere, di consolidarsi su una economia piccola. Noi ci misuriamo con la gestione della casa però siamo pronte a svilupparci anche più in la’, procedendo per piccoli passi. Credo anche che la piccola impresa consenta una sperimentazione di se e delle pro p r i e capacità che può essere utile. Quindi sto seguendo un progetto sperimentale nel nuovo piano di sviluppo che attiva il credito e lo collega al credito ministeriale sulla legge 215 per la creazione di nuove imprese femminili cioè sviluppo di imprenditoria femminile. All’interno di questo sviluppo, che noi vorremmo collegare con il DOCU come creazione di nuove piccole imprese femminile, desidereremo pr e s e n t a re dei progetti sperimentali. Dico noi perché siamo collegati in rete: tutte le provincie e tutte le commissioni di pari opportunità, tutte le commissioni dello sviluppo economico per la creazione di piccole e nuove i m p rese. Noi vorremmo pre s e n t a re questo progetto di investimento sullo sviluppo economico delle donne ma reinvestire nelle strutture di servizio. La Banca Etica cioè può proporre, come ha fatto la Cinelli per il Brunello di Montealcino, una linea di credito donna. Abbiamo già proposto alla Fidi Toscana un fondo di solidarietà donna e quindi, al momento in cui faremo la revisione della legge 11, cre e remo anche le direttive al consiglio regionale. L’accesso al credito è consentito a chi ha già delle garanzie ma nessuno finanzia le idee. Il vero problema, quando mi trovo 350 progetti di donne, alcuni bellissimi e veramente nuovi, è la mancanza di possibilità di realizzarli. Non è più un problema il tasso di interessi. Con l’1.4 siamo al di sotto del tasso di interesse di crescita per cui potremmo speculare ma le donne non credo che vogliano questo. Credo invece che siano più interessate a inves t i re nei servizi sociali perché garantiscono come mantenersi. A livello di imprese e di lavoro autonomo le donne non sono presenti, molto spesso perché la famigli è a loro carico. La così detta azione di cura nasce dalla carenza dei servizi sociali veri a portata di mano. La coordinazione di tutti questi interventi, se cresce la flessibilità dei tempi di lavoro, se crescono i servizi sociali organizzati in modo diverso, se cresce la nostra possibilità di dividere il lavoro di cura con gli uomini o le associazioni o con altri soggetti, renderanno possibile la nostra imprenditorialità. Questo penso di averlo capito. Possiamo dare sfogo a queste idee, riuscire a finanziarle e mandarle avanti solamente alla condizione che parallelamente crescano nuove forme di sostegno sociale. Francesco Sedda dell’associazione “Terre e Libertà” Noi abbiamo preparato un intervento molto critico verso il sistema creditizio attuale e in qualche modo cerca di dare un consiglio, il più benevolo possibile, ai dirigenti di Banca Etica. Firenze che è una bella città d’arte e di storia è un luogo ideale e ad alto valore simbolico in cui parlare di finanza essendo stata insieme a Siena, 55 56 fin dal medio evo, culla di forme ben organizzate dell’attività del credito. Come ben sapete la Monte dei Paschi di Siena è stata una delle prime banche se non la prima in assoluto del mondo. La famiglia dei Medici, che non era ben vista dalla maggioranza del popolo, durante il proprio governo ha costruito buona parte della Firenze rinascimentale e ha accumulato grandi fortune prestando denaro a vari regnanti ed eminenze del clero, spesso per finanziare guerre con i loro costosi eserciti mercenari. Dai Medici ad oggi la situazione della finanza si è assai sviluppata fino a diventare il motore economico principale, alimentando la produzione ed il consumo che determinano importanti effetti culturali e sociali. Si potrebbe dire, in un certo senso, che la società di domani è il risultato di ciò che decidiamo di finanziare oggi. Le logiche profonde che nel presente muovono la maggiore parte dei capitali monetari industriali stanno consentendo a gruppi ristretti di cittadini di produrre danni alla maggior parte di uomini e donne: peggiorando le condizioni di vita attraverso lo sfruttamento, causando gravi danni all’ambiente alterandolo. Soffermandoci all’Italia, ad esempio, il sistema bancario tradizionale è responsabile del distorto prima e assente oggi sviluppo economico. Le grandi risorse monetarie e patrimoniali che detiene, raccolte dai risparmi sul territorio, non vengono fatte circolare tra gli strati della popolazione meno abbiente al fine di migliorarne le condizioni di vita e quindi di elevare il grado di benessere della società. Le banche esistenti, al contrario, mettono a disposizione le ingenti risorse raccolte da tutta la popolazione a ceti benestanti e dominanti e agli stessi proprietari delle banche per ampliare la loro ricchezze e il loro potere e per poter speculare a livello internazionale, per arricchire coloro che investono nei così detti capitali di rischio, alimentando così sistemi parassitari a lungo termine illusori e rendite finanziarie. Un altra osservazione nasce dalle varie problematiche specifiche dei finanziamenti rispetto al terzo settore dell’economia sociale. Ci sono problemi che riguardano proprio in pratica i tassi di interesse. Oggi sembra che la cosa non sia più un grande ostacolo perché c’è una tendenza alla diminuzione dei tassi. L’integrazione europea consente un certo miglioramento anche se la situazione va comunque verificata. Se parliamo di imprese sociali o di produttori nei paesi in via di sviluppo, in questa fase siamo in una situazione per cui i prezzi delle materie prime agricole sono in caduta libera precipitosa e non è sufficiente l’attuale caduta dei tassi di interesse. Il responsabile della Fidi Toscana sosteneva che l’abbattimento del tasso di interesse di riferimento di 4 punti, in alcuni casi dà la possibilità alle cooperative sociali di ottenere un finanziamento a costo zero. Questo è vero ma ci sono attualmente situazioni, parlo di paesi in via di sviluppo, in cui si hanno, invece, pro d u t t o r i addirittura in condizioni di deflazione dei prezzi. Paesi in cui i prezzi stanno addirittura scendendo. In tali contesti non basta abbassare un poco i tassi di interesse. Ci sono poi altre questioni. Esistono opportunità di finanziamento agevolato per il capitale fisso delle imprese sociali, delle cooperative sociali. C’è il problema di come finanziare il capitale circolante che è un problema gravoso in alcuni casi. Pensiamo a quei progetti finanziati dal fondo sociale europeo che arriva al rendiconto o comunque in una fase successiva, lasciando comunque scoperta l’impresa sociale, la cooperativa per un certo periodo. Vi è inoltre il grosso problema delle garanzie. A fronte di tutto que- 57 58 sto la finanza etica off re qualcosa di diverso rispetto alla finanza tradizionale. Senza dubbio uno può andare a controllare i tassi inferiori, sicuramente un meccanismo di garanzie. Alla fine però l’impressione è che la vera differenza tra queste proposte nuove di finanza e la finanza tradizionale sia nel fatto che la finanza etica fa promozione di impresa sociale, l’accompagnamento dello sviluppo dell’impresa in generale e dell’impresa sociale in particolare. Questo mix fra fiducia, progettualità e gestione del rischio sembra davvero uno specifico, se non altro in Italia, della finanza etica. Questa è una sfida che si presenta a tutto il sistema bancario su cui ragionare insieme. Noi siamo soci di Banca Etica e da tempo seguiamo le sorti non solo di Banca Etica ma del movimento della finanza etica ché è molto più ampio. Certamente Banca Etica è all’avanguardia sia per la capacità di muovere su queste tematiche la popolazione e in termini economici di raccolta per il futuro. Negli ultimi anni, montando il credo liberista, si è inserita nella complessiva strategia della finanza tradizionale, il supporto economico decisivo al progetto di smantellamento dello stato sociale cioè quel complesso di strutture e organizzazioni pubbliche che eroga a tutti servizi fondamentali come l’istruzione, l’assistenza sanitaria e i trasporti. Per consentire che quest’obbiettivo si realizzi e in tempi brevi, per esempio, vengono finanziati, in maniera indiscriminata, una miriade di soggetti privati che, ponendosi sul mercato, offrono gli stessi servizi del pubblico a costi di lavoro più bassi, con deboli garanzie ai lavoratori. Esempio paradigmatico sono le molte cooperative sociali di servizi che poste in sfrenata competizione si aggiudicano temporaneamente l’appalto di vari servizi confrontandosi fra l o ro nelle tristemente famose gare a ribasso. Dunque si vuole creare una frammentazione nel mondo del lavoro costruendo una galassia di imprese private che sono in competizione sul costo e sulle condizioni di lavoro dei dipendenti provocando un netto peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori in termini di orario settimanale, di busta paga e ritmo di lavoro, la così detta produzione giornaliera, diritti sindacali, ecc.. L’augurio finale è che Banca Etica non partecipi all’impresa di travasare lavoro dal pubblico al privato anche se è detto sociale ma invece contribuisca a creare reali e nuove opportunità di lavoro in settori manifatturieri e di servizi con grandi potenzialità attualmente non espresse di artigianato nazionale, di commercio eco solidale, turismo culturale e difesa ambientale del territorio attivandosi fattivamente a ridurre il tasso di disoccupazione nazionale e a migliorare le condizioni di vita dei lavoratori e la qualità di quei beni e servizi offerti da quei progetti che saranno finanziati. Dunque non finanziare quelle realtà private presenti anche in parte nel terzo settore e nel mondo del volontariato che vorrebbero surrogarlo a buon mercato facendo pagare ai lavoratori il prezzo di generale arretramento delle loro condizioni di vita e agli utenti lo scadimento della qualità del servizio offerto. La Banca Etica non deve accettare tale strategia dissennata e certo non interessata al bene collettivo. Ci auspichiamo perciò che già dai primi progetti finanziati si noti la nuova rotta con le scelte di: 1°) distribuire risorse in forma di credito a valide condizioni generali di uomini e donne in difficoltà perché disoccupati, precari o lavoratori in nero italiani e del resto del mondo che, forniti di un valido progetto, possono migliorare l’aspetto 59 60 economico della loro vita riscattandosi dalla miseria in cui si trovano. 2°) lavorare in sinergia con il sistema pubblico che attraverso gli enti locali sta contribuendo a far nascere Banca Etica ( 130 comuni e 5 regioni compresa la regione Toscana che ha stanziato diverse quote). “QUALE E QUANTO CREDITO PER L’ECONOMIA SOCIALE?” Stefano Zamagni docente di Economia Università di Bologna Questa è per me un occasione preziosa di confronto e di riflessione su di un tema straordinariamente importante, eppure sottovalutato, sia nel dibattito culturale sia in quello genericamente politico del nostro paese. In Italia non è una novità far precedere i fatti alla riflessione. La finanza etica ne è un tipico esempio. Non così avviene in altri paesi dove, solitamente, la riflessione sistematica, condotta a più livelli, guida l’azione. Perciò esprimo la mia gratitudine per questa iniziativa. Adesso una parola di chiarimento sul termine, poc’anzi evocato, di economia civile. Da qualche anno ho introdotto nel dibattito culturale accademico italiano il concetto di economia civile. Quando si parla di economia sociale l’oggetto o il referente empirico è la cooperativa. Tra i vari tipi di produzione, a queste, nate con una precisa carta d’identità, opportunamente si applica l’espressione di economia sociale. Negli ultimi 15/20anni, però, notiamo, accanto alla forma antica della prima cooperativa, il fiorire di altre espressioni che non hanno la stessa forma dell’impresa originaria. Se prendiamo in considerazione un’associazione, una fondazione non bancaria o altre espressioni di volontariato, in effetti non potremo chiamarle cooperative. Questo perché tecnicamente e giuridicamente la cooperativa è una forma di impresa con statuto specifico che deve rispondere a determinati re q u i s i t i . Eppure si tratta di organizzazioni che possiedono le stesse finalità e operatività. È perciò un errore metodologico inserire tutta questa varietà di esperienze nell’espressione economia sociale. L’associazionismo ha certamente affinità con il 61 62 movimento cooperativo ma anche forti elementi di differenziazione. In secondo luogo non rendiamo giustizia alla pluralità di forme che una società civile avanzata deve essere in grado di esprimere. Così abbiamo bisogno di un termine che comprenda tutte queste varietà organizzative e questo termine è economia civile. L’economia civile, quindi, non è altro che l’insieme dell’economia sociale e di tutte queste altre espressioni della società civile organizzata. Non ha senso perciò parlare di economia sociale e civile in quanto l’economia civile compre n d e quella sociale. È d’obbligo, ora, chiarire la scelta del termine “economia civile”. In realtà tale espressione è tipica della tradizione italiana. Il vocabolo, diffuso e usato fin dall’inizio dell’ottocento, è poi stato dimenticato. La prima volta in cui il termine “economia civile” appare è il 1753. In quell’anno l’università di Napoli istituisce la prima cattedra universitaria di Economia civile al mondo. Antonio Genovesi ne è il professore e il suo libro fondamentale è appunto: “Lezioni di economia civile”. Questa letteratura non è stata tradotta nei paesi anglofoni mentre i francesi la conoscevano. Altre ragioni però ne hanno impedito la diffusione. È accaduto comunque che negli Stati Uniti d’America questo movimento abbia cominciato a diffondersi con il termine generico non profit. L’espressione terzo settore è invece francese. Io, rifacendomi alla nostra tradizione, parlo di economia civile. Il termine comprendeva, allora come oggi, realtà quali le cooperative, il non profit, le associazioni, le fondazioni e tutto ciò che di analogo verrà nel prossimo futuro. Per chiudere, una precisazione: nella letteratura di lingua francese l’espressione di economica civile viene resa con l’espressione di economia solidale. I libri di Latouche e di Laville parlano appunto di economia solidale. La definizione data da questi studiosi è analoga a quella di economia civile. L’economia civile comprende sia la cooperazione che l’economia sociale e il non profit. Il termine quindi è capace di intercettare tutte le varianti. L’argomento su cui vorrei richiamare ora l’attenzione è quello della finanza etica. La mia funzione di studioso è, come già accennavo, riflettere su ciò che avviene per comprendere quale sia la filosofia di fondo che muove la finanza etica. C’è bisogno di tr o v a re la ragione per cui in un società avanzata, in una economia globalizzata, le esperienze di finanza etica stanno crescendo. La spiegazione, che mi sono dato, è che i protagonisti di tali iniziative hanno capito che si può utilizzare il mercato come mezzo per realizzare politiche di distribuzione della ricchezza in senso egualitario. É una antica idea quella per il m e rcato, mentre riesce a generare risultati di efficienza, non è in grado di assicurare risultati di equità, ad assicurare cioè una equa distribuzione delle risorse. Ma qual è stata la conseguenza di questa concettualizzazione antica nella scienza economica? Quella di prevedere l’intervento dello stato per realizzare obiettivi di ridistribuzione. Lo stato interviene con il meccanismo della tassazione progressiva. L’idea diffusa sulla quale si sono formate intere generazioni di economisti è stata quella del modello dicotomia sociale: il mercato per raggiungere l’efficienza e l’intervento dello stato per raggiungere la giustizia, attraverso l’imposizione coercitiva del pagamento delle tasse. Lo stato sociale è il prodotto di questo pensiero. Nel Welfare State lo stato interviene, come in Italia, prelevando denaro dal nord e trasferendolo al sud. É successo però che questo modello di ridistribuzione coercitiva sia entrato in crisi. L’ingresso nell’epoca della globalizzazio- 63 64 ne rende l’azione di ridistribuzione dello stato non funzionale. La globalizzazione ha distrutto strumenti tradizionali del potere statale quali ad esempio il protezionismo, la politica del tasso di cambio o la politica finanziaria monetaria ecc.. Senza queste armi lo stato può fare ben poco, p e rché aumentare la tassazione, per un equa ripartizione della ricchezza, significa la fuga di capitali in paesi più propizi al regime di mercato. Perciò gli stati nazionali non possono più adottare questo tipo di politica. Coloro i quali si occupano di economia civile a livello pratico (e non teorico) hanno capito, così, che l’unico modo di realizzare la ridistribuzione è servirsi del mercato. Il mercato da potenziale generatore di diseguaglianze diventa un alleato, uno strumento per raggiungere maggiore giustizia. Questa è l’intuizione fondamentale che da valore e credibilità alle forme di cui stiamo parlando. Il compito di ridistribuire ricchezza, da sempre appannaggio dello stato, viene trasferito alla società civile la quale però per raggiungere pienamente l’obiettivo deve organizzarsi soprattutto sul piano finanziario. Senza risolvere il nodo finanziario la società civile organizzata non può decollare. Quando le organizzazioni prendevano soldi dallo stato o dalla pubblica amministrazione tutto era risolto. Le non profit erano una propagazione dello stato il quale distribuiva fondi tramite loro. Ma questo modello non poteva durare a lungo: i soldi dallo stato man mano si sono ridotti sempre più e il ruolo del ridistributore è umiliante. Quindi per realizzare l’obiettivo della maggiore equità, dando a tutti pari opportunità, bisogna che queste organizzazioni dell’economia civile si rendano autonome. Per far ciò debbono avere accesso al credito e imparare a gestirlo. Da questa considerazione è nato il problema del credito ai soggetti non profit, del credito all’economia civile. Il problema che è cultura- le e politico al tempo stesso rappresenta un punto di svolta. Se le cose stanno così quali sono le questioni urgenti da risolvere alla luce di questa premessa? Sono tre. Il 1° problema è quello che riguarda la questione, a mio giudizio più delicata, dell’istruttoria così detta etica. Nessuno sa come stabilire un ordinamento di meritorietà nell’ambito dei progetti dell’economia civile. Mentre nell’ambito dell’economia privata il metodo di valutazione, l’analisi costi e benefici, ha come suo fondamento la massimizzazione del profitto, nell’ambito dei progetti che provengono dai soggetti dell’economia civile non conosciamo i criteri per darne un giudizio complessivo. La distribuzione, in Italia, avveniva, finora, secondo i vecchi criteri partitocratici, ma è chiaro che questa prassi non può andare avanti. Non solo. Con il vecchio metodo si possono distribuire pochi soldi. Oggi però le fondazioni bancarie hanno troppi fondi che non sanno come utilizzare. La nuova legge Ciampi impone infatti che i soldi siano distribuiti seguendo criteri di istruttoria etica ma pochi sanno condurla. Gli economisti hanno prodotto pochissima letteratura in proposito e comunque, nel caso italiano, i finanziatori non sono ancora entrati in questo ordine di idee. Fino ad ora i soldi si elargivano in base alle simpatie, al colore politico o ideologico. Ve n e t e meno queste procedure non si ha alcun criterio. La prima azione da intraprendere allora, è compilare dei manuali sull’istruttoria etica. Ancora oggi, in effetti, non c’è un’identità di vedute. Ci sono posizioni teoriche diverse ed è difficile dire qual è migliore o peggiore. Bisogna comunque diffidare della superficialità come delle soluzioni certe. É un paradosso, però, che le fondazioni non assegnino i fondi perché incapaci di condurre le istruttorie. Lo stesso problema lo incontrerà 65 66 la Banca Etica. La Banca Etica sta riscuotendo un grande successo ma impiegare i fondi che raccoglie non sarà semplice. La Banca Etica è una banca che deve coprirsi dai rischi e deve quindi avere un’istruttoria. Prioritario è quindi sviluppare per l’economia civile un’analisi rigorosamente economica e finanziaria parallela a quella tradizionale. Il 2° nodo è stabilire dei criteri, che vanno sotto il nome di rating, per far funzionare il settore della finanza etica nelle sue varie articolazioni e formulazioni. Ma il rating non lo può fare un’agenzia esterna. Soprattutto non la possiamo far fare a soggetti for profit. Questa operazione è compito dei soggetti del mondo dell’economia civile prima fra tutti Banca Etica. Mi aspetto che la Banca Etica cominci a fare scuola circa il modo di arrivare ad elaborare l’istruttoria e di promuovere, lei stessa o con altri in consorzio, una agenzia chiamata a fissare il rating. Se ciò non avviene nelle espressioni stesse dell’economia civile, ovviamente, interverrà il mondo privato o lo stato. Queste ingerenze minerebbero l’autonomia, quindi la libertà di intenti e di azione dell’economia sociale. Il 3° nodo è quello che, in un certo senso, riguarda il problema della accountability. É un temine che possiamo tradurre con trasparenza e responsabilità. Significa che i soggetti dell’economia civile devono diventare trasparenti e responsabili. Anche questa è condizione necessaria all’ingresso nel mercato di cui ci vogliamo servire per piegarlo ad obiettivi di solidarietà. Il mercato è sicuramente un generatore di ineguaglianze ma può essere convertito agli scopi della società civile. Dipende da noi. La mia tesi è che la società civile può impedire al mercato di cre a re ulteriori ineguaglianze mantenendolo sotto controllo. Lo stato non è più in grado oggi, per la ragione di cui si è detto sopra. Non è una sfida da poco ma l’obiettivo è raggiungibile, ce lo confermano i risultati. Per questo è necessario insistere sulla trasparenza e sulla responsabilità. I detrattori chiederanno di rimanere fuori dal mercato ma rimanerne estromessi significa dover contare nello stato che non può garantire la nostra sopravvivenza. Significherebbe cioè cancellarci. Infine un’ultima osservazione. è necessario che il mondo dell’economia civile trovi modo di interagire con le amministrazioni locali, regioni, comunali, ecc.. Fondamentale è diventare soggetti in grado di proporre forme e modelli di gestione alternativi di varie categorie di servizi, da quelli dell’assistenza a quelli educativi, al commercio eco solidale ecc.. Non possiamo più continuare a svolgere semplicemente un’azione di critica. Dobbiamo proporre modelli di gestione così che le amministrazioni locali possano offrirci le loro risorse. Ciò significa inventarsi, sperimentando, modi di gestire i servizi sociali con metodi nuovi come quello del voucher e del contro voucher. Alcune esperienze stanno finalmente nascendo anche in Italia. Chiudo con questa considerazione. A Toqueville, nella sua opera, dichiara che fra tutte le leggi che reggono le società umane ve n’è una più chiara e precisa rispetto alle altre: perché gli uomini restino civili o lo divengano bisogna che l’arte di associarsi si sviluppi e si perfezioni nello stesso rapporto con cui si accresce il miglioramento delle condizioni di vita. La conclusione è che quanto più un paese procede sulla via dello sviluppo tanto più ha bisogno di fare economia civile. Ecco p e rché iniziative come quella di oggi sono importanti. 67 68 “NUOVI STRUMENTI DEL CREDITO: LA PROPOSTA DI BANCA ETICA” Fabio Salviato Presidente di Banca Etica Ringrazio gli organizzatori per avermi dato la possibilità di presentare a questo convegno di Firenze la proposta di Banca Etica. Colgo l’occasione di oggi per dare la notizia in anteprima dell’apertura ufficiale della Banca Etica con il primo sportello che avverrà l’8 marzo prossimo. È una data significativa perché si tratta dell’ottenimento di un risultato molto importante per l’autorizzazione, l’operatività, l’omologazione, l’iscrizione in camera di commercio. La prima Banca Etica alternativa in Italia rappresenta un importantissimo risultato, per tutto il mondo del terzo settore, dell’associazionismo, del volontariato e della cooperazione, e per tutti coloro che si riconoscono nell’economia civile. Per la prima volta infatti, tutto questo mondo, che non ha mai avuto rappresentanza significativa all’interno della collettività finanziaria, può finalmente sedere intorno al tavolo della comunità finanziaria. Forse non ce ne rendiamo conto, ma dal punto di vista del cambiamento politico e sociale questo è un fatto che non sarebbe potuto avvenire 5 o 10 anni fa, non è solo un forte segnale politico di riconoscimento, ma anche un risultato che riconosce la crescita del terzo settore in Italia. La finanza nell’era della globalizzazione L’attuale sistema economico, politico e sociale, presenta sempre di più situazioni di integrazione così strette e ramificate che, quando parliamo e discutiamo del nostro mondo, lo dobbiamo oramai necessariamente fare immaginandocelo come un villaggio globale, dove tutto ciò che si produce, si pensa, si pianifica, ha ripercussioni positive o negative su tutto il nostro pianeta. Frenare, anzi impedire o mettersi “contro” questa evoluzione “naturale” e inevitabile è considerato come compiere un atto di cecità, di incoscienza, di mettersi “fuori” dalla storia. L’accadere del mercato mondiale unico, integrato, autoregolatore è, si afferma, incluso nel corso della storia. Non si può evitare e non si potrebbe resistergli. Si capisce quindi perché le classi dirigenti dei nostri paesi hanno stimato, specialmente durante questi ultimi vent’anni, che il loro ruolo principale - in quanto poteri pubblici - era di facilitare i processi che portano verso la costituzione del mercato mondiale e di creare - ognuno nel proprio paese - le condizioni più favorevoli perché l’integrazione/adeguamento del merc a t o locale (nazione) nel mercato mondiale si faccia nel modo più efficace, nell’interesse prioritario degli agenti economici che operano nel mercato locale. L’attività che più rappresenta questa tendenza alla globalizzazione è indubbiamente quella finanziaria. Ingenti capitali si spostano da una parte all’altra del mondo, nello spazio di poche ore; il giro d’affari giornaliero del mercato totale del denaro era negli anni ’80 di 300 miliardi di dollari, oggi è di 1.500 miliardi di dollari. Si tratta di denaro caldo “Hot Money” cioè denaro molto mobile, alla ricerca di sbocchi speculativi a breve termine. La liberalizzazione dei capitali ha come conseguenza la delega, nelle mani di pochi finanzieri e banchieri, della politica finanziaria di tutto il nostro pianeta. I banchieri hanno come obiettivo principale la massimizzazione del profitto, mentre la finanza etica ha come obiettivo la massimizzazione dell’utilità sociale. Grazie alla liberalizzazione ed agli effetti della globalizzazione, stiamo però registrando preoccupanti segnali relativi allo sviluppo del nostro 69 70 pianeta. È sufficiente leggere le ultime ricerche pubblicate dal Worldwatch Institute, dalla Banca Mondiale, dall’Onu, per capire le conseguenze dello sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali e sempre più rilevanti problemi sociali, potrebbero nei prossimi decenni arrivare a mettere in discussione la stessa esistenza dell’uomo sulla terra, alcune cifre possono farci capire quanto sia critica la situazione. Negli ultimi 20 anni la popolazione mondiale ha fatto un balzo in avanti del 60% arrivando a 5,3 miliardi di persone, è previsto il raddoppio a 11 miliardi entro 40 anni. La diff e renza di reddito tra nazioni ricche e nazioni povere è passata da 30/1 nel 1960 a 60/1 del 1990. Purtroppo il differenziale è destinato ad aumentare e si calcola che nel 2020 il differenziale potrebbe attestarsi intorno a 120/1. Il 25% della popolazione mondiale pre s e n t e nelle nazioni industrializzate consuma il 70% delle risorse mondiali. Sulla terra ci sono 800 milioni di disoccupati e sottoccupati e quasi 200 milioni di persone che hanno una speranza di vita inferiore ai 60 anni. I bambini lavoratori nel mondo sono stimati in 250 milioni (per il 61% in Asia) uno su quattro lavora nove ore al giorno per sei giorni alla settimana. I tre uomini più ricchi del mondo possiedono beni che superano la somma del PIL dei 48 paesi meno sviluppati. Lo squilibrio non riguarda solamente il rapporto tra occidente e Terzo mondo, ma anche l’Europa. In Europa vivono 37 milioni di poveri e 5 milioni senza tetto, complessivamente nei paesi industrializzati, una popolazione compresa tra il 7% e il 17% di quella totale risulta povera. In Italia (fonte Eurostat) il 10% più ricco della popolazione, rastrella il 24% del reddito totale. Mentre al 10% della popolazione più povera, va invece una quota del 2,6%. Detto brutalmente, se la maggioranza della popolazione del Sud del mondo è costretta a v i v e re con meno di 1 dollaro al giorno, o si “inventa” altre forme di economia e di relazioni sociali o è destinata a scomparire. Quali prospettive future e quanti investimenti servirebbero per risolvere alcuni gravi problemi che affliggono il nostro pianeta? Nel 2050 gli assetati potre b b e ro diventare 2 miliardi Per raggiungere un migliore livello di vita nei paesi in via di sviluppo occorr e re b b e ro 40 m i l i a rdi di dollari all’anno. Meno del 4% di quanto possiedono le 225 persone più ricche del mondo. Servirebbero 6 miliardi di dollari $ americani per garantire a tutti l’istruzione di base (in USA se ne spendono 8 in cosmetici). Per acqua ed infrastrutture igieniche potrebbero b a s t a re 9 miliardi di usd (meno degli 11 che spendono gli europei in gelati). Per la salute servirebbero 13 miliardi di dollari $ americani (Europa e USA ne spendono 17 solo in cibo per animali). Tutto questo sta ad indicare che nel nostro villaggio globale, sempre più interdipendente e dove tutto si intreccia, magari in tempo reale, stiamo sostenendo costi, non solo umani, oramai non più assorbibili, costi che gravano sempre più sui bilanci e sulla vita sia delle persone che delle famiglie, delle comunità ed anche su quelle dei vari paesi. La novità, lo sviluppo dell’economia civile. Uno dei fenomeni più rilevanti nell’ultimo ventennio è l’affermazione sia delle varie espressioni del privato sociale sia dell’economia civile. Si tratta di quel vasto e variegato arcipelago di formazioni sociali a base volontaria, più o meno organizzate e professionalizzate, che svolgono 71 72 attività senza fini di lucro in una pluralità di campi: a quello sanitario, a quello culturale e a quello propriamente economico; una realtà certamente rivelatrice di un tentativo dal basso di ricostruire il legame sociale, la di là delle difficoltà che i singoli individui si trovano quotidianamente ad affrontare. L’oggetto sociale dell’economia civile risiede in un flusso di relazioni economiche finalizzato a produrre e riprodurre socialità, ovvero legame sociale, laddove l’esclusività del mercato lo allenta, lo spezza, lo disgrega e la debolezza dell’intervento sociale dello stato non è in grado di riaggregarlo in nuove coesioni. L’economia civile tende, dunque, a riconciliare economia e società. Essa costruisce rapporti sociali all’interno dei quali le relazioni tra gli uomini sono liberate dal dispotismo del valore di scambio e della sua massimizzazione. In quanto tale, restituisce voce e prospettiva al c i rcuito della solidarietà e della re c i p ro c i t à , delle relazioni cooperative e mutualistiche, dell’economia a componente prevalentemente non monetaria ( parallela fino alla fine del XIX secolo all’economia di mercato) che il dominio dello scambio mercantile, nel nostro secolo ha isterilito. La globalizzazione e il ruolo degli stati. Il processo della globalizzazione dei mercati in atto, ottiene come risultati la progressiva emarginazione del ruolo dello stato, che non riesce più ad imporre una politica propria di regolatore degli squilibri di reddito tra fasce deboli e ricche della popolazione, Lo stesso contro l l o della moneta è sfuggito, in modo significativo, ai poteri pubblici (i parlamenti soprattutto) a beneficio dei mercati finanziari. Questi ultimi non fanno che proclamare che lo spostamento dei poteri è normale e giusto, perché si ritiene che i mercati finanziari funzionino in modo più “razionale” degli Stati. In base a questa presunzione ( per altro non confermata dalla realtà), gli “operatori-gestionali” si credono autorizzati a imporre ciò che essi chiamano una “disciplina finanziaria” alle autorità politiche nazionali e, ben inteso, ai cittadini/consumatori. La trasformazione della moneta in mercanzia di scambio sui mercati finanziari mondiali è diventata una lunga serie di imperativi economici, come: l’inflazione zero; bilancia dei pagamenti equilibrata; equilibri amministrativi e quindi riduzione dei deficit pubblici; riduzione delle spese pubbliche, soprattutto delle spese sociali; riduzione della pressione fiscale sul capitale e incitamento fiscale in favore degli investimenti privati. Il 3 febbraio 1986 a Davos (Svizzera) in occasione del World Economic Forum l’allora presidente della Bundesbank affermava: “i dirigenti politici debbono sapere che sono ormai sottomessi al controllo dei mercati finanziari”. Globalizzazione e concentrazione di ricchezza Il processo di globalizzazione sta comportando una progressiva e continua concentrazione, a volte indiscriminata, di ricchezza di pochi a danno di molti, le prime tre persone più ricche del mondo hanno un reddito uguale al 1.000.000.000 di persone più povere del pianeta. Il ritorno massiccio della povertà rappresenta non solo la negazione dello stato moderno, ma essa si traduce nel fatto che l’economia attuale si pone come nemica della cittadinanza. Più di 60 milioni di poveri (su 300 milioni) negli USA, il paese più ricco e potente del mondo. Più di 52 milioni di poveri (su circa 300 milioni), nei paesi dell’Unione Europea, la più grande potenza commerciale del mondo. Solo in Gran B retagna sono stati registrati nel 1994, 13,9 milioni di poveri su circa 60 milioni di persone. 73 74 Qual’ è l’intuizione profetica partita con il commercio equo e solidale e la finanza etica? La possibilità di procedere ad una ridistribuzione interna delle risorse tra fasce povere ed emarginate e fasce ricche della popolazione, in che modo? attraverso un utilizzo altro, equo, diverso, degli strumenti che stanno alla base del processo di globalizzazione in corso, cioè la finanza etica ed il commercio etico (ecco perché sia il consumo critico che la finanza etica, potrebbero rappresentare interessanti risposte alla concentrazione di ricchezza nelle mani di pochi, ed al p ro g ressivo processo di disoccupazione che coinvolge centinaia di milioni di persone nel nostro pianeta). La ridistribuzione viene trasferita a livello di società civile che si pone sempre di più come soggetto, come attore protagonista, del cambiamento, partendo dal sostegno e dal soddisfacimento delle fasce povere ed emarginate della popolazione (in Italia sono considerate povere più di 7 milioni di persone). Nel mondo si costituiscono e si consolidano sempre di più re t i internazionali di solidarietà, singoli cittadini, decidono liberamente di costituirsi in associazioni, cooperative, enti, organizzazioni che partono dal desiderio di pro d u r re prodotti e servizi necessari al soddisfacimento delle necessità presenti nella società. Paradossalmente il sistema della globalizzazione produce prodotti che non possono essere acquistati da miliardi di persone, perché non dispongono delle risorse necessarie per acquistarli, e servizi, in particolare credito che non viene erogato a più di 2.000.000.000 di persone considerate, non bancabili. Si sta formando un nuovo mercato informale, che nel terzo mondo prende il nome della microimpresa, nei paesi occidentali del terzo settore o economia civile, un mercato in rapida e continua espansione, dove sempre di più circola- no merci, prodotti, servizi che rispondono ai bisogni delle persone che li richiedono. La vera questione per l’economia mondiale non è l’integrazione/adattamento delle economie locali nelle economie mondiali, ma il sapere quali principi, quali regole e quali istituzioni devono essere definiti e messi in pratica durante i prossimi venticinque anni al posto e luogo dei principi proposti dall’economia del merc a t o capitalista, perché gli 8 miliardi di persone possano essere dei soggetti cittadini, capaci di soddisfare i loro bisogni di base in acqua potabile, alloggio, alimentazione, energia, salute, educazione, informazione, trasporto, comunicazione, espressione artistica, partecipazione alla gestione della comunità. Detto altrimenti: su che base e per quali mezzi si deve e si può costruire la ricchezza comune mondiale? Lo sviluppo della ricchezza mondiale passa attraverso la re-invenzione di nuove forme di economia mutualistica, cooperativa, solidale. Il grande nodo per fare crescere e decollare queste interessanti proposte è la finanza, una finanza capace di dare credito all’emergere del nuovo, le organizzazioni non-proft devono rendersi sempre di più indipendenti e sostenibili, i soggetti dell’economia civile devono sempre di più imparare a saper gestire il credito, devono crescere. Per fare questo devono cre d e re nelle proprie forze e potenzialità, devono saper costruire nuovi strumenti di verifica e controllo (certificazione etica, società di rating, servizi dedicati, dobbiamo inventare soggetti in grado di proporre modelli di gestione originali, in tutti i campi di attività). Solo in questo modo il mondo dell’economia civile potrà crescere in maniera robusta e visibile, saprà proporre alla società civile alternative praticabili e potrà nel medio periodo piegare le regole del mercato, modificandole in senso etico e solidale. 75 76 In Italia stiamo assistendo ad una vertiginosa crescita di ciò che viene definito Terzo settore, più di 53.000 organizzazioni sono in collegamento con più di 6.000.0000 di persone disposte a donare o a mettere a disposizione del proprio tempo libero per gli altri, insomma disposte ad entrare nella spera della gratuità, della disponibilità, dello scambio relazionale, reciproco, dell’aiuto. Molti sono portati a farlo in seguito al fallimento dello stato (non in grado di garantire adeguata assistenza) e del mercato (che provoca sempre più poveri). Le organizzazioni che si pongono quale obbiettivo lo sviluppo della società civile, quale nuovo modello di sviluppo eco-sostenibile, dovranno riconsiderare attentamente il proprio atteggiamento, in quanto organizzazione, nei confronti della gestione del denaro. In Pratica io volontario o donatore sono disposto a continuare a fare la mia parte, solo se la mia organizzazione si comporterà in maniera trasparente e partecipativa e, nelle scelte di carattere economico priviligerà la massimizzazione dell’utilità sociale e non del profitto, e quindi finanza etica e non finanza tradizionale. L’esperienza di Banca Etica L’8 marzo del 1999 partirà ufficialmente la Banca Popolare Etica. La Banca Popolare Etica è un’iniziativa privata che coinvolge più di 13.000 soci (2.000 persone giuridiche e Comuni Provincie Regioni 11.000 persone fisiche, più di 200 comuni, 30 provincie, e 5 regioni Italiane) si pone quale interlocutrice con il mondo imprenditoriale e con il mondo finanziario attraverso il coinvolgimento delle varie parti sociali. La Banca Popolare Etica è una banca innovativa in quanto prevede le circoscrizioni territoriali, presenti in quasi ogni città d’Italia, il comitato Etico, la certificazione Etica, e la realizzazione del bilancio sociale da presentare all’assemblea dei soci. I settori di intervento di Banca Etica sono: Cooperazione sociale: le cooperative di solidarietà sociale che sono circa 3.000 in Italia, stanno vivendo un momento di esplosione incredibile. Si prospetta che nei prossimi tre anni passeranno a 8.000 o 10.000, comunque si stanno evolvendo e crescendo. Cooperazione internazionale: in Italia ci sono c i rca 200 organizzazioni non governative. All’interno di questo settore è inserito anche il commercio equo e solidale: in Italia ci sono circa 200 botteghe terzo mondo Difesa e tutela dell’ambiente. Sport, cultura, spettacolo. Diritto alla casa, all’occupazione, lotta all’usura, forme di sostegno a piccole attività di credito. Un altro settore che non avevamo previsto fin dall’inizio è il rapporto con gli enti pubblici. Recentemente anche la regione Toscana è diventata socia di Banca Etica. Numericamente gli enti pubblici sono consistenti: sono soci 130 Comuni, 5 Regioni e 30 Provincie, con questi soci si sta tessendo un rapporto molto interessante. In alcuni casi abbiamo la possibilità, in situazioni di tagli di bilancio, di incrementare il denaro attraverso la costituzione di fondi rotativi che vengono moltiplicati e gestiti da un intermediario come Banca Etica. In gran parte del mondo finanziario non si riesce a capire che il terzo settore è sostenibile dal punto di vista economico. Certo mancano risorse anche imprenditoriali, ma si stanno facendo degli sforzi notevoli. Il no profit non significa non per scopo di lucro, ma “not for profit”, cioè non per profitto. Quindi le capacità imprenditoriali e di governo di questo s e t t o re stanno aumentando sempre di più e 77 78 quindi il rapporto con l’ente pubblico è un rapporto interessante. Si parla di sostenere anche finanziariamente le oasi, i parchi naturali ma anche, in prospettiva futura, il collocamento di buoni ordinari o comunali e l’affiancamento nel collocamento dei buoni ordinari regionali. Si può immaginare come la chiusura di un cerchio, pensiamo alle grandi città spesso invivibili dove c’è devastazione ambientale, il privato sociale si sta organizzando e si costituisce in comitati ed organizzazioni. Si vuole la pista ciclabile, oppure la ricostruzione del teatro, ma il comune dice di non avere fondi sufficienti. Attraverso l’intervento di Banca Etica che cerca di capire le esigenze della gente, si può ottenere positivamente il collocamento di questi BOC (Buoni Ordinari Comunali) che sono certificati di Banca Etica finalizzati alla costruzione di queste opere pubbliche. Il cittadino lo capisce e partecipa. Quando entriamo in contatto con gli amministratori degli enti pubblici, dobbiamo lavorare insieme, questo è il futuro, le regole si fanno insieme, si stabiliscono insieme, si da credito e si da fiducia reciprocamente. L’ente pubblico sta per capire e molte regioni stanno lavorando. Si parla della gestione, attraverso Banca Etica, del prestito d’onore, la regione Emilia Romagna ce lo sta affidando. Allora questa Banca parte, e come funzionerà? Ci sarà uno sportello a Padova, ma l’obiettivo è quello di creare uffici in tutto il territorio nazionale. Entro il primo anno è prevista l’apertura a Brescia, Milano, Modena, Roma, dove cioè c’è una base sociale già organizzata e pronta per l’apertura di questi uffici. Dall’8 marzo noi offriremo obbligazioni Banca Etica finalizzate, per cui il risparmiatore può, acquistando le obbligazioni, scegliere la finalizzazione già al momento dell’acquisto, quindi il cliente indica alla Banca il settore nel quale investire i propri soldi. I settori sono quelli che vi ho detto pre c e d e n t e m e n t e . L’obbligazione verrà remunerata all’1,8%. È un tasso inferiore ma non di molto rispetto ai tassi di mercato delle obbligazioni che prossimamente saranno del 2,5%. Contemporaneamente verrà offerta l’obbligazione ad un taglio minimo, purt roppo piuttosto alto, di 20.000.000 di Lire in quanto Banca Etica ha un capitale sociale inferiore ai 50 miliardi, cifra che permette di emettere obbligazioni a tagli inferiori. Quindi quando avremo i 50 miliardi potremo emettere obbligazioni a tagli inferiori. I certificati di deposito, che avranno tagli inferiori, sono di 10.00 Euro, le obbligazioni con tagli da 1.000, 2.000, 3.000 e 5.000 Euro quindi da 1.900.000 a 6.000.000 o 7.000.000 di Lire. I certificati di deposito hanno scadenza breve, 6 mesi, 12 mesi, 18 mesi fino a 6o mesi e anche questi sono finalizzati. Il risparmiatore potrà aprire anche un conto di investimento e nell’arco dei primi due mesi di vita di Banca Etica potrà anche accendere un conto corrente normale e noi rilasceremo il bancomat e la carta di credito senza il libretto degli assegni. Anche a distanza tutto sommato il risparmiatore può effettuare operazioni bancarie fin dall’inizio. Ci avvarremo della distribuzione dei certificati di deposito e delle obbligazioni attraverso una convenzione che abbiamo stipulato con alcune banche che sono: la Banca Popolare di Milano e quella dell’Emilia. Sono state inoltre firmate convenzioni con le Casse Rurali, le Banche di Credito Cooperativo ed anche la Federazione Toscana delle BCC ha manifestato interesse. Una caratteristica fondamentale di Banca Etica è che già nello statuto è stato previsto il Comitato Etico, il quale verifica e controlla l’operatività della Banca. Un’altra caratteristica importante sono le circoscrizioni territoriali. Noi abbiamo cioè una settantina di uffici sparsi nel territorio 79 80 nazionale con dei comitati e tutti i soci vengono associati alla circoscrizione di riferimento dove c’è un rappresentante. Queste circoscrizioni rappresentano da un certo punto di vista il movimento e seguono l’aspetto culturale, formativo e informativo della Banca e più in generale della finanza etica. Altra caratteristica importante è l’istruttoria etica o sociale che abbiamo messo a punto. L’istruttoria sostanzialmente è un questionario che si basa su dieci valori fondamentali che il richiedente deve dimostrare di saper rispettare e che sono: la partecipazione democratica il volontariato la solidarietà i legali territoriali il rispetto dell’ambiente la qualità sociale prodotta il rispetto delle condizioni di lavoro la cooperazione e l’associazionismo la trasparenza le pari opportunità. Naturalmente annualmente attraverso la realizzazione del bilancio sociale verrà reso conto del monitoraggio e di tutti i finanziamenti erogati attraverso il bilancio sociale. In prospettiva abbiamo anche l’obiettivo di sviluppare questa iniziativa con prodotti di banca assicurazione. Quindi stiamo già lavorando con delle assicurazioni partner per proporre anche prodotti di banca assicurazione e anche la costituzione di una società gestione fondi di investimento specializzati in un settore specifico come la cooperazione sociale che potrebbe essere ad es. casa ecologica. Vo r rei fare altre considerazioni sul rischio di questa impresa, a molti sembra un rischio molto alto quello del non profit. Due anni fa la Banca Mondiale, un interlocutore la di fuori delle parti, ha fatto una ricerca sulle banche etiche alternative, sono risultate circa 1.000 banche etiche alternative a livello mondiale ottenendo dei risultati significativi. L’insolvenza è risultata al di sotto o intorno al 3%, cioè molto bassa. Recentemente noi abbiamo fatto per Banca d’Italia una ricerca prendendo in considerazione il finanziamento di CTM-MAG, che è una delle principali finanziarie in Italia che stanno operando nel terzo settore. Dei circa 60 miliardi di impieghi fatti durante i 10 anni di attività sono state individuate circa 23 partite anomale, 21 si sono risolte nell’arco dei 3 – 6 mesi. Ma la cosa interessante è che 21 interlocutori hanno avvisato immediatamente la finanziaria della situazione di difficoltà. Nel sistema normale succede esattamente il contrario. Addirittura 60 miliardi hanno insolvenza 0, che è un risultato del tutto eccezionale. Quindi quando sento osservazioni sul rischio, io rispondo che c’è da fare chiarezza su di una mentalità veramente superata, soprattutto in Italia. Concludo facendo un appello a tutti. Con grande fatica e determinazione siamo riusciti a conseguire questo importante risultato che è Banca Etica. Ripeto, vogliamo portare avanti questa iniziativa in modo contagioso, comunicativo. Crediamo che l’8 marzo sia il primo passo per lo sviluppo, anche in Italia, di un certo tipo di finanza. In Germania, grazie all’esperienza di Eko Bank, esiste nel mondo bancario un operatore socio-ambientale, cosa che mi auguro avvenga anche il Italia, per cui un operatore adeguatamente formato che conosce e che fornisce informazioni sul terzo settore. Se una banca od un intermediario finanziario vuole entrare o vuole fare finanza etica, deve dare al risparmiatore una garanzia su tutta la raccolta e la gestione. Certo non può finanziare fabbriche di armi e poi lavar- 81 82 si la coscienza con il conto etico, come succede nella stragrande maggioranza dei casi. Quindi c e rchiamo concretamente, con uno spirito sereno di collaborazione, di iniziare un percorso. Molto intelligenti sono state queste due banche che sostanzialmente riconoscono che può esistere un intermediario finanziario di questa natura e questo genere, perché sanno che loro non possono cambiare pelle. Loro mettono a disposizione la loro struttura professionale, la loro capacità, la loro rete distributiva, ma riconoscono l’esistenza di questo in modo r e c i p roco e mutualistico. Cre s c i a m o insieme in un cammino. Noi non abbiamo da insegnare niente a nessuno e non abbiamo la verità. Questa è la novità: in Italia da 10 anni a questa parte esiste una nuova categoria, che lo vogliamo o no, di persone critiche responsabili e che fortunatamente vogliono consumare i prodotti e risparmiare in modo diverso. I produttori del terzo mondo sono sempre esistiti, ma i prodotti del commercio equo e solidale esistono perché ad un certo punto una categoria di consumatori li ha richiesti, e una categoria di risparmiatori in questo momento, secondo noi potenzialmente molto elevata di circa 5/6 milioni di persone, chiedono un rapporto più chiaro, più trasparente con il proprio denaro, non solo per Banca Etica ma per tutto il sistema. Per informazioni Banca Popolare Etica Piazzetta Forzatè nr 2 35137- Padova Te. 049/8771111- FAX 049/664922 [email protected] www.bancaetica.com 3° INTERVENTO “MICROIMPRESA NEL NORD E NEL SUD: COMPARAZIONE DEI FATTORI CHIAVE” William Burrus Vice presidente Accion Internecional Vorrei unirmi ai miei colleghi di Acciòn nel ringraziarvi per l’opportunità concessa e il privilegio di essere qui in Italia a condividere con voi in questa sala la nostra esperienza. Può essere utile provare a sottolineare le affinità e le divergenze tra le esperienze nel Sud e quelle nel Nord del mondo, come si è sviluppata la microimpresa, quali sono le somiglianze, quali le differenze, e questo ci può aiutare nel comprendere il fenomeno. Comparerò brevemente sei fattori chiave: 1. Il primo è il contesto normativo, e con questo intendo il livello di complessità del sistema legale e delle relative leggi che hanno aiutato o impedito, incentivato o disincentivato lo sviluppo della microimpresa sia al Sud che al Nord. 2. Il secondo è la mission di questo tipo di organizzazione, o meglio i valori di fondo, ciò che è alla base della loro esistenza, che è una delle questioni principali quando si stabiliscono dei programmi di microimpresa. 3. Il terzo è il mercato, vale a dire il potenziale n u m e ro di clienti o prestatori e il livello e le risorse competitive che possono più o meno esistere per le loro attività al Sud e al Nord. 4. Il quarto sono le fonti di finanziamento e di capitale, dove per finanziamento intendo la copertura dei costi di esercizio, per capitale la creazione di linee di credito. 5. Il quinto è quello che chiamerò la struttura organizzativa, e cioè descrivere brevemente qual è la tipologia organizzativa che emerge in ciascuna delle due realtà. 6. E per finire, alcuni esiti operativi, e alcune considerazioni metodologiche sull’uso delle tec- 83 84 nologie e le differenze nella struttura dei costi nei vari contesti. Primo punto: il contesto normativo. Il contesto nel Sud - e qui ci riferiamo in particolare all’America Latina, che è l’area dove opera Acciòn - è generalmente meno definito e più aperto; ci sono meno opzioni, meno controlli e il professor Zamagni ha detto che c’è meno accountability (trasparenza e responsabilità), soprattutto per il settore non profit. Non ci sono autorità che controllino o che definiscano chiaramente quello che si può o non si può fare. Nel Nord, negli Stati Uniti per esempio, la situazione è più complessa, le opzioni sono molto definite così come i tipi e le istituzioni finanziarie che possono essere create per depositare i risparmi e favorire il credito. I controlli da parte del governo, sia a livello di singolo Stato che federale, sono molto stretti, attenti verso le istituzioni che forniscono credito. Una seconda differenza è nella struttura dei tassi di interesse. In termini generali, in A m e r i c a Latina non sono definiti dei massimali, e quindi i tassi vengono generalmente applicati in modo da coprire sempre i costi, in relazione al breakeven (cioè il punto di pareggio tra costi e ricavi). Maria Otero ha fatto l’esempio del Bancosol che applica tassi d’interesse di mercato. Negli Stati Uniti invece il prestito al consumatore è regolato da massimali sui tassi che le banche e qualsiasi altro istituto finanziario possono applicare. Infine, in America Latina ci sono pochi incentivi ad investire nella microimpresa, e questo soprattutto per le banche. In genere anzi ci sono disincentivi al prestito per le microimprese, ed è per questo che molte banche non effettuano prestiti. Negli Usa, come ha detto Cathy Quense, ci sono crescenti incentivi affinché le banche entrino nel settore; è stato citato in particolare il Community Reinvestment Act, che è un provvedimento che non solo incoraggia, ma richiede che le banche investano una percentuale del loro portafoglio disponibile per i prestiti alle comunità locali. Queste banche ricevono un “rating”, cioè una valutazione in base ai risultati ottenuti, e se vogliono aprire una nuova filiale o acquisire una banca, questo “rating” influisce sulla decisione del governo di dare o meno il permesso. Secondo punto: la mission o i valori di fondo. Ci sono tre principi fondamentali: ciò che chiamiamo impatto sociale, cioè quello che accade alle comunità e ai lavoratori che ricevono prestiti; la scale, cioè la grandezza dell’ambito di azione; l’autosostenibilità. In America Latina l’impatto sociale è molto importante, ed è questo il motivo per cui molte associazioni operano nel microcredito. C’è l’assunto che se vengono creati nuovi posti di lavoro, aumentano le entrate per le famiglie e i singoli, come risultato della crescita dell’attività commerciale, ed è un gran risultato non solo per loro ma anche per la comunità in cui risiedono e per la società. Negli Usa l’impatto sociale è comunque molto importante, ed è probabilmente il primo motivo per cui vengono effettuate queste attività: se ci si chiede perché si fanno programmi di microcredito, la risposta è che si pensa di avere un forte impatto sociale. Acciòn International recentemente ha condotto uno studio sui suoi clienti per verificare l’impatto delle sue attività, ed in effetti c’è stata una influenza molto positiva, in termini di creazione di posti di lavoro, creazione di depositi, introiti. La scala è molto importante in America Latina e nel Sud, se si considera l’enormità del problema in quei paesi, i milioni di persone che vivono in miseria; questo vuol dire che i programmi devono essere ad ampio raggio per avere un qualche tipo di impatto. Ovviamente la scala dipende dal 85 86 paese in cui ci si trova, il numero di clienti che bisogna raggiungere in Bangladesh o in Pakistan è diverso da quello che si deve raggiungere in Messico o negli Stati Uniti. In Usa, appunto, la scala non è stata ancora raggiunta. I programmi sono ancora molto piccoli. Per quanto riguarda l’autosostenibilità, di nuovo citando Maria Otero e il caso di Bancosol, è ora dimostrato che è possibile coniugare la mission dell’organizzazione con la ricerca del profitto e che deve essere fatto. Negli Usa non è stato ancora fatto, è un campo totalmente nuovo e come ha detto Cathy Quense con i nostri pro g r a m m i copriamo dal 20 al 60% delle spese, una quota ancora insufficiente, c’è ancora bisogno di sussidi. Terzo punto: il ruolo del mercato. Nel Sud la maggior parte della popolazione è potenzialmente cliente del microcredito, in molti paesi più del 50% è coinvolta in qualche attività di microimpresa ed ha probabilmente bisogno di prestiti. Nel Nord si tratta di una percentuale molto più piccola, del 4-5% della popolazione; il numero di persone è molto più piccolo. Inoltre nel Nord non solo il numero, ma anche la tipologia delle persone che potrebbero avere bisogno del microcredito è differenziata: negli Stati Uniti si va dai recenti immigrati a operai o impiegati bianchi licenziati da una grande azienda e che cercano di mettersi in proprio. Un altro elemento di differenza è che in America Latina c’è una grossa domanda inevasa di credito, le micro i m p rese sono sottocapitalizzate e dipendono dagli strozzini, che ovviamente richiedono dei tassi di interessi molto alti. Negli Usa ci sono molte opportunità, le carte di credito per esempio sono accessibili a molte persone, che possono finanziarsi il capitale circolante tramite la propria personale carta di credito, e questo accede spesso. Infine, nel Sud, una volta entrato in attività, non hai bisogno di farti pubblicità, perché c’è tanta di quella domanda che una volta che metti un’insegna fuori dalla porta e dici “siamo in commercio, siamo pronti a concedere prestiti”, cosa farai con le migliaia di persone che avrai fuori della porta? Negli Stati Uniti questo non accade, il mercato è molto più piccolo e bisogna essere molto aggressivi, devi andare a c e rc a re il cliente, ed è difficile perché spesso sono inaccessibili. Molte volte per esempio sono immigrati illegali, senza permesso di soggiorno, sono restii a presentarsi da noi e questo è un problema. Quarto punto: le fonti di finanziamento. Originariamente, come ha detto Maria Otero, in America Latina molto denaro veniva da donazioni, quello che noi chiamiamo soft money, e questo sussidio non doveva essere ripagato. Ma in maniera rapida molte organizzazioni di microfinanza sono passate ad un finanziamento proveniente dalle entrate, in altre parole sono autosufficienti. Negli Usa invece molti progetti di microcredito necessitano ancora di donazioni per sopravvivere. Da dove vengono i soldi? In termini generali, prima di tutto ci sono le banche che concedono denaro a programmi che a loro volta concedono queste somme in piccoli prestiti. Si comincia poi a cercare altri modi per costituire il capitale, ad esempio tramite l’accumulo di risparmio a livello locale per poi poterlo prestare. In Usa le fonti sono private e pubbliche. La stessa Accion ha preso la decisione strategica di posizionarsi tra le banche e i suoi clienti. Andiamo dalla Bank of America e gli diciamo “prestaci 300.000 dollari”; noi poi facciamo da intermediari e con questo denaro concediamo prestiti da 200-300 dollari ai nostri clienti. 87 88 Quinto punto: la struttura organizzativa. Nel Sud c’è il fenomeno di associazioni non profit che si trasformano in istituzioni finanziarie, banche o “financiera”, o in qualsiasi altro tipo di istituzione regolata. Questo è molto comune in America Latina ed in molte altre zone del Sud del mondo. Inoltre, e questo è molto interessante, alcune banche si sono accorte che questo è il più grande mercato scoperto del mondo, un area dove possono cominciare a fare profitti; e così nascono banche specializzate in questo settore, delle nuove banche ma anche delle banche tradizionali che cominciano a finanziare la microimpresa. Negli Usa le banche commerciali si stanno muovendo allo stesso modo, ma grazie alla tecnologia. Lo fanno attraverso il cosiddetto “credit scoring” (punteggio di credito), che è un meccanismo creato per predeterminare i fattori in base ai quali si possa presumere se un cliente rimborserà o no il prestito. Conducono poi un’analisi di migliaia di persone per vedere quale corrisponde a questi fattori, creando così un Credit Scoring Model in base al quale vedere chi vi possa corrispondere o meno. Questo permette alle banche di elargire crediti sempre più piccoli, da 10.000 a 25.000 dollari per i vari microimprenditori, se corrispondono al profilo disegnato. Sesto punto: gli esiti operativi. Prima di tutto la struttura dei costi. Quanto costa creare un programma di microcredito al Sud, e quanto al Nord? È chiaro che in termini generali i salari nel Sud sono molto più bassi. In Guatemala paghiamo i nostri funzionari, spesso gente molto preparata, 200 o 300 dollari al mese, mentre negli Usa la stessa persona costa 2.000 dollari al mese, come minimo. Questa è una grossa differenza per raggiungere l’autosufficienza, i costi nel Nord sono ovviamente molto più alti. Altri costi come quelli dei trasporti sono più bassi al Sud e questo rende più facile l’autos u fficienza, mentre complica le cose in paesi come gli Stati Uniti. Una seconda differenza negli esiti è relativa ai p restiti di gruppo, a quelli che chiamiamo “gruppi di solidarietà”. In molti nostri programmi al Sud questa metodologia ha significato un avanzamento, un salto di qualità, e questo ha permesso di raggiungere molti più clienti perché organizzati in gruppi. Questa metodologia ha avuto molto successo in America Latina. Applicata negli Stati Uniti ha avuto un successo parziale. Abbiamo costituito i gruppi di solidarietà, ma anche concesso prestiti individuali, ai singoli, e questo ovviamente fa crescere i costi. Infine, una delle maggiori differenze è quella tecnologica. La tecnologia non è accessibile in molti paesi del Sud, che quindi devono contare su altre risorse. In Usa, Canada, Europa, la tecnologia disponibile rende molto più efficienti e redditizi questi tipi di prestito, più di quanto lo siano stati fino ad ora. Vediamo questi vantaggi: tu alzi la cornetta del telefono, digiti un numero e parli con un funzionario che sta a 2.000 miglia di distanza, e in questo modo puoi ricevere un mutuo sulla casa, un carta di credito, un mutuo per la macchina, semplicemente per telefono. Penso che questo sia molto innovativo, e noi stiamo cominciando a farlo. Cathy Quense ha parlato dei Centri di Servizio che stiamo creando negli Usa, in modo che i nostri programmi possano essere seguiti da un solo centro che concede i prestiti invece di varie stazioni disseminate sul territorio. Credo che questo sia un avanzamento, un progresso alla stessa stregua dei gruppi di solidarietà. Se applichiamo la tecnologia in modo nuovo per indirizzarci verso i poveri, faremo un grosso passo avanti. Concludendo, quello che vi voglio dire è che se 89 90 andiamo nel Sud del mondo, in America Latina, Africa, Asia, troveremo migliaia di organizzazioni che lavorano nel microcredito ed è un campo nuovo, un’ottima notizia quindi. Ma la cattiva notizia è che sono poco strutturate, in altre parole se poi da questa massa di org a n i z z a z i o n i togliamo le 4 o 5 str u t t u re di vertice, A s a , Grameen, Accion, vedremo che esse raggruppano l’85% dei crediti, cioè l’80% dei clienti di tutto il mondo. Ci sono migliaia di org a n i z z a z i o n i molto molto piccole, con poche centinaia o migliaia di clienti e questo nonostante la necessità di raggiungere milioni e milioni di persone, perché troppe persone in questo mondo sono povere. Penso che questa è la sfida principale che attende le organizzazioni del Sud del mondo. Nel Nord bisogna ancora provare che il microcredito sia una strategia efficace per ridurre la povertà e generare sviluppo economico. Negli Usa, in Canada e credo in Europa, sia dell’est che dell’ovest, è un campo ancora molto nuovo, bisogna ancora renderlo operativo; le persone si chiedono come può esser fatto, bisogna ancora convincerle che questa strategia a lungo termine può essere vincente per lo sviluppo economico. Accion International, lo pensa, lo spera, e sta lavorando in questo senso, ma non è stata ancora provata la sua efficacia. In questo senso siamo ancora dei pionieri. 2° INTERVENTO STRANIERO “MICROIMPRESA NEL NORD: L’ESPERIENZA DI ACCION IN USA” Catherine Quense, direttrice finanziaria di Acciòn Internacional Vo r rei ringraziare tutti voi per la splendida opportunità di essere qui e di poter condividere con voi non solo l’esperienza dell’America Latina, che dura da 35 anni, ma anche quella molto più recente iniziata nel 1991 negli Stati Uniti, che consiste nel tentativo di esportare ciò che abbiamo imparato e che ha così ben funzionato in America Latina in un contesto molto differente, quello degli Usa. I principi alla base di ciò di cui ha parlato Maria cosi come la metodologia descritta per lavorare nel settore del microcredito nel Sud del mondo sono molto simili a quelli del Nord, sebbene i clienti con cui parliamo così come il contesto di riferimento, la struttura dei costi, il tipo di governo, siano molto diversi. Vorrei descrivervi un paio di nostri clienti nel Nord per darvi un immagine delle persone con cui lavoriamo. - Jessica Garzia e Alice Herrera sono due donne di El Paso, in Texas, proprio al confine con il Messico, che hanno lavorato per anni come direttrici locali di una azienda di trasporti, cosa molto strana in un settore dominato dagli uomini. Questa compagnia cominciò a chiudere i suoi uffici a El Paso un paio di anni fa, e Jessica e Alice furono licenziate. Non riuscirono a trovare un secondo lavoro allo stesso livello economico di quello precedente nell’area di El Paso, dove risiedevano con le loro famiglie. Decisero perciò di creare una loro impresa, una azienda di trasporti. La chiamarono “7 Sons Tru c k i n g Transportation” dai loro 7 figli, pensando che in qualche modo questo le avrebbe potute aiutare 91 92 in un mondo dominato dagli uomini. Ricevettero un prestito da due organizzazioni non pro f i t inclusa Acciòn Internacional; 5.000 dollari da Acciòn e un altro prestito di 25.000 dollari da un’altra organizzazione per poter comprare computer, organizzare l’attività, ottenere la licenza, cominciare l’attività e richiedere i mezzi di trasporto. Oggi vanno meglio di quanto avessero previsto: con un fatturato di 300.000 dollari hanno entrambe un salario annuo di 30.000 dollari, che è un buon salario per quelle zone, e profitti per 25.000 dollari reinvestiti nell’azienda. - Un’altra cliente di Acciòn negli Usa è Patrice Berry, di San Diego in California, altra zona di confine. Patrice è una ragazza madre che riceve sussidi dallo Stato. In seguito al programma di riforma del Welfare State, chiamato “Riforma negli Stati Uniti”, il suo sussidio è sceso fino a 600 dollari mensili, insufficienti per badare a sé e alla sua famiglia. Dopo aver seguito un corso di formazione gestito da un partner locale di Acciòn Internacional, è diventata una “Day C a re Provider”, per fornire servizi di asilo a domicilio nella sua casa. Ha richiesto un prestito da Acciòn ed ha ricevuto una autorizzazione per ogni bambino di cui si occupava. Ora è in piena attività, ha ricevuto da Acciòn un prestito dilazionato in tre rate per un totale di 5.000 dollari, e lo ha sempre ripagato. Questi sono tipici esempi di persone con cui Acciòn Internacional lavora negli Stati Uniti e, a d i ff e renza dell’America Latina, dove i nostri clienti sono al limite della sopravvivenza, questi non lo sono, ma sono sulla soglia di povertà o della dipendenza dai sussidi governativi. Ci sono gruppi molto eterogenei: • I nuovi immigrati, per la maggior parte • Lavoratori a domicilio • Lavoratori come Jessica e Alice precedentemente licenziati da grosse aziende • Madri come Patrice che cercano di passare dal sussidio al mercato del lavoro • Molti individui con reddito basso o in diminuzione Ciò che effettivamente unisce tutte queste persone è che non hanno la possibilità di accedere a fonti di finanziamento. Sare b b e ro rifiutati dalle banche, e neanche viene loro in mente di andare in una banca a richiedere un prestito. Vorrei fare un piccolo riassunto del modo in cui si sono sviluppati i programmi di microimpresa in Usa a partire dagli anni ’80 e poi più rapidamente negli anni ’90: • nel 1990 ci fu un show televisivo sulla Grameen Bank, e nacque l’interesse per questo tipo di attività; • le associazioni non profit tentano di affrontare le differenze di reddito che si creano con i meccanismi di mercato. Oggi in America il 10% della popolazione è povera, e questa percentuale arriva al 25% per gli ispanici e gli afroamericani. Tra il 1979 e il 1992 il reddito del 40% delle famiglie più ricche è aumentato per una percentuale che va dal 5 al 17%, mentre il restante 60% ha visto una diminuzione che va dal 2 al 16%. Le differenze stanno aumentando; • nello stesso periodo c’è stato un dibattito in Usa sull’efficacia dei programmi di “entitlement”, programmi di welfare basati sull’elargizione di sussidi statali. Con la riforma del welfare molte persone stanno sempre più velocemente uscendo da questo meccanismo di tutela, una massa sempre più ingente che non può essere completamente riassorbita tramite programmi di micro c redito o di avviamento al l a v o ro. Circa il 30% delle donne che da due anni non ricevono più sussidi ancora non ha 93 94 trovato lavoro, nonostante il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti sia molto basso; • c’è un crescente disagio nelle aeree urbane: a Los Angeles ci fu la rivolta nel 1992. La povertà nelle zone rurali, specialmente quelle di confine, sta aumentando; • c’è un crescente flusso di immigrazione, soprattutto a causa della terribile situazione politica in America Centrale negli anni ’80. Da allora ci sono stati molti immigrati, non solo nelle città di confine, ma anche a Boston, New York, Chicago. Attualmente il microcredito comincia ad essere conosciuto nel Nord. Questa mattina abbiamo sentito parlare degli sforzi che si stanno facendo in Europa e che stanno dando i loro frutti in Irlanda, Francia, Olanda. Fundusz Mikro, in Polonia, ha circa 5.500 clienti; in Canada c’è la Fondazione Calmeadow che utilizza una metodologia simile a quella di Accion ed ha circa 500 clienti. Come vedete i numeri sono molto diversi da quelli sudamericani, ma stanno crescendo. Negli Usa c’è una “Associazione per lo sviluppo dell’imprenditoria”, nata dalla “National Trade Association” (Associazione Nazionale del Commercio), che si occupa di microimpresa, con c i rca 600 membri tra professionisti, politici, finanziatori. Nel settore del microcredito ci sono due tipi di organizzazioni: le prime, sono quelle basate sul credito, come Accion. Sono circa 300 le organizzazioni che lavorano per il credito alla microimpresa, con prestiti complessivi di circa 35 milioni di dollari. Ci sono poi organizzazioni che lavorano sulla formazione-lavoro, come ad esempio quella che si è preoccupata di avviare al lavoro Patrice Berry. Negli Usa vengono considerate microimprese le aziende con fatturato inferiore ai 55.000 dollari annui e con, in genere, un massimo di 5 addetti. Ci sono 11,8 milioni di attività economiche autorizzate che possiamo catalogare come microimpresa, ma sono almeno 15 milioni se includiamo tutte quelle non autorizzate. Si parla del 5% della popolazione; c’è un mercato, e vediamo che anche qui c’è una grossa diff e renza con l’America Latina. Questo numero non include le imprese avanzate, ad alta intensità di capitale o alto livello intellettuale, come le aziende di servizi legali o sanitari, che a livello organizzativo sono molto semplici. Il Governo ha iniziato ad avere un ruolo nel settore con il “Community Reinvestment Act” del 1977, modificato nel 1995, che incoraggia il prestito e l’investimento bancario nei luoghi dove le stesse banche risiedono. Le banche stavano in effetti fuggendo dalle zone interne delle città, e attraverso il Communty Reinvestment Act è stato introdotto un criterio di valutazione delle banche stesse, dipendente dagli investimenti effettuati a livello locale. Le banche quindi si sono sforzate di investire a livello locale, sia direttamente, sia attraverso intermediari come Accion. È stato aperto un fondo a livello nazionale, anche attraverso piccole associazioni commerciali o più recentemente attraverso le “Community Developing Finance Institutions”. Un paio di nostri programmi riceveranno finanziamenti da queste organizzazioni. C’è stato un certo appoggio da parte di questo governo, soprattutto da parte del Ministro del tesoro, ma anche grazie allo stesso Presidente ed a Hillary Clinton. Nel settore privato ci sono alcune fondazioni leader in questa attività di finanziamento della microimpresa e di supporto di progetti pilota, come ad esempio la Charles Stewart Mott Foundation. Un’esperienza di tipo bancario è quella della South Shore Bank di Chicago. Ma 95 96 anche alcune banche più tradizionali cominciano a concedere prestiti per progetti di microimpresa a tassi piuttosto bassi. Gli investitori “socialmente responsabili”, o investitori etici, sia come singoli che come gruppi, collegati ad esempio con una Chiesa, prestano denaro direttamente o attraverso il nostro fondo di garanzia chiamato Bridge Fund. Un esempio di coinvolgimento del settore privato è il Community Reinvestment Fund che un paio di anni fa ha garantito il portafoglio di Accion a New York, una cosa che è andata in prima pagina sul Wall Street Journal, una sorta di securitization (garanzia tramite obbligazioni) dei prestiti di microcredito. Lasciate che vi dia qualche delucidazione sul ruolo di Accion International negli Usa. La nostra mission è di creare cambiamenti di lungo periodo nelle nostre comunità fornendo prestiti per attività commerciali e servizi a lavoratori autonomi, ai quali le barriere per l’acceso al credito impediscono la mobilità socio-economica. Non si tratta necessariamente di poveri, ma di persone che non possono accedere al credito, di cui circa il 50% sono effettivamente povere. L’obiettivo di Accion è di cre a re un modello nazionale di microcredito che combini obiettivi finanziari (economie di scala e autosufficienza) con obiettivi sociali, facendo sì che i nostri clienti abbiano i mezzi per essere autosufficienti economicamente e inseriti nella loro comunità. La nostra strategia negli Stati Uniti è stata quella di creare un network come in America Latina, ma in questo caso abbiamo dovuto creare organizzazioni non profit, con consigli di amministrazione che comprendevano persone provenienti dal settore privato, banche ed imprese, così come i leader di ogni comunità. Abbiamo programmi in sei città degli Stati Uniti, in Texas (due), in California, in Nuovo Messico, a New York e a Chicago. In questi due ultimi casi si tratta di interventi in periferie a basso reddito con popolazione di origine ispanica. Negli Usa ci occupiamo solo di credito, costituendo partnership con associazioni che si occupano di formazione e assistenza, lavori che non facciamo direttamente. Abbiamo anche una partnership con banche per i prestiti: lavoriamo con 30 banche in tutto il paese. La metodologia è molto simile a quella latinoamericana. Ci sono i gruppi di solidarietà, gruppi di persone con piccole attività commerciali che raggruppiamo per ottenere e per garantirsi reciprocamente il prestito. I prestiti di piccola entità sono di circa mille dollari, mentre i prestiti più g rossi partono da 5.000 e possono arrivare a 25.000 dollari. Le garanzie sono flessibili, e i prestiti hanno una rapida circolazione. I tassi d’interesse sono al livello di mercato. Probabilmente abbiamo il più grande programma di microcredito che vi sia al momento negli Stati Uniti. Abbiamo prestato complessivamente una somma di più di 15,5 milioni di dollari, il portafoglio corrente è di 3,5 milioni dollari, quello a rischio (oltre 39 giorni) è di circa il 9%. Il tasso di soff e renza è inferiore al 4%, ed è un buon risultato. La misura media del prestito è inferiore ai 3.000 dollari - 2.745 dollari - mentre la media dei prestiti a bilancio è di 3.795 dollari. Più di 2.600 clienti hanno ricevuto crediti, e attualmente 1.055 sono attivi. L’autosufficienza, in altre parole la capacità di coprire i costi con le entrate, riguarda il 37% dei destinatari del credito. Vediamo dunque che il cammino verso l’autosufficienza è ancora lento e distante dall’esperienza latinoamericana, ad esempio di Bancosol. P rofilo del cliente. Per l’80% è un esponente delle minoranze, 65% ispanici; il 42% del totale sono donne; il 49% svolge attività a domicilio. Tra coloro che ricevono prestiti per la prima 97 98 volta, il 56% è a basso reddito. Settori economici: servizi 41%, commercio 35%, produzione/artigianato 24%. Abbiamo anche condotto, un anno fa, uno studio sull’impatto dei nostri programmi, un’analisi dei nostri clienti, e abbiamo trovato alcune cose molto interessanti. I clienti a basso reddito che hanno ricevuto 4 prestiti (in 2 anni e mezzo) hanno incrementato i redditi da attività del 96% e il capitale del 46%. È importante l’impatto qualitativo: il recupero della fiducia in se stessi, il miglioramento delle relazioni in famiglia e nella comunità. Abbiamo quindi avuto la certezza di avere un impatto sulla vita e sulle attività economiche dei nostri clienti. Le nostre sfide verso il futuro nel Nord del mondo. Primo, raggiungere una scala adeguata, allargare l’ambito di azione: 1.055 clienti sono troppo pochi, siamo presenti solo in sei zone, dobbiamo c re a re un struttura che ci permetta di agire a livello nazionale. La nostra seconda sfida è quella di raggiungere l’autosufficienza, perché il costo delle attività economiche negli Stati Uniti è molto alto. I salari dei nostri funzionari sono molto più elevati rispetto all’America Latina, e abbiamo bisogno di essere innovativi nel campo tecnologico, con l’uso di posta elettronica e collegamenti satellitari che possano permettere ai nostri funzionari il collegamento diretto tramite i loro computer portatili. Dobbiamo rafforzare la struttura organizzativa. Comincia ad essere molto diff i c i l e lavorare con sei organizzazioni indipendenti, e se dovessimo espanderci in tutti gli Stati del paese ci troveremo con 50 organizzazioni indipendenti; dobbiamo in qualche modo centralizzare l’organizzazione. La terza sfida è pro d u r re un impatto sociale delle nostre attività, affinché i clienti possano diventare una voce potente per il cambiamento a livello locale e nazionale. Come ha detto il professor Zamagni, si tratta di sviluppare politiche di redistribuzione del reddito, politiche di giustizia sociale attraverso i meccanismi di mercato. 99 100 1° INTERVENTO STRANIERO “IL PROGETTO MICROCREDITO NEL SUD DEL MONDO: RECENTI TENDENZE E SFIDE” Maria Otero - Acciòn Internacional Grazie. Questa è la sola parola italiana che posso usare nel mio intervento. Prima di cominciare l’intervento vorrei rivolgere i miei ringraziamenti agli organizzatori di questo convegno, in particolare per l’onore che ci hanno fatto nell’invitarci, e soprattutto per l’opportunità data ad Acciòn Internacional di condividere la sua esperienza con voi. Vorrei anche dire che è importante, quando si parla di tematiche che interessano il Nord del mondo, osservare attentamente ciò che accade nel Sud del mondo, perché si può imparare molto dall’esperienza della micro i m p resa nel Sud e penso che l’introduzione del pro f e s s o r Zamagni ci ha aiutato molto in questo senso. Ciò che farò questo pomeriggio sarà riassumere l’esperienza della microimpresa nel Sud, in quelli che chiamiamo “paesi in via di sviluppo”. Dal punto di vista di Acciòn Internacional, che lavora nel settore da più di 25 anni, diventa realmente un riassunto di ciò che abbiamo fatto e che riflette le nostre migliori esperienze. Penso che la prima cosa importante da dire è che il lavoro nella microimpresa emerge, si origina dal settore non profit, lo stesso settore di cui stiamo trattando questa sera. In particolare quando parliamo di microfinanza ci riferiamo alla fornitura di servizi finanziari, di credito e risparmio, a poveri e poverissimi. È importante capire cosa intendiamo per microimpresa nei paesi in via di sviluppo: parliamo di milioni di persone che fanno dei piccoli lavori, con le pelli, le ceramiche, i metalli, che vendono oggetti lungo la strada e che vivono attraverso l’autoimpiego, perché non hanno le conoscenze e le capacità di integrarsi nei meccanismi dell’economia formale, e sono capaci di sopravvivere solo tramite queste attività nell’economia informale. Ci sono milioni di queste persone nelle più grandi città del mondo in via di sviluppo: Nairobi, New Delhi, La Paz, Città del Guatemala, li troverete ovunque e vedrete che rappresentano la grande maggioranza dei lavoratori. Diamo uno sguardo a questo tipo di microimpresa, che ha un piccolissimo fatturato e di solito impiega da 1 a 5 persone. Ci dobbiamo chiedere: come possiamo rendere accessibili i capitali a queste persone, che sono considerarti “non bancabili”? Non c’è nessuna banca tradizionale che estenderebbe i suoi crediti a questo settore economico. Le sfide principali, direi i principi fondamentali p resenti nelle organizzazioni che forniscono microcredito sono, a mio parere, due, e le organizzazioni che riescono a metterle in pratica sono quelle maggiormente sviluppate: - il primo è la scale, l’ambito d’azione, cioè la possibilità di raggiungere un vasto numero di persone. Raggiungere un grande numero di persone con prestiti molto bassi diventa essenziale perché la domanda di credito è enorme. Quando il Messico ha bisogno di creare un milione di posti di lavoro ogni anno e non ha la capacità di farlo, molte tra queste persone finiranno per lavorare nel settore informale e avranno bisogno di capitali per la loro attività. Sappiamo anche che questa azione deve essere ad ampio raggio se vogliamo in qualche modo agire sul problema della povertà; se dobbiamo diminuire il livello di povertà, allora dobbiamo essere capaci di ragg i u n g e re milioni di persone, e quindi essere capaci di avere una copertura a livello nazionale che non può concentrarsi solo nelle grandi aree 101 102 urbane o in zone specifiche. Questo concetto di scale diventa il principio più importante in questo ambito; - il secondo è l’autosufficienza. Questo concetto incorpora termini molto interessanti in una prospettiva non profit e consiste nel fatto che le organizzazioni che elargiscono questi crediti coprono i costi della loro attività con gli interessi sul prestito. Nella maggior parte dei casi si tratta di associazioni non profit, ma il fatto di coprire i costi li emancipa dalla prospettiva di essere dipendenti sia dall’assistenza pubblica che da qualsiasi altra forma di sussidio. Questo è importante in quanto crea un legame con il settore finanziario, con il mercato. Ci sono già delle esperienze che dimostrano che questo può essere fatto, e ne parlerò brevemente in seguito. Ci sono infatti delle organizzazioni che fanno credito e che sono autosufficienti. Se queste associazioni non vogliono essere dipendenti, devono accedere alle fonti commerciali dei fondi e devono avere la capacità di costruire un legame con il settore commerciale, e se riescono a farlo termina il bisogno di sussidi e termina la necessità di raccogliere denaro da fonti esterne. Ora, se diamo un occhiata veloce ad alcuni esempi di organizzazioni che hanno raggiunto questi obiettivi, vedremo, e questo è un messaggio che vi voglio lasciare, che ci sono molte organizzazioni nei paesi in via di sviluppo che ci sono riuscite. Le condizioni del successo del microcredito Sono sicura che molti di voi hanno sentito parlare della Grameen Bank. È la più famosa, in Bangladesh, ed è molto importante perché ha avuto un grosso ruolo nel far conoscere questo settore. La Grameen Bank oggi ha 2,5 milioni di clienti, per la maggior parte donne, è presente nel 50% dei villaggi del paese, è ancora dipen- dente per una certa quota da sussidi esterni o donazioni. È una esperienza molto importante, ma non l’unica. Nello stesso Bangladesh ci sono altre due organizzazioni che danno un grande contributo nel campo del microcredito. Una di esse è la BRAC, che ha 1,5 milioni di clienti con p restiti molto piccoli e lavora in altri settori come quello dell’educazione. Attualmente ha anche ottenuto la licenza bancaria e si sta quindi trasformando da organizzazione non pro f i t a banca commerciale. Poi c’è ASA, un’organizzazione presente da 4-5 anni con 800.000 clienti e costi molto bassi. Direi che forse la migliore organizzazione nel settore del credito e risparmio è indonesiana: Bank Rakyat Indonesia (BRI) è stata capace di raccogliere il denaro dalle famiglie contadine per poi effettuare prestiti alla popolazione. Sono 20 milioni di depositi, molto piccoli. Avete qui una vera intermediazione finanziaria, capace di mobilitare una parte della popolazione che altrimenti non avrebbe avuto la possibilità di accedere ai capitali. In Africa le esperienze più avanzate sono in Kenya, la K-REP che si sta trasformando in una banca, e in Uganda, la Centenary Bank, creata dalla Chiesa cattolica, che è a tutti gli effetti un banca commerciale. In America Latina si può a ff e r m a re che l’esperienza di Accion è la più avanzata, perché lavora con 19 istituzioni indipendenti in 15 paesi. Accion, come associazione non profit, non elargisce direttamente il prestito, ma garantisce il credito, fornisce l’assistenza tecnica e la formazione per organizzazioni locali autonome, che sono indipendenti. Sono loro che forniscono il prestito ai lavoratori molto poveri. Se mettete insieme tutte le attività della nostra rete oggi, i prestiti ammontano a 600 milioni di dollari ogni anno, ciascuno di grandezza variabile tra i 100 e i 200 dollari, ad una clientela com- 103 104 posta per il 60% da donne. Negli ultimi quattro anni abbiamo avuto 1,5 milioni di clienti, e quello che è veramente importante, e che si può e s t r a p o l a re dall’esperienza di Accion, è che molte delle associazioni locali di microfinanza sono autosufficienti, cioè coprono i costi. Ora, come è possibile? Perché queste esperienze e questi esempi si affermano? L’idea innovativa è quella di un metodo non tradizionale di prestito del denaro, un metodo che può essere definito dei “gruppi di solidarietà”. L’idea cioè è di prestare denaro senza garanzie accessorie di tipo tradizionale, in modo che i prestiti possano essere garantiti da tutte le persone di un gruppo “di solidarietà” e che tutti siano responsabili del pagamento. Sono gruppi autoformatisi, che si formano cioè tra persone che hanno la loro attività - possono essere ad esempio quattro donne che vendono ortaggi al mercato - a cui il prestito viene direttamente elargito, e ammonta in genere a 60, 70, 80 dollari a persona. Perché funziona? Primo, i prestiti sono molto bassi e a breve termine, sul capitale circolante, che è proprio quello di cui i “microimprenditori” hanno bisogno. Secondo, e questo è molto importante, se il credito viene ripagato, si può accedere ad una seconda ed anche terza linea di credito, e questo è un incentivo molto importante per il rimborso del prestito. Terza questione molto importante è che il tasso di interesse è quello di mercato, non un tasso agevolato o sussidiato. Dal punto di vista di chi riceve il denaro, che in alternativa può solo rivolgersi agli strozzini a prezzi molto cari, un prestito con interessi di mercato è molto conveniente. I n o l t re la procedura per ottenere il credito è molto veloce, la domanda è molto semplice e in molti luoghi le donne possono firmare semplicemente lasciando l’impronta del loro pollice, per- ché non sanno néleggere né scrivere (questo r i g u a rda anche gli uomini ma soprattutto le donne). Il processo di erogazione del prestito richiede 2 o 3 giorni, a volte una settimana. E il funzionario dell’organizzazione di microfinanza va direttamente dal cliente, risparmiando in questo modo alle donne il costo e la fatica di andare in banca, magari con i bambini, facendo la fila per ottenere un prestito. Tutte queste modalità di prestito sono abbastanza atipiche, ma utilizzano principi di mercato e rendono possibile alle organizzazioni di verificare ciò di cui ha bisogno la microimpresa. I microcrediti rispondono alle necessità del mercato, hanno incentivi per il rimborso, permettono una rapida espansione a molti clienti, sono efficienti e coprono i costi del prestito: come vedete alla base ci sono principi di mercato. Accion International è riuscita a sviluppare la metodologia dei gruppi di solidarietà nel progettare gli interventi sin dai primi anni ’80, utilizzandola con migliaia di clienti. Abbiamo dimostrato che: - i poveri ripagano il prestito. C’è sempre stata l’idea che i poveri non sanno utilizzare i capitali e non rimborsano i prestiti, e invece il nostro tasso di “sofferenze” sui crediti è solo del 2%; - le organizzazioni di microfinanza possono coprire i costi; - col tempo possono aumentare le loro risorse per raggiungere un numero crescente di persone. Accanto a questa metodologia innovativa, l’altro elemento chiave per l’affermazione delle esperienze di microcredito è l’accesso al mercato dei capitali. Intendo dire che per raggiungere un vasto numero di persone e rendere loro possibile l’accesso al credito, devi essere capace come organizzazione di accedere a capitali sul mercato. I donatori non hanno abbastanza denaro, i 105 106 governi neanche, il denaro è in effetti concentrato nel mercato finanziario. Quindi per poter effettuare un’azione massiccia, ad ampio raggio, devi poter accedere a questo tipo di fondi. Come? In primo luogo tramite i prestiti che un’associazione non profit in Africa o in America Latina ottiene dalle banche. Ma questa è la cosa più difficile, e allora Accion nel 1986 creò un fondo di garanzia chiamato “Bridge Fund” che forniva appunto garanzie alle banche locali che prestavano denaro alle nostre associazioni. In questo modo, le banche non rischiavano, e contemporaneamente si garantiva l’accesso al prestito. Mano a mano che il denaro cresceva, le banche cominciarono ad assumersi dei costi, concedendo prestiti sempre maggiori indipendentemente dalle garanzie. In questo modo si è garantito l’accesso a quote sempre crescenti di capitali e questo per Accion ha significato un’impressionante crescita della quota di portafoglio a nostra disposizione, e le organizzazioni locali di microfinanza a questo punto potevano pagare il denaro che avrebbero poi prestato ai microimprenditori. Questa è la via principale per legarsi al mercato dei capitali, e forse la più semplice. Il secondo modo per creare questo legame è la trasformazione della associazioni non profit in istituzioni finanziarie, in banche vere e proprie. In quanto banche queste organizzazioni possono accedere al mercato dei capitali, fanno parte del settore bancario del loro paese, e pertanto hanno accesso a fondi più cospicui. Possono anche attrarre investitori dal settore privato, che è proprio il modo in cui cominciano le loro attività. In questo modo però dobbiamo conciliare obiettivi tra loro contraddittori, il profitto e gli obiettivi sociali. Questo è proprio alla base delle esperienze, come la vostra, di banche etiche. C’è poi anche una terza via per accedere al mercato dei capitali ed è lo sviluppo di strumenti finanziari autonomi, come ad esempio obbligazioni o certificati di deposito. Il caso Bancosol (Bolivia) Lasciate che vi presenti un caso, un’esperienza che ha attraversato tutte queste fasi, per chiarire meglio questi concetti. Vi parlerò di Bancosol, in Bolivia, il mio paese. Bancosol inizialmente è un’associazione non profit, Prodem, e comincia collegandosi con Accion e con alcuni esponenti del settore privato, circa 11 anni fa. Prodem utilizza la metodologia dei gruppi di solidarietà e in due anni riesce a raggiungere circa 15 mila persone, con un tasso di sofferenze vicino allo zero e con la copertura dei costi. Si accorge rapidamente, tuttavia, che fino a quando non avrà accesso a fondi più rilevanti, non potrà avere un impatto significativo sulla povertà nel paese. Questo è il motivo che porta Prodem, due anni dopo l’inizio della sua attività, a pensare di trasformarsi in banca commerciale. Il processo di trasformazione segue questi passi: • attrarre gli investitori. All’inizio è molto difficile rendere conveniente questo tipo di attività; • a d d e s t r a re lo staff, tutto formato da gente p roveniente dal mondo non pro f i t, un altro campo d’intervento che ha richiesto una notevole trasformazione; • c h i e d e re la licenza bancaria e spiegare ai supervisori finanziari e politici del sistema bancario il nuovo tipo di approccio al cr e d i t o . Un’esperienza molto formativa soprattutto per politici; • migliorare i sistemi di informazione e comunicazione, sia per la sorveglianza delle autorità locali che per le valutazioni della rete di Accion; • infine, essere una istituzione commerc i a l e come le altre, ma con obiettivi sociali. Una “banca etica” insomma. 107 108 A partire dal 1992 Bancosol comincia la sua attività e continua a crescere. In tre anni raccoglie da sola il 40% dei clienti del settore bancario in Bolivia. Comincia ad operare a livello nazionale, senza più limiti e restrizioni alla possibilità di finanziamento. Il finanziamento avviene infatti anche tramite prestiti e certificati di deposito provenienti da Fondi di investimento, anche statunitensi, e l’attività continua a generare profitti. Oggi Bancosol è un’istituzione bancaria leader in Bolivia, pur avendo un importo medio dei prestiti che va dai 100 ai 150 dollari. Ma ciò che sta accadendo adesso, ed è molto importante, è che Bancosol sta influenzando la politica bancaria del paese. Questa banca non solo garantisce prestiti ai poveri, ma lavora con i politici, con le istituzioni di sorveglianza, i ministri delle finanze per cambiare le leggi che regolano il sistema finanziario del paese. Un’altro elemento positivo dell’esperienza boliviana è che si è creata una certa competizione positiva: oggi ci sono varie organizzazioni che concedono prestiti ai poverissimi e che competono tra di loro per fare al meglio il loro lavoro. Così adesso una donna molto povera che non sa né leggere né scrivere può scegliere tra queste organizzazioni quella che offre i prestiti migliori. Dieci anni fa poteva solo rivolgersi agli strozzini: per noi questo è veramente un cambiamento strutturale che consideriamo molto importante. E Bancosol continua ad essere una delle più redditizie ed efficienti banche del paese. Per finire possiamo dare un sguardo alle principali sfide che ci aspettano, come microfinanza al servizio della microimpresa, nel Sud del mondo: - la prima è che dobbiamo ancora costruire le competenze per far sì che ciò che è accaduto con Bancosol possa ripetersi nel resto del mondo; - la seconda è far sì che queste organizzazioni abbiano come fonte principale di introiti il mer- cato, e non il denaro proveniente da donazioni. Questa è una trasformazione importante, ed è molto difficile da farsi; - infine occorre comprendere meglio la relazione tra microimpresa e povertà. La microimpresa non è la risposta alla povertà, è una componente, molto importante, che si deve coordinare con a l t re questioni egualmente molto importanti, come l’educazione e la salute, per far uscire le persone dalla condizione di povertà. 109 110 “PROGETTO MICROCREDITO: GLI SVILUPPI IN ITALIA” Aldo Moauro Consorzio ETIMOS Alle soglie del 2000 la povertà di certe aree del Sud del mondo non è più un fenomeno transitorio ma stabile, e la globalizzazione aggrava la situazione anziché alleviarla. Ma il Sud si è mosso contemporaneamente alle varie strategie di aiuto allo sviluppo adottate dal Nord, offrendo esempi concreti di sopravvivenza, convertendo attività economiche marginali, struttura portante del proprio tessuto economico, in meccanismi propulsori della lotta alla povertà. A compiere tale processo sono state le comunità popolari e non i governi. Anche se gli scenari sociali e politici in cui è portata avanti la sfida di produrre a partire da una condizione diffusa di povertà sono diversi da regione a regione, gli attori principali sono in tutti i casi le persone, i gruppi o le strutture dei settori popolari attive nella produzione artigianale o agricola, nella piccola commercializzazione, nei servizi. Tali attività fanno parte del “settore informale” dell’economia, e in particolare del mondo della microimpresa, ed è oggi riconosciuta la loro capacità di generare reddito e di c re a re lavoro in realtà povere senza supporto esterno. Alla base di ciò sta il concetto di “sviluppo partecipativo”, per cui gli elementi di solidità di queste microimprese vanno al di là degli aspetti tecnico-economici, per comprendere la risorsa “politico-sociale”, cioè il controllo diretto degli stessi beneficiari sulle risorse e le istituzioni. Esigenze prioritarie per lo sviluppo di queste attività del settore informale e microimprenditoriale sono l’accesso ai servizi finanziari e l’accesso a mercati funzionanti e “assorbenti”. È in questo contesto che è nato e si è sviluppato il movimento del microcredito. Cooperazione e microcredito A livello di cooperazione allo sviluppo governativa, soprattutto nei paesi europei, vi è stata recentemente una forte tendenza a dare alla cooperazione una nuova dimensione, non più solo da governo a governo, ma integrando l’elemento della partecipazione imprenditoriale privata nella promozione del settore privato nei paesi in via di sviluppo. Ad esempio i n Italia segnali in questa direzione sono i crediti di aiuto per la piccola e media impresa e il fondo, poco usato e da qualche anno paralizzato, per la creazione di joint-ventures con controparti del Sud del mondo. In tutti questi casi però non si tratta di risorse e programmi orientati all’economia popolare. Le proposte per una nuova legge italiana sulla Cooperazione sembrano aprirsi a qualche novità in tal senso: maggiore enfasi alla cooperazione decentrata, di cui gli Enti Locali sono protagonisti, e accenni alla microfinanza e al microcredito. Le poche esperienze italiane di successo nel mettersi in relazione con il settore informale p o p o l a re nei paesi in via di sviluppo sono state condotte da alcune ong, dal commercio equo e solidale e dalla finanza etica. È a partire da queste esperienze che ora si stanno sviluppando i progetti di microcredito. In particolare l’approccio di ETIMOS (nuovo nome di CTMMAG) alla finanza etica presenta una caratteristica preziosa per le iniziative di microcredito: quella che viene definita in letteratura interl i n k i n g, ovvero “effettuazione simultanea di transazioni tra le parti su vari mercati, dove le condizioni di una transazione sono contingenti alle condizioni di un’altra”. ETIMOS infatti ha combinato nella sua esperienza il credito al commercio equo con quello ad altri settori non profit, che potevano entrare in relazione con il fair trade, e l’attività di credito con quella di 111 112 promozione d’impresa sociale. Ma perché l’interlinking è così importante? Facciamo l’esempio degli usurai (moneylenders), in molti paesi del Sud i soggetti principali che il microcredito “sfida”sul mercato: gli usurai spesso pongono come condizione al prestito di essere utilizzati dai loro “affidati” come canali commerc i a l i esclusivi. La proposta alternativa, dunque, è più forte - e anche meno rischiosa - se è anch’essa finanziaria e commerciale (i n t e rlinking). L’azione di Etimos Dal 2 al 4 febbraio 1997 si è tenuto a Washington il primo Summit sul microcredito, che ha riunito rappresentanti di ong, organizzazioni di microfinanza, imprese impegnate nel sociale, gruppi di base del Nord e del Sud del mondo, agenzie delle Nazioni Unite, Governi nazionali, istituzioni internazionali (per l’Italia c’erano il Consorzio ETIMOS e alcune ong). In questa sede si è lanciata una campagna globale per raggiungere, entro il 2005, 100 milioni di famiglie povere, soprattutto le donne di queste famiglie, con crediti per attività lavorative autonome e altri servizi finanziari e commerciali. Il Summit ha valutato che saranno necessari 21,6 miliardi di dollari per far fronte alle necessità stimate. Le risorse necessarie per raggiungere tale obiettivo arriveranno da diversi donatori e investitori, agenzie governative, istituzioni non governative, il pubblico in generale e i risparmi dei clienti dei microcrediti e di altri membri delle loro comunità. Anche gli Enti locali in Italia potrebbero fare la loro parte. Attualmente le istituzioni di microfinanza raggiungono circa 16 milioni di persone, con un portafoglio crediti di 2 miliardi e mezzo di dollari (4.000 miliardi di Lire). Buona parte delle iniziative di microfinanza ha come destinatarie le donne. Queste, oltre a essere escluse dai tradizionali servizi bancari ancora più degli uomini, rappresentano la maggioranza (900 milioni) del miliardo e 300 milioni di persone che nel mondo vivono con meno di 1 doll a ro al giorno. Attraverso l’opportunità di incontrarsi, di diventare finanziariamente indipendenti, di usufruire delle iniziative collaterali della finanza solidale, come la formazione e l’assistenza tecnica, le donne possono recuperare la fiducia in se stesse e offrire un grande contributo per il miglioramento delle condizioni socio-economiche delle pro p r i e famiglie. ETIMOS è nato come CTM-MAG nel 1989 con lo specifico obiettivo di sostenere finanziariamente il commercio equo e solidale accanto alla CTM, la principale centrale di importazione in Italia. Molte cooperative che fanno parte del Consorzio gestiscono la rete delle “botteghe del mondo”, abbinando all’attività commerciale la proposta del risparmio etico. ETIMOS è stato tra i principali protagonisti della costituzione della prima Banca Etica in Italia. Con la partecipazione al Microcredit Summit di Washington, il Consorzio ha avviato un progetto microcredito che oggi sta diventando la sua attività principale. ETIMOS si pro p o n e quindi come principale organizzazione italiana di microfinanza nel Sud del mondo, ma anche nelle aree più povere dei paesi industrializzati, e dunque anche in Italia, in partnership con Banca Etica. Già nel 1998 i crediti al Sud del mondo sono cresciuti. Sono stati finanziati progetti di credito popolare a Quito, Ecuador, e a San Gaspar Chajul, Guatemala; imprese sociali dei Sem Terra e di altri “esclusi dallo sviluppo” in Brasile; attività degli immigrati in Italia e progetti di ritorno, ad esempio 113 114 in Senegal. Il portafoglio prestiti di ETIMOS sarà nei prossimi anni composto da una percentuale sempre più rilevante di attività “nei Sud” del mondo, con l’obiettivo di fornire servizi finanziari e di consulenza alla microimpresa, ai progetti di microcredito e ai produttori del commercio equo e solidale. ECONOMIA SOCIALE, BANCHE, FINANZA ETICA, ENTI LOCALI: PROPOSTE OPERATIVE INTRODUZIONE Luca Bellandi Regione Toscana La Regione Toscana, nella mia persona, coordina questa sezione che ha non a caso ha un titolo e un riferimento preciso al rapporto fra terzo settori, istituzioni e credito. La Regione Toscana ha inteso partecipare ed incentivare questo convegno perché si colloca all’interno di un complesso di rapporti e in una dimensione in cui deve tro v a re collocazione anche la politica del credito. Come Regione Toscana abbiamo attivato una serie di nuovi strumenti e abbiamo reso evidenti alcune scoperte, novità e fatti che ormai la crisi del Welfare State pone in rilievo. Abbiamo recepito il dato ormai evidente della crisi dei servizi sociali, di un modo di erogazione dei servizi sociali. Abbiamo recepito come evidente la necessità con il terzo settore di un rapporto che deve sempre privilegiare il partenariato e non più il rapporto di semplice committenza attraverso strumenti contrattuali. Abbiamo, e questo è il fatto particolare, recuperato a pieno la dimensione locale. Si è parlato di come il gruppo e l’identità locale costituisca uno strumento di garanzia per l’accesso al credito e quindi anche per le politiche di sviluppo sul versante istituzionale. Perché poi è questo il nostro compito. Abbiamo trasferito tutte le competenze del sociale agli enti locali non delegato ma trasferito e gli enti locali hanno la titolarità piena. Abbiamo mantenuto come regione i compiti e le mansioni e funzioni di programmazione che debbono svolgersi a livello locale autonoma- 117 118 mente gestiti, sulla base di indirizzi e scelte di carattere generale, dai soggetti locali, per lo sviluppo in loco -che poi non sono altro che gli enti locali-. Questo è un altro passaggio necessario che mi sento in dovere di sottolineare. I comuni e gli enti locali si organizzano attraverso piani di zona in cui scattano tutte quelle modalità di rapporto che vanno inventate spesso fra terzo settore e soggetti istituzionali. É un problema che ho vissuto facendo parte del gruppo che collabora a redigere la messa in atto del piano sanitario e del piano di zona, alla dialettica spesso complicata, difficile e a volte estremamente fluida che c’è nelle diverse situazioni della Toscana. Però qui sta la novità e qui si deve misurare anche la struttura del credito. Noi abbiamo un progetto che nel nostro piccolo è un progetto di sviluppo e di disseminazione della banca etica. Un progetto di formazione e comunitario di carattere inter regionale svolto in collaborazione con l’Emilia Romagna e che ha come obiettivo, non tanto la costituzione di una banca etica. Ci siamo infatti limitati a sottoscrivere delle quote, però intendiamo provvedere ad un’attività di formazione e predisposizione di strutture tecniche a questa diffusione sul territorio inserendo questo strumento all’interno dei piani territoriali. Vedete bene, lo dico per inciso, che anche la Fidi Toscana deve operare così: il funzionario che ieri ha spiegato l’attività della Fidi toscana non ha detto che lo strumento del fondo di dotazione della Fidi Toscana si inserisce ed è previsto che si inserisca dentro le politiche di pianificazione del territorio sulla nostra legge 72. Abbiamo in più, ed è un elemento che mi preme in particolare di sottolineare, uno strumento di intervento diretto della Regione. Quindi da un lato la programmazione zonale dei comuni con p a r t i c o l a re rapporto ma sempre rapporti di autonomia e mai di subordinazione e un partico- l a re strumento regionale che viene chiamato “ p rogramma di iniziativa regionale” e che riguarda in un caso specificamente le reti di solidarietà. Con questo programma la regione interviene nel rispetto del principio di sussidiarietà cioè riconoscendo che è necessario che ci sia la dimensione regionale per poter re a l i z z a re ed esplicitare. Si intende intervenire così per promuovere e rendere appunto espliciti strumenti di sostegno alle organizzazioni del terzo settore e in particolare per stabilire le modalità di rapporto diverso fra strutture ed organizzazioni del terzo settore ed istituzioni. Uno strumento previsto all’interno di questo programma sono i “patti territoriali” che è una novità su cui merita soffermarsi. É importante perché la dimensione istituzionale che può apparire in alcuni casi un po’ condizionante nei patti territoriali si riduce notevolmente. Ci sono dentro le istituzioni, i sindacati, i soggetti del terzo settore e insieme si stabiliscono modalità nuove di erogazione di servizio, interventi di carattere di emergenza -come può esserlo il problema degli emigrati-. Si prevedono forme nuove di partenariato e di sperimentazione di nuove attività. Questo ha anche una ricaduta in termini occupazionali, a mio avviso, perché è nell’ambito di questo patto e particolare rapporto che si stabilisce fra i soggetti istituzionali e le forze sociali, sindacati, soggetti formalmente non organizzati, diverse forme di erogazione di servizio e di attività. Si riesce per tanto a coprire nicchie e zone dove non è possibile intervenire con la politica normale. Abbiamo un progetto comunitario anche sulle banche tempo. Questa novità si sta rivelando di grande attrazione per i giovani e specialmente per le donne. 119 120 “TERZO SETTORE E CREDITO: PROSPETTIVE POSSIBILI” Nuccio Iovene –Segretario generale del Forum del Terzo settoreÉ ormai evidente che, nel nostro Paese, sul terzo settore si riversino grandi aspettative, sia in termini di crescita dell’occupazione sia in termini di risposta a bisogni sociali emergenti; bisogni ai quali lo stato, le istituzioni, il mercato, non sono in grado di rispondere attraverso la creazione di comunità, di coesione sociale, di identità sociale. Le richieste e le aspettative nei confronti delle organizzazioni del terzo settore, rispetto a questi problemi, sono sempre più insistenti e importanti. Francamente spaventa che sulla gracile struttura del terzo settore possano concentrarsi problemi tanto rilevanti e indubbiamente sproporzionati. Occorre rebbe, perciò, fare maggiore attenzione alle effettive potenzialità e alla realtà concreta che esso può rappresentare. Pensare che il terzo settore possa essere la soluzione a tutti i mali sociali e a tutte le emergenze di questo fine secolo sarebbe ingeneroso. Ciò non toglie che una parte fondamentale di questa realtà ha già giocato e gioca tuttora un ruolo rilevante. Questa precisazione può sembrare tesa a ridimensionare le aspettative ma avverto veramente il rischio di un’enfasi che potrebbe risolversi in delusione. Dobbiamo invece avere un quadro ben preciso della situazione e dei suoi possibili sviluppi. Passiamo allora ad analizzare i fatti concre t i . Non c’è dubbio che il terzo settore, in particolare in Italia, è in grande crescita e dagli ultimi dati fornitici dall’IREF, emerge una situazione assai dinamica. L’ISTAT ha istituito il primo gruppo di indagine sul terzo settore poco tempo fa. Non disponendo di dati ufficiali, che comunque sarebbero indispensabili e utili per progettare il futuro e capire meglio la realtà del terzo settore, ci basiamo quindi su quello che diversi istituti di r i c e rca autonomamente hanno realizzato nel corso degli ultimi 10 anni. Quando ha cominciato a circolare la consapevolezza che il terzo settore potesse avere una rilevanza anche economica ed occupazionale nel nostro Paese, a metà degli anni ’90, ci si basava sui dati che L’IRS, l’Istituto di Ricerca Sociale di Milano, ed in particolare Giampaolo Barbetta aveva estrapolato all’interno di una ricerca internazionale coordinata dalla Johns Hopkins University di Baltimora. L’indagine metteva in relazione realtà e paesi diversi (12 per l’esattezza, di cui 5 sviluppati e 7 in via di sviluppo) sui quali, con parametri simili, si prendevano in considerazione le realtà del terzo settore. È emerso che in Italia c’erano, nel ’91, oltre 400.000 occupati a tempo pieno nel terzo settore, pari all’intero settore del credito e delle Assicurazioni nel nostro Paese. È un dato rilevante a cui si aggiungono circa 300.000 volontari equivalenti tempo pieno e quindi, in realtà, corrispondente ad un aggregato di almeno tre milioni di persone di fatto coinvolte. Un contributo tutt’altro che trascurabile e comunque non ancora paragonabile a quanto già si era determinato in altri paesi europei presi in esame. L’Italia infatti risultava l’ultimo tra i paesi sviluppati. Da allora abbiamo disquisito sempre su quei dati. L’IREF quest’anno ha tentato un aggiornamento e finalmente, anche attraverso l’impegno dell’ISTAT nel censimento e al lavoro di rilevazione del prossimo futuro, che la nuova ricerca che la Johns Opkins University ha ampliato a 22 paesi, l’Italia disporrà di dati più attendibili e rilevanti. Comunque le nuove valutazioni del IREF indicano che nel giro di 6 anni la crescita del terzo settore è stata notevolissima. Dai 400.000 occupati a tempo pieno si è passati a 690.000 con una per- 121 122 centuale di occupazione che sfiora il 3.5%. Questi dati, rilevanti in se, lo sono maggiormente se inseriti nel contesto socio economico che questo paese vive; sul fatto che da anni la disoccupazione si sia stabilizzata al 12.5%, che si continui a verificare una perdita di posti di lavoro nei settori tradizionali e non si intravedano al momento soluzioni o inversioni di tendenza significative. Il terzo settore è invece un settore in crescita. Spesso, affrontando il tema della crescita e del contributo all’occupazione, i primi ad essere preoccupati e a sottolineare aspetti problematici sono stati proprio i soggetti del terzo settore. In più occasioni abbiamo ripetuto, e noi del Forum ne siamo convinti, che il terzo settore non nasce per creare occupazione. Sicuramente non è questo il primo obiettivo. L’occupazione è l’effetto di un’azione che ha altri obiettivi: fare crescere la partecipazione dei cittadini, tutelare i diritti, offrire servizi, costruire comunità, dare una risposta ai bisogni sociali, cioè alle emergenze sociali più impellenti. La c rescita dell’occupazione è semplicemente il frutto di questa attività. Non può quindi essere scambiato il fine con il mezzo e soprattutto, quando si mette in campo una strategia per la crescita del terzo settore nel nostro paese, non si deve scambiare il soggetto di riferimento e gli obiettivi che questo persegue; si rischiere b b e altrimenti di “drogare” una crescita e provocare danni invece che risultati positivi. Il terzo settore è cresciuto anche in assenza di particolari norme di sostegno nel corso di questi anni. È cresciuto in visibilità e radicamento, in consapevolezza tanto da darsi anche uno strumento di rappresentanza e coordinamento, di confronto al proprio interno e di capacità di interlocuzione nei confronti del governo e del parlamento. Il Forum Permanente del Terzo Settore è un esperienza che non ha eguali all’estero e rappre- senta una delle novità, uno dei punti di forza del terzo settore. Nel nostro paese questo processo di coordinamento e di rafforzamento delle realtà del terzo settore è andato avanti anche sul versante, non meno importante, della crescita di consapevolezza, di essere e sentirsi sistema. Come sistema ha la necessità, quindi, di servizi finanziari, di consulenza amministrativa, di certificazioni di qualità e così via. Non è un caso che nello stesso periodo in cui si è sviluppato il lavoro comune del Forum Permanente, del suo moltiplicarsi in tante esperienze regionali e locali, è maturata l’esperienza di Banca Etica, si è consolidato il marchio di garanzia del commercio equo-solidale “TransFair”; è nata l’agenzia del terzo settore Aster-X. Sta nascendo la mutua del terzo settore “Unaterra”. Potrei citare tante esperienze e realtà in cui forze diverse per storia, tradizioni, cultura, radicamento, hanno deciso di cooperare per costruire una struttura di servizio unitaria. In un mondo per lungo tempo vissuto di auto re f e renzialità e auto sufficienza è un passo avanti notevolissimo e molto rilevante. Vedremo i frutti che darà nel prossimo futuro. Tra questi punti di riferimento, tra questi elementi, certamente gli aspetti del finanziamento, dell’auto finanziamento e del credito sono quelli più importanti. Il terzo settore si è mosso in due direzioni. Da un lato quello di diversificare sempre di più le fonti del proprio finanziamento, cercando di ridurre la dipendenza da un unica fonte, sia essa il rapporto con il pubblico e con le istituzioni o l’autofinanziamento legato alla quota associativa. Si sono messe in campo, a questo scopo, delle attività in grado di equilibrare i propri bilanci, indirizzate alla capacità di raccolta fondi, attraverso lo sviluppo della progettualità per l’accesso a finanziamenti europei e per l’erogazione di servizi. Si è cominciato a porsi il problema di un 123 124 vero e proprio marketing sociale, attraverso l’erogazione di beni e servizi, finalizzati al sostegno delle attività sociali a cui si fa riferimento. È ovvio che le singole associazioni hanno operato con maggiore o minor efficacia. Questo comunque è stato il fenomeno comune che ha spinto ad i n t e r rogarsi, a seguire corsi di formazione e occasioni di incontro per misurare esperienze nuove su questo campo. Inoltre si è aperto tutto il tema dell’accesso al credito. Chi ha fatto associazionismo o volontariato negli anni ‘80, sa come era trattato dal sistema creditizio tradizionale. Prima ancora della facilità o meno dell’accesso al credito, c’era un problema di comunicazione, di linguaggio, di comprensione di quale fosse il mondo di riferimento e quali esigenze e problemi potesse avere. In seguito subentravano gli altri aspetti, quelli appunto di ottenere fiducia da parte dell’istituto di credito e quindi di avere i finanziamenti a certe condizioni, spesso subendo meccanismi più o meno vessatori. Non c’è dubbio che la crescita di consapevolezza e il cambiamento di mentalità circa il terzo settore nasce dalle aspettative che ha suscitato. Da questo punto di vista il primo risultato concreto è senz’altro la Banca Etica. Nel nostro Paese Banca Etica è stata una realtà che, ancor prima di essere operativa, ha prodotto risultati concreti a favore del terzo settore. I 22 “pazzi” che 3 anni fa costituirono l’associazione finanza etica e poi la cooperativa verso la Banca Etica lanciarono una grande sfida, prima di tutto a loro stessi e alle loro associazioni. Si trattava di raccogliere 12 miliardi e mezzo di capitale sociale e di dare vita alla prima banca alternativa. Arrivavamo con qualche ritardo rispetto ad esperienze straniere e soprattutto cominciavamo ad operare in una realtà assolutamente distante dalle tematiche della finanza etica, tranne poche lodevoli eccezioni prevalentemente concentrate nel nord Italia e legata alla rete delle MAG. Per il resto, nel sistema bancario tradizionale e nella stessa esperienza dell’organizzazione del terzo settore, si era sviluppato una sensibilità al tema della finanza etica. Mentre i fondi etici si scambiano a Wall Street già da un decennio, in Italia non avevano avuto cittadinanza nemmeno quelli legati all’ambiente, nonostante un movimento ambientalista significativo. Il primo risultato ottenuto da Banca Etica è stato proprio aver costretto tante banche tradizionali e tanti uomini del marketing ad interrogarsi e scoprire quello che definiscono un nuovo target di riferimento. Questo penso sia stato il primo vero successo. Comunque ero consapevole allora, come lo sono oggi, che Banca Etica, per quanto possa funzionare bene, da sola non sarà sufficiente a rispondere a tutti i problemi di credito che uno sviluppo serio del terzo settore porrà nel nostro Paese. Sono convinto che occorrerà una pluralità di soggetti i quali funzioneranno al meglio se la Banca Etica sarà forte e centrale in questo schieramento. Una Banca Etica rispetto alla quale tutti saranno costretti a misurarsi nelle loro scelte e azioni. È comunque sorprendente come negli ultimi 3 anni, dalla compagnia per lo sviluppo dell’impresa sociale promossa dalla Banca di Roma, alla messa in campo da parte di varie banche di prodotti cosiddetti etici, il panorama sia profondamente cambiato. Il problema del credito, quindi, è e sarà ancora di più, rispetto ad una crescita sostenuta per la quale lavoriamo nel terzo settore, decisivo e centrale. Lo abbiamo affrontato provando a darci uno strumento auto gestito, in grado di interpretare e rispondere pienamente ai bisogni che il nostro mondo di riferimento esprime. Questo è stata l’esperienza di Banca Etica. Da qui sono 125 126 emerse nuove opportunità che vanno sicuramente gestite e sulle quali occorrerà lavorare seriamente. Restano poi altri piani e altri livelli rispetto ai quali stiamo lavorando. Sicuramente c’è un problema di misure legislative e normative da mettere in campo rispetto al credito. In questi anni, ed in particolare nell’ultimo anno, abbiamo lavorato su due fronti. Inizialmente alla legittimazione del terzo settore che, senza coordinamento, stentava ad ottenere risposte concrete sulle scelte politiche, legislative e normative. Dal periodo che va dalla firma del patto per la solidarietà del 18/4/98, alla finanziaria ’99, al patto per lo sviluppo e l’occupazione (che si sta discutendo con le altre parti sociali e vedrà la firma di un protocollo di intesa aggiuntivo ed integrativo con il Forum del Terzo Settore), si è cominciato a definire un pacchetto di provvedimenti che prevedono anche il credito. Per esempio, nella finanziaria, si è riusciti ad estendere le agevolazioni previste per le piccole e medie imprese alle imprese sociali. Tra queste c’è il regolamento che dovrà essere definito ma il tema del credito è uno dei tipici strumenti attraverso i quali si è sostenuta la piccola e media impresa del nostro Paese. C’è poi il famoso discorso dei titoli di solidarietà inseriti nel Decreto legislativo 460/97, quello sulle Onlus, che riguarda in specifico il sostegno a quegli istituti di credito che emetteranno titoli di solidarietà attraverso un meccanismo di defiscalizzazione. Il ministero del tesoro e il governo sono in ritardo su questo punto. Non hanno infatti emanato il decre t o relativo e noi stiamo lavorando perché ci sia una misura immediata anche perché ci interessa rispetto alla partenza, prevista per l’8 marzo, del primo sportello di banca etica. In verità noi avevamo lavorato affinché questa misura fosse sostanzialmente diversa. La richiesta fatta al governo, nell’ambito del patto dello sviluppo e occupazione, di monitorare l’andamento della 460, di capirne i risultati prodotti, e quali problemi avesse aperto, era volta ad intro d u r re , entro la scadenza del 2° anno, possibili modifiche e correttivi così come previsto dalla legge delega. Chiedevamo di intervenire utilizzando la leva fiscale non per premiare l’istituto di credito che emetteva il titolo di solidarietà ma per p re m i a re il comportamento del consumatore che si orientava verso i titoli di solidarietà preferendoli ad altri titoli e ad altre scelte. Offrire la defiscalizzazione al singolo risparmiatore quindi, premiando il comportamento virtuoso del cittadino. Su questo stiamo insistendo e c’è una partita aperta con il ministero delle finanze proprio nell’ambito del pacchetto di proposte avanzate per il patto per lo sviluppo che riguarda tutti questi aspetti. C’è la necessità, inoltre, di dare vita ai consorzi fidi. Abbiamo cominciato a lavorarci tre anni fa. Avevamo chiesto di dare su questo tema un segnale di risposta, di disponibilità e di interesse alla lega delle cooperative, al mondo di COOP consumo ma, dopo un primo accenno di interesse, questi soggetti hanno lasciato cadere la questione. Oggi il problema si presenta in tutta la sua forza ed urgenza e riguarda anche i rapporti con le istituzioni locali, le re g i o n i . Comunque la crescita delle opportunità e le possibilità di accesso al credito come strumento finalizzato alla realtà del terzo settore non può che aumentare e moltiplicarsi. Infine c’è il problema delle fondazioni bancarie con il quale concluderei il mio intervento. È un tema ancora sottovalutato anche dalle organizzazioni del terzo settore. Credo non ci sia piena consapevolezza di ciò che le fondazioni bancarie possano rappresentare, nel prossimo futuro, per le realtà del terzo settore e per la loro fisio- 127 128 nomia. Per questo occorre tentare di recuperare i ritardi il più celermente possibile. Le fondazioni bancarie sono nate quasi per caso, come lo stesso ministro Amato che ne ha avviato la costituzione in previsione della privatizzazione del sistema bancario del nostro paese, ha sostenuto. In effetti quando si è pensato alla privatizzazione del sistema bancario nessuno ha seriamente considerato cosa sarebbero divenute le fondazioni, nate come soluzione al problema di privatizzare le casse di risparmio e gli istituti di credito di diritto pubblico, 88 fondazioni, 55.000-60.000 miliardi di patrimonio stimato, un intervento annuo in base alla redditività che è fra le più basse del mondo, di circa 2500 /3.000 miliardi di lire l’anno. Se consideriamo le risorse pubbliche che lo stato riesce ad investire su temi sociali diviene evidente l’entità e la rilevanza che ha il tema delle fondazioni bancarie. Il problema è che le fondazioni bancarie, in particolare i protagonisti attuali delle fondazioni bancarie, non hanno alcun interesse a svolgere il mestiere che gli sarebbe proprio. C’è invece interesse a mantenere il controllo delle banche di riferimento. In questi anni, hanno fatto di tutto per mantenerne fortemente intrecciati i rapporti a fronte dei tentativi di spingerle, attraverso fortissimi incentivi fiscali e direttive, verso la separazione. La nuova legge sulle fondazioni bancarie, che poi è una legge delega approvata in seconda lettura alla camera, è una legge che ha stemperato ulteriormente i labili contorni e le indicazioni che aveva nei confronti delle fondazioni bancarie. Si è introdotta addirittura la possibilità che le fondazioni bancarie operino per lo “sviluppo economico locale”, un’attività propria del credito che quindi si sovrappone ai compiti fondamentali che le fondazioni avr e b b e ro . Lasciando la possibilità che le fondazioni siano presenti anche nei pacchetti di controllo delle banche, inoltre, si è messo in forse quel processo di separazione dei destini delle fondazioni bancarie e delle banche di riferimento, che poi era uno degli obiettivi fondamentali della legge. La legge del resto non aveva risolto il problema della natura delle fondazioni lasciando loro la possibilità di operare sia come fondazioni di erogazione e di finanziamento (come avviene nell’80% dei casi nel mondo), o come fondazioni operative. Non solo gli attuali amministratori delle fondazioni sono particolarmente attenti a mantenere il controllo sulle banche, ma di fatto amano fare il mestiere dei banchieri invece che quello di gestori di fondazioni, che sarebbero rilevantissime per lo sviluppo sociale dei territori. Le fondazioni di erogazione, per altro, sono una realtà che non esisteva in Italia fino al ’91. Fino ad allora le fondazioni erano basate su patrimoni scarsissimi e fortemente operative, legate alla gestione di una attività. Solo la legge sulle fondazioni bancarie ha fatto emergere un modello che poteva essere paragonabile a quello degli Stati Uniti d’America o di altre realtà. Così nel giro di 8 anni la fondazione CARIPLO, per consistenza patrimoniale, è divenuta la più grande fondazione del mondo. Se consideriamo, nel bene e nel male, quello che producono la fondazione Rockefeller, Soros e le altre, si possono discutere la qualità e gli indirizzi degli interventi, ma non certamente le dimensioni o l’impatto che esse hanno. Per il terzo settore è chiaro come il problema sia rilevantissimo. Dunque queste fondazioni non solo vogliono continuare a fare le banche, ma vogliono anche gestire in proprio gran parte delle attività. Anziché far crescere una professionalità specifica nella capacità di erogazione, che significa costruirsi come struttura leggera, in grado di leggere il territorio ed i suoi bisogni sociali, individuare i soggetti e gli oggetti meri- 129 130 tevoli di finanziamento, essere di supporto alle realtà sociali locali, di fatto costituiscono strutture burocratiche elefantiache, dai costi molto elevati, e con un rapporto squilibrato tra costi, operatività e benefici sociali. Uno squilibrio evidente tra quanto serve per sostenere la fondazione e quanto viene investito per l’utilità sociale a cui dovrebbe essere chiamata; inoltre senza nessun c o n t rollo e trasparenza e con diseguaglianze enormi tra centro-nord e sud. L’80% degli investimenti fin qui realizzati dalle fondazioni bancarie sono concentrati al nord, il 18% è concentrato nel centro e solo il 2% al sud del nostro paese, con il paradosso che là dove ci sono istituzioni forti, una società civile più ricca e servizi più efficienti si somma anche l’intervento delle fondazioni mentre dove è presente una società più disgregata, in difficoltà, istituzioni sicuramente meno funzionanti e meno traspare n t i , manca anche l’intervento delle fondazioni. P e rciò assecondare questo processo significa accentuare gli squilibri storici e tradizionali del nostro Paese. Intervenire per modificare questi indirizzi dal punto di vista legislativo è l’obiettivo che il Forum sta perseguendo, chiedendo, una volta approvata la legge, che almeno i decreti delegati tengano conto di questi problemi, di queste perplessità e di queste questioni. In ogni caso questa non è più una partita che si gioca a livello nazionale, sui tavoli parlamentari. È necessario attivare la capacità del terzo settore di chiedere conto delle attività delle fondazioni nei loro territori, di invocare la trasparenza nelle erogazioni – piuttosto che costruirsi il canale riservato per avere qualche briciola – e sull’impatto sociale che l’attività delle fondazioni sviluppa a livello territoriale, oppure riuscire a costruire un meccanismo attraverso il quale si garantisca una rappresentanza del terzo settore nei futuri organi di indirizzo delle fondazioni previsti dalla legge; altrimenti questa partita rischia di essere persa. Per le dimensioni e l’entità del problema, il futuro del terzo settore rischia di essere in parte snaturato. Noi viviamo in un Paese nel quale il terzo settore è radicato fortemente sul territori e basato sulla partecipazione dei cittadini, un terzo settore popolare che rischierebbe invece di essere, nella sua struttura originaria, modificato da parte delle fondazioni a propria immagine e somiglianza. Queste sono sfide rilevantissime per il futuro e quello che chiediamo agli altri ed in particolare alle fondazioni dovremo, a maggior ragione, pretenderlo da noi stessi. Non è un caso che il Forum del Terzo Settore stia lavorando, fra le altre cose, ad una carta della donazione come strumento per incentivare i cittadini a sostenere l’attività del terzo settore tramite le donazioni e, al tempo stesso, dare garanzie ai cittadini rispetto alla trasparenza e alle finalità con cui la raccolta fondi viene realizzata. Per prevenire i troppi casi di truffa perpetrati in nome della solidarietà non bastano e non servono i controlli delle forze dell’ordine o degli uffici pubblici. Serve soprattutto l’aumento della consapevolezza dei cittadini che donano di avere dei diritti e la capacità di trasparenza e responsabilità delle associazioni che ricevono. Questi due aspetti sono ineludibili affinché non si crei confusione. Un processo di crescita, sviluppo e una fase costituente è ancora pienamente aperta nel nostro paese per il terzo settore. Fortunatamente questi ne ha piena consapevolezza e si sta dando gli strumenti, pur con qualche limite ed errore, per affrontare la fase che abbiamo di fronte. Il credito è uno degli aspetti fondamentali di questa crescita e di questo sviluppo. La questione del credito però non si risolve unicamente con l’esperienza centrale, decisiva e fondamentale di 131 132 Banca Etica, ma attraverso la messa in campo di vari strumenti e soprattutto con l’ambizione di voler cambiare, contribuire a cambiare il comportamento e il modo di funzionare del sistema del credito tradizionale del nostro Paese. Non è una piccola ambizione ma io credo che varrebbe la pena tentare. “PROGETTO MICROCREDITO: IL CONTRIBUTO DEL COMMERCIO EQUO” Marco Noris, Consorzio CTM-Altromercato La collaborazione tra CTM e ETIMOS (CTMMAG), in questi anni, ha creato sinergie grazie alle quali il settore finanziario e il settore comm e rciale, hanno saputo darsi re c i p ro c a m e n t e molti contributi. In questo senso si sono potute sviluppare delle pratiche originali per quanto r i g u a rda la cooperazione sia nel commerc i o equo che nella finanza etica. Per comprendere meglio la convergenza del percorso sviluppato da questi due settori dell’economia sociale, partiamo da alcuni dati significativi. La crescita del commercio equo è costante: ogni anno nella sola Europa abbiamo un incremento di botteghe del fair trade che si aggira intorno al 20%. Attualmente in questi punti vendita sono impegnati circa 60.000 volontari e 4.000 lavoratori. Questo è l’importante risultato dei 30 anni di storia del movimento; ma tale dato passa addirittura in secondo piano se consideriamo che il coefficiente fatturato/produzione del commercio equo è tale da creare nel sud del mondo un’occupazione ben 150 volte superiore di quella creata dal commercio tradizionale. Ciò significa che a livello mondiale, considerando il fatturato complessivamente prodotto dal commercio equo di circa 600 milioni di dollari, il numero di occupati nel fair trade è pari a quello creato da un volume di fatturato di 90 miliardi di dollari del commercio tradizionale. Tali dati sono noti agli operatori del commercio equo e portano una riflessione sulle dimensioni e sulle potenzialità del movimento più approfondite di quelle che fino ad ora sono state fatte. Si impone anche un cambiamento nella considerazione e nell’approccio all’analisi di questo mondo: è importante sottolineare che si è passati da una fase nella quale 133 134 veniva proposta la testimonianza di economia solidale ad una più matura dove si è cominciato a costruire un vero e proprio laboratorio di economia alternativa. All’interno di questo laboratorio l’esperienza italiana di CTM e ETIMOS merita una posizione di rilievo: importante è stata la specifica scelta di limitare il ricorso al tradizionale sistema creditizio per il soddisfacimento dei bisogni operativi del commerc i o equo, primo fra tutti il prefinanziamento dei produttori, uno dei principi cardini del commercio equo stesso. La peculiarità di questa esperienza presuppone una presa di coscienza dell’importanza dell’atto finanziario come prima fase del processo economico e soprattutto del suo predominio gerarchico sulle seguenti funzioni di produzione e di consumo. In questo senso è utile sottolineare che il movimento del commercio equo in Euro p a come nel mondo è stato una delle voci più critiche per quanto riguarda l’attuale sistema dei consumi e ha saputo proporre concretamente un’alternativa produttiva attraverso il mercato di sbocco delle proprie botteghe; ma è altrettanto utile sottolineare che la sua azione è stata spesso carente dal punto di vista della ricerca delle fonti finanziarie alternative esponendosi al rischio di veder minata la propria indipendenza dal sistema creditizio tradizionale. L’importanza del fattore finanziario nel commercio equo va comunque al di la della semplice ricerca delle fonti finanziarie alternative. In tale direzione serve un’analisi più approfondita, soprattutto per quanto riguarda le implicazioni culturali e progettuali. Innanzi tutto, se si vuole costruire un vero laboratorio di economia alternativa, lo si può fare prendendo coscienza dell’importanza del fattore finanziario e della sua funzione specifica. Questa coscienza deve essere diffusa e cementata all’interno del movimento del com- mercio equo e questo vale tanto per gli operatori quanto per i consumatori. Ma è soprattutto dal punto di vista progettuale, in particolare sul versante degli impieghi nel Sud mondo, che uno s t retto legame fra commercio equo e finanza etica può produrre gli effetti più significativi. Possiamo affermare che il movimento del commercio equo ha consentito in questi anni il raggiungimento di una vita dignitosa per milioni di persone facendo nascere e crescere un sempre maggior numero di produttori. Si può dire che il commercio equo è stato il motore primo di una rinascita in termini sia economici che culturali di una progettualità che era ed è tuttora negata dalla destrutturazione operata dal sistema economico dominante. Gli effetti di questa rinascita hanno portato ad oggi una crescita e un consolidamento di numerose attività produttive che richiedono un’attenzione particolare in relazione a nuove esigenze che si sono venute a creare per i nostri produttori e partner nel sud del mondo. Per quanto riguarda il versante finanziario è sorta una nuova domanda non più semplicemente rivolta all’attività di prefinanziamento commerciale ma legata anche a esigenze di trasformazione e di crescita diverse. É fondamentale rispondere anche a queste domande dando quella spinta necessaria a provocare il salto di qualità per l’intero sistema. In particolare sarebbe importante saper promuovere un’azione economica che vada al di là, per esempio, della semplice produzione orientata all’esportazione. In tale direzione, a partire dalle condizioni di vita rese migliori dal commercio equo, è importante saper pro m u o v e re un’attività più completa e specificatamente rivolta all’auto sviluppo delle realtà produttive del fair trade. Concretamente già oggi CTM si trova a rispondere alle nuove esigenze dei produttori. Ad esempio la Dezign Inc., nostro produttore dello Zimbabwe, intende 135 136 trasformarsi in un’azienda controllata direttamente dai lavoratori e per questo chiede il nostro intervento finanziario a livello di partecipazione di capitale. Un esempio analogo, in Cile, lo rileviamo con i produttori di miele che facevano capo alla fondazione Fundesval: da pochi mesi i lavoratori hanno costituito una cooperativa, Apicoop, con lo scopo di acquistare macchinari e immobili dalla fondazione stessa. Questi due esempi non hanno rilevanza solo in termini di promozione di impresa che le centrali di commercio equo possono intrapre n d e re a favore dei loro produttori ma hanno una valenza culturale molto significativa. In questi casi specifici i produttori chiedono la possibilità, attraverso lo strumento finanziario, di poter rispettare, nel modo più completo possibile, uno dei principi cardine del commercio equo e solidale, cioè la partecipazione diretta del lavoratore alla vita dell’azienda anche dal punto di vista decisionale. In tal senso la scelta effettuata da CTM di pro c e d e re alla raccolta di capitale e risparmio, può essere vista anche alla luce di queste nuove richieste. CTM in particolare, al di là dell’attività di prefinanziamento, è intenzionata a raccogliere capitale principalmente in due direzioni: una interna per un suo bisogno volto alla capitalizzazione e al rafforzamento patrimoniale sia della centrale che delle singole realtà di commercio equo a partire dalle botteghe e l’altra esterna cioè una raccolta di capitale più legata alle esigenze dei suoi produttori con un occhio di riguardo al microcredito. Questo ultimo indirizzo è di particolare rilevanza poiché vuole coniugare l’esperienza specifica del commercio equo con le vaste potenzialità della m i c rofinanza. In questo contesto l’esperienza italiana crea un terreno forse più fertile che altrove. Dal punto di vista operativo l’azione combinata di microcredito e commercio equo può portare a significative evoluzioni: non è azzardato ipotizz a re nel medio/lungo periodo una re l a z i o n e virtuosa fra microcredito e commercio equo che porti addirittura al superamento della dipendenza dal prefinanziamento nella sua forma attuale grazie all’appoggio e alla creazione di strutture finanziarie locali nel Sud del mondo, autosostenibili, in grado di rispondere direttamente alle esigenze dei produttori. I vantaggi che deriverebbero dalla concretizzazione di questa ipotesi sono evidenti sia in termini economici che culturali. In primo luogo la creazione di un’organizzazione finanziaria legata ai produttori consentirebbe un miglioramento in termini di tasso di interesse dell’azione di finanziamento e l’abbattimento sia dei costi che dei rischi di cambio; questi benefici si potrebbero tradurre in nuove e più diffuse attività di sviluppo per intere aree. In secondo luogo l’autosostenibilità finanziaria o perlomeno una relativa indipendenza da fonti esterne, potrebbe favorire la nascita di un corrispondente mercato interno per gli attuali produttori di commercio equo con la conseguenza di limitare i rischi di una produzione che in questo momento è rivolta prevalentemente all’esportazione. In generale si può dire che un’azione così combinata e rivolta all’auto sviluppo comporterebbe un balzo in avanti non solo per il mondo del commercio equo ma anche per quella che è la concezione delle pratiche concrete della cooperazione internazionale. Ed è in questa direzione che il consorzio CTM-Altromercato vuole portare avanti quelle che sono state definite le iniziative equo solidali: non solo commercio equo ma anche l’attivazione di tutti quegli interventi culturali ed operativi in grado di coinvolgere il maggior numero di soggetti attivi a vario titolo nella cooperazione internazionale, dalle orga- 137 138 nizzazioni di finanza etica al mondo dell’associazionismo in generale. Per poter portare avanti tale azione, sarà importante avere un approccio mentale teso sempre di più al dialogo e al confronto: solo dal necessario scambio di esperienze tra le singole realtà e dalla valorizzazione delle loro specificità culturali ed operative si potrà costru i re una pro g e t t u a l i t à comune. Cercherò di mettere in luce le necessità e i problemi che riguardano il soddisfacimento del fabbisogno finanziario da parte di una particolare i m p resa sociale come quella che si occupa di commercio equo. Per la sua caratteristica commerciale questo tipo di impresa potrebbe sembrare più favorita rispetto ad altre che si occupano prevalentemente di servizi. Ieri affermavo che uno dei principi cardini del commercio equo è il prefinanziamento ai produttori. Questo significa che nel momento in cui si stipula un contratto è necessario prefinanziare circa il 50% della merce ordinata. Ciò comporta una prima necessità finanziaria piuttosto consistente alla quale poi si aggiungono tutta una serie di costi che vanno a pesare sull’intera struttura. Innanzi tutto per la particolare tipologia di commercio che svolgiamo e per il tipo di produttori che abbiamo, dall’ordine della merce e relativo prefinanziamento, agli acquisti delle botteghe, i tempi sono decisamente molto lunghi soprattutto per quanto riguarda il rientro dell’impegno finanziario (per alcuni prodotti possono superare addirittura i 18 mesi). Questo implica una serie di costi molto alti, in primo luogo di magazzino. Altro punto critico sono i margini piuttosto bassi che caratterizzano l’attività delle organizzazioni di commercio equo. La spiegazione spesso non risiede nel prezzo equo pagato al produttore ma in altri fattori: ad esempio vi sono molti prodotti, come quelli agricoli, sui quali gravano dazi di importazione piuttosto pesanti grazie al protezionismo attuato in questi anni dall’Europa attraverso la politica agricola comunitaria. Inoltre, sottolineando in particolare la formazione del prezzo dei prodotti agricoli, la politica protezionistica europea nel settore è stata la principale causa dell’abbattimento dei prezzi nel mercato mondiale; non va dimenticato, infatti, che l’Europa è il secondo produttore e consumatore mondiale di prodotti agricoli. Naturalmente dobbiamo conciliare in questi casi due esigenze fondamentali: quello del mantenimento del prezzo equo pagato al produttore e quello del mantenimento di un prezzo di vendita che ci consenta di rimanere nel mercato. A tutte queste componenti (prefinanziamento, impossibilità di avere grossi margini, problemi di magazzino ecc.) si somma la complessità tipica della struttura interna di una organizzazione di fair trade; qualcuno all’interno del movimento ha riassunto così la nostra situazione: da un lato abbiamo un fatturato da piccolo supermercato di provincia e dall’altro una complessità operativa da multinazionale. Non bisogna poi dimenticare che la politica di prefinanziamento comporta sempre per le centrali di commercio equo un indebitamento che tende ad essere strutturale in assenza di una forte capitalizzazione e di un forte rafforzamento patrimoniale della struttura. Questa situazione rischia di rendere non bancabile anche una struttura affermata nel proprio mercato come quella di CTM. Per quanto riguarda in particolare l’accesso al credito a fronte di fabbisogni finanziari, generalmente di medio periodo, l’esperienza europea di altre centrali del commercio equo ha mostrato come in passato abbiano faticato ad ottenere i finanziamenti necessari dagli istituti di credito. 139 140 C’è da dire che in Italia l’esperienza è stata leggermente diversa. Il lavoro comune fra CTM e ETIMOS (CTM-MAG) che presupponeva l’accesso alla fonte della finanza etica, aveva in parte risolto il problema e, a livello culturale, aveva portato una maggiore consapevolezza dell’importanza dell’atto finanziario come motore primo di tutto il processo economico. Esistono inoltre una serie di problematiche che vanno a sommarsi alle precedenti. Un esempio molto concreto è l’acquisto di un nuovo magazzino che CTM ha recentemente concluso e che sposta, quindi, i tempi medi del fabbisogno finanziario: la crescita e lo sviluppo del commercio equo comporterà senz’altro un aumento degli indebitamenti di lungo periodo. Anche per questo motivo l’inizio della raccolta interna al consorzio CTM-Altro m e rcato di risparmio e capitale e, in pratica, l’apertura all’auto finanziamento, sono fondamentali. Possiamo affermare, alla luce di tali valutazioni, che se un particolare tipo si impresa sociale come CTM che può vantare ogni anno tassi di crescita di fatturato, necessita per svolgere la sua attività di risorse finanziarie esterne così consistenti, il problema si presenta in misura anche più pressante per tutta una serie di realtà dell’economia civile e del terzo settore in generale. Le soluzioni praticabili: da un lato Banca Etica dovrebbe risolvere in parte questo problema ma non basta. Da questo punto di vista il volontariato rimane ancora oggi la principale risorsa di un mondo che attualmente non è in grado di autosostenersi. Un altro aspetto importante, da non sottovalutare per il mondo dell’impresa sociale e dell’associazionismo in generale, è il mantenimento, o meglio l’incremento del radicamento sul proprio territorio. In tal senso il trasferimento da parte dello Stato dei compiti dell’economia civile agli enti locali, può portare una conver- genza di interessi ed operativa tra str u t t u re imprenditoriali dell’economia civile ed enti locali stessi che, in caso di collaborazione e di progettualità comune, potrebbero disporre di ulteriori risorse finanziarie. Concludo riassumendo quelle che a mio parere possono essere le strade possibili alla soluzione del problema delle fonti finanziarie per l’impresa sociale: la finanza etica, in particolare Banca Etica, che si pone come il soggetto più importante in tale contesto, e la collaborazione progettuale con le strutture pubbliche, in particolare con gli Enti Locali. Ritengo comunque che la ricerca dell’auto sostenibilità economica, soprattutto sul versante finanziario e sul rafforzamento patrimoniale delle singole realtà, sia di primaria importanza per tutto il settore: in particolare, nelle realtà cooperative, il coinvolgimento della base nel risparmio sociale e nella capitalizzazione della s t ruttura diventano fondamentali e sono la migliore salvaguardia dell’autonomia, dell’indipendenza e della continuità progettuale per ogni organizzazione. 141 142 “IL RUOLO DEGLI ENTI LOCALI FRA CREDITO E TERZO SETTORE: FORME DI GARANZIA” Marcello Bucci Presidente Anci Toscana Il mio intervento aggiunge un ulteriore punto di vista alle tematiche fin qui illustrate. C’è da analizzare infatti il problema di come la crescita del terzo settore interroghi il sistema delle autonomie affrontando tre questioni: La 1° è quella del ruolo e responsabilità che il sistema delle autonomie ha rispetto alla crescita e la realtà di questo soggetto. La 2° riguarda la partecipazione e la modalità di partecipazione del terzo settore alla definizione delle politiche locali. La 3°, in fine, è quella che riguarda le questioni relative all’affidamento dei servizi, il rapporto di servizio che si stabilisce fra il sistema delle autonomie e le realtà del terzo settore. Partirei da una sottolineatura che ha me sembra particolarmente importante in questo momento, cioè il rilievo istituzionale che la crescita del terzo settore può rivestire. Noi siamo in una fase in cui lo stesso sistema delle autonomie è impegnato alla rideterminazione della propria fisionomia, delle proprie attribuzioni e responsabilità. Siamo davvero in pieno processo di decentramento amministrativo che presenta sicuramente degli elementi importanti di novità ma che non può dirsi ancora concluso e il cui esito non è assolutamente scontato. Esso è caratterizzato da molte contraddizioni e soprattutto dal riemergere costante di forti tentazioni e da forti resistenze centristiche. Tuttavia è un processo particolarmente significativo per i soggetti e le realtà su cui oggi discutiamo. Il motivo è che un decentramento di potere e un maggiore potere alle autonomie significa, intanto, avvicinare lo stato alle comunità, quindi arricchire la possibi- lità delle molteplici forme di partecipazione dei cittadini e per tanto le potenzialità dello sviluppo della cittadinanza attiva. Mi sembra che, in estrema sintesi, questo possa essere il senso di un processo che credo debba vedere fortemente i n t e ressato anche il mondo del terzo settore rispetto agli esiti del federalismo o di decentramento delle competenze verso il sistema delle regioni e delle autonomie. Si tratta di stabilire modelli più ricchi e articolati di organizzazione del sistema di relazioni fra stato e società civile ma ciò avviene in modo assolutamente contraddittorio dovendo confrontarsi con re s i s t e n z e centralistiche ancora forti. Qualcuno ha parlato di un federalismo preterintenzionale. A me sembra più che si tratti di essere presenti ad un federalismo di espoliazione, in cui si passano ai gradi bassi dell’organizzazione statale le questioni che scottano senza delegare poteri, strumenti e risorse. Questa è la fase in cui siamo: crescono le responsabilità del sistema delle autonomie mentre non cresce in misura equa la possibilità di autonoma determinazione e i poteri. Qui è il punto di crisi. Un sistema fortemente decentrato dello stato che abbia al centro, soprattutto nel rapporto con i bisogni fondamentali dei cittadini, il sistema delle autonomie locali è un punto particolarmente rilevante. Si tratta di affermare il principio della sussidiarietà che non deve risolversi esclusivamente all’interno del rapporto fra le istituzioni dello stato. Non è una questione che riguarda soltanto le competenze fra lo stato centrale, le regioni, le provincie e i comuni. É qualcosa che implica immediatamente e direttamente un rapporto con la società e quindi con i cittadini, facendo attenzione però al rischio che il principio di sussidiarietà possa significare anche un indebolimento e un venire meno del senso di responsabilità dello stato e del pubblico rispetto ai diritti dei cittadini. La tenta- 143 144 zione potrebbe essere di affidarsi a una presunta capacità di auto organizzazione del cittadino singolo o di fare riferimento, pressoché esclusivamente, alla famiglia che, per altro, mi sembra fortemente in difficoltà nello svolgere anche le funzioni tradizionali. C’è quindi il problema di costruire un processo di decentramento basato sulla sussidiarietà. Ciò significa mettere in campo soggetti che non sono solo istituzionali o pubblici senza far venire meno la responsabilità dei soggetti istituzionali e pubblici. Questa è, a mio parere, la ragione per la quale il processo di crescita del terzo settore assume un fortissimo rilievo nei confronti dei meccanismi di riforme istituzionali nel nostro paese. Ritengo perciò sbagliato considerare il ruolo del terzo settore in funzione sostitutiva o comunque residuale rispetto ad un pubblico che fugge le proprie responsabilità per difficoltà finanziarie o per incapacità di articolare una risposta modellata sulla diversificazione della domanda. Sarebbe un modo inadeguato di affrontare il problema e per collocare le funzioni, il ruolo, le responsabilità del terzo settore. Il volontariato, l’associazionismo, la cooperazione sociale rappresentano, pur con ruoli e funzioni diverse, uno strumento importante per riartic o l a re le funzioni dello stato e del pubblico, senza venire meno quel principio di responsabilità pubblica. C’è una prima area di questioni che si pongono. Siamo in presenza di una realtà nella quale il mercato non è in grado di soddisfare domande e bisogni diffusi che riguardano il benessere sociale, la qualità dell’ambiente, della ricchezza e la varietà delle relazioni umane. Ugualmente lo stato per i problemi che conseguono alla crisi fiscale, alle sue rigidità non può dare risposte soddisfacenti. Al interno di queste difficoltà stanno per intero le autonomie locali, alle quali si attribuiscono, proprio su questo terreno, responsabilità crescenti. Mi sembra allora di poter sottolineare come lo sviluppo delle autonomie abbia bisogno della crescita del terzo settore. Parte da qui una prima questione che giustifica, motiva e legittima gli interventi delle amministrazioni locali che le chiama in causa rispetto alla crescita e alla qualificazione del terzo settore; non soltanto come intervento assistenziale o di riproposizione di forme più o meno aggiornate di collateralismo ma con una forte implicazione di tipo istituzionale che riguarda il modello e il funzionamento delle nostre istituzioni. Questo a maggior ragione in presenza di una trasformazione dei comuni all’interno di questo processo e di attribuzione di responsabilità. Il comune deve cambiare e modificare le proprie funzioni. Il comune non può più gestire direttamente servizi e interventi come ha fatto fino ad oggi, non solo nelle aree in cui tradizionalmente si sono sviluppate le società di gestione ma anche in queste aree che riguardano spesso i servizi alla persona. Avvertiamo una difficoltà crescente ad essere all’altezza delle domande che vengono presentate; perciò i comuni devono essere sempre meno gestori e sempre più assumere una funzione di governo, di indirizzo, di controllo, di programmazione, di scelta fra le diverse opzioni che alla comunità locale si presentano. C’è un problema di riorganizzazione delle gestioni di una serie di servizi; portandoli all’esterno rispetto alla gestione diretta delle amministrazioni pubbliche ne consegue il problema delle garanzie, del controllo della qualità delle prestazioni, della scelta degli interlocutori a cui affidare queste competenze e responsabilità. Questa è un’area molto vasta all’interno della quale può e deve inserirsi l’economia sociale perché c’è un problema di arricchimento e quali- 145 146 ficazione delle prestazioni. Molto spesso siamo concentrati nella determinazione e l’individuazione degli ambiti di intervento sul tema più specifico dei servizi sociali e credo che occorra cominciare a guardare anche ad altre aree, per esempio l’ambiente o la cultura, la comunicazione sociale ecc.. Io credo che il quadro di opportunità e necessità su cui stabilire rapporti fra la realtà dei comuni e il sistema del terzo settore sia in pro g ressiva crescita e che riguardi aspetti e parti importanti della qualità della vita delle città. C’è poi il problema che riguarda le risorse. Assistiamo anche nelle nostre realtà toscane, in cui tutto sommato il sistema dei servizi ha livelli di qualità relativamente elevati, ad un progressivo abbandono della gestione diretta per ragioni di compatibilità dei bilanci e di difficoltà economiche. La questione delle risorse si pone con grande forza. Una delle discussioni ricorrenti, che emergono con le cooperative sociali o le organizzazioni che offrono servizi, riguarda la modalità di affidamento di questi, la contestazione delle forme di gara impostate sul massimo ribasso ed esclusivamente sul prezzo. Credo che sia una critica molto giusta. Come associazione dei comuni insieme alle altre associazioni delle autonomie e alle associazioni impre n d i t o r i a l i abbiamo sottoscritto un protocollo di intesa con la regione Toscana per la questione dei criteri di organizzazione degli appalti per l’affidamento dei servizi, che abbandona il criterio del massimo ribasso. Questo criterio nasce, però, da una necessità determinata dallo squilibrio della disponibilità di risorse che il sistema delle autonomie, in particolare i comuni, debbono reperire per fronteggiare una domanda sociale crescente. É un punto dolente perché nella realtà dei comuni della Toscana la spesa per interventi sociali è relativamente elevata. É una spesa su cui, tra l’altro, si fanno gravare, a mio avviso impropriamente, anche oneri che dovrebbero stare altrove. Un elemento rilevante, una base di partenza importante per la qualificazione del sistema sanitario regionale è che la regione toscana raggiunga il pareggio nel bilancio sanitario. Il raggiungimento del pareggio del bilancio sanitario ha, infatti, conseguenze sulla disponibilità delle risorse dei comuni. Il pareggio del bilancio sanitario regionale è ottenuto, in effetti, scaricando una parte rilevante della spesa sanitaria sui comuni. Quell’area fra la spesa sanitaria e sociale è stata attribuita ai comuni che se ne stanno facendo carico. Una parte delle prestazioni sanitarie che hanno implicazioni di tipo sociale comportano un aggravio delle pre s t a z i o n i richieste ai comuni e al loro intervento. La diminuzione delle degenze negli ospedali significa immediatamente, per una fascia di popolazione, una crescita di interventi di assistenza domiciliare. C’è stato insomma, nel corso di questi anni, una sostanziale diminuzione dell’intervento della regione nell’area sociale e a carico e danno dei comuni. É un problema che si riflette immediatamente nella necessità, a fronte di domanda crescente, di trovare le forme e i meccanismi che spesso sono di integrazione e affidamento di servizio al massimo ribasso. Una ostacolo che dobbiamo cercare di superare ma che ha appunto questa implicazione relativa alla disponibilità delle risorse che non può non essere considerata. Credo che una parte di questi p roblemi debbano essere aff rontati andando verso una qualificazione della spesa sociale. Ci sono ancora, in effetti, margini di recupero anche nella qualità della spesa dei comuni. Per esempio attraverso forti elementi di integrazione dei diversi canali di spesa che spesso si sovrappongono o non si integrano per raggiungere un 147 148 effetto moltiplicatore che invece sarebbe possibile attraverso uno sviluppo territoriale di scambi. La progettualità di un area sopra comunale è ciò a cui punta la recente legge regionale per i servizi sociali. Quindi ricerca della possibilità di una razionalizzazione, della qualificazione della spesa anche attraverso un maggiore sforzo della stessa regione rispetto alla spesa sociale. All’interno di questo ragionamento una possibilità per abbandonare la strada che guarda solo al prezzo e impostata sul massimo ribasso implica responsabilità anche del terzo settore, dell’impresa sociale. Se abbandoniamo il criterio del massimo ribasso, avremo bisogno di un’impresa sociale in grado di qualificarsi e misurarsi sul terreno dell’affidamento e della qualità. Si pone pertanto il problema della capacità dell’impresa sociale di rispondere e misurarsi con criteri di valutazione della qualità delle prestazioni e di determinati standard. C’è necessità di sviluppare un lavoro serrato su questi temi perché la determinazione dei criteri di valutazione della qualità nei confronti dei servizi pubblici e in particolare dei servizi alla persona è uno dei meccanismi e degli strumenti che possano consentire di superare le condizioni e i limiti della gestione diretta e al tempo stesso le contraddizioni che si determinano quando il ragionamento si concentra solo sul prezzo. La determinazione di questi criteri, però, non può percorrere semplicemente i criteri di soddisfazione del cliente utilizzati tradizionalmente dall’impresa privata perché siamo in presenza di prestazioni che richiedono valutazioni molto differenziate. Ciò è un terreno di discussione sul quale i comuni, le realtà del terzo settore devono cominciare a lavorare e sperimentare insieme. Trà l’altro si sta discutendo anche nella giunta regionale toscana, la questione dei buoni servizio. Bisogna affrontare il problema dell’accredita- mento e la valutazione della qualità dei parametri e degli standard. Per fare questo c’è bisogno di un’impresa sociale che sia in grado di crescere. É una responsabilità del pubblico, della regione e del sistema delle autonomie sostenere e determinare le condizioni che aiutino l’impresa sociale a qualificare la propria struttura, la propria presenza e capacità. Attraverso quali strumenti? Penso che l’intervento degli enti pubblici per le garanzie sul credito, per gli aspetti finanziari siano un punto importante ma non quello centrale dell’intervento, non quello più rilevante tra le possibilità che i comuni e gli enti pubblici possono avere. Credo che ci sia la necessità di una chiara individuazione delle possibili aree di intervento e l’affermazione di un criterio di programmazione che garantisca continuità e certezza. Tale condizione è necessaria affinché si possano mettere in piedi dei processi di qualificazione dell’impresa in grado di ammortizzare una serie di investimenti che debbono essere fatti. Quindi programmazione, certezza, continuità, rispetto al rapporto che si stabilisce L’oscillazione annuale nella determinazione delle aree di servizio da affidare è un elemento che certamente non aiuta a far crescere il sistema. Il criterio di selezione e affidamento è collegato a modalità di controllo e di valutazione delle prestazioni che siano oggettive, verificabili, confrontabili e trasparenti. All’interno di questo contesto credo che ci sia la possibilità e la necessità di intervenire anche con strumenti di sostegno diretto quali l’orientamento, la formazione, la consulenza. Siamo ora impegnati alla costituzione di sportelli unici per le imprese che dovrebbero diventare punti di orientamento per impiantare, sui territori comunali, realtà imprenditoriali. Ritengo che all’interno degli sportelli unici per l’impresa, debbano 149 150 esserci anche quegli strumenti di informazione, supporto e consulenza specifici alle esigenze dell’impresa sociale per l’accesso alla pubblica amministrazione e come punti di contatto. Ci sono infine le questioni relative al sostegno per il credito all’impresa sociale. Le sollecitazioni che ci sono pervenute riguardano la possibilità di partecipazione dei comuni all’alimentazione e alla costituzione di fondi per consorzi di garanzia. In questo senso diviene importante poter disporre di alcuni elementi legislativi, normativi e di coordinamento regionale. Si tratta però di intervenire su terreni delicati. Leggevo stamani di una situazione che non è eccezionale e che si sta verificando fra l’azienda sanitaria fiorentina e le organizzazioni che svolgono, in convenzione, servizi per l’azienda, le quali hanno accumulato un credito di circa 10 miliardi. Ciò determina una situazione di grave difficoltà perché le risorse che mancano, debbono essere coperte attraverso il ricorso al credito ordinario e attraverso meccanismi di indebitamento. Alla luce di questi fatti penso che di fronte a difficoltà oggettive di bilancio, che possono determinarsi, devono scattare meccanismi di compensazione quali appunto l’intervento su fondi di garanzia per il credito, il sostegno alla banca etica ecc. Ritengo che uno strumento particolarmente importante, a cui pensano alcune aree della Toscana, sia quello dello sviluppo di patti territoriali per la qualità dello sviluppo sociale. Questa soluzione è coerente con gli indirizzi e i criteri di integrazione che stanno alla base della legge regionale 72 la quale può implicare integrazioni settoriali. Penso, ad esempio, alle potenzialità che si aprono con l’approvazione della legge di riforma della gestione del patrimonio residenziale pubblico. La regione toscana ha fatto la scelta di attribuire la competenza della gestione, la titolarità del patrimonio residenziale pubblico, ai comuni. Il che significa la possibilità di riportare all’interno di criteri di gestione e programmazione degli interventi sociali un patrimonio significativo. Molte possibilità ci sono sia all’interno dei nuovi soggetti gestori sia nella determinazione di progetti innovativi in questo campo di integrazione e lavoro comune con le realtà del terzo settore. Mi è stato presentato, tempo fa, un progetto per gruppi e persone sole che, pur non avendo bisogno di assistenza hanno la necessità di org a n i z z a r s i insieme con modelli abitativi che garantiscono spazi di autonomia con servizi comuni e che potrebbero, all’interno di una gestione innovativa del patrimonio residenziale pubblico, trovare risposte adeguate appunto in un rapporto di scambio e di interazione con realtà del terzo settore. L’altro aspetto che, a mio avviso, rende importante il patto territoriale è quello del coinvolgimento di soggetti diversi. Per esempio il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali che spesso, rispetto a queste tematiche, rappresentano, più che un elemento di propulsione, di sviluppo e di crescita, l’elemento di freno. É un soggetto particolarmente importante come lo è la questione delle fondazioni bancarie. Io credo che quello sia il terreno su cui anche le fondazioni bancarie debbono essere chiamate. Questa partita si gioca nell’arco di pochi mesi, da qui all’attuazione dei decreti da parte del governo. Credo che si debba affermare con forza che i titolari delle decisioni di un patrimonio così rilevante, destinato a crescere, debbono essere, non più i tradizionali soggetti che gestiscono le fondazioni bancarie con nomine a vita, ma i soggetti che sul territorio hanno le maggiori responsabilità rispetto alle domande sociali, alle auto- 151 152 nomie e delle associazioni del volontariato, della cooperazione ecc. A tale proposito dobbiamo cercare di superare la disattenzione da parte dei comuni rispetto alle fondazioni. I sindaci già partecipano alle fondazioni in quota minoritaria e poco influente dal punto di vista numerico ma è vero anche che, fino ad oggi, non hanno svolto la funzione di chiedere conto della trasparenza. Forse questo è un vizio sia dei comuni che delle associazioni: l’attenzione alla spartizione dei contributi, all’elenco dei beneficiari, ha prevalso rispetto alla necessità di impostare l’iniziativa politica e istituzionale che trasformi il ru o l o delle fondazioni bancarie. Non è un caso la latitanza e il silenzio che su questo tema si avverte perché di beneficiari ve ne sono tanti ma il problema è di ricostruire il sistema. Credo che questo possa essere un terreno di iniziativa immediata su cui l’associazione dei comuni è disposta a lavorare insieme alle associazioni e alle realtà del terzo settore. Noi stiamo p romuovendo un’iniziativa affinché in tutti i consigli comunali si discuta di questo problema e credo che potrebbe essere interessante promuovere l’intesa con le associazioni che fanno riferimento al forum del terzo settore e trovare modalità significative di iniziativa. Concludo sottolineando come il rapporto fra il sistema delle autonomie e il terzo settore sia un rapporto che incide sul modello di assetto dello stato che noi stiamo costruendo e sugli esiti che questo avrà. CONCLUSIONI “FINANZA ETICA ED ENTI LOCALI: UNA PARTNERSHIP PER PROMUOVERE L’ECONOMIA SOCIALE E SOLIDALE” Francesco Terreri, direttore di Altrafinanza, rivista del Consorzio Etimos (già direttore di Altreconomia) Dai contributi che abbiamo ascoltato è venuto fuori un profilo dell’economia sociale dai confini molto più ampi di quelli tradizionalmente immaginati. Il professor Zamagni, non a caso, parla di economia civile, ovvero della società civile che si organizza in campo economico. Abbiamo visto che l’economia civile, sociale, solidale spazia dalle attività di servizi alla persone alle imprese sociali, dal commercio e dalla finanza etica alla produzione socialmente ed ecologicamente compatibile. Gli amici di Accion International ci hanno spiegato che, nel caso dei programmi di microcredito - e lo stesso per molti aspetti si può dire del fair trade, il commercio equo e solidale - è un obiettivo etico in sé quello del riscatto e della dignità dei più poveri, che si cerca di ottenere con attività di mercato a condizioni di mercato, consentendo però agli esclusi di avere quelle opportunità, come l’accesso al credito, che oggi vengono loro negate. Tutto questo costituisce una sfida per il mondo bancario e finanziario, e sicuramente la nascita di Banca Etica, e anche solo l’annuncio di questo progetto, ha mosso le acque. Perché quando noi parliamo di economia sociale e della sua relazione con il credito e con il settore finanziario, non stiamo parlando solo di come si può sostenere finanziariamente qualche cliente impossibile delle banche. E in generale il non profit non deve, a mio parere, correre il rischio di fare da tappabuchi del sistema finanziario. L’economia sociale, l’attivazione economica di soggetti poveri, cosiddetti non bancabili, ecc. offrono oggi a tutta 153 154 la società dei beni ulteriori rispetto ai beni materiali, a volte dei beni pubblici e spesso quelli che Zamagni ha chiamato “beni relazionali”. Il problema quindi per il sistema finanziario non è solo cosa si debba fare per quei soggetti fino ad ora rimasti tagliati fuori dal credito, ma anche capire come questo si riverbera sulla stessa attività finanziaria “normale”, e cioè: quale attività finanziaria dobbiamo concepire perché la società abbia ha disposizione ulteriori beni pubblici o relazionali, delle opportunità ulteriori di miglior a re la vita di tutti? Questa è una domanda generale che credo il sistema finanziario si debba porre. Finora la risposta del mondo bancario è stata insoddisfacente. Le stesse Fondazioni, citate nel dibattito, non sono ancora entrate nell’idea di essere un veicolo di risorse per l’economia civile. E al di là dell’aspetto quantitativo, di quante risorse le Fondazioni bancarie oggi destinano al non profit, c’è l’aspetto qualitativo: non c’è ancora una cultura dell’istruttoria etica, o di quella economica eticamente orientata. Che poi rimanda ad una “antica” carenza del sistema bancario italiano: la difficoltà a valutare i progetti d’impresa, e non solo il patrimonio di chi chiede un p restito. La novità della finanza etica si nota soprattutto sotto questo aspetto. Oggi infatti alcune differenze tra finanza etica e finanza tradizionale potrebbero sembrare attenuate. Prendiamo la questione dei tassi di interesse, che era un grosso ostacolo per l’economia sociale fino a poco tempo fa. La selezione del credito operata con i tassi penalizzava infatti soprattutto le piccolissime imprese e le imprese sociali. Oggi sembra che la cosa non sia più un grande problema perché c’è una tendenza alla diminuzione del costo del denaro, in cui ha giocato un ruolo importante l’integrazione europea e la nascita dell’euro. Tuttavia attenzione alle facili generalizzazioni: se parliamo di microimprese e di produttori nei paesi in via di sviluppo, in questa fase i prezzi delle materie prime agricole sono in caduta libera, molto più dei tassi di interesse, e quindi anche tassi che a noi paiono bassi sono pesanti, in termini reali, per il Sud del mondo. Comunque la situazione, almeno per il terzo settore in Italia, sembra migliore. Esistono opportunità di finanziamento agevolato per il capitale fisso delle imprese sociali, delle cooperative sociali. C’è però il problema di come finanziare il capitale circolante, che è un problema grosso in alcuni casi. Pensiamo a quei progetti in cui c’è un finanziamento del Fondo sociale europeo, che arriva al momento del rendiconto, o comunque in una fase successiva all’effettuazione del progetto, lasciando quindi scoperta l’impresa sociale per un certo periodo. Vi è poi il grosso problema delle garanzie. A fronte di tutto questo la finanza etica offre qualcosa di diverso rispetto alla finanza tradizionale. Senza dubbio dei tassi di interesse sostenibili. Sicuramente meccanismi di garanzia basati sulla re s p o n s a b i l i z z a z i o n e personale e comunitaria piuttosto che sul patrimonio, e quindi più accessibili. Alla fin fine però l’impressione è che la vera differenza tra queste proposte nuove di finanza e la finanza tradizionale sia nel fatto che la finanza etica fa una cosa che le banche fanno poco o per niente: la promozione di impresa sociale, l’accompagnamento dello sviluppo dell’impresa in generale e dell’impresa sociale in particolare. È quel mix, di cui si è parlato, tra fiducia, progettualità e gestione del rischio il vero specifico della finanza etica. Pensiamo alle iniziative di microfinanza, in cui il rapporto con il micro i m p re n d i t o re, il valore, economico e sociale, del progetto e la verifica di efficienza del mercato consentono di fare credito ai più poveri, agli esclusi dallo sviluppo. 155 156 È in un contesto in cui la finanza e la banca si pongono delle domande sul senso del loro lavoro che Regioni ed enti locali, le istituzioni più vicine ai cittadini, possono meglio trovare un ruolo nella promozione dell’economia sociale. Certo, la tradizionale “scusa” dei problemi di bilancio oggi viene alimentata dal ridimensionamento della spesa pubblica. Lo scarico di responsabilità ancora troppo di frequente caratterizza i rapporti tra i diversi enti, soprattutto quanto le questioni - settori sociali marginali, povertà, soggetti “non bancabili” - sono difficili. È stato detto, giustamente, che occorre passare, nei rapporti tra enti locali ed economia sociale, alla valutazione della qualità del servizio, del progetto, dell’iniziativa, sulla base della quale decidere il sostegno. Questa della qualità dei servizi, della loro valutazione sulla base della rispondenza alle esigenze dell’utenza è, per la verità, un problema generale del settore pubblico, oltre che del privato sociale. Comunque siamo sulla strada giusta: svolgere una sorta di istruttoria etica, valutare le conseguenze. È per questo che oggi è importante rafforzare dei rapporti di partnership tra enti locali, economia sociale e finanza etica e socialmente orientata. Partnership su progetti: è la tematica dei “patti territoriali”. Patti territoriali per la qualità dello sviluppo sociale, dunque. Ma il patto territoriale deve essere un’assunzione di responsabilità, non un modo di tirare soldi dal centro. Significa far convergere diverse risorse (pubblico, Fondazioni, risparmio etico), precisare le idee forza e le destinazioni, valorizzare l’autorganizzazione dei soggetti più deboli, promuovere l’impresa sociale, pensare al credito agevolato, ma ancor più al microcredito. E a livello locale possono essere rinnovati anche gli strumenti della solidarietà internazionale. Gli Enti Locali potrebbero ad esempio collaborare ai progetti di microfinanza nel Sud del mondo con Banca Etica, il Consorzio Etimos, le ong, sia traducendoli in veri e propri progetti di cooperazione decentrata, sia con specifiche iniziative come la costituzione di fondi di garanzia per finanziamenti e per l’avvio di nuove “banche e imprese dei poveri”, le partecipazioni in capitale a queste istituzioni di microfinanza o a microimprese, la promozione di sbocchi di mercato e di collaborazioni commerciali (commercio equo e solidale) con piccole realtà del Sud del mondo. Gli ingredienti da cucinare sono, appunto, la fiducia, la progettualità, la gestione del rischio, con l’obiettivo di migliorare, più ancora che condizioni economiche, i legami sociali, di rendere la finanza, il mercato, lo Stato amici delle persone. 157 159 APPENDICE REGIONE TOSCANA Giunta Regionale FONDO SOCIALE EUROPEO “PARCO PROGETTI: UNA RETE PER LO SVILUPPO LOCALE” Programma 970033/1/1 Operativo Multiregionale Programma 970034/1/1 Operativo Multiregionale Regione proponente: REGIONE TOSCANA Titolo del progetto: Creazione di nuova occupazione attraverso la promozione della finanza etica e la nascita di nuove imprese cooperative di servizi finanziari per lo sviluppo dell’economia sociale. (Ammesso a finanziamento con D.D. n. 363/III/98) 161 160 2. SCHEDA DI DESCRIZIONE SINTETICA DEL PROGETTO INTERREGIONALE 1 2.1 Analisi delle motivazioni, degli obiettivi e dei destinatari L’azione proposta si inserisce nel quadro delle attività per la strutturazione della finanza etica in Italia. La finanza etica risponde fondamentalmente a due nuove tipologie di bisogni: da una parte la creazione di organismi finanziari di supporto a quelle entità economiche (cooperative sociali, associazioni, ONG, ecc.) che difficilmente possano accedere al credito e al mercato dei capitali, dall’altra parte, la richiesta s e m p re più pressante e quantitativamente significativa di risparmiatori che cercano un utilizzo del proprio denaro finalizzato alla solidarietà, ad opere e ad attività con forte contenuto etico (cooperazione terzo mondo, protezione delle categorie deboli, commercio equo e solidale, altre attività solidaristico/sociali) e, più in generale, mirino a sostenere una qualità della vita migliore, qui ed ora. In Italia la finanza etica fino ad oggi si è espressa su scala locale attraverso l'esperienza delle diverse MAG (Mutua Auto Gestione), fatta eccezione della realtà CTM-MAG di Padova che attraverso le Botteghe del Terzo Mondo ha una diffusione capillare su tutto il territorio nazionale. In altri paesi europei per esempio, in Germania (Ökobank), in Belgio e in Olanda (Triodos BK), in Svizzera (RAFAD e ABS), nei Paesi Bassi (EDCS). La finanza etica si è strutturata con vere e proprie strutture bancarie alternative alla finanza tradizionale. É in questa panoramica che anche in Italia oggi sta nascendo la Banca Etica, che aggrega un grande numero di attori sociali tra cui sindacati, cooperative sociali, enti locali, banche popolari, associazioni di tutela e controllo, associazioni culturali mutue autogestite ed altre tipologie di ONG con forte radicamento locale e con una dimensione economica/sociale rilevante. L'obiettivo del presente progetto è la promozione sul territorio della finanza etica nelle sue molteplici modalità e la creazione di occupazione, sia tramite la nascita di nuove imprese, sia tramite il potenziamento di realtà già esistenti che si occupano da tempo di raccolta e impiego etico di capitali. Tali soggetti si specializzeranno inoltre anche in altri servizi come la ricerca applicata all'economia non profit e la consulenza gestionale su aspetti contabili e amministrativi. Le caratteristiche di multiregionalità si estrinsecano in alcune attività chiave che hanno loscopo di raggiungere la massima efficienza dell'intervento, realizzare economie di scala e armonia dell'intervento su tutti i territori regionali dove avviene l'intervento. In particolare, la multiregionalità si realizza in quelle attività che sono estranee al carattere precipuo del territorio dove si svolgono, e più in particolare: • la progettazione complessiva delle dispense dell'intervento • l'ideazione e la redazione delle dispense didattiche • la strategia complessiva di comunicazione, diffusione e comunicazione e più in particolare: 163 162 • disegno e strategia di marketing • materiali grafici (arte) • riproduzione pieghevoli • partecipazione a fiere e convegni • convegni e seminari • pubblicazioni • pagine www Complessivamente, la multiregionalità impegnerà una percentuale della spesa complessiva pari al 25-30%. Note 1Questa scheda, da compilare solamente dnel caso di progetto interregio nale, deve contenere informazioni generali sul progetto complessivo. Per quanto riguarda i sotto progetti regionali che lo compongono dovranno essere compilate anche le successive schede del formulario. 3. DESCRIZIONE SINTETICA DEL PROGETTO REGIONALE E DEL SOTTO PROGETTO INTERREGIONALE 3.1 Analisi del contesto di riferimento Nonostante il mondo economico e finanziario siano ancorati alle leggi del mercato e del profitto, più di qualcuno ha iniziato a guardare "al terzo settore" non più solo come settore rispetto allo Stato e al mercato o valido solo dove questi falliscono, ma come ad un soggetto autonomo con una propria proposta socio-economica: l'economia civile e solidale. In termini quantitativi, in tutta Europa è in rapida crescita il peso economico, oltre che sociale, che il terzo settore sta progressivamente assumendo. La crescita è giustificata da un insieme di cause strutturali e contingenti: da una parte la globalizzazione, la forte competi- tività del sistema economico internazionale tendono, sul breve periodo, ad emarginare gli strati di popolazione incapaci di adattamento ed impongono soluzioni che il mercato classico non è in grado di dare; dall'altra parte, sono nati nuovi bisogni, nuove esigenze che nessun mercato per il momento può soddisfare; tutta una serie di servizi alla persona o all'ambiente non sono facilmente monetizzabili o erogabili a condizioni standard di mercato. All'interno di questo quadro, le forze più vitali dell'economia sociale rispondono erogando i servizi e soddisfacendo le necessità più impellenti. Il cosiddetto terzo settore è in tumultuosa crescita, sia nel resto del mondo; solo in Iatlia, nell'ultimo periodo, il terzo settore ha creato molte aziende e molti occupati. Di fronte a questa situazione economica, il terzo settore, tuttavia, soffre di alcune strozzature che impediscono un efficace sviluppo competitivo; molto spesso le imprese del terzo settore sono sottocapitalizzate, non hanno il circolante per permettere la ricerca e lo sviluppo, il livello di investimento è basso, il grado di dipendenza da lavori pubblici è molto alto. A completamento di questa realtà economico-finanziaria, l'accesso al credito delle imprese del terzo settore è quanto meno arduo: la struttura leggera, la mancanza di riserve finanziarie e/o di proprietà, impediscono di fatto il ricorso al credito bancario tradizionale; la provvista finanziaria necessaria viene ottenuta troppo spesso al di fuori dei canali bancari tradizionali. In questo contesto, risulta necessaria la creazione di strumenti a servizio e supporto del terzo settore; tali imprese di servizi e consulenze finanziarie, agendo sul mercato, si differenziano dal sistema bancario tradizionale per diversi aspetti: da una parte l'utilizzo totale dei 165 164 mezzi finanziari più innovativi (project financing) che dimensionando il finanziamento all'idea e al progetto e non esclusivamente alla p reesistente capacità finanziaria; dall'altra parte, pur rimanendo con la flessibilità e l'operatività dell'azienda totalmente privata, coagulando gli interessi di tutti i soggetti del settore nell'iniziativa (ONG, enti locali, ecc...). 3.2.1. Prima fase: Ideazione e progettazione Questa fase prevede la progettazione dell’intero percorso progettuale che include: • l’intervento formativo, • la creazione di imprese cooperative, • l’assistenza e l’accompagnamento • la promozione sul territorio • la disseminazione e la valutazione. 3.2 Contenuti Il programma di lavoro si articola in 4 linee principali: 1. Ideazione e progettazione. 2. Formazione: realizzazione del corso di formazione per i futuri membri della cooperativa. 3. Costituzione dell’impresa: messa a punto della cooperativa per il sostegno finanziario e di consulenza di impresa sociale. 4. Azioni di pr o m o z i o n e / c o m u n i c a z i o n e miranti a sviluppare la domanda locale: diffusione delle opportunità offerte da questa cooperativa, sia per i prodotti finanziari (raccolta rispermio e crediti), sia per i servizi di gestione d’impresa. Queste linee di lavoro si articolano in fasi da sviluppare per un periodo di tempo equivalente a 2 anni, per praticità organizzativa e per pemettere l’avvio della cooperativa già dopo il primo anno. Dopo un periodo di progettazione, si avvierà la formazione; seguirà la costituzione della cooperativa; quindi si avvierà la fase di promozione e comunicazione. Si prevede il coinvolgimento occupazionale di 5 persone in ambito regionale, legato all’utilizzazione delle figure professionali innovative formate. A tale impatto occupazionale, si aggiunge l’indotto creato dal maggiore flusso finanziario garantito nei confronti del terzo settoree. Questa prima fase avrà la durata di 4 mesi Le attività previste sono le seguenti: • Progettazione di: Formazione Creazione di imprese Diffusione • Realizzazione del materiale didattico e di pubblicità/promozione dei corsi • Identificazione delle sedi fisiche per lo svol gimento dei corsi e preselezione dei parteci panti al progetto. La progettazione della formazione La progettazione della formazione richiederà la compartecipazione dei docenti e la formazione di gruppi di lavoro sotto il coordinamento di un supervisore per la pragrammazione. In tal senso, il responabile del progetto individuerà i docenti interni ed esterni. Alla fine della programmazione didattica, che richiederà un periodo di due mesi circa, verrà elaborato il materiale didattico (dispense e manuali) da distribuire tra gli allievi. É prevista la p roduzione di una dispensa tematica per ognuna delle macr o - a ree formative (tre dispense in totale). La sede di corso si occuperà di preselezionare un numero congruo di partecipanti. Nello stesso periodo, verranno effettuate le 167 166 opportune attività di pubblicizzazione tramite inserzioni sulla stampa locale e annunci sulle radio e TV locali. In questa fase verranno coinvolti, nelle attività di pubblicizzazione dei corsi, anche gli enti locali responsabili della formazione. La fase di promozione-pubblicizzazione avrà una durata di due mesi. I prodotti di questa attività saranno: • il “programma didattico” verrà veicolato dal supervisore della programmazione a tutte le organizzazioni competenti territo rialmente; • il materiale didattico, sotto forma di tre dispense, verrà prodotto ed inviato alle organizzazioni competenti territorialmente; • il materiale promozionale elaborato verrà messo a disposizione delle organizzazioni competenti territorialmente; • verranno individuare le sedi logistiche ter ritoriali di svolgimento del corso, con indi cazione delle strutture e delle caratteristiche. zione di impresa • La programmazione e distribuzione terri toriale degli interventi degli esperti • L’individuazione delle apparecchiature e programmi software necessari per la gestione delle attività finanziarie. • L’elaborazione del percorso per la defini zione della fabbilità d’impresa. La progettazione della costituzione di impresa La progettazione della costituzione di impresa sarà svolta avvalendosi di un gruppo di esperti del settore, (sviluppo prodotti finanziari, pianifi cazione di impresa, aspetti giuridico-normativi), che permettano di mettere a punto il programma di accompagnamento della realtà cooperative che si formerà al termine del processo formativo. Verrà prodotto un manuale finalizzato all’illustrazione della costituzione di una cooperativa di tipo finanziario da applicare poi, da parte degli esperti che interverranno su questa linea di lavoro, alla cooperativa. Questo manuale integrerà le dispense distribuite nei corsi di formazione. I prodotti di questa attività saranno: • Il programma di consulenza per la crea - I prodotti di questa attività saranno: • Il programma di definizione per la stesura della pianificazione di marketing. • La programmazione e distribuzione terri toriale degli interventi con la cooperativa. • L’elaborazione del percorso per la defini zione della promozione e comunicazione delle cooperative sul territorio. La progettazione della diffusione La progettazione della diffusione (promozione della cooperativa sul territorio di appartenenza) sarà svolta vvalendosi di esperti di marketing sociale che metteranno a punto i p e rcorsi di indagine di mercato e di analisi degli strumenti di comunicazione. Allo stesso tempo, questi esperti dovranno pianificare gli interventi con la cooperativa, determinarne i tempi, l’organizzazione territoriale e le modalità. Dovranno prevedere anche gli output specifici per l’impresa. 3.2.2 Seconda Fase: Formazione: realizzazione del corso di formazione per i futuri membri della cooperativa. La seconda fase, della durata complessiva di sette mesi, riguarda l’organizzazione e la realizzazione di un corso di formazione n e l l a sede individuata in precedenza. Verrà nominata, di concerto tra il responsabile 168 e le organizzazioni partecipanti, una commissione di selezionatori che si occuperà della selezione delle domande pervenute e che condurrà un colloquio-intervista, di tutti gli allievi preselezionati. Al termine delle attività di selezione verranno identificati i nomi dei 20 partecipanti al corso con una lista di riserva di 5 candidati. L’attività corsuale sarà strutturata in un corso della durata complessiva di 484 ore a cui parteciperanno i 20 allievi selezionati, da svolgersi a cura e sotto la responsabilità dell’organizzazione locale in una sede territorialmene compatibile con l’area geografica coperta dall’organizzazione medesima. Una stretta sorveglianza e valutazione on-going verrà effettuata al fine di assicurare uno standard unico a tutti i corsi. Si realizzerà un corso della durata di 484 ore; al corso parteciperanno 20 persone. Il corso avrà la seguente composizione: AREE FORMATIVE AREA SOCIO CULTURALE ore 120 AREA TECNICO/ SCIENTIFICA ore 164 Acquisizione capacità organizzative AREA ORGANIZZATIVO FUNZIONALE SOECIALISTICA ore 200 SOECIALISTICA ore 200 Acquisizione abilità specialistiche 169 AREE DISCIPLINARI • Orientamento al profi lo professionale • Pari opportunità • Tecniche comunicazionali • Le organizzazioni non p rofit nella società e nell’economia italiana • Economia delle orga nizzazioni non profit • Diritto commerciale per gli enti ONP • Inglese professionalizzante • Informatica e teleco municazioni • Tecnica bancaria e finana ziaria • I servizi e gli strumenti finanziari • Legislazione sulla finanza sociale • Contabilità e tratta mento fiscale degli enti ONP • Marketing strategico e operativo • Tecniche comunicazio nali verso l’esterno • Organizzazione gestio ne e sviluppo di un’as sociazione • Analisi e controllo di gestione • Analisi dei progetti • Marketing finanaziario • Tecniche relazionali specialistiche • Project Work: idfeazio ne, analisi e presenta zione di un progetto per lo strat up 171 170 La programmazione esecutiva del corso verrà definita nella prima fase progettuale; la metodologia usata comunque priviligerà la socializzazione e la partecipazione attiva dei partecipanti, attraverso lavori di gruppo, spazi dedicati alla risposta di domandem sperimantazione e laboratori su tematiche specifiche, dibattiti e confronti. In particolare si farà ricorso ad e s e rcitazioni individualei e di gruppi, ro l e playing e simulazioni, ricerca-analisi individuale e di gruppo, progettazione individuale e di gruppo. Gli obiettivi didattico-formativi che il corso si prefigge, oltre all’appprendimento delle nozioni, sono: • abitudine all’autoanalisi critica; • abitudine al lavoro di gruppo; • sviluppo delle capacità di leadership ed organizzative; • abitudine al alvoro per obietivi; • corretta gestione del tempo e degli strumenti; • orientamento al mercato e al cliente; • sviluppo delle attitudini di imprenditorialità • Il corso verrà introdotto dallìesposizione del “patto formativo”, dalle finalità e dalle caratteristiche del corso, e dall’evidenzazio ne delle motivazioni e delle aspettative. • Un tutor sarà sempre presente ad accompa gnare il corso dal punto di vista organizza tivo r didattico; sarà anche a disposizione del personale non docente part-time, per la logistica del corso medesimo. • Data la natura intensiva del corso e l’area geografica ampia su sui ogni corso insiste, è prevista un’indennità di frequenza per ogni partecipante al fine di coprire le eventuali spese di viaggio e divitto che ogni parteci pante affronterà dalla propria residenza. • Alla fine del corso verrà effettuata una prova finale al fine di evidenziare il grado di soddisfazione e di trasmissione di com petenze del corso medesino. La valutazione dell’intervento formastivo sarà orientata prevalentemente alla rivelazione dei fattori di cambiamento o di innovazione in riferin mento al programma e agli obiettivi presta biliti. Verificare l’eficacia del progetto signi fica innanzitutto verificare se e in che modo struttura, metodologie didattiche, contenuti abbiano perseguito gli obiettivi del progetto. 3.2.3 Terza Fase: Costituzione dell’impresa: messa apunto della cooperativa per il sostegno finanziario di imprese sociale In questa fase si daraà avvio alla costituzione dell’impresa cooperativa. Sitratta di una cooperativa che si prevede composte da circa 3-5 persone. Si prevede un periodo di 7 mesi di tempo. Questa attività sarà potata avanti attraverso un gruppo di esprti che, insieme ai componenti della cooperatica, effettueranno tuti i passi necesari per arrivare alla costituzione. Si realizzerà quindi uno studio di fattibilità economica dell’impresa cooperativa, che includetrà gli aspetti di pianificazione delle attività, organizzazione del lavoro, necassità finanziarie, programazione con ipotesi di raggiungimento del punto di equilibrio. Insieme a questi aspetti, con gli esperti di questioni giuridiche e amministrative, si realizzeranno invece i passaggi per l’avvio delle attività e quindi i requisiti formali, messa a punto dello statuto, le necessità di tipo amministrativo e si effettuerà la pianificazione realtiva ai passaggi formali per la costituzione delle cooperative. 173 172 Le attività di monitoriggio garantiranno l’effettuazione di questi passaggi e si concluderanno alla costituzione e avvio delle cooperative. 3.2.4 Quarta Fase: Azioni di promozione/comunicazione miranti a sviluppare la domanda locale: diffusione delle opportunità offerte da questa cooperativa, sia per i prodotti finananziari (raccolta risparmio e crediti), sia per i servizi di gestione dell’impresa In questa fase si effettueranno anche le azioni di promozione e comunicazione per la cooperativa formata. Questa attività implicherà gli esperti in marketingsociale con lo scopo di effettuare le ricerche di mercato ed analisi delle strategie di comunicazione e promozione da adattare alla realtà territoriale. L’attività degli esperti si avvarrà anche della partecipazione attiva dei componenti della cooperativa, sia per raccolta dati sia nella fase di definizione delle attività promozionali. Inoltre si metteranno a punto i materiali pubblicitari: si prevedono piccoli opuscoli illustrati, contando su contributo di uno studio di grafica pubblicitaria. Si stamperanno poi i materialigrafici e si effettuerà il monitaraggio dell’avvio delle attività promozionali. In questa fase inoltre si effettueranno anche le attività realtive alla disseminazione e valutazione, definite come attività post-pro g e t t u a l i . Queste prevedono la realizzazione di alcuni incontri seminariali che illustreranno i rusultatai della formazione e dell’avvio dell’impresa cooperativa e costituiranno, oltretutto, un forte momento promozionale per le attività della stessa che andranno ad occuparsi della difusione del progetto generale sul territorio di competenza. A tali seminari-convegni verranno invitati, oltre ai rappresentanti delle ONG locali, anche le rappresentanze economico-sindacali più significative dell’area (Camere di Commerc i o , Associazioni di categiria, Istituti di credito, sindacati di lavoratori, enti amministrative locali, organizzazioni di consumatori, ecc...). Verranno curate le attività complementari di diffusione e disseminazione dei risultati, attraverso l’elaborazione di apposite pagine www e loro pubblicizzazione, al pubblicazione di articoli informativi sulla stampa rilevante e la partecipazione a seminari, convegni e conferenze di rilevanza nazionale ed internazionale. Oltre alle diverse attività di monitoraggio previste per i diversi moduli e afsi alla conclusione del p rogetto si effetterà anche una valutazione finale dello stesso. La fase di monitoraggiio e valutazione sarà svolta on-giong dal responsabile di progetto che verificherà in itinere lo svolgimento delle attività didattiche e operative e consiglierà gli aggiustamenti necessari affinché vengano rispettati gli standard definiti dalla programmazione. 3.3. Obiettivi previsti e coerenza con il programma Operativo e collegamenti con la programmazione regionale e nazionale Ci si attende la creazione di 1 impresa cooperativa in Toscana (funzioneranno come cooperative fidi), composta da 5 persone. Questa nuova impresa di servizi finanziari avrà un ruolo di grande responsabilità nel futuro immediato per la diffusione e la conoscenza dell’iniziativa della Banca Popolare Etica e per il consolidamento e la strutturazione territoriale della stessa. Si tratta della creazione di una piccola impresa di consulenza finanziaria e gestionale finalizzata alla gestione locale della Banca Popolare Etica che dovrà occuparsi sia della raccolta 175 174 locale del risparmio sia dell’impiego in loco dei capitali (fornitura del capitale di avviamento per nuove imprese nonché del capitale di partecipazione edi rischio per impr e s e sociali, la gestione tecnico/amministrativa delle pratiche, selezione e valutazione dei progetti presentati a finanziamento, follow-up, scambio di esperienze, disseminazione e diffusione eccetera). Quindi, queste azioni si propongono la creazione di un’impresa cooperativa in Toscana, che possa off r i re consulenza, servizi e strumenti finanziari per la crescita dell’economia sociale del proprio territorio tramite il finanziamento di progetti ambientali, cooperative sociali, ONG, associazionismo. La creazione di questa nuova impresa suppone: a) la creazione di nuovi posti di lavoro nella stessa cooperatica; b) l’appoggio alla creazione di nuovi sbocchi occupazioni nell’ambito dell’economia non profit tramite il supporto finanziario alle imprese sociali. Tale strategia di sviluppo locale suppone un periodo di formazione dei futuri integranti della cooperativa, la costituzione vera e propria dell’impresa e una fase conclusiva di campagne di diffusione e comunicazione sulla nuova cooperativa tendenti a sviluppare la domanda locale dei loro servizi. Oltre a tale aspetto, un’importante obiettivo consiste nello sbocco occupazionale delle figure professionali formate nei confronti del terzo settore già esistente; si prevede un’occupazione aggiuntiva di circa 5 professionisti. 3.4. Metodologie per la realizzazione La partecipazione di due regioni permetterà di i n d i v i d u a re un gruppo di coord i n a m e n t o interregionale che avrà come scopo quello di ottimizzare i costi (evitando, per esempio, la duplicazione della redazione di materiali promozionali e formativi), e soprattutto di mantenere l’omogeneità dei progetti anche nelle fasi esecutive. Ciò, per esempio, anche tramite l’organizzazione di momenti promozionali comuni, nonché la progettazione comune delle diverse fasi del progetto. 3.5. Elementi di trasferibilità e meccanismi di pubblicizzazione e di diffusione Il progetto ha funzione dimostrativa, in quanto tende a creare e a rendere stabile un nuovo modello economico. Inoltre, costituisce un’importante salto logico e qualitativo all’interno del settore non profit, fornendo gli strumenti professionali e finanziari adeguati per la creazione di imprese da un lato concorrenziali sul mercato e, dall’altro, animate da forte “tensione etica”. L’impatto e l’effetto dimostrativo sarà quindi privilegiato al fine di portare a conoscenza dell’opinione pubblica di come modelli “alternativi” di economia possano e s s e re efficaci ed efficienti, posizionarsi sul mercato ed occupare una nicchia economica significativa. La dimostrazione di come il settore non profit possa creare occupazione stabile e sostenibile permetterà la diffusione di forti comportamenti imitativi e moltiplicatori, con la diffusione dell’autoimpiego e la creazione di i m p rese per la copertura dei nuovi bisogni delle persone e delle imprese già evidenziati nel Libro Bianco UE “crescita, competitività e occupazione”. Oltretutto, il progetto generale mira proprio al supporto tecnico e finanziario anche al fine della creazione di nuove imprese non profit. La comunicazione e la diffusione dei risultati 177 176 rappresenta un obiettivo primario del progetto, mirante a diffondere ed a promuovere in generale la finanza alternativa ed etica, ed in particolare l’attività della nuova impresa creata. La comunicazione e la diffusione del progetto comporta quindi due momenti che si possono riassumere nel seguente modo. 1. Sviluppo di campagne di promozione ed informazione a livello locale per la diffusione delle opportunità offerte da questa nuova cooperativa sia per i prodotti finanziari (raccolta risparmio e crediti), sia per i servizi di gestione dell’impresa; 2. una campagna a livello nazionale di diffusione dei risultati del progetto, la quale prevede il seguente mix di intrventi: • articoli su giornali specializzati sulle tema tiche sociali, ambientali, di finanza alternativa di volontariato e di tematiche del lavoro sia nazionali (Nigrizia, Mani tese, Altra finanza, Il Sole 24 Ore, gli inserti specialistici di quo tidiani a grande diffusione come il Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa o periodici sopecializzati come Politica ed Economia, Il Sole 24 Ore) sia internazionali; • ampiamento delle pagine www. esistenti (indirizzo: http: //www.citinv.it/iniziati ve/info/equo/ be.htm - La Banca Etica su internet) con inserimento di apposite pagine relative ai risultati del progetto di formazione; il tutto verrà accompagnato da un’opportuna attività di pubblicizzazione e informazione; • Organizzazione di Convegni, conferenze e incontri a livello regionale (almeno un evento), • d i ffusione e promozione del progetto su quotidiani e radio locali; • partecipazione a mostre o convegni interna zionali su territorio europeo per illustrare i risultati del progetto. 3.6 Durata totale Data prevista di avvio 1 giugno 1998 Data di conclusione 30 maggio 2001 Azioni previste dal progetto 1. Progettazione interregionale 2. Corso di formazione 3. Costituzione d’impresa 4. Diffusione e promozione Periodo di realizzazione e Durata (n° giorni) 1. giugno-settembre 1998 50 2. ottobre 1998- aprile 1999 120 3. maggio 1999 - novembre 1999 150 4. ottobre 1998 - maggio 2000 150 3.7. Atti formali (delibere, decreti, bandi, determinazioni, ecc.) che definiscono la cantierabilità dei progetti entro 30 giorni dall’approvazione del finanziamento da parte del Ministero del Lavoro. ________________________________________ ________________________________________ ________________________________________ ________________________________________ 3.8. Destinatari Azione Tipologia destinatari N° progettazione e coordinamento Componenti comitato scientifico 5 Corso di formazione Persone non occupate 20 Costituzione d’impresa persone non occupate 5 179 178 3.9. Risulti – impatti Ci si attende la creazione di un’impresa cooperativa in Toscana (funzioneranno come cooperative fidi) composta da 5 persone. Questa nuova impresa di servizi finanziari avrà un ruolo di grande responsabilità nel futuro immediato per la diffusione e la conoscenza dell’iniziativa della Banca Popolare Etica e per il consolidamento e la strutturazione territoriale della stessa. Si tratta della creazione di una piccola impresa di consulenza finanziaria e gestionale finalizzata alla gestione locale della Banca Etica che dovrà occuparsi sia della raccolta locale del risparmio sia dell’impiego in loco dei capitali (fornitura del capitale di avviamento per nuove imprese, nonché del capitale di partecipazione e di rischio per imprese sociali, la gestione tecnico/amministrativa delle pratiche, selezione e valutazione dei progetti presentati a finanziamento, follow-up, scambio di esperienze, disseminazione e diffusione, eccetera). 4. PREVENTIVO COSTI DEL PROGETTO REGIONALE E DEL SOTTO PROGETTO INTERREGIONALE 4.1. Costo totale del progetto Di cui F.S.E. Fondo di Rotazione Altro finanziamento Pubblico Contributo privato £ 460.180.000 £ 207.081.000 £ 253.099.000 £ £ 4.2. Costo complessivo e per singolo progetto - “Progetto Interregionale” Regione Partner Oltre a tale occupazione, si prevede che almeno altre 5 persone formate verranno assorbite dal mondo delle associazioni non profit regionali. Ammontare finanziamento richiesto per tipo di fonte GSE Fondo di rotazione Altro Contributo TOTALE finaziam. privato pubblico % sul Totale Emilia Romagna Toscana _________ _________ _________ _________ 153.000.000 187.000.000 ________ _________ 340.000.000 42 207.081.000 253.099.000 ________ _________ 460.180.000 58 __________ __________ ________ _________ __________ ________ __________ __________ ________ _________ __________ ________ __________ __________ ________ _________ __________ ________ __________ __________ ________ _________ __________ ________ Totale Interreg. 360.081.000 440.099.000 800.180.000 100% 180 DELIBERAZIONE 2 DICEMBRE 1997, N. 386 Fondo di dotazione per l’accesso al credito da parte delle cooperative sociali iscritte all’albo regionale della Regione Toscana. Direttive alla Fidi Toscana S.p.A. ai sensi dell’art. 15 della L.R. 24 novembre 1997, n. 87. Il Presidente mette in approvazione la seguente proposta di deliberazione: IL CONSIGLIO REGIONALE Premesso che la L.R. 24 novembre 1997, n. 87 recante la “Disciplina dei rapporti tra le cooperative sociali e gli enti pubblici che operano nell’ambito regionale” nel riconoscere e valorizzare il ruolo delle cooperative sociali, definisce misure di promozione, sostengono e sviluppo della cooperazione sociale: Visto: - l’art. 15 della stessa legge regionale il quale prevede che la Regione Toscana concorre ad agevolare l’accesso al credito delle cooperative sociali iscritte all’albo regionale della Toscana che realizzino investimenti in beni materiali, immateriali e scorte; - in particolare il comma 3 dell’art. 15, succitato, prevede l’istituzione di un apposito fondo di dotazione disciplinato con specifica direttiva approvata dal Consiglio regionale, con la quale siano stabilite le modalità per l’ammissione ai contributi, i criteri di assegnazione e le modalità di rendicontazione della gestione del fondo; Ritenuto dover approvare il testo delle direttivi alla Fidi Toscana S.p.A. allegato al pre s e n t e atto quale parte integrante e sostanziale; DELIBERA 1. le modalità per l’ammissione delle cooperati- ve sociali iscritte all’albo regionale della Toscana ai contributi, i criteri di assegnazione dei contributi e le modalità di rendicontazione della gestione del fondo, sono definiti con la direttiva contenuta nell’Allegato che costituisce parte integrante e sostanziale alla pre s e n t e deliberazione; 2. la presente deliberazione, unitamente all’Allegato, è pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Toscana ai sensi dell’art. 2 comma 3, della L.R. 15 marzo 1996, n. 18 “Ordinamento del B.U.R.T. e norme per la pubblicazione degli atti”. IL CONSIGLIO APPROVA Con la maggioranza prevista dall’art. 15 dello Statuto. Il Presidente Angelo Passaleva Il Segretario Tommaso Franci Allegato Direttive di attuazione alla Fidi To s c a n a S.p.A., ai sensi dell’art. 15 della L.R . 24 novembre 1997, n. 87 “Disciplina dei rapporti tra le cooperative sociali e gli enti pubblici che operano nell’ambito regionale.” Art. 1 Beneficiari degli interventi 1. Sono beneficiarie degli interventi le cooperative sociali iscritte all’Albo regionale ex art. 3 della L.R. 24 novembre 1997, n. 87 “Disciplina dei rapporti tra le cooperative sociali e gli enti pubblici che operano nell’ambito re g i o n a l e ” nella sezione A o B o C. 181 182 Art. 2 Priorità 1. Sono prioritarie le domande delle cooperative sociali finalizzate: a) costruzione, acquisto o ristrutturazione di beni immobili di proprietà delle cooperative o ad esse concessi in uso gratuito o affitto purché di durata almeno pari all’ammortamento del finanziamento. Tali beni immobili devono essere destinati alla creazione e sviluppo di Centri diurni, residenziali o estivi per servizi socio-sanitari o educativi o per attività collaterali all’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati (art. 1 L. 381/91); b) i progetti di intervento compresi nel piano zonale di assistenza sociale ex L.R. 3 ottobre 1997, n. 72 “Organizzazione e promozione di un sistema di diritti di cittadinanza e di pari opportunità: riordino dei servizi socio-assistenziali e socio-sanitari integrati”; c) interventi che assicurino l’inserimento lavorativo di giovani fino a 35 anni di età in cerca di prima occupazione o l’occupazione di lavoratori in mobilità; d) interventi in zone di comuni montani. 2. Le priorità suddette non sono cumulabili e comportano una anticipazione convenzionale di sessanta giorni dalla data di completamento della documentazione. Art. 3 Spese di intervento ammissibili 1. Le spese di investimento ammissibili - per un importo massimo di L. 300.000.000 - comprendono, al netto di imposte, tasse e spese notarili; a) l’acquisto di terreni o del diritto di superficie; b) l’acquisto, la costruzione, la ristrutturazione di fabbricati; c) l’acquisto di impianti, macchinari, automezzi e attrezzature; d) l’acquisto di brevetti, licenze, marchi, software, e spese per la certificazione di qualità; e) marketing operativo e strategico; f) spese per l’adeguamento alle normative vigenti in materia di sicurezza; g) scorte nella misura massima del 20% dell’investimento totale. 2. Le spese indicate al comma 1 devono essere ancora da sostenere o devono essere iniziate non prima di dodici mesi dalla data di presentazione della domanda di contributo. Art. 4 Importo del contributo 1. Il contributo in conto interessi è concesso nella misura di 4 punti su un finanziamento a medio termine o su un leasing regolati ad un tasso di interesse non superiore al tasso di riferimento per le imprese industriali. Il finanziamento a medio termine, o il leasing agevolato, deve avere un importo non superiore al 75% dell’investimento ed una durata non superiore a 10 anni per le spese indicate all’art. 3, comma 1, lett. a), b) e c) quest’ultima per quanto attiene agli impianti; un importo non superiore al 75% dell’investimento ed una durata non superiore a 5 anni per le spese indicate all’art. 3 comma 1, lett. c) escluse le spese per impianti, d), e), f), g). 2. Il finanziamento, o il leasing, non deve essere stato erogato o perfezionato, al momento della presentazione della domanda di contributo da parte della cooperativa sociale. Art. 5 Documentazione 1. Le cooperative sociali devono presentare la domanda di contributo a Fidi Toscana S.p.A., allegando la seguente documentazione: a) certificato di iscrizione all’albo regionale delle cooperative sociali ex L.R. 87/’97; 183 184 b) l’atto costitutivo e lo statuto vigente; c) dichiarazione attestante il Comune dove viene realizzato l’investimento; d) dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà attestante l’esistenza dei requisiti di priorità (ove sussistenti); e) la descrizione e l’importo complessivo dell’investimento, con l’indicazione della copertura finanziaria; f) il conto economico di previsione dopo la realizzazione dell’investimento; g) una dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante che la cooperativa non ha ricevuto né richiederà altri incentivi pubblici per lo stesso progetto; h) attestazione della data di inizio dell’investimento. 2. Ciascuna cooperativa sociale può presentare a Fidi Toscana S.p.A. più domande di contributo, purché a fronte di spese di importo complessivo non superiori al massimale indicato all’art. 3. Art. 6 Procedure 1. Fidi Toscana S.p.A. istruisce la domanda di contributo dopo il completamento della documentazione da parte della cooperativa sociale. La documentazione deve essere completata, pena la decadenza, entro 90 giorni dalla prima richiesta di completamento. 2. Fidi Toscana S.p.A. concede ogni tre mesi i contributi alle cooperative sociali che siano in possesso dei necessari requisiti e che abbiano completato la documentazione almeno 30 giorni prima della fine del trimestre, secondo una graduatoria costituita in base all’ordine cronologico della data di completamento della documentazione, tenendo conto delle priorità definite dall’art. 2. 3. Fidi Toscana S.p.A. trasmette alla Giunta regionale e al Consiglio regionale la graduatoria trimestrale entro 15 giorni dalla sua compilazione. Fidi Toscana S.p.A. inoltre trasmette comunicazione dell’avvenuta concessione di contributi alla cooperativa sociale interessata e alla banca o alla società di leasing finanziatrice. 4. La banca o la società di leasing finanziatrice comunica a Fidi Toscana S.p.A. le proprie decisioni in merito entro tre mesi dal ricevimento della comunicazione della Fidi Toscana S.p.A. 5. Fidi Toscana S.p.A. eroga i contributi in conto interessi o canoni attualizzati in un’unica soluzione. Il tasso di attualizzazione è pari al tasso ufficiale di sconto in vigore alla data della graduatoria di concessione dei contributi. 6. L’erogazione è subordinata: a) alla realizzazione dell’investimento da parte della cooperativa sociale e all’erogazione a saldo del finanziamento o al perfezionamento dell’operazione di leasing, nonché all’acquisizione di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio rilasciata dalla cooperativa sociale medesima attestante che l’investimento è stato effettuato ed è conforme al progetto ammesso ai contributi. Non alterano la conformità al progetto di investimento ammesso ai contributi eventuali modifiche che, fatte comunque salve le finalità dell’investimento, non spostino in misura superiore al 20% l’importo globale e la proporzione tra le diverse tipologie di spesa (immobili, impianti, macchinari, arredi, attrezzature, altre spese). In ogni caso i contributi sono erogati in relazione all’importo dell’investimento effettivamente realizzato dalla cooperativa sociale e comunque non oltre l’importo del progetto di investimento ammesso ai contributi. b) all’acquisizione, ove prevista, dalla certificazione ai sensi del D. Lgs. 8 agosto 1994, n. 490. 185 186 7. Il diritto al contributo decade ove la cooperativa sociale non completi l’investimento entro 18 mesi dalla data della graduatoria di concessione dei contributi medesimi e non ottenga entra tale data l’erogazione, anche parziale, del finanziamento o il perfezionamento dell’operazione di leasing. 8. La Giunta regionale esercita i controlli in merito all’attuazione della presente direttiva. Le risultanze dei controlli sulle cooperative sociali ammesse al contributo sono trasmesse a Fidi Toscana S.p.A. per gli atti conseguenti. Il rifiuto dei controlli della Giunta regionale da parte delle cooperative sociali comporta la sospensione del contributo concesso e non erogato da parte di Fidi Toscana S.p.A. Il diritto al contributo da parte della cooperativa sociale beneficiaria decade qualora sia accertata la non sussistenza dei requisiti previsti dalla presente direttiva o qualora la cooperativa sociale persista nel rifiutare i controlli della Giunta regionale. In tale caso, Fidi Toscana S.p.A. deve provvedere al recupero del contributo. 9. Fidi Toscana S.p.A. assicura a tutte le cooperative sociali che hanno presentato domanda di contributo la conoscenza degli atti relativi alle procedure di ammissione o di esclusione che le riguardano. Fidi Toscana S.p.A. assicura altresì ai soggetti pubblici e privati che lo richiedono la conoscenza di dati statistici riassuntivi degli interventi effettuati ai sensi della presente direttiva. Art. 7 Compensi a Fidi Toscana S.p.A. 1. Alla Fidi Toscana S.p.A. è riconosciuto il diritto di perc e p i re dalle cooperative sociali, al momento dell’ammissione al contributo, un compenso per l’attività svolta nell’attuazione della presente direttiva pari a L. 600.000=, oltre IVA, per ogni domanda presentata. Art. 8 Rendiconto e indicazione dei risultati 1. Fidi Toscana S.p.A. trasmette annualmente alla Giunta regionale e al Consiglio regionale il rendiconto dei contributi richiesti, concessi ed erogati. 2. Fidi Toscana S.p.A. trasmette alla Giunta regionale e al Consiglio regionale una relazione annuale contenente le indicazioni dei risultati della presente direttiva, che segnala: a) il rapporto tra l’importo dei contributi concessi e l’importo dei finanziamenti o leasing e degli investimenti agevolati; b) la variazione dell’occupazione in conseguenza dell’investimento: c) la tipologia dell’investimento; d) le aree geografiche dei beneficiari, suddivise per territorio provinciale. Art. 9 Interessi 1. Gli interessi maturati sulle disponibilità liquide del fondo sono destinati all’incremento del fondo medesimo, al netto degli oneri fiscali di competenza, degli oneri per il recupero dei contributi, nonché delle spese di gestione del fondo. Le spese per la pubblicazione degli interventi sono a carico del fondo in misura non superiore al 2% annuo della consistenza del fondo medesimo ad inizio anno. 187 188 IL SUMMIT INTERNAZIONALE SUL MICROCREDITO DI ABIDJAN (COSTA D’AVORIO), 24-26 GIUGNO 1999 Oltre sette milioni di posti di lavoro in un anno: tanti sono i nuovi destinatari - e quindi le nuove “microimprese” avviate - raggiunti nei paesi in via di sviluppo dai programmi di microcredito tra il giugno ’98 e il giugno ’99. Erano 14 milioni 808 mila un anno fa, sono 22 milioni 341 mila oggi, secondo i dati resi pubblici durante il meeting mondiale degli operatori della “finanza dei poveri”, il Microcredit Summit, svoltosi tra il 24 e il 26 giugno 1999 ad Abidjan, in Costa d’Avorio. Certo, i poveri nel mondo si contano a miliardi. Ma questa modalità innovativa di promozione dello sviluppo, che fa leva sulla voglia di riscatto degli esclusi, soprattutto delle donne, è ormai uscita dalla marginalità e si propone come interlocutore delle grandi istituzioni pubbliche e private. La maggior parte dei destinatari è in Asia, dove il microcredito è nato con l’esperienza della bengalese Grameen Bank: poco meno di 17 milioni di “clienti”. Ma il progetto internazionale è decollato anche in Africa, dove i destinatari sfiorano i 3 milioni, e in America Latina, dove sono quasi 2 milioni. Più piccole, ma significative, le cifre dell’Europa, soprattutto dell’Est (440 mila), del Nordamerica (43 mila) e, novità assoluta, del Medio Oriente (41 mila clienti). Dei destinatari dei piccoli prestiti, più della metà sono nella fascia inferiore della popolazione che vive sotto la linea di povertà. Insomma gli esclusi totali, quelli per i quali, secondo la Banca Mondiale, “non c’è futuro” nell’attuale sistema economico. Questo dei più poveri è stato uno dei temi centrali nel confronto di Abidjan tra delegazioni di 80 paesi: come identificarli e soprattutto, come ha sottolineato nel suo intervento Sam Daley- Harris, direttore della campagna internazionale, come conciliare la sostenibilità finanziaria delle banche dei poveri con il finanziamento dei poverissimi. Quattro gli assi di lavoro definiti al summit: raggiungere coloro che vivono con meno di un dollaro al giorno; coinvolgere le donne, spesso il pilastro principale delle famiglie e delle comunità locali; costruire istituzioni finanziarie indipendenti; assicurare l’impatto sociale dei microcrediti. Queste linee di lavoro sono state concretizzate, ad esempio, nelle iniziative della Edcs, la Ecumenical Development Cooperative Society olandese, in pratica una banca etica promossa dal Consiglio Economico delle Chiese, che ha presentato, nei giorni di Abidjan, il suo lavoro in Costa d’Avorio: 1,4 miliardi di franchi cfa (la moneta dell’Africa francofona), cioè oltre 4 miliardi di lire di crediti concessi soprattutto a piccole cooperative di commercializzazione di p rodotti alimentari, con cui si è arrivati a “impiantare un vero e proprio mercato”, ha spiegato Mariam Dao Gabala, la rappresentante di Edcs per l’Africa francofona. Una sorta di “commercio equo e solidale” su scala locale. Oppure nelle iniziative dei principali protagonisti italiani del movimento del micr o c redito, la B a n c a Popolare Etica e la finanziaria Ctm-Mag, che proprio in questi giorni ha cambiato nome in Etimos. In Senegal una “joint-venture”, un programma comune, tra Banca Etica, Etimos, l’ong lombarda Acra, la Banca di Credito Cooperativo di Treviglio (una delle prime ad aderire a Banca Etica) e le associazioni degli immigrati senegalesi di Bergamo punta alla costituzione di piccole “casse di risparmio” che raccolgano risparmio sia localmente che tra i senegalesi emigrati, ad esempio in Italia, e lo utilizzino per finanziare piccole attività economiche e iniziative che permettano il ritorno e il reinserimento degli emi- 189 190 grati nel loro paese. In sostanza una “mobilitazione” anche delle rimesse degli immigrati per lo sviluppo locale. E in Benin Etimos lavorerà con Vita Microbank, una organizzazione locale di microfinanza, per finanziare i contadini delle zone più interne e meno favorite dal punto di vista climatico e sociale. Oltre alle iniziative della finanza etica, qualcosa in Italia si muove anche a livello istituzionale. Il microcredito è stato inserito nella proposta di nuova legge sulla cooperazione allo sviluppo e il Ministero degli Esteri è divenuto donatore del Cgap, Consultative Group to Assist the Poorest, la “sezione” di microfinanza della Banca Mondiale. Francesco Terreri I destinatari dei programmi di microcredito per grandi regioni (metà 1999) Africa...........................................................2.981.885 America Latina e Caraibi..........................1.947.082 Asia............................................................16.887.073 Medio Oriente.................................................41.208 Totale paesi in via di sviluppo ....................21.857.248 Nord America..................................................42.992 Europa e Paesi in transizione......................440.824 Totale generale ........................................22.341.064 INDICE Presentazione Paolo Balli direttore CESVOT...................................pag LA NUOVA ECONOMIA SOCIALE E SOLIDALE E L’ACCESSO AL CREDITO Introduzione Simone Siliani Ass. politiche sociali e cooperazione allo sviluppo – Regione Toscana.......................pag Le istanze delle organizzazioni non profit al sistema creditizio Claudio Machetti Cesvot...........................pag Le diffficoltà e le proposte del sistema creditizio Stefano Bellaveglia Consiglio di Amministrazione Monte dei Paschi di Siena s.p.a.....................................................pag Fondo di dotazione per la cooperazione sociale Lionello Castaldelli Fidi Toscana..................................................pag Strumenti del credito per i soggetti non profit Giorgio Kutufà Presidente Fidi Toscana......................................pag IL CREDITO AI SOGGETTI “NON BANCABILI” NEL NORD E NEL SUD DEL MONDO Introduzione Francesco Terreri Direttore di Altreconomia ......pag Dibattiti.............................................................................................pag Quale e quanto credito per l’economia civile? Stefano Zamagni Docente di Economia Università di Bologna.....................................................................pag Nuovi strumenti del credito: la proposta di Banca Etica Fabio Salviato Presidente di Banca Etica.....................................pag 3° INTERVENTO Microimpresa nel Nord e nel Sud del Mondo: comparazione dei fattori chiave William Burrus vice presidente Acciòn Internacional...........................................pag 2° INTERVENTO SANITARIO Microimpresa nel Nord: l’esperienza di Acciòn in USA Catherine Quense - Acciòn Internacional....................................pag 1° INTERVENTO SANITARIO Il progetto microcredito nel sud del Mondo: l’esperienza Boliviana Maria Otero - Acciòn Internacional......pag Progetto Microcredito: gli sviluppi in Italia Aldo Moauro CTM Altromercato.................................................pag 5 7 16 ECONOMIA SOCIALE, BANCHE, FINANZA ETICA, ENTI LOCALI: PROPOSTE OPERATIVE Introduzione Luca Bellandi Regione Toscana ............................pag Terzo settore e credito: prospettive possibili Nuccio Iovene Portavoce del Forum del Terzo Settore.............pag Progetto Microcredito: il contributo del commercio equo Marco Noris consorsio CTM-Altromercato................................pag Il ruolo degli Enti Locali fra credito e Terzo Settore: forme di garanzia Marcello Bucci presidente Anci Toscana.....pag Conclusioni Francesco Terreri.......................................................pag 117 120 133 142 153 22 APPENDICE 35 39 51 52 61 68 83 91 100 110 Regione Toscana: Creazione di nuova occupazione attraverso la promozione della finanza etica e la nascita di nuove imprese cooperative di servizi finanziari per lo sviluppo dell’economia sociale.....................................................Pag ??? Deliberazione 2 dicembre 1997, n.386..........................................pag 180 Il summit internazionale di Abidjan (Costa d’Avorio), 24-26 giugno 1999 a cura di Francesco Terreri............................pag 188 Della Collana “I Quaderni” del CESVOT sono pubblicati: 1 Lo stato di attuazione del D.M. 21/11/91 e successive modifiche Relazione assemblea del seminario 2 Volontari e politiche sociali: La Legge regionale 72/97 Atti del Convegno 3 Gli strumenti della programmazione nella raccolta del sangue e del plasma Cristiana Guccinelli - Regina Podestà 4 Terzo settore, Europa e nuova legislazione italiana sulle Onlus Cristiana Guccinelli - Regina Podestà 5 Privacy e volontariato Regina Podestà 6 La comunicazione per il volontariato Andrea Volterrani 7 Identità e bisogni del volontariato in Toscana Andrea Salvini 8 Le domande e i dubbi delle organizzazioni di volontariato Gisella Seghettini 9 La popolazione anziana: servizi e bisogni - la realtà aretina Roberto Barbieri - Marco La Mastra 10 Raccolta normativa commentata - Leggi fiscali e volontariato Stefano Ragghianti 11 Oltre il disagio - Identità territoriale e condizione giovanile in Valdera Giovanni Bechelloni - Felicita Gabellieri Progetto grafico , Pontedera Stampa La Grafica Pisana, Buti