Infinito finito - Tyche Magazine
Transcript
Infinito finito - Tyche Magazine
Infinito n. 11 www.tychemagazine.it Salvatore Lattanzi Marzo 2016 / 2 Giacomo, che di tua massima opera, nessuno volle tener conto, ancora una volta alimentando tuo disprezzo, come tua rifuggita accademia, vollero imbrigliare tuo impeto. Non per uniformata convenzione catalogarono tua espressione, ma piuttosto, perché come tua prerogativa, linfa di chi fu chiamato a giudicare tuo lavoro, trovò più rincuorante rinchiuderti tra sommi e meritevoli mentori di studi obbligatori. Eppur ancora oggi, quel devastante verso, affascina generazioni, e tu più di altri, catturi fantasia anche di più indolente indottrinato. Quel che di te alimenta forza, è magnifica empatia di generazioni, che in mezzo a tanto erronea imposizione, in tua vita, come in tua inarrivabile opera; scorgono diverso modo di far proprio, artistica padronanza, di colta composizione. Quel che di grande tu riuscisti a rendere immortale, non fu certo minuziosa scomposizione, che ancor oggi di singolo rigo, tanti cercano di fare, ma di tua viscera lacerata e dilaniata, far vocabolo quasi cesellato, per far di noi, ebeti spettatori tua consapevole disgregazione. Giacomo io di mio nulla potrei, se non aver caritevole rispetto, non di quello che scrivesti, ma di tuo occhio, che oggi come allora, poté carpire recondito significato. Infinito, non come per noi proibito, ma come più ampia descrizione di animo celato. Noi abbiamo e sempre avremo consapevolezza, che di stolte menti potremmo farci beffe, per poi in cristiano pentimento, chieder perdono che quel che siamo, spesso sconcerta. Poi in laceranti contrappunti, aver orgoglio di ostentare nostra natura. Avremo mille modi di rendere migliore natura umana, ma sappiamo in nostro cuore, che di tale condizione, chi ci legge, di nulla tiene conto. Giacomo mio caro, se da te ebbi ad imparare, non erudizione, o preconcetta e prepotente imposizione, fece di me su tua base, quel che sono, ma solo da te mi differenzio, perché anche se dolente e massacrato dovessi ritrovarmi, ho sentore che dinanzi al mio cospetto, nulla può quel che per te fu inferno. Il perché di una copertina INFINITO Io so e sempre saprò, che pur perdendo filosofia, mai nessuno avrebbe di che vantarsi, se di qualsiasi pensiero facessi mia ragione. O ltre l’orizzonte estremo, al di là di tempo e spazio. L’ultima parola proposta nel primo anno di Tyche chiude un cerchio ma ne apre un altro. Proprio come il simbolo dell’INFINITO. Quell’otto rovesciato, due cerchi in un continuo ed imperituro collegamento, dove fine e inizio coincidono. La natura ciclica delle cose, rappresentata da Ouroboros, il serpente-drago che si mangia la coda, presente in tutte le epoche e in tutti i popoli. La nascita dalla morte, storia infinita. Ma per Tyche rappresenta anche un ritorno a casa dopo aver girovagato nella mitologia, di fronte a quella siepe di Recanati da cui si è alzato il più grande sguardo verso l’INFINITO. È da qui che riparte il nostro viaggio. EDITORE Tyche magazine Caro Giacomo mio diletto, io perduto e maledetto, potrei rammaricarmi di così tanta abnegazione, eppure come eroi che scandirono mia cultura, anche per te, sento che ora, migliore convinzione mai potrebbe rapirmi. In ogni dove, ed in ogni tempo, anche se polvere ormai sarò, mie convinzioni avranno varco in chi mai reso e mai perduto, avrà voglia di lottare. REDAZIONE Emanuele Pagnanini Carla Latini DIRETTORE GENERALE Salvatore Lattanzi AMMINISTRATORE Diana Zamfir www.tychemagazine.it DIRETTORE RESPONSABILE Kruger Agostinelli Michele Mastrangelo PROGETTO GRAFICO Federica Tarchi Testata Giornalistica registrata al Tribunale di Macerata al n. 624 del 08.05.2015 30.000 copie Federico De Marco Lavinia Ilcau Luca Guerini Giorgia Giustozzi Fabiana Pellegrino Peppe Barbera Alessandra Rossi Tyche s.r.l. Sede legale Civitanova Marche Corso Vittorio Emanuele n.2/4 Partita IVA 01877750438 Marzo 2016 / 3 INTERVISTA IN ESCLUSIVA “LA SCALETTA DI QUESTO NUOVO SPETTACOLO “ECCOMI TOUR” COMPRENDERÀ, OLTRE AI MIEI SUCCESSI, ALCUNI PEZZI DEL NUOVO DISCO “ECCOMI” E ALCUNE PERLE CHE NON FACCIO DA TEMPO. IN PIÙ HO UNA NUOVA BAND DI GIOVANI MOLTO MA MOLTO BRAVI” ECCOMI TOUR, IL MITO DI PATTY PRAVO LIVE TRA SUCCESSI E PERLE RARE Kruger Agostinelli P atty Pravo riparte in tour dopo l’ottima attenzione ricevuta al recente Festival di Sanremo da “Cieli Immensi”, primo capitolo del nuovo album di inediti “Eccomi”, ventiseiesimo in studio della cantante. Il brano, firmato da Fortunato Zampaglione, è l’ultimo successo di una carriera lunga 50 anni, con oltre 120 milioni di copie vendute e con numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali. Patty Pravo sarà sicuramente uno degli ospiti d’eccezione per avvicinarsi alla fine della prima stagione del Tyche Friday al Donoma di Civitanova, con la cantante che impreziosisce un palco che ormai è a tutti gli effetti un club di spessore per artisti italiani e internazionali. Aspettando il live, il 22 aprile prossimo, abbiamo intervistato la cantante. Patty Pravo non a caso ha vinto il premio della critica a Sanremo. A dispetto del tempo che passa Patty Pravo rappresenta l’innovazione nella musica leggera italiana. Anche in questo Sanremo hai surclassato molte tue giovani colleghe. Essere moderni è un vizio o una forma mentale? «La domanda è molto bella, ma non saprei rispondere… Io canto quello che mi piace pensando che se piace a me siamo a metà dell’opera. Per comunicare, un pezzo deve piacere a chi lo canta. Nel caso di “Cieli immensi” è andata benissimo perché è piaciuto molto al pubblico, che mi ha messo al terzo posto nel televoto e che mi sta premiando con l’acquisto del cd “Eccomi”». Per te hanno scritto gli autori più importanti del panorama musicale tricolore. Al momento qual è quello che ami di più e soprattutto quello che ti manca e di cui vorresti cantare qualcosa? «Per me hanno scritto davvero quasi tutti, da italiani a stranieri. Però mi piace parlare del presente e quindi ringraziare Tiziano Ferro, Giuliano Sangiorgi, Gianna Nannini, Fortunato Zampaglione, Samuel dei Subsonica, Rachele dei Baustelle e Zibba». Poiché penso che Patty Pravo si racconti benissimo cantando i brani che sceglie, vorrei fare una domanda alla Patty che ascolta le altre canzoni. Nell’ultimo anno chi ti è piaciuto? Non importa se fa parte dei nuovi o dei vecchi cantanti italiani. «Mi piacciono Emma, Marco Mengoni, Arisa, Noemi e, ovviamente, i Negramaro. Senza dimenticare Tiziano Ferro, i Subsonica e Gianna Nannini, che non delude mai!». C’è un legame speciale con le Marche? Ci puoi raccontare aneddoti su persone o luoghi della nostra regione? «Nelle Marche ho fatto vari concerti e anche alcuni allestimenti. È una bella regione, si sta bene, si mangia bene e soprattutto la gente è ok». Vogliamo parlare dell’ “Eccomi tour”. Qualche piccola anticipazione per il pubblico di Tyche Friday al Donoma, dove ritorni dopo due anni? «La scaletta di questo nuovo spettacolo “Eccomi tour” comprenderà, oltre ai miei successi, alcuni pezzi del nuovo disco “Eccomi” e alcune perle che non faccio da tempo. In più ho una nuova band di giovani molto ma molto bravi». Ogni mese abbiamo una parola chiave per la nostra edizione cartacea. Rappresenta l’ispirazione della nostra copertina e ci permette di filosofeggiare un po’. Quindi ti domandiamo, cosa ti ispira la parola INFINITO? «Cieli immensi!». Biglietti disponibili online su CiaoTickets e TicketOne o telefonando allo 0733/775860 COLPO GROSSO AL TYCHE FRIDAY ARRIVA TONY HADLEY DEGLI SPANDAU BALLET presto su tychemagazine.it Marzo 2016 / 4 NUVOLA CASHMERE: LO STILE ITALIANO TRA FILATI DI PREGIO E ANTICHI TELAI Alessandra Rossi I l brand Nuvola Cashmere è nato due anni fa come hobby. Quasi per caso. Ora è una realtà in crescita, forte della qualità dei materiali e di quel buon gusto senza tempo in cui noi italiani siamo così ferrati: i suoi prodotti, realizzati in un piccolo laboratorio di Filottrano con filati di pregio (solo cashmere e seta), stanno riscontrando un grande successo a livello nazionale. Sono sempre di più le celebrità fotografate con le loro sciarpe e stole, da Laura Barriales a Natasha Stefanenko. Abbiamo intervistato Daniele Raffaelli, creatore del brand. SONO SEMPRE DI PIÙ LE CELEBRITÀ FOTOGRAFATE CON LE LORO SCIARPE E STOLE, DA LAURA BARRIALES A NATASHA STEFANENKO Da cosa nasce la scelta di realizzare accessori in cashmere? «Il progetto Nuvola Cashmere è nato grazie al supporto e ai consigli di Luca Paolorossi. Alla base ci sono due passioni. Una è quella per i filati, i materiali pregiati. Usiamo solo cashmere italiano, puro per i prodotti invernali, misto a seta per le sciarpe estive. E poi c’è la passione per il recupero degli antichi telai, quelli con cui un tempo si lavorava a maglia. Mia madre faceva questo mestiere, avevo dei macchinari così in casa. La fabbricazione di una sciarpa, con l’uso di questi telai combinato al lavoro manuale, richiede in media tre ore. In seguito, il capo viene sottoposto a particolari lavaggi che ne assicurano la morbidezza finale». Cosa dobbiamo aspettarci dalla prossima collezione primaverile? I Pantoni dell’anno sono l’azzurro serenity e il rosa quarzo: li avete tenuti in considerazione o seguite una vostra strada? «Oltre ai classici, che vanno sempre e indipendentemente dalle mode, abbiamo puntato molto su questi colori pastello: celeste e rosa, sì, ma anche azzurro Tiffany e verde acqua. Sicuramente, però, proporremo anche colori più forti. Sono molto richiesti. E nei filati estivi – cashmere e seta – rendono particolarmente bene». Con il Made in China che spopola e i tessuti importati dall’Asia a basso costo, come si difendono il Made in Italy e la manifattura? «Si possono difendere solo mantenendo un alto grado di qualità. Con il tempo il cliente se ne accorge, basta toccare un tessuto, indossarlo, “sentirlo” addosso. I cashmere non sono tutti uguali. Se ne trovano a prezzi irrisori, ma il motivo c’è, e si vede anche dalla durata di un capo. È questa l’unica nostra difesa: la qualità dei materiali». Ci parli del progetto “Italian Luxury Handmade”, a cui avete partecipato assieme a Luca Paolorossi. Siete stati a Milano in periodo Expo e a Firenze durante il Pitti. «I nostri prodotti sono stati accolti bene, abbiamo visto persone molto contente delle nostre sciarpe. E questo fin da subito, già al tatto. Per una realtà piccola come la nostra è una bella soddisfazione. E, ovviamente, iniziative come questa costituiscono un’ottima vetrina». Recentemente avete introdotto un nuovo articolo, una cappa. Pensate che in futuro arriverete alla maglieria o resterete focalizzati su sciarpe e stole? «Sperimentiamo nuovi capi ogni giorno. A breve, per esempio, dovremmo introdurre anche un altro tipo di mantellina. Ma sicuramente resteremo focalizzati sugli accessori, non credo che ci occuperemo di maglieria classica». intervista completa su tychemagazine.it Purezza e artigianalità: la moda di Marybloom Portonovo Giorgia Giustozzi I l tocco di un tessuto fresco e leggero che accarezza la pelle come la brezza marina fa al tramonto d’estate. Il fascino selvaggio di un’isola nascosta, il bianco dei sassi… Tutto questo si racchiude nel sogno lussuoso di Marybloom. Maria Teresa Bordoni ci ha illustrato il suo brand che celebra la tradizione artigianale marchigiana, le cui radici sono, non a caso, anconetane. Haute bohémien è l’ispirazione, free spirit lo slogan. Un marchio che possiede uno stile riconoscibile, caratterizzato da pochi meravigliosi capi. La collezione comprende: caftani, mini dress, camicie, top, costumi (bandeau e triangoli), sandali ed orecchini. I tessuti sono la garza di lino e la mussola di cotone. Tutti rigorosamente bianchi. Ci racconta la sua esperienza nel settore moda? «Ho iniziato come stilista presso Genny, poi ho collaborato con Giorgio Grati, Marly’s e molti altri». Quando e da dove è nata l’idea di dare vita a Marybloom? «Il brand è nato nel 2014 in collaborazione con mia figlia Martina. La mia creatività ed esperienza, la sua freschezza bohorock e la passione comune per Portonovo sono stati gli ingredienti di partenza. Portonovo, infatti, rispecchia il mood del brand, e il lookbook della Collezione S/S 2016 ha come sfondo proprio il parco del Conero». Da cosa deriva la scelta del nome Marybloom? «È un mix tra il mio nome e quello di un magazine fonte di ispirazione per le mie collezioni. Marybloom è anche il nickname che uso da anni presso Polyvore, una importante community per scoprire e creare le nuove tendenze moda. In questo sito ho, ad oggi, 84.139 followers e sono presente da 7 anni». La produzione è 100% marchigiana: chi si occupa della realizzazione dei capi? «Ci siamo affidate a sagge ed esperte ricamatrici di crochet e macramè. Ogni nostro capo ha dettagli fatti a mano su disegni unici, attraverso una tecnica antica ed uno stile contemporaneo, con giochi di intrecci ed effetti 3D. Esportiamo in Francia e Germania ma presto anche negli Usa e in Spagna». Curiosità per l’estate 2016: Maria Teresa ci ha svelato che a giugno, sul bianco e assolato litorale greco (quale location migliore), un intero matrimonio vestirà Marybloom. intervista completa su tychemagazine.it Marzo 2016 / 5 “L’INFINITO È LEOPARDIANO. È CIÒ CHE SI NASCONDE DIETRO LA SIEPE, CIÒ CHE NON VEDI. UN PO’ COSÌ È ANCHE IL NOSTRO FILM: NON VUOL DARE DELLE RISPOSTE, MA SUSCITARE DELLE EMOZIONI E FAR RIFLETTERE SU TANTE COSE” Alessandra Rossi Emanuele Pagnanini UNA CINEPRESA PER LE MARCHE: IL REGISTA ALESSANDRO VALORI CI RACCONTA “COME SALTANO I PESCI” M aceratese di nascita, Alessandro Valori vive a Roma da anni. Un passaggio naturale, se si sceglie il cinema come mestiere. Cosa accade, però, quando un regista marchigiano torna nella sua terra per girare un film? “Come saltano i pesci”, in uscita nelle sale il 31 marzo, è stato filmato nelle Marche. Una produzione di respiro nazionale, frutto dell’unione di due menti: Simone Riccioni, che è anche l’attore protagonista, e Alessandro Valori, che ci ha concesso questa intervista. Avete girato tutte le scene nelle Marche, dove siete rimasti due mesi. Logisticamente è stato complicato? «Forse girare qui è stato più complesso, ma per certi versi ci ha anche semplificato le cose: le Marche offrono una grande varietà di paesaggi da ritrarre. E poi c’è stata una enorme adesione da parte di tutti, dai Comuni che ci hanno ospitato alle 700 comparse che hanno preso parte gratuitamente al film. Io sono partito da Macerata appena diciottenne. La cosa che mi ha colpito, dopo tanti anni, è non solo questa compartecipazione, ma anche la bravura dei nostri professionisti: abbiamo trovato competenza, fantasia, grinta. Mi ero un po’ dimenticato di questa nostra indole battagliera». Al centro della vicenda c’è una famiglia molto imperfetta. I film italiani hanno iniziato già da tempo a ritrarre famiglie poco convenzionali: sembra quasi che il cinema si sia accorto prima degli altri di certi cambiamenti in atto. Come se l’arte fosse un passo avanti rispetto alla politica e alla società. Che ne pensi? «L’artista è una sorta di antenna: percepisce un po’ prima quello che già è nell’aria, ma che ancora non trova espressione. Quindi il cinema, come tutte le forme d’arte, capta certi cambiamenti e li comunica. Certamente la famiglia è un anello centrale nella vita di ognuno, per La sfida di Jonathan Arpetti: un film da leggere “C ome saltano i pesci”, ovvero un parto gemellare. Film e romanzo che vengono alla luce praticamente nello stesso momento. Il libro uscito il 24 marzo scorso; il film in anteprima nazionale il 30 marzo a Fermo e il 31 a Macerata. Un lancio coraggioso per i “gemelli”. La storia nasce da un’idea di Simone Riccioni (protagonista) cui segue la sceneggiatura per il film. Ma che poi, grazie al giovane autore maceratese Jonathan Arpetti, è diventata anche un romanzo. Una genesi comune che proprio Arpetti illustra (la video intervista completa sul nostro sito). «Ho conosciuto Simone Riccioni tramite il regista del film, Alessandro Valori. Mi ha raccontato la storia e ne sono rimasto affascinato. In “Come saltano i pesci” ho trovato qualcosa di profondo e di intimo che meritava di essere raccontato con un romanzo. Ho così proposto a Simone di farne un libro. Una genesi particolare. Di solito i film sono tratti da romanzi. Qui il percorso è inverso». Un’operazione senz’altro coraggiosa e di cui è difficile trovare precedenti. In questo caso non si teme l’effetto “spoiler”, cioè un’anticipazione della trama. Con il rischio che chi vede il film, non compri il romanzo (Leone Editore, 10,90 euro) o viceversa. «Credo che una storia abbia più valore se viene abbracciata da entrambi i campi, quello cinematografico e quello letterario – risponde Arpetti – a quanto si possa pensare il contrario: è il crogiolo dove ci formiamo e cresciamo. È il luogo in cui si viene rispettati, compresi, amati e accolti, che la si intenda in maniera più o meno convenzionale. Noi abbiamo scelto di raccontarla a modo nostro». Un aneddoto delle riprese da raccontarci? «Risale a quando abbiamo filmato l’ultima scena. Girare un film significa convivere con la troupe e il cast ventiquattr’ore su ventiquattro: alla fine si diventa una famiglia. Ci siamo trovati a girare l’ultima scena, di notte, in cima a una montagna. Eravamo tutti insieme in questo posto desolato e c’è stato un momento, al termine delle riprese, in cui tutti ci siamo ritrovati abbracciati, come a un concerto di Vasco Rossi, a far ondeggiare gli accendini nel buio. È stato magico». La parola chiave di questo numero di Tyche è “INFINITO”. Cosa ti richiama alla mente? «L’infinito mi richiama la terra che ho lasciato… l’infinito è leopardiano. È ciò che si nasconde dietro la siepe, ciò che non vedi. Un po’ così è anche il nostro film, per riallacciarci al discorso e concludere: non vuol dare delle risposte, ma suscitare delle emozioni e far riflettere su tante cose». prossimamente su tychemagazine.it volte il pubblico è lo stesso, altre profondamente diverso perché i lettori sono molto meno numerosi del pubblico delle sale. Noi cerchiamo di far avvicinare chi va al cinema alla libreria e viceversa. Abbiamo cercato di aggiungere qualcosa che nel film non poteva esserci, ad esempio una maggiore caratterizzazione dei personaggi e un’introspezione nelle loro figure. Abbiamo aggiunto situazioni ed emozioni che nel linguaggio delle immagini è difficile far emergere». Da sottolineare, infine, che si tratta di una storia completamente Made in Marche. Il frutto di un concepimento avvenuto tra l’Adriatico e l’Appennino. Più bello l’uno o l’altro? Non resta che recarsi sia in libreria che al cinema. Senza dimenticare che, trovandosi di fronte a due gemelli, ci si può confondere e si potrebbe leggere il film e vedere il libro. prossimamente su tychemagazine.it Marzo 2016 / 6 INNOVAZIONE, TERRITORIO E RICERCA: ECCO IL 2016 DELL’UNICAM Michele Mastrangelo F lavio Corradini è il rettore dell’Università di Camerino, l’ateneo che questo mese troverete nelle pagine di Tyche Magazine. Un’Università che fa dell’innovazione e della ricerca il suo cavallo di battaglia e che con forza cerca di aprirsi al territorio, allargandone i confini. È di questi giorni infatti la cerimonia conclusiva del master universitario di primo livello in Politiche, Programmi e Progettazione europea, primo atto della collaborazione dell’ateneo messa in campo con il Comune di Civitanova, al quale seguiranno altri corsi di alta formazione già in programma. Proprio a Civitanova incontriamo il rettore per la nostra video intervista, che potrete vedere presto sul nostro sito. Rettore, cosa c’è nel 2016 di Unicam? «Sarà un 2016 ricco di grandissimi eventi e contributi che vogliamo dare ai nostri territori, alla nostra regione e all’Europa più in generale. Si stanno gettando alcune basi in questi giorni. Come nel focus #Obiettivostudenti sulla condizione degli studenti universitari dell’Italia centrale. Un incontro per capire come cambia e dove deve ancora cambiare l’Università con il mutamento dello stile di vita per effetto della crisi economica. Poi c’è il momento di grandissima riflessione e sintesi sulle strategie per il futuro nella relazione tra l’ateneo e i territori. Unicam ha al suo interno consulte che presto definiranno lo stato dell’arte per mettere insieme progetti: il Comitato dei sostenitori (che unisce imprenditori della nostra regione e non solo), la Consulta permanente per lo sviluppo (dove partecipano sindaci, presidenti di comunità montane e fondazioni) o la Consulta per il lavoro e la valorizzazione della persona (con le principali forze sindacali). Si ragionerà quindi sul trasferimento di conoscenza e competenza e sul coinvolgimento del territorio, nostre più grandi strategie da portare avanti insieme seguendo l’internazionalizzazione. L’Università non è sola, il mondo stesso vuole vedere un unione d’intenti. I grandi progetti vanno seguiti in sinergia. Ecco, territorio, internazionalità, ma non solo. Stiamo facendo fortissimi investimenti sulla ricerca e l’innovazione, per potenziare i gruppi di ricerca abbiamo rinnovato il parco macchine, essendo ateneo a vocazione tecnico-scietifica. Visti i suoi bilanci positivi, l’Unicam ha fatto grandi passi verso nuove attrezzature che non sono solo destinate agli studenti, ma vanno messe in collaborazione con i territori». Quali sono i vostri punti di eccellenza? «Abbiamo fatto negli ultimi anni un’operazione molto importante, di tipo strutturale, e abbiamo concentrato l’attenzione su poche strutture accademiche, focalizzando i gruppi di ricerca. Questo ci ha permesso di identificare in poche linee i nostri punti di forza. L’architettura e il design, filoni di attualità; scienze e tecnologie, con una grande ripresa a livello europeo sulle cosiddette scienze esatte; scienze della vita (bioscienze e medicina veterinaria), un asse importante dell’ateneo in costante sviluppo; farmacia (quest’anno siamo stati costretti a chiudere purtroppo un mese in anticipo le iscrizioni perché avevamo raggiunto il numero massimo di immatricolazioni consentite dal Ministero) e chimica farmaceutica, un pilastro che mi rende particolarmente orgoglioso; la giurisprudenza con il diritto, dove stiamo concentrando l’attenzione sulle nuove tecnologie o sulla proprietà intellettuale. Ci sono queste cinque grandi scuole portanti, raggruppate in sottosezioni. Questa costituzione ci sta dando grandi soddisfazioni non solo per i numeri ottenuti, ma anche per la ricerca e l’innovazione messa in campo, che va verso la progettazione territoriale con imprese e pubbliche amministrazioni». Potenzialità e possibilità nelle Marche? «Credo che abbiamo un grande punto di forza, rappresentato proprio dalle Marche e dai marchigiani. Siamo una regione con dei sistemi produttivi particolarmente brillanti, con dei brand molto conosciuti ovunque e con un artigianato particolarmente creativo, che si affianca alla media e alla grande impresa. Siamo una comunità poi attenta alla serietà, all’etica, e in un periodo di difficoltà economiche queste caratteristiche ci hanno aiutato a superare il momento, tanto che in tutti i sistemi produttivi ci sono gruppi di imprese che sono riuscite a crescere. Non a caso però questo gruppo è formato da chi ha puntato sulla ricerca, sull’innovazione e sull’internazionalizzazione. E l’Unicam è felice di dare il proprio contributo e apporto a tali processi. Credo che le Marche possano crescere ancora, imparando sempre più a promuoversi come territorio, agganciandosi anche al nostro ambiente particolarmente favorevole e ad un sistema culturale affascinante. Importante sarebbe anche accostare il territorio a quei brand noti in tutto il mondo, con grandi qualità, che proprio qui vengono prodotti. La qualità del resto non viene mai a caso ma è costruita dalle persone. Infine dovremmo lavorare verso azioni specifiche di trasformazione, per avvicinare tante piccole eccellenze in un sistema reticolare di collaborazione». video intervista prossimamente su tychemagazine.it Marzo 2016 / 7 WISENSE, SPIN OFF UNIVERSITARIO CHE RENDE LE COSE INTELLIGENTI Emanuele Pagnanini I nternet of things è lo slogan scelto. Una tecnologia che porta internet “dentro” le cose. Rende gli oggetti intelligenti. È Wisense, start-up nata da uno spin-off dell’Università Politecnica delle Marche. Sensori – praticamente mini pc – collegati tra loro attraverso una rete mesh. Il sistema si auto-configura e si collega alla rete globale. “Tecnologia abilitante” che può essere usata in ogni ambito, a seconda delle esigenze dell’utente. Qualche esempio? Pensate ad una struttura sanitaria con pazienti anziani o con gravi patologie tipo l’Alzheimer. Wisense, con sensori inerziali, consente di monitorare h24 i pazienti e segnalare anomalie fisiologiche, oppure una caduta. Ancora: un terreno coltivato. In questo caso, i dispositivi raccolgono una serie di parametri. Le informazioni consentono di creare mappe idroclimatiche e analizzare il suolo. Così si può sapere se necessita di concime o acqua. Si monitora lo sviluppo delle piante. Applicazioni anche nella logistica e nell’efficientamento energetico (una rete di illuminazione pubblica con segnalazioni di intervento in caso di guasto ad un lampione). Non teoria ma pratica. Perché gli esempi fatti sono reali. Sistemi già installati o in fase di istallazione dalla Wisense. A parlarne è Lorenzo Palma, uno dei ricercatori dello spin-off insieme ai colleghi Alberto Lelli, Luca Pernini, Simone Valenti e Lorenzo Maurizi. La docente di riferimento è Paola Pierleoni. «Forniamo hardware e software – spiega Lorenzo Palma – siamo nati nel 2014 e puntiamo a camminare con le nostre gambe quanto prima. L’obiettivo è andare subito sul mercato. C’è l’interesse di diverse multinazionali che stanno investendo su tecnologie simili». Lo strumento dello spin-off universitaria è ormai l’unico mezzo per dare concretezza alla ricerca. «Consente di superare la cosiddetta “Valle della morte”: quando finiscono i finanziamenti della ricerca, ci si propone come imprenditori». Rendere “smart” tutto ciò che ci circonda: e i risultati di Wisense sono già importanti. «Collaboriamo con i nostri dispositivi in ambito sanitario all’ospedale di Pesaro per i pazienti affetti da Parkinson ma anche alle Torrette e all’istituto Santo Stefano. Entro settembre la prima istallazione in una Rsa di Padova. In agricoltura, abbiamo presentato un progetto al recente Expo. Istallazioni di sensori sono attive in Toscana per il controllo remoto della rete di illuminazione pubblica. Wisense è utile anche per monitorare i terremoti. Su proposta della Protezione Civile Marche, stiamo studiando un prodotto per avere mappe puntuali su come reagiscono edifici e terreni alle onde sismiche». prossimamente su tychemagazine.it prossimamente su tychemagazine.it TYCHE LIVE, OVVERO QUANDO UNA REDAZIONE PRENDE VITA TRASFORMANDOSI IN UN PALCO. www.tychemagazine.it SEGUICI SUL NOSTRO SITO! Scopri il nuovo Cellu M6® ENDERMOLAB Estetica Anna Club Via Einaudi, 108 62012 Civitanova Marche Tel.: (+39) 0733829590 - www.esteticaannaclub.it Marzo 2016 / 8 DARIO FAINI RIPARTE DALL’ISLANDA Fabiana Pellegrino Alessandra Rossi P op. Cinematico. Strumentale. In una parola Dardust. Giuseppe Pagano, sul Fatto Quotidiano, aveva definito “7” un debutto di rara eleganza, dalle trame preziose. Oggi siamo al secondo capitolo della trilogia annunciata, “Birth”, anticipato dal singolo “The Wolf”. La coppia Dario Faini e Vanni Casagrande continua a partorire uno dei migliori esempi italiani di equilibrio perfetto tra elettronica e classica. Filo conduttore della trilogia è il viaggio sonoro che percorre l’asse geografico-musicale Berlino-Reykjavik-Londra. Insomma, musica per intenditori? «Assolutamente no. Per capire e apprezzare il lavoro di Dardust basta amare la musica. Il progetto prevede tre dischi di musica strumentale con una concezione, tuttavia, molto pop e quindi popolare. Il primo album, registrato a Berlino, ha girato moltissimo su Mtv, che di certo ha una programmazione molto pop. Quindi non si tratta di qualcosa di elitario. Questo secondo disco lo abbiamo registrato in Islanda, il terzo lo faremo a Londra». Perché proprio l’Islanda? «Abbiamo scelto l’Islanda perché è un Paese che ha regalato alla musica artisti che ho sempre amato. “Birth” è stato inciso nei Sundlaugin Studio, dove hanno registrato, tra gli altri, anche Sigur Ros, Jon Hopkins, Damien Rice. Precede il terzo capitolo che verrà registrato a Londra. In Dardust convivono l’anima elettronica e quella classica, innovazione e tradizione, così come in Islanda fuoco e ghiaccio formano un equilibrio perfetto». “Birth” è anticipato dal singolo “The Wolf”, ambientato in un futuro neomedievale popolato da un solo uomo accompagnato da un lupo. Come nasce l’idea? «Da anni pensavo a un brano che parlasse di un lupo, è un animale che mi ha sempre affascinato e questo brano mi sembrava perfetto. Il video, diretto da Tiziano Russo, è ambientato a Rocca Calascio in Abruzzo, una location utilizzata per realizzare anche i film “Il nome della rosa” e “Ladyhawke”. “The Wolf” è un brano che ben rappresenta la nuova direzione artistica intrapresa da Dardust. Il video chiude la trilogia dei filmati girati da Tiziano Russo, partendo dalla missione spaziale “Dardust” cominciata con “Sunset On M.”, proseguita con “Invisibile Ai Tuoi Occhi” e culminata con “The Wolf”». Hai organizzato il lancio nazionale ad Ascoli Piceno: perché la data zero qui? «Perché è la mia città e ho ritenuto fondamentale collaudare questo nuovo progetto in un posto che fa parte di me e ho sempre amato». A proposito di Ascoli e delle Marche, cosa porti con te di questi posti? «Sono molto legato alla mia città e in generale alle Marche, resto coinvolto nelle vicende di questo territorio pur non vivendo qui e muovendomi moltissimo. Ho avuto la fortuna di conoscere artisti, manager e imprenditori di questo mondo. Ovunque sono stato accolto dalla buona fama che abbiamo noi marchigiani: siamo conosciuti per essere dei grandi lavoratori e delle persone di parola. In questa definizione mi ritrovo pienamente. C’è anche un’altra qualità che questa regione mi ha regalato, l’umiltà: è la base della fortuna di questo lavoro». intervista completa su tychemagazine.it Brian May oltre i Queen ad Ancona un racconto per immagini di Henry Ruggeri approfondimento su tychemagazine.it Sally Moriconi: «Essere cantautrice è un atto di coraggio. O di pazzia» S ally Moriconi è come un ciclone, un ciclone coloratissimo. Cantautrice marchigiana, a trent’anni ha già conquistato Maurizio Crozza e Max Giusti con la sua voce piena ed energica. Nei suoi brani, sonorità blues e virtuosismi vocali si lasciano stemperare dalla leggerezza del pop e dal calore della musica popolare: uno stile che si riflette nei video, ironici e molto vivaci. Il tuo 2015 è stato travolgente: Max Giusti, “Crozza nel paese delle meraviglie” e un’esibizione per il Papa. Come si gestisce un anno così senza perdere la testa? «I frutti maturano sapientemente, ma spesso ti trovi a raccoglierne quantità inaspettate in tempi ristretti. Questo lavoro è così, una montagna russa sbalorditiva. Soprattutto per chi, come me, si è costruito senza “santi in paradiso”: quando le soddisfazioni arrivano dopo tanto duro lavoro, la testa rimane ben saldata al collo. È così che ho affrontato questo anno carico di frutti buonissimi: mi sento molto fortunata!». Realtà a confronto: le Marche, la tua terra d’origine, e Roma, la città in cui hai studiato. In che modo hanno segnato il tuo percorso? «Devo tutto a entrambe: la mia terra mi ha resa quella che sono, temprata e pronta all’impegno per raggiungere i miei obiettivi. Potrei descrivere le Marche in una parola: lavoro. La nostra testardaggine sa arrivare ovunque! Roma è invece il mio motore, mi ha dato la caparbietà che mi mancava: mi ha messo di fronte ai primi ostacoli. È la mia città conquistata, la amo profondamente… pur nel suo disordine». Oggi vanno molto i talent show, dove si cercano non autori, ma interpreti. In questo contesto come vivi il tuo percorso artistico? È dura sfondare come cantautrice? «Un artista completo è un prodotto ingestibile per la macchina tritacarne del mercato discografico, che necessita di pedine usa e getta. Scriversi le canzoni è una scelta ambiziosa e non sempre vincente. Io ce la metto tutta, non so se sono coraggiosa o una pazza anacronistica, ma voglio cantare della mia visione della vita: questo conta molto più di qualsiasi compenso». I tuoi video – e così i tuoi testi – sono divertenti, ironici e coloratissimi. In che misura ti rispecchiano? «Non ho mai cercato di costruirmi: ho aperto il rubinetto e buttato fuori quella che sono. Così i miei testi parlano la mia lingua, la stessa che uso per fare la spesa o per mettermi a piangere davanti a una tisana mentre sono in guerra con le mie insicurezze. La scelta del colore è esternazione della mia solarità». intervista completa su tychemagazine.it Marzo 2016 / 9 “VALORIZZARE LE MARCHE E BATTERE LA TOSCANA? FORSE, DISCORSO GENERALE, DOVREMMO IMPARARE AD ESSERE PIÙ APERTI. AVERE, COME I TOSCANI, UNA VISIONE PIÙ A LUNGO RAGGIO” Michele Mastrangelo Alessandra Rossi ITINERARI MARCHIGIANI DA VIVERE “CON IN FACCIA UN PO’ DI SOLE” “C on in faccia un po’ di sole” è il nome scelto per un portale tutto da scoprire: in parte blog, in parte album fotografico, in altra parte ancora “costruttore” di servizi. Da percorsi e visite guidate a tutta la produzione che ruota intorno al mondo del web. Un sito pensato anche per scoprire le bellezze paesaggistiche, culturali, enogastronomiche (e tanto altro ancora) delle Marche e di fuori regione. Ne parliamo con Nicola Pezzotta, 34 anni, di Sant’Elpidio a Mare, ideatore di questo progetto. Nicola Pezzotta, cos’è “Con in faccia un po’ di sole”? Come nasce? «Il sito è nato ufficialmente a fine 2009. Avevo fatto già alcuni tentativi sul web, con esperimenti auto-prodotti. Sentivo infatti la necessità di condividere alcune cose che andavo vedendo per le Marche. Quindi ho iniziato a postare scatti dei luoghi che visitavo. Ho cominciato così a “tirare dentro l’avventura” altre persone che la pensavano come me sulla scrittura e, in generale, sulla filosofia dietro al progetto. La prima è stata mia sorella Simona, che si occupa della parte culinaria, poi la giornalista Lucia Paciaroni, la storica dell’arte Fabiola Cogliandro e il tecnologo alimentare Luca Marcantonelli». Cosa raccontate? «Quello che ci colpisce, quello che Turismo culturale e valorizzazione del territorio: ecco l’associazione La Meridiana L a Meridiana è una realtà d’eccellenza nelle Marche. Ci lamentiamo spesso di quanto il turismo italiano sia debole, inadatto a valorizzare il nostro patrimonio culturale. Fortunatamente esistono le eccezioni, anche se spesso non hanno vita facile. Associazione di guide turistiche autorizzate, La Meridiana organizza da trent’anni visite culturali e laboratori didattici nella Riserva Naturale dell’Abbadia di Fiastra. 28mila visitatori lo scorso anno (di cui molti dall’estero) e una crescita annuale del 7%: un piccolo miracolo, considerando quanto siano esigui i finanziamenti pubblici. Ce ne hanno parlato le guide Floriana Morresi, Cecilia Paciaroni e Miria Salvucci. «Le ore di apertura sono tante, i finanziamenti pochi: servirebbe più personale, ma non possiamo permettercelo. E allora puntiamo tutto sulla qualità, cercando di mantenere un servizio di alto livello, e sulla sinergia con le altre realtà turistiche della provincia. A “fissarsi” sul proprio orticello si crea solo divisione, mentre a far rete ci guadagniamo tutti. Speriamo solo che le cose, in futuro, vadano meglio: siamo letteralmente seduti su un tesoro culturale dal valore inestimabile, sarebbe da pazzi non investirvi di più». vediamo tutti i giorni o i fine settimana quando organizziamo degli itinerari. Ci capita di parlare di montagna, di un particolare sito archeologico, per farti alcuni esempi. Seguendo sempre il nostro stile, dallo scorso anno organizziamo eventi di vario genere. Abbiamo proposto una visita promozionale nell’antica città romana di Urbisaglia per vedere se c’era interesse, ed hanno risposto cinquanta persone, a dimostrazione che questi appuntamenti vengono apprezzati. Sono inoltre diventato guida ambientale escursionista dell’Aigae». Sei un bravo fotografo. Se dovessi presentare le Marche a chi non le conosce, cosa fotograferesti? «Fotograferei quei luoghi che neanche i marchigiani conoscono. Come la Grotta del Petrienno ad Acquasanta Terme. Una grotta larghissima dove al suo interno ci sono casette rurali e una cascata». Siamo vicini alla primavera. Un itinerario da non perdere in questo periodo? «Quest’anno si va verso una fioritura un po’ anticipata e si potrebbero fare fantastiche fotografie sopra ad Ascoli, sulla Montagna dei Fiori. C’è un’escursione non troppo difficile e si possono trovare fiori anche rari». Foto di Nicola Pezzotta intervista completa su tychemagazine.it Foto di Cecilia Paciaroni www.ty c hema ga z in e. it L’APPUNTAMENTO LIVE DEL VENERDÌ NOTTE AL DONOMA DI CIVITANOVA Marzo 2016 / 11 I LOVE MUSIC, APPLAUSI PER IL MUSICAL FIRMATO TYCHE EVENTI T yche Eventi varca una nuova frontiera. “I Love Music – Il musical” segna il debutto nella produzione di spettacoli. Non è frutto dell’improvvisazione ma di una sinergia con cui si sono scardinati luoghi comuni. Così dal mondo dell’intrattenimento, spesso confinato in un angolo lontano da quelle che sono considerate proposte di alto livello (anche artistico), arriva una sceneggiatura originale in un genere come il musical. L’idea è di Salvatore Lattanzi, uno che nelle nuove sfide mette anima e corpo. L’ispirazione arriva dalla stessa “natura” del Donoma, “sound theater and food”. Una ex sala cinematografica trasformata in una grande discoteca lasciando, però, un palco che, sempre grazie a Tyche Eventi, è diventato un club dove si esibiscono rigorosamente live artisti della musica nazionale ed internazionale. Cinema, musica, ballo: basta aggiungere la recitazione ed ecco che ci sono tutti gli ingredienti di un musical. Ultimo passo, affidarsi a professionisti. Così nasce “I Love Music”, dove il conflitto generazionale padre e figlio si snoda attraverso differenti generi musicali. Salvatore Lattanzi firma la sceneggiatura insieme al regista Giacomo Moresi della compagnia La Fenice di Osimo. Lo spettacolo è prodotto da Diana Zamfir, la direzione musicale è di Simone Giorgini e le coreografie di Adua De Candia. Marco Carini è assistente alla regia e cura gli adattamenti delle canzoni. Il coordinamento generale è di Kruger Agostinelli e Aldo Ascani. Sul palco Nicola Pigini (il protagonista Tony da giovane), Matteo Borghi (Tony da adulto), Andrea Toppi (il padre del protagonista), Ilaria Gugliotta (Laura, la protagonista femminile), Riccardo Foresi, Marco Giammarini e Matias Lattanzi (il piccolo Ricky, figlio del protagonista). Al Donoma, l’11 marzo, la “data zero” davanti ad una platea selezionata. Se il locale civitanovese è stato l’ispirazione, non significa che il musical è stato concepito solo per questo spazio. Anzi, non c’è nessuna dicotomia con il teatro. L’obiettivo è dimostrare come si possano esprimere linguaggi e proposte artistiche anche in luoghi che, di consuetudine, sono deputati ad altro. «Alla Tyche siamo soliti battere nuovi sentieri – le parole di Salvatore Lattanzi – e questo potrebbe esserne uno. Siamo fieri del nostro operato e crediamo che il pubblico troverà divertente il nostro spettacolo. Portare il teatro in una discoteca può essere un nuovo format? Ben venga la divulgazione di ogni singola forma d’arte purché fatta con dedizione e franchezza». «Trovo questo progetto molto interessante e stimolante – ha detto il regista Moresi –. Visto il poco tempo a disposizione è stata una grande sfida: penso però che sia venuto fuori uno spettacolo gradevole. La location non è un “teatro” ma spero lo diventi presto perché ha tutte le caratteristiche giuste. Complimenti quindi al Donoma, che ha dimostrato tutto il suo coraggio» . per saperne di più tychemagazine.it Marzo 2016 / 12 RACHELE CESPI PORTA IN REDAZIONE IL POP-IGNORANTE Michele Mastrangelo Kruger Agostinelli “D imenticavo: non è un’artista”. Con questa frase, che smonterebbe subito un bluff al poker, Rachele Cespi conclude la biografia che le abbiamo chiesto di inviarci, prima di invitarla in redazione per conoscerla meglio. Ma per noi non è vero! Ha 26 anni, è di Tolentino e ha recentemente terminato la magistrale in Graphic Design all’Accademia di Belle Arti di Macerata. Fumettista, illustratrice, grafica e quant’altro… Rachele Cespi, ma chi sei? «Tutto e niente in realtà perché ancora non lo so. Ma sicuramente non sono un’artista – spiega con la sua travolgente ironia, che sforna senza troppe remore su di sé e sugli altri (e fa bene) –. Faccio quello che mi piace, cioè comunicare. Ho un’ossessione per il linguaggio pubblicitario o i cibi confezionati e li “VOGLIAMO PROVOCARE E RIDERE UN PO’ DELLA CRONACA NERA E SU COME I MEDIA CI SI CONCENTRINO IN MODO ECCESSIVO. MA VORREMMO PARLARE ANCHE DI ALTRO, TIRANDO FUORI IL PEGGIO DEL PEGGIO DELL’UMANITÀ” uso per dire qualcosa. Anzi, per non dire niente. Perché in quello che faccio è semplicemente tutto molto colorato, con una componente che odia tutto e tutti in maniera molto simpatica e molto velata. Sono una brutta persona in realtà». Ecco Rachele, hai coniato un termine che ci piace davvero. Pop-ignorante. Descrive bene molte tue opere, come i tuoi “Gelati”. «Sì, è tutto molto simpatico, colorato (come con i gelati) ma, volendo, è anche “cattivo”, seguendo un gioco di ossimori. Accosta una cosa che ispira, che crea un’associazione mentale carina, con qualcosa che non è poi così carino. È questo per me il pop-ignorante: mettere insieme tutte le icone del contemporaneo avvicinandole a qualcosa di veramente ignorante. A frasi bruttissime. Oppure assemblando qualcosa di becero ad un’immagine edulcorata. C’è ovviamente anche lo scopo di provocare, di dare un po’ una scossa». C’è uno dei tuoi gelati, con la scritta Aids… Qualcuno non ha apprezzato questa tua opera. «È un ossimoro. Il gelato è una cosa carina, bella e buona ma qualcuno ha avuto da ridire perché l’ho accostata alla parola Aids. Si è indignato non so per quale motivo in verità. È una cosa che c’è, esiste esattamente come esiste questo tipo di gelato. Niente di più». La provocazione ti crea subito un impatto. «È quello che succede tutti i giorni con la comunicazione pubblicitaria. In questo linguaggio tutto viene celatamente sessualizzato, ma la gente non ci fa caso. Quando poi qualcuno cerca di fare il percorso inverso le persone se ne accorgono e nasce una reazione». Come avrai capito la serie dei gelati ci piace molto. Ce ne parli? «È nata da un gioco con la parola in inglese, ice creams. La serie “NiceScreams” è un mix tra nice, carino, e screams, che sono gli urli, ed è stata tirata fuori durante una mostra a Macerata sulla provocazione. I gelati industriali, rosa, carini, da bambini, vanno in contrasto con frasi becere. Come “Odio tutti quelli che ancora stanno respirando”». Hai fatto stampe, quadri, illustrazioni di vario tipo. Quale “tela” ti ispira di più? «Difficile dirlo, per adesso mi piace molto l’editoria. Con altri colleghi del corso d’illustrazione stiamo valutando di tirare fuori qualcosa di nostro, sempre becero, cattivo, pessimo, e se vogliamo con un umorismo ancora più nero. Vogliamo provocare e ridere un po’ della cronaca nera e su come i media ci si concentrino in modo eccessivo. Ma vorremmo parlare anche di altro, tirando fuori il peggio del peggio dell’umanità». C’è poi un’altra opera, “#CocksNotGlocks”. A prima vista sembrerebbe solo provocatoria, ma non è così… «Mi è stato inviato da un’amica l’articolo di una campagna civile nata in Texas, uno Stato dove una legge autorizza gli studenti a portare in classe armi. C’è una ragazza che ha ideato questo movimento partendo dal fatto che, invece, nel Texas, se non erro, ci sono restrizioni per le vendite di sex toys. Quindi la campagna invita a portare nei campus vibratori al posto di pistole in segno di protesta». video intervista completa su tychemagazine.it Marzo 2016 / 13 LIBERA, UN FARO PUNTATO SULLA MAFIA SENESI: “LE MARCHE NON SONO IMMUNI” Fabiana Pellegrino L ibera è l’associazione che da anni combatte la penetrazione della criminalità organizzata nel sistema produttivo. Nelle Marche è guidata dall’ascolana Paola Senesi che, tempo fa, ha intrapreso una battaglia personale, locale e regionale a favore della passione e contro la mafia. Per dirla come don Ciotti «la mafia uccide in molti modi», soprattutto in un territorio come quello marchigiano. «Libera Marche nasce dieci anni fa – racconta Paola Senesi – : siamo partiti ad Ascoli e questo per me è motivo di grande orgoglio. Negli anni successivi si è aggiunta Jesi, poi due anni fa mi è stato chiesto di costruire un progetto regionale. Abbiamo così avviato un percorso di formazione per chi si avvicinava alla nostra realtà, per scongiurare il rischio di essere strumentalizzati. Oggi ci sono i presìdi di Senigallia, Fermo e Fabriano, c’è la base di Pesaro e stiamo organizzando un gruppo anche ad Ancona. È bene, inoltre, ricordare che Libera è un insieme di associazioni». Un primo bilancio? «Abbiamo raggiunto molti traguardi. Penso all’apertura e alla conferma dello sportello legalità Sos Giustizia assieme alla Camera di Commercio di Ascoli, un servizio di ascolto e assistenza alle vittime della criminalità organizzata, gestito da Libera. Altro obiettivo raggiunto è il protocollo d’intesa firmato nel 2014 con l’Unione regionale delle Camere di Commercio delle Marche per la legalità nell’economia. È bene ricordare che nelle Marche assistiamo a infiltrazioni della camorra e delle mafie pugliesi, calabresi e in parte siciliane. Oltre ai tentativi di penetrazione di organizzazioni criminali italiane, altri aggregati associativi fanno capo alle nuove mafie, come quella cinese, nigeriana e dell’Europa dell’Est». Sostieni che nelle Marche la soglia di attenzione nei confronti di questa tematica sia ancora pericolosamente bassa… «La mafia tende a insinuarsi molto bene in un territorio come il nostro, differente da quelli che tradizionalmente associamo a questo fenomeno. E lo fa ancora meglio dove la consapevolezza di queste tematiche è bassa. Ricordo che nelle Marche esistono 27 beni confiscati alla criminalità organizzata, di cui solo due riutilizzati a fini sociali. Per questo il nostro compito è sensibilizzare il più possibile su cosa potrebbe accadere e su quello che succede già». Tra Libera e il mondo della scuola che rapporto c’è? «Un rapporto molto intenso. In questi anni abbiamo incontrato migliaia di studenti. Purtroppo sarebbe necessaria una presenza più stabile nelle scuole, piuttosto che appuntamenti sporadici. Il nostro obiettivo è costruire dei percorsi continuativi perché un ragazzo consapevole sarà, domani, un cittadino più attento». articolo completo su tychemagazine.it Dillo con un’emoji: così Pinocchio viene riscritto nella nuova lingua dei simboli Emanuele Pagnanini T radurre un’opera letteraria, una favola ma anche il discorso del Presidente di una nazione in simboli al posto delle parole. Ad essere utilizzate solo le “emoji” (parola giapponese composta da tre ideogrammi che significano immagine, scrittura e carattere), una gamma di disegnini ben più vasta delle “emoticon”. Anche in questo campo c’è stata un’evoluzione e adesso c’è chi prova a rappresentare frasi di un testo attraverso una sequenza di emoji. In Italia questo esperimento è portato avanti nel blog Scritture Brevi. Nato come progetto universitario (e lo è ancora), è stato avviato nel 2011 da Francesca Chiusaroli, docente di Linguistica generale all’Università di Macerata con Fabio Massimo Zanzotto (Ingegneria informatica all’Università Tor Vergata di Roma). Tutto è legato al blog Scritture Brevi (www.scritturebrevi. it) che si propone come un osservatorio di fenomeni della scrittura nelle molteplici declinazioni della brevità. «La nascita del blog è stata la svolta – afferma la docente universitaria – l’hashtag #scritturebrevi ha vita propria e ci permette di elaborare giochi di scrittura ma anche di analizzare tanti aspetti: dalla punteggiatura fino al romanzo breve in 140 caratteri». Ed ecco gli esperimenti con le emoticon, o meglio emoji. «Utilizzare lo smile in chiusura, al posto del punto, è rassicurante. E direi indispensabile in certi casi. Un vero e proprio linguaggio che ha dato vita ad una nuova epistolografia. Basti pensare che sulla scia di Wikipedia, oggi c’è un’Emojipedia. Ci sono tentativi di tradurre lingue di tutto il mondo in emoji, come una lingua intermedia. Ad esempio, negli Usa si stanno scrivendo in emoji opere come Moby Dick e Alice nel Paese delle Meraviglie. Ma anche un discorso del presidente Obama. Noi in Scritture Brevi abbiamo proposto una traduzione collettiva di Pinocchio. Ogni giorno si cerca di tradurre una frase del testo rappresentandola con questi simboli. Ogni follower dà una sua versione attraverso due opzioni: una traduzione mista icone/ lingua o totale in simboli. Poi ne scegliamo una». Si ritorna agli albori della scrittura, quando non esistevano alfabeti e, quindi, lingue? Una regressione? «Sono giochi, sperimentazioni – risponde Francesca Chiusaroli – io non sono tra quelli che intravede il rischio della sparizione delle lingue ed un ritorno ai pittogrammi. Sono anni che Fb propone “stati” al posto delle parole senza mettere così in crisi la lingua. Che è sperimentazione, è fatta di corsi e ricorsi». articolo completo su tychemagazine.it Marzo 2016 / 14 STORIE DI CUCINE E BRIGATE NOVITÀ ALLA CORTE DI RECANATI Carla Latini H o il privilegio di gustare spesso la cucina di Errico Recanati da Andreina a Loreto. Sto bene lì con Ramona che mette a suo agio i miei amici. Il suo, quello della sala (ne ho già scritto su Tyche), è un lavoro che si fa o per passione o per amore. Così come quello del cuoco. Sapevo da amici comuni che nella cucina di Errico ora c’è Caterina Moss Gasparri. Ma quando l’ho vista a fine cena, bella come il sole, con il suo sorriso di bimba, mi si è aperto il cuore. Cuore di mamma. Che ci posso fare? Dopo il diploma ad Alma (la scuola di cucina più ambita dagli aspiranti cuochi di ogni dove guidata dal rettore Gualtiero Marchesi) si è incamminata verso orizzonti che le hanno aperto ancora di più la mente. La sua strada professionale è piena di tappe splendide, invidiabili, emozionanti, costruttive. Alla tenera età di 26 anni, da compiere a breve, ha un concetto materico della cucina come fosse una cuoca adulta. Ama Antonia Klugmann che considera la sua guida di cucina. Si è fatta 7 mesi al Noma da Renée Rezdepi. Lo chef più premiato al mondo. Per poi decidere che quella non era la sua cucina. Non imparava nulla ma eseguiva come in una catena di montaggio ricette fatte con erbe, licheni, alghe. Procedimenti segreti di umidificazione e macerazione. C’era solo il pro di essere nella brigata del ristorante internazionale, riconosciuto da tutte le guide come il luogo della sperimentazione pura. Dell’avanguardia. Ma la ragazza è intelligente e quindi decide di mollare. Tornata in Italia ha la gioia di essere del gruppo del Metropole di Venezia, che in quel momento prende la prima stella, e di far parte della rinnovata squadra del Ristorante Borgo San Jacopo a Firenze. Credo che Errico la seguisse da un po’. Poi, e qui ci metto del mio perché non ho chiesto come è giusto che sia, ci sarà stato un incontro di fronte ad uno spiedo fumante e ad un calice dei vini di Ramona. Errico è contagioso. Con la sua esuberanza. Lei è una lavoratrice caparbia e costante. Una ragazza forte che non teme la fatica e le sfide. Che Errico le mette di fronte per farla crescere e per dare al locale altri stimoli. Come i petali di rosa essiccati la sera di San Valentino. Con Caterina in cucina e Ramona in sala Errico ora prova (ho scritto prova, attenzione, perché Andreina è sempre pieno, per fortuna) a portare la sua professionalità, richiesta, in Paesi lontani che stanno apprezzando la vera cucina italiana. Dulcis in fundo, forse non sapete che Caterina è marchigiana, vive a Montecassiano. Una ragione in più per gustare le ricette di Errico con la sua collaborazione. Tanto per fare del gossip che mi fa sempre piacere fare, l’avrete vista su Canale 5 nel programma del maestro Marchesi “il Pranzo della Domenica” durante la puntata dedicata alla scuola di Alma. Dalle Marche il tifo per lei era da stadio. Se Marchesi l’ha voluta in trasmissione con lui ci sarà un perché. Ed ora vola Caterina che con Errico sei in ottime mani! articolo completo su tychemagazine.it Il valore del tempo al Giardino di San Lorenzo in Campo Carla Latini C onosco Massimo Biagiali da quasi 30 anni e sono 45 gli anni del Giardino. Una storia lunga, bella e sempre di famiglia. Difficile resistere di questi tempi rimanendo se stessi. «Perché devo venire al Giardino a San Lorenzo in Campo?», gli chiedo diretta. «Perché qui il tempo scorre con i ritmi di una volta. Crediamo nella gentilezza, nell’accoglienza. Nulla può essere lasciato al caso. Una filosofia di vita che ci contraddistingue da sempre». La storia del Ristorante Hotel Giardino è nota a tutti i buongustai. Mamma Efresina è stata una cuoca molto illuminata. Fedele ai prodotti del territorio che lavorava con una mano delicata. Le sue paste ripiene e la sua cacciagione sono passate alla storia della cucina italiana. Una cuoca così brava che Roger Vergé (Massimo nel 1987 mandò la mamma a bottega dal più grande cuoco di Francia) non voleva più farla tornare a casa. Dopo un incidente anche il marito di Efresina entrò in cucina. Appassionato di pasticceria fece corsi professionali spinto da Massimo. E Massimo? Dopo la laurea decise che doveva rimanere a casa e coltivare l’enorme patrimonio che mamma e papà avevano e stavano creando. Segue tutto come supervisore e si avvicina, tramite amici cuochi come Paolo Teverini e Gianfranco Bolognesi, al meraviglioso mondo del vino. Ma questo è il passato e gli ho dedicato troppo tempo in queste righe. Con la moglie Patrizia ed il figlio Paolo è già da un po’ che Massimo sta applicando il verbo “diversificare”. Che comincia con un “camion che cucina il gusto della vita”. Vogliamo chiamarlo “Biagiali mobil”? Non è un catering ma vera e propria ristorazione. Non è cibo di strada tipo “furgoni americani”. Il “Biagiali mobil” propone panini con hamburger dove l’hamburger è una grande polpetta fatta come la faceva Mamma Efresina, il pane è fatto con il lievito madre. Accanto al Ristorante Giardino c’è un bistrot che non è proprio un bistrot. C’è una pizzeria che non è solo una pizzeria. A soli 22 euro c’è un menu che parte con il “pregustativo” e si allarga a salumi e formaggi locali, supplì, olive ascolane, focacce, mozzarelle e pizze farcite con i prodotti di stagione, alici, cipolle e “l’assoluto di pomodoro”. Capitolo a parte va dedicato al gelato e al Giardino dei gelati alle partenze all’aeroporto di Falconara Marittima. L’evoluzione che ha portato a prendere il “volo” al Raffaello Sanzio è passata anche per Paolo Brunelli. Ma l’impronta è quella di Massimo e di Patrizia. C’è voluto un po’ prima che i viaggiatori capissero che si può aspettare l’imbarco davanti ad un gelato artigianale di qualità. Ora vanno all’aeroporto anche quelli che non devono partire. articolo completo su tychemagazine.it Marzo 2016 / 15 COSMOPOLITAN HOTEL | Via Alcide De Gasperi, 2 | 62012 Civitanova Marche (MC) t. +39 0733 771682 | f. +39 0733 781305 | [email protected] www.cosmobusinesshotel.it