Vivere Insieme - Novembre 2010
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Vivere Insieme - Novembre 2010
“ogni foglia è un fiore...” Parrocchia di Guanzate - V - Novembre 2010 Anno Oratoriano 2010-2011 I Progetti di Accoglienza 2010 Vivere Insieme RICORDI DI SETTEMBRE 2010: EDITORIALE -Sabato Ore 20:30 -Venerdì Festiva Vigiliare Ore 18:00 Festivi Ore 8:00 Ore 9:30 Ore 11:00 Ore 18:00 Da Maggio a Settembre la S.Messa delle ore 18:00 viene celebrata in Santuario. La Redazione È possibile trovare “Vivere Insieme” nella versione PDF all’interno del sito web del Decanato di Appiano Gentile alla voce “Pubblicazioni/periodici parrocchiali”. http://www.decanatoappianogentile.it/documenti.html Foto Girardi Foto Alberto Ghioldi Tre diversi momenti della Festa del Santuario -Venerdì Mons. Claudio Fontana -Giovedì L’esibizione dell’Orchestra “Ars Cantus” -Mercoledì La Dott.ssa G. Emanuela Molla, figlia di S. Gianna Beretta Molla -Martedì La Messa in ricorrenza del 90° della consacrazione -Lunedì Il taglio della torta e il gruppo degli invitati i e delle autorità Ore 8:30 LE CELEBRAZIONI PER IL 90° DELLA CHIESA PARROCCHIALE E LA FESTA DEL SANTUARIO Foto di copertina: Claudio Vancini Orari Sante Messe In questo numero novembrino cogliamo lo spunto subito offerto dal calendario proponendo alcune tracce di riflessione sui temi difficili della sofferenza e della morte. Temi che nel nostro quotidiano cerchiamo di esorcizzare ma con i quali tutti siamo costretti a confrontarci. È significativo che nel calendario cristiano santi e morti siano vicini, mostrandoci così come queste due realtà, l’una visibile solo agli occhi della fede, l’altra fin troppo concreta, siano intimamente legate, e come la seconda si risolva nella prima. Per noi che crediamo nella Pasqua è la vita ad avere l’ultima parola. Cerchiamo dunque di guardare con serenità ad argomenti umanamente difficili da trattare. Ricordiamo così una vicenda intrisa di malattia e morte ma anche di tanto, tanto amore per la vita: quella di santa Gianna Beretta Molla, a proposito della quale recentemente abbiamo avuto il privilegio di ascoltare due testimonianze eccezionali. Se poi la cronaca nazionale ci presenta numerosi esempi in cui la vita è calpestata, allora volgiamo lo sguardo ad altre situazioni. La realtà generosa del “Cortile” che sta sorgendo; la testimonianza di chi si dedica al volontariato nei paesi in via di sviluppo; i tanti momenti di condivisione fraterna nelle nostre attività parrocchiali: ecco altrettante manifestazioni dell’opera di chi, come “pietra viva”, si impegna a costruire un presente migliore in nome della Vita. La nostra fiducia e il nostro operare si fondano su quella pietra angolare che è Cristo; la nostra speranza sulla pietra che il mattino di Pasqua le donne hanno trovato rotolata via dal sepolcro. la FOTO 3 la PAROLA DEL PARROCO 4 ARRIVATI A NOVEMBRE, I SANTI: LA BEATA CHIARA BADANO 1.Abbiamo avviato l’anno pastorale con le molteplici attività oratoriane, di catechesi dopo aver vissuto la festa del santuario e il novantesimo della chiesa parrocchiale. Di quei momenti ricordo la straordinaria testimonianza con la figlia e la sorella di Santa Gianna.La testimonianza della santità affascina sempre e attira molta gente. Abbiamo potuto conoscere da vicino la santità nel quotidiano di una mamma di famiglia, che non è santa solo per l’atto d’amore finale della sua vita, ma per tutta la sua esistenza improntata in modo cristiano. Nell’onda della santità vorrei ricordare la Beata Chiara Badano, una ragazza morta nel 1990 a Sassuolo diocesi di Acqui Terme a 19 anni, per una grave forma di tumore. Chiara è stata proclamata beata lo scorso 25 settembre 2010 presso il Santuario del Divino Amore in Roma. Visse a Sassello con il padre Ruggero, camionista, e la madre Maria Teresa, casalinga. Volitiva, tenace, altruista, di lineamenti fini, snella, grandi occhi limpidi, sorriso aperto, ama la neve e il mare, pratica molti sport. Ha un debole per le persone anziane che copre di attenzioni. A nove anni conosce i ‘Focolarini’ di Chiara Lubich ed entra a fare parte dei ‘Gen’. Dai suoi quaderni traspare la gioia e lo stupore nello scoprire la vita. Terminate le medie a Sassello si trasferisce a Savona dove frequenta il liceo classico. A sedici anni, durante una partita a tennis, avverte i primi lancinanti dolori ad una spalla: callo osseo la prima diagnosi, osteosarcoma dopo analisi più approfondite. Inutili interventi alla spina dorsale, chemioterapia, spasmi, paralisi alle gambe. Rifiuta la morfina che le toglierebbe lucidità. Si informa di tutto, non perde mai il suo abituale sorriso. Alcuni medici, non praticanti, si riavvicinano a Dio. La sua cameretta, in ospedale prima e a casa poi, diventa una piccola chiesa, luogo di incontro e di apostolato: “L’importante è fare la volontà di Dio...è stare al suo gioco...Un altro mondo mi attende... Mi sento avvolta in uno splendido disegno che, a poco a poco, mi si svela...Mi piaceva tanto andare in bicicletta e Dio mi ha tolto le gambe, ma mi ha dato le ali...” Chiara Lubich, che la seguirà da vicino, durante tutta la malattia, in un’af- Beata Chiara Luce Badano fettuosa lettera le pone il soprannome di ‘Luce’. Mons. Livio Maritano, vescovo diocesano, così la ricorda: “...Si sentiva in lei la presenza dello Spirito Santo che la rendeva capace di imprimere nelle persone che l’avvicinavano il suo modo di amare Dio e gli uomini. Ha regalato a tutti noi un’esperienza religiosa molto rara ed eccezionale”. Negli ultimi giorni, Chiara non riesce quasi più a parlare, ma vuole prepararsi all’incontro con ‘lo Sposo’ e si sceglie l’abito bianco, molto semplice, con una fascia rosa. Lo fa indossare alla sua migliore amica per vedere come le starà. Spiega anche alla mamma come dovrà essere pettinata e con quali fiori dovrà essere addobbata la chiesa; suggerisce i canti e le letture della Messa. Vuole che il rito sia una festa. Le ultime sue parole: “Mamma sii felice, perché io lo sono. Ciao!”. Muore all’alba del 7 ottobre 1990. E’ “venerabile” dal 3 luglio 2008. 2.E’ veramente straordinaria questa giovane, da additare ad esempio ai nostri ragazzi e giovani. Il Papa Benedetto XVI recandosi a Palermo nell’incontro coi giovani, lo scorso 3 ottobre ha ricordato la Beata Chiara dicendo:” Penso che tutti voi sappiate che sabato 25 settembre scorso, a Roma, è stata proclamata beata una ragazza italiana di nome Chiara, Chiara Badano. Vi invito a conoscerla: la sua vita è stata breve, ma è un messaggio stupendo. Chiara è nata nel 1971 ed è morta nel 1990, a causa di una malattia inguaribile. Diciannove anni pieni di vita, di amore, di fede. Due anni, gli ultimi, pieni anche di dolore, ma sempre nell’amore e nella luce, una luce che irradiava intorno a sé e che veniva da dentro: dal suo cuore pieno di Dio! Com’è possibile questo? Come può una ragazza di 17, 18 anni vivere una sofferenza così, umanamente senza speranza, diffondendo amore, serenità, pace, fede? Evidentemente si tratta di una grazia di Dio, ma questa grazia è stata anche preparata e accompagnata dalla collaborazione umana: la collaborazione di Chiara stessa, certamente, ma anche dei suoi genitori e dei suoi amici. Prima di tutto i genitori, la famiglia. Oggi voglio sottolinearlo in modo particolare. I genitori della beata Chiara Badano sono vivi, erano a Roma per la beatificazione - io stesso li ho incontrati personalmente - e sono testimoni del fatto fondamentale, che spiega tutto: la loro figlia era ricolma della luce di Dio! E questa luce, che viene dalla fede e dall’amore, l’hanno accesa loro per primi: il papà e la mamma hanno acceso nell’anima della figlia la fiammella della fede, e hanno aiutato Chiara a tenerla accesa sempre, anche nei momenti difficili della crescita e soprattutto nella grande e lunga prova della sofferenza”. 3.Novembre, il mese che si apre con la festa di TUTTI I SANTI,è occasione preziosa per sentire la forte chiamata all’ideale della santità,soprattutto per i nostri giovani, tanto entusiasti ma così disorientati. Il nostro Arcivescovo in questo anno pastorale ci invita a guardare a San Carlo Borromeo come modello di santo Pastore e nella sua lettera “Santi per vocazione”, sprona tutti i fedeli dell’Archidiocesi a mettere al centro questa prospettiva. Accogliamola con gioia. Il parroco Don Mauro Don LUIGI GUANELLA: loSPECCHIO prossimo Santo comasco (seconda parte) Padre AGOSTINO GEMELLI ricorda così la figura di DON GUANELLA: “L’opera di don Guanella continua di generazione in generazione ad essere missione di fede e di civiltà. E’ stato servo di tutti”. Dal 1867 al 1875 don LUIGI GUANELLA vive a SAVOGNO, un piccolo borgo di 400 anime, in provincia di COMO, arrampicato a mille metri di altitudine. L’entrata in paese è possibile, ancora oggi, solo con una scalinata di quasi tremila gradini o facendo un lungo giro per sentieri di montagna. È un prete che prega molto, ed è molto attivo nel lavoro. È operaio tra gli operai, impegnato a formare cittadini operosi e cristiani esemplari. È un prete che sta bene con Dio e con la gente. Invia un buon numero di vocazioni a Torino per le opere di don Bosco e del Cottolengo; dissemina le montagne di immagini e cappelle devozionali perché anche le pietre parlino di Dio. E, quando può, si ferma volentieri a scambiare due parole per la strada. Va nelle case degli ammalati per una sosta di interessamento e di conforto. Fa molti chilometri a piedi per visitare i pastori nelle valli vicine. Gli episodi che inquadrano la biografia di DON LUIGI GUANELLA sono senza numero: impegnato in diversissimi settori, vive sette anni in un’attività multiforme ed intensissima che manifesta le novità tipiche dei “santi sociali”. DON LUIGI, come manovale, aiuta ad ingrandire la chiesa ed a rafforzare il piazzale con un muraglione di sicurezza. Provvede all’istruzione degli adulti con una scuola feriale e festiva, di giorno e di sera. Nel 1874 muore papà GUANELLA, dal quale DON LUIGI in famiglia ha imparato a vivere la Fede ed una profonda e spontanea sensibilità nel vedere e nel capire chi era nel dolore e nel bisogno. Poco dopo si inserisce nell’Oratorio di don Bosco, che lo attendeva. Il “periodo salesiano” può essere in realtà con- Nelle vallate lombarde l’unica cosa che a quel tempo non scarseggiava era la povertà. Come a Como in quel tempo, ci sono anche oggi a Guanzate persone anziane o malate, sole e prive di mezzi di trasporto, che devono farsi a piedi la strada fino alle Betulle per un prelievo o per ritirare un referto. Fino a quando i responsabili delle “COSA PUBBLICA” lasceranno che tutto continui così? don Luigi Guanella siderato come un tirocinio per le opere provvidenziali che poi con tanto coraggio avrebbe iniziato a favore dei bisognosi e che gli sarebbero costate molte sofferenze perché “le vie oblique e le timidità non le conobbe mai”. Rimasta vacante la Parrocchia di PIANELLO LARIO, sul lago di Como, don GUANELLA accetta di occuparsene, ma non con la nomina di parroco. Vi giunge nel novembre 1881, poco dopo la morte del parroco don Carlo Coppini che, da giovane, era stata segretario di Mazzini. A Pianello don Luigi inizia la sua opera e fonda la Congregazione Religiosa Femminile delle Figlie di S. Maria della Provvidenza. Nel 1889 don Guanella arriva a Como, grazie anche all’inaspettato supporto del Prefetto che, nonostante le remore anticlericali, ha percepito l’importanza sociale di questa azione caritativa; qualche anno dopo comincia ad accogliere giovani studenti che daranno vita alla Congregazione dei Servi della Carità. Nella casa madre di Como, dedicata alla Divina Provvidenza, si incontrano persone di tutte le condizioni e di tutte le età. È davvero un’”Arca di Noè”, come la chiamano i comaschi, dove quella eterogenea umanità trova un’accoglienza semplice ma dignitosa, capace di vedere nella persona sofferente il volto di Cristo. L’Opera Don Guanella nel 1890 apre a Milano, dove si trova il vescovo mons. Andrea Carlo Ferrari che sostiene don Luigi fin dagli inizi. Nascono asili e Case. Don Guanella è inarrestabile: “La miseria” – diceva – “non bisogna solo soccorrerla: bisogna andarla a cercare. Non ci si può fermare fin che ci saranno poveri da soccorrere”. Il cardinal Ferrari, con il quale si recherà in Terra Santa nel 1902, gli rimane sempre vicino. I primi anni a Como, durante i quali don Luigi deve lavorare per costituire il ramo maschile dei Servi della Carità, sono segnati da grandi difficoltà. Don Guanella reagisce cercando lavoro per i suoi giovani. Purtroppo alcuni ambienti di lavoro sono “covi settari” fortemente ostili alla Chiesa. Don Guanella punta su una elevazione materiale e morale degli ambienti di lavoro. Sempre fiducioso nel sostegno della Provvidenza, non accetta di rifiutare anche una sola persona che bussa alle sue Case. L’attrattiva che ROMA esercita in don Guanella è dovuta alla presenza del Papa ed alle testimonianze sulle origini della Chiesa. Don Guanella muore a 73 anni. Il suo corpo riposa nel Santuario del Sacro Cuore a Como. Il 25 ottobre 1964 il papa Paolo VI lo proclama BEATO. don Luigi 5 LENTE d’INGRANDIMENTO FIACCOLATA NORCIA-GUANZATE Il gruppo a Loreto Il nostro cammino alla volta di Norcia ha avuto inizio domenica 8 agosto da Guanzate e lungo il percorso ancor prima dell’accensione di quella stessa fiaccola che giunse fino a Lourdes già nel lontano 1997, il desiderio di visitare i luoghi natii di San Francesco ci ha spinto a fare una sosta alla Basilica di Santa Maria degli Angeli, ad Assisi. Il viaggio è proseguito, quindi, per Norcia, dove il 10 agosto, presso la chiesa di San Benedetto, nella cripta in cui più di 1500 anni fa vide la luce il santo patrono d’Europa, ha avuto luogo l’ accensione del lume. La sosta successiva è avvenuta a Loreto, nel Santuario della Madonna Nera, dove una Santa Messa è stata celebrata appositamente per la comunità pastorale di Bulgaro e Guanzate e lì la nostra fiammella viva ha trovato ancora la benedizione di padre Marzio, il quale, con la preghiera, ci ha voluto accompagnare nel nostro cammino che è proseguito fino alla chiesa di San Lorenzo in strada, a Riccione; qui siamo stati calorosamente accolti da don Tarcisio e ancora una volta la nostra fiaccola ha portato la propria luce a testimonianza di una fede comune. Si è ripartiti poi per Bologna, e dopo la dura scalata dei nostri ciclisti fino alla vetta del colle San Luca, siamo giunti all’’omonimo santuario, dove, ai piedi dell’altare, la nostra fiamma ha continuato ad ardere. La sosta successiva ci ha atteso ad Ostiglia e li abbiamo trovato ospitalità nell’oratorio messoci a disposizione dal gentile don Bruno. Ed eccoci giunti a Caravaggio dove, dopo aver preso alloggio presso le suore adoratrici del santissimo sacramento, la nostra fiaccola ha trovato accoglimento all’interno del Santuario di Santa Maria del fonte, presso cui l’intera comunità ha ricevuto la visita del vescovo di Bergamo, Francesco. Il viaggio si è concluso con l’arrivo della fiaccola, scortata dai ciclisti e da noi accompagnatori, agli altari delle due parrocchie di cui è costituita la comunità pastorale San Benedetto: a Bulgaro, prima e a Guanzate poi, dove abbiamo partecipato alla messa solenne. Rita Agnetti Il gruppo a Cassina Rizzardi SABATO 13 Novembre 2010 ore 20,00 presso l’Oratorio San Gabriele CENA BENEFICA a favore della CASA di ACCOGLIENZA “IL CORTILE” del SANTUARIO. Menù: per Adulti: Risotto, trippa, formaggi, dolce, caffè acqua e vino => Euro 15.per Bambini/Ragazzi: Pizza, dolce bevande => Euro 5.- 6 LENTE d’INGRANDIMENTO Durante la serata verrà proiettato un video sullo stato dei lavori e ci sarà una lotteria. “Anche tu così” è lo slogan con cui si è aperto ufficialmente l’anno oratoriano sabato e domenica 2-3 ottobre 2010. “Anche tu così” si rifà al brano evangelico del Buon Samaritano tratto da Luca e ci accompagnerà per tutto l’anno 2010-2011. È una sfida soprattutto per gli educatori e gli animatori che saranno chiamati a spingere l’acceleratore sull’amore, “sbloccare” sia la loro vita sia la vita dei più giovani, spesso attirate da modelli che sono contrari alla logica della carità. La Festa dell’Oratorio è iniziata con la Fiaccolata a cui hanno partecipato una ventina di ragazzi che partendo dal Santuario della Madonna del noce di Inverigo, a piedi, sono giunti alla nostra chiesa parrocchiale. La fiaccola vuole rappresentare il cammino di fede di ogni ragazzo, affidato nelle mani del Signore. Dopo la fiaccolata la festa è continuata con la Tombolata in Oratorio, partecipata da tanti ragazzi con le loro famiglie. Il momento più importante della festa è stato domenica mattina con la celebrazione della Messa dove catechisti, educatori, animatori hanno ricevuto il “mandato educatori” di fronte al Signore e alla comunità cristiana. Alla Messa è seguito il pranzo insieme e il giocone……..tutto in un clima di gioia e di festa. Sottolineare la festa dell’Oratorio è importante anche per ricordarci che esso non è solo una struttura voluta per accogliere ragazzi desiderosi di avere uno spazio sicuro per giocare, ma è anche l’ambito privilegiato per aiutare ragazzi, adolescenti e giovani a maturare nel loro cammino di fede e far propria la passione per la Chiesa. Le proposte che l’Oratorio fa per i giovani (catechesi, celebrazioni liturgiche, feste, grandi giochi, gite, oratorio estivo feriale, vacanza estiva, campeggi…) sono strumenti che integrano il cammino formativo dei nostri ragazzi. la loro “umanità” secondo quella di Gesù, introducendoli ad una preghiera più vera sostenendoli nella ricerca, forse difficile ma certamente appassionante, della loro vocazione e missione. Quella rivolta ai giovani è, tra i diversi ambiti della cura pastorale, certamente uno dei più urgenti, complessi e difficili. Eppure questa cura non perde il suo fascino in chi la vive e si impone come un’opera altamente qualificata, capace di dire a tutti noi – più di tante altre realtà – la fede e la speranza di una Chiesa che sa farsi entusiasticamente missionaria trovando sempre nuove strade e nuovi linguaggi. Di tutto questo lavoro educativo, senza citare nessuno sono tante le figure e le attività dei nostri Oratori, vorrei tutti ringraziare. E a tutti vorrei dire di nuovo la mia “E’ davvero consolante sapere gioia per il tanto bene compiuto che la nostra chiesa è tuttora e insieme assicurare la mia impegnata a parlare alle nuove preghiera per coloro che in vario generazioni e continua con le sue modo collaborano a far sì che i migliore energie a prendersi cura nostri oratori diventino luoghi dei bambini, ragazzi, adolescenti e autentici di educazione cristiana.” giovani: li sente amici, li ascolta, dialoga con loro, li aiuta a plasmare Graziana L’Oratorio allora è l’attenzione di una comunità adulta nella fede preoccupata di far incontrare Gesù ai suoi ragazzi. Come non ringraziare tutti gli adulti che senza sostituirsi ai giovani aiutano nel silenzio e nella gratuità l’attività per i piccoli, adulti impegnati nel bar, per le pulizie, per la manutenzione, per l’educazione e l’animazione… Concludo con le parole che il nostro Cardinale ha scritto in occasione dell’apertura dell’anno oratoriano diocesano: 7 a MARIA Due importanti anniversari: MATERNITÀ AD OGNI COSTO? per la VITA Il sessantesimo del dogma dell’Assunta, patrona della Parrocchia e il quarto centenario della canonizzazione di s. Carlo Borromeo, compatrono della Diocesi I Novembre 1950-2010 I Novembre 1610-2010 Sessantesimo anniversario della proclamazione del dogma dell’Assunta. È una data importante che tocca in modo particolare la nostra parrocchia nell’anno in cui si ricordano anche il novantesimo anniversario della consacrazione della chiesa e il trentesimo della consacrazione dell’altare, avvenuta il 3 maggio 1980 con l’intervento del card. Carlo Maria Martini. Si tratta di tre avvenimenti che portano grazia, rinnovata gioia spirituale e fermento religioso. Come non ricordare l’immensa gioia che ha pervaso la nostra comunità parrocchiale e ogni cristiano quel mattino del I Novembre dell’Anno Santo 1950, in occasione della proclamazione solenne del Dogma avvenuta a Roma? Ci si ricorda che anche a Guanzate era una bellissima mattinata: il cielo era particolarmente azzurro e il sole splendente. Alle 8,30 il corteo papale lasciava la Cappella Sistina e davanti a papa Pio XII, portato sulla sedia gestatoria, c’erano centinaia di vescovi in piviale bianco oltre ad una quarantina di cardinali. Il corteo scese fino all’Obelisco e risalì fino al Sagrato. Dopo l’intervento del cardinale Tisserant e nove preghiere, con la folla di fedeli si cantò l’invocazione allo Spirito Santo. Alle 9,45 il Papa, con la mitria d’oro, lesse la bolla di proclamazione e al termine si intonò il “Te Deum”… e le campane di tutte le chiese suonarono a festa lungamente. Quattrocento anni fa veniva proclamato santo il nostro s. Carlo Borromeo. Nominato cardinale a soli 22 anni dallo zio papa Pio IV – fratello della sua mamma Margherita Medici, andata in sposa al conte di Arona, Gilberto Borromeo – fu pastore e guida esemplare per la diocesi milanese, che si estendeva allora su terre lombarde, venete, genovesi e svizzere. Il giovane vescovo visitò questo territorio così vasto nello spirito del suo motto episcopale “Humilitas” (“Umiltà”) formando ospedali ed ospizi, edificando seminari, utilizzando il patrimonio di famiglia a favore anche dei poveri e dei malati, che assistette personalmente durante la peste del 1576. Morì a soli 46 anni, consumato dalla fatica e dalla malattia dopo essersi speso tutto per il bene del popolo a lui affidato. È considerato il grande riformatore che toccò il cuore della gente con la Il cuore di S. Carlo 8 A Roma è venerata una preziosa reliquia del Cuore di San Carlo fin dal giugno 1614. Fu l’allora Arcivescovo di Milano che ne fece dono alla basilica di Roma dedicata ai santi Ambrogio e Carlo. In questo anno centenario saranno ancora più numerosi i pellegrini che si recheranno presso S. La Madonna del Sacro Monte di Varese, già venerata da S. Carlo Carlo al Laurentino, dietro l’altare maggiore, dove c’è l’altare del Cuore di S. Carlo, appositamente costruito. È un cuore pieno di amore per Dio, la Chiesa, la Madonna Madre di Gesù e il Crocifisso, davanti al quale il santo stava in preghiera, in meditazione, in adorazione tante ore e tante notti. S. Carlo volle far erigere sul territorio della diocesi ambrosiana diversi Sacri Monti, sull’esempio di quello di Varallo. Si tratta di edifici sacri che ricordano i luoghi del Calvario, come Arona, Ghiffa, Orta, Ossuccio, Varese. S. Carlo estese anche a Milano i privilegi delle sette Chiese Basiliche Romane a sette chiese di Milano che formano una corona attorno al Duomo, dedicato alla Natività della Beata Vergine Maria. Le sette chiese di Milano sono: S. Eustorgio, S. Lorenzo, S. Ambrogio, S. Vittore, S. Simpliciano, S. Nazaro e S. Stefano. Nella cripta del Duomo di Milano è conservata la croce col Santo Chiodo che il Cardinale Borromeo portò per Milano aprendo la processione penitenziale durante la grande pestilenza. sua testimonianza di vita virtuosa e di preghiera fervida e rigorosa, impregnata di profonda devozione mariana che maturò la Sua Santità e che non mancava di sottolineare nei diversi momenti della giornata e andando pellegrino nei Santuari dedicati a Maria Santissima. Fu anche nel nostro Santuario della Beata Vergine di S. Lorenzo come pastore e pellegrino. Maria Santissima, Regina dei Santi, modello, stampo, formatrice dei Santi aiuti anche noi a diventare Santi. La Beata Vergine di San Lorenzo ci accompagni. diacono Pietro Riportiamo uno stralcio dell’articolo di Giulia Galeotti (giornalista e saggista) pubblicato sul sito di Scienza e Vita. “La notizia, che a lungo ha tenuto banco sui mass-media, è nota: a 54 anni, la cantante Gianna Nannini è in attesa della sua prima figlia (…). Tra i tanti messaggi trasgressivi che ha lanciato durante la sua lunga carriera, negli ultimi anni ne abbiamo ascoltato uno più sofferto, intimo e personale: il cruccio per la mancata maternità (…). Altre donne famose, molte delle quali estremamente appagate sul piano professionale e personale, hanno però confidato questo cruccio. Il primo nome che ci viene in mente è quello di Oriana Fallaci che (…) negli ultimi anni newyorkesi, ripeteva spesso “della mia vita rimpiango una sola cosa, ossia che non ho figli. Volevo un bambino, cercai di averlo, ma troppo tardi, e non ci riuscii”. Più giovane e in salute, la Nannini ha fatto un passo in più rispetto alla sua conterranea. Grazie alle possibilità oggi offerte dalla scienza (… ), abbiamo potuto vedere le immagini pre-maman di Gianna che cammina per le vie di Londra. Nel nostro Paese, la gran parte delle commentatrici ha espresso pareri entusiasti: finalmente anche alle donne è possibile quello che agli uomini è “permesso” naturalmente da secoli, e cioè avere un figlio senza limiti di età. E alcune vicende riportate dai mass media rivelerebbero che anche tra le cittadine comuni, la prassi delle mamme-nonne grazie alla provetta sarebbe ormai una pratica diffusa (sebbene dal 2004 formalmente illegale in Italia). Con profondo rispetto per le ragioni (…) che inducono molte donne a questa scelta, un primo interrogativo è ancora quello della ormai imperante idea che qualunque desiderio vada soddisfatto. Avendone le possibilità economiche, un figlio è un diritto, un bene da sommare e mettere in bacheca, un tassello ulteriore nella trionfale realizzazione personale. Tra l’altro, tutto ciò (…) ha profonde ripercussioni sulla nozione stessa di genitorialità. Come conciliare queste scelte con l’idea dell’amore incondizionato verso un figlio e della gratitudine per la vita che nasce? Cosa ci si aspetta da un bimbo che è stato voluto secondo le proprie personali intenzioni? Non solo, ma in questa legittimazione di ogni desiderio, in questo ennesimo (presunto) tassello di auto-determinazione, non si intuisce forse un messaggio un po’ misogino, quello cioè che una donna per essere realmente completa e trionfante, debba necessariamente anche essere madre? Ancora una volta, il grande paradosso (agli occhi del mondo laico, quanto meno) è che, alla resa dei conti, il più femminista di tutti risulta il messaggio della Chiesa, da tempo convinta che un tassello cruciale dell’identità femminile sia la capacità di cura, di apertura al prossimo, in una parola, la maternità, non intesa però in senso meramente fisico e concreto, ma come maternità spirituale. (…) Convinte che non siamo assolutamente nate e nati per soffrire, e che il dolore sia un aspetto contro cui le persone debbano giustamente combattere, esso però non può essere semplicemente spazzato via a costo zero, qualcosa da anestetizzare ed estirpare grazie alla tecnologia e alla scienza, come invece la società di oggi tende a fare (...). La sofferenza per una mancata maternità v’è sempre stata. (…). E le donne hanno saputo reagire, costruendovi sopra esistenze piene e ricche, elaborando vie alternative, indirizzando quell’amore e quel profondo anelito alla cura verso altri progetti. Perché la maternità è molto di più, è ben altro rispetto alla ciliegina sulla torta di una vita che ambisce ad essere completa e felice. Prima ancora che per rispetto verso il prossimo, è una questione di rispetto di sé. Questo è davvero il messaggio più femminista di tutti.“ A cura di SCIENZA & VITA BASSA COMASCA (R.M.G,) Gruppo locale Bassa Comasca [email protected] www.scienzaevita.org 9 PRIMO PIANO Santa GIANNA BERETTA MOLLA e il segreto della felicità L’immagine che, normalmente, mi si presentava quando sentivo parlare dei Santi era quella di persone molto religiose, con una vita fatta di rinunce, sacrifici e sofferenze. Figure “toste”, curiose e simpatiche ma lontane dalla reale quotidianità. Modelli da imitare, a parole, ma da prendere con le debite distanze, nei fatti. L’incontro con la figlia e la sorella di Santa Gianna Beretta Molla è stata l’occasione per rivedere e correggere la mia stereotipata idea di santità. La vita della Santa può essere paragonabile all’utilizzo di un navigatore. Quest’ultimo è un dispositivo progettato per assistere il conducente di un’auto, indicandogli il percorso da seguire per raggiungere la destinazione impostata. Quando lo si usa, soprattutto se ci si trova in un posto completamente sconosciuto, ci si affida totalmente alle indicazioni che esso fornisce. I genitori di Santa Gianna erano terziari francescani cappuccini e preghiera (Santa Messa al mattino e rosario alla sera),dialogo e attenzione agli altri (soprattutto i poveri) costituivano i pilastri fondanti di ogni loro giornata. Gianna, dunque, ricevette dalla famiglia un navigatore particolare per la sua vita: la Fede. La meta impostata: vivere la propria realtà come vocazione alla felicità che la fede dona. Durante gli Esercizi Spirituali con i quali aveva intrapreso il cammino per conoscere la sua Vocazione, così aveva pregato: “Gesù, ti prometto di sottopormi a tutto ciò che mi permetterai mi accada. Fammi solo conoscere la tua volontà”. E rivolgendosi alle ragazze di Azione Cattolica diceva: “Ci sono tante difficoltà, ma con l’aiuto di Dio dobbiamo camminare sempre senza paura, che, se nella lotta per la nostra vocazione dovessimo morire, quello sarebbe il giorno più bello della nostra vita”. Nel suo viaggio ha incontrato tratti “a pedaggio” così come strade “panoramiche”. I primi hanno rappresentato le prove e le difficoltà: la morte della sorella Amalia, la salute cagionevole, i 10 frequenti cambi di residenza; la fatica dello studio, la malattia e la morte dei genitori. Le seconde, invece, le cose belle che la circondavano: le montagne, i viaggi, i balli, l’arte nell’espressione della musica e della pittura. Non mancò anche un’apparente temporanea perdita di segnale del suo navigatore, quando la via che stava percorrendo cominciò a presentare una serie di diramazioni sulle possibili scelte di vita. Pensò inizialmente di seguire l’indicazione che l’avrebbe portata a diventare missionaria laica in Brasile per aiutare il fratello padre Alberto, medico missionario cappuccino a Grajaù. Ma la sua costituzione fisica non era robusta, e il suo direttore spirituale riuscì a convincerla che quella non era la sua strada. Gianna allora pregò e fece pregare perché il Signore le indicasse la Via. Tante le tappe verso la meta: l’impegno di apostolato nell’oratorio e nell’Azione Cattolica, la carità verso i vecchi e i bisognosi nelle Conferenze di S.Vincenzo, la laurea in medicina e la sua professione di medico, che sentiva e praticava come una missione. A tal proposito scrisse: “Tutti, nel mondo lavoriamo in qualche modo a servizio degli uomini… Noi medici direttamente lavoriamo sull’uomo… Gesù ci direbbe chi è l’uomo. Non è solo corpo: in quel corpo c’è un pensiero, una volontà, che è capace di andare incontro alla sofferenza…C’è nel corpo uno spirito e, come tale, immortale… Noi abbiamo delle occasioni che il sacerdote non ha. La nostra missione non è finita quando le medicine non servono: c’è l’anima da portare a Dio…”. Fu il matrimonio il percorso che il Signore le indicò e, per prepararsi a ricevere il Sacramento dell’Amore, Gianna e Pietro fecero un triduo di preghiera. Gianna scrisse al futuro marito: “La Madonna unirà le nostre preghiere, desideri, e poiché l’unione fa la forza, Gesù non può non ascoltarci ed aiutarci”. Come moglie prima, e madre poi, ella seppe mantenersi fedele a quello che Gesù le aveva “preparato”. Una fedeltà che ha trovato risposta anche sul calvario. Consapevole infatti che la vita è un dono ricevuto da Dio, dona a sua volta la propria vita per la nascita della figlia Emanuela.“Non si può amare senza soffrire e soffrire senza amare. Guardate alle mamme che veramente amano i loro figli, quanti sacrifici fanno! A tutto sono pronte, anche a dare il proprio sangue…”. Coerente alle parole che aveva rivolto tempo prima alle ragazze di Azione Cattolica, Santa Gianna non ha cambiato la meta del suo navigatore testimoniando che in ogni Sì detto a Dio sta il segreto della Felicità. …Oggi, l’immagine che mi si presenta quando sento parlare dei Santi e della santità è quella di persone profondamente innamorate di Dio, della Vita e dell’Uomo. Un amore che si alimenta con la preghiera e i sacramenti (in particolare l’Eucaristia) e che si dona agli altri, a iniziare da coloro che il Signore ci fa incontrare sulle strade della nostra quotidianità. Che Santa Gianna aiuti ciascuno di noi a impostare il proprio navigatore verso la fedeltà ai propri compiti ed impegni, in risposta a quella Vocazione particolare a cui ognuno è chiamato, alla scoperta del segreto della Felicità. Sabrina Galli “Tutto posso, di tutto son capace in Colui nel quale è la mia forza” (Fil 4,13) I fatti di questi ultimi tempi e le nostre vicende personali ci lasciano spesso con una domanda inquietante. L’assassinio di Avetrana, la violenza futile al tassista di Milano o la morte dell’infermiera rumena a Roma, la morte dei nostri alpini in Afghanistan o la più vicina scomparsa di un parente caro, la scoperta di una grave malattia, la morte “inaccettabile” di un bambino, l’abuso sui minori, la sofferenza, la depressione dilagante... Dove è Dio in queste vicende? Che senso ha la vita di fronte a questo male? Ci sentiamo disarmati, soli, come i due orfani nella bellissima poesia di Pascoli riportata nel riquadro. Se non c’è qualcuno che si compiace di noi e ci perdona, la solitudine, la paura, la sofferenza diventano insopportabili. Ma ognuno sta davvero solo sul cuor della terra, trafitto da un raggio di sole, come scriveva Quasimodo?. No! Non è così! “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”(Mt 28, 20). Gesù è venuto a farsi giudicare, torturare, insultare e crocifiggere come l’ultimo dei banditi per noi perché “di un amore eterno ti ho amato, avendo pietà del tuo niente.” (Ger 31,3). Non si dimentica di nessuno, “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio del suo seno? Anche se ci fosse la donna che si dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai” (Is 49, 15). Come potremmo essere lasciati soli con le nostre miserie da Colui che ha detto “prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato.” (Geremia 1, 4-5) e “anche i capelli del vostro capo sono tutti contati” (Luca 12:7) Allora, il nostro lavoro personale è il riconoscere quanto è dinnanzi ai nostri occhi, è attraverso il riconoscimento del riaccadere di Cristo nella nostra vita, che ogni circostanza, dalla più triste alla più felice, acquista un senso, una sua bellezza, anche la sofferenza, anche la morte. Un tramonto in questi chiari giorni d’autunno, un albero con le sue foglie fiammeggianti pronte a cadere al primo alito di vento, oppure la testimonianza di papà Castagna che con il Padre Nostro perdona gli assassini della moglie, della figlia e del nipote, o della vedova Coletta che fa’ lo stesso con gli assassini del marito in Iraq. Riconosciamo Cristo nella vita della beata Chiara Luce che muore a 20 anni di un osteosarcoma con il sorriso sulle labbra, ripetendo “Se lo vuoi tu, Gesù, lo voglio anch’io” dedicando le proprie sofferenze al completamento delle sofferenze di Cristo o nell’opera di padre Aldo Trento che in Paraguay accoglie i barboni malati terminali per farli vivere e morire da re con Cristo vicino o i bambini abusati fin dalla nascita a cui si propone come padre in virtù di un Padre più grande... Sono esempi di testimoni che ci ricordano che c’è un oltre al di là di una realtà immediatamente sperimentabile, che la giustizia, la vita, la bellezza sono possibili grazie a questo oltre. La domanda diventa perciò: chi sei Tu che ti riveli qui, adesso, in questo dolore, in questa malattia, in questa contrarietà, in questo lavoro che non PRIMO PIANO vorrei fare, in questa situazione che non ho cercato? Francesco Gringeri “i DUE ORFANI” (Giovanni Pascoli) Fratello, ti do noia ora, se parlo?» «Parla: non posso prender sonno». «Io sento rodere, appena...» «Sarà forse un tarlo...» «Fratello, l'hai sentito ora un lamento lungo, nel buio?» «Sarà forse un cane...» «C'è gente all'uscio...» «Sarà forse il vento...» «Odo due voci piane piane piane...» «Forse è la pioggia che vien giù bel bello». «Senti quei tocchi?» «Sono le campane». «Suonano a morto? suonano a martello?» «Forse...» «Ho paura...» «Anch'io». «Credo che tuoni: come faremo?» «Non lo so, fratello: stammi vicino: stiamo in pace: buoni». II «Io parlo ancora, se tu sei contento. Ricordi, quando per la serratura veniva lume?» «Ed ora il lume è spento». «Anche a que' tempi noi s'aveva paura: sì, ma non tanta». «Or nulla ci conforta, e siamo soli nella notte oscura». «Essa era là, di là di quella porta; e se n'udiva un mormorìo fugace, di quando in quando». «Ed or la mamma è morta». «Ricordi? Allora non si stava in pace tanto, tra noi...» «Noi siamo ora più buoni...» «ora che non c'è più chi si compiace di noi...» «che non c'è più chi ci perdoni». 11 PRIMO PIANO UN ARGOMENTO SCOMODO Parlare della morte è un argomento scomodo. Nella nostra società tendiamo a negarla, a rimuoverla, perché di fronte ad essa la razionalità rassicurante dell’uomo contemporaneo crolla e, incapace di fugare ansie e paure, si rivela inutile di fronte a un evento imprevedibile, inquietante, inevitabile. Non potendo “guarire la morte”, la rifuggiamo, illudendoci che basti non pensarci per esorcizzarla. La frenesia delle attività quotidiane, la ricerca sfrenata del piacere, il giovanilismo esasperato (con interventi estetici annessi), l’esercizio del potere e il conseguente senso di onnipotenza sono, inconsciamente, potenti anestetici con cui soffochiamo il disagio di un pensiero sconvolgente. Non temiamo la morte-spettacolo della televisione, le uccisioni che vediamo al telegiornale, perché le sentiamo lontane, anonime. Temiamo la morte “dell’altro”, sia pure uno sconosciuto, se ci è vicina, perché ci riguarda comunque direttamente: il pallore cereo di un corpo senza vita, ci turba, perché ci ricorda il nostro essere mortali. La paura è proporzionata alla vicinanza affettiva della persona deceduta, il cui trapasso avviene molto spesso in un asettico letto d’ospedale: ambiente spersonalizzante, dove volti anonimi e il freddo abbraccio dei tubi delle apparecchiature scientifiche sostituiscono il calore confortante dei parenti; barriera psicologica che consuma l’intimità fra il morente e i familiari e blocca l’espressione delle emozioni legate al momento del trapasso. Fino ad alcuni decenni fa, la morte era un evento socialmente condiviso attraverso riti comunitari da cui non venivano esclusi i bambini. I rintocchi prima dell’agonia e poi della morte, la vestizione del defunto, la 12 veglia funebre, il funerale, il lutto e il mezzo lutto, le messe di suffragio, tutto veniva condiviso e serviva a rendere la morte un fatto naturale, benché tragico e straziante. La partecipazione attiva della comunità costituiva un supporto psicologico importante per i parenti che avevano subito la perdita. Oggi il lutto è vissuto in totale isolamento. Dopo il funerale ognuno torna frettolosamente alla vita abituale che impone efficienza e ritmi rapidi, a scapito della condivisione dei senimenti. L’evento più drammatico, credo, sia la morte di un figlio, poiché è contro natura: il nostro investimento sul futuro, il continuum che dà senso alla nostra vita viene improvvisamente a mancare. La nostra missione parentale è in qualche modo fallita. “E t’amo, t’amo, ed è continuo schianto”: è il grido straziante del poeta Ungaretti -dedicato al figlio morto a soli 9 anni- che, meglio di qualsiasi altra espressione, rende lo stato d’animo di un genitore che vive la lacerazione dell’ultimo addio. La morte di qualsiasi familiare è sempre un evento tragico, caratterizzato da un intenso dolore psichico. Si passa dallo shock per l’evento traumatico, alla negazione (è solo un sogno!), alla rabbia per il destino avverso, alla ribellione nei confronti di Dio di cui si mette in discussione la bontà e la provvidenza, ai sensi di colpa, al rimorso per gli errori, per le ferite inferte, per gli atti omissivi. Segue il processo di “idealizzazione”: l’immagine del defunto è ripulita dai difetti, dalle mancanze, la sua memoria purificata. Non manca chi, incapace di gestire il vuoto affettivo, si abbandona a comportamenti discutibili, poco consoni al periodo del lutto. Normalmente, dopo l’alternarsi di momenti depressivi e sprazzi di serenità, si arriva all’accettazione della perdita, all’adattamento, e la rinnovata forza interiore permette di ricominciare a vivere. Poiché l’evento del morire proprio o di un familiare, al di là delle cause che lo determinano, è un’esperienza ineludibile, il rimedio alla paura della morte non è rimuoverla, ma pensarla con consapevolezza, costantemente. Potremo guardare fiduciosi “oltre la soglia” se, nel momento supremo, il bilancio della nostra esistenza e delle relazioni parentali e amicali sarà positivo. L’Amore (a-mors = senza morte), che saremo stati in grado di donare, sarà il ponte fra la vita e la vita eterna, sarà la sola eredità non deperibile che tutti possiamo lasciare. Allora, periodicamente, sarebbe buona cosa “aprire l’armadio della nostra vita” e mettere ordine dentro noi stessi e nei legami affettivi. La credenza in una vita ultraterrena è il cono di luce che dà significato alla morte. Nel tempo, più o meno lungo, che ci è concesso di vivere, possiamo scegliere fra tante forme di libertà. Una sola è la libertà massima: la libertà dalla morte. Cristo la realizza nella sua resurrezione; Cristo precede la nostra resurrezione. Affrontiamo l’inquietudine esistenziale col coraggio della fede: l’ultima Porta non si spalancherà sul Nulla. Carmen Taiana Quando ci siete passati accanto, sulle nostre strade, non vi abbiamo riconosciuto come Santi del Signore. Forse vi abbiamo anche deriso perché vi giudicavamo antiquati, perché non correvate dietro alle mode come noi. Forse vi abbiamo osteggiato perché osavate ripeterci una parola che ci scomodava. Eppure, anche se vi siete fermati a prendere un caffè nel bar della piazza, ora siete perle splendenti che formano le mura della Gerusalemme celeste; siete insieme agli Angeli i cantori del Paradiso. Molti di noi si chiamano perfino con il vostro nome: segno che siete le uniche persone degne di essere ricordate e di cui nessuno si vergogna. Volgete il vostro sguardo verso di noi e soccorreteci perché abbandoniamo ogni stoltezza e cominciamo a percorrere la strada delle beatitudini come avete percorso voi sì da meritare un giorno di essere partecipi della vostra gioia. Insegnateci che la santità è possibile anche per noi e che si realizza non nel fare cose straordinarie, ma nel fare in modo straordinario le cose ordinarie di ogni giorno, come fa Dio che fa sorgere il sole ogni giorno sempre dietro allo stesso monte. Amen. (AVERARDO DINI) LENTE d’INGRANDIMENTO LA SCUOLA DELLA PAROLA suscitano in me i fatti, i personaggi, i discorsi del testo), l’oratio (cosa rispondo al Signore di fronte a queste suggestioni del testo), infine l’actio (quale passo concreto mi suggerisce di compiere nella mia vita il testo). L’obiettivo del percorso, e sinceramente penso che occorrano In questi ultimi decenni nella Chiesa più anni per acquisire una certa dimestichezza, è quello di consegnare e soprattutto nella nostra diocesi, delle indicazioni efficaci, affinché grazie all’impulso dato dal Cardinal la lettura autonoma e quotidiana Martini, si sta proponendo il metodo della Parola (compresa e meditata) della lectio divina (lettura della s’incarni nella concretezza della vita Parola). del credente. Per accostarsi a questa modalità di preghiera, nel nostro decanato Nell’ultimo ciclo noi partecipanti siamo stati invitati a ricalibrare, da alcuni anni, viene proposta per lasciandoci guidare dal percorso gli adulti, con la collaborazione spirituale compiuto dal profeta Elia dell’Azione Cattolica diocesana, la nella sua vicenda terrena, la nostra Scuola della Parola. Gli incontri, con cadenza mensile, idea di Dio e della fede, abbandonando aiutano il fedele ad accostarsi al testo biblico per quelle posizioni o modi di pensare poco autentici che trarne un’occasione di preghiera. Ogni incontro a volte ci costruiamo. prevede quattro momenti: la lectio (cosa dice il testo), la meditatio (cosa dice a me il testo, quali risonanze Cristian Zaffaroni Come alimentare la propria vita spirituale? Quale strumento di preghiera praticare, quando le tradizionali formule diventano meno significative? Dove trovare risposte alla domanda del discepolo:“Signore, insegnaci a pregare”? 13 ANDATE per LE STRADE “LA VITA E’ UN’ AVVENTURA, RISCHIALA“ (Madre Teresa di Calcutta) “MEDICI SENZA FRONTIERE” è un’organizzazione umanitaria, non governativa, che fornisce assistenza sanitaria alle popolazioni la cui sopravvivenza è minacciata da guerre, epidemie, catastrofi, malnutrizione, indipendentemente da razza, religione o credo politico. Angelo ne fa parte dal 2002. Ciao, Angelo, presentati ai nostri lettori Mi chiamo Angelo Rusconi, sono un operatore umanitario di Medici Senza Frontiere. Sono di Cirimido, ma attualmente vivo a Caslino. Vengo da un mondo associazionistico di volontariato. Dopo la scuola superiore, come obiettore inviato dalla Caritas di Milano, ho lavorato in una casa di accoglienza per gravi emarginati sociali: gente senza fissa dimora, ammalati di aids, stranieri senza permesso, ex carcerati. E’ stata un’esperienza difficile, forte, ma arricchente. 14 Dopo il servizio militare come obiettore cos’hai fatto? Ho iniziato a lavorare, ma contemporaneamente facevo attività di volontariato nell’area comasca: ad esempio ho prestato servizio nel dormitorio di Como. La voglia di conoscere altre realtà, di uscire dagli orizzonti un po’ limitati del mio paese, mi ha spinto a fare alcuni mesi di volontariato in Africa e in sud America: Bolivia, Perù e Guatemala. Ho incontrato tanta gente, ho conosciuto persone che considero i miei maestri di vita, che mi hanno insegnato a salire i gradini della scala di un percorso di crescita individuale che non si esaurisce mai. La famiglia ha in qualche modo influenzato le tue scelte? Sicuramente la famiglia mi ha dato un forte “imprinting”. Sono l’ultimo di 5 fratelli: 2 fratelli hanno trascorso alcuni anni in Africa con i servizi internazionali di volontariato e attualmente 2 fratelli vivono in una comunità di accoglienza, rispettivamente a Milano e a Firenze. Come sei approdato all’organizzazione Medici Senza Frontiere? Non ero completamente soddisfatto delle esperienze fatte, volevo essere parte integrante di un sistema, avere un progetto più ampio da condividere con altre persone. Tramite internet ho chiesto di far parte di M.S.F. Ho superato un test di professionalità e uno psico-attitudinale, atto a verificare se ero in grado di lavorare con altre persone in contesti difficile. Quindi ho partecipato a un corso di addestramento in Spagna. Tu non sei un medico, di che cosa ti occupi ? Gli attori principali della nostra organizzazione sono i medici e gli infermieri, però devono essere messi in condizione di poter lavorare. Il logista, come me, si occupa dell’allestimento di nuovi ospedali o della trasformazione in ospedale di vecchie strutture, come le scuole; della fornitura dell’acqua o della potabilizzazione della stessa in situazioni di emergenza; insomma di tutto ciò che serve perché i medici possano operare. A gennaio di quest’anno, ad Haiti, l’isola caraibica distrutta dal terremoto, abbiamo allestito un ospedale gonfiabile ( proprio come i giochi dei bambini), trasportato da un cargo. Esiste da tre anni: è stato progettato da un’equipe di esperti a Parigi, ma realizzato in Italia. In soli 4 giorni abbiamo potuto disporre di una struttura ospedaliera di 100 posti letto. Qual è stata la tua prima esperienza in M.S.F.? In Afghanistan, nel 2002, per 6 mesi. La guerra stava finendo. Abbiamo riabilitato un ospedale bombardato dai talebani e costruito 3 piccoli ambulatori in località sperdute, fra le montagne. Contrariamente a quello che vediamo in televisione, l’Afghanistan è una delle terre più belle, più affascinanti che abbia mai visto. La realtà umana è complessa: il contesto culturale, sociale, religioso è molto diverso dal nostro; la gente vive in un clima di fondamentalismo. Mi è sembrato di essere stato catapultato indietro nel tempo di 600 anni! All’inizio ho provato una sorta di timore, poi parlando e lavorando con gli afgani mi sono accorto che, rispettando le loro tradizioni, si può costruire un ponte, si possono stringere amicizie. Hai operato in situazioni difficili. Hai mai avuto la sensazione di rischiare la tua vita? Chiunque va a lavorare ogni mattina a Milano, in tangenziale, rischia! Le statistiche della nostra organizzazione ci dicono che la mortalità dei nostri operatori è dovuta principalmente a incidenti stradali. Quando operiamo in situazioni critiche l’attenzione alla sicurezza è molto alta. Attualmente M.S.F. sta gestendo 400 progetti di salute in 70 paesi. Il 43% dei progetti è in zone tranquille. Ho avuto la percezione del rischio in Liberia, quando stava finendo la guerra, o la seconda volta che sono stato in Afghanistan per una missione esplorativa: l’obiettivo era verificare quale accesso alle cure avevano le mamme e i bambini piccoli in una zona che rimane isolata anche per 4 mesi all’anno a causa della neve. Ho raggiunto posti dove non avevano mai visto uomini bianchi, dove la prima macchina che vedevano era la nostra. Parlaci di altre tue esperienze Sono stato in Pakistan, per l’emergenza terremoto, in una zona di guerra del Kashmir, contesa fra India e Pakistan. Sono stato in Niger per un’emergenza nutrizionale dovuta alla carestia. Abbiamo aperto un centro per bambini malnutriti. Siamo andati a recuperarli nel deserto con un sistema capillare di ambulanze: alcuni, ancora in grado di nutrirsi, sono stati alimentati con un cibo terapeutico; altri più gravi (quando il bambino scende molto al di sotto della soglia del peso minimo, rifiuta il cibo) sono stati reidratati. In Angola siamo riusciti a contenere l’epidemia di colera, la più grave degli ultimi 30 anni. In Somalia, dove da 21 anni non c’è un governo, non ci sono scuole, non c’è un tessuto sociale, abbiamo aperto un ospedale preparando il personale infermieristico del posto, nonostante le grandissime difficoltà logistiche. Come venite accolti dalla popolazione locale? Generalmente siamo ben accolti dalla gente che riconosce le nostre auto, i nostri giubbetti. Qualche volta abbiamo problemi con i governi. In Darfur nel 2008, dove ci eravamo recati per riaprire una struttura sanitaria, ho dovuto mediare con i soldati dell’esercito perché smettessero di violentare ogni notte le donne del villaggio. Hai vissuto situazioni particolarmente toccanti emotivamente? Sì. In Liberia un bambino che stavo portando in ospedale per una trasfusione mi è morto in macchina. Al centro nutrizionale dove lavoravo, morivano circa 6 bambini al giorno! Ci sono momenti di grande frustrazione! E poi ci sono momenti di grande gioia: ad Haiti abbiamo salvato un bambino (forse di un anno..difficile dire l’età quando sono malnutriti!) trovato nella spazzatura, dove i topi avevano già cominciato a mangiargli le dita. Ancora in Liberia, grande la soddisfazione quando riuscivamo a portar via i bambini dalle zone controllate dai ribelli. Le gratificazioni sono certamente superiori alle frustrazioni. Ti senti bene quando riesci a restituire a un bambino malnutrito, a una persona malata, a un povero la dignità di essere umano. Comunque per fare il bene, bisogna “operare bene” e perciò è molto importante saper controllare le emozioni. Occorre professionalità, concentrazione e lucidità mentale. Di fronte alla sofferenza, soprattutto al dolore innocente dei bambini, non ti sei mai chiesto dov’è Dio? Sì, io sono credente, ma certe situazioni strazianti ti interrogano sulla tua fede. Però ho incontrato chi mi ha dato una spiegazione forte: Dio è nelle persone che cercano di cambiare le cose, Dio usa dei tramiti. Se tutta la gente fosse di buona volontà, il mondo sarebbe migliore. Per concludere, che cos’è per te il volontariato? Il volontariato per me è sostanzialmente un “andare incontro” alle persone, è un tentativo di ridistribuire le risorse che noi abbiamo in abbondanza, per darle a chi non ha neppure il minimo per la sopravvivenza. a cura di Carmen Taiana 15 NerO su BIANCO Il Vangelo del curato d’Ars (San Paolo Edizioni) cuore di un prete che “parlò di Dio con tutta la sua vita”. E quale modo migliore se non quello di abbinare stralci delle sue omelie alla gente ai brani stessi del Vangelo che egli commentava? In questo testo sono tradotte le sue omelie dal francese all’italiano, per opera di un nostro sacerdote diocesano don Carlo Travaglino, parroco di Cabiate, profondo conoscitore della lingua e del santo di Ars. E’ sorprendente imbattersi nella lettura che tocca l’anima di chi la accosta, e fa giungere alla conclusione che la vera leggenda da sfatare è quella di essere di fronvolessero far prete.... Ma come spesso accade, dietro l’intonaco sta il te a un santo ignorante. muro che regge una vita e un senso: il Curato Ma ci possono essere d’Ars era soprattutto un prete e un uomo di fede. santi ignoranti? In questo libro il lettore, pur ritrovando qualche passaggio della storia e della leggenda dell’uomo don Mauro Vianney, sarà condotto soprattutto a conoscere il Del curato d’Ars, Giovanni Maria Vianney, si conoscono poche cose e, spesso, superficialmente: il fatto che stava in confessionale fino a 16 ore al giorno; il fatto che combatteva con un diavolo da lui stesso soprannominato Grappino (Uncino, Arpione); il fatto che fosse ignorante e che, per questo, non lo Bianca come il latte rossa come il sangue (edizioni mondadori) Leo è un sedicenne vivace ed estroverso. La sua vita è condita di musica, “cinquantino” e calcetto. Vive di emozioni. Le consuma e si culla nel sogno idilliaco in cui lui (sé stesso) e lei si fondono in un’unione perfetta. Lei si chiama Beatrice, ha i capelli rossi e Leo la trova bellissima. Un giorno il sogno si incrina: Leo viene a sapere che Beatrice è malata. Leucemia. Leo decide di rimanerle accanto. Vuole farle sentire il proprio amore, vuole farla guarire; ma la malattia progredisce e Beatrice si fa sempre più pallida: bianca come il latte. E un giorno… 16 Scritto con la vivacità del linguaggio di un adolescente, non privo di arguzie, a tratti buffo, a tratti amaro: il romanzo “Bianca come il latte rossa come il sangue” di Alessandro D’Avenia si fa leggere volentieri e riesce a raccontare una storia potenzialmente lacrimosa o stucchevole con sobrietà e intelligenza. Si racconta di un percorso di crescita: col tempo vediamo Leo diventare più maturo ma soprattutto più consapevole del legame con gli altri. Confrontandosi col dolore della persona amata si pone domande nuove sulla propria vita; affrontando la debolezza di Beatrice si confronta con la propria vulnerabilità; perseguendo un sogno d’amore idilliaco trova un modo d’amare reale. Aprendo gli occhi sul prossimo acquisisce, alla fine, una diversa immagine di sé. Giova notare che, a partire dalla scoperta della malattia di Beatrice, nella vita del ragazzo e nel romanzo emerge con prepotenza il tema del dolore. Dalla questione del dolore si fa strada una domanda di senso che alla fine – fatto non comune per un’opera di narrativa “laica” – porta il protagonista ad interrogarsi seriamente sulla fede e su Dio. Naturalmente il lettore non assisterà ad una conversione alla sant’Agostino o alla san Paolo, ma certamente emerge il messaggio che, anche in un contesto culturale in cui la parola umana non riesce – per suo limite? per incapacità di farsi comprendere da parte di chi parla? per sordità di chi ascolta? – a veicolare la Parola, quest’ultima può farsi strada attraverso le pieghe dell’esperienza umana. Andrea Fusi “IL CORTILE, ALL’OMBRA DEL SANTUARIO” la PARROCCHIA di relazioni che garantiscano da un lato il necessario appoggio alle famiglie ivi residenti, dall’altro fare in modo che il Progetto non sia fine a se stesso ma che venga sentito da tutti i guanzatesi come la concreta e visibile realizzazione del comandamento evangelico del “farsi prossimo”. Questa rete di famiglie, quindi, per definizione è destinata ad ampliarsi e ad aprirsi a chiunque senta il desiderio di accoglienza e condivisione. In quella bella domenica di festa, allietata anche da un bel sole caldo, in mezzo ai tanti banchetti ce ne era uno ben visibile nel quale abbiamo presentato nei particolari il Progetto. Spiccavano tra la folla anche i caschetti colorati forniti a tutti coloro che hanno voluto visitare il cantiere, per toccare con mano lo stato di avanzata realizzazione dei lavori. A piccoli gruppi, abbiamo portato le persone all’interno del cantiere dove, con gran pazienza e maestria, i progettisti e direttori lavori si sono prestati a fornire Domenica 12 settembre, in occasione della Festa tutte le spiegazioni del caso. Più di una persona è del Santuario, abbiamo colto l’occasione per far uscita dal “tour” contenta di aver visto con i propri conoscere, ai guanzatesi e non, quel sogno in fase occhi il famoso Progetto per il quale da tempo si sta di realizzazione e che presto diventerà realtà, che prodigando il nostro don Mauro e le varie commissioni è il Progetto di accoglienza denominato “Il Cortile, appositamente costituite. Il Cortile ha bisogno di tutti perché il Cortile è di tutti all’ombra del Santuario”. Il Progetto prevede la creazione di uno spazio noi ! protetto, appunto il Cortile, ove accogliere nuclei monoparentali in stato di necessità: mamme con bambini che, accompagnate dai servizi sociali, stanno portando a termine il loro percorso verso l’autonomia. La “protezione” di questo spazio sarà garantita dalla presenza costante di altre figure, sotto brevemente descritte. Nel Cortile verranno a vivere tre famiglie che per vocazione hanno scelto di vivere insieme in una piccola Comunità. Se da un lato le mamme “ospiti” saranno seguite da un team di esperti messo a disposizione dalla Cooperativa “Le Querce di Mamre”, dall’altro potranno godere della presenza rassicurante e costante delle famiglie suddette (chiamate “Casa Betania”). A completare il quadro, nel Cortile ci sarà la nuova sede della Caritas guanzatese. La Parrocchia – primo promotore e finanziatore del Progetto – sarà presente, oltre che con la Caritas, attraverso un gruppo di famiglie (“Famiglie in rete”) alle quali è affidato il compito di costituire una rete 17 la PARROCCHIA La spontaneità del prendersi cura Come e perché una famiglia si trasferisce nel “Cortile” A meno di un anno dalla prevista apertura di “Il Cortile” i lavori edilizi fervono; e tuttavia il cuore dell’iniziativa saranno – ovviamente – le persone che vi verranno ospitate e quelle che dedicheranno loro il proprio tempo. Fra queste vanno annoverate, in primo luogo, le tre coppie che risiederanno permanentemente nella struttura. Elena e Alessandro Casale sono una di queste coppie, insieme a Marzia con Emanuele e Roberta con Paolo. Per capire meglio come si stanno preparando e con che spirito affronteranno questa sfida abbiamo posto loro alcune domande. Visita al cantiere in occasione della Festa del Santuario 18 Da dove è nata la vostra disponibilità a trasferirvi presso “Il Cortile” come famiglia residente? È nata diversi anni fa, quando abbiamo iniziato a desiderare uno stile di vita familiare aperto e accogliente che coinvolgesse ogni gesto quotidiano e non fosse limitato al poco tempo che possiamo dedicare ad esperienze di volontariato. Abbiamo intravisto la possibilità di vivere più felicemente il nostro essere famiglia se affiancati da altre famiglie con le quali condividere la fede e la vita di ogni giorno. Il percorso per la realizzazione di una Comunità di famiglie ci ha condotti al progetto de “Il Cortile” ed in esso abbiamo trovato l’occasione per concretizzare quel progetto di amore e servizio vissuto nella quotidianità, senza cercare imprese eroiche. Come vi state preparando al vostro compito? Avete seguito dei corsi formativi a livello di assistenza pratica, psicologica, pedagogica etc.? I cammini di condivisione e di mutuo aiuto condotti in questi anni ci hanno aiutato a comprendere le nostre risorse, le nostre fragilità e allo stesso tempo le difficoltà e le gioie dell’essere di aiuto a qualcun altro. Vorremmo, però, fare una precisazione. È ormai diffuso nel comune pensare che prendersi cura del proprio prossimo sia divenuto un compito assolvibile solo da chi è in possesso di competenze tecniche e specialistiche adeguate; prendersi cura dell’altro, invece, è un’azione connaturale all’agire umano. Il Cortile richiama proprio a questa spontaneità del prendersi cura, perché ricorda la vita dei cortili lombardi dei secoli precedenti dove le persone si sostenevano reciprocamente nei quotidiani compiti della vita ordinaria. Il desiderio di vivere in una Comunità di famiglie è il nucleo dell’esperienza che vivremo all’interno del Cortile per sperimentare l’accoglienza reciproca nelle dinamiche di confronto e di condivisione, per dare concretezza a questa prossimità cristiana a cui tanto aspiriamo. Pensiamo che essere parte di una rete più ampia (e pensiamo anche ad altre famiglie della comunità pastorale) fortifica la famiglia, innanzitutto, nell’assolvimento dei propri compiti ordinari e, in secondo luogo, la pone in condizione di essere di aiuto al bisogno degli altri. Avete già avuto esperienze di volontariato nell’ambito del supporto a famiglie in difficoltà? Anche se abbiamo esercitato o tuttora svolgiamo delle professioni di aiuto a persone in difficoltà, crediamo che questo bagaglio di esperienze – pur importante – non sia un requisito indispensabile per abitare il Cortile. Infatti, il supporto educativo e psicologico sarà assicurato dai professionisti della Cooperativa sociale Le Querce di Mamre. Il compito delle nostre famiglie sarà quello di realizzare una forma di vicinato solidale, che – ribadiamo – non è il frutto di un sapere tecnico, ma un’esperienza connaturale alla famiglie di ogni cultura del mondo. In cosa cambierà la vostra giornata rispetto al presente? Sono già previsti dei momenti comunitari fissi o sarete disponibili nei confronti delle famiglie ospitate a seconda delle esigenze del momento? In questo ultimo periodo stiamo dedicando molto tempo per strutturare la vita comunitaria e i suoi momenti. Ogni famiglia manterrà, comunque, tempi e spazi propri perché nel Cortile le famiglie rimarranno tali e non si dissolveranno in una più ampia comunità di persone. L’intuizione all’origine del progetto, infatti, è che ogni famiglia possa essere di aiuto a chi le vive accanto, senza però snaturarsi, rimanendo una famiglia. In questo senso, anche la relazione con i nuclei monoparentali sarà fondata su questa intuizione. Infatti, molte delle persone che verranno accolte nel Cortile del Santuario, soprattutto donne con figli minorenni, dovranno sperimentarsi nella gestione dell’autonomia familiare dopo cammini all’interno di comunità protette. Questa fase di reinserimento sociale è una fase molto delicata, in bilico tra il bisogno di autonomia (gestire la propria famiglia in un appartamento indipendente) e di protezione (la presenza di famiglie capaci di offrire un vicinato solidale). Il nostro rapporto con le famiglie accolte si giocherà proprio su questo difficile equilibrio: autonomia e solidarietà. La scelta di inserirvi nel tessuto del “Cortile” per voi è consapevole e meditata; come sarà per i vostri figli crescere in un ambiente dove i valori cristiani di comunità e solidarietà saranno vissuti in modo più intenso ma certamente insolito rispetto ai loro coetanei? Il compito più difficile per noi genitori è trasmettere ai nostri figli il gusto per la vita, vissuta in pienezza al servizio dei fratelli. In questo senso, l’esempio quotidiano dice più di molte parole. Ci auguriamo che vivere nel Cortile offra ai nostri figli l’opportunità di sperimentare la bellezza dell’accoglienza, del sentirsi parte di una comunità, maturando la consapevolezza che Cristo ci ha chiamati a farci prossimi e che questa vocazione è alla portata di ogni famiglia e di ogni uomo e donna, anche per chi come noi ha da offrire solo cinque pani e due pesci. 19 PRIMO PIANO “Carpe diem”, cogli l’attimo, vivi il momento, scriveva il poeta latino Quinto Orazio Flacco nel 41-40 a.c. nei suoi “Carmina”. Un motto divenuto celebre anche grazie al film “L’attimo fuggente” (1989) del regista Peter Weir, con l’attore Robin Williams. I temi della fugacità della vita, della giovinezza che passa, della fragilità del corpo, sono presenti da sempre nella letteratura di ogni tempo e di ogni cultura. Sono riflessioni che toccano ognuno di noi, domande che ci interrogano sul senso più profondo dell’esistenza. Domande cui il Vangelo dà una risposta definitiva. Orazio non conobbe Cristo e, meditando su una vita che sboccia ma che sa già che si dovrà spegnere, senza un apparente perché, non riuscì a nascondere la segreta malinconia che, in filigrana, permea la sua opera. Il suo invito, quasi un grido, umanissimo, era volto a non dissipare il tempo che siamo chiamati a vivere, a valorizzare ciò che vale davvero, l’Amore, l’Amicizia, a desiderare la serenità, con moderazione, senza eccessi, perché negli eccessi vi è la radice della schiavitù e, in essa, il germe della morte. Ed è proprio l’eccesso, celebrato tra gli altri dal poeta francese Charles Baudelaire, nella sua raccolta “Les fleurs du mal”, (I fiori del male) 20 IL CASSETTO DELLE STRINGHE COLORATE “carpe diem” del 1857, che si fa folle corsa, inconsapevole discesa agli inferi, alla scoperta di un mondo di esperienze sensoriali estreme, un mondo ricco di tesori, di risposte pronte per essere colte, gustate, con i loro inebrianti profumi da cui restano esclusi i pavidi conformisti. Allora ecco i ritmi assordanti ridotti a decibel senza grazia né armonia; le miscele alcoliche ingurgitate per darsi un contegno, per sfida, per conquistare uno sguardo; le pasticche preparate da mani serve del lugubre profitto e spacciate per andare oltre; la droga che seduce, umilia, degrada e uccide; la velocità che, incurante del prossimo, incatena i piedi all’acceleratore e disintegra speranze (ricordate “Gioventù bruciata”, (1955) di Nicholas Ray, con James Dean?); l’azzardo e la carezza ossuta della Fortuna; il sesso comprato, consumato e gettato via, senza nome, senza dignità, senza futuro né sentimento… tutto, snaturato nella sua essenza, riempie le pagine dei giornali, con molti, troppi giovani, attori di questa assurda gara al suicidio mascherato. Un letale gioco di ruolo in cui ci si fa male davvero, dove non ci sono vite di scorta, né codici segreti da digitare su una tastiera, per acquisire un’immortalità a prova del prossimo e più temibile mostro da affrontare. Il premio di questo gioco molto spesso sono solo le lacrime amarissime dei protagonisti e di chi sta loro accanto. Perché? Abbiamo accantonato Cristo, dimenticando, in fondo a qualche cassetto dello Spirito, la chiave delle risposte al malessere che affligge l’Uomo. Viviamo come se Gesù di Nazaret non fosse mai venuto, non ci avesse mai parlato, come se non fosse Lui la creta che ripara le nostre ferite, semplicemente perché siamo fatti di Lui. Spesso invece abbiamo preferito curarci con un’emozione a pagamento, un’emozione l’ ANGOLO dei PICCOLI (Prima parte) che avvelena, un’emozione che ha scelto come preda il nostro futuro. Lasciare che sia, lasciare che molti giovani continuino ad inseguire la morte, convinti di sfidare soltanto se stessi, in cambio di un’anonima apparizione su internet, saltando in piscina da un balcone, attraversando l’autostrada, infilandosi sotto i treni in movimento, lasciare che la strage continui, allargando la braccia, arrendendoci, significa ipotecare la nostra salvezza. Sì, ci verrà chiesto conto di quanto abbiamo fatto perché non fosse. Se le nostra parole non sono state ascoltate, quale esempio abbiamo dato? No, non stiamo parlando di quella maschera di religiosità da passeggio, fatta di manifestazioni esteriori prive di una reale adesione al messaggio evangelico. Allora davvero, “Carpe diem!”: cogli, cogliamo l’attimo, non aspettiamo a seguire Gesù. Non ci viene chiesto di essere integralisti, ma convinti. E chi è convinto affronta con Gioia ogni difficoltà e la Gioia è contagiosa e attrae, perché possiamo essere tanti, tantissimi, al lavoro nella splendida vigna che Dio ci ha dato in eredità. Torniamo a Cristo e cambieremo il mondo! Claudio Balestrini C’era una volta un settimanile. “Coosa?”, direte voi, “Un settimanile? E che cos’è?”. Dunque, ricominciamo: c’era una volta un settimanile, cioè una cassettiera con sette cassetti. Una volta si usavano, adesso non più. Infatti questo settimanile era vecchio e malconcio e stava in soffitta pieno di cianfrusaglie. A parte l’ultimo cassetto in basso che era pieno di stringhe colorate; ce n’erano di tutti i colori, lunghe, corte, larghe e strette, ma tutte assolutamente nuove. Nessuno si ricordava di loro e loro se ne stavano tranquille e un po’ annoiate. Un giorno però qualcuno aprì per sbaglio il cassetto e lo richiuse malamente, così restò un filo di apertura dalla quale entrava un poco di luce. Le stringhe furono veramente scombussolate: “Luce, vediamo la luce dopo tanti anni di buio!”. Una stringa piccolina, gialla e birichina, ebbe il coraggio di fare una proposta sconcertante: “Perché non andiamo a fare un giretto e a vedere il vasto mondo là fuori?”. All’inizio nessuna stringa rispose; erano rimaste ancora più sconvolte per quello che avevano appena sentito. Poi una vecchia stringa grossa e nera borbottò: “Magari sì, ma cosa ne pensa la nostra regina?”. La regina delle stringhe era una grande, lunga stringa rosa, che era spaiata. Tutti l’avevano eletta regina e la chiamavano “Rosaria, la stringa solitaria”. Rosaria, essendo spaiata, non doveva rendere conto a nessuno, il suo giudizio era però accettato da tutti. Rosaria ci pensò inverno? Fra qualche mese avrò di su un pochino e poi disse: “Si può nuovo un bel vestito verde”. fare. Vediamo di organizzarci”. Non fece a tempo a finire la “Wow, doppia wow!” frase che arrivò una forte folata di esclamarono tutte le stringe felici. vento e sparpagliò tutte le stringhe Finalmente sarebbero andate fuori. da tutte le parti: Molte finirono Si presero per mano tutte quante sui rami dell’albero; all’inizio si e formarono una lunga fila. In spaventarono, poi si accorsero del testa c’era la stringhetta gialla, bel panorama che si vedeva da lassù la più spericolata. S’infilò nella e ne furono incantate. Gridavano fessura del cassetto e incominciò a tutte insieme eccitate: “Che bello, scendere, seguita dalla sua gemella che bello! Venite quassù, amiche, e da tutte le altre. La regina Rosaria venite, venite!”. chiudeva la fila e controllava che tutto fosse a posto. Già, si fa presto a dire “Venite” ma come ci arrivavano lassù le altre stringhe? Per fortuna c’era il vento! Sentì le vocine e si diede una mossa: frrrrr, e tutte le stringhe si trovarono sull’albero. “Bello, bello, bello!”, strillavano tutte insieme con le loro vocine sottili. Ma Rosaria, la stringa solitaria, sentiva molto la responsabilità di essere la loro regina e si preoccupava. Così a un certo punto disse: “Sentite, qui è bello, però se arriva un altro po’ di vento ci fa volare tutte via e ci costringerà a separarci. Non saremo più insieme, mai più”. (continua) Scivolarono sul pavimento, poi sotto la porta, poi giù per le scale e si trovarono all’aperto. Aiuto!! Che luce!! Ne furono tutte abbagliate; poi, piano piano, incominciarono a distinguere gli oggetti. Per esempio scoprirono che davanti a loro c’era un grande albero spoglio. “Ehi”, gridarono le più disinvolte, “perché sei così nudo? Non hai freddo?”. “Ma no”, rispose l’albero nudo con gentilezza, “non sapete che è R.M.G. Presentiamo questa favola per gentile concessione dell’Ass. Stringhe colorate che l’ha di recente pubblicata nel volume “I racconti del buonumore”. 21 ARCHIVIO PARROCCHIALE ARCHIVIO PARROCCHIALE NATI IN CRISTO COL SANTO BATTESIMO 39) 40) 41) 42) Bocchia Alessandro Giaquinto Samuel Forlini Alice Mallat Ethan OFFERTE NN Euro 200 Dalla vendita delle torte per la festa del santuario Euro 1560 Dalla Pesca di Beneficenza della festa del Santuario Euro 6047,50 Dalla classe 1939 Euro 100 Dalla UILDM Euro 100 Dai colleghi di lavoro della defunta Enrica Talenti Euro 160 Per S.Messa presso la ditta SECO Euro 150 UNITI IN CRISTO NEL SANTO MATRIMONIO PER LA CASA DI ACCOGLIENZA “IL CORTILE” 14) Castelli Giorgio e Vangeli Elisabetta il 4 ottobre 2010 NN Euro 500 NN Euro 200 NN Euro 5000 NN Euro 2000 Dalla ditta SECO Euro 1300 Dal Concerto Ars Cantus Euro 7112,57 OSG PING PONG Euro 190 Da una famiglia tramite bonifico bancario Euro 500 Dalla cassetta del santuario Euro 108,44 RIPOSANO IN CRISTO 28) Guffanti Teresina vedova Sampietro Diego di anni 89 29) Colombo Cesare coniug. Zaffaroni Giuseppina di anni 87 PA: r a LitogrDºa SerigrDºa BattesimiEuro 460 MatrimoniEuro 300 Funerali Euro 550 CA CO) ( Via - Repubblica, T 0 15 -ax 310 4915 35 ww w.latipog rDºalu rate.com - E-mail: mail@latipog rDºa.191.it NOTA Le offerte per la casa del santuario sono riportate anche settimanalmente sul foglio “Il Monte”. Qui sopra vengono scritte tutte insieme da inizio settembre a oggi. SPESE IMPREVISTE DELLA PARROCCHIA Euro 20.000 circa per il rifacimento della copertura (tetto) sovrastante il bar i servizi eD il salone dell'oratorio. Il lavoro è stato fatto nel mese di giugnoluglio 22 NUMERI TELEFONICI della PARROCCHIA Don Mauro: 031.976.990 cell: 347.968.14.26 Euro 2200 Rifacimento di un motore della quarta campana della chiesa parrocchiale Rifacimento di un martelletto di una campana del santuario Euro 600 Don Luigi: 031.899.333 Euro 1200 Acquisto dei nuovi giochi (2 bigliardini) per l'oratorio Ausiliarie: 031.899.257 Don Giovanni: 031.930.376 Diacono Pietro: 333.641.87.51 Mail: [email protected] Periodico iscritto all’Ufficio Stampa del Tribunale di Como 3HULRGLFRLVFULWWRDOO 8I¿FLR6WDPSDGHO7ULEXQDOHGL&RPR n. 18/78 del 21/10/1978 QGHO 'LUHWWRUH5HVSRQVDELOHGRQ0DXUR&RORPER Direttore Responsabile: don Mauro Colombo 5HGD]LRQHGRQ/XLJL6DOYDGHL Redazione: don Luigi Salvadei /DXUD%DUOXVFRQL$QQD%HUQDVFRQL Claudio Balestrini - Andrea Fusi - Sabrina Galli 3DROR%RUGLJQRQ$QGUHD)XVL6R¿D)XVL Francesco Gringeri - Giovanni Lietti )DELR*XIIDQWL)UDQFHVFD6SDJROOD Anna Rocca - Carmen Taiana )UDQFHVFR*ULQJHUL*LRYDQQL/LHWWL$QQD5RFFD ,PSDJLQD]LRQHHJUD¿FD$QQD5RFFD3DROR%RUGLJQRQ Impaginazione e grafica: Anna Rocca PELLEGRINAGGIO IN FRANCIA 23/31 agosto 2010 Il gruppo alla Tour Eiffel Mont Saint Michel A Lisieux presso la Basilica di Santa Teresina Con il vescovo Mons. Gourves Santuario Sainte-Anne d’Auray Basilica di San Martino a Tours Basilica di Santa Maria Maddalena a Vézelay, punto di partenza del Cammino di Santiago Don Mauro davanti al corpo del Santo Curato d’Ars “Tutti quelli che credevano vivevano insieme” (Atti 2,44)