“Economia ed Etica”

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“Economia ed Etica”
“Economia ed Etica”
"Il banchiere e sua moglie"
Quentin Metsys
Giuseppe Garofalo
(Unitus)
Economia
Dal greco oikos = "casa“, inteso anche come "beni di
famiglia", e nomos = "norma" o "legge“
Gestione dei beni della famiglia
Talora viene aggiunto l’aggettivo qualificativo “politica”, dal
greco polis = città, inteso come vivere associato
Gestione delle risorse private e pubbliche
Si intende:
sia l'utilizzo di risorse scarse (limitate o finite) per
soddisfare al meglio bisogni individuali e collettivi
sia un sistema di organizzazione della produzione e della
spesa poste in essere da un insieme di persone,
organizzazioni e istituzioni (nel significato, dunque, di
sistema economico
Economia di mercato)
Etica
• Dal greco èthos = "carattere", "comportamento", "costume",
"consuetudine"
• È un ramo della filosofia che studia i fondamenti oggettivi
e razionali che permettono di distinguere i comportamenti umani in
buoni, giusti, moralmente leciti, oppure cattivi, moralmente
inappropriati
• Etica e Morale: anche se i due termini vengono usati come sinonimi,
l’Etica si distingue dalla Morale in quanto rappresenta, per così dire,
il “fondamento” oggettivo, razionale di categorie quali “bene”,
“giusto”, e, appunto, “morale” (contrapposti a “male”, “ingiusto” e
“immorale”)
• Accanto all’etica religiosa ve n’è una laica. Più opportunamente si
può parlare di un approccio laico al problema etico, nel senso di
libero da riferimenti ad una ideologia predeterminata e più portato a
misurarsi con le problematiche dell'individuo nel contesto storico di
riferimento
• In ambito religioso vi è l'etica cristiana, il cui fondamento è
l'esercizio dell'amore verso il prossimo, mediante il quale si esprime
l'amore verso il Creatore
Un punto di contatto tra laici e religiosi:
l’etica della reciprocità
ciascuno ha diritti e doveri; i diritti di ciascuno sono un
dovere per l'altro
• In positivo
“Fà agli altri quello che vorresti fosse fatto
a te” (cfr. Matteo 7, 12)
In negativo
“Non fare agli altri ciò che non vorresti
fosse fatto a te” (cfr. Tobia 4,15)
• L’imperativo categorico di E.Kant (“Fondamenti della
metafisica dei costumi”, 1785):
"Agisci in modo da trattare l'umanità, tanto nella tua
persona quanto nella persona di ogni altro, sempre nello
stesso tempo come un fine, e mai unicamente come un
mezzo"
Etica ed Economia:
separazione o interazione?
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In genere si ritiene che vi sia una separazione tra Economia ed Etica nel
senso che la prima (l‘Economia) non discute dei fini, ma dei mezzi
(inevitabilmente scarsi) per realizzare i fini. L’economista è interessato ad
ottenere i fini col minor costo possibile (questo è il concetto di efficienza).
Il punto di partenza dell'analisi economica è l'individuo considerato come
essere razionale che massimizza le proprie preferenze. Tali preferenze
fanno riferimento al miglioramento nella disponibilità di beni e di servizi. In
questo modo l'efficienza non viene giudicata in base ai criteri della giustizia
distributiva.
Per l’economista il mercato garantisce l'efficienza nella produzione e nello
scambio di beni privati tra individui. Secondo tale visione, qualsiasi
intervento pubblico che ostacoli il libero svolgere degli scambi dei diritti
privati di proprietà, sarebbe da rifiutare.
Di fatto l'efficienza ha delle implicazioni in termini di etica delle istituzioni e
dei comportamenti.
Vi è, poi, una visione opposta a quella sopra enunciata in base alla quale è
necessario l’operare di istituzioni di controllo del mercato (tra le imprese, tra
le imprese e i consumatori, tra le imprese e i lavoratori) e che reclama lo
sviluppo di codici etici, senza i quali gli stessi risultati di efficienza possono
entrare in crisi.
L’approccio liberista estremo
• “Il capitalismo fa economia di virtù: funziona
ragionevolmente bene per il solo fatto che gli
individui perseguono liberamente i propri fini.
• La necessità di un’etica è minima perché gli
attori economici reagiscono a incentivi [al
perseguimento del proprio interesse].
• … Il capitalismo non promette la perfezione su
questo mondo e forse è proprio questo il
maggiore dei suoi pregi”
(Alberto Mingardi [Istituto Bruno Leoni], Il Sole
24 Ore, 11 aprile 2010).
L’approccio interventista
“Poiché il mercato è una creazione umana, l'intervento
pubblico ne è una componente necessaria e non un
elemento di per sé distorsivo e vessatorio.
Non si può non prendere atto di un recente riflusso
neoliberista, ma è difficile individuarvi un apporto
intellettuale innovatore. [...] i limiti intrinseci all'operare
dell'economia di mercato, anche nell'ipotesi eroica che
essa funzioni in condizioni perfettamente concorrenziali.
È molto frequente nelle discussioni correnti rilevare
un'insistenza metodica sui vantaggi operativi del sistema
mercato, e magari su tutto ciò che ne intralci lo
"spontaneo" meccanismo, senza alcuna contestuale
avvertenza sui connaturali difetti del meccanismo
stesso”
(Federico Caffè, Lezioni di politica economica, Bollati
Boringhieri, 1981, p. 38)
Enciclica di Benedetto XVI
Caritas in veritate (in re sociali)
pubblicata il 29-6-2009
Va inquadrata all’interno della
Dottrina sociale della Chiesa:
dall’enciclica Rerum novarum
(1891) di Leone XIII alle encicliche
Populorum progressio (1967) di
Paolo VI e Centesimus annus
(1991) di Giovanni Paolo II
- Il mercato permette lo scambio di beni e servizi tra loro fungibili in base ad un principio
di giustizia “commutativa” (equivalenza di valore). Il mercato rispecchia canoni di
competitività ed efficienza
- Il prerequisito è che esistano forme di coesione sociale, cioè di solidarietà e di fiducia
reciproca. Occorre, dunque, che vi sia anche la giustizia “distributiva” e la giustizia
“sociale”, che il mercato non è in grado di produrre da solo. Per questo si concepisce
l’intervento dello Stato ispirato a canoni di giustizia (distributiva e sociale) e bene
comune
- Si ritiene in genere possibile separare l’attività economica, produttrice di ricchezza, da
quella politica, che avrebbe il compito di redistribuirla in base a principi di giustizia. La
separazione risponde ad una logica dei “due tempi”: prima si produce e poi si
redistribuisce (eventualmente con politiche di welfare).
- In realtà questa separazione è errata. Non solo è doveroso che canoni di giustizia siano
rispettati sin dall’inizio, ma è legittimo pensare che si possa produrre valore
economico non finalizzato alla generazione del profitto
- Di fronte a gravi “insufficienze” (veri e propri fallimenti) del mercato e dello Stato, è
corretto pensare ad un sistema tripolare che preveda la presenza anche della società
civile, ispirata a canoni di socialità, partecipazione e solidarietà. Questo terzo
soggetto, nella forma di organizzazioni con finalità mutualistiche e sociali,
affiancherebbe gli altri due con un’azione di stimolo per civilizzare e democratizzare
l’economia. In tal senso, alla logica dello scambio (dare per avere) ed a quella dei
comportamenti pubblici (dare per dovere) si affiancherebbe l’agire gratuito
segue
- La collaborazione tra i tre soggetti si incentra sul principio di sussidiarietà, che contrasta
la deresponsabilizzazione, l’assistenzialismo paternalistico ed ogni assolutismo di
potere.
L’ambito decisionale è nel micro e si estende a livello macro, con tutte le gradazioni
possibili (rispettando l’autonomia dei corpi intermedi), solo in difetto di soluzioni
efficaci da parte delle istanze più vicine al singolo ed alle comunità locali
- Ad una crescita puramente quantitativa della ricchezza prodotta bisogna sostituire l’idea
di sviluppo umano integrale, con un’attenzione per gli aspetti qualitativi. L’idea di
giustizia e di solidarietà si estende, in tal senso, alla dimensione intergenerazionale:
la generazione attuale deve dare ai propri figli e nipoti l’opportunità di esprimersi al
meglio
- La scala dei processi prima descritti è, sempre più, planetaria a seguito dei processi di
globalizzazione. Questi ultimi, se ben gestiti, offrono la possibilità di una
redistribuzione della ricchezza mondiale a favore di popolazioni in precedenza
sottosviluppate; se, però, vengono gestiti in modo non corretto, finiscono per
avvantaggiare i paesi sviluppati in grado di sfruttare la liberalizzazione dei movimenti
di capitali e di lavoro, accentuando le sperequazioni tra ricchi e poveri su scala
nazionale e planetaria
segue
- La crisi economico-finanziaria del 2008 ha reso concreti i rischi paventati. Le
cause sono due: la perdita di responsabilità degli imprenditori che, avendo
come bussola esclusiva del proprio agire la salvaguardia degli interessi
degli azionisti (o, meglio, dei grandi azionisti di riferimento), hanno
marginalizzato gli interessi degli altri portatori di interessi, cosiddetti
stakeholders (lavoratori, consumatori, fornitori, ambiente naturale, società
civile); la seconda causa risiede in atteggiamenti speculativi improntati ad
un’ottica di breve periodo (il cosiddetto shortermismo dei mercati finanziari).
E’ anche per questo che la presenza di imprese no-profit e di realtà come
gli istituti di microcredito può fungere da stimolo per dare un contenuto etico
alle scelte aziendali
- L’errore, che è emerso in pieno con la crisi, risiede nella confusione tra mezzi
e fini, con una semplificazione che assolutizza l’economia, intesa come
semplice affermazione dei motivi “egoistici” che spingono l’individuo a
perseguire il proprio tornaconto, fidando nella “mano invisibile” che dà
coerenza a comportamenti individuali mossi da tali moventi, finalizzando la
politica alla semplice gestione del potere
Tasso d’interesse
[Rif.: “Rivista internazionale di Scienze sociali“, n. 4, 2012]
• È il costo del denaro, il compenso, a carico del debitore,
riconosciuto a chi presta denaro (espresso in percentuale della
somma prestata)
• Ce ne sono tanti, a seconda del “merito di credito”, della scadenza;
ma sono tutti tra loro correlati a formare una struttura di tassi
• E’ possibile definire un livello “giusto” del tasso d’interesse?
• Aristotele: “pecunia non parit pecuniam”
Il dibattito nel Medioevo
sull’usura: dal rifiuto all’accettazione di un compenso “giusto” per
l’uso del denaro, con una condivisione del rischio imprenditoriale tra
L’avarizia: da vizio a (… con le
finanziatore e finanziato
opportune qualificazioni) virtù
• Limiti di un livello “alto”, ma anche di uno “basso” (v. esperienza pre2007)
• Il livello del tasso d’interesse è essenziale nel definire la spesa di
investimento e, per questa via, il livello del reddito e la crescita
economica
Ma cosa determina il suo livello?
• Varie grandezze, tra le quali il tasso d’inflazione, il grado
di concorrenzialità sul mercato del credito, le sofferenze,
….
• Rilevante è, d’altra parte, l’influenza delle decisioni della
Banca centrale
• Il livello del tasso d’interesse influenza l’ammontare
complessivo degli interessi: questi ultimi sono il
compenso riconosciuto al capitale finanziario (le
cosiddette rendite finanziarie), e che vanno in detrazione
dei profitti lordi, cioè del compenso riconosciuto al
capitale industriale
Conclusione
• La crisi economica in corso ha profonde
radici culturali e spirituali: è l’esito degli
indirizzi risultati dominanti nella teoria e
nella politica economica, non solo in Italia
(si veda, ad es., il dibattito, negli Usa, tra
Saltwater e Freshwater).
• Se ne potrà davvero uscire, oltre che
attraverso un rinnovamento nella visione
dell’economia, attraverso una svolta di tipo
morale
Un monito e una riflessione
“La libertà di una democrazia non è più sicura se il popolo tollera la crescita di
un potere privato fino al punto in cui esso diventa più forte del loro stesso
stato democratico”
(Franklin Delano Roosevelt al Congresso di Washington, 1938)
Nel 2003 per ogni dollaro di prodotto reale mondiale vi erano 9 di finanza (321mila
miliardi di attività finanziarie a fronte di 37mila miliardi di Pil); nel 2010 per ogni
dollaro di prodotto reale vi erano 14 di finanza (851mila miliardi di attività finanziarie a
fronte di 63mila miliardi di Pil). Degli 851mila miliardi solo 250mila erano di attività
finanziarie tradizionali, mentre ben 601mila erano derivati, strumenti finanziari meno
trasparenti e regolamentati.
La finanza è sempre stata un potere condizionante, ma fino all’inizio degli anni ’90 del
900 (quando avvenne il cosiddetto “big bang”, la riforma della borsa valori e la piena
liberalizzazione dei movimenti di capitali) era il capitalismo industriale che prevaleva
su quello finanziario. Fino al 2007 economia reale e finanza si sono alimentate a
vicenda: la finanza alimentava il debito, che sostenevano i consumi, che, a loro volta,
gonfiavano i fatturati ed i profitti delle imprese.
La crisi successiva ha segnato una discontinuità. Per la finanza gli orizzonti sono brevi;
ma la logica del breve periodo è devastante per l’economia reale. L’investimento
finanziario promette di più di quello reale con minor rischio.
Un riferimento bibliografico:
Erich Fromm
Avere o Essere?
(Mondadori, Milano 1977)
Massimizzazioni
(promesse)
Fallimenti
• potere (dominio sulla
natura)
• pericoli ecologici e rischio
di conflitti
• abbondanza materiale
• abbondanza limitata ai
soli paesi ricchi
• felicita' come
soddisfazione di tutti i
desideri
• alienazione
• liberta' personale
• manipolazioni (mass
media, governi, industria)