Vivere Insieme - Novembre 2010

Transcript

Vivere Insieme - Novembre 2010
“ogni foglia è
un fiore...”
Parrocchia di Guanzate - V - Novembre 2010
Anno Oratoriano
2010-2011
I Progetti di
Accoglienza
2010
Vivere Insieme
RICORDI DI SETTEMBRE 2010:
EDITORIALE
-Sabato
Ore 20:30
-Venerdì
Festiva Vigiliare
Ore 18:00
Festivi
Ore 8:00
Ore 9:30
Ore 11:00
Ore 18:00
Da Maggio a
Settembre la
S.Messa delle
ore 18:00
viene celebrata
in Santuario.
La Redazione
È possibile trovare “Vivere Insieme” nella versione PDF
all’interno del sito web del Decanato di Appiano Gentile
alla voce “Pubblicazioni/periodici parrocchiali”.
http://www.decanatoappianogentile.it/documenti.html
Foto Girardi
Foto Alberto Ghioldi
Tre diversi momenti della Festa del Santuario
-Venerdì
Mons. Claudio Fontana
-Giovedì
L’esibizione dell’Orchestra “Ars Cantus”
-Mercoledì
La Dott.ssa G. Emanuela Molla, figlia di S. Gianna Beretta Molla
-Martedì
La Messa in ricorrenza del 90° della consacrazione
-Lunedì
Il taglio della torta e il gruppo degli invitati i e delle autorità
Ore 8:30
LE CELEBRAZIONI PER IL 90° DELLA CHIESA PARROCCHIALE
E LA FESTA DEL SANTUARIO
Foto di copertina: Claudio Vancini
Orari Sante
Messe
In questo numero novembrino cogliamo lo
spunto subito offerto dal calendario proponendo alcune tracce di riflessione sui temi
difficili della sofferenza e della morte.
Temi che nel nostro quotidiano cerchiamo
di esorcizzare ma con i quali tutti siamo
costretti a confrontarci.
È significativo che nel calendario cristiano
santi e morti siano vicini, mostrandoci così
come queste due realtà, l’una visibile solo
agli occhi della fede, l’altra fin troppo concreta, siano intimamente legate, e come la
seconda si risolva nella prima.
Per noi che crediamo nella Pasqua è la vita
ad avere l’ultima parola. Cerchiamo dunque di guardare con serenità ad argomenti
umanamente difficili da trattare.
Ricordiamo così una vicenda intrisa di
malattia e morte ma anche di tanto, tanto
amore per la vita: quella di santa Gianna
Beretta Molla, a proposito della quale recentemente abbiamo avuto il privilegio di
ascoltare due testimonianze eccezionali.
Se poi la cronaca nazionale ci presenta
numerosi esempi in cui la vita è calpestata, allora volgiamo lo sguardo ad altre situazioni. La realtà generosa del “Cortile”
che sta sorgendo; la testimonianza di chi
si dedica al volontariato nei paesi in via di
sviluppo; i tanti momenti di condivisione
fraterna nelle nostre attività parrocchiali:
ecco altrettante manifestazioni dell’opera di chi, come “pietra viva”, si impegna
a costruire un presente migliore in nome
della Vita.
La nostra fiducia e il nostro operare si
fondano su quella pietra angolare che è
Cristo; la nostra speranza sulla pietra che
il mattino di Pasqua le donne hanno trovato rotolata via dal sepolcro.
la FOTO
3
la PAROLA
DEL PARROCO
4
ARRIVATI A NOVEMBRE, I SANTI:
LA BEATA CHIARA BADANO
1.Abbiamo avviato l’anno pastorale
con le molteplici attività oratoriane, di
catechesi dopo aver vissuto la festa del
santuario e il novantesimo della chiesa
parrocchiale. Di quei momenti ricordo la
straordinaria testimonianza con la figlia
e la sorella di Santa Gianna.La testimonianza della santità affascina sempre e
attira molta gente. Abbiamo potuto conoscere da vicino la santità nel quotidiano di una mamma di famiglia, che non è
santa solo per l’atto d’amore finale della sua vita, ma per tutta la sua esistenza
improntata in modo cristiano. Nell’onda
della santità vorrei ricordare la Beata
Chiara Badano, una ragazza morta nel
1990 a Sassuolo diocesi di Acqui Terme
a 19 anni, per una grave forma di tumore.
Chiara è stata proclamata beata lo scorso 25 settembre 2010 presso il Santuario
del Divino Amore in Roma.
Visse a Sassello con il padre Ruggero,
camionista, e la madre Maria Teresa, casalinga. Volitiva, tenace, altruista, di lineamenti fini, snella, grandi occhi limpidi, sorriso aperto, ama la neve e il mare,
pratica molti sport. Ha un debole per le
persone anziane che copre di attenzioni.
A nove anni conosce i ‘Focolarini’ di
Chiara Lubich ed entra a fare parte dei
‘Gen’. Dai suoi quaderni traspare la gioia
e lo stupore nello scoprire la vita. Terminate le medie a Sassello si trasferisce
a Savona dove frequenta il liceo classico.
A sedici anni, durante una partita a tennis, avverte i primi lancinanti dolori ad
una spalla: callo osseo la prima diagnosi,
osteosarcoma dopo analisi più approfondite. Inutili interventi alla spina dorsale,
chemioterapia, spasmi, paralisi alle gambe. Rifiuta la morfina che le toglierebbe
lucidità. Si informa di tutto, non perde
mai il suo abituale sorriso. Alcuni medici, non praticanti, si riavvicinano a Dio.
La sua cameretta, in ospedale prima e a
casa poi, diventa una piccola chiesa, luogo di incontro e di apostolato: “L’importante è fare la volontà di Dio...è stare al
suo gioco...Un altro mondo mi attende...
Mi sento avvolta in uno splendido disegno che, a poco a poco, mi si svela...Mi
piaceva tanto andare in bicicletta e Dio
mi ha tolto le gambe, ma mi ha dato le
ali...” Chiara Lubich, che la seguirà da
vicino, durante tutta la malattia, in un’af-
Beata Chiara Luce Badano
fettuosa lettera le pone il soprannome di
‘Luce’. Mons. Livio Maritano, vescovo
diocesano, così la ricorda: “...Si sentiva
in lei la presenza dello Spirito Santo che
la rendeva capace di imprimere nelle
persone che l’avvicinavano il suo modo
di amare Dio e gli uomini. Ha regalato
a tutti noi un’esperienza religiosa molto
rara ed eccezionale”. Negli ultimi giorni, Chiara non riesce quasi più a parlare,
ma vuole prepararsi all’incontro con ‘lo
Sposo’ e si sceglie l’abito bianco, molto semplice, con una fascia rosa. Lo fa
indossare alla sua migliore amica per
vedere come le starà. Spiega anche alla
mamma come dovrà essere pettinata e
con quali fiori dovrà essere addobbata la
chiesa; suggerisce i canti e le letture della Messa. Vuole che il rito sia una festa.
Le ultime sue parole: “Mamma sii felice,
perché io lo sono. Ciao!”. Muore all’alba
del 7 ottobre 1990. E’ “venerabile” dal 3
luglio 2008.
2.E’ veramente straordinaria questa giovane, da additare ad esempio ai nostri ragazzi e giovani. Il Papa Benedetto XVI
recandosi a Palermo nell’incontro coi
giovani, lo scorso 3 ottobre ha ricordato
la Beata Chiara dicendo:” Penso che tutti voi sappiate che sabato 25 settembre
scorso, a Roma, è stata proclamata beata una ragazza italiana di nome Chiara,
Chiara Badano. Vi invito a conoscerla:
la sua vita è stata breve, ma è un messaggio stupendo. Chiara è nata nel 1971
ed è morta nel 1990, a causa di una malattia inguaribile. Diciannove anni pieni
di vita, di amore, di fede. Due anni, gli
ultimi, pieni anche di dolore, ma sempre
nell’amore e nella luce, una luce che irradiava intorno a sé e che veniva da dentro: dal suo cuore pieno di Dio! Com’è
possibile questo? Come può una ragazza
di 17, 18 anni vivere una sofferenza così,
umanamente senza speranza, diffondendo amore, serenità, pace, fede? Evidentemente si tratta di una grazia di Dio, ma
questa grazia è stata anche preparata e
accompagnata dalla collaborazione umana: la collaborazione di Chiara stessa,
certamente, ma anche dei suoi genitori e
dei suoi amici. Prima di tutto i genitori,
la famiglia. Oggi voglio sottolinearlo in
modo particolare. I genitori della beata
Chiara Badano sono vivi, erano a Roma
per la beatificazione - io stesso li ho incontrati personalmente - e sono testimoni del fatto fondamentale, che spiega tutto: la loro figlia era ricolma della luce di
Dio! E questa luce, che viene dalla fede
e dall’amore, l’hanno accesa loro per
primi: il papà e la mamma hanno acceso
nell’anima della figlia la fiammella della
fede, e hanno aiutato Chiara a tenerla accesa sempre, anche nei momenti difficili
della crescita e soprattutto nella grande e
lunga prova della sofferenza”.
3.Novembre, il mese che si apre con la
festa di TUTTI I SANTI,è occasione
preziosa per sentire la forte chiamata
all’ideale della santità,soprattutto per i
nostri giovani, tanto entusiasti ma così
disorientati. Il nostro Arcivescovo in
questo anno pastorale ci invita a guardare a San Carlo Borromeo come modello di santo Pastore e nella sua lettera
“Santi per vocazione”, sprona tutti i fedeli dell’Archidiocesi a mettere al centro
questa prospettiva. Accogliamola con
gioia.
Il parroco Don Mauro
Don LUIGI GUANELLA:
loSPECCHIO
prossimo Santo comasco
(seconda parte)
Padre AGOSTINO GEMELLI ricorda così la figura di DON GUANELLA:
“L’opera di don Guanella continua di
generazione in generazione ad essere
missione di fede e di civiltà. E’ stato
servo di tutti”.
Dal 1867 al 1875 don LUIGI GUANELLA vive a SAVOGNO, un piccolo borgo di 400 anime, in provincia di
COMO, arrampicato a mille metri di
altitudine. L’entrata in paese è possibile, ancora oggi, solo con una scalinata
di quasi tremila gradini o facendo un
lungo giro per sentieri di montagna.
È un prete che prega molto, ed è molto
attivo nel lavoro. È operaio tra gli operai, impegnato a formare cittadini operosi e cristiani esemplari.
È un prete che sta bene con Dio e con
la gente. Invia un buon numero di vocazioni a Torino per le opere di don Bosco
e del Cottolengo; dissemina le montagne di immagini e cappelle devozionali
perché anche le pietre parlino di Dio.
E, quando può, si ferma volentieri a
scambiare due parole per la strada. Va
nelle case degli ammalati per una sosta
di interessamento e di conforto. Fa molti chilometri a piedi per visitare i pastori
nelle valli vicine.
Gli episodi che inquadrano la biografia di DON LUIGI GUANELLA sono
senza numero: impegnato in diversissimi settori, vive sette anni in un’attività
multiforme ed intensissima che manifesta le novità tipiche dei “santi sociali”.
DON LUIGI, come manovale, aiuta ad
ingrandire la chiesa ed a rafforzare il
piazzale con un muraglione di sicurezza. Provvede all’istruzione degli adulti
con una scuola feriale e festiva, di giorno e di sera.
Nel 1874 muore papà GUANELLA, dal
quale DON LUIGI in famiglia ha imparato a vivere la Fede ed una profonda
e spontanea sensibilità nel vedere e nel
capire chi era nel dolore e nel bisogno.
Poco dopo si inserisce nell’Oratorio di
don Bosco, che lo attendeva. Il “periodo salesiano” può essere in realtà con-
Nelle vallate lombarde l’unica cosa che
a quel tempo non scarseggiava era la
povertà.
Come a Como in quel tempo, ci sono
anche oggi a Guanzate persone anziane
o malate, sole e prive di mezzi di trasporto, che devono farsi a piedi la strada
fino alle Betulle per un prelievo o per
ritirare un referto. Fino a quando i responsabili delle “COSA PUBBLICA”
lasceranno che tutto continui così?
don Luigi Guanella
siderato come un tirocinio per le opere
provvidenziali che poi con tanto coraggio avrebbe iniziato a favore dei bisognosi e che gli sarebbero costate molte
sofferenze perché “le vie oblique e le
timidità non le conobbe mai”.
Rimasta vacante la Parrocchia di PIANELLO LARIO, sul lago di Como, don
GUANELLA accetta di occuparsene,
ma non con la nomina di parroco. Vi
giunge nel novembre 1881, poco dopo
la morte del parroco don Carlo Coppini
che, da giovane, era stata segretario di
Mazzini.
A Pianello don Luigi inizia la sua opera e fonda la Congregazione Religiosa
Femminile delle Figlie di S. Maria della
Provvidenza.
Nel 1889 don Guanella arriva a Como,
grazie anche all’inaspettato supporto
del Prefetto che, nonostante le remore
anticlericali, ha percepito l’importanza
sociale di questa azione caritativa; qualche anno dopo comincia ad accogliere
giovani studenti che daranno vita alla
Congregazione dei Servi della Carità.
Nella casa madre di Como, dedicata alla
Divina Provvidenza, si incontrano persone di tutte le condizioni e di tutte le
età. È davvero un’”Arca di Noè”, come
la chiamano i comaschi, dove quella
eterogenea umanità trova un’accoglienza semplice ma dignitosa, capace di vedere nella persona sofferente il volto di
Cristo.
L’Opera Don Guanella nel 1890 apre a
Milano, dove si trova il vescovo mons.
Andrea Carlo Ferrari che sostiene don
Luigi fin dagli inizi. Nascono asili e
Case. Don Guanella è inarrestabile: “La
miseria” – diceva – “non bisogna solo
soccorrerla: bisogna andarla a cercare.
Non ci si può fermare fin che ci saranno
poveri da soccorrere”.
Il cardinal Ferrari, con il quale si recherà
in Terra Santa nel 1902, gli rimane sempre vicino. I primi anni a Como, durante
i quali don Luigi deve lavorare per costituire il ramo maschile dei Servi della
Carità, sono segnati da grandi difficoltà.
Don Guanella reagisce cercando lavoro per i suoi giovani. Purtroppo alcuni
ambienti di lavoro sono “covi settari”
fortemente ostili alla Chiesa. Don Guanella punta su una elevazione materiale
e morale degli ambienti di lavoro.
Sempre fiducioso nel sostegno della
Provvidenza, non accetta di rifiutare anche una sola persona che bussa alle sue
Case.
L’attrattiva che ROMA esercita in don
Guanella è dovuta alla presenza del
Papa ed alle testimonianze sulle origini
della Chiesa.
Don Guanella muore a 73 anni. Il suo
corpo riposa nel Santuario del Sacro
Cuore a Como.
Il 25 ottobre 1964 il papa Paolo VI lo
proclama BEATO.
don Luigi
5
LENTE
d’INGRANDIMENTO
FIACCOLATA NORCIA-GUANZATE
Il gruppo a Loreto
Il nostro cammino alla volta di Norcia ha avuto inizio
domenica 8 agosto da Guanzate e lungo il percorso
ancor prima dell’accensione di quella stessa fiaccola che giunse fino a Lourdes già nel lontano 1997, il
desiderio di visitare i luoghi natii di San Francesco ci
ha spinto a fare una sosta alla Basilica di Santa Maria
degli Angeli, ad Assisi.
Il viaggio è proseguito, quindi, per Norcia, dove il 10
agosto, presso la chiesa di San Benedetto, nella cripta
in cui più di 1500 anni fa vide la luce il santo patrono
d’Europa, ha avuto luogo l’ accensione del lume.
La sosta successiva è avvenuta a Loreto, nel Santuario della Madonna Nera, dove una Santa Messa è stata celebrata appositamente per la comunità pastorale
di Bulgaro e Guanzate e lì la nostra fiammella viva
ha trovato ancora la benedizione di padre Marzio, il
quale, con la preghiera, ci ha voluto accompagnare
nel nostro cammino che è proseguito fino alla chiesa
di San Lorenzo in strada, a Riccione; qui siamo stati
calorosamente accolti da don Tarcisio e ancora una
volta la nostra fiaccola ha portato la propria luce a
testimonianza di una fede comune.
Si è ripartiti poi per Bologna, e dopo la dura scalata
dei nostri ciclisti fino alla vetta del colle San Luca,
siamo giunti all’’omonimo santuario, dove, ai piedi
dell’altare, la nostra fiamma ha continuato ad ardere.
La sosta successiva ci ha atteso ad Ostiglia e li abbiamo trovato ospitalità nell’oratorio messoci a disposizione dal gentile don Bruno.
Ed eccoci giunti a Caravaggio dove, dopo aver preso alloggio presso le suore adoratrici del santissimo
sacramento, la nostra fiaccola ha trovato accoglimento all’interno del Santuario di Santa Maria del fonte,
presso cui l’intera comunità ha ricevuto la visita del
vescovo di Bergamo, Francesco.
Il viaggio si è concluso con l’arrivo della fiaccola,
scortata dai ciclisti e da noi accompagnatori, agli altari
delle due parrocchie di cui è costituita la comunità pastorale San Benedetto: a Bulgaro, prima e a Guanzate
poi, dove abbiamo partecipato alla messa solenne.
Rita Agnetti
Il gruppo a Cassina Rizzardi
SABATO 13 Novembre 2010 ore 20,00 presso l’Oratorio San Gabriele
CENA BENEFICA
a favore della CASA di ACCOGLIENZA “IL CORTILE” del SANTUARIO.
Menù:
per Adulti: Risotto, trippa, formaggi, dolce, caffè acqua e vino => Euro 15.per Bambini/Ragazzi: Pizza, dolce bevande => Euro 5.-
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LENTE
d’INGRANDIMENTO
Durante la serata verrà proiettato un video sullo stato dei lavori e ci sarà una lotteria.
“Anche tu così” è lo slogan con
cui si è aperto ufficialmente l’anno
oratoriano sabato e domenica 2-3
ottobre 2010.
“Anche tu così” si rifà al brano
evangelico del Buon Samaritano
tratto da Luca e ci accompagnerà
per tutto l’anno 2010-2011.
È una sfida soprattutto per gli
educatori e gli animatori che saranno
chiamati a spingere l’acceleratore
sull’amore, “sbloccare” sia la loro
vita sia la vita dei più giovani,
spesso attirate da modelli che sono
contrari alla logica della carità.
La Festa dell’Oratorio è iniziata
con la Fiaccolata a cui hanno
partecipato una ventina di ragazzi
che partendo dal Santuario della
Madonna del noce di Inverigo, a
piedi, sono giunti alla nostra chiesa
parrocchiale.
La fiaccola vuole rappresentare il
cammino di fede di ogni ragazzo,
affidato nelle mani del Signore.
Dopo la fiaccolata la festa è
continuata con la Tombolata in
Oratorio, partecipata da tanti
ragazzi con le loro famiglie.
Il momento più importante della
festa è stato domenica mattina con
la celebrazione della Messa dove
catechisti, educatori, animatori
hanno ricevuto il “mandato
educatori” di fronte al Signore e
alla comunità cristiana.
Alla Messa è seguito il pranzo
insieme e il giocone……..tutto in
un clima di gioia e di festa.
Sottolineare la festa dell’Oratorio
è importante anche per ricordarci
che esso non è solo una struttura
voluta per accogliere ragazzi
desiderosi di avere uno spazio
sicuro per giocare, ma è anche
l’ambito privilegiato per aiutare
ragazzi, adolescenti e giovani a
maturare nel loro cammino di fede
e far propria la passione per la
Chiesa.
Le proposte che l’Oratorio fa per
i giovani (catechesi, celebrazioni
liturgiche, feste, grandi giochi,
gite, oratorio estivo feriale,
vacanza estiva, campeggi…) sono
strumenti che integrano il cammino
formativo dei nostri ragazzi.
la loro “umanità” secondo quella
di Gesù, introducendoli ad una
preghiera più vera sostenendoli
nella ricerca, forse difficile ma
certamente appassionante, della
loro vocazione e missione.
Quella rivolta ai giovani è, tra i
diversi ambiti della cura pastorale,
certamente uno dei più urgenti,
complessi e difficili. Eppure questa
cura non perde il suo fascino
in chi la vive e si impone come
un’opera altamente qualificata,
capace di dire a tutti noi – più
di tante altre realtà – la fede e la
speranza di una Chiesa che sa farsi
entusiasticamente
missionaria
trovando sempre nuove strade e
nuovi linguaggi.
Di tutto questo lavoro educativo,
senza citare nessuno sono tante
le figure e le attività dei nostri
Oratori, vorrei tutti ringraziare. E
a tutti vorrei dire di nuovo la mia
“E’ davvero consolante sapere gioia per il tanto bene compiuto
che la nostra chiesa è tuttora e insieme assicurare la mia
impegnata a parlare alle nuove preghiera per coloro che in vario
generazioni e continua con le sue modo collaborano a far sì che i
migliore energie a prendersi cura nostri oratori diventino luoghi
dei bambini, ragazzi, adolescenti e autentici di educazione cristiana.”
giovani: li sente amici, li ascolta,
dialoga con loro, li aiuta a plasmare
Graziana
L’Oratorio allora è l’attenzione
di una comunità adulta nella fede
preoccupata di far incontrare Gesù
ai suoi ragazzi.
Come non ringraziare tutti gli
adulti che senza sostituirsi ai
giovani aiutano nel silenzio e nella
gratuità l’attività per i piccoli,
adulti impegnati nel bar, per le
pulizie, per la manutenzione, per
l’educazione e l’animazione…
Concludo con le parole che il nostro
Cardinale ha scritto in occasione
dell’apertura dell’anno oratoriano
diocesano:
7
a MARIA
Due importanti anniversari:
MATERNITÀ AD OGNI COSTO?
per la VITA
Il sessantesimo del dogma dell’Assunta,
patrona della Parrocchia e il quarto centenario della canonizzazione
di s. Carlo Borromeo, compatrono della Diocesi
I Novembre 1950-2010
I Novembre 1610-2010
Sessantesimo anniversario della proclamazione del dogma dell’Assunta.
È una data importante che tocca in
modo particolare la nostra parrocchia
nell’anno in cui si ricordano anche il
novantesimo anniversario della consacrazione della chiesa e il trentesimo
della consacrazione dell’altare, avvenuta il 3 maggio 1980 con l’intervento
del card. Carlo Maria Martini. Si tratta
di tre avvenimenti che portano grazia,
rinnovata gioia spirituale e fermento
religioso.
Come non ricordare l’immensa gioia che ha pervaso la nostra comunità parrocchiale e ogni cristiano quel
mattino del I Novembre dell’Anno
Santo 1950, in occasione della proclamazione solenne del Dogma avvenuta a Roma? Ci si ricorda che anche a
Guanzate era una bellissima mattinata: il cielo era particolarmente azzurro
e il sole splendente. Alle 8,30 il corteo
papale lasciava la Cappella Sistina e
davanti a papa Pio XII, portato sulla sedia gestatoria, c’erano centinaia
di vescovi in piviale bianco oltre ad
una quarantina di cardinali. Il corteo
scese fino all’Obelisco e risalì fino al
Sagrato. Dopo l’intervento del cardinale Tisserant e nove preghiere, con la
folla di fedeli si cantò l’invocazione
allo Spirito Santo. Alle 9,45 il Papa,
con la mitria d’oro, lesse la bolla di
proclamazione e al termine si intonò il
“Te Deum”… e le campane di tutte le
chiese suonarono a festa lungamente.
Quattrocento anni fa veniva proclamato santo il nostro s. Carlo Borromeo. Nominato cardinale a soli 22
anni dallo zio papa Pio IV – fratello
della sua mamma Margherita Medici,
andata in sposa al conte di Arona, Gilberto Borromeo – fu pastore e guida
esemplare per la diocesi milanese, che
si estendeva allora su terre lombarde,
venete, genovesi e svizzere. Il giovane vescovo visitò questo territorio
così vasto nello spirito del suo motto episcopale “Humilitas” (“Umiltà”)
formando ospedali ed ospizi, edificando seminari, utilizzando il patrimonio
di famiglia a favore anche dei poveri
e dei malati, che assistette personalmente durante la peste del 1576. Morì
a soli 46 anni, consumato dalla fatica
e dalla malattia dopo essersi speso tutto per il bene del popolo a lui affidato.
È considerato il grande riformatore
che toccò il cuore della gente con la
Il cuore di S. Carlo
8
A Roma è venerata una preziosa reliquia del Cuore di San Carlo fin dal
giugno 1614. Fu l’allora Arcivescovo
di Milano che ne fece dono alla basilica di Roma dedicata ai santi Ambrogio e Carlo. In questo anno centenario saranno ancora più numerosi i
pellegrini che si recheranno presso S.
La Madonna del Sacro Monte di
Varese, già venerata da S. Carlo
Carlo al Laurentino, dietro l’altare
maggiore, dove c’è l’altare del Cuore
di S. Carlo, appositamente costruito.
È un cuore pieno di amore per Dio, la
Chiesa, la Madonna Madre di Gesù e
il Crocifisso, davanti al quale il santo
stava in preghiera, in meditazione, in
adorazione tante ore e tante notti.
S. Carlo volle far erigere sul territorio della diocesi ambrosiana diversi
Sacri Monti, sull’esempio di quello
di Varallo. Si tratta di edifici sacri che
ricordano i luoghi del Calvario, come
Arona, Ghiffa, Orta, Ossuccio, Varese.
S. Carlo estese anche a Milano i privilegi delle sette Chiese Basiliche
Romane a sette chiese di Milano che
formano una corona attorno al Duomo, dedicato alla Natività della Beata
Vergine Maria. Le sette chiese di Milano sono: S. Eustorgio, S. Lorenzo,
S. Ambrogio, S. Vittore, S. Simpliciano, S. Nazaro e S. Stefano.
Nella cripta del Duomo di Milano è
conservata la croce col Santo Chiodo
che il Cardinale Borromeo portò per
Milano aprendo la processione penitenziale durante la grande pestilenza.
sua testimonianza di vita virtuosa e di
preghiera fervida e rigorosa, impregnata di profonda devozione mariana
che maturò la Sua Santità e che non
mancava di sottolineare nei diversi momenti della giornata e andando pellegrino nei Santuari dedicati a
Maria Santissima. Fu anche nel nostro
Santuario della Beata Vergine di S.
Lorenzo come pastore e pellegrino.
Maria Santissima, Regina dei Santi,
modello, stampo, formatrice dei Santi
aiuti anche noi a diventare Santi.
La Beata Vergine di San Lorenzo ci
accompagni.
diacono Pietro
Riportiamo uno stralcio dell’articolo
di Giulia Galeotti (giornalista
e saggista) pubblicato sul sito di
Scienza e Vita.
“La notizia, che a lungo ha tenuto
banco sui mass-media, è nota: a 54
anni, la cantante Gianna Nannini è
in attesa della sua prima figlia (…).
Tra i tanti messaggi trasgressivi
che ha lanciato durante la sua
lunga carriera, negli ultimi anni ne
abbiamo ascoltato uno più sofferto,
intimo e personale: il cruccio per
la mancata maternità (…). Altre
donne famose, molte delle quali
estremamente appagate sul piano
professionale e personale, hanno
però confidato questo cruccio. Il
primo nome che ci viene in mente
è quello di Oriana Fallaci che
(…) negli ultimi anni newyorkesi,
ripeteva spesso “della mia vita
rimpiango una sola cosa, ossia che
non ho figli. Volevo un bambino,
cercai di averlo, ma troppo tardi,
e non ci riuscii”. Più giovane e in
salute, la Nannini ha fatto un passo
in più rispetto alla sua conterranea.
Grazie alle possibilità oggi offerte
dalla scienza (… ), abbiamo potuto
vedere le immagini pre-maman di
Gianna che cammina per le vie
di Londra. Nel nostro Paese, la
gran parte delle commentatrici
ha espresso pareri entusiasti:
finalmente anche alle donne è
possibile quello che agli uomini è
“permesso” naturalmente da secoli,
e cioè avere un figlio senza limiti
di età. E alcune vicende riportate
dai mass media rivelerebbero che
anche tra le cittadine comuni, la
prassi delle mamme-nonne grazie
alla provetta sarebbe ormai una
pratica diffusa (sebbene dal 2004
formalmente illegale in Italia). Con
profondo rispetto per le ragioni (…)
che inducono molte donne a questa
scelta, un primo interrogativo è
ancora quello della ormai imperante
idea che qualunque desiderio vada
soddisfatto. Avendone le possibilità
economiche, un figlio è un diritto,
un bene da sommare e mettere in
bacheca, un tassello ulteriore nella
trionfale realizzazione personale.
Tra l’altro, tutto ciò (…) ha profonde
ripercussioni sulla nozione stessa
di genitorialità. Come conciliare
queste scelte con l’idea dell’amore
incondizionato verso un figlio e
della gratitudine per la vita che
nasce? Cosa ci si aspetta da un
bimbo che è stato voluto secondo le
proprie personali intenzioni? Non
solo, ma in questa legittimazione
di ogni desiderio, in questo
ennesimo (presunto) tassello di
auto-determinazione, non si intuisce
forse un messaggio un po’ misogino,
quello cioè che una donna per essere
realmente completa e trionfante,
debba necessariamente anche essere
madre? Ancora una volta, il grande
paradosso (agli occhi del mondo
laico, quanto meno) è che, alla resa
dei conti, il più femminista di tutti
risulta il messaggio della Chiesa,
da tempo convinta che un tassello
cruciale dell’identità femminile sia
la capacità di cura, di apertura al
prossimo, in una parola, la maternità,
non intesa però in senso meramente
fisico e concreto, ma come maternità
spirituale. (…) Convinte che non
siamo assolutamente nate e nati per
soffrire, e che il dolore sia un aspetto
contro cui le persone debbano
giustamente combattere, esso però
non può essere semplicemente
spazzato via a costo zero, qualcosa
da anestetizzare ed estirpare grazie
alla tecnologia e alla scienza, come
invece la società di oggi tende a fare
(...). La sofferenza per una mancata
maternità v’è sempre stata. (…).
E le donne hanno saputo reagire,
costruendovi sopra esistenze piene
e ricche, elaborando vie alternative,
indirizzando quell’amore e quel
profondo anelito alla cura verso
altri progetti. Perché la maternità è
molto di più, è ben altro rispetto alla
ciliegina sulla torta di una vita che
ambisce ad essere completa e felice.
Prima ancora che per rispetto verso
il prossimo, è una questione di
rispetto di sé. Questo è davvero il
messaggio più femminista di tutti.“
A cura di SCIENZA & VITA
BASSA COMASCA
(R.M.G,)
Gruppo locale Bassa Comasca
[email protected]
www.scienzaevita.org
9
PRIMO PIANO
Santa GIANNA BERETTA MOLLA
e il segreto della felicità
L’immagine che, normalmente, mi si
presentava quando sentivo parlare dei
Santi era quella di persone molto religiose, con una vita fatta di rinunce,
sacrifici e sofferenze. Figure “toste”,
curiose e simpatiche ma lontane dalla
reale quotidianità. Modelli da imitare,
a parole, ma da prendere con le debite
distanze, nei fatti.
L’incontro con la figlia e la sorella di
Santa Gianna Beretta Molla è stata
l’occasione per rivedere e correggere
la mia stereotipata idea di santità.
La vita della Santa può essere paragonabile all’utilizzo di un navigatore.
Quest’ultimo è un dispositivo progettato per assistere il conducente di
un’auto, indicandogli il percorso da
seguire per raggiungere la destinazione impostata. Quando lo si usa,
soprattutto se ci si trova in un posto
completamente sconosciuto, ci si affida totalmente alle indicazioni che
esso fornisce.
I genitori di Santa Gianna erano terziari francescani cappuccini e preghiera (Santa Messa al mattino e rosario alla sera),dialogo e attenzione agli
altri (soprattutto i poveri) costituivano
i pilastri fondanti di ogni loro giornata. Gianna, dunque, ricevette dalla famiglia un navigatore particolare per la
sua vita: la Fede. La meta impostata:
vivere la propria realtà come vocazione alla felicità che la fede dona.
Durante gli Esercizi Spirituali con i
quali aveva intrapreso il cammino per
conoscere la sua Vocazione, così aveva pregato: “Gesù, ti prometto di sottopormi a tutto ciò che mi permetterai
mi accada. Fammi solo conoscere la
tua volontà”. E rivolgendosi alle ragazze di Azione Cattolica diceva: “Ci
sono tante difficoltà, ma con l’aiuto
di Dio dobbiamo camminare sempre
senza paura, che, se nella lotta per la
nostra vocazione dovessimo morire,
quello sarebbe il giorno più bello della nostra vita”.
Nel suo viaggio ha incontrato tratti “a
pedaggio” così come strade “panoramiche”. I primi hanno rappresentato
le prove e le difficoltà: la morte della
sorella Amalia, la salute cagionevole, i
10
frequenti cambi di residenza; la fatica
dello studio, la malattia e la morte dei
genitori. Le seconde, invece, le cose
belle che la circondavano: le montagne, i viaggi, i balli, l’arte nell’espressione della musica e della pittura.
Non mancò anche un’apparente temporanea perdita di segnale del suo
navigatore, quando la via che stava
percorrendo cominciò a presentare
una serie di diramazioni sulle possibili scelte di vita. Pensò inizialmente
di seguire l’indicazione che l’avrebbe
portata a diventare missionaria laica
in Brasile per aiutare il fratello padre
Alberto, medico missionario cappuccino a Grajaù. Ma la sua costituzione
fisica non era robusta, e il suo direttore spirituale riuscì a convincerla che
quella non era la sua strada. Gianna
allora pregò e fece pregare perché il
Signore le indicasse la Via.
Tante le tappe verso la meta: l’impegno di apostolato nell’oratorio e
nell’Azione Cattolica, la carità verso i
vecchi e i bisognosi nelle Conferenze
di S.Vincenzo, la laurea in medicina
e la sua professione di medico, che
sentiva e praticava come una missione. A tal proposito scrisse: “Tutti, nel
mondo lavoriamo in qualche modo a
servizio degli uomini… Noi medici
direttamente lavoriamo sull’uomo…
Gesù ci direbbe chi è l’uomo. Non è
solo corpo: in quel corpo c’è un pensiero, una volontà, che è capace di
andare incontro alla sofferenza…C’è
nel corpo uno spirito e, come tale,
immortale… Noi abbiamo delle occasioni che il sacerdote non ha. La
nostra missione non è finita quando le
medicine non servono: c’è l’anima da
portare a Dio…”.
Fu il matrimonio il percorso che il
Signore le indicò e, per prepararsi a
ricevere il Sacramento dell’Amore,
Gianna e Pietro fecero un triduo di
preghiera. Gianna scrisse al futuro
marito: “La Madonna unirà le nostre
preghiere, desideri, e poiché l’unione fa la forza, Gesù non può non
ascoltarci ed aiutarci”. Come moglie
prima, e madre poi, ella seppe mantenersi fedele a quello che Gesù le
aveva “preparato”. Una fedeltà che
ha trovato risposta anche sul calvario. Consapevole infatti che la vita è
un dono ricevuto da Dio, dona a sua
volta la propria vita per la nascita della figlia Emanuela.“Non si può amare
senza soffrire e soffrire senza amare.
Guardate alle mamme che veramente
amano i loro figli, quanti sacrifici fanno! A tutto sono pronte, anche a dare
il proprio sangue…”. Coerente alle
parole che aveva rivolto tempo prima
alle ragazze di Azione Cattolica, Santa Gianna non ha cambiato la meta del
suo navigatore testimoniando che in
ogni Sì detto a Dio sta il segreto della
Felicità.
…Oggi, l’immagine che mi si presenta
quando sento parlare dei Santi e della
santità è quella di persone profondamente innamorate di Dio, della Vita e
dell’Uomo. Un amore che si alimenta
con la preghiera e i sacramenti (in particolare l’Eucaristia) e che si dona agli
altri, a iniziare da coloro che il Signore ci fa incontrare sulle strade della
nostra quotidianità.
Che Santa Gianna aiuti ciascuno di
noi a impostare il proprio navigatore
verso la fedeltà ai propri compiti ed
impegni, in risposta a quella Vocazione particolare a cui ognuno è chiamato, alla scoperta del segreto della
Felicità.
Sabrina Galli
“Tutto posso, di tutto son capace in Colui
nel quale è la mia forza” (Fil 4,13)
I fatti di questi ultimi tempi e le
nostre vicende personali ci lasciano
spesso con una domanda inquietante.
L’assassinio di Avetrana, la violenza
futile al tassista di Milano o la
morte dell’infermiera rumena a
Roma, la morte dei nostri alpini
in Afghanistan o la più vicina
scomparsa di un parente caro, la
scoperta di una grave malattia, la
morte “inaccettabile” di un bambino,
l’abuso sui minori, la sofferenza, la
depressione dilagante... Dove è Dio
in queste vicende? Che senso ha la
vita di fronte a questo male?
Ci sentiamo disarmati, soli, come
i due orfani nella bellissima poesia
di Pascoli riportata nel riquadro. Se
non c’è qualcuno che si compiace
di noi e ci perdona, la solitudine,
la paura, la sofferenza diventano
insopportabili.
Ma ognuno sta davvero solo sul
cuor della terra, trafitto da un raggio
di sole, come scriveva Quasimodo?.
No! Non è così! “Ecco, io sono con
voi tutti i giorni, fino alla fine del
mondo”(Mt 28, 20). Gesù è venuto
a farsi giudicare, torturare, insultare
e crocifiggere come l’ultimo dei
banditi per noi perché “di un amore
eterno ti ho amato, avendo pietà
del tuo niente.” (Ger 31,3). Non si
dimentica di nessuno, “Si dimentica
forse una donna del suo bambino,
così da non commuoversi per il
figlio del suo seno? Anche se ci
fosse la donna che si dimenticasse,
io invece non ti dimenticherò mai”
(Is 49, 15).
Come potremmo essere lasciati soli
con le nostre miserie da Colui che ha
detto “prima di formarti nel grembo
materno, ti conoscevo, prima che tu
uscissi alla luce, ti avevo consacrato.”
(Geremia 1, 4-5) e “anche i capelli
del vostro capo sono tutti contati”
(Luca 12:7)
Allora, il nostro lavoro personale
è il riconoscere quanto è dinnanzi
ai nostri occhi, è attraverso il
riconoscimento del riaccadere di
Cristo nella nostra vita, che ogni
circostanza, dalla più triste alla più
felice, acquista un senso, una sua
bellezza, anche la sofferenza, anche
la morte. Un tramonto in questi
chiari giorni d’autunno, un albero
con le sue foglie fiammeggianti
pronte a cadere al primo alito di
vento, oppure la testimonianza di
papà Castagna che con il Padre
Nostro perdona gli assassini della
moglie, della figlia e del nipote,
o della vedova Coletta che fa’ lo
stesso con gli assassini del marito in
Iraq. Riconosciamo Cristo nella vita
della beata Chiara Luce che muore
a 20 anni di un osteosarcoma con il
sorriso sulle labbra, ripetendo “Se
lo vuoi tu, Gesù, lo voglio anch’io”
dedicando le proprie sofferenze al
completamento delle sofferenze di
Cristo o nell’opera di padre Aldo
Trento che in Paraguay accoglie i
barboni malati terminali per farli
vivere e morire da re con Cristo
vicino o i bambini abusati fin dalla
nascita a cui si propone come padre
in virtù di un Padre più grande...
Sono esempi di testimoni che ci
ricordano che c’è un oltre al di
là di una realtà immediatamente
sperimentabile, che la giustizia, la
vita, la bellezza sono possibili grazie
a questo oltre.
La domanda diventa perciò: chi sei
Tu che ti riveli qui, adesso, in questo
dolore, in questa malattia, in questa
contrarietà, in questo lavoro che non
PRIMO PIANO
vorrei fare, in questa situazione che
non ho cercato?
Francesco Gringeri
“i DUE ORFANI”
(Giovanni Pascoli)
Fratello, ti do noia ora, se parlo?»
«Parla: non posso prender sonno». «Io sento
rodere, appena...» «Sarà forse un tarlo...»
«Fratello, l'hai sentito ora un lamento
lungo, nel buio?» «Sarà forse un cane...»
«C'è gente all'uscio...» «Sarà forse il vento...»
«Odo due voci piane piane piane...»
«Forse è la pioggia che vien giù bel bello».
«Senti quei tocchi?» «Sono le campane».
«Suonano a morto? suonano a martello?»
«Forse...» «Ho paura...» «Anch'io». «Credo
che tuoni:
come faremo?» «Non lo so, fratello:
stammi vicino: stiamo in pace: buoni».
II
«Io parlo ancora, se tu sei contento.
Ricordi, quando per la serratura
veniva lume?» «Ed ora il lume è spento».
«Anche a que' tempi noi s'aveva paura:
sì, ma non tanta». «Or nulla ci conforta,
e siamo soli nella notte oscura».
«Essa era là, di là di quella porta;
e se n'udiva un mormorìo fugace,
di quando in quando». «Ed or la mamma è
morta».
«Ricordi? Allora non si stava in pace
tanto, tra noi...» «Noi siamo ora più buoni...»
«ora che non c'è più chi si compiace
di noi...» «che non c'è più chi ci perdoni».
11
PRIMO PIANO
UN ARGOMENTO SCOMODO
Parlare della morte è un argomento
scomodo. Nella nostra società tendiamo a negarla, a rimuoverla, perché di fronte ad essa la razionalità
rassicurante dell’uomo contemporaneo crolla e, incapace di fugare ansie
e paure, si rivela inutile di fronte a
un evento imprevedibile, inquietante, inevitabile. Non potendo “guarire
la morte”, la rifuggiamo, illudendoci
che basti non pensarci per esorcizzarla.
La frenesia delle attività quotidiane, la ricerca sfrenata del piacere, il
giovanilismo esasperato (con interventi estetici annessi), l’esercizio
del potere e il conseguente senso di
onnipotenza sono, inconsciamente,
potenti anestetici con cui soffochiamo il disagio di un pensiero sconvolgente.
Non temiamo la morte-spettacolo
della televisione, le uccisioni che
vediamo al telegiornale, perché le
sentiamo lontane, anonime. Temiamo la morte “dell’altro”, sia pure uno
sconosciuto, se ci è vicina, perché ci
riguarda comunque direttamente: il
pallore cereo di un corpo senza vita,
ci turba, perché ci ricorda il nostro
essere mortali.
La paura è proporzionata alla vicinanza affettiva della persona deceduta, il cui trapasso avviene molto
spesso in un asettico letto d’ospedale: ambiente spersonalizzante, dove
volti anonimi e il freddo abbraccio dei tubi delle apparecchiature
scientifiche sostituiscono il calore
confortante dei parenti; barriera
psicologica che consuma l’intimità
fra il morente e i familiari e blocca
l’espressione delle emozioni legate
al momento del trapasso.
Fino ad alcuni decenni fa, la morte
era un evento socialmente condiviso
attraverso riti comunitari da cui non
venivano esclusi i bambini. I rintocchi prima dell’agonia e poi della
morte, la vestizione del defunto, la
12
veglia funebre, il funerale, il lutto e
il mezzo lutto, le messe di suffragio,
tutto veniva condiviso e serviva a
rendere la morte un fatto naturale,
benché tragico e straziante. La partecipazione attiva della comunità
costituiva un supporto psicologico
importante per i parenti che avevano
subito la perdita.
Oggi il lutto è vissuto in totale isolamento. Dopo il funerale ognuno
torna frettolosamente alla vita abituale che impone efficienza e ritmi rapidi, a scapito della condivisione dei senimenti. L’evento più
drammatico, credo, sia la morte di
un figlio, poiché è contro natura: il
nostro investimento sul futuro, il
continuum che dà senso alla nostra
vita viene improvvisamente a mancare. La nostra missione parentale è
in qualche modo fallita. “E t’amo,
t’amo, ed è continuo schianto”: è il
grido straziante del poeta Ungaretti -dedicato al figlio morto a soli 9
anni- che, meglio di qualsiasi altra
espressione, rende lo stato d’animo
di un genitore che vive la lacerazione dell’ultimo addio.
La morte di qualsiasi familiare è
sempre un evento tragico, caratterizzato da un intenso dolore psichico. Si passa dallo shock per l’evento traumatico, alla negazione (è solo
un sogno!), alla rabbia per il destino
avverso, alla ribellione nei confronti
di Dio di cui si mette in discussione
la bontà e la provvidenza, ai sensi di
colpa, al rimorso per gli errori, per
le ferite inferte, per gli atti omissivi.
Segue il processo di “idealizzazione”: l’immagine del defunto è ripulita dai difetti, dalle mancanze, la sua
memoria purificata. Non manca chi,
incapace di gestire il vuoto affettivo,
si abbandona a comportamenti discutibili, poco consoni al periodo del
lutto. Normalmente, dopo l’alternarsi di momenti depressivi e sprazzi
di serenità, si arriva all’accettazione
della perdita, all’adattamento, e la
rinnovata forza interiore permette
di ricominciare a vivere.
Poiché l’evento del morire proprio
o di un familiare, al di là delle cause
che lo determinano, è un’esperienza
ineludibile, il rimedio alla paura della
morte non è rimuoverla, ma pensarla
con consapevolezza, costantemente.
Potremo guardare fiduciosi “oltre la
soglia” se, nel momento supremo, il
bilancio della nostra esistenza e delle relazioni parentali e amicali sarà
positivo. L’Amore (a-mors = senza
morte), che saremo stati in grado di
donare, sarà il ponte fra la vita e la
vita eterna, sarà la sola eredità non
deperibile che tutti possiamo lasciare.
Allora, periodicamente, sarebbe
buona cosa “aprire l’armadio della
nostra vita” e mettere ordine dentro
noi stessi e nei legami affettivi.
La credenza in una vita ultraterrena
è il cono di luce che dà significato
alla morte. Nel tempo, più o meno
lungo, che ci è concesso di vivere,
possiamo scegliere fra tante forme
di libertà. Una sola è la libertà massima: la libertà dalla morte. Cristo la
realizza nella sua resurrezione; Cristo precede la nostra resurrezione.
Affrontiamo l’inquietudine esistenziale col coraggio della fede: l’ultima Porta non si spalancherà sul
Nulla.
Carmen Taiana
Quando ci siete passati accanto, sulle nostre strade,
non vi abbiamo riconosciuto come Santi del Signore.
Forse vi abbiamo anche deriso perché vi giudicavamo antiquati,
perché non correvate dietro alle mode come noi.
Forse vi abbiamo osteggiato perché osavate ripeterci una parola che ci
scomodava.
Eppure, anche se vi siete fermati a prendere un caffè nel bar della piazza,
ora siete perle splendenti che formano le mura della Gerusalemme celeste;
siete insieme agli Angeli i cantori del Paradiso.
Molti di noi si chiamano perfino con il vostro nome:
segno che siete le uniche persone degne di essere ricordate
e di cui nessuno si vergogna.
Volgete il vostro sguardo verso di noi e soccorreteci
perché abbandoniamo ogni stoltezza
e cominciamo a percorrere la strada delle beatitudini
come avete percorso voi
sì da meritare un giorno
di essere partecipi della vostra gioia.
Insegnateci che la santità è possibile anche per noi
e che si realizza non nel fare cose straordinarie,
ma nel fare in modo straordinario
le cose ordinarie di ogni giorno,
come fa Dio che fa sorgere il sole ogni giorno
sempre dietro allo stesso monte.
Amen.
(AVERARDO DINI)
LENTE
d’INGRANDIMENTO
LA SCUOLA DELLA PAROLA
suscitano in me i fatti, i personaggi, i discorsi del
testo), l’oratio (cosa rispondo al Signore di fronte
a queste suggestioni del testo), infine l’actio (quale
passo concreto mi suggerisce di compiere nella mia
vita il testo). L’obiettivo del percorso,
e sinceramente penso che occorrano
In questi ultimi decenni nella Chiesa
più anni per acquisire una certa
dimestichezza, è quello di consegnare
e soprattutto nella nostra diocesi,
delle indicazioni efficaci, affinché
grazie all’impulso dato dal Cardinal
la lettura autonoma e quotidiana
Martini, si sta proponendo il metodo
della Parola (compresa e meditata)
della lectio divina (lettura della
s’incarni nella concretezza della vita
Parola).
del credente.
Per accostarsi a questa modalità
di preghiera, nel nostro decanato
Nell’ultimo ciclo noi partecipanti
siamo stati invitati a ricalibrare,
da alcuni anni, viene proposta per
lasciandoci guidare dal percorso
gli adulti, con la collaborazione
spirituale compiuto dal profeta Elia
dell’Azione Cattolica diocesana, la
nella sua vicenda terrena, la nostra
Scuola della Parola.
Gli incontri, con cadenza mensile,
idea di Dio e della fede, abbandonando
aiutano il fedele ad accostarsi al testo biblico per quelle posizioni o modi di pensare poco autentici che
trarne un’occasione di preghiera. Ogni incontro a volte ci costruiamo.
prevede quattro momenti: la lectio (cosa dice il testo),
la meditatio (cosa dice a me il testo, quali risonanze
Cristian Zaffaroni
Come alimentare la propria vita spirituale? Quale
strumento di preghiera praticare, quando le tradizionali
formule diventano meno significative? Dove trovare
risposte alla domanda del discepolo:“Signore,
insegnaci a pregare”?
13
ANDATE
per LE STRADE
“LA VITA E’ UN’ AVVENTURA,
RISCHIALA“
(Madre Teresa di Calcutta)
“MEDICI SENZA FRONTIERE”
è un’organizzazione umanitaria,
non governativa,
che fornisce
assistenza sanitaria alle popolazioni
la cui sopravvivenza è minacciata
da guerre, epidemie, catastrofi,
malnutrizione, indipendentemente
da razza, religione o credo politico.
Angelo ne fa parte dal 2002.
Ciao, Angelo, presentati ai nostri
lettori
Mi chiamo Angelo Rusconi, sono
un operatore umanitario di Medici
Senza Frontiere. Sono di Cirimido,
ma attualmente vivo a Caslino.
Vengo da un mondo associazionistico
di volontariato. Dopo la scuola
superiore, come obiettore inviato
dalla Caritas di Milano, ho lavorato
in una casa di accoglienza per gravi
emarginati sociali: gente senza fissa
dimora, ammalati di aids, stranieri
senza permesso, ex carcerati. E’ stata
un’esperienza difficile, forte, ma
arricchente.
14
Dopo il servizio militare come
obiettore cos’hai fatto?
Ho iniziato a lavorare, ma
contemporaneamente facevo attività
di volontariato nell’area comasca:
ad esempio ho prestato servizio nel
dormitorio di Como.
La voglia di conoscere altre realtà, di
uscire dagli orizzonti un po’ limitati
del mio paese, mi ha spinto a fare
alcuni mesi di volontariato in Africa
e in sud America: Bolivia, Perù e
Guatemala. Ho incontrato tanta gente,
ho conosciuto persone che considero
i miei maestri di vita, che mi hanno
insegnato a salire i gradini della scala
di un percorso di crescita individuale
che non si esaurisce mai.
La famiglia ha in qualche modo
influenzato le tue scelte?
Sicuramente la famiglia mi ha
dato un forte “imprinting”. Sono
l’ultimo di 5 fratelli: 2 fratelli hanno
trascorso alcuni anni in Africa con i
servizi internazionali di volontariato
e attualmente 2 fratelli vivono
in una comunità di accoglienza,
rispettivamente a Milano e a
Firenze.
Come
sei
approdato
all’organizzazione Medici Senza
Frontiere?
Non ero completamente soddisfatto
delle esperienze fatte, volevo essere
parte integrante di un sistema, avere
un progetto più ampio da condividere
con altre persone. Tramite internet
ho chiesto di far parte di M.S.F. Ho
superato un test di professionalità
e uno psico-attitudinale, atto a
verificare se ero in grado di lavorare
con altre persone in contesti difficile.
Quindi ho partecipato a un corso di
addestramento in Spagna.
Tu non sei un medico, di che cosa
ti occupi ?
Gli attori principali della nostra
organizzazione sono i medici e gli
infermieri, però devono essere messi
in condizione di poter lavorare.
Il logista, come me, si occupa
dell’allestimento di nuovi ospedali
o della trasformazione in ospedale
di vecchie strutture, come le scuole;
della fornitura dell’acqua o della
potabilizzazione della stessa in
situazioni di emergenza; insomma
di tutto ciò che serve perché i medici
possano operare. A gennaio di
quest’anno, ad Haiti, l’isola caraibica
distrutta dal terremoto, abbiamo
allestito un ospedale gonfiabile (
proprio come i giochi dei bambini),
trasportato da un cargo. Esiste da tre
anni: è stato progettato da un’equipe
di esperti a Parigi, ma realizzato in
Italia. In soli 4 giorni abbiamo potuto
disporre di una struttura ospedaliera
di 100 posti letto.
Qual è stata la tua prima esperienza
in M.S.F.?
In Afghanistan, nel 2002, per 6 mesi.
La guerra stava finendo. Abbiamo
riabilitato un ospedale bombardato
dai talebani e costruito 3 piccoli
ambulatori in località sperdute,
fra le montagne. Contrariamente a
quello che vediamo in televisione,
l’Afghanistan è una delle terre più
belle, più affascinanti che abbia mai
visto. La realtà umana è complessa: il
contesto culturale, sociale, religioso
è molto diverso dal nostro; la gente
vive in un clima di fondamentalismo.
Mi è sembrato di essere stato
catapultato indietro nel tempo di 600
anni! All’inizio ho provato una sorta
di timore, poi parlando e lavorando
con gli afgani mi sono accorto che,
rispettando le loro tradizioni, si
può costruire un ponte, si possono
stringere amicizie.
Hai operato in situazioni difficili.
Hai mai avuto la sensazione di
rischiare la tua vita?
Chiunque va a lavorare ogni mattina
a Milano, in tangenziale, rischia! Le
statistiche della nostra organizzazione
ci dicono che la mortalità dei nostri
operatori è dovuta principalmente a
incidenti stradali. Quando operiamo
in situazioni critiche l’attenzione alla
sicurezza è molto alta. Attualmente
M.S.F. sta gestendo 400 progetti di
salute in 70 paesi. Il 43% dei progetti
è in zone tranquille.
Ho avuto la percezione del rischio
in Liberia, quando stava finendo la
guerra, o la seconda volta che sono
stato in Afghanistan per una missione
esplorativa: l’obiettivo era verificare
quale accesso alle cure avevano le
mamme e i bambini piccoli in una
zona che rimane isolata anche per 4
mesi all’anno a causa della neve. Ho
raggiunto posti dove non avevano
mai visto uomini bianchi, dove la
prima macchina che vedevano era la
nostra.
Parlaci di altre tue esperienze
Sono stato in Pakistan, per
l’emergenza terremoto, in una zona
di guerra del Kashmir, contesa fra
India e Pakistan.
Sono stato in Niger per un’emergenza
nutrizionale dovuta alla carestia.
Abbiamo aperto un centro per
bambini malnutriti. Siamo andati a
recuperarli nel deserto con un sistema
capillare di ambulanze: alcuni,
ancora in grado di nutrirsi, sono stati
alimentati con un cibo terapeutico;
altri più gravi (quando il bambino
scende molto al di sotto della soglia
del peso minimo, rifiuta il cibo) sono
stati reidratati.
In Angola siamo riusciti a contenere
l’epidemia di colera, la
più grave degli ultimi
30 anni.
In Somalia, dove da
21 anni non c’è un
governo, non ci sono
scuole, non c’è un
tessuto sociale, abbiamo
aperto un ospedale
preparando il personale
infermieristico
del
posto, nonostante le
grandissime difficoltà
logistiche.
Come
venite
accolti
dalla
popolazione locale?
Generalmente siamo ben accolti
dalla gente che riconosce le nostre
auto, i nostri giubbetti. Qualche volta
abbiamo problemi con i governi.
In Darfur nel 2008, dove ci eravamo
recati per riaprire una
struttura sanitaria, ho
dovuto mediare con i
soldati dell’esercito perché
smettessero di violentare
ogni notte le donne del
villaggio.
Hai vissuto situazioni
particolarmente toccanti
emotivamente?
Sì. In Liberia un bambino
che
stavo
portando
in ospedale per una
trasfusione mi è morto in
macchina. Al centro nutrizionale
dove lavoravo, morivano circa 6
bambini al giorno! Ci sono momenti
di grande frustrazione! E poi ci sono
momenti di grande gioia: ad Haiti
abbiamo salvato un
bambino (forse di
un anno..difficile
dire l’età quando
sono malnutriti!)
trovato
nella
spazzatura, dove
i topi avevano
già
cominciato
a mangiargli le
dita. Ancora in
Liberia,
grande
la soddisfazione
quando riuscivamo
a portar via i
bambini dalle zone controllate dai
ribelli.
Le gratificazioni sono certamente
superiori alle frustrazioni. Ti senti
bene quando riesci a restituire a un
bambino malnutrito, a una persona
malata, a un povero la dignità di
essere umano.
Comunque per fare il bene, bisogna
“operare bene” e perciò è molto
importante saper controllare le
emozioni. Occorre professionalità,
concentrazione e lucidità mentale.
Di
fronte
alla
sofferenza,
soprattutto al dolore innocente
dei bambini, non ti sei mai chiesto
dov’è Dio?
Sì, io sono credente, ma certe
situazioni strazianti ti interrogano
sulla tua fede. Però ho incontrato
chi mi ha dato una spiegazione forte:
Dio è nelle persone che cercano di
cambiare le cose, Dio usa dei tramiti.
Se tutta la gente fosse di buona
volontà, il mondo sarebbe migliore.
Per concludere, che cos’è per te il
volontariato?
Il volontariato per me
è
sostanzialmente un
“andare
incontro” alle persone, è un tentativo
di ridistribuire le risorse che noi
abbiamo in abbondanza, per darle a
chi non ha neppure il minimo per la
sopravvivenza.
a cura di Carmen Taiana
15
NerO su BIANCO
Il Vangelo del curato d’Ars
(San Paolo Edizioni)
cuore di un prete che “parlò di Dio con tutta la
sua vita”. E quale modo migliore se non quello
di abbinare stralci delle sue omelie alla gente ai
brani stessi del Vangelo che egli commentava? In
questo testo sono tradotte le sue omelie dal francese all’italiano, per opera di un nostro sacerdote
diocesano don Carlo Travaglino, parroco di Cabiate, profondo conoscitore della lingua e del santo di Ars. E’ sorprendente imbattersi nella lettura
che tocca l’anima di chi
la accosta, e fa giungere
alla conclusione che la
vera leggenda da sfatare
è quella di essere di fronvolessero far prete....
Ma come spesso accade, dietro l’intonaco sta il te a un santo ignorante.
muro che regge una vita e un senso: il Curato Ma ci possono essere
d’Ars era soprattutto un prete e un uomo di fede. santi ignoranti?
In questo libro il lettore, pur ritrovando qualche
passaggio della storia e della leggenda dell’uomo
don Mauro
Vianney, sarà condotto soprattutto a conoscere il
Del curato d’Ars, Giovanni Maria Vianney, si
conoscono poche cose
e, spesso, superficialmente: il fatto che stava
in confessionale fino a
16 ore al giorno; il fatto che combatteva con
un diavolo da lui stesso
soprannominato Grappino (Uncino, Arpione); il
fatto che fosse ignorante
e che, per questo, non lo
Bianca come il latte rossa come il sangue
(edizioni mondadori)
Leo è un sedicenne vivace
ed estroverso. La sua
vita è condita di musica,
“cinquantino” e calcetto. Vive
di emozioni. Le consuma e si
culla nel sogno idilliaco in cui
lui (sé stesso) e lei si fondono
in un’unione perfetta. Lei
si chiama Beatrice, ha i
capelli rossi e Leo la trova
bellissima.
Un giorno il sogno si incrina:
Leo viene a sapere che Beatrice è malata. Leucemia.
Leo decide di rimanerle accanto. Vuole farle sentire
il proprio amore, vuole farla guarire; ma la malattia
progredisce e Beatrice si fa sempre più pallida: bianca
come il latte. E un giorno…
16
Scritto con la vivacità del linguaggio di un adolescente,
non privo di arguzie, a tratti buffo, a tratti amaro: il
romanzo “Bianca come il latte rossa come il sangue”
di Alessandro D’Avenia si fa leggere volentieri e riesce
a raccontare una storia potenzialmente lacrimosa o
stucchevole con sobrietà e intelligenza.
Si racconta di un percorso di crescita: col tempo
vediamo Leo diventare più maturo ma soprattutto più
consapevole del legame con gli altri. Confrontandosi
col dolore della persona amata si pone domande nuove
sulla propria vita; affrontando la debolezza di Beatrice
si confronta con la propria vulnerabilità; perseguendo
un sogno d’amore idilliaco trova un modo d’amare
reale. Aprendo gli occhi sul prossimo acquisisce, alla
fine, una diversa immagine di sé.
Giova notare che, a partire dalla scoperta della malattia
di Beatrice, nella vita del ragazzo e nel romanzo emerge
con prepotenza il tema del dolore. Dalla questione del
dolore si fa strada una domanda di senso che alla fine
– fatto non comune per un’opera di narrativa “laica”
– porta il protagonista ad interrogarsi seriamente sulla
fede e su Dio. Naturalmente il lettore non assisterà ad
una conversione alla sant’Agostino o alla san Paolo,
ma certamente emerge il messaggio che, anche in un
contesto culturale in cui la parola umana non riesce
– per suo limite? per incapacità di farsi comprendere
da parte di chi parla? per sordità di chi ascolta? – a
veicolare la Parola, quest’ultima può farsi strada
attraverso le pieghe dell’esperienza umana.
Andrea Fusi
“IL CORTILE, ALL’OMBRA DEL
SANTUARIO”
la PARROCCHIA
di relazioni che garantiscano da un lato il necessario
appoggio alle famiglie ivi residenti, dall’altro fare in
modo che il Progetto non sia fine a se stesso ma che
venga sentito da tutti i guanzatesi come la concreta e
visibile realizzazione del comandamento evangelico
del “farsi prossimo”.
Questa rete di famiglie, quindi, per definizione è
destinata ad ampliarsi e ad aprirsi a chiunque senta il
desiderio di accoglienza e condivisione.
In quella bella domenica di festa, allietata anche da
un bel sole caldo, in mezzo ai tanti banchetti ce ne
era uno ben visibile nel quale abbiamo presentato
nei particolari il Progetto. Spiccavano tra la folla
anche i caschetti colorati forniti a tutti coloro che
hanno voluto visitare il cantiere, per toccare con
mano lo stato di avanzata realizzazione dei lavori. A
piccoli gruppi, abbiamo portato le persone all’interno
del cantiere dove, con gran pazienza e maestria, i
progettisti e direttori lavori si sono prestati a fornire
Domenica 12 settembre, in occasione della Festa tutte le spiegazioni del caso. Più di una persona è
del Santuario, abbiamo colto l’occasione per far uscita dal “tour” contenta di aver visto con i propri
conoscere, ai guanzatesi e non, quel sogno in fase occhi il famoso Progetto per il quale da tempo si sta
di realizzazione e che presto diventerà realtà, che prodigando il nostro don Mauro e le varie commissioni
è il Progetto di accoglienza denominato “Il Cortile, appositamente costituite.
Il Cortile ha bisogno di tutti perché il Cortile è di tutti
all’ombra del Santuario”.
Il Progetto prevede la creazione di uno spazio noi !
protetto, appunto il Cortile, ove accogliere nuclei
monoparentali in stato di necessità: mamme con
bambini che, accompagnate dai servizi sociali,
stanno portando a termine il loro percorso verso
l’autonomia. La “protezione” di questo spazio sarà
garantita dalla presenza costante di altre figure, sotto
brevemente descritte.
Nel Cortile verranno a vivere tre famiglie che per
vocazione hanno scelto di vivere insieme in una
piccola Comunità.
Se da un lato le mamme “ospiti” saranno seguite da un
team di esperti messo a disposizione dalla Cooperativa
“Le Querce di Mamre”, dall’altro potranno godere
della presenza rassicurante e costante delle famiglie
suddette (chiamate “Casa Betania”).
A completare il quadro, nel Cortile ci sarà la nuova
sede della Caritas guanzatese.
La Parrocchia – primo promotore e finanziatore del
Progetto – sarà presente, oltre che con la Caritas,
attraverso un gruppo di famiglie (“Famiglie in rete”)
alle quali è affidato il compito di costituire una rete
17
la PARROCCHIA
La spontaneità del prendersi cura
Come e perché una famiglia si trasferisce nel “Cortile”
A meno di un anno dalla prevista
apertura di “Il Cortile” i lavori
edilizi fervono; e tuttavia il
cuore dell’iniziativa saranno –
ovviamente – le persone che vi
verranno ospitate e quelle che
dedicheranno loro il proprio
tempo. Fra queste vanno
annoverate, in primo luogo,
le tre coppie che risiederanno
permanentemente nella struttura.
Elena e Alessandro Casale sono
una di queste coppie, insieme a
Marzia con Emanuele e Roberta
con Paolo. Per capire meglio
come si stanno preparando e con
che spirito affronteranno questa
sfida abbiamo posto loro alcune
domande.
Visita al cantiere in occasione
della Festa del Santuario
18
Da dove è nata la vostra
disponibilità a trasferirvi presso
“Il Cortile” come famiglia
residente?
È nata diversi anni fa, quando
abbiamo iniziato a desiderare
uno stile di vita familiare aperto
e accogliente che coinvolgesse
ogni gesto quotidiano e non
fosse limitato al poco tempo che
possiamo dedicare ad esperienze
di
volontariato.
Abbiamo
intravisto la possibilità di vivere
più felicemente il nostro essere
famiglia se affiancati da altre
famiglie con le quali condividere
la fede e la vita di ogni giorno.
Il percorso per la realizzazione di
una Comunità di famiglie ci ha
condotti al progetto de “Il Cortile”
ed in esso abbiamo trovato
l’occasione per concretizzare
quel progetto di amore e servizio
vissuto nella quotidianità, senza
cercare imprese eroiche.
Come vi state preparando al
vostro compito? Avete seguito
dei corsi formativi a livello di
assistenza pratica, psicologica,
pedagogica etc.?
I cammini di condivisione e di
mutuo aiuto condotti in questi anni
ci hanno aiutato a comprendere le
nostre risorse, le nostre fragilità
e allo stesso tempo le difficoltà
e le gioie dell’essere di aiuto a
qualcun altro.
Vorremmo, però, fare una
precisazione. È ormai diffuso nel
comune pensare che prendersi cura
del proprio prossimo sia divenuto
un compito assolvibile solo da
chi è in possesso di competenze
tecniche e specialistiche adeguate;
prendersi cura dell’altro, invece,
è un’azione connaturale all’agire
umano. Il Cortile richiama
proprio a questa spontaneità del
prendersi cura, perché ricorda
la vita dei cortili lombardi dei
secoli precedenti dove le persone
si sostenevano reciprocamente
nei quotidiani compiti della vita
ordinaria.
Il desiderio di vivere in una
Comunità di famiglie è il
nucleo
dell’esperienza
che
vivremo all’interno del Cortile
per sperimentare l’accoglienza
reciproca nelle dinamiche di
confronto e di condivisione,
per dare concretezza a questa
prossimità cristiana a cui tanto
aspiriamo. Pensiamo che essere
parte di una rete più ampia (e
pensiamo anche ad altre famiglie
della
comunità
pastorale)
fortifica la famiglia, innanzitutto,
nell’assolvimento dei propri
compiti ordinari e, in secondo
luogo, la pone in condizione di
essere di aiuto al bisogno degli
altri.
Avete già avuto esperienze
di volontariato nell’ambito
del supporto a famiglie in
difficoltà?
Anche se abbiamo esercitato o
tuttora svolgiamo delle professioni
di aiuto a persone in difficoltà,
crediamo che questo bagaglio di
esperienze – pur importante – non
sia un requisito indispensabile
per abitare il Cortile. Infatti, il
supporto educativo e psicologico
sarà assicurato dai professionisti
della Cooperativa sociale Le
Querce di Mamre. Il compito
delle nostre famiglie sarà quello
di realizzare una forma di vicinato
solidale, che – ribadiamo – non
è il frutto di un sapere tecnico,
ma un’esperienza connaturale
alla famiglie di ogni cultura del
mondo.
In cosa cambierà la vostra
giornata rispetto al presente?
Sono già previsti dei momenti
comunitari fissi o sarete
disponibili nei confronti delle
famiglie ospitate a seconda
delle esigenze del momento?
In questo ultimo periodo stiamo
dedicando molto tempo per
strutturare la vita comunitaria e
i suoi momenti. Ogni famiglia
manterrà, comunque, tempi e
spazi propri perché nel Cortile le
famiglie rimarranno tali e non si
dissolveranno in una più ampia
comunità di persone. L’intuizione
all’origine del progetto, infatti, è
che ogni famiglia possa essere di
aiuto a chi le vive accanto, senza
però snaturarsi, rimanendo una
famiglia.
In questo senso, anche la relazione
con i nuclei monoparentali sarà
fondata su questa intuizione.
Infatti, molte delle persone che
verranno accolte nel Cortile del
Santuario, soprattutto donne
con figli minorenni, dovranno
sperimentarsi nella gestione
dell’autonomia
familiare
dopo cammini all’interno di
comunità protette. Questa fase
di reinserimento sociale è una
fase molto delicata, in bilico
tra il bisogno di autonomia
(gestire la propria famiglia in
un appartamento indipendente)
e di protezione (la presenza
di famiglie capaci di offrire
un vicinato solidale). Il nostro
rapporto con le famiglie accolte
si giocherà proprio su questo
difficile equilibrio: autonomia e
solidarietà.
La scelta di inserirvi nel
tessuto del “Cortile” per voi
è consapevole e meditata;
come sarà per i vostri figli
crescere in un ambiente dove
i valori cristiani di comunità
e solidarietà saranno vissuti
in modo più intenso ma
certamente insolito rispetto ai
loro coetanei?
Il compito più difficile per noi
genitori è trasmettere ai nostri
figli il gusto per la vita, vissuta in
pienezza al servizio dei fratelli.
In questo senso, l’esempio
quotidiano dice più di molte
parole. Ci auguriamo che vivere
nel Cortile offra ai nostri figli
l’opportunità di
sperimentare
la bellezza dell’accoglienza, del
sentirsi parte di una comunità,
maturando la consapevolezza
che Cristo ci ha chiamati a farci
prossimi e che questa vocazione
è alla portata di ogni famiglia e
di ogni uomo e donna, anche per
chi come noi ha da offrire solo
cinque pani e due pesci.
19
PRIMO PIANO
“Carpe diem”, cogli l’attimo, vivi
il momento, scriveva il poeta latino
Quinto Orazio Flacco nel 41-40 a.c.
nei suoi “Carmina”. Un motto divenuto celebre anche grazie al film
“L’attimo fuggente” (1989) del regista Peter Weir, con l’attore Robin
Williams.
I temi della fugacità della vita, della
giovinezza che passa, della fragilità
del corpo, sono presenti da sempre
nella letteratura di ogni tempo e di
ogni cultura. Sono riflessioni che
toccano ognuno di noi, domande
che ci interrogano sul senso più profondo dell’esistenza. Domande cui
il Vangelo dà una risposta definitiva. Orazio non conobbe Cristo e,
meditando su una vita che sboccia
ma che sa già che si dovrà spegnere, senza un apparente perché, non
riuscì a nascondere la segreta malinconia che, in filigrana, permea
la sua opera. Il suo invito, quasi un
grido, umanissimo, era volto a non
dissipare il tempo che siamo chiamati a vivere, a valorizzare ciò che
vale davvero, l’Amore, l’Amicizia,
a desiderare la serenità, con moderazione, senza eccessi, perché negli
eccessi vi è la radice della schiavitù
e, in essa, il germe della morte.
Ed è proprio l’eccesso, celebrato tra
gli altri dal poeta francese Charles
Baudelaire, nella sua raccolta “Les
fleurs du mal”, (I fiori del male)
20
IL CASSETTO DELLE STRINGHE
COLORATE
“carpe diem”
del 1857, che si fa folle corsa, inconsapevole discesa agli inferi, alla
scoperta di un mondo di esperienze
sensoriali estreme, un mondo ricco
di tesori, di risposte pronte per essere colte, gustate, con i loro inebrianti profumi da cui restano esclusi i pavidi conformisti. Allora ecco
i ritmi assordanti ridotti a decibel
senza grazia né armonia; le miscele alcoliche ingurgitate per darsi un
contegno, per sfida, per conquistare
uno sguardo; le pasticche preparate
da mani serve del lugubre profitto e
spacciate per andare oltre; la droga
che seduce, umilia, degrada e uccide; la velocità che, incurante del
prossimo, incatena i piedi all’acceleratore e disintegra speranze (ricordate “Gioventù bruciata”, (1955)
di Nicholas Ray, con James Dean?);
l’azzardo e la carezza ossuta della
Fortuna; il sesso comprato, consumato e gettato via, senza nome,
senza dignità, senza futuro né sentimento… tutto, snaturato nella sua
essenza, riempie le pagine dei giornali, con molti, troppi giovani, attori di questa assurda gara al suicidio
mascherato. Un letale gioco di ruolo in cui ci si fa male davvero, dove
non ci sono vite di scorta, né codici
segreti da digitare su una tastiera,
per acquisire un’immortalità a prova del prossimo e più temibile mostro da affrontare. Il premio di questo gioco molto spesso sono solo le
lacrime amarissime dei protagonisti
e di chi sta loro accanto. Perché?
Abbiamo accantonato Cristo, dimenticando, in fondo a qualche cassetto dello Spirito, la chiave delle
risposte al malessere che affligge
l’Uomo. Viviamo come se Gesù di
Nazaret non fosse mai venuto, non
ci avesse mai parlato, come se non
fosse Lui la creta che ripara le nostre
ferite, semplicemente perché siamo
fatti di Lui. Spesso invece abbiamo preferito curarci con un’emozione a pagamento, un’emozione
l’ ANGOLO dei PICCOLI
(Prima parte)
che avvelena, un’emozione che ha
scelto come preda il nostro futuro.
Lasciare che sia, lasciare che molti
giovani continuino ad inseguire la
morte, convinti di sfidare soltanto
se stessi, in cambio di un’anonima
apparizione su internet, saltando in
piscina da un balcone, attraversando l’autostrada, infilandosi sotto i
treni in movimento, lasciare che la
strage continui, allargando la braccia, arrendendoci, significa ipotecare la nostra salvezza. Sì, ci verrà
chiesto conto di quanto abbiamo
fatto perché non fosse. Se le nostra
parole non sono state ascoltate, quale esempio abbiamo dato? No, non
stiamo parlando di quella maschera
di religiosità da passeggio, fatta di
manifestazioni esteriori prive di una
reale adesione al messaggio evangelico.
Allora davvero, “Carpe diem!”: cogli, cogliamo l’attimo, non aspettiamo a seguire Gesù. Non ci viene
chiesto di essere integralisti, ma
convinti. E chi è convinto affronta
con Gioia ogni difficoltà e la Gioia
è contagiosa e attrae, perché possiamo essere tanti, tantissimi, al lavoro
nella splendida vigna che Dio ci ha
dato in eredità.
Torniamo a Cristo e cambieremo il
mondo!
Claudio Balestrini
C’era una volta un
settimanile. “Coosa?”, direte voi,
“Un settimanile? E che cos’è?”.
Dunque, ricominciamo: c’era
una volta un settimanile, cioè
una cassettiera con sette cassetti.
Una volta si usavano, adesso non
più. Infatti questo settimanile era
vecchio e malconcio e stava in
soffitta pieno di cianfrusaglie. A
parte l’ultimo cassetto in basso
che era pieno di stringhe colorate;
ce n’erano di tutti i colori, lunghe,
corte, larghe e strette, ma tutte
assolutamente nuove.
Nessuno si ricordava di
loro e loro se ne stavano tranquille
e un po’ annoiate. Un giorno
però qualcuno aprì per sbaglio il
cassetto e lo richiuse malamente,
così restò un filo di apertura dalla
quale entrava un poco di luce.
Le stringhe furono veramente
scombussolate: “Luce, vediamo
la luce dopo tanti anni di buio!”.
Una stringa piccolina, gialla e
birichina, ebbe il coraggio di fare
una proposta sconcertante: “Perché
non andiamo a fare un giretto e a
vedere il vasto mondo là fuori?”.
All’inizio nessuna stringa
rispose; erano rimaste ancora più
sconvolte per quello che avevano
appena sentito. Poi una vecchia
stringa grossa e nera borbottò:
“Magari sì, ma cosa ne pensa la
nostra regina?”. La regina delle
stringhe era una grande, lunga
stringa rosa, che era spaiata.
Tutti l’avevano eletta regina e la
chiamavano “Rosaria, la stringa
solitaria”.
Rosaria, essendo spaiata,
non doveva rendere conto a
nessuno, il suo giudizio era però
accettato da tutti. Rosaria ci pensò inverno? Fra qualche mese avrò di
su un pochino e poi disse: “Si può nuovo un bel vestito verde”.
fare. Vediamo di organizzarci”.
Non fece a tempo a finire la
“Wow, doppia wow!” frase che arrivò una forte folata di
esclamarono tutte le stringe felici. vento e sparpagliò tutte le stringhe
Finalmente sarebbero andate fuori. da tutte le parti: Molte finirono
Si presero per mano tutte quante sui rami dell’albero; all’inizio si
e formarono una lunga fila. In spaventarono, poi si accorsero del
testa c’era la stringhetta gialla, bel panorama che si vedeva da lassù
la più spericolata. S’infilò nella e ne furono incantate. Gridavano
fessura del cassetto e incominciò a tutte insieme eccitate: “Che bello,
scendere, seguita dalla sua gemella che bello! Venite quassù, amiche,
e da tutte le altre. La regina Rosaria venite, venite!”.
chiudeva la fila e controllava che
tutto fosse a posto.
Già, si fa presto a dire
“Venite” ma come ci arrivavano
lassù le altre stringhe? Per fortuna
c’era il vento! Sentì le vocine e si
diede una mossa: frrrrr, e tutte le
stringhe si trovarono sull’albero.
“Bello, bello, bello!”, strillavano
tutte insieme con le loro vocine
sottili. Ma Rosaria, la stringa
solitaria,
sentiva
molto
la
responsabilità di essere la loro
regina e si preoccupava. Così a
un certo punto disse: “Sentite,
qui è bello, però se arriva un altro
po’ di vento ci fa volare tutte via
e ci costringerà a separarci. Non
saremo più insieme, mai più”.
(continua)
Scivolarono sul pavimento,
poi sotto la porta, poi giù per le
scale e si trovarono all’aperto.
Aiuto!! Che luce!! Ne furono
tutte abbagliate; poi, piano piano,
incominciarono a distinguere gli
oggetti. Per esempio scoprirono
che davanti a loro c’era un grande
albero spoglio. “Ehi”, gridarono
le più disinvolte, “perché sei così
nudo? Non hai freddo?”. “Ma
no”, rispose l’albero nudo con
gentilezza, “non sapete che è
R.M.G.
Presentiamo questa favola per
gentile concessione dell’Ass.
Stringhe colorate che l’ha di recente
pubblicata nel volume “I racconti del
buonumore”.
21
ARCHIVIO
PARROCCHIALE
ARCHIVIO
PARROCCHIALE
NATI IN CRISTO COL SANTO BATTESIMO
39)
40)
41)
42)
Bocchia Alessandro
Giaquinto Samuel
Forlini Alice
Mallat Ethan
OFFERTE
NN Euro 200
Dalla vendita delle torte per la festa del
santuario Euro 1560
Dalla Pesca di Beneficenza della festa
del Santuario Euro 6047,50
Dalla classe 1939 Euro 100
Dalla UILDM Euro 100
Dai colleghi di lavoro della
defunta Enrica Talenti Euro 160
Per S.Messa presso la ditta SECO
Euro 150
UNITI IN CRISTO NEL SANTO MATRIMONIO
PER LA CASA DI
ACCOGLIENZA “IL CORTILE”
14) Castelli Giorgio e Vangeli Elisabetta il 4 ottobre 2010
NN Euro 500
NN Euro 200
NN Euro 5000
NN Euro 2000
Dalla ditta SECO Euro 1300
Dal Concerto Ars Cantus
Euro 7112,57
OSG PING PONG Euro 190
Da una famiglia tramite bonifico bancario Euro 500
Dalla cassetta del santuario Euro 108,44
RIPOSANO IN CRISTO
28) Guffanti Teresina vedova Sampietro Diego di anni 89
29) Colombo Cesare coniug. Zaffaroni Giuseppina di anni 87
PA:
r a
LitogrDºa
SerigrDºa
BattesimiEuro 460
MatrimoniEuro 300
Funerali Euro 550
CA
CO)
( Via
- Repubblica,
T
0 15
-ax 310 4915 35
ww w.latipog
rDºalu
rate.com
- E-mail:
mail@latipog
rDºa.191.it
NOTA Le offerte per la casa del santuario sono
riportate anche settimanalmente sul foglio
“Il Monte”.
Qui sopra vengono scritte tutte insieme
da inizio settembre a oggi.
SPESE IMPREVISTE DELLA PARROCCHIA
Euro 20.000 circa
per il rifacimento della copertura
(tetto) sovrastante il bar i servizi eD il
salone dell'oratorio.
Il lavoro è stato fatto nel mese di giugnoluglio
22
NUMERI TELEFONICI
della PARROCCHIA
Don Mauro: 031.976.990
cell: 347.968.14.26
Euro 2200
Rifacimento di un motore della quarta
campana della chiesa parrocchiale Rifacimento di un martelletto di una campana
del santuario Euro 600
Don Luigi: 031.899.333
Euro 1200
Acquisto dei nuovi giochi (2 bigliardini) per
l'oratorio
Ausiliarie: 031.899.257
Don Giovanni: 031.930.376
Diacono Pietro: 333.641.87.51
Mail: [email protected]
Periodico
iscritto all’Ufficio Stampa del Tribunale di Como
3HULRGLFRLVFULWWRDOO
8I¿FLR6WDPSDGHO7ULEXQDOHGL&RPR
n.
18/78
del
21/10/1978
QGHO
'LUHWWRUH5HVSRQVDELOHGRQ0DXUR&RORPER
Direttore
Responsabile: don Mauro Colombo
5HGD]LRQHGRQ/XLJL6DOYDGHL
Redazione: don Luigi Salvadei
/DXUD%DUOXVFRQL$QQD%HUQDVFRQL
Claudio
Balestrini - Andrea Fusi - Sabrina Galli 3DROR%RUGLJQRQ$QGUHD)XVL6R¿D)XVL
Francesco
Gringeri - Giovanni Lietti )DELR*XIIDQWL)UDQFHVFD6SDJROOD
Anna
Rocca
- Carmen Taiana
)UDQFHVFR*ULQJHUL*LRYDQQL/LHWWL$QQD5RFFD
,PSDJLQD]LRQHHJUD¿FD$QQD5RFFD3DROR%RUGLJQRQ
Impaginazione
e grafica: Anna Rocca
PELLEGRINAGGIO IN FRANCIA
23/31 agosto 2010
Il gruppo alla Tour Eiffel
Mont Saint Michel
A Lisieux presso la Basilica di
Santa Teresina
Con il vescovo Mons. Gourves Santuario Sainte-Anne d’Auray
Basilica di San Martino
a Tours
Basilica di Santa Maria Maddalena
a Vézelay, punto di partenza del
Cammino di Santiago
Don Mauro davanti al corpo del
Santo Curato d’Ars
“Tutti quelli che credevano vivevano insieme” (Atti 2,44)