Atteggiandosi, mette le mani sulle cupole dei

Transcript

Atteggiandosi, mette le mani sulle cupole dei
Afrodite
1
A UTORE : P IER L UIGI J OSÈ M ANNELLA
T ITOLO :
A FR O DI T E
Atteggiandosi, mette le mani sulle cupole dei fianchi. Si specchia statuaria, giunonica
e imponente. Colle ampie spalle lattee e col suo recente metro e novanta, cammina e
ancheggia nel camerino. Porta in evidenza e anticipo la lunga gamba dallo spacco
destro.
Si apre la porta al di sopra della scala. Da essa fa capolino il direttore del locale che
chiama Afrodite al suo numero accertandosi che sia pronta.
La showgirl annuisce mentre tampona di cipria il volto. Subito dopo fa scivolare i
lunghi guanti che la accarezzano fino all’avambraccio.
Il presentatore, in sala, prende tempo e fa battute. Quando riceve il consenso del
direttore, annuncia il numero:
“Ladies and gentleman Miss Ester Bellìa alias Afrodite sarà per voi Jessica Rabbit”.
Si abbassano le luci, parte la musica. Il sottofondo col suo battito cardiaco accarezza
l’udito del pubblico che osserva in paralisi l’entrata di Afrodite. L’amazzone a punte
felpate si presenta agli astanti al ritmo cadenzato della musica. Un passo, un basso.
Incitata dalla sala ammutolita, perchè attonita, Jessica segue le onde musicali e
sensualmente danza. Sinusoidi di pentagrammi avvolgono come spire il suo corpo.
Trattiene il fremito, il tremore, il sussulto del corpo che vorrebbe irrompere da quelle
vesti. Si mantiene calma ondeggiando ammiccante, accarezzandosi. La rossa seta dei
guanti struscia e fischia sopra quella delle vesti fiammanti. “Quanto caldo!Che caldo
che fa!”: continua Mina, mentre lei, superba, si sventola inguantata. Suda. Si atteggia.
Riondula. La frenesia soffocata viene liberata gradualmente dal ritmo incalzante in
ascesi, in salita, sempre più verso l’alto, su, su, su e su, fino all’esplosione. Qui si
ribella. Prorompe fremente. Salta. Volteggia con molta energia e vigore dinamico.
Gesticola a ritmo ordinato ma forsennato. Fa giravolte a braccia in su e crea circoli e
spirali ondulando i polsi e il corpo delicato. Si china al pubblico e articolando
velocemente le spalle dondola e scuote i mirabili pomi. Ecco, ecco: i seni finalmente si
liberano e volteggiano davanti la bava degli spettatori. Pendono come gocce l’istante
prima di cadere. L’artista entusiasta si gira, la musica più intima l’accompagna nel suo
lento gesto che si ferma, prepara il momento. Le sue dita si bloccano sulla zip sotto le
ascelle arate. Stridono i denti della lampo e Afrodite spalanca il vestito che si apre
come quinta rossa dietro l’ambrata pelle che d’olio si accende.
I voyeurs riposano ogni tanto le mani brucianti e tutto il resto. Arsi di passione,
bagnati dal calore delle carni.
Quella guepière di pelle nera stritola la ballerina e manda luccichii. Le stringhe di seta
rossa creano una verticale di ics. Gli spumeggianti seni e le calze a mezza coscia.
L’artista masturba il frustino e si colpisce. Fa vibrare, arrossire le lune davanti e quelle
più grasse dietro. Si gira e dona al pubblico le spalle e la bramata visione. Le rotonde
lune. Le palle maggiori. Rimanendo colle natiche al pubblico, Jessica allarga le gambe
e abbassa il busto. Le belle sfere si aprono mostrando il fiore. Donandolo alle mani che
forsennate si massacrano di applausi, alle teste sudate, alle bocche bagnate. Le
luminosissime dritte gambe di cavalla sulla cui cima si apre il bocciolo che fa
sbocciare la vita. I petali carnosi, il pistillo sorridente. Jessica prende le vesti e le
riapre, ma stavolta, purtroppo, per richiuderle. Il pubblico sente il taglio della zip
Milano, 01/10/2004
Pier Luigi Josè Mannella
Afrodite
2
claudente e borbotta contrariato. Afrodite accenna un timido inchino e con
un’espressione sprezzante gira le spalle e sculettando saluta il pubblico.
Gli spettatori reagiscono polemicamente, dispiaciuti che Jessica non sia di quelle che
si fan mettere i soldi.
Il presentatore licenzia le chiappe di Afrodite che ancheggiano fin dietro il broccato.
Nei camerini la gigantesca amazzone si precipita dalle scale. Sente il conduttore
rassicurare il pubblico che quella seguente è più disinibita. Tiene il vestito sollevato e
le lunghissime gambe, veloci cavalcano i gradini. I tacchi risuonano galoppanti a ogni
passo. Giunta alla fine della scala si ferma e strappa la parrucca dai suoi capelli. Sente
lo schioppettìo del silicone dei collant sulla pelle della collega che si sta preparando
per il numero e che guarda basita la sua entrata da diva.
Cinzia, contrariata, le ride sguaiatamente e le consiglia di togliersi quei tacchi
assordanti così, almeno, riposa i piedi.
Afrodite asciutta e altera risponde: “Una vera signora per prima cosa abbandona la
chioma e solo, solo alla fine scende dai tacchi. Una vera artista lascia il palcoscenico
solo, soltanto al termine della performance. E così la statua. Anche la statua una volta
deposta dal suo piedistallo è persa.”
La compagna si ammutolisce e gira il volto sprezzante.
Afrodite smonta l’impalcatura. Giù gli abbondanti orecchini. Gratta coi clinex
l’intonaco dal volto. Sfila l’abito e gli strass le graffiano la pelle. Dalla porta al di
sopra della scala improvvisamente un forte frastuono la distoglie.
La porta è aperta: aggrappatovi il direttore le fa segno di seguirlo. Lei scavalca il
vestito e lo raggiunge. Lo segue oltre il camerino nel buio dietro il sipario di scena.
Lui la prende per le braccia. Avvicina il suo volto al suo collo. Le sussurra. Lei lo
guarda e … discosta la tenda. Vede, al di là di questa, il pubblico che incoraggia una
disinibita streapper.
La donna sulla scena non tradisce. Allarga le cosce nude e lo sguardo distribuisce. Si
piega sulle ginocchia e gli sguardi disinibisce. Abbassa il busto, come per far pipì, e la
gente impazzisce.
Le braccia degli ingordi stanno alzate e sventolano banconote. Mani che allisciano e
stendono i soldi agli elastici del perizoma. Tra le mani sollevate un pugno si impunta.
Una mano serrata che stringe un cilindro di banconote arrotolate. Le protende e
pretende.
La showgirl si accorge del pugno e della grossa somma; lo invita con un gesto ad
avvicinarsi. Con grande maestria porta il braccio destro dietro le spalle, le mani in
basso, sotto il sedere. Con le dita sposta il perizoma e sbuccia le grandi labbra.
Un faccione, un baffo si avvicina come orgoglioso soldato con la picca in alto.
Affonda la punta e il pugno chiuso. Le avide pareti della vagina catturano il malloppo,
lo risucchiano, e poi espellono la mano grazie a un liquido chiaro.
Le gambe dilatate della ballerina si sollevano e così, dritte e unite, l’accompagnano
soddisfatte e la licenziano dalla scena.
Dietro il sipario, “Vedi lei se ne va sempre con un mucchio di soldi. Tu solo con
questi” esclama il direttore ad Afrodite mentre le consegna la paga.
“Almeno questi sono puliti…in tutti i sensi”: afferma la donna strappandogli la busta
dalle mani e lasciandolo al buio. Jessica corre in camerino dove abbandona i tacchi di
Afrodite per entrare nella tuta di Ester. Lascia il teatro e va per strada col suo borsone
Milano, 01/10/2004
Pier Luigi Josè Mannella
Afrodite
3
Fendi, a strisce marroni. Attende il taxi. Una stupidissima pioggerellina continua
imperterrita e fastidiosa. Colpisce ogni angolo colle sue gelide lacrime e la poveretta
senza ombrello. Ester come loggia chiama meschina la nera pioggia che ora ovunque
alloggia. Il taxi arriva, lei sale e poggia la borsa che fiera sfoggia: “Piazza F.lli
Bandiera 11”, e il tassista parte e ferma la frequenza radio su “Neve” di Mina. Afrodite
ha la guancia a ventosa sul finestrino che lacrima. Vede sfrecciare occhi di fuoco che
si accendono asincroni arancioni e rossi. La pioggia rimbalza sotto i fari delle auto in
corsa. A destra, lampioni si inseguono. Davanti, il ciak continuo del tergicristalli
pulisce la visuale. Un camion, un sorpasso. Il nero lupo mezzo drago dell’Agip vomita
fuoco rosso sulla sua coda ellenistica. Nei viali serpentini i lampioni come colli di
fenicottero abbassano la testa di luce al suo passaggio. Il tassista imbocca il tornante in
salita per innestarsi in Folco Portinari. Una miriade di neon lampeggianti, alternanti,
quasi accecano la bella. Una Las Vegas di gigantesche pubblicità: COOKY.
DIVANIEDIVANI. ESSOSELFSERVICE. Palazzi come parallelepipedi d’acciaio e
vetro. All’improvviso, in alto, Afrodite vede due scie di fari gialli, continue,
sinusoidali che immettono in una galleria. Una volta fuori dal tunnel, avvista lampi di
alberi secchi e spigolosi che assumono il falso aspetto ondulato dietro le goccioline sul
finestrino. Ai vetri venature d’acqua creano foglie di ghiaccio. L’asfalto è uno
specchio di petrolio striato dagli stop delle auto.
Il tassista costeggia: “19”. “Tenga il resto” chiude la portiera. Il taxi si allontana. Lei si
affretta sulle scale. Quasi scivola. Rallenta il passo e penetra il portone con le chiavi.
Splash e splash fanno le scarpette nella hall fino all’ascensore. Giuntavi Afrodite digita
il III piano e levita.
Suona al campanello di Matilde.
“Finalmente” si sente dall’interno. La grassa vicina apre la porta ripetendo l’avverbio e
aggiungendo: “Credevo non venissi più, o meglio che rientrassi dopo tuo marito”.
“Portami Petra. E’ tardi!” risponde perentoria e sintetica l’artista. “Si! Ha fatto la brava
oggi. Ha mangiato tutta la pappa.”: continua la vocina della vicina mentre va a
prendere la piccina che, in cucina, gioca coi micini. Matilde riappare con la bimba
sulla culla delle braccia e dei seni suoi, la consegna alla madre e annota con sarcasmo:
“Fino a quando continuerai questa vita? Credi davvero che tuo marito non verrà mai a
scoprirlo, Ester? O preferisci essere chiamata Afrodite!”.
“Piantala e non portarmi iella!” urla Ester e con la bimba in braccio, sullo stesso
pianerottolo, apre la porta di casa e la chiude subito dopo. Sistema la piccola davanti
Cartoon Network. Corre in camera e il pavimento non fischietta più ma scricchiola.
Scalcia le scarpe e coi calzini scivola sul parquet fino alla cabina armadio. Apre
un’anta, penetra nella cabina, indossa le ciabatte. Da qui, attraverso una porticina, si
immette in un corridoio di neglie, inutilità e “non si sa mai”. Passa tra tubi pioventi e
fili bianchi rossi verdi e gialli. Si graffia con la loro anima di rame. Lassù bulloni,
scatole, cose vecchie da riparare. Un tunnel di scarpe affamate e pezzi anneriti di
frullatore. Mensole di oggetti infiniti e in fondo, in basso, una capiente e
impolveratissima scatola. I bordi scocciati e sopra le impronte di Afrodite e le sue
mani che di nuovo aprono la scatola e vi costringono il borsone. Così come ogni volta,
così come prevede prescrive e pretende il rito. Insieme al borsone, Ester nasconde una
maschera, quella di Afrodite.
Milano, 01/10/2004
Pier Luigi Josè Mannella
Afrodite
4
Torna in camera da letto e da lì in cucina. Parla con la piccola allo schermo, rassetta e
organizza la cena che aveva già preparato. Senza tregua Ester si affretta per non far
notare al marito venturo che la casa è stata vuota per buona parte della giornata. La fa
rivivere aprendola, chiudendola e spostandola in molti suoi dettagli. Si sposta in
bagno, lo scroscio della doccia sul suo corpo, l’accappatoio riconciliante.
Ester guarda l’ora, “Sono le 23,13. Lui dovrebbe già essere qui da un quarto d’ora.
Cos’è successo”. Improvvisamente sente il chiac chiac del chiavistello e poi: “Bomba?
Dov’è la mia sexy bomba!”.
Eccolo…
“Bentornato tesoro! Come mai questo lieve ritardo?”
“Il traffico!” Smack. “Che buon profumo viene voglia di mangiarti!”
“È il bagnoschiuma alla vaniglia!” risponde Ester mentre gira le manopole del gas per
riscaldare la cena.
“ E Petra?”
“E’ di là, in sala, davanti la TV”.
“A quest’ora? Dovrebbe già essere a letto”. Sentenzia il marito mentre si sposta in sala
a baciare la piccola per accompagnarla dentro le lenzuola della cameretta. “Su dormi
amore, domani devi andare alla scuola materna. Suvvia. Buonanotte”.
“Bonotte pà”.
Il babbo spegne le luci e accende la lampada rotante del Piccolo Principe che, tra stelle
e comete, vola sulle code degli uccelli attraverso mondi altri, parlando, di tanto in
tanto, o meglio di giro in giro, coi suoi personaggi.
Roberto scivola sul pavimento, si mette comodo abbandonando gli abiti da lavoro. Una
doccia lo riprende dalla stanchezza del camion. Le gocce scivolano sulla sua pelle e
percorrono il tragitto indicato e segnato dai peli. Prima lente poi più veloci
attraversano il disegno del petto sopraggiungendo a estuario sul pube e a delta sulla
monta dei piedi spigolosi. Roberto ferma il loro percorso con un panno e asciuga il
prepuzio gocciolante. Copre le sue generose nudità coll’asciugamano-gonna e va in
cucina.
La moglie è china sui cassetti delle stoviglie. Il marito da dietro le solleva
l’accappatoio e scopre le note natiche. Vola col naso ad annusarle la grassa e polposa
prugna, affonda la lingua nell’interno rosso e crudo. Le labbra luminose dell’uomo
schioccano quelle ruvide della donna.
“Ho fame!” dice alla moglie mentre coll’avida barba le arrossa le rose e il naso si
insinua nelle carni più glabre e viscide.
“Le vongole sono pronte”: borbotta Ester allontanando, con uno strattone, il capo
intento del marito.
“No! Ho voglia d’ostrica”: brontola l’uomo triste perché in piedi.
“Cosa hai fatto oggi? Perché non hai voglia? Mi hai tradito per caso?”: allude
sarcasticamente l’uomo.
“Con cento uomini bavosi! Sono o no una bomba? Piccolo mio!”: esclama la bella
picchiettandogli il membro che, inquieto, pulsa e solleva l’asciugamano. Il bastone di
pelle vorrebbe liberarsi dalla spugna e irrompere orgoglioso e altero col collo ritto.
Tuttavia si rassegna sotto il panno e segue il padrone fino alla sedia. Continua a
pulsare ma stavolta per rassettarsi, riposarsi in mezzo alle gambe aperte e sedute
dell’uomo. Sente il tovagliolo su di sé e la mano di lui che lo sistema. Questa si solleva
Milano, 01/10/2004
Pier Luigi Josè Mannella
Afrodite
5
e afferra una vongola. La apre aiutandosi coll’altra mano e la porta alla bocca che
subito succhia. Si lecca. Le labbra dell’uomo sublimano le sue voglie, ma si
interrompono e parlano: “Amore devo darti una bella notizia. Finalmente la prossima
settimana mi cambiano il turno e lavorerò solo la mattina. Mai più serate ad
aspettarmi!”
La donna quasi ingoia una vongola e da rosa si fa viola. Riesce a spuntarla tossendo e
sputando saliva a spruzzi come pazza.
“Cosa ti è successo? Non sei contenta?”: le dice il marito colpendole la schiena.
“Tutt’altro, amore!”: risponde sibilando la donna verde in volto.
“Che ti succede bomba? Stai esplodendo?”: dice il marito mentre ride singhiozzando
alla vista della facce che fa la moglie.
“Non sono cose da ridere” cerca di sentenziare la donna con una voce soffocata e gli
occhi lucidi. Porta alla bocca un grosso sorso di rosolio e lo ingurgita, spegnendo il
malore. Guarda romantica e rossa il volto innamorato dell’uomo che accenna un
sorriso a una sua carezza. Le dita di lui si fermano sugli zigomi e delicatamente le
sfiora come petali fragili di viola appena colta. Poi si fanno più ardite. Continuano una
danza di volute, di picchi sulle montagne di pesca della bella Ester. Accalappiano le
fuggenti polpe labbrose, le attanagliano e spremono come a voler generare un succo.
Roberto non resiste al frutto del peccato e si attacca con i suoi rossi pomi a suggere
bramosamente. L’uomo ape si scaglia sul fiore per cogliere la lingua spugnosa turgida
e sanguigna. Donna Ester cede il nettare e coglie il miele. Anch’essa è paga di ciò che
assapora tra frutti e fiori. Afferra con arti ammalianti il fusto e si fa inseguire in
camera da letto. Qui dopo lotte estenuanti i corpi combattenti giacciono soddisfatti. Le
sazie bocche consumate accennano timidi sorrisi e a scatti vibrano. Lentamente,
lentamente sprofondano nel sonno delicato fino a mattina.
Tagli di sole sui morti corpi, un raggio di questi, insolente insidia la palpebra bella.
Ester sbadiglia, guarda quell’uomo bambino schiacciato dalla spessa coltre del
pulviscolo.
Si alza e pensa a lui.
Tra il bagno e un caffè, lui.
Lui in camera da letto con gli occhi chiusi e la bocca spalancata e lei che entra in un
tubino stretch.
Lui che sprofonda sotto il cuscino e lei che esce dalla stanza, dal salone, dall’ingresso,
dall’appartamento, dall’ascensore, dal portone del palazzo. Percorre la strada fino
all’angolo e così oltre l’isolato fino al bar di piazza Gramsci dove fumano, ogni
mattina, quelle ottime tartarughe alla crema che piacciono tanto a Roberto.
“Tartaruga croccante, cappuccino senza cacao e zucchero in bustine”. Ester si ferma
per un caffè e due chiacchiere col barista.
“Ormai sarà quasi sveglio”: pensa Afrodite ad alta voce. Busta alla mano e si
incammina verso casa. Entra nel palazzo, in ascensore, nel suo appartamento, fino in
camera.
Il letto è disfatto, è vuoto.
“Roberto!” grida Ester, credendolo in bagno. Nemmeno in bagno.
“Forse in cameretta con la piccola!”. La creatura dorme ma lui non c’è, non c’è, non
c’è.
“Dov’è? Dov’è?”: si domanda di continuo. “E’ strano. Dov’è?”.
Milano, 01/10/2004
Pier Luigi Josè Mannella
Afrodite
6
Un lampo e si decide. Lo chiama.
Compone il numero a fatica tra i tremori della mano insicura. Il suo carbone è molto
umido.
Squilla, squilla, squilla, poi finalmente non più.
“Pronto Rob sei tu?”
“Si Ester. Mai più!”. E butta giù.
Soltanto un laconico: “mai più!”.
“Coosa signiiifica?”: balbetta la bella ballerina.
Richiama, più tremante, e richiama, più rassegnata.
Lui non risponde e non risponderà più.
Ester, frastornata, va in cucina e lascia la busta del bar, dalla quale non si era ancora
separata.
Si gira, si rigira, guarda e dubita….. Non vede la figlia che liscia, che gioca, che
esclama.
Un’altra busta colpisce il suo occhio tormentato. Si blocca, si ferma a osservarla. E’
una busta, ma per lettera. E’ lì, sul parquet, bianca con il riquadro trasparente, poi
niente. Solo una grassa macchia d’inchiostro sul francobollo, poi niente.
La prende, è titubante, ha paura, trema, teme che i suoi segreti non siano più tali.
La apre, mantenendo la linguetta dentro, la gira, la piange, la bagna.
Ma l’egoista busta, crudele nascondiglio, non annuncia nulla. Neanche il mittente,
niente. Solo un incredibile fantasmagorico punto interrogativo.
La nasconde in borsa e tra lacrime e paure ritorna alla cornetta, a quella esile speranza
che la separa dal suo amore. A più riprese digita quel numero avaro e ascolta
quell’orribile vocina che reitera l’allontanamento del suo uomo.
Passa così interminabili ore, fino a sera, fino a quando decide di ritornare a teatro e di
continuare la sua vita. “Se lui sa, sarà là!”: dice, “e devo affrontarlo!”.
Nello sgabuzzino dalle inutili forme afferra il borsone e riporta l’innocente figliola da
Matildona.
Di nuovo il taxi e vola in teatro.
Afrodite entra in un corsetto e si dimena davanti allo specchio dei camerini. Solleva i
seni plastici che sembrano esplodere da un momento all’altro e li sistema sotto la
strettissima seta.
Niente sembra esser accaduto e tutto è sempre uguale.
Come ogni sera si avvicina allo specchio e con una spatola pettina le sopracciglia
ricoprendole di pasta di sapone. Poi vi passa sopra del saelor creando una pelle
artificiale e impermeabile sulla quale applica una tinta arancione. “E’ la sola in grado
di opporsi all’iridescenza blu delle sopracciglia”: dice sempre Cinzia.
Punte di correttore annullano la visibilità delle macchie della pelle. Con le dita
distende il fondotinta dal centro del viso e attraverso rotazioni lo sparge. Più volte
viene distratta e innervosita dal viavai di gente e dal vocio che ne deriva. Afrodite
pulisce le labbra dal fondotinta che le rende inespressive, le contorna, le illumina di
rosso. Le fa aderire una sull’altra, le schiocca e le rende polpose. Vanta la persistenza
del gloss alla collega, anch’essa alle prese col make up nella sua postazione. La
informa di averlo comprato in galleria da Limoni e di averlo messo, la prima volta, per
il suo matrimonio.
Quel matrimonio … chissà …pensa Afrodite …ma si ricompone.
Milano, 01/10/2004
Pier Luigi Josè Mannella
Afrodite
7
Ripone la matita e il rossetto nel beauty e dallo stesso estrae il mascara. Allunga le
ciglia e le ingrassa di nero.
Di là, in sala, davanti alle gambe spalancate delle ballerine la gente plaude il finale del
numero.
Afrodite sbaglia di colpo col mascara e crea una linea nera soverchia vicino l’occhio
sinistro. Incattivita, manda sproloqui al pubblico, sfoglia il clinex e toglie la sbavatura.
Le urla del pubblico e gli applausi spezzano il monologo dell’attore e ricordano ad
Afrodite che lui potrebbe essere in sala.
La danzatrice colora, ombreggia e sfuma con ombretti traslucenti l’arcata
sopraccigliare che si illumina e si accende di rosso. Applica le ciglia oro con la colla
apposita che trova nello stesso pachaging trasparente. Si allontana dallo specchio e
senza lasciarlo con lo sguardo raccoglie e arrotola con le mani le calze in seta cinese e
pizzo Sangallo. Seduta indossa ora il primo e ora il secondo collant mentre studia e
osserva il trucco appena fatto. Si alza e aggancia al reggicalze il pizzo dei collant.
Spoglia il manichino dall’abito rosso e lo indossa. Chiude la lampo laterale e
ricompone il seno che ora spicca con la sua piega centrale dal decolleté del vestito a
forma di cuore. Le spalle e la schiena al di fuori del tubino fiammante spiccano
imponenti e bianche. Le risa del pubblico interrompono l’ennesima battuta del comico.
Afrodite appare magnifica e splende sotto le luci che come palle contornano lo
specchio. Le lampadine accendono come fiamme i colori vivaci emanati da lei.
L’artista si atteggia sotto le innumerevoli stelle dei camerini mentre gli ombretti
luccicano e così le pailettes del vestito. Come una caricatura, gesticola e manda baci
allo specchio per osservare se le labbra sono state truccate bene. Schiaccia i suoi
capelli col gel e li appiccica alla testa. Indossa, così, la parrucca e ne vaporizza i
riccioli. La fissa bene colle forcine, indi la sbatte a destra e sinistra, in basso e
finalmente in alto, mentre con le mani la tiene stretta alle tempie. Sale sui tacchi rossi e
diventa altera e austera con quei 15 cm. in più.
Manca solo una spruzzata di profumo e l’opera è completa. Afrodite afferra la borsa e
ne estrae la colonia, ma insieme ad essa cade la busta da lettera che aveva trovato in
cucina. L’artista ferma la sua attenzione e si accorge, nota, osserva, un piccolo
quadrato fuoriuscire dal riquadro trasparente. Le mani tremule sollevano la busta dal
pavimento e scollano un quadratino dal grasso inchiostro del timbro postale penetrato
all’interno della busta. Le dita di Afrodite estraggono una foto, una piccola immagine
nascosta sotto la linguetta della busta. La ballerina la studia e analizza. E’ una foto di
circa quindici anni addietro. L’immagine ricorda il trionfo effimero di un giovane
Narciso innamorato del suo vigore. Viso efebico e corpo glabro. Un amore viscerale
per lo sport. Muscoli guizzanti e occhio curioso. Chi è l’uomo della foto?
Piange Afrodite, piange.
La cesellata maschera del suo viso si sgretola al passaggio delle lagrime nere. Rivoli
d’inchiostro solcano la porcellana bianca, giungono sul mento dove si ingrassano in
gocce e piovono sui seni come pece bollente.
Piange Afrodite, piange.
Piange perché non ha detto la verità a suo marito.
Ma quale verità?
Quella scritta dietro la foto spedita al marito: “Ecco Roberto, quest’uomo è tua
moglie”.
Milano, 01/10/2004
Pier Luigi Josè Mannella