L`etichettatura dei prodotti alimentari.

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L`etichettatura dei prodotti alimentari.
L’etichettatura dei prodotti
alimentari.
Dott.ssa Benedetta Valenti
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L’etichetta costituisce uno strumento fondamentale in ambito
commerciale, in quanto le informazioni in essa contenute, con
indicazioni nutrizionali e sulla salute, possono garantire la trasparenza
indispensabile per tutelare il consumatore ed il produttore dalla
concorrenza sleale.
In un primo momento, a livello europeo la salvaguardia degli interessi
del consumatore era semplicemente uno degli obbiettivi riflessi delle
politiche antitrust. In tale contesto era presente una situazione di
asimmetria informativa, che non consentiva al consumatore di scegliere
in modo consapevole il prodotto alimentare da acquistare. L’evoluzione
della disciplina della concorrenza, attraverso la previsione del divieto di
intese restrittive, di concentrazioni e di forme di abuso di posizione
dominante, ha inteso garantire sia la libertà di iniziativa economica
dell’imprenditore che la libertà di scelta del consumatore.
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La La fine della tutela reale nei licenziamenti: una storia ancora tutta da scrivere.
In tale ottica, il problema dell’informazione del consumatore si rivela centrale, al
fine di ridurre le forme di distorsione del mercato e di garantire la consapevole
decisione del consumatore.
E’ propedeutica alla trattazione della materia della etichettatura dei prodotti
alimentari l’individuazione del fondamento normativo del diritto del consumatore ad
essere informato circa la natura e la qualità del prodotto presente sul mercato, in
relazione alla figura del “consumatore”. Il riconoscimento del diritto ad essere
informati trova fondamento nell’art. 2 del D. Lgs. n. 206 del 6 settembre 2005, lett.
c), che indica, come diritti riconosciuti ai consumatori ed agli utenti, un’adeguata
informazione ed una corretta pubblicità. In particolare, l’art. 5, I comma, del Decreto
individua come consumatore o utente “anche la persona fisica alla quale sono
dirette le informazioni commerciali”1.
In relazione agli obblighi informativi, il citato articolo dispone che la “Sicurezza,
composizione e qualità dei prodotti e dei servizi costituiscono contenuto essenziale
degli obblighi informativi”. In riferimento alle modalità di tali informazioni, la
norma dispone, invece, che esse, “da chiunque provengano, devono essere
adeguate alla tecnica di comunicazione impiegata ed espresse in modo chiaro e
comprensibile, tenuto anche conto delle modalità di conclusione del contratto o delle
caratteristiche del settore, tali da assicurare la consapevolezza del consumatore”.
L’Autorità Garante della Concorrenza e del mercato, peraltro, ha più volte ribadito
che il Codice del Consumo intende salvaguardare la libertà di autodeterminazione
del consumatore da ogni interferenza ingiusta fin dal primo contatto pubblicitario,
imponendo, dunque, all’operatore commerciale un preciso onere di completezza e
chiarezza nella attività di comunicazione d’impresa.
Pertanto, il Codice del Consumo prevede obblighi specifici per “la presentazione del
prodotto, della sua etichettatura, delle eventuali avvertenze e istruzioni per il suo
uso e la sua eliminazione, nonché di qualsiasi altra indicazione o informazione
relativa al prodotto ”. Lo stesso Codice individua tra gli obblighi del produttore e
del distributore, quello di fornire al consumatore “le informazioni utili alla
valutazione e alla prevenzione dei rischi derivanti dall'uso normale o
ragionevolmente prevedibile del prodotto, se non sono immediatamente percettibili
senza adeguate avvertenze, e alla prevenzione contro detti rischi” .
In riferimento, inoltre, ai diritti costituzionalmente garantiti vi è un fondamentale
bilanciamento tra la previsione dell’art. 21 della Costituzione italiana, il quale
contempla la libertà d’espressione, che secondo una restrittiva interpretazione è da
intendersi quale libertà di informare e non quale diritto ad essere informati, e la
previsione dell’art. 32 della stessa Costituzione, quale clausola generale di tutela
della persona, che si realizza attraverso la prevenzione dai rischi e nell’attuazione di
La giurisprudenza comunitaria ha individuato la nozione di consumatore medio, presente nella Direttiva 29/2005, in Corte di
giustizia, sent. 16 luglio 1998, causa C-210/96, Gut SringenheideGmbh e Rudolf Tusky/Oberkriesdirektor des Kreises Steinfurt
; sentenza 13 gennaio 2000, causa C-220/98, Estée Lauder/Lancaster . In Italia, secondo il T.A.R. Lazio (sez. I, 8 novembre
2006, n.12120) «il consumatore medio è quel soggetto che, secondo l ’id quod plerumque accidit, è dotato della capacità
cognitiva e che si identifica nel destinatario mediamente intelligente accorto ed informato sui prodotti del settore
merceologico di appartenenza, nonché è in grado di orientare il proprio comportamento economico”.
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L’etichettatura dei prodotti alimentari.
STUDIO LEGALE
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STUDIO LEGALE
La La fine della tutela reale nei licenziamenti: una storia ancora tutta da scrivere.
A fronte di questo breve preambolo, si può affermare che l’etichettatura di un
prodotto alimentare ha un ruolo strategico e di fondamentale importanza nei
confronti del consumatore, in quanto non solo lo rende consapevole ed informato
rispetto all’acquisto, permettendogli di scegliere il prodotto in base alle proprie
esigenze, ma anche in quanto ottimo strumento di commercializzazione per
l’impresa.
Per etichettatura si intende “l’insieme delle menzioni, delle indicazioni, dei marchi di
fabbrica o di commercio, delle immagini o dei simboli che si riferiscono al prodotto
alimentare e che figurano direttamente sull’imballaggio o su un’etichetta appostavi
o sul dispositivo di chiusura o su cartelli, anelli o fascette legati al prodotto
medesimo, o, in mancanza di conformità a quanto stabilito negli artt. 14, 16 e 17, sui
documenti di accompagnamento del prodotto alimentare” (D.Lgs. 109/1992 art. 1, II
c., lett. a ).
La Normativa europea e nazionale.
L’Unione Europea ha disciplinato per la prima volta la materia con l’emanazione
della Direttiva 79/112/CEE del 18 dicembre 1978, relativa al “ravvicinamento delle
legislazioni degli Stati Membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei
prodotti alimentari destinati al consumatore finale, nonché la relativa pubblicità”.
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In Italia, il D. Lgs. 109/92 detta disposizioni generali che si applicano
trasversalmente a tutti gli alimenti preconfezionati, sfusi e preincartati destinati alla
vendita in Italia. A questa norma orizzontale se ne assommano poi altre specifiche
per determinate tipologie di prodotti alimentari (olio, vino, miele, cacao, carni
bovine, etc..).
A seguito di un complesso iter normativo, in cui si sono susseguite emanazioni ed
abrogazioni di normative, il 25 ottobre 2011, il Parlamento europeo ed il Consiglio
hanno adottato il Regolamento UE 1169/2011 “relativo alla fornitura di
informazioni sugli alimenti ai consumatori”. Ciò nonostante, il legislatore italiano,
anziché emanare una nuova norma, ha continuato ad apportare modifiche al D. Lgs.
109/1992, preservandone il valore di legge quadro, in riferimento all’etichettatura di
prodotti alimentari.
Le novità introdotte dal Regolamento UE 1169/2011 sono entrate in vigore il
ventesimo giorno successivo alla pubblicazione del Regolamento (avvenuta il 22
novembre 2011), tuttavia per i soggetti preposti all’etichettatura dei prodotti
alimentari è previsto un periodo transitorio di tre anni ai fini dell’adeguamento.
Unica eccezione sarà la novità riguardante l’indicazione dell’obbligatorietà della
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forme di garanzie sanitarie, attuate nella produzione e nella commercializzazione dei
prodotti.
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dichiarazione nutrizionale, la cui cogenza è prevista entro un periodo di cinque anni
dall’entrata in vigore del Regolamento.
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Il D. Lgs. 109/92 contempla tre categorie generali in base alle quali viene
disciplinata l’etichettatura di un prodotto: questo può, infatti, essere preconfezionato,
preincartato o sfuso.
Il prodotto alimentare preconfezionato è l’unità di vendita “costituita da un prodotto
alimentare e dall’imballaggio in cui è stato immesso prima di essere posto in
vendita, avvolta interamente o in parte da tale imballaggio, ma comunque in modo
che il contenuto non possa essere modificato senza che la confezione sia aperta o
alterata” (art. 1, II c., lett. b). É il caso, ad esempio, di un formaggio venduto a fette
preconfezionate dal produttore.
Il prodotto alimentare preincartato, invece, è “l’unità di vendita costituita da un
prodotto alimentare e dall’involucro nel quale è stato posto o avvolto negli esercizi
di vendita” (art. 1, II c., lett. d). Si pensi, ad esempio, ad un formaggio preincartato
con pellicola protettiva presso il punto vendita per una commercializzazione
immediata.
I prodotti sfusi, infine, sono “prodotti alimentari non preconfezionati o
generalmente venduti previo frazionamento, anche se originariamente
preconfezionati, i prodotti confezionati sui luoghi di vendita a richiesta
dell’acquirente e i prodotti preconfezionati ai fini della vendita immediata” (art. 16,
I c.).
Restano esclusi dal campo di applicazione del D.lgs. 109/1992:
i prodotti destinati ad essere commercializzati in altri Paesi. Nel caso di un Paese
Ue, la previsione normativa è per lo più identica, ad eccezione di quanto stabilito per
la lingua (che non può essere quella italiana, ma quella del Paese di
commercializzazione) e per l’indicazione della sede dello stabilimento (informazione
valida solo per i prodotti alimentari confezionati e venduti in Italia). Nel caso in cui
la commercializzazione avvenga in un Paese extra UE, l’etichettatura deve essere
realizzata nel rispetto della normativa del Paese di riferimento;
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i prodotti che sono venduti nei settori internazionali degli aeroporti ove, per
prassi commerciale, le etichette sono solamente in lingua inglese o nella lingua del
Paese di origine del prodotto, oppure in più lingue.
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Tipologie di prodotti
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L’articolo 9 del Regolamento UE 1169/2011 elenca le indicazioni che devono essere
fornite obbligatoriamente al consumatore al momento dell’acquisto del prodotto
alimentare. La maggior parte di queste informazioni erano già contenute nel D.lgs.
109/1992, in base al quale devono comparire: la denominazione del prodotto,
l’elenco degli ingredienti e la quantità di taluni di essi, la quantità netta, il termine
minimo di conservazione o la data di scadenza, le condizioni di conservazione e/o
d’impiego, il nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore alimentare,
nonché istruzioni per l’uso e titolo alcolometrico nel caso di bevande con un
contenuto alcolico superiore all’1,2% in volume. A queste informazioni, con il
nuovo Regolamento, sono state aggiunte, anche se solo per alcune categorie di
alimenti, le indicazioni relative all’origine del prodotto e le informazioni nutrizionali.
Il Regolamento ammette, in aggiunta, per le indicazioni obbligatorie, l’utilizzo di
pittogrammi eventualmente anche in sostituzione di parole e numeri, a patto che
questa simbologia garantisca lo stesso livello di informazione al consumatore.
Inoltre, al fine di garantire la leggibilità delle informazioni riportate in etichetta, la
nuova norma prevede, da un lato, che i caratteri abbiano dimensioni pari o superiori
a 1,2 mm, e dall’altro, che le informazioni obbligatorie siano apposte in un punto
evidente della confezione, in modo da essere facilmente visibili e mai nascoste,
oscurate, limitate o separate da altre indicazioni scritte o grafiche.
Con queste prescrizioni il legislatore vuole ovviare al problema della scarsa
leggibilità, già da tempo evidenziata dai consumatori, in tema di informazioni fornite
in etichetta.
Sono, infine, previste disposizioni particolari per le bottiglie di vetro, gli imballaggi
di piccole dimensioni, l’etichettatura nutrizionale degli alimenti di cui all’allegato V
(additivi, lieviti, enzimi, etc..), le bevande con contenuto alcolico superiore all’1,2 %
in volume.
Tra le informazioni contenute in etichetta, debbono essere menzionate quelle fornite
su base c.d. volontaria. Queste debbono soddisfare requisiti specifici, quali non
indurre in errore il consumatore, attraverso ambiguità e confusione, e l’indicazione
di dati scientifici pertinenti.
Inoltre, le informazioni volontarie non possono, per quanto riguarda la loro
presentazione, occupare lo spazio disponibile per le informazioni obbligatorie.
L’art. 14 comma 1 del D.lgs. 109/1992 stabilisce che “la denominazione di vendita,
la quantità, il termine minimo di conservazione o la data di scadenza nonché il titolo
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Le indicazioni
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La La fine della tutela reale nei licenziamenti: una storia ancora tutta da scrivere.
L’obiettivo dell’attuale normativa italiana e della normativa UE di prossima cogenza
è quello di ampliare i contenuti relativi alle finalità della normativa, ribadendo, sin
dal titolo dell’articolo “Pratiche leali d’informazione”, l’attenzione che deve essere
prestata affinché siano utilizzate solo informazioni sugli alimenti tali da non indurre
in errore il consumatore.
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alcolometrico volumico effettivo devono figurare nello stesso campo visivo”. Questa
disposizione ha l’obiettivo di comunicare immediatamente al consumatore le
principali caratteristiche del prodotto.
Secondo il Regolamento, invece, dovranno comparire nello stesso campo visivo (art.
13, par. 5) la denominazione dell’alimento, la quantità netta dell’alimento e, per le
bevande che contengono più di 1,2 % di alcol in volumi, il titolo alcolometrico
volumico effettivo. Non si prevede, quindi, la presenza nello stesso campo visivo
della data di scadenza o del termine minimo di conservazione.
Inoltre, il D.Lgs. 109/1992 specifica che le indicazioni obbligatorie per i prodotti
preconfezionati devono “essere menzionate in un punto evidente in modo da essere
facilmente visibili” e “devono figurare sull’imballaggio preconfezionato o su
un’etichetta appostavi o legata al medesimo o su anelli, fascette, dispositivi di
chiusura” in modo da essere chiaramente leggibili ed indelebili, per non essere in
alcun modo dissimulate o deformate.
La denominazione di vendita non deve essere confusa né con la classificazione dei
prodotti prevista dalla tariffa doganale comune, né con il marchio aziendale, né,
tanto meno, con la denominazione commerciale (che è facoltativa e serve
unicamente a qualificare meglio il prodotto).
Per individuare la denominazione di vendita, il legislatore ha previsto una precisa
gerarchia cui fare riferimento. In particolare, ha stabilito che essa sia scelta seguendo
un triplice ordine di criteri: in primo luogo, occorre verificare la presenza di una
denominazione legale prevista in ambito UE; in mancanza, si deve utilizzare la
denominazione legale prevista dall’ordinamento nazionale; infine, in assenza delle
condizioni precedenti, si deve fare ricorso al nome consacrato da usi e da
consuetudini o ad una descrizione del prodotto alimentare. Se necessario, tale
spiegazione è integrata da “informazioni sulla sua utilizzazione, in modo da
consentire all’acquirente di conoscere l’effettiva natura e di distinguerlo dai
prodotti con i quali potrebbe essere confuso”.
Particolarmente rilevanti, ai fini dell’indicazione della tipologia di prodotto e della
sua provenienza, risultano i c.d. “marchi di qualità”. La loro presenza, indicata in
etichetta, certifica il riconoscimento del prodotto da parte della Comunità Europea,
secondo canoni che possono riguardare la fase agricola della filiera agro-alimentare
e/o le successive fasi di lavorazione e trasformazione. I marchi di qualità
garantiscono al consumatore la provenienza originale del prodotto e/o che il processo
di produzione avvenga secondo modalità legate a una tipicità territoriale.
In Italia, le certificazioni di prodotti vengono elaborate da Istituti o Enti di
Certificazione che, avendo ottenuto l’autorizzazione dal Ministero delle Politiche
Agricole, si occupano di garantire il rispetto del disciplinare che regola il marchio di
qualità.
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Marchi di qualità
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L’attenzione riservata ai prodotti tipici è stata dimostrata più volte anche in sede
giudiziale. In ultimo, risulta particolarmente interessante la sentenza 19093/2013
della Suprema Corte di Cassazione, avente ad oggetto la frode in commercio causata
da un’etichetta c.d. ingannevole.
Il caso in parola trae origine da un ricorso contro l’ordinanza di sequestro, nel
reparto ortofrutta di un supermercato, di 65 confezioni sotto vuoto di pistacchi
sgusciati sulla cui etichetta campeggiava la dicitura “Dry Fruit sfiziosità siciliane Pistacchi sgusciati” e in basso, in caratteri assai più minuti (scarsamente leggibili a
occhio nudo), l’indicazione “ingredienti: pistacchi sgusciati Mediterraneo”.
Il ricorrente aveva sostenuto che l’indicazione contenuta in etichetta facesse
riferimento esclusivamente all’origine siciliana dell’azienda, indicazione, a suo
parere, non travisabile con la ben nota specialità siciliana dei pistacchi provenienti
dalla località di Bronte, cui sono riservate garanzie peculiari legate al marchio DOP.
La Cassazione, riprendendo le argomentazioni del Tribunale, ha osservato che la
dicitura “pistacchi sgusciati mediterraneo” non consente di risalire al paese reale di
produzione dei pistacchi – verosimilmente la Turchia – ed anzi, rilevata la scarsa
leggibilità dell’etichettatura, può avvalorare la “sicilianità” del prodotto.
Peraltro, a parere della Cassazione “l’obbligo di non ingannevolezza, relativo alla
zona di origine del prodotto, prescinde dalla concomitante presenza nella medesima
area geografica di prodotti specificamente protetti, assolvendo l’etichetta
esclusivamente all’obbligo di una corretta informazione per il consumatore”.
“Il D.lgs 109/92, con cui è stata data attuazione alle direttive 89/395/CEE e
89/396/CEE concernenti I’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti
alimentari, all’art. art, 2 co. 1 stabilisce in via generale che: “L’etichettatura, la
presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari non devono indurre in errore
l’acquirente sulle caratteristiche del prodotto e precisamente sulla natura, sulla
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I marchi che riguardano i prodotti alimentari sono:
• DOP (Denominazione di Origine Protetta): possono fregiarsi del marchio
DOP solo i prodotti la cui produzione e la cui trasformazione ed elaborazione
avviene in un’area geografica delimitata e definita e le cui qualità e
caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente all'ambiente
geografico comprensivo di fattori naturali ed umani.
• IGP (Indicazione Geografica Protetta): possono fregiarsi del marchio IGP
solo i prodotti la cui produzione e/o trasformazione e/o elaborazione avviene
in un’area geografica determinata e definita e la cui qualità, reputazione o
altra caratteristica, possono essere attribuite all'origine geografica.
• STG (Specialità Tradizionale Garantita): possono fregiarsi del marchio STG
i prodotti la cui specificità non è legata ad un’area geografica delimitata ma
alla tradizione e quindi all’utilizzo di materie prime tradizionali o ad una
composizione tradizionale o ad un metodo di produzione e/o trasformazione
tradizionali.
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identità, sulla qualità, sulla composizione, sulla quantità, sulla durabilità, sul luogo
di origine o di provenienza, sul modo di ottenimento o di fabbricazione del prodotto
stesso … si deve, dunque, ritenere che l’obbligo di indicazione del luogo di origine
sorga ogniqualvolta sia possibile una confusione sul punto”.
Oltre alle norme di carattere generale sull’etichettatura coesistono diverse norme
nazionali che regolamentano i singoli settori alimentari, prestando, naturalmente,
particolare attenzione alle peculiarità dei prodotti.
Vino
I prodotti vitivinicoli sono tra i più complessi in termini di etichettatura; la normativa
in materia di classificazione di tali prodotti è contenuta nel Regolamento (CE) n.
479/2008 (OCM - Organizzazione Comune del Mercato) del Consiglio e dal
Regolamento (CE) n. 607/2009 della Commissione, del 14 luglio 2009, recante
modalità di applicazione del Regolamento; questi disciplinano le denominazioni di
origine protette, le indicazioni geografiche protette, le menzioni tradizionali,
l’etichettatura e la presentazione di determinati prodotti vitivinicoli.
Con riferimento alle modalità di etichettatura, invece, è intervenuto il Regolamento
Ce 607/2009. Sostanzialmente per il comparto dei vini DOP e IGP non sono
intervenute modifiche di rilievo, se non per la possibilità di apporre, in etichetta, i
loghi comunitari DOP e IGP ed altre migliorie relative alla leggibilità dell’etichetta.
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I principali obiettivi dell’ultima riforma sono stati diretti, con evidenza, ad
aumentare la competitività dei produttori europei di vino, rafforzando la notorietà dei
vini europei e salvaguardando, nel contempo, le migliori tradizioni della viticoltura
europea, attraverso il tessuto sociale ed ambientale delle zone rurali.
Il Regolamento del 2009 ha introdotto importanti novità negli aspetti relativi alla
classificazione dei vini ed alle modalità per la loro etichettatura.
Innanzitutto, è utile precisare che la normativa vigente è un punto d’approdo
raggiunto a seguito della complicata vicenda relativa alla classificazione dei vini.
Infatti, a seguito di lunghe querelles sull’argomento, il Regolamento Ce 479/2008 ha
stabilito che, a partire dalla campagna vitivinicola 2009/2010, e per le successive
campagne, i vini comunitari saranno classificati secondo due differenti tipologie:
vini a denominazione di origine, ovvero i vini che vantano uno specifico legame con
il territorio geografico e che dovranno essere identificati come DOP (ex DOC e
DOCG) e IGP (ex IGT) e vini senza denominazione di origine, ovvero i vini che non
vantano uno specifico legame con il territorio e che sono sostanzialmente
rappresentati dai c.d. “ex vini da tavola”.
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Etichettatura e tipologia di prodotti
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Situazione diversa, invece, si presenta per i vini senza denominazione di origine (ex
vini da tavola) che potranno, facoltativamente, indicare in etichetta annata di
produzione e/o varietà delle uve utilizzate (in questo secondo caso si chiameranno
Vini varietali), sebbene a precise condizioni fissate dalla normativa comunitaria e
nazionale.
L'etichettatura dei vini e dei prodotti vitivinicoli deve riportare le seguenti
informazioni: la denominazione della categoria in conformità; se il prodotto è
conforme; i termini «denominazione di origine protetta» o “indicazione geografica
protetta”; il nome della denominazione di origine protetta o dell’indicazione
geografica protetta; il titolo alcolometrico effettivo “% vol”; la provenienza;
l’identità dell’imbottigliatore; del produttore o del venditore; l’identità
dell’importatore nel caso di vini importati; il tenore di zucchero (per determinati vini
spumanti); il numero di lotto.
La presenza di solfiti deve essere indicata nell’etichetta secondo le disposizioni
previste dalla direttiva 2000/13/CE relativa all'etichettatura e alla presentazione dei
prodotti alimentari.
Tutte le indicazioni obbligatorie (tranne l’importatore e il numero di lotto) devono
comparire in modo chiaro e visibile nel medesimo campo visivo della bottiglia.
La DOP, l’IGP o la menzione tradizionale sono riportate sull’etichetta nella lingua o
nelle lingue per le quali vige la protezione. Se non è possibile esprimere in caratteri
latini le DOP, le IGP o i nomi nazionali specifici, il nome può figurare in una o più
lingue ufficiali dell’Unione europea.
Anche per i vini ed i prodotto vitivinicoli, l’etichetta può recare indicazioni
facoltative, quali, ad esempio: l’anno di vendemmia (almeno l’85 % dell’uva deve
essere stata raccolta nell’anno indicato);il nome di una o più varietà di uve da vino; il
tenore di zucchero (tranne per determinati vini spumanti, per i quali tale indicazione
è obbligatoria); il simbolo comunitario recante la denominazione di origine protetta o
l’indicazione geografica protetta secondo le disposizioni previste nell’allegato V del
Regolamento (CE) n. 1898/2006; le menzioni relative a determinati metodi di
produzione e, per i vini che beneficiano di una denominazione di origine protetta o di
un’indicazione geografica, il nome di un’altra unità geografica di dimensioni minori
o maggiori rispetto alla zona che è alla base della denominazione di origine o
dell’indicazione geografica.
L’esportazione di bevande alcoliche negli Stati uniti prevede una procedura
particolare che impone un accertamento dei requisiti prima dell’immissione sul
mercato statunitense. L’organo investito del potere di effettuare tale valutazione è lo
US Department of Treasury’s Alcohol and Tobacco Tax and Trade Bereau (TTB).
L’importatore per ottenere la licenza (basic permit) può anche operare con l’ausilio
di un soggetto residente negli Stati Uniti, verificando preventivamente presso il TTB
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Vino, disposizioni per l’esportazione negli Stati Uniti.
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l’etichetta (Cola o Certificate of label approval) e la sua conformità alla legislazione
federale. Talvolta, può essere richiesta una verifica dei contenuti del prodotto, per
mezzo di accertamenti svolti in laboratorio (detti pre-cola) con particolare
riferimento ai solfiti contenuti nei prodotti vitivinicoli. Per le bevande alcoliche con
una gradazione alcolica compresa tra 0.5% e 22% di volumi non è necessario che il
TTB accerti il processo di produzione, sicché per questi prodotti non è necessario
espletare la procedura pre-cola.
All’atto dell’esportazione, oltre alla documentazione doganale, spesso possono
essere richiesti dei rapporti di prova analitici, come a titolo esemplificativo le
autorizzazioni ministeriali italiane, quali quelle rilasciate dal ministero delle politiche
agricole, alimentari e forestali.
Il prodotto vitivinicolo, in virtù delle sue svariate caratteristiche, deve essere
presentato in tre differenti versioni, per mezzo di tre differenti etichette, affinché la
stesura finale dell’etichetta stessa venga prima esaminata ed approvata dal TTB di
Washington. Il produttore italiano, per registrare l’etichetta, deve, quindi, individuare
un importatore ed autorizzarlo a registrare i propri prodotti per venderli nello Stato
dove opera l’esportatore. Terminati questi adempimenti e completata la registrazione
dell’etichetta è possibile spedire e commercializzare il prodotto alcolico.2
2
http://www.ttb.gov/labeling/labeling-resources.shtml#general
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Per quanto concerne l’etichetta, in senso stretto, questa dovrà essere identica a quella
del prodotto venduto nel paese d’origine, con l’aggiunta delle necessarie
informazione previste dalla normativa federale.
La denominazione utilizzata per contraddistinguere l’etichetta può ispirarsi anche al
nome dell’importatore o dell’esportatore. E’ necessario, tuttavia, prestare la massima
attenzione nell’apporre riferimenti geografici, i quali potrebbe comportare
confusione nel cliente sull’origine del prodotto. Quando l’etichettatura riguarda i vini
“varietali”, valgono le stesse regole vigenti nell’Unione Europea, ovvero riportare il
vitigno utilizzato (Varietal Grape), pari almeno al 75% dell’uva necessaria, l’annata
della vendemmia (Vintage Dating), nonché le indicazioni circa la produzione e
l’imbottigliamento (Estate Bottled), con regole specifiche riguardo all’origine e alle
percentuali di provenienza. Anche in questo caso, restano comunque obbligatorie le
indicazioni riportate in precedenza.
Per i vini DOP (come per gli IGP) è sufficiente la dicitura “denominazione di origine
protetta”, congiuntamente con i riferimenti del produttore, il paese d’origine
(product of Italy), il contenuto (NET, FL.Oz) e l’indicazione dei volumi.
Fondamentali rimangono, oltre ai dati dell’esportatore, i dati dell’azienda
importatrice (imported by, solanger o simili), il cui nominativo deve corrispondere a
quello iscritto presso il Treasury Department.
Vi sono, infine, le avvertenze per la protezione del consumatore. Nel caso in cui
fossero presenti dei quantitativi di anidride solforosa maggiore di 10mg per litro, è
necessario indicare la presenza di solfiti con la dicitura “Contain sulfites”, con
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L’etichettatura dei prodotti alimentari.
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carattere di almeno 2 millimetri. Infine, l’etichetta deve contenere gli avvertimenti
destinati alle donne in gravidanza e ai guidatori, al fine di metterli a conoscenza dei
rischi che può comportare l’uso di alcool in dette circostanze .
P. 11
L'etichetta dell'olio di oliva raccoglie le risultanze della storia del prodotto e, come
tale, deve rappresentare il "biglietto da visita" dell'olio presentato al consumatore
finale. L'etichetta deve, pertanto, fornire le necessarie informazioni per comprendere
l'identità del prodotto, il suo livello di qualità e, possibilmente, le indicazioni sulle
peculiari caratteristiche di provenienza.
La materia è regolata a livello comunitario dai Regolamenti (CE) n. 1019/02 e (CE)
n. 510/06.
L'indicazione dell'origine in etichetta per gli oli di oliva vergine ed extravergine
rimane al momento una indicazione facoltativa, come stabilito all'art. 4 del Reg.
(CE) n. 1019/02, relativo alla commercializzazione dell’olio d’oliva. La
designazione dell'origine è costituita dall'indicazione di uno Stato Membro o dalla
Comunità o da un Paese Terzo - secondo le disposizioni applicative stabilite dal
decreto 14/11/2003 che prevede, fra l'altro, il riconoscimento dell'impresa da parte
dell'Ufficio regionale competente. Inoltre è possibile designare, a livello interno, i
prodotti che beneficiano di una denominazione di origine protetta (DOP) o di una
indicazione geografica protetta (IGP) a norma del Reg. (CE) n. 510/06.
È di recente emanazione, in Italia, la c.d. “Legge Salva Olio” (legge 14 gennaio
2013, n. 9 - Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva
vergini) che rappresenta una vera e propria rivoluzione nella filiera dell’olio,
introducendo rigorose e stringenti norme in materia di etichettatura, controlli e
sanzioni al dichiarato scopo di rendere il mercato degli oli di oliva tra quelli più
tutelati, in Italia, contro il rischio frodi, contraffazioni e sofisticazioni.
Le modiche, apportate dalla citata legge, relative alle disposizioni sull’etichettatura,
rappresentano solo una minima parte degli interventi del legislatore, il quale è
intervenuto in particolar modo sul rafforzamento delle sanzioni in caso di scorretta
presentazione degli oli di oliva nei pubblici esercizi e per le attività pubblicitarie
ingannevoli. Infatti, dal punto di vista penale l’apparato sanzionatorio è stato
inasprito attraverso l’introduzione, nel corpus del D.Lgs. 231/2001, di tre inediti
reati che, se commessi nell’ambito della filiera dell’olio di oliva, saranno idonei a far
scattare le concorrente responsabilità della persona giuridica (oltre a quella del legale
rappresentante aziendale o suo delegato) con la conseguente possibile applicazione
delle sanzioni pecuniarie e interdittive previste dalla legge.
L’art. 4 del D.M. 10 novembre 2009 recante “Disposizioni nazionali relative alle
norme di commercializzazione dell'olio di oliva” prevede che la designazione
dell'origine degli “oli extra vergini di oliva” e degli “oli di oliva vergini” figuri
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La La fine della tutela reale nei licenziamenti: una storia ancora tutta da scrivere.
Olio di oliva
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attraverso l'indicazione sull'etichetta del nome geografico di uno Stato membro o
della Comunità o di un Paese terzo.
Nel caso di miscele di oli di oliva (sia extra vergini che vergini) non estratte in un
unico Stato membro o Paese terzo, queste devono figurare, a seconda dei casi,
attraverso l'indicazione sull'etichetta di: miscela di oli di oliva comunitari; miscela
di oli di oliva non comunitari; miscela di oli di oliva comunitari e non comunitari.
La “Legge Salva Olio”, oltre a ribadire alcuni principi valevoli in materia di
etichettatura della generalità dei prodotti alimentari, è intervenuta sull'indicazione
dell'origine degli oli di oliva vergini, la quale deve figurare nel campo visivo
anteriore del recipiente. Sulla grandezza dei caratteri utilizzati per detta indicazione,
che non deve essere inferiore a quella prevista dal Regolamento comunitario n.
1169/2011 sulla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori (parte
mediana pari o superiore a 1,2 mm) è previsto, a titolo di deroga, che i caratteri
possano essere stampati in dimensioni uguali a quelli della denominazione di vendita
dell'olio di oliva vergine, nel medesimo campo visivo e nella medesima rilevanza
cromatica ed infine, nel caso di miscele di oli di oliva estratti in un altro Stato
membro dell'Unione europea o in un Paese terzo, l'indicazione dell'origine deve
essere immediatamente preceduta dall'indicazione del termine “miscela”, stampato
con diversa e più evidente rilevanza cromatica rispetto allo sfondo, alle altre
indicazioni ed alla denominazione di vendita.
Posto che indicazioni, diciture, immagini e simboli grafici che evocano una zona
geografica di origine degli oli vergini di oliva non corrispondente a quella effettiva
delle olive costituiscono strumento atto a integrare una pratica commerciale
ingannevole, punita anche ai sensi del codice del consumo (D.Lgs. 6 settembre 2005,
n. 206), la tutela è estesa altresì ai marchi d'impresa. Tali marchi non possono
costituire oggetto di registrazione se idonei a ingannare il consumatore sulla reale
provenienza delle materie prime degli oli di oliva vergini. I marchi registrati per i
quali sopravviene tale rischio decadono per illiceità sopravvenuta e il titolare, entro
un anno dalla dichiarazione di decadenza, deve avviare le procedure per ritirare dal
mercato i prodotti così contrassegnati.
La c.d. Legge sul Made in Italy (L. 350/2003) stabilisce che la fallace indicazione
nell'uso del marchio è punita, quando abbia per oggetto oli di oliva vergini, ai sensi
dell'articolo 517 del codice penale (Vendita di prodotti industriali con segni
mendaci).
Olio di oliva, disposizioni per l’esportazione negli Stati Uniti.
P. 12
Per quanto concerne l’etichettatura dell’olio d’oliva destinato al mercato
statunitense, questa è sottoposta alle medesime disposizioni di altri prodotti
alimentari, regolata dal Code of Federal Regulations – Title 21 Food and Drugs, §
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101.93. All’interno dell’etichetta debbono essere riportate le seguenti informazioni:
paese di origine, paese di fabbricazione, importatore negli Stati Uniti, nome ed
indirizzo del fabbricante, contenuto netto ed informazioni nutrizionali. Tali
informazioni devono essere obbligatoriamente riportate in lingua inglese.
Nel caso specifico degli oli extravergine di oliva, l’etichetta deve riportare le
seguenti informazioni, in lingua inglese: nome del prodotto (Extra virgin olive oil),
paese di origine (Made in … o Product of …, indicando tutti i Paesi qualora il
prodotto sia una miscela di oli di diversa origine); nome e indirizzo del produttore;
peso netto (Net content ...) espresso in galloni o, se inferiore al gallone, in once
fluide (fl. oz.) o in pinte; informazioni nutrizionali (almeno le seguenti: calorie totali,
grassi totali, grassi saturi, grassi idrogenati, carboidrati totali, proteine e sodio); i
valori devono fare riferimento ad una porzione di prodotto, calcolata su un
cucchiaino da tavola che contiene circa 15 ml; termine minimo di conservazione
(Best before).
Poiché nell’olio di oliva fibre, ferro, zuccheri e vitamine sono presenti in
quantitativi minimi, è obbligatorio riportare la seguente dicitura: “Not a significant
source of dietary fiber, sugars, vitamin A, vitamin C, calcium, and iron” (“Fonte non
significativa di fibre alimentari, zuccheri, vitamina A, vitamina C, calcio e ferro”).
Possono, inoltre, essere aggiunte altre indicazioni facoltative come, ad esempio,
“First Cold Pressing” (spremuto a freddo), l’indicazione del nome del distributore,
se non già chiaramente riportato sull’etichetta il nome dell’azienda produttrice,
oppure suggerimenti al consumatore su come conservare il prodotto. Tali
indicazioni, però, non devono essere di grandezza inferiore a 1.6 mm.
Prodotti da forno e farine
3
http://www.accessdata.fda.gov/scripts/cdrh/cfdocs/cfcfr/cfrsearch.cfm?fr=101.9
P. 13
Secondo quanto disposto dal D.P.R. n. 187 del 9 febbraio 2001 (“Regolamento per
la revisione della normativa sulla produzione e commercializzazione di sfarinati e
paste alimentari”), l’etichetta delle farine alimentari deve riportare la tipologia della
farina, la ragione sociale del fabbricante, la sede e il numero di lotto. Non è
obbligatoria, ma spesso appare, la scritta “conservare in luogo fresco e asciutto”.
È denominato “pane” il prodotto ottenuto dalla cottura totale o parziale di una pasta
convenientemente lievitata, preparata con sfarinati di grano, acqua e lievito, con o
senza aggiunta di sale comune (cloruro sodico).
L’art. 10, c. 6, lett. e del D.lgs. 109/1992 prevede che l’indicazione del termine
minimo di conservazione o la data di scadenza non debbano essere necessariamente
indicati per il pane, in quanto esso rientra tra i prodotti della pasticceria e della
panetteria destinati ad essere consumati normalmente entro le 24 ore successive alla
fabbricazione.
L’etichettatura del pane è regolata, a livello nazionale, dalla Legge 580/1967 e dal
D.P.R. 502/1998. In particolare, la Legge 580/1967, all’art. 17, prevede a seconda
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dello sfarinato impiegato differenti denominazioni di vendita, quali, a titolo
esemplificativo e non esaustivo, pane di semola, pane di tipo integrale, etc.
Nella produzione del pane, in base all’art. 4 del D.P.R. 502/1998, oltre agli
ingredienti di base (sfarinati di grano, acqua, lievito, sale) può essere impiegato
liberamente ogni altro tipo di ingrediente alimentare; in tal caso occorre che la
denominazione di vendita venga completata dalla menzione dell’ingrediente
caratterizzante utilizzato o, nel caso di più ingredienti, di quello o di quelli
caratterizzanti (pane con …).
L’art. 3 (Aggiunte) del D.P.R. 502/1998 indica che nella produzione del pane è
consentito l’impiego di coadiuvanti tecnologici (Acido Ascorbico, Alfa Amilasi,
Beta Amilasi etc …) e di altre sostanze. Oltre agli estratti di malto ed alla alla farina
di cereali maltati (già previsti dall’art. 19 della Legge 580/1967) ed agli zuccheri
(saccarosio e destrosio), già previsti come ingredienti dall’art. 20 della medesima
legge, è possibile aggiungere altre sostanze: enzimi naturali, paste acide essiccate
(purché prodotte con ingredienti naturali), farine pregelatinizzate di frumento,
glutine, amidi alimentari.
Solitamente il pane comune viene venduto sfuso in panetteria, anche se negli ultimi
anni c’è stato un grande sviluppo dell’offerta di pane fresco confezionato nei
supermercati. Non vi è una sostanziale differenza tra i prodotti sfusi e quelli
preconfezionati; infatti per i primi è previsto un elenco degli ingredienti esposto ben
in vista in panetteria.
Per quanto riguarda l’elenco degli ingredienti, essi devono essere indicati in ordine
decrescente di
quantità. I componenti di base e quelli caratterizzanti vanno specificati in
percentuale, insieme a quelli aggiunti nel caso ve ne fossero. Pani a lunga
conservazione possono essere addizionati con sostanze grasse, per mascherare
l’indurimento, e vari additivi.
Possono inoltre variare le denominazioni di vendita specifiche, qualora il pane sia
ottenuto dalla miscelazione di diversi tipi di sfarinati. In tal caso occorre che
nell’etichetta sia riportata la dizione: “Pane al…”.
Il Regolamento CE 1234/2007, e successive modifiche, stabilisce che le
denominazioni “latte” e ”prodotti lattiero caseari” possano essere utilizzate in
riferimento a due categorie: per il latte di vacca, la cui denominazione è riservata
esclusivamente al prodotto della secrezione mammaria normale, ottenuto mediante
una o più mungiture, senza alcuna aggiunta o sottrazione e per i prodotti lattiero
caseari, espressione riservata ai prodotti derivati esclusivamente dal latte, fermo
restando che possono essere aggiunte sostanze necessarie per la loro fabbricazione,
purché esse non siano utilizzate per sostituire totalmente o parzialmente uno
qualsiasi dei componenti del latte.
P. 14
Latte e Produzioni Lattiero casearie
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P. 15
Per la classificazione dei formaggi, l’etichetta spesso indica la presenza e la quantità
del grasso, definendo il formaggio con il termine magro o leggero a seconda del
contenuto, ovvero meno del 20% o tra il 20 e il 35%, di grassi. Per valutare il
contenuto in grasso, è necessario considerare la quantità d’acqua del formaggio (che
deve essere indicata), sicché un formaggio definito grasso, ma contenente molta
acqua (es. 60%) può essere meno grasso di un formaggio definito semigrasso e
contenente meno acqua (es. 30%).
I formaggi vengono poi classificati anche in base alla consistenza della pasta, che è
data dalla quantità di acqua presente in essa, per cui si hanno i formaggi a pasta
molle, che contengono dal 40 % al 70% di acqua, a pasta semidura ed a pasta dura.
La La fine della tutela reale nei licenziamenti: una storia ancora tutta da scrivere.
L’elenco degli ingredienti nelle etichette dei prodotti lattiero caseari non è sempre
indispensabile. Infatti, la legislazione non lo richiede per il latte e le creme di latte
fermentato (yogurt e simili), per i formaggi e per il burro, purché a questi non siano
stati aggiunti altri ingredienti diversi dai costituenti propri del latte, dal sale o dagli
enzimi e dalle colture di microrganismi necessari alla loro fabbricazione.
Per la fabbricazione del prodotto lattiero caseario la normativa impone la dicitura “al
latte crudo”, tranne che per i prodotti stagionati oltre 60 giorni; può essere utilizzata
anche dell’acqua per la fabbricazione dei formaggi fusi; tuttavia, questa deve essere
indicata nell’elenco degli ingredienti se la quantità nel prodotto finito è superiore al
5%, in peso, del prodotto finito stesso.
Non sono considerati ingredienti e, conseguentemente non sono indicati nell’elenco i
microrganismi utilizzati per la fabbricazione del formaggio, ed i liquidi di copertura
utilizzati per i formaggi freschi a pasta filata. Le proteine del latte (caseine, caseinati)
sono considerate ingredienti, e, quindi, devono essere indicate nell’apposito elenco,
se utilizzate direttamente per la fabbricazione di formaggi fusi.
Il caglio è considerato un coadiuvante tecnologico senza alcuna funzione nel
prodotto finito e, in quanto tale, non deve essere dichiarato fra gli ingredienti.
La crosta è considerata parte del prodotto, per cui sono considerati ingredienti anche
gli additivi utilizzati come conservanti sulla crosta (sorbati di calcio o potassio),
mentre non sono considerati ingredienti i materiali o le sostanze utilizzate come
protettivi delle croste (ad esempio la paraffina del provolone).
L’elenco degli ingredienti è, invece, sempre necessario per particolari categorie di
prodotti caseari, quali yogurt alla frutta o zuccherati, formaggi prodotti con spezie,
erbe aromatiche o altri ingredienti (noci, olive, etc..) e prodotti lattiero caseari ai
quali siano stati aggiunti degli additivi come il lisozima (presente nella lista degli
allergeni).
Se un ingrediente risulta essere caratterizzante (yogurt alla fragola, pecorino col
pepe), così come per i formaggi fusi, per i quali si dichiarano i formaggi utilizzati,
deve essere indicata la percentuale del prodotto con riferimento al c.d. QUID
(Quantitative Ingredient Declaration - ingrediente caratterizzante evidenziato) che
prevede la dichiarazione della quantità di utilizzo dell’ingrediente in percentuale.
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Infine un’ulteriore classificazione si basa sul tempo di maturazione dei formaggi:
freschissimi: da 48 a 72 ore; freschi: 15 giorni; semistagionati: da 40 giorni a 6 mesi;
stagionati: da 6 mesi a 1 anno; molto stagionati: oltre 1 anno.
Queste classificazioni, di tipo soprattutto merceologico, devono trovare rispondenza
nell’etichettatura del prodotto che, anche se ottenuto in azienda pur sempre nel
rispetto delle norme igienico sanitarie, viene offerto direttamente al consumatore nel
luogo o in prossimità al luogo ove è stato prodotto, ciò in quanto la vendita del
formaggio, così come molti prodotti alimentari, avviene in tre forme e cioè:
preconfezionato, preincartato o sfuso. In particolare:
l’indicazione del “termine minimo di conservazione (TMC)” o della “data di
scadenza” è obbligatoria per tutti i prodotti lattiero-caseari preconfezionati: è la data
fino alla quale il prodotto alimentare conserva le sue proprietà specifiche, in
adeguate condizioni di conservazione; esso va indicato con la dicitura “da
consumarsi preferibilmente entro” seguita dalla data. La data di scadenza, invece, è
la data entro la quale il prodotto alimentare deve essere consumato; essa va indicata
con la dicitura “da consumarsi entro” seguita dalla data. Della scelta del tipo di
indicazione da fornire “TMC” o “data di scadenza” è normalmente responsabile il
fabbricante, che deve valutarla in funzione dalla deperibilità microbiologica del
prodotto. In via generale, i prodotti freschi, in quanto microbiologicamente più
deperibili, riporteranno la data di scadenza, mentre in tutti gli altri figurerà il “TMC”.
La normativa europea sull’etichettatura dei prodotti alimentari è in continua
evoluzione, prefiggendosi come obiettivo una maggiore completezza ed affidabilità
delle informazioni sui prodotti alimentari, contenute nelle etichette nutrizionali. Il
percorso iniziato con il Regolamento 1169/2011, tuttavia, non può ancora essere
considerato concluso: gli Stati Membri dell'Unione Europea debbono ancora
allinearsi al Regolamento UE 1169/2011 entro le date di applicazione previste dal
Regolamento stesso. Infatti, come previsto dall’art. 55 del Regolamento (UE)
1169/2011, il provvedimento si applicherà a decorrere dal 13 dicembre 2014, ad
eccezione dell’art. 9, par. 1, lett. l) (obbligo di dichiarazione nutrizionale), che si
applicherà a decorrere dal 13 dicembre 2016 e dell’allegato VI, parte B (requisiti
specifici relativi alla designazione delle "carni macinate") e già entrato in vigore,
ovvero a decorrere dal 1 gennaio 2014.
Sarà necessaria la massima concertazione tra gli Stati Membri dell'Unione Europea,
al fine di individuare gli strumenti ed i mezzi in grado di ridurre le forme di
protezionismo, attuare il libero scambio dei prodotti alimentari nel mercato interno e
di porre argini agli effetti dirompenti dell’innovazione tecnologica nell’ambito
alimentare.
In questa delicata fase di attuazione sarà, quindi, necessario trovare un equilibrio da
una parte, tra l'innovazione dei prodotti e la loro regolamentazione, e dall’altra, il
P. 16
Conclusioni
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Si resta a disposizione per qualsivoglia approfondimento in merito a quanto
argomentato.
Per ulteriori informazioni contattare:
Dott.ssa Benedetta Valenti
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L’etichettatura dei prodotti alimentari.
La La fine della tutela reale nei licenziamenti: una storia ancora tutta da scrivere.
mutamento delle abitudini dietetiche ed il rispetto delle preesistenti tradizioni
alimentari dei singoli Stati membri. La normativa in materia di etichettatura degli
alimenti richiederà, comunque, in uno futuro non troppo lontano, una politica atta a
garantire, in maniera più efficace, l’equilibrio tra la protezione del mercato interno e
le differenze nella percezione e nelle scelte dei consumatori, presenti negli Stati
membri.