iii domenica di quaresima - anno c - Parrocchia Santuario del Sacro
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iii domenica di quaresima - anno c - Parrocchia Santuario del Sacro
Parrocchia Sacro Cuore di Gesù – Mondovì Altipiano – 07/03/2010 III DOMENICA DI QUARESIMA ANNO C - 2010 Omelia Quando ero piccolo fra le altre mi raccontavano la storia di Pollicino, il ragazzino che per non perdere il sentiero di casa di tanto in tanto lasciava cadere in terra un sassolino. Al ritorno sarebbe bastato seguire la traccia dei sassolini e tutto sarebbe andato per il meglio. Le domeniche di Quaresima assomigliano un po’ alla storia di Pollicino. Ogni domenica lascia cadere qualche sassolino che ci aiuta a trovare la strada che ci porta non a casa ma a meglio conoscere Dio, il suo volto e il suo cuore. *** Il primo sassolino di questa domenica sta in quello che capita a Mosè. Mosè vive un’esperienza straordinaria. Una di quelle esperienze che hanno la capacità di attirare subito la nostra attenzione e di stuzzicare la nostra curiosità. In questo caso si tratta di un roveto che brucia senza consumarsi. Curioso come tutti, Mosè subito si avvicina per cercare di capire cosa sta capitando. Ed ecco che l’esperienza diventa due volte straordinaria. Perché attraverso quel segno singolare Mosè fa l’esperienza di Dio e in pochi istanti scopre molte cose su di lui. Ad esempio ne scopre il nome: in ebraico è JAWHE, sostantivo difficilissimo da tradurre in italiano. Qui è stato tradotto con “Io sono colui che sono” ma potrebbe anche venir tradotto con “Io sono quello che c’è”, oppure con “Io sarò quello che sarò”. Quest’ultima possibile traduzione è molto interessante perché proietta al futuro il nome di Dio, come a dire che Dio lo si potrà capire solo da quello che farà. Infatti, Gesù, che pure era ebreo e conosceva benissimo questo nome, ci dirà di chiamarlo Abbà, Padre, perché Dio alla fin fine si comporta effettivamente da vero Padre, nei suoi confronti e nei nostri confronti. *** Conoscere il nome di Dio non è cosa secondaria. Al contrario è cosa importantissima perché permette di creare una relazione con lui. Pensate alla differenza che c’è fra il rivolgersi a qualcuno dicendo: “Ehi, tu dalla maglia rossa, vieni un po’ qui” ed invece rivolgersi alla stessa persona dicendo: “Ehi, Paolo, vieni un po’ qui”. Nel primo caso c’è una relazione anonima o meglio ancora non c’è alcuna relazione. Nel secondo caso c’è invece una relazione personale. Se chiamo qualcuno per nome è perché lo conosco già, so qualcosa di lui. Se lo chiamo per nome vuol dire che fra me e lui c’è almeno un po’ di complicità. Così una cosa è dire “Dio”, altra cosa è dire JAHWE e soprattutto altra cosa ancora è dire Padre. Pensiamo per un istante al “Padre nostro”. Pensiamo a come cambierebbe se iniziasse così: “Dio nostro che sei nei cieli”. Dio è un nome generico. Dice e non dice. Padre dice subito tutto e dice molto di più. Poter chiamare Dio con il suo nome è un sassolino importantissimo. Un sassolino di cui essere eternamente riconoscenti. Un sassolino al quale pensare almeno ogni tanto, dicendo a se stessi: “Sono proprio fortunato! Siamo proprio fortunati! Conosco il nome di Dio. Per questo so chi è”. *** C’è però un secondo sassolino presente nella prima lettura. Questo Dio, di cui conosciamo il nome, è un Dio che non se ne sta nei cieli, a godersi la quiete e la bellezza del paradiso. Al contrario è un Dio che entra nella storia degli uomini e con gli uomini stabilisce delle relazioni profonde: “Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe“. Cioè sono il Dio che ho stabilito dei legami di amicizia con i tuoi antenati, con Abramo, con Isacco, con Giacobbe e che adesso li voglio stabilire anche con te, caro Mosè. Anzi di più: grazie a te, grazie al rapporto che da oggi io creo con te voglio liberare il mio popolo dalla schiavitù d’Egitto. Dunque Dio non è solo colui che non se ne sta tranquillo e beato nel suo paradiso per entrate nella storia degli uomini, ma è anche colui che nella storia degli uomini vi entra come liberatore, come operatore di giustizia, come aiuto dei deboli e degli sfruttati. Anche se qui occorre almeno subito notare un particolare non di poco conto: Dio non fa tutto da solo, con la bacchetta magica e in modo miracoloso. Dio entra nella storia come liberatore solo attraverso la collaborazione di figure umane: in questo caso si tratta di Mosè, più avanti si tratterà di altri, fino ad arrivare alla figura umana di Gesù, il liberatore definitivo. Alla alla fine del racconto Dio afferma: “Questo sarà il nome con cui sarò ricordato di generazione in generazione, cioè per sempre”. Cioè: “Sarò ricordato con il nome che esprime quello che faccio più che dire semplicemente chi io sono”. Il che vuol anche dire che Dio è presente là dove c’è un gesto anche piccolo di liberazione dal male, dalla povertà, dall’ingiustizia. È presente là dove si compiono gesti di bene, di amore, di solidarietà. *** A questo punto compare il terzo sassolino. Lo troviamo nella pagina di Vangelo, dove Dio si nasconde nei panni del padrone che sa diventare paziente. Ha già aspettato per ben tre anni, ma alla fine si lascia convincere ad aspettare ancora, a dare ancora un po’ di fiducia a quel benedetto fico sterile: “Padrone lascia questo fico ancora un anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire”. Pensiamo a quanta pazienza ha Dio con noi. Quanta pazienza ha di fronte alla nostra aridità, alle nostre mancate risposte, alle nostre infedeltà, alla nostra pigrizia. Quanta pazienza ha Dio con la Chiesa, sempre segnata dai cattivi comportamenti dei suoi membri, da scandali piccoli e grandi. Anche davanti a tutto questo Dio non manda punizioni. Non fa cadere le torri in testa alla gente e non usa le spade di Erode per punire i suoi figli disobbedienti, come pensava qualcuno. Aspetta invece che gli uomini comprendano, che rivedano i loro comportamenti, che cambino atteggiamento. Possiamo dire che Dio ha lo sguardo paziente di Gesù in croce: “Padre perdonali perché non sanno quello che fanno”. Sulla croce Gesù incarna perfettamente il vignaiolo che intercede in favore del fico che non produce frutti. *** Sì, Dio è paziente, ma non è un imbelle. Nemmeno un bonaccione: “Vedremo se questo fico porterà frutti per l’avvenire; se no lo taglierai”. Dio è paziente ma attende da noi i frutti del cambiamento, della conversione, del miglioramento, anche se non li vuole imporre. La Quaresima ci è data proprio perché noi diventiamo capaci di cambiare, di convertirci, di migliorare. *** Questi sono i sassolini che ho trovato io, meditando le letture di questa domenica. Magari Pollicino ne ha disseminati anche degli altri. A voi trovarli, rileggendo e meditando in settimana questa Parola di Dio, che oggi è consegnata come luce e nutrimento a tutti quanti noi.