Infinito finito - Tyche Magazine

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Infinito finito - Tyche Magazine
Infinito
n. 11
www.tychemagazine.it
Salvatore Lattanzi
Marzo 2016 / 2
Giacomo, che di tua massima opera, nessuno volle tener
conto, ancora una volta alimentando tuo disprezzo, come
tua rifuggita accademia, vollero imbrigliare tuo impeto.
Non per uniformata convenzione catalogarono tua
espressione, ma piuttosto, perché come tua prerogativa,
linfa di chi fu chiamato a giudicare tuo lavoro, trovò più
rincuorante rinchiuderti tra sommi e meritevoli mentori di
studi obbligatori.
Eppur ancora oggi, quel devastante verso, affascina
generazioni, e tu più di altri, catturi fantasia anche di più
indolente indottrinato. Quel che di te alimenta forza, è
magnifica empatia di generazioni, che in mezzo a tanto
erronea imposizione, in tua vita, come in tua inarrivabile
opera; scorgono diverso modo di far proprio, artistica
padronanza, di colta composizione.
Quel che di grande tu riuscisti a rendere immortale, non fu
certo minuziosa scomposizione, che ancor oggi di singolo
rigo, tanti cercano di fare, ma di tua viscera lacerata e
dilaniata, far vocabolo quasi cesellato, per far di noi, ebeti
spettatori tua consapevole disgregazione.
Giacomo io di mio nulla potrei, se non aver caritevole
rispetto, non di quello che scrivesti, ma di tuo occhio, che
oggi come allora, poté carpire recondito significato.
Infinito, non come per noi proibito, ma come più ampia
descrizione di animo celato.
Noi abbiamo e sempre avremo consapevolezza, che di stolte
menti potremmo farci beffe, per poi in cristiano pentimento,
chieder perdono che quel che siamo, spesso sconcerta.
Poi in laceranti contrappunti, aver orgoglio di ostentare
nostra natura.
Avremo mille modi di rendere migliore natura umana, ma
sappiamo in nostro cuore, che di tale condizione, chi ci
legge, di nulla tiene conto.
Giacomo mio caro, se da te ebbi ad imparare, non
erudizione, o preconcetta e prepotente imposizione, fece di
me su tua base, quel che sono, ma solo da te mi differenzio,
perché anche se dolente e massacrato dovessi ritrovarmi,
ho sentore che dinanzi al mio cospetto, nulla può quel che
per te fu inferno.
Il perché di una copertina
INFINITO
Io so e sempre saprò, che pur perdendo filosofia, mai
nessuno avrebbe di che vantarsi, se di qualsiasi pensiero
facessi mia ragione.
O
ltre l’orizzonte estremo, al di là di tempo e spazio. L’ultima
parola proposta nel primo anno di Tyche chiude un cerchio
ma ne apre un altro. Proprio come il simbolo dell’INFINITO.
Quell’otto rovesciato, due cerchi in un continuo ed imperituro
collegamento, dove fine e inizio coincidono. La natura ciclica
delle cose, rappresentata da Ouroboros, il serpente-drago che
si mangia la coda, presente in tutte le epoche e in tutti i popoli.
La nascita dalla morte, storia infinita. Ma per Tyche rappresenta
anche un ritorno a casa dopo aver girovagato nella mitologia, di
fronte a quella siepe di Recanati da cui si è alzato il più grande
sguardo verso l’INFINITO. È da qui che riparte il nostro viaggio.
EDITORE
Tyche magazine
Caro Giacomo mio diletto, io perduto e maledetto, potrei
rammaricarmi di così tanta abnegazione, eppure come eroi
che scandirono mia cultura, anche per te, sento che ora,
migliore convinzione mai potrebbe rapirmi.
In ogni dove, ed in ogni tempo, anche se polvere ormai
sarò, mie convinzioni avranno varco in chi mai reso e mai
perduto, avrà voglia di lottare.
REDAZIONE
Emanuele Pagnanini
Carla Latini
DIRETTORE GENERALE
Salvatore Lattanzi
AMMINISTRATORE
Diana Zamfir
www.tychemagazine.it
DIRETTORE RESPONSABILE
Kruger Agostinelli
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PROGETTO GRAFICO
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al Tribunale di Macerata
al n. 624 del 08.05.2015
30.000 copie
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Lavinia Ilcau
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Giorgia Giustozzi
Fabiana Pellegrino
Peppe Barbera
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Sede legale
Civitanova Marche
Corso Vittorio Emanuele n.2/4
Partita IVA 01877750438
Marzo 2016 / 3
INTERVISTA IN ESCLUSIVA
“LA SCALETTA DI QUESTO NUOVO SPETTACOLO
“ECCOMI TOUR” COMPRENDERÀ, OLTRE AI MIEI
SUCCESSI, ALCUNI PEZZI DEL NUOVO DISCO
“ECCOMI” E ALCUNE PERLE CHE NON FACCIO DA
TEMPO. IN PIÙ HO UNA NUOVA BAND DI GIOVANI
MOLTO MA MOLTO BRAVI”
ECCOMI TOUR, IL MITO DI PATTY PRAVO
LIVE TRA SUCCESSI E PERLE RARE
Kruger
Agostinelli
P
atty Pravo riparte in tour dopo
l’ottima attenzione ricevuta al recente
Festival di Sanremo da “Cieli Immensi”,
primo capitolo del nuovo album di inediti
“Eccomi”, ventiseiesimo in studio della
cantante. Il brano, firmato da Fortunato
Zampaglione, è l’ultimo successo di una
carriera lunga 50 anni, con oltre 120
milioni di copie vendute e con numerosi
riconoscimenti nazionali e internazionali.
Patty Pravo sarà sicuramente uno degli
ospiti d’eccezione per avvicinarsi alla
fine della prima stagione del Tyche Friday
al Donoma di Civitanova, con la cantante
che impreziosisce un palco che ormai è
a tutti gli effetti un club di spessore per
artisti italiani e internazionali. Aspettando
il live, il 22 aprile prossimo, abbiamo
intervistato la cantante. Patty Pravo non
a caso ha vinto il premio della critica a
Sanremo.
A dispetto del tempo che passa Patty
Pravo rappresenta l’innovazione nella
musica leggera italiana. Anche in
questo Sanremo hai surclassato molte
tue giovani colleghe. Essere moderni è
un vizio o una forma mentale?
«La domanda è molto bella, ma non saprei
rispondere… Io canto quello che mi piace
pensando che se piace a me siamo a metà
dell’opera. Per comunicare, un pezzo
deve piacere a chi lo canta. Nel caso di
“Cieli immensi” è andata benissimo
perché è piaciuto molto al pubblico, che
mi ha messo al terzo posto nel televoto e
che mi sta premiando con l’acquisto del
cd “Eccomi”».
Per te hanno scritto gli autori più
importanti del panorama musicale
tricolore. Al momento qual è quello
che ami di più e soprattutto quello
che ti manca e di cui vorresti cantare
qualcosa?
«Per me hanno scritto davvero quasi
tutti, da italiani a stranieri. Però mi piace
parlare del presente e quindi ringraziare
Tiziano Ferro, Giuliano Sangiorgi, Gianna
Nannini, Fortunato Zampaglione, Samuel
dei Subsonica, Rachele dei Baustelle e
Zibba».
Poiché penso che Patty Pravo si racconti
benissimo cantando i brani che sceglie,
vorrei fare una domanda alla Patty che
ascolta le altre canzoni. Nell’ultimo
anno chi ti è piaciuto? Non importa se
fa parte dei nuovi o dei vecchi cantanti
italiani.
«Mi piacciono Emma, Marco Mengoni,
Arisa, Noemi e, ovviamente, i Negramaro.
Senza dimenticare Tiziano Ferro, i
Subsonica e Gianna Nannini, che non
delude mai!».
C’è un legame speciale con le Marche?
Ci puoi raccontare aneddoti su persone
o luoghi della nostra regione?
«Nelle Marche ho fatto vari concerti e
anche alcuni allestimenti. È una bella
regione, si sta bene, si mangia bene e
soprattutto la gente è ok».
Vogliamo parlare dell’ “Eccomi tour”.
Qualche piccola anticipazione per il
pubblico di Tyche Friday al Donoma,
dove ritorni dopo due anni?
«La scaletta di questo nuovo spettacolo
“Eccomi tour” comprenderà, oltre ai miei
successi, alcuni pezzi del nuovo disco
“Eccomi” e alcune perle che non faccio
da tempo. In più ho una nuova band di
giovani molto ma molto bravi».
Ogni mese abbiamo una parola
chiave per la nostra edizione cartacea.
Rappresenta l’ispirazione della nostra
copertina e ci permette di filosofeggiare
un po’. Quindi ti domandiamo, cosa ti
ispira la parola INFINITO?
«Cieli immensi!».
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Marzo 2016 / 4
NUVOLA CASHMERE:
LO STILE ITALIANO
TRA FILATI DI PREGIO
E ANTICHI TELAI
Alessandra
Rossi
I
l brand Nuvola Cashmere è nato due
anni fa come hobby. Quasi per caso.
Ora è una realtà in crescita, forte della
qualità dei materiali e di quel buon gusto
senza tempo in cui noi italiani siamo così
ferrati: i suoi prodotti, realizzati in un
piccolo laboratorio di Filottrano con filati
di pregio (solo cashmere e seta), stanno
riscontrando un grande successo a livello
nazionale. Sono sempre di più le celebrità
fotografate con le loro sciarpe e stole, da
Laura Barriales a Natasha Stefanenko.
Abbiamo intervistato Daniele Raffaelli,
creatore del brand.
SONO SEMPRE DI PIÙ LE CELEBRITÀ
FOTOGRAFATE CON LE LORO SCIARPE E STOLE,
DA LAURA BARRIALES A NATASHA STEFANENKO
Da cosa nasce la scelta di realizzare
accessori in cashmere?
«Il progetto Nuvola Cashmere è nato
grazie al supporto e ai consigli di Luca
Paolorossi. Alla base ci sono due passioni.
Una è quella per i filati, i materiali pregiati.
Usiamo solo cashmere italiano, puro per
i prodotti invernali, misto a seta per le
sciarpe estive. E poi c’è la passione per
il recupero degli antichi telai, quelli con
cui un tempo si lavorava a maglia. Mia
madre faceva questo mestiere, avevo dei
macchinari così in casa. La fabbricazione
di una sciarpa, con l’uso di questi telai
combinato al lavoro manuale, richiede
in media tre ore. In seguito, il capo viene
sottoposto a particolari lavaggi che ne
assicurano la morbidezza finale».
Cosa dobbiamo aspettarci dalla
prossima
collezione
primaverile?
I Pantoni dell’anno sono l’azzurro
serenity e il rosa quarzo: li avete tenuti
in considerazione o seguite una vostra
strada?
«Oltre ai classici, che vanno sempre e
indipendentemente dalle mode, abbiamo
puntato molto su questi colori pastello:
celeste e rosa, sì, ma anche azzurro
Tiffany e verde acqua. Sicuramente,
però, proporremo anche colori più forti.
Sono molto richiesti. E nei filati estivi –
cashmere e seta – rendono particolarmente
bene».
Con il Made in China che spopola e
i tessuti importati dall’Asia a basso
costo, come si difendono il Made in
Italy e la manifattura?
«Si possono difendere solo mantenendo
un alto grado di qualità. Con il tempo il
cliente se ne accorge, basta toccare un
tessuto, indossarlo, “sentirlo” addosso.
I cashmere non sono tutti uguali. Se ne
trovano a prezzi irrisori, ma il motivo c’è,
e si vede anche dalla durata di un capo. È
questa l’unica nostra difesa: la qualità dei
materiali».
Ci parli del progetto “Italian Luxury
Handmade”, a cui avete partecipato
assieme a Luca Paolorossi. Siete stati
a Milano in periodo Expo e a Firenze
durante il Pitti.
«I nostri prodotti sono stati accolti bene,
abbiamo visto persone molto contente
delle nostre sciarpe. E questo fin da
subito, già al tatto. Per una realtà piccola
come la nostra è una bella soddisfazione.
E, ovviamente, iniziative come questa
costituiscono un’ottima vetrina».
Recentemente avete introdotto un
nuovo articolo, una cappa. Pensate che
in futuro arriverete alla maglieria o
resterete focalizzati su sciarpe e stole?
«Sperimentiamo nuovi capi ogni giorno. A
breve, per esempio, dovremmo introdurre
anche un altro tipo di mantellina. Ma
sicuramente resteremo focalizzati sugli
accessori, non credo che ci occuperemo
di maglieria classica».
intervista completa su tychemagazine.it
Purezza e artigianalità:
la moda di Marybloom Portonovo
Giorgia
Giustozzi
I
l tocco di un tessuto fresco e leggero
che accarezza la pelle come la brezza
marina fa al tramonto d’estate. Il fascino
selvaggio di un’isola nascosta, il bianco
dei sassi… Tutto questo si racchiude
nel sogno lussuoso di Marybloom.
Maria Teresa Bordoni ci ha illustrato
il suo brand che celebra la tradizione
artigianale marchigiana, le cui radici
sono, non a caso, anconetane. Haute
bohémien è l’ispirazione, free spirit lo
slogan. Un marchio che possiede uno
stile riconoscibile, caratterizzato da
pochi meravigliosi capi. La collezione
comprende: caftani, mini dress, camicie,
top, costumi (bandeau e triangoli),
sandali ed orecchini. I tessuti sono la
garza di lino e la mussola di cotone. Tutti
rigorosamente bianchi.
Ci racconta la sua esperienza nel
settore moda?
«Ho iniziato come stilista presso Genny,
poi ho collaborato con Giorgio Grati,
Marly’s e molti altri».
Quando e da dove è nata l’idea di dare
vita a Marybloom?
«Il brand è nato nel 2014 in collaborazione
con mia figlia Martina. La mia creatività
ed esperienza, la sua freschezza bohorock e la passione comune per Portonovo
sono stati gli ingredienti di partenza.
Portonovo, infatti, rispecchia il mood del
brand, e il lookbook della Collezione S/S
2016 ha come sfondo proprio il parco del
Conero».
Da cosa deriva la scelta del nome
Marybloom?
«È un mix tra il mio nome e quello di
un magazine fonte di ispirazione per le
mie collezioni. Marybloom è anche il
nickname che uso da anni presso Polyvore,
una importante community per scoprire e
creare le nuove tendenze moda. In questo
sito ho, ad oggi, 84.139 followers e sono
presente da 7 anni».
La produzione è 100% marchigiana:
chi si occupa della realizzazione dei
capi?
«Ci siamo affidate a sagge ed esperte
ricamatrici di crochet e macramè. Ogni
nostro capo ha dettagli fatti a mano su
disegni unici, attraverso una tecnica antica
ed uno stile contemporaneo, con giochi
di intrecci ed effetti 3D. Esportiamo in
Francia e Germania ma presto anche negli
Usa e in Spagna».
Curiosità per l’estate 2016: Maria
Teresa ci ha svelato che a giugno, sul
bianco e assolato litorale greco (quale
location migliore), un intero matrimonio
vestirà Marybloom.
intervista completa su tychemagazine.it
Marzo 2016 / 5
“L’INFINITO È LEOPARDIANO. È CIÒ CHE SI
NASCONDE DIETRO LA SIEPE, CIÒ CHE NON
VEDI. UN PO’ COSÌ È ANCHE IL NOSTRO
FILM: NON VUOL DARE DELLE RISPOSTE,
MA SUSCITARE DELLE EMOZIONI E FAR
RIFLETTERE SU TANTE COSE”
Alessandra
Rossi
Emanuele
Pagnanini
UNA CINEPRESA PER LE MARCHE:
IL REGISTA ALESSANDRO VALORI
CI RACCONTA “COME SALTANO I PESCI”
M
aceratese di nascita, Alessandro
Valori vive a Roma da anni. Un
passaggio naturale, se si sceglie il cinema
come mestiere. Cosa accade, però, quando
un regista marchigiano torna nella sua terra
per girare un film? “Come saltano i pesci”,
in uscita nelle sale il 31 marzo, è stato
filmato nelle Marche. Una produzione di
respiro nazionale, frutto dell’unione di
due menti: Simone Riccioni, che è anche
l’attore protagonista, e Alessandro Valori,
che ci ha concesso questa intervista.
Avete girato tutte le scene nelle
Marche, dove siete rimasti due mesi.
Logisticamente è stato complicato?
«Forse girare qui è stato più complesso,
ma per certi versi ci ha anche semplificato
le cose: le Marche offrono una grande
varietà di paesaggi da ritrarre. E poi c’è
stata una enorme adesione da parte di
tutti, dai Comuni che ci hanno ospitato
alle 700 comparse che hanno preso parte
gratuitamente al film. Io sono partito da
Macerata appena diciottenne. La cosa che
mi ha colpito, dopo tanti anni, è non solo
questa compartecipazione, ma anche la
bravura dei nostri professionisti: abbiamo
trovato competenza, fantasia, grinta. Mi
ero un po’ dimenticato di questa nostra
indole battagliera».
Al centro della vicenda c’è una famiglia
molto imperfetta. I film italiani hanno
iniziato già da tempo a ritrarre famiglie
poco convenzionali: sembra quasi che il
cinema si sia accorto prima degli altri
di certi cambiamenti in atto. Come se
l’arte fosse un passo avanti rispetto alla
politica e alla società. Che ne pensi?
«L’artista è una sorta di antenna:
percepisce un po’ prima quello che già
è nell’aria, ma che ancora non trova
espressione. Quindi il cinema, come tutte
le forme d’arte, capta certi cambiamenti e
li comunica. Certamente la famiglia è un
anello centrale nella vita di ognuno, per
La sfida
di Jonathan
Arpetti:
un film
da leggere
“C
ome saltano i pesci”, ovvero un
parto gemellare. Film e romanzo
che vengono alla luce praticamente nello
stesso momento. Il libro uscito il 24 marzo
scorso; il film in anteprima nazionale
il 30 marzo a Fermo e il 31 a Macerata.
Un lancio coraggioso per i “gemelli”. La
storia nasce da un’idea di Simone Riccioni
(protagonista) cui segue la sceneggiatura
per il film. Ma che poi, grazie al giovane
autore maceratese Jonathan Arpetti, è
diventata anche un romanzo. Una genesi
comune che proprio Arpetti illustra (la
video intervista completa sul nostro sito).
«Ho conosciuto Simone Riccioni tramite
il regista del film, Alessandro Valori. Mi
ha raccontato la storia e ne sono rimasto
affascinato. In “Come saltano i pesci”
ho trovato qualcosa di profondo e di
intimo che meritava di essere raccontato
con un romanzo. Ho così proposto a
Simone di farne un libro. Una genesi
particolare. Di solito i film sono tratti
da romanzi. Qui il percorso è inverso».
Un’operazione senz’altro coraggiosa e
di cui è difficile trovare precedenti. In
questo caso non si teme l’effetto “spoiler”,
cioè un’anticipazione della trama. Con il
rischio che chi vede il film, non compri
il romanzo (Leone Editore, 10,90 euro)
o viceversa. «Credo che una storia
abbia più valore se viene abbracciata da
entrambi i campi, quello cinematografico
e quello letterario – risponde Arpetti – a
quanto si possa pensare il contrario: è il
crogiolo dove ci formiamo e cresciamo. È
il luogo in cui si viene rispettati, compresi,
amati e accolti, che la si intenda in maniera
più o meno convenzionale. Noi abbiamo
scelto di raccontarla a modo nostro».
Un aneddoto delle riprese da
raccontarci?
«Risale a quando abbiamo filmato l’ultima
scena. Girare un film significa convivere
con la troupe e il cast ventiquattr’ore
su ventiquattro: alla fine si diventa una
famiglia. Ci siamo trovati a girare l’ultima
scena, di notte, in cima a una montagna.
Eravamo tutti insieme in questo posto
desolato e c’è stato un momento, al termine
delle riprese, in cui tutti ci siamo ritrovati
abbracciati, come a un concerto di Vasco
Rossi, a far ondeggiare gli accendini nel
buio. È stato magico».
La parola chiave di questo numero di
Tyche è “INFINITO”. Cosa ti richiama
alla mente?
«L’infinito mi richiama la terra che ho
lasciato… l’infinito è leopardiano. È ciò
che si nasconde dietro la siepe, ciò che non
vedi. Un po’ così è anche il nostro film, per
riallacciarci al discorso e concludere: non
vuol dare delle risposte, ma suscitare delle
emozioni e far riflettere su tante cose».
prossimamente su tychemagazine.it
volte il pubblico è lo stesso,
altre profondamente diverso
perché i lettori sono molto
meno numerosi del pubblico
delle sale. Noi cerchiamo di far
avvicinare chi va al cinema alla
libreria e viceversa. Abbiamo
cercato di aggiungere qualcosa
che nel film non poteva esserci,
ad esempio una maggiore
caratterizzazione dei personaggi
e un’introspezione nelle loro
figure.
Abbiamo
aggiunto
situazioni ed emozioni che
nel linguaggio delle immagini
è difficile far emergere». Da
sottolineare, infine, che si tratta
di una storia completamente
Made in Marche. Il frutto di
un concepimento avvenuto
tra l’Adriatico e l’Appennino.
Più bello l’uno o l’altro? Non resta che
recarsi sia in libreria che al cinema. Senza
dimenticare che, trovandosi di fronte a due
gemelli, ci si può confondere e si potrebbe
leggere il film e vedere il libro.
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Marzo 2016 / 6
INNOVAZIONE,
TERRITORIO
E RICERCA:
ECCO IL 2016
DELL’UNICAM
Michele
Mastrangelo
F
lavio Corradini è il rettore
dell’Università di Camerino, l’ateneo
che questo mese troverete nelle pagine
di Tyche Magazine. Un’Università che
fa dell’innovazione e della ricerca il suo
cavallo di battaglia e che con forza cerca di
aprirsi al territorio, allargandone i confini.
È di questi giorni infatti la cerimonia
conclusiva del master universitario di
primo livello in Politiche, Programmi
e Progettazione europea, primo atto
della collaborazione dell’ateneo messa
in campo con il Comune di Civitanova,
al quale seguiranno altri corsi di alta
formazione già in programma. Proprio a
Civitanova incontriamo il rettore per la
nostra video intervista, che potrete vedere
presto sul nostro sito.
Rettore, cosa c’è nel 2016 di Unicam?
«Sarà un 2016 ricco di grandissimi eventi
e contributi che vogliamo dare ai nostri
territori, alla nostra regione e all’Europa
più in generale. Si stanno gettando alcune
basi in questi giorni. Come nel focus
#Obiettivostudenti sulla condizione degli
studenti universitari dell’Italia centrale.
Un incontro per capire come cambia e dove
deve ancora cambiare l’Università con il
mutamento dello stile di vita per effetto
della crisi economica. Poi c’è il momento
di grandissima riflessione e sintesi sulle
strategie per il futuro nella relazione tra
l’ateneo e i territori. Unicam ha al suo
interno consulte che presto definiranno
lo stato dell’arte per mettere insieme
progetti: il Comitato dei sostenitori (che
unisce imprenditori della nostra regione
e non solo), la Consulta permanente per
lo sviluppo (dove partecipano sindaci,
presidenti di comunità montane e
fondazioni) o la Consulta per il lavoro e
la valorizzazione della persona (con le
principali forze sindacali). Si ragionerà
quindi sul trasferimento di conoscenza
e competenza e sul coinvolgimento del
territorio, nostre più grandi strategie
da portare avanti insieme seguendo
l’internazionalizzazione.
L’Università non è sola, il
mondo stesso vuole vedere
un unione d’intenti. I grandi
progetti vanno seguiti in
sinergia. Ecco, territorio,
internazionalità, ma non solo.
Stiamo facendo fortissimi
investimenti sulla ricerca e
l’innovazione, per potenziare
i gruppi di ricerca abbiamo
rinnovato il parco macchine,
essendo ateneo a vocazione
tecnico-scietifica. Visti i suoi
bilanci positivi, l’Unicam
ha fatto grandi passi verso
nuove attrezzature che non
sono solo destinate agli
studenti, ma vanno messe in
collaborazione con i territori».
Quali sono i vostri punti di
eccellenza?
«Abbiamo fatto negli ultimi
anni un’operazione molto
importante, di tipo strutturale, e abbiamo
concentrato l’attenzione su poche strutture
accademiche, focalizzando i gruppi
di ricerca. Questo ci ha permesso di
identificare in poche linee i nostri punti
di forza. L’architettura e il design, filoni
di attualità; scienze e tecnologie, con
una grande ripresa a livello europeo sulle
cosiddette scienze esatte; scienze della
vita (bioscienze e medicina veterinaria),
un asse importante dell’ateneo in costante
sviluppo; farmacia (quest’anno siamo
stati costretti a chiudere purtroppo un
mese in anticipo le iscrizioni perché
avevamo raggiunto il numero massimo
di immatricolazioni consentite dal
Ministero) e chimica farmaceutica, un
pilastro che mi rende particolarmente
orgoglioso; la giurisprudenza con il diritto,
dove stiamo concentrando l’attenzione
sulle nuove tecnologie o sulla proprietà
intellettuale. Ci sono queste cinque
grandi scuole portanti, raggruppate in
sottosezioni. Questa costituzione ci sta
dando grandi soddisfazioni non solo per
i numeri ottenuti, ma anche per la ricerca
e l’innovazione messa in campo, che va
verso la progettazione territoriale con
imprese e pubbliche amministrazioni».
Potenzialità e possibilità nelle Marche?
«Credo che abbiamo un grande punto di
forza, rappresentato proprio dalle Marche
e dai marchigiani. Siamo una regione con
dei sistemi produttivi particolarmente
brillanti,
con
dei
brand
molto
conosciuti ovunque e con un artigianato
particolarmente creativo, che si affianca
alla media e alla grande impresa. Siamo
una comunità poi attenta alla serietà,
all’etica, e in un periodo di difficoltà
economiche queste caratteristiche ci hanno
aiutato a superare il momento, tanto che in
tutti i sistemi produttivi ci sono gruppi di
imprese che sono riuscite a crescere. Non
a caso però questo gruppo è formato da chi
ha puntato sulla ricerca, sull’innovazione
e sull’internazionalizzazione. E l’Unicam
è felice di dare il proprio contributo
e apporto a tali processi. Credo che
le Marche possano crescere ancora,
imparando sempre più a promuoversi come
territorio, agganciandosi anche al nostro
ambiente particolarmente favorevole
e ad un sistema culturale affascinante.
Importante sarebbe anche accostare il
territorio a quei brand noti in tutto il
mondo, con grandi qualità, che proprio
qui vengono prodotti. La qualità del resto
non viene mai a caso ma è costruita dalle
persone. Infine dovremmo lavorare verso
azioni specifiche di trasformazione, per
avvicinare tante piccole eccellenze in un
sistema reticolare di collaborazione».
video intervista prossimamente su tychemagazine.it
Marzo 2016 / 7
WISENSE, SPIN OFF UNIVERSITARIO
CHE RENDE LE COSE INTELLIGENTI
Emanuele
Pagnanini
I
nternet of things è lo slogan scelto.
Una tecnologia che porta internet
“dentro” le cose. Rende gli oggetti
intelligenti. È Wisense, start-up nata da
uno spin-off dell’Università Politecnica
delle Marche. Sensori – praticamente
mini pc – collegati tra loro attraverso una
rete mesh. Il sistema si auto-configura e
si collega alla rete globale. “Tecnologia
abilitante” che può essere usata in
ogni ambito, a seconda delle esigenze
dell’utente. Qualche esempio? Pensate ad
una struttura sanitaria con pazienti anziani
o con gravi patologie tipo l’Alzheimer.
Wisense, con sensori inerziali, consente
di monitorare h24 i pazienti e segnalare
anomalie fisiologiche, oppure una caduta.
Ancora: un terreno coltivato. In questo
caso, i dispositivi raccolgono una serie di
parametri. Le informazioni consentono di
creare mappe idroclimatiche e analizzare
il suolo. Così si può sapere se necessita
di concime o acqua. Si monitora lo
sviluppo delle piante. Applicazioni anche
nella logistica e nell’efficientamento
energetico (una rete di illuminazione
pubblica con segnalazioni di intervento
in caso di guasto ad un lampione). Non
teoria ma pratica. Perché gli esempi fatti
sono reali. Sistemi già installati o in fase
di istallazione dalla Wisense. A parlarne è
Lorenzo Palma, uno dei ricercatori dello
spin-off insieme ai colleghi Alberto Lelli,
Luca Pernini, Simone Valenti e Lorenzo
Maurizi. La docente di riferimento è Paola
Pierleoni. «Forniamo hardware e software
– spiega Lorenzo Palma – siamo nati nel
2014 e puntiamo a camminare con le
nostre gambe quanto prima. L’obiettivo è
andare subito sul mercato. C’è l’interesse
di diverse multinazionali che stanno
investendo su tecnologie simili». Lo
strumento dello spin-off universitaria è
ormai l’unico mezzo per dare concretezza
alla ricerca. «Consente di superare la
cosiddetta “Valle della morte”: quando
finiscono i finanziamenti della ricerca, ci
si propone come imprenditori». Rendere
“smart” tutto ciò che ci circonda: e i
risultati di Wisense sono già importanti.
«Collaboriamo con i nostri dispositivi in
ambito sanitario all’ospedale di Pesaro per
i pazienti affetti da Parkinson ma anche
alle Torrette e all’istituto Santo Stefano.
Entro settembre la prima istallazione
in una Rsa di Padova. In agricoltura,
abbiamo presentato un progetto al recente
Expo. Istallazioni di sensori sono attive
in Toscana per il controllo remoto della
rete di illuminazione pubblica. Wisense è
utile anche per monitorare i terremoti. Su
proposta della Protezione Civile Marche,
stiamo studiando un prodotto per avere
mappe puntuali su come reagiscono edifici
e terreni alle onde sismiche».
prossimamente su tychemagazine.it
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Marzo 2016 / 8
DARIO FAINI
RIPARTE
DALL’ISLANDA
Fabiana
Pellegrino
Alessandra
Rossi
P
op. Cinematico. Strumentale. In una
parola Dardust. Giuseppe Pagano,
sul Fatto Quotidiano, aveva definito
“7” un debutto di rara eleganza, dalle
trame preziose. Oggi siamo al secondo
capitolo della trilogia annunciata, “Birth”,
anticipato dal singolo “The Wolf”. La
coppia Dario Faini e Vanni Casagrande
continua a partorire uno dei migliori
esempi italiani di equilibrio perfetto tra
elettronica e classica. Filo conduttore
della trilogia è il viaggio sonoro che
percorre l’asse geografico-musicale
Berlino-Reykjavik-Londra.
Insomma, musica per intenditori?
«Assolutamente no. Per capire e
apprezzare il lavoro di Dardust basta
amare la musica. Il progetto prevede tre
dischi di musica strumentale con una
concezione, tuttavia, molto pop e quindi
popolare. Il primo album, registrato a
Berlino, ha girato moltissimo su Mtv, che
di certo ha una programmazione molto
pop. Quindi non si tratta di qualcosa di
elitario. Questo secondo disco lo abbiamo
registrato in Islanda, il terzo lo faremo a
Londra».
Perché proprio l’Islanda?
«Abbiamo scelto l’Islanda perché è un
Paese che ha regalato alla musica artisti
che ho sempre amato. “Birth” è stato
inciso nei Sundlaugin Studio, dove hanno
registrato, tra gli altri, anche
Sigur Ros, Jon Hopkins,
Damien Rice. Precede il
terzo capitolo che verrà
registrato a Londra. In
Dardust convivono l’anima
elettronica e quella classica,
innovazione e tradizione,
così come in Islanda fuoco e
ghiaccio formano un equilibrio perfetto».
“Birth” è anticipato dal singolo “The
Wolf”, ambientato in un futuro neomedievale popolato da un solo uomo
accompagnato da un lupo. Come nasce
l’idea?
«Da anni pensavo a un brano che parlasse
di un lupo, è un animale che mi ha sempre
affascinato e questo brano mi sembrava
perfetto. Il video, diretto da Tiziano
Russo, è ambientato a Rocca Calascio
in Abruzzo, una location utilizzata per
realizzare anche i film “Il nome della
rosa” e “Ladyhawke”. “The Wolf” è
un brano che ben rappresenta la nuova
direzione artistica intrapresa da Dardust.
Il video chiude la trilogia dei filmati
girati da Tiziano Russo, partendo dalla
missione spaziale “Dardust” cominciata
con “Sunset On M.”, proseguita con
“Invisibile Ai Tuoi Occhi” e culminata
con “The Wolf”».
Hai organizzato il lancio nazionale ad
Ascoli Piceno: perché la data zero qui?
«Perché è la mia città e ho ritenuto
fondamentale collaudare questo nuovo
progetto in un posto che fa parte di me e
ho sempre amato».
A proposito di Ascoli e delle Marche,
cosa porti con te di questi posti?
«Sono molto legato alla mia città e in
generale alle Marche, resto coinvolto
nelle vicende di questo territorio pur non
vivendo qui e muovendomi moltissimo.
Ho avuto la fortuna di conoscere artisti,
manager e imprenditori di questo mondo.
Ovunque sono stato accolto dalla buona
fama che abbiamo noi marchigiani: siamo
conosciuti per essere dei grandi lavoratori
e delle persone di parola. In questa
definizione mi ritrovo pienamente. C’è
anche un’altra qualità che questa regione
mi ha regalato, l’umiltà: è la base della
fortuna di questo lavoro».
intervista completa su tychemagazine.it
Brian May oltre
i Queen ad Ancona
un racconto
per immagini
di Henry Ruggeri
approfondimento su tychemagazine.it
Sally Moriconi: «Essere
cantautrice è un atto
di coraggio. O di pazzia»
S
ally Moriconi è come un ciclone, un
ciclone coloratissimo. Cantautrice
marchigiana, a trent’anni ha già
conquistato Maurizio Crozza e Max Giusti
con la sua voce piena ed energica. Nei suoi
brani, sonorità blues e virtuosismi vocali
si lasciano stemperare dalla leggerezza del
pop e dal calore della musica popolare:
uno stile che si riflette nei video, ironici e
molto vivaci.
Il tuo 2015 è stato travolgente: Max
Giusti, “Crozza nel paese delle
meraviglie” e un’esibizione per il Papa.
Come si gestisce un anno così senza
perdere la testa?
«I frutti maturano sapientemente, ma
spesso ti trovi a raccoglierne quantità
inaspettate in tempi ristretti. Questo lavoro
è così, una montagna russa sbalorditiva.
Soprattutto per chi, come me, si è costruito
senza “santi in paradiso”: quando le
soddisfazioni arrivano dopo tanto duro
lavoro, la testa rimane ben saldata al
collo. È così che ho affrontato questo anno
carico di frutti buonissimi: mi sento molto
fortunata!».
Realtà a confronto: le Marche, la tua
terra d’origine, e Roma, la città in cui
hai studiato. In che modo hanno segnato
il tuo percorso?
«Devo tutto a entrambe: la mia terra
mi ha resa quella che sono, temprata e
pronta all’impegno per raggiungere i miei
obiettivi. Potrei descrivere le Marche in
una parola: lavoro. La nostra testardaggine
sa arrivare ovunque! Roma è invece il mio
motore, mi ha dato la caparbietà che mi
mancava: mi ha messo di fronte ai primi
ostacoli. È la mia città conquistata, la amo
profondamente… pur nel suo disordine».
Oggi vanno molto i talent show, dove
si cercano non autori, ma interpreti.
In questo contesto come vivi il tuo
percorso artistico? È dura sfondare
come cantautrice?
«Un artista completo è un prodotto
ingestibile per la macchina tritacarne del
mercato discografico, che necessita di
pedine usa e getta. Scriversi le canzoni
è una scelta ambiziosa e non sempre
vincente. Io ce la metto tutta, non so se
sono coraggiosa o una pazza anacronistica,
ma voglio cantare della mia visione della
vita: questo conta molto più di qualsiasi
compenso».
I tuoi video – e così i tuoi testi – sono
divertenti, ironici e coloratissimi. In che
misura ti rispecchiano?
«Non ho mai cercato di costruirmi: ho
aperto il rubinetto e buttato fuori quella
che sono. Così i miei testi parlano la
mia lingua, la stessa che uso per fare la
spesa o per mettermi a piangere davanti
a una tisana mentre sono in guerra con
le mie insicurezze. La scelta del colore è
esternazione della mia solarità».
intervista completa su tychemagazine.it
Marzo 2016 / 9
“VALORIZZARE LE MARCHE E BATTERE
LA TOSCANA? FORSE, DISCORSO GENERALE,
DOVREMMO IMPARARE AD ESSERE PIÙ APERTI.
AVERE, COME I TOSCANI, UNA VISIONE
PIÙ A LUNGO RAGGIO”
Michele
Mastrangelo
Alessandra
Rossi
ITINERARI MARCHIGIANI DA VIVERE
“CON IN FACCIA UN PO’ DI SOLE”
“C
on in faccia un po’ di sole” è
il nome scelto per un portale
tutto da scoprire: in parte blog, in parte
album fotografico, in altra parte ancora
“costruttore” di servizi. Da percorsi
e visite guidate a tutta la produzione
che ruota intorno al mondo del web.
Un sito pensato anche per scoprire
le bellezze paesaggistiche, culturali,
enogastronomiche (e tanto altro ancora)
delle Marche e di fuori regione. Ne
parliamo con Nicola Pezzotta, 34 anni, di
Sant’Elpidio a Mare, ideatore di questo
progetto.
Nicola Pezzotta, cos’è “Con in faccia un
po’ di sole”? Come nasce?
«Il sito è nato ufficialmente a fine 2009.
Avevo fatto già alcuni tentativi sul web,
con esperimenti auto-prodotti. Sentivo
infatti la necessità di condividere alcune
cose che andavo vedendo per le Marche.
Quindi ho iniziato a postare scatti dei
luoghi che visitavo. Ho cominciato
così a “tirare dentro l’avventura” altre
persone che la pensavano come me sulla
scrittura e, in generale, sulla filosofia
dietro al progetto. La prima è stata mia
sorella Simona, che si occupa della
parte culinaria, poi la giornalista Lucia
Paciaroni, la storica dell’arte Fabiola
Cogliandro e il tecnologo alimentare Luca
Marcantonelli».
Cosa raccontate?
«Quello che ci colpisce, quello che
Turismo culturale
e valorizzazione
del territorio:
ecco l’associazione
La Meridiana
L
a Meridiana è una realtà d’eccellenza nelle Marche. Ci lamentiamo
spesso di quanto il turismo italiano sia debole, inadatto a
valorizzare il nostro patrimonio culturale. Fortunatamente esistono le
eccezioni, anche se spesso non hanno vita facile. Associazione di guide
turistiche autorizzate, La Meridiana organizza da trent’anni visite
culturali e laboratori didattici nella Riserva Naturale dell’Abbadia
di Fiastra. 28mila visitatori lo scorso anno (di cui molti dall’estero)
e una crescita annuale del 7%: un piccolo miracolo, considerando
quanto siano esigui i finanziamenti pubblici. Ce ne hanno parlato le
guide Floriana Morresi, Cecilia Paciaroni e Miria Salvucci. «Le ore di
apertura sono tante, i finanziamenti pochi: servirebbe più personale,
ma non possiamo permettercelo. E allora puntiamo tutto sulla qualità,
cercando di mantenere un servizio di alto livello, e sulla sinergia con le
altre realtà turistiche della provincia. A “fissarsi” sul proprio orticello
si crea solo divisione, mentre a far rete ci guadagniamo tutti. Speriamo
solo che le cose, in futuro, vadano meglio: siamo letteralmente seduti
su un tesoro culturale dal valore inestimabile, sarebbe da pazzi non
investirvi di più».
vediamo tutti i giorni o i fine settimana
quando organizziamo degli itinerari.
Ci capita di parlare di montagna, di un
particolare sito archeologico, per farti
alcuni esempi. Seguendo sempre il nostro
stile, dallo scorso anno organizziamo
eventi di vario genere. Abbiamo proposto
una visita promozionale nell’antica
città romana di Urbisaglia per vedere
se c’era interesse, ed hanno risposto
cinquanta persone, a dimostrazione che
questi appuntamenti vengono apprezzati.
Sono inoltre diventato guida ambientale
escursionista dell’Aigae».
Sei un bravo fotografo. Se dovessi
presentare le Marche a chi non le
conosce, cosa fotograferesti?
«Fotograferei quei luoghi che neanche i
marchigiani conoscono. Come la Grotta
del Petrienno ad Acquasanta Terme. Una
grotta larghissima dove al suo interno ci
sono casette rurali e una cascata».
Siamo vicini alla primavera. Un
itinerario da non perdere in questo
periodo?
«Quest’anno si va verso una fioritura
un po’ anticipata e si potrebbero
fare fantastiche fotografie sopra ad
Ascoli, sulla Montagna dei Fiori. C’è
un’escursione non troppo difficile e si
possono trovare fiori anche rari».
Foto di Nicola Pezzotta
intervista completa su tychemagazine.it
Foto di Cecilia Paciaroni
www.ty c hema ga z in e. it
L’APPUNTAMENTO LIVE
DEL VENERDÌ NOTTE AL DONOMA
DI CIVITANOVA
Marzo 2016 / 11
I LOVE MUSIC,
APPLAUSI
PER IL MUSICAL
FIRMATO
TYCHE EVENTI
T
yche Eventi varca una nuova frontiera.
“I Love Music – Il musical” segna il
debutto nella produzione di spettacoli.
Non è frutto dell’improvvisazione ma di
una sinergia con cui si sono scardinati
luoghi comuni. Così dal mondo
dell’intrattenimento, spesso confinato
in un angolo lontano da quelle che sono
considerate proposte di alto livello
(anche artistico), arriva una sceneggiatura
originale in un genere come il musical.
L’idea è di Salvatore Lattanzi, uno che
nelle nuove sfide mette anima e corpo.
L’ispirazione arriva dalla stessa “natura”
del Donoma, “sound theater and food”.
Una ex sala cinematografica trasformata
in una grande discoteca lasciando, però,
un palco che, sempre grazie a Tyche
Eventi, è diventato un club dove si
esibiscono rigorosamente live artisti
della musica nazionale ed internazionale.
Cinema, musica, ballo: basta aggiungere
la recitazione ed ecco che ci sono tutti gli
ingredienti di un musical.
Ultimo passo, affidarsi a professionisti.
Così nasce “I Love Music”, dove il
conflitto generazionale padre e figlio
si snoda attraverso differenti generi
musicali. Salvatore Lattanzi firma la
sceneggiatura insieme al regista Giacomo
Moresi della compagnia La Fenice di
Osimo. Lo spettacolo è prodotto da
Diana Zamfir, la direzione musicale è di
Simone Giorgini e le coreografie di Adua
De Candia. Marco Carini è assistente
alla regia e cura gli adattamenti delle
canzoni. Il coordinamento generale è
di Kruger Agostinelli e Aldo Ascani.
Sul palco Nicola Pigini (il protagonista
Tony da giovane), Matteo Borghi (Tony
da adulto), Andrea Toppi (il padre del
protagonista), Ilaria Gugliotta (Laura, la
protagonista femminile), Riccardo Foresi,
Marco Giammarini e Matias Lattanzi (il
piccolo Ricky, figlio del protagonista).
Al Donoma, l’11 marzo, la “data zero”
davanti ad una platea selezionata. Se il
locale civitanovese è stato l’ispirazione,
non significa che il musical è stato
concepito solo per questo spazio. Anzi,
non c’è nessuna dicotomia con il teatro.
L’obiettivo è dimostrare come si possano
esprimere linguaggi e proposte artistiche
anche in luoghi che, di consuetudine,
sono deputati ad altro.
«Alla Tyche siamo soliti battere nuovi
sentieri – le parole di Salvatore Lattanzi
– e questo potrebbe esserne uno. Siamo
fieri del nostro operato e crediamo che
il pubblico troverà divertente il nostro
spettacolo. Portare il teatro in una
discoteca può essere un nuovo format?
Ben venga la divulgazione di ogni singola
forma d’arte purché fatta con dedizione e
franchezza».
«Trovo questo progetto molto interessante
e stimolante – ha detto il regista Moresi
–. Visto il poco tempo a disposizione è
stata una grande sfida: penso però che sia
venuto fuori uno spettacolo gradevole.
La location non è un “teatro” ma spero
lo diventi presto perché ha tutte le
caratteristiche giuste. Complimenti quindi
al Donoma, che ha dimostrato tutto il suo
coraggio» .
per saperne di più tychemagazine.it
Marzo 2016 / 12
RACHELE CESPI
PORTA IN REDAZIONE
IL POP-IGNORANTE
Michele
Mastrangelo
Kruger
Agostinelli
“D
imenticavo: non è un’artista”. Con
questa frase, che smonterebbe
subito un bluff al poker, Rachele Cespi
conclude la biografia che le abbiamo
chiesto di inviarci, prima di invitarla in
redazione per conoscerla meglio. Ma per
noi non è vero! Ha 26 anni, è di Tolentino
e ha recentemente terminato la magistrale
in Graphic Design all’Accademia di Belle
Arti di Macerata. Fumettista, illustratrice,
grafica e quant’altro… Rachele Cespi, ma
chi sei? «Tutto e niente in realtà perché
ancora non lo so. Ma sicuramente non sono
un’artista – spiega con la sua travolgente
ironia, che sforna senza troppe remore
su di sé e sugli altri (e fa bene) –. Faccio
quello che mi piace, cioè comunicare.
Ho un’ossessione per il linguaggio
pubblicitario o i cibi confezionati e li
“VOGLIAMO PROVOCARE E RIDERE UN PO’
DELLA CRONACA NERA E SU COME I MEDIA CI
SI CONCENTRINO IN MODO ECCESSIVO. MA
VORREMMO PARLARE ANCHE DI ALTRO, TIRANDO
FUORI IL PEGGIO DEL PEGGIO DELL’UMANITÀ”
uso per dire qualcosa. Anzi, per non dire
niente. Perché in quello che faccio è
semplicemente tutto molto colorato, con
una componente che odia tutto e tutti in
maniera molto simpatica e molto velata.
Sono una brutta persona in realtà».
Ecco Rachele, hai coniato un termine
che ci piace davvero. Pop-ignorante.
Descrive bene molte tue opere, come i
tuoi “Gelati”.
«Sì, è tutto molto simpatico, colorato
(come con i gelati) ma, volendo, è anche
“cattivo”, seguendo un gioco di ossimori.
Accosta una cosa che ispira, che crea
un’associazione mentale carina, con
qualcosa che non è poi così carino. È
questo per me il pop-ignorante: mettere
insieme tutte le icone del contemporaneo
avvicinandole a qualcosa di veramente
ignorante. A frasi bruttissime. Oppure
assemblando qualcosa di becero ad
un’immagine edulcorata. C’è ovviamente
anche lo scopo di provocare, di dare un po’
una scossa».
C’è uno dei tuoi gelati, con la scritta
Aids… Qualcuno non ha apprezzato
questa tua opera.
«È un ossimoro. Il gelato è una cosa carina,
bella e buona ma qualcuno ha avuto da
ridire perché l’ho accostata alla parola
Aids. Si è indignato non so per quale
motivo in verità. È una cosa che c’è, esiste
esattamente come esiste questo tipo di
gelato. Niente di più».
La provocazione ti crea subito un
impatto.
«È quello che succede tutti i giorni
con la comunicazione pubblicitaria. In
questo linguaggio tutto viene celatamente
sessualizzato, ma la gente non ci fa
caso. Quando poi qualcuno cerca di
fare il percorso inverso le persone se ne
accorgono e nasce una reazione».
Come avrai capito la serie dei gelati ci
piace molto. Ce ne parli?
«È nata da un gioco con la parola in
inglese, ice creams. La serie “NiceScreams” è un mix tra nice, carino,
e screams, che sono gli urli, ed è stata tirata
fuori durante una mostra a Macerata sulla
provocazione. I gelati industriali, rosa,
carini, da bambini, vanno in contrasto con
frasi becere. Come “Odio tutti quelli che
ancora stanno respirando”».
Hai fatto stampe, quadri, illustrazioni di
vario tipo. Quale “tela” ti ispira di più?
«Difficile dirlo, per adesso mi piace molto
l’editoria. Con altri colleghi del corso
d’illustrazione stiamo valutando di tirare
fuori qualcosa di nostro, sempre becero,
cattivo, pessimo, e se vogliamo con un
umorismo ancora più nero. Vogliamo
provocare e ridere un po’ della cronaca
nera e su come i media ci si concentrino
in modo eccessivo. Ma vorremmo parlare
anche di altro, tirando fuori il peggio del
peggio dell’umanità».
C’è
poi
un’altra
opera,
“#CocksNotGlocks”. A prima vista
sembrerebbe solo provocatoria, ma non
è così…
«Mi è stato inviato da un’amica l’articolo
di una campagna civile nata in Texas, uno
Stato dove una legge autorizza gli studenti
a portare in classe armi. C’è una ragazza
che ha ideato questo movimento partendo
dal fatto che, invece, nel Texas, se non erro,
ci sono restrizioni per le vendite di sex
toys. Quindi la campagna invita a portare
nei campus vibratori al posto di pistole in
segno di protesta».
video intervista completa su tychemagazine.it
Marzo 2016 / 13
LIBERA, UN FARO PUNTATO SULLA MAFIA
SENESI: “LE MARCHE NON SONO IMMUNI”
Fabiana
Pellegrino
L
ibera è l’associazione che da anni
combatte la penetrazione della
criminalità organizzata nel sistema
produttivo. Nelle Marche è guidata
dall’ascolana Paola Senesi che, tempo
fa, ha intrapreso una battaglia personale,
locale e regionale a favore della passione
e contro la mafia. Per dirla come don
Ciotti «la mafia uccide in molti modi»,
soprattutto in un territorio come quello
marchigiano. «Libera Marche nasce dieci
anni fa – racconta Paola Senesi – : siamo
partiti ad Ascoli e questo per me è motivo
di grande orgoglio. Negli anni successivi
si è aggiunta Jesi, poi due anni fa mi è stato
chiesto di costruire un progetto regionale.
Abbiamo così avviato un percorso di
formazione per chi si avvicinava alla
nostra realtà, per scongiurare il rischio
di essere strumentalizzati. Oggi ci sono i
presìdi di Senigallia, Fermo e Fabriano, c’è
la base di Pesaro e stiamo organizzando un
gruppo anche ad Ancona. È bene, inoltre,
ricordare che Libera è un insieme di
associazioni».
Un primo bilancio?
«Abbiamo raggiunto molti traguardi.
Penso all’apertura e alla conferma dello
sportello legalità Sos Giustizia assieme
alla Camera di Commercio di Ascoli, un
servizio di ascolto e assistenza alle vittime
della criminalità organizzata, gestito
da Libera. Altro obiettivo raggiunto è
il protocollo d’intesa firmato nel 2014
con l’Unione regionale delle Camere di
Commercio delle Marche per la legalità
nell’economia. È bene ricordare che nelle
Marche assistiamo a infiltrazioni della
camorra e delle mafie pugliesi, calabresi
e in parte siciliane. Oltre ai tentativi di
penetrazione di organizzazioni criminali
italiane, altri aggregati associativi fanno
capo alle nuove mafie, come quella cinese,
nigeriana e dell’Europa dell’Est».
Sostieni che nelle Marche la soglia
di attenzione nei confronti di questa
tematica sia ancora pericolosamente
bassa…
«La mafia tende a insinuarsi molto
bene in un territorio come il nostro,
differente da quelli che tradizionalmente
associamo a questo fenomeno. E lo fa
ancora meglio dove la consapevolezza
di queste tematiche è bassa. Ricordo che
nelle Marche esistono 27 beni confiscati
alla criminalità organizzata, di cui solo
due riutilizzati a fini sociali. Per questo
il nostro compito è sensibilizzare il più
possibile su cosa potrebbe accadere e su
quello che succede già».
Tra Libera e il mondo della scuola che
rapporto c’è?
«Un rapporto molto intenso. In questi anni
abbiamo incontrato migliaia di studenti.
Purtroppo sarebbe necessaria una presenza
più stabile nelle scuole, piuttosto che
appuntamenti sporadici. Il nostro obiettivo
è costruire dei percorsi continuativi perché
un ragazzo consapevole sarà, domani, un
cittadino più attento».
articolo completo su tychemagazine.it
Dillo con un’emoji:
così Pinocchio viene riscritto
nella nuova lingua dei simboli
Emanuele
Pagnanini
T
radurre un’opera letteraria, una favola
ma anche il discorso del Presidente di
una nazione in simboli al posto delle parole.
Ad essere utilizzate solo le “emoji” (parola
giapponese composta da tre ideogrammi
che significano immagine, scrittura e
carattere), una gamma di disegnini ben più
vasta delle “emoticon”. Anche in questo
campo c’è stata un’evoluzione e adesso c’è
chi prova a rappresentare frasi di un testo
attraverso una sequenza di emoji. In Italia
questo esperimento è portato avanti nel
blog Scritture Brevi. Nato come progetto
universitario (e lo è ancora), è stato avviato
nel 2011 da Francesca Chiusaroli, docente
di Linguistica generale all’Università di
Macerata con Fabio Massimo Zanzotto
(Ingegneria informatica all’Università
Tor Vergata di Roma). Tutto è legato al
blog Scritture Brevi (www.scritturebrevi.
it) che si propone come un osservatorio di
fenomeni della scrittura nelle molteplici
declinazioni della brevità. «La nascita del
blog è stata la svolta – afferma la docente
universitaria – l’hashtag #scritturebrevi
ha vita propria e ci permette di elaborare
giochi di scrittura ma anche di analizzare
tanti aspetti: dalla punteggiatura fino al
romanzo breve in 140 caratteri». Ed ecco
gli esperimenti con le emoticon, o meglio
emoji. «Utilizzare lo smile in chiusura,
al posto del punto, è rassicurante. E
direi indispensabile in certi casi. Un
vero e proprio linguaggio che ha dato
vita ad una nuova epistolografia. Basti
pensare che sulla scia di Wikipedia, oggi
c’è un’Emojipedia. Ci sono tentativi di
tradurre lingue di tutto il mondo in emoji,
come una lingua intermedia. Ad esempio,
negli Usa si stanno scrivendo in emoji
opere come Moby Dick e Alice nel Paese
delle Meraviglie. Ma anche un discorso
del presidente Obama. Noi in Scritture
Brevi abbiamo proposto una traduzione
collettiva di Pinocchio. Ogni giorno
si cerca di tradurre una frase del testo
rappresentandola con questi simboli. Ogni
follower dà una sua versione attraverso
due opzioni: una traduzione mista icone/
lingua o totale in simboli. Poi ne scegliamo
una». Si ritorna agli albori della scrittura,
quando non esistevano alfabeti e, quindi,
lingue? Una regressione? «Sono giochi,
sperimentazioni – risponde Francesca
Chiusaroli – io non sono tra quelli che
intravede il rischio della sparizione delle
lingue ed un ritorno ai pittogrammi. Sono
anni che Fb propone “stati” al posto delle
parole senza mettere così in crisi la lingua.
Che è sperimentazione, è fatta di corsi e
ricorsi».
articolo completo su tychemagazine.it
Marzo 2016 / 14
STORIE DI CUCINE E BRIGATE
NOVITÀ ALLA CORTE DI RECANATI
Carla
Latini
H
o il privilegio di gustare spesso
la cucina di Errico Recanati da
Andreina a Loreto. Sto bene lì con
Ramona che mette a suo agio i miei amici.
Il suo, quello della sala (ne ho già scritto
su Tyche), è un lavoro che si fa o per
passione o per amore. Così come quello
del cuoco. Sapevo da amici comuni che
nella cucina di Errico ora c’è Caterina
Moss Gasparri. Ma quando l’ho vista a
fine cena, bella come il sole, con il suo
sorriso di bimba, mi si è aperto il cuore.
Cuore di mamma. Che ci posso fare?
Dopo il diploma ad Alma (la scuola di
cucina più ambita dagli aspiranti cuochi
di ogni dove guidata dal rettore Gualtiero
Marchesi) si è incamminata verso
orizzonti che le hanno aperto ancora di
più la mente. La sua strada professionale
è piena di tappe splendide, invidiabili,
emozionanti, costruttive. Alla tenera età
di 26 anni, da compiere a breve, ha un
concetto materico della cucina come fosse
una cuoca adulta. Ama Antonia Klugmann
che considera la sua guida di cucina. Si è
fatta 7 mesi al Noma da Renée Rezdepi.
Lo chef più premiato al mondo. Per poi
decidere che quella non era la sua cucina.
Non imparava nulla ma eseguiva come
in una catena di montaggio ricette fatte
con erbe, licheni, alghe. Procedimenti
segreti di umidificazione e macerazione.
C’era solo il pro di essere nella brigata
del ristorante internazionale, riconosciuto
da tutte le guide come il luogo della
sperimentazione pura. Dell’avanguardia.
Ma la ragazza è intelligente e quindi
decide di mollare. Tornata in Italia ha la
gioia di essere del gruppo del Metropole
di Venezia, che in quel momento prende la
prima stella, e di far parte della rinnovata
squadra del Ristorante Borgo San Jacopo
a Firenze. Credo che Errico la seguisse da
un po’. Poi, e qui ci metto del mio perché
non ho chiesto come è giusto che sia, ci
sarà stato un incontro di fronte ad uno
spiedo fumante e ad un calice dei vini di
Ramona. Errico è contagioso. Con la sua
esuberanza. Lei è una lavoratrice caparbia
e costante. Una ragazza forte che non teme
la fatica e le sfide. Che Errico le mette di
fronte per farla crescere e per dare al locale
altri stimoli. Come i petali di rosa essiccati
la sera di San Valentino. Con Caterina in
cucina e Ramona in sala Errico ora prova
(ho scritto prova, attenzione, perché
Andreina è sempre pieno, per fortuna) a
portare la sua professionalità, richiesta, in
Paesi lontani che stanno apprezzando la
vera cucina italiana. Dulcis in fundo, forse
non sapete che Caterina è marchigiana,
vive a Montecassiano. Una ragione in
più per gustare le ricette di Errico con
la sua collaborazione. Tanto per fare del
gossip che mi fa sempre piacere fare,
l’avrete vista su Canale 5 nel programma
del maestro Marchesi “il Pranzo della
Domenica” durante la puntata dedicata
alla scuola di Alma. Dalle Marche il tifo
per lei era da stadio. Se Marchesi l’ha
voluta in trasmissione con lui ci sarà un
perché. Ed ora vola Caterina che con
Errico sei in ottime mani!
articolo completo su tychemagazine.it
Il valore del tempo al Giardino di San Lorenzo in Campo
Carla
Latini
C
onosco Massimo Biagiali da
quasi 30 anni e sono 45 gli anni
del Giardino. Una storia lunga, bella e
sempre di famiglia. Difficile resistere
di questi tempi rimanendo se stessi.
«Perché devo venire al Giardino a San
Lorenzo in Campo?», gli chiedo diretta.
«Perché qui il tempo scorre con i ritmi
di una volta. Crediamo nella gentilezza,
nell’accoglienza. Nulla può essere
lasciato al caso. Una filosofia di vita che
ci contraddistingue da sempre».
La storia del Ristorante Hotel Giardino è
nota a tutti i buongustai. Mamma Efresina
è stata una cuoca molto illuminata.
Fedele ai prodotti del territorio che
lavorava con una mano delicata. Le
sue paste ripiene e la sua cacciagione
sono passate alla storia della cucina
italiana. Una cuoca così brava che Roger
Vergé (Massimo nel 1987 mandò la
mamma a bottega dal più grande cuoco
di Francia) non voleva più farla tornare a
casa. Dopo un incidente anche il marito
di Efresina entrò in cucina. Appassionato
di pasticceria fece corsi professionali
spinto da Massimo. E Massimo? Dopo
la laurea decise che doveva rimanere
a casa e coltivare l’enorme patrimonio
che mamma e papà avevano e stavano
creando. Segue tutto come supervisore
e si avvicina, tramite amici cuochi
come Paolo Teverini e Gianfranco
Bolognesi, al meraviglioso mondo del
vino. Ma questo è il passato e gli ho
dedicato troppo tempo in queste righe.
Con la moglie Patrizia ed il figlio Paolo è
già da un po’ che Massimo sta applicando
il verbo “diversificare”. Che comincia
con un “camion che cucina il gusto della
vita”. Vogliamo chiamarlo “Biagiali
mobil”? Non è un catering ma vera e
propria ristorazione. Non è cibo di strada
tipo “furgoni americani”. Il “Biagiali
mobil” propone panini con hamburger
dove l’hamburger è una grande polpetta
fatta come la faceva Mamma Efresina, il
pane è fatto con il lievito madre. Accanto
al Ristorante Giardino c’è un bistrot
che non è proprio un bistrot. C’è una
pizzeria che non è solo una pizzeria. A
soli 22 euro c’è un menu che parte con
il “pregustativo” e si allarga
a salumi e formaggi locali,
supplì, olive ascolane,
focacce, mozzarelle e
pizze farcite con i prodotti
di stagione, alici, cipolle e
“l’assoluto di pomodoro”.
Capitolo a parte va dedicato
al gelato e al Giardino
dei gelati alle partenze
all’aeroporto di Falconara
Marittima.
L’evoluzione
che ha portato a prendere il
“volo” al Raffaello Sanzio è
passata anche per Paolo
Brunelli. Ma l’impronta
è quella di Massimo e di Patrizia. C’è
voluto un po’ prima che i viaggiatori
capissero che si può aspettare l’imbarco
davanti ad un gelato artigianale di qualità.
Ora vanno all’aeroporto anche quelli che
non devono partire.
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Marzo 2016 / 15
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