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Aspasia Rivista online gratuita Giugno 2013 – Luglio 2013 N. 9 “Con le tue finestre aperte sulla strada e gli occhi chiusi sulla gente” gente” Indice Attualità e Politica: ALBERTO CAPRIA, “L’eredità di Margareth Thatcher” – GIULIA BUCCINI, “Le elezioni presidenziali in Venezuela” – FABRIZIO FRATINI, “Del votare contro” – SILVIA VITUCCI, “Il dito e la luna” Cultura: ALESSIO INNOCENTI, “Il saio e la tiara” – DANIELE D’ORAZI, “Il rifiuto di un pontefice poco mediatico” – MARTINO STIRPARO, “Non diamoci del tu” Per qualsiasi informazione, consiglio, o per inviare gli articoli: [email protected] A Don Gallo e Franca Rame Aspasia Attualità e Politica N. 9 Giugno 20132013 Luglio 2013 L’eredità di Margareth Thatcher Di Alberto Capria minatori che lei considerò illegali. Ma soprattutto nel Il nome di Margareth Thatcher, a poco tempo dalla sua mettere da parte molte teorie economiche che, fino ad morte, provoca ancora sentimenti contrastanti: ovvio allora, erano considerate “il verbo”. Basti pensare che sia così quando si parla di personaggi importanti all’accantonamento anzi alla vera e propria derisione che, con le loro azioni, hanno caratterizzato periodi del “keynesismo” (secondo cui, per ottenere un aumenmedio-lunghi della vita mondiale. Insieme a Reagan è to della domanda durante una recessione, le imposte certamente stata l’icona del conservatorismo liberale dovrebbero essere diminuite). L’aumento delle tasse, mondiale; per questo valutare, discutere, esaminare nel momento di peggiore recessione, rese possibile in l’apporto della “Lady di Ferro” alla destra europea, Inghilterra una diminuzione dei tassi di interesse e pornon è operazione semplice. Il giudizio, o meglio tò ad una graduale ripresa dell’economia e ad una l’esame, può essere fatto oggi per allora solo increscita nel lungo periodo. La convinzione che quadrando il periodo storico – sociale le prerogative di Governo, al di fuori dello all’interno del quale si sviluppano gli even“L’Inghilterra, gragrastretto ambito necessario all’ordine e alla ti. Nella seconda metà degli anni ’70, si zie alla Thatcher libertà non dovessero estendersi oltre, verificò una delle peggiori crisi econoprima ed a Blair dodoconnoterà la politica thatcheriana come miche della storia dell’Inghilterra (come po, smise di essere il simbolo del c.d. liberismo economico del resto del mondo), in seguito alla aggressivo degli anni ’80, criticato e vicrisi petrolifera del 1973/74, che portò “il malato tuperato; salvo poi essere ripreso, pur il Paese ad uno stato sostanziale di d’Europa” con le inevitabili distinzioni dovute a dibancarotta. Il governo laburista in carica verso contesto storico e all’impossibilità di fu costretto a negoziare il credito dall’IMF realizzare una vera e propria “deregulation” (International Monetary Fund), il quale inin un contesto comunitario, dall’UE nell’avvio tervenne imponendo severi controlli della spesa delle politiche di privatizzazione degli anni 90. La parinterna come condizione del prestito. te più strettamente sociale della politica thatcheriana, Tutto ciò, alla fine degli anni 70 (1979), portò sottende ad un presupposto di fiducia nella capacità del all’ascesa dei conservatori ed all’elezione di Margareth sistema di autoregolarsi. Errore di fondo, certo, che peThatcher che, his stantibus, non aveva grandi alternatirò ha un riscontro filosofico in Kant (“una società che ve alla realizzazione di politiche “drastiche” ma, sonon è in grado di darsi da sola delle regole è eticamenstanzialmente, razionali: aumento delle imposte indite immatura”) e un limite ideologico dettato da un relarette – che attendono a beni - mantenendo sostantivismo che erode ineluttabilmente le società ancora zialmente invariate quelle dirette – riferibili alle persooggi: anzi oggi più che mai. In ogni caso le decisioni di ne. I risultati non furono immediati, soprattutto in tertagliare la spesa pubblica, avviare un campagna di limini di decrescita della disoccupazione, che intervenne beralizzazioni senza precedenza in Europa, più concorsolo intorno al 1986, in pieno 2° governo conservatore renza, privatizzazioni, riduzione del potere dei sindacatargato Thatcher. L’adozione del modello di società ti, diffusione dell’azionariato, le diedero, con buona individualistica scelto, può essere considerato globalpace di giusti ed onesti, ragione. L’Inghilterra, grazie mente in linea con la tradizione britannica e con le ialla Thatcher prima ed a Blair dopo, smise di essere dee filosofiche di Thomas Hobbes, basate su una con“il malato d’Europa”. cezione egoista e autoritaria dello Stato, pressoché inSandro Trento sul Fatto Quotidiano dell’8 aprile u.s. tegralmente abbracciate da Lady Margareth. Certo fu scriveva: “Thatcher, la storia le ha dato ragione?” Io decisionista, anzi fu l’emblema del decisionismo: e lo sostituirei l’interrogazione con un’esclamazione. dimostrò nella “question” Falkland e negli scioperi dei ! A distanza di mesi dalle elezioni presidenziali in Venezuela il paese versa in un limbo di incertezza e instabilità dovuto al mancato riconoscimento della vittoria ottenuta da Nicolas Maduro da parte dell’avversario Henrique Capriles. Il primo, delfino del defunto Comandante Chavez, scomparso in marzo a seguito di una lunga malattia e designato proprio da Chavez come suo legittimo successore, ha sconfitto il secondo, esponente dell’opposizione venezuelana, con uno scarto dell’ 1,49%, praticamente circa 225.000 voti di differenza. Nonostante il parere positivo sulla legalità del voto della CNE (la commissione elettorale nazionale) e degli osservatori internazionali, e in assenza di un chiaro sostegno da parte della comunità internazionale, l’opposizione ha chiesto il riconteggio delle schede. Durante i 14 anni ininterrotti in cui è stato al potere, il nino pobre de Sabaneta, divenuto per la maggioranza del popolo venezuelano la reincarnazione del Libertador Simón Bolívar, ha condotto una politica populista e socialista improntata sulla libera educazione delle masse, la cooperazione con il continente sudamericano e la politica petrolifera di mutuo soccorso verso i ‘paesi amici’, Cuba in testa. Per i quattro mandati presidenziali in cui è stato sempre rieletto con larga maggioranza, godendo anche di una perenne mancanza di validi avversari, ha portato avanti, a volte contro tutti, la sua politica di redistribuzione dei profitti petroliferi verso il popolo venezuelano, rivendicando la sua appartenza alla classe contadina e il legame con le sue origini. Il governo di Chavez è stato oggetto di mille critiche e prese di posizione oltre confine. La sua spavalderia nei confronti dei governi nemici, in testa l’ imperio nordamericano, gli ha attirato le simpatie degli antagonisti ai poteri forti di mezzo mondo. La designazione di Nicolas Maduro come suo successore nominato sembrava porre una carta vincente sul futuro del delfino e invece i risultati delle ultime elezioni hanno rivelato un’ampia fetta di resistenza e disaffezione verso il modello socialista propugnato da Chavez. Un’ opposizione composta per la maggior parte da ricchi venezuelani riparati all’estero per scampare alle politiche di nazionalizzazione (élite ben accolte dai paesi nemici, Stati Uniti in testa), aspettava con trepidazione la notizia della morte di Chavez. All’indomani della notizia i brindisi dei venezuelani radicati a Miami hanno avuto ampio risalto nei media di mezzo mondo. La novità del post elezioni è stata proprio la popolarità, tramutata in voti, dell’opposizione interna. Mentre il neo presidente ha cominciato i suoi incontri politici con gli alleati di sempre (Argentina, Colombia, Ecuador, Brasile, Bolivia), sostenitori della sua " I mezzi di informazione tendono a puntare il dito sul tasso di criminalità del Venezuela, che è tra i più alti al mondo, con un tasso di 57 omicidi ogni 100.000 abitanti, comunque in linea con molti altri paesi centro e sudamericani. Il piccolo stato di El Salvador, ad esempio, con una superficie simile a quella del solo Piemonte, deteneva il triste primato di 14 omicidi al giorno fino al 2011; il triste primato è stato interrotto nell’ultimo anno da un non meglio chiarito accordo tra le bande violente (maras) e il governo, con larghe intercessioni da parte della Chiesa locale, una sorta di ‘trattativa’ (con le dovute differenze) in salsa centroamericana, per intenderci. I problemi che il presidente Maduro dovrà tenere in cima alla sua lista sono infatti relativi alla lotta alla criminalità, alla violenza politica esplosa dopo la sua elezione, e allo svilupppo delle infrastrutture nel suo paese. La sfida è ambiziosa e il lascito di Chavez sembra impossibile da eguagliare, se si considera il vasto seguito di cui godeva il Comandante. elezione, i nemici di ieri (Stati Uniti in testa) non prendono una posizione netta nei confronti della legittimità o meno del presidente, ben piu’ preoccupati di mantenere saldi i legami commerciali e gli accordi petroliferi con uno dei principali produttori mondiali di greggio (per gli Stati Uniti tra i primi quattro importatori su territorio nazionale dopo Canada, Messico e Arabia Saudita). La stampa nazionale e internazionale prende spesso una posizione nettamente a favore o nettamente contraria verso il presidente, come se non fosse possibile definire una posizione neutra nei confronti di questo governo, continuando in larga misura quello che era l’atteggiamento nei confronti di Chavez. Dalla sua Maduro può contare su una forte economia basata sul petrolio e una base dura di sostenitori del chavismo. A lui resta da scegliere se continuare con una politica fortemente caratterizzata dagli aspetti sociali o invertire rotta verso uno sviluppo più in linea con il resto del mondo. Dal canto suo, il grande alleato del chavismo, la piccola isola caraibica della revolución, ha incassato in questi giorni le congratulazioni da parte del segretario della FAO per aver raggiunto l’obiettivo del millennio della sicurezza alimentare in anticipo di due anni rispetto all’agenda fissata . Insieme a Cuba vengono riconosciuti i risultati di altri 15 paesi, tra cui proprio il Venezuela. Strano: leggendo la stampa internazionale e le notizie che attirano l’attenzione sui malanni cubani e degli altri stati sudamericani ‘non allineati’ non si sarebbe proprio detto. Aspasia Attualità e Politica N. 9 Giugno 20132013 Luglio 2013 Del votare contro Di Fabrizio Fratini Capita raramente di andare a votare in maniera totalmente serena, ma ogni tanto succede: al primo turno delle elezioni comunale il tragitto fino alle urne non è stato faticoso. Sandro Medici per me era l’uomo giusto, il voto giusto, la scelta più facile da fare. Come sempre, quando credo di aver fatto la cosa giusta, mi ritrovo in ristrettissima compagnia, alcune volte me lo aspetto, altre volte fatico a capire, altre volte un senso di tristezza mi colpisce e non mi lascia per qualche giorno. Questa volta avevo deciso con grande convinzione di non partecipare al ballottaggio tra Alemanno e Marino; il voto contro deve avere un buon rappresentate e non vedevo in Marino la caratura giusta per la figura di sindaco e alcune posizioni cerchiobottiste - deve essere l’aria di Roma che impedisce posizioni chiaramente laiche - mi avevano dato la serenità giusta per scegliere il mare invece che l’urna. particolare leggi e regole non scritte che per strada agiscono in tutto il loro terrore. L’episodio di San Basilio è solo l’ultimo e drammatico esempio di una città che nelle sue fasce più deboli è stata lasciata a risolvere come poteva i suoi problemi. Il sindaco sceriffo ha assistito inerme all’incremento della violenza e della piccola, ma sempre grande nelle sue azioni, criminalità. Una Città per certi versi abbandonata al suo naturale degrado, ci voleva una qualche azione per frenarlo, ma tra incapacità e mancanza di volontà, in questi cinque anni, Roma è “Ma nelle due settisettipeggiorata; ovviamente il declino non è mane precedenti al iniziato con Alemanno, ma secondo turno, i cincinsicuramente, tutte le promesse que anni di AlemanAlemandell’ex Sindaco di Roma si sono no mi si sono parati sciolte come neve al sole. davanti in tutto il loro grigiore” grigiore” Ma nelle due settimane precedenti al secondo turno, i cinque anni di Alemanno mi si sono parati davanti in tutto il loro grigiore: neve sciolta a colpi di sale da cucina, viaggi in moto che hanno permesso al sindaco di scoprire che la Via Salaria è colpita dal fenomeno della prostituzione, beni immobili gentilmente concessi a neofascisti violenti, parenti e amici tutti insieme appassionatamente all’Atac. La sicurezza, termine usato e abusato in maniera retorica e pericolosa, un atteggiamento generale che ha lasciato scorrere per le vie, sempre trafficate, della Città un sentimento di odio e rabbia, che non poche volte ha dato luogo a episodi di violenza. La periferia di Roma, che tanto periferica non è più, ha continuato ad essere lasciata a se stessa, con le sue Sono stati questi cinque anni a portarmi, di peso, nella cabina elettorale a fare una scelta obbligata, poco convinta, ma forte del votare contro. Pensavo che in fondo non me ne sarei pentito velocemente, ma poi, in un giorno qualunque, senti il tuo Sindaco dire che non parteciperà al Gay Pride a causa di impegni familiari. Votare contro, bisognerebbe farlo per cambiare, ne sarà valsa la pena? Basterà il ricordo dell’operato di Alemanno e giustificarmi? Me lo auguro di cuore, non per me stesso e nemmeno per le sorti di Marino, me lo auguro di cuore per questa Città, che forse si meriterebbe qualcosa in più. Insieme, cerchiamo di meritarci qualcosa di più. Aspasia Attualità e Politica N. 9 Giugno 20132013 Luglio 2013 Il dito e la luna Di Silvia Vitucci Il recente intervento di Battiato sulla presenza, in Parlamento, di persone disposte a tutto pur di avere una poltrona (“Ci sono troie in giro in Parlamento che farebbero di tutto, dovrebbero aprire un casino”) ha fatto molto discutere. E non è stato privo di conseguenze. L’allora assessore al turismo della Regione Sicilia ha dovuto poi esplicitare un aspetto del linguaggio che a chi scrive - e a molti altri - era sembrato sottinteso, il suo uso metaforico. Certo, De André non parlava da assessore quando evocava le “troie di regime” nell’apocalittico scenario de “La Domenica delle Salme”, ma la scelta di quel termine – proprio secondo un’accezione metaforica analoga a quella usata da Battiato - era di un’innegabile efficacia. Sia pure in un contesto diversissimo mi sembra si possa affermare lo stesso in questo caso. Ma non ho ancora dato alcuna vera risposta all’obiezione di chi parla della necessità di esprimersi in un certo modo in un contesto istituzionale. Per Battiato non è ricorso al termine della discordia farlo mi sembra necessario ricordare che la realper stigmatizzare i presunti facili costumi delle tà può essere descritta in tanti modi diversi: donne presenti in Parlamento (se lo avesse “La “La volgarità insita la scelta di fotografarla con un’istantanea fatto, non avrebbe usato la funzione menelle cose mi di grande realismo, decisamente in litaforica del linguaggio, come invece sembra decisamente nea con la brutalità di ciò che si è ha fatto), ma per denunciare una scelto di rappresentare, dovrebbe più inquietante della problematica antica, analizzata in far riflettere, più che trovare facili scelta di denunciarla passato, per fare solo un esempio, da stigmatizzazioni ( o strumentalizzazioni attraverso parole Berlinguer nella celebre intervista apparsa in chiave politica anti-Grillo, come se ci dure” dure” su Repubblica sulla questione morale: le più fossero V-day ovunque). alte sfere della politica sono infestate da “ladri, Se un uomo colto come Battiato ricorre a un tercorrotti e concessori”, i partiti “gestiscono interesmine brutale e, purtroppo, efficace come “troie”è si, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche perché sono stati superati ormai da tempo dei confini: loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze è la realtà che lo ha fatto, ancora prima di Battiato. e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune” (le virgolette sono di L’utilizzo di un linguaggio volgare, in linea con ciò cui Berlinguer). ci si riferisce, da parte di un personaggio in grado di padroneggiare ben altri registri stilistici dovrebbe dunL’amarezza e la rabbia che tale questione ingenera in que far porre l’accento non tanto sulla volgarità del un cittadino attento dovrebbero a mio parere superare linguaggio in sé, ma su quello della realtà: lo sconcerto di gran lunga lo sconcerto che molti hanno mostrato di che forse Battiato era intenzionato a suscitare riguarprovare nei confronti di un linguaggio considerato non dava insomma l’inaccettabilità del reale, non altro. propriamente elegante: la volgarità insita nelle cose mi sembra decisamente più inquietante della scelta di deOccuparsi invece solo della parola, dimenticando tutto nunciarla attraverso parole dure. il resto, ricorda quel tale che “guarda il dito e non guarda la luna”. Forse il vero errore di Battiato è stato Tra le argomentazioni usate per dimostrare quello di dimenticare quanta parte lo “sciocco, che di l’inaccettabile mancanza di opportunità del linguaggio vite ne ha una” abbia nel nostro mondo. di Battiato una in particolare ha colpito la mia attenzione, quella secondo la quale chi ricopre un ruolo istituzionale non dovrebbe indulgere, nel suo modo di esprimersi, a toni volgari. Francesco. Al suono di questo nome non solamente il credente, ma anche il laico ed il non credente non possono rimanere indifferenti: racchiude in sé significati troppo profondi. Ad una spontanea reazione si associa necessariamente lo stupore quando è un pontefice ad imporsi questo nome: nessuno, nel corso dei secoli, aveva mai deciso di accostare i due termini, “Papa” e “Francesco”, come si trattasse di un ossimoro impronunciabile, da evitare per non riproporre all’attenzione pubblica la tremenda contraddizione esistente tra il cristianesimo rappresentato dal papato e quello evangelico di Francesco, due mondi paradossalmente distanti a tal punto che il cardinale Giovanni di San Paolo, davanti alla volontà di Innocenzo III di non approvare la Regola di Francesco, dovette far presente al pontefice: “Se ci opporremo alla richiesta di questo povero orfanello, ciò non equivarrà forse ad affermare che il Vangelo non può essere messo in pratica e a bestemmiare il suo autore, Cristo?” Eppure, da potenziale eretico, Francesco è diventato il santo più amato dai cattolici, un esempio da imitare, un simbolo da difendere, un campione del cristianesimo e del cattolicesimo più puro, oltre ad essere divenuto una figura ammirata e studiata da storici, intellettuali, artisti, persone comuni, credenti e non; a prima vista, sembra estremamente semplice riuscirne a disegnare un ritratto a tutto tondo, raccontarne la vita, le opere ed il pensiero, eppure, avverte Jaques Le Goff in un suo saggio, “il semplice, limpido san Francesco, oggetto di tanti racconti e ritratti, si cala dietro una delle questioni più intricate della storiografia medievale”. Ed è questo forse, almeno per chi studia e si occupa di storia, l’aspetto più affascinante dell’intera vicenda: quale Francesco conosciamo e siamo in grado di conoscere? Senza scadere nel banale si deve partire da un assunto, oggi ormai dato per scontato dalla disciplina storiografica, che spesso viene posto in secondo piano quando si parla di Francesco d’Assisi: non esistono fonti storiche oggettive, ma ogni tipo di fonte va analizzata e letta avendo sempre ben chiaro quale fosse il suo autore, il suo destinatario, il contesto in cui venne realizzata, le cause che portarono alla sua stesura, per poi aggiungere a questo primo livello di lettura un secondo, consistente nell’interpretazione che della stessa fonte fecero i contemporanei, i fruitori nel corso dei secoli e da ultimo il fruitore attuale. A Francesco d’Assisi accadde ciò che era accaduto già a molti altri uomini e donne prima di lui: nacque e si s diffuse una fertile agiografia legata al suo nome, e l’immagine del Francesco storico cominciò a dissolversi poco tempo dopo la sua morte, offuscata da quella del Francesco della leggenda e dell’agiografia. La sua vita e le sue opere subirono la stessa idealizzazione che subì la sua iconografia: benché le fonti lo descrivessero come un uomo di bassa statura, tutt’altro che piacevole di aspetto, ad un secolo dalla sua morte era avvenuta la sua trasfigurazione nell’arte, come attesta lo splendido affresco di Simone Martini nella cappella di San Martino, nella basilica inferiore di Assisi. A complicare il quadro si aggiunse, poco dopo la morte del suo fondatore, la profonda spaccatura all’interno dell’ordine francescano tra “conventuali” e “spirituali”: nemmeno tra i suoi “frati” minori vi era concordia su quale fosse effettivamente il comportamento più corretto da assumere per rispettare le reali intenzioni del santo. Per porre fine ai dissidi, Bonaventura da Bagnoregio scrisse, su incarico del capitolo generale del 1260, una biografia di Francesco, approvata nel 1263 e destinata a diventare l’unica biografia autorizzata del santo, in quanto nel 1266 il capitolo generale proibì ai frati di leggere qualsiasi altro testo sulla vita del santo di Assisi e, soprattutto, fu dato l’ordine di distruggere ogni scritto su Francesco al di fuori della Legenda di Bonaventura. E l’ordine fu effettivamente eseguito. Da quel momento, il Francesco storico venne definitivamente sostituito con il Francesco descritto nella Legenda maior, i cui tratti verranno definitivamente cristallizzati negli affreschi di Giotto nella basilica superiore di Assisi. Di quale Francesco possiamo quindi parlare? Del Francesco espressione di una parte dei francescani, la più attenta e desiderosa di essere definitivamente inserita nelle gerarchie ecclesiastiche: un Francesco dunque accettato ed accettabile anche dalla Chiesa. I tratti salienti di questa figura risulteranno essere la totale obbedienza al papato da una parte e la totale aderenza alla figura di Gesù Cristo, elemento non solo spirituale ma anche prettamente fisico, testimoniato dalle stimmate ricevute negli ultimi anni di vita. La definizione di una nuova immagine di Francesco doveva passare anche attraverso testimonianze materiali: quanto avvenne ad Assisi è estremamente indicativo. Francesco morì alla Porziuncola nel 1226, e volle essere sepolto nella nuda terra; poco prima di morire, nel dettare il suo Testamento, aveva esplicitamente ammonito i suoi frati: “Si guardino bene i frati di non accettare assolutamente chiese, povere abitazioni e quanto altro viene costruito per loro, se non fossero come si addice alla santa povertà, che abbiamo promesso nella Regola, sempre ospitandovi come forestieri e pellegrini”. Nel 1228 venne canonizzato e, contestualmente, venne posata la prima pietra della specialis ecclesia che doveva accogliere le sue spoglie. Assisi, nel XIII secolo, era caratterizzata da uno sviluppo del centro urbano su differenti terrazzamenti, eredità della città romana, i cui dislivelli venivano superati tramite lunghe viabilità di raccordo; era impossibile inserire un nuovo grande edificio all’interno del circuito murario, perciò si decise di costruire la nuova basilica fuori dalle mura. Alla iniziale basilica inferiore, terminata nel 1230, si decise in seguito di sovrapporre una nuova struttura, la basilica superiore, creando un complesso architettonico monumentale ed imponente, alla cui decorazione interna parteciparono i più grandi esponenti dell’arte medievale, da Cimabue a Giotto, a Simone Martini. L’importanza della chiesa contribuì a modificare anche le vicende urbanistiche di Assisi, una delle rare città medievali in cui la piazza del Duomo perse la sua centralità a scapito dell’imponente basilica, nuovo fulcro urbanistico del centro urbano.. La celebrazione di Francesco e del suo ordine venne dunque raggiunta tramite un intervento urbanisticoarchitettonico di importanza straordinaria per la storia dell’arte e dell’architettura, ma al tempo stesso non si può non sottolineare come le prescrizioni del “poverello” di Assisi vennero tradite anche nel campo dell’edilizia religiosa. Tutto il complesso celebrava, e celebra tuttora, tramite lo sfarzo e la ricchezza la vita di un uomo che sposò la povertà. O forse, in realtà, vennero celebrati solamente coloro che riuscirono a far diventare un proprio strumento di evangelizzazione un uomo che poteva rischiare di far definitivamente franare quella stessa istituzione a cui appartenevano, la Chiesa. E d’altronde, nei secoli, la Chiesa ha sempre combattuto ed osteggiato le figure che potevano minacciare la proprie esistenza, salvo poi riabbracciarle e celebrarle dopo la loro morte. Se ne è avuto un piccolo esempio anche recentemente, rappresentato dal funerale di Don Gallo celebrato dal Cardinale Bagnasco. Probabilmente i tempi sono tornati ad essere talmente difficili per la Chiesa che anche lo stesso nome di Francesco ha cessato di incutere timore, e può essere speso nuovamente in difesa della Chiesa stessa. Aspasia Cultura N. 9 Giugno 20132013 Luglio 2013 Il rifiuto di un pontefice poco mediatico Di Daniele D’Orazi stica. La mia non vuole essere una lettura sempliSono ormai passati più di quattro mesi dall’11 cistica della rinuncia di Ratzinger ma, pur essendo febbraio, data in cui il pontefice Benedetto XVI consapevole delle complesse dinamiche che diriha annunciato durante il concistoro la sua rinuncia gono la vita della chiesa, dinamiche che ai non al ministero petrino. Un tale evento dalla notevole addetti ai lavori non possono che restare impeneportata storica (solo altri sette papi prima di lui trabili, credo che l’attenzione vada fissata su due hanno lasciato anzitempo il trono papale) ha sufattori: innanzitutto l’età avanzata del pontefice scitato reazioni diverse, sia tra i fedeli che tra i tedesco e le condizioni fisiche ormai precarie che laici. La vicinanza cronologica alle immagini del non gli permettevano più di adempiere al suo suo predecessore Giovanni Paolo II che si ostina, compito diventato sempre più oneroso, dopo nonostante le ormai precarie condizioni fisilo scandalo dei preti pedofili e il caso di che dovute alla malattia, a proseguire vatileaks, con l’uscita di documenti senell’adempimento degli uffici dovuti “La realtà è che greti dal Vaticano, documenti che faalla sua carica, hanno naturalmente una figura come rebbero emergere parte dello sporco fatto emergere paragoni, a mio avviso quella di Joseph che si annida tra le gerarchie ecclesiasuperficiali e poco attenti alla specifiRatzinger non ha stiche e nella gestione finanziaria vaticità e unicità del carattere dell’uomo, mai fatto breccia cana. In seconda battuta il carattere e che si nasconde dietro la carica relitra i telespettato telespettatori l’indole di papa Benedetto XVI, un giosa e politica del pontefice. Sono della cristiani cristianità” tà” uomo schivo, teologo austero, uomo di state utilizzate frasi come “non si scenpensiero più che di azione, una figura de dalla croce” per criticare la decisione, che, se si vogliono fare paragoni a tutti i cosicuramente sofferta e meditata, dell’ormai sti, ha diverse affinità, sia caratteriali che politipapa emerito, o citazioni della “viltade” che che, con quel Giovanni Battista Montini, ossia paDante Alighieri attribuiva a Celestino V. La realtà pa Paolo VI, che lo creò cardinale, quel Paolo VI è che una figura come quella di Joseph Ratzinger che i suoi detrattori chiameranno Paolo “mesto” non ha mai fatto breccia tra i telespettatori della per criticarne l’atteggiamento. La chiesa oggi decristianità e che, appunto mediaticamente e politive fare i conti anche con i mezzi di comunicaziocamente, la sua indole non era compatibile con il ne, con l’aspetto mediatico del suo operato e delle periodo storico che il suo pontificato ha attraversue figure, e Ratzinger non ha la calorosa simpatisato. Non appare casuale infatti la somiglianza tra a, l’affabilità, che invece aveva il suo predecessoil predecessore e il successore di Ratzinger, re e che possiede il suo successore al soglio pontil’argentino Jorge Mario Bergoglio. Proprio ficio, aspetto caratteriale emerso nelle uscite pubquest’ultimo fu il secondo cardinale più votato nel bliche e già nel discorso iniziale di questi due conclave che elesse al soglio pontificio Ratzinger, pontefici, dal “damose da fa’, volemose bene” di fatto che letto a posteriori denota il carattere tranWojtyla al “sembra che i miei fratelli cardinali sitorio del pontificato di Benedetto XVI, quasi siano venuti a prendermi quasi alla fine del moncome se i cardinali avessero voluto rimandare la do” di Bergoglio, aspetto quanto mai utile a distosoluzione del problema, quello di trovare un pongliere l'attenzione dal marcio che va emergendo. tefice che per tempra e doti mediatiche tenesse il Ratzinger si definì “un semplice ed umile lavorapasso di una figura come quella di Giovanni Paolo tore nella vigna del Signore”, tutto questo per la II, più adatta a governare la chiesa e il Vaticano Chiesa sembra non bastare più. nei mala tempora riempiti di scandali e pericoli penetrati nel cuore stesso dell’istituzione ecclesia- Aspasia N. 9 Giugno 20132013 Luglio 2013 Cultura Non diamoci del tu Di Martino Stirparo Oggi in Italia è di rigore il tu. Lo dà l'impiegato al suo capufficio, il capufficio al direttore generale, il direttore generale al Presidente megagalattico, il giornalista alle prime armi a Eugenio Scalfari, i giovani ai vecchi. Per non parlare dei social forum… qualità sono i nostri rapporti con gli altri e i rapporti degli altri fra di loro. Una volta si diceva: «Sì, siamo amici: ci diamo del tu». Oggi una frase del genere ha perso ogni significato. Anche perché, forse, di amicizie vere, da Dioscuri, non se ne fanno più. Ma la seconda possibilità che viene tolta e quella di darsi del lei. Ed invece è così bello il lei. Perché tiene le distanze nel modo giusto, perché ci evita, molto spesso, gli sbracamenti, le sguaiataggini, quel lasciarsi andare indecoroso che è tipico dell'epoca. Il lei è segno di rispetto non solo degli “Il tu generalizzato e altri, ma anche di se stessi. onnicomprensivo è Soprattutto quando è rivolto ai uno dei retaggi del superiori gerarchici. Dare beato '68 e del suo del lei a costoro significa egualitarismo. Ma non volere svendersi, offrirsi, impecorirsi con una falsa egualitarismo non è profferta di amicalità che in realtà è uguaglianza” uguaglianza” solo sottomissione. Il tu generalizzato e onnicomprensivo è uno dei retaggi del beato '68 e del suo egualitarismo. Ma egualitarismo non è uguaglianza, soltanto la sua parodia. E così il tu dato da tutti a tutti. È una forma di ipocrisia che non annulla le distanze, quando le distanze ci sono, ma in realtà le rende ancora più evidenti. Se dai del tu al direttore megagalattico non per questo fai un solo passo verso di lui, ma anzi rendi, con il manifesto stridore di questa formula familiare, ancor più evidente la distanza che ti divide da lui. Perché la distanza è nelle cose. Negarla è democraticismo, paternalismo. Il tu al capo in fondo è -sia pure in senso inversol'equivalente della pacca sulla spalla e non c'è niente di più offensivo, di più sprezzante, che dia più il senso della distanza e delle diversità che la pacca sulla spalla. Io sono inoltre contrario al tu generalizzato perché toglie due possibilità. La prima è quella di darsi del tu. Un tu che sia veramente tu, che significhi approfondimento della conoscenza, amicizia, affetto. Il tu generalizzato ci impedisce quel cambio di marcia, dal lei al tu, che dopo anni di frequentazione suggella, anche formalmente il cambiamento di una semplice conoscenza in una amicizia. Il tu usato sempre e comunque ci rende davvero tutti più distanti. E non ci fa capire di che Ma il lei e bello anche tra due persone che si conoscono bene, tra due sposi, tra due amanti. Perché contribuisce a combattere l'usura della quotidianità, il sudaticcio della eccessiva intimità. È poetico il lei tra due persone molto intime. Il lei infine è erotico. Perché solo il lei può essere, in camera da letto, finalmente profanato nel tu. E l'essenza dell'erotismo, come ha scritto Bataille e come del resto sa ogni persona di senso comune, sta nella profanazione. Il tu, il vero tu, segnala in realtà una intimità talmente sconvolgente che solo quel frenetico frugarsi fra corpi, che è l'atto sessuale, può giustificare. Sì, dipendesse da me, io userei il tu solo a letto. Per qualsiasi informazione, consiglio o per inviare gli articoli: [email protected] [email protected] La rivista è scaricabile dal sito: http://sites.google.com/site/aspasiaweb/ Per commentare gli articoli, suggerire argomenti da trattare o conoscere meglio il progetto Aspasia, è possibile consultare la pagina Facebook: Aspasia – Rivista Online Tutti i diritti su testi, immagini e fotografie, anche se non citati, citati, appartengono ai rispettivi proprietari. 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