Untitled - Barz and Hippo

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Untitled - Barz and Hippo
Come attingere ai topoi della comicità popolare tipica della commedia italiana degli anni Sessanta
dandole vesti più eleganti e moderne ispirate a film come il drammatico Lo scafandro e la farfalla.
Come contemperare l’esigenza di far ridere e far piangere il pubblico con quella di contenere gli
eccessi di pietismo e retorica. Due imprese non semplici che sono tra i motivi di un successo. Di critica
e di pubblico.
scheda tecnica
titolo originale:
Intouchables
durata:
112 MINUTI
nazionalità:
FRANCIA
anno:
2011
regia:
ERIC TOLEDANO, OLIVIER NAKACHE
sceneggiatura:
ERIC TOLEDANO, OLIVIER NAKACHE
fotografia:
MATHIEU VADEPIED
montaggio:
DORIAN RIGAL-ANSOUS
costumi:
ISABELLE PANNETIER
suono:
LUDOVICO EINAUDI
distribuzione:
MEDUSA
Interpreti:
FRANÇOIS CLUZET (Philippe), OMAR SY (Driss), ANNE LE NY (Yvonne),
AUDREY FLEUROT (Magalie), CLOTHILDE MOLLET (Marcelle), ALBA GAÏA BELLUGI (Elisa), CYRIL
MENDY
(Adama),
CHRISTIAN AMERI
(Albert),
MARIE-LAURE
DESCOUREAUX
(Chantal),
GRÉGOIRE OESTERMANN (Antoine).
Premi:
David di Donatello 2012: Miglior film dell'Unione Europea
Premio César 2012: Miglior attore a Omar Sy
Olivier Nakache e Eric Toledano
Eric Toledano (n. 1971) e Olivier Nakache (n. 1973) sono due registi e sceneggiatori francesi. I due,
dopo esser diventati amici, hanno iniziato a girare cortometraggi di genere fantastico prima di debuttare
sul grande schermo. Nelle loro prime commedie hanno diretto i più grandi attori comici francesi: da
Jamel Debbouze, a Gilbert Melki, dal mito Gerard Depardieu a Jean-Paul Rouve. Nel 2005 dirigono il
loro primo lungometraggio, Je préfère qu'on reste amis... L’anno successivo sorprendono
favorevolmente critica e pubblico con Primi amori, primi vizi, primi baci (Nos jours heureux), commedia
tenera sulle vacanze nelle colonie estive, distribuita anche in Italia. Nel 2009 girano Tellement proches,
mentre nel 2012 scrivono e dirigono, ancora una volta insieme, la loro commedia di maggior successo
internazionale Quasi amici (Intouchables).
la parola ai protagonisti
Note di regia
“Se non fossi caduto, non avrei incontrato Abdel e non sarei qui a parlare con voi adesso …” Sono
state queste parole, pronunciate da Philippe Pozzo di Borgo nel corso nel nostro primo incontro a
convincerci a fare di questa storia vera anche se improbabile il soggetto del nostro quarto film. Il nostro
dichiarato desiderio è sempre stato mettere insieme umorismo ed emozioni utilizzando nella fattispecie
le discrepanze che scaturiscono inevitabilmente da alcune situazione della nostra vita quotidiana. Dopo
“Tellement Proches”, volevamo continuare sulla stessa strada e andare oltre raccontando una storia
ancor più potente visto che Intouchables descrive l’improbabile incontro tra un ricco aristocratico reso
disabile da un incidente di parapendio e un badante che viene dalla povera e complicata periferia
parigina che lo porterà piano piano ad apprezzare nuovamente la vita. L’originalità del film è che tratta
in maniera umoristica e divertente un argomento alquanto delicato e serio e sarà proprio attraverso le
risate che tra i due uomini - dotati entrambi di una forte personalità e che sulla carta non hanno niente
in comune - nascerà una complicità totalmente inaspettata.
Ma al di là di questa straordinaria storia di amicizia, speriamo anche di abbozzare un ritratto della
Francia contemporanea concentrandoci sul concetto stesso di solidarietà che viene dolorosamente
messo alla prova dal divario sociale e psicologico apparentemente incolmabile che separa i quartieri
eleganti e le periferie misere di Parigi, l’incontro insolito ed esplosivo tra due mondi apparentemente
all’opposto che vuole simboleggiare l’incontro/scontro tra i disabili fisici e quelli sociali.
Intouchables assume la forma di una commedia tenera e comica che ricorda le “strane coppie” dei
celebri “Profumo di Donna” di Dino Risi e “L’ottavo giorno” di Jaco Van Dormael. Descrivendo il difficile
rapporto tra due mondi così diversi, desideravamo realizzare un film che parlasse dei pregiudizi in
generale e abbiamo pensato di raggiungere il nostro scopo con un cast di attori di grande talento e
fama. Ed è per questo che ci è sembrato logico dirigere per la terza volta Omar Sy che interpreta Abdel
(Driss). Omar viene dalla periferia di Parigi e in questo film è riuscito a mostrare alcune sfaccettature
della sua personalità che nessuno aveva ancora mai visto.
E François Cluzet, famoso per la passione e l’intensità con le quali interpreta tutti i suoi ruoli, si è calato
a meraviglia nei panni di Philippe Pozzo di Borgo (Philippe). Vista la complessità del ruolo, che ha
richiesto un’autentica trasformazione fisica, un controllo perfetto del corpo e una rinuncia totale alla sua
personalità di attore, eravamo certi che la sensibilità profonda e il rigore assoluto di François Cluzet
sarebbero stati utilissimi per interpretare magistralmente Philippe Pozzo di Borgo.
La regia del film è sobria, elegante e ritmata ed è stata l’energia dei due protagonisti a fornire la vera
spinta narrativa. Il nostro obiettivo è stato non farsi imprigionare da preconcetti e cliché ma cercare di
portare alla ribalta attraverso tutta una serie di sfaccettature e sfumature la ricchezza spirituale prodotta
da un magico incontro che ha letteralmente cambiato il destino di due uomini.
Intervista a Olivier Nakache, Eric Toledano, Omar Sy
Come è possibile riuscire ad evitare i luoghi comuni in un film come questo?
Olivier Nakache: Siamo stati immediatamente sedotti dalla storia di Philippe Pozzo di Borgo. Volevamo
trattare un argomento difficile in maniera diretta e volevamo che fosse una commedia ben fatta, non un
film serio o drammatico. L'umorismo doveva essere al centro del film e volevamo realizzare il nostro
progetto senza barriere.
Come siete riusciti ad evitare di scivolare nel buonismo e nel patetismo?
Omar Sy: Per me è stato semplice perchè la sceneggiatura era ben scritta e conosco molto bene
entrambi i registi da circa dieci anni ormai. Mi ha facilitato molto il fatto che il ruolo di Driss fosse stato
scritto appositamente per me. Tra di noi c'è un rapporto libero e spontaneo e inoltre avevo voglia di
recitare con Francois Cluzet, con il quale fin da subito mi sono trovato a mio agio.
Come avete lavorato per la costruzione dei personaggi? Ci sono stati dei cambiamenti rispetto ai veri
protagonisti della storia?
O.N.: Il personaggio di Driss è stato scritto pensando ad Omar. Abdel, il vero protagonista della storia, è
algerino, mentre il ruolo che abbiamo scritto per Omar è stato modellato anche per far vedere alcuni
aspetti della sua personalità, come la passione per il ballo e per la pittura. Il film mette in luce come due
mondi all'apparenza così diversi siano in realtà legati da un umorismo politicamente scorretto.
Quali sono state le reazioni al film?
Eric Toledano: La reazione di Philippe Pozzo di Borgo è stata ottima, ha detto: "Ho applaudito con tutte
e due le mani!", questo per farvi capire qual è il suo tipo di umorismo. Dal pubblico abbiamo avuto
risposte ottime, anche da persone disabili, lo hanno accolto in maniera davvero calorosa. Temevamo
molto la loro reazione, molto di più di quanto temessimo la reazione della gente delle banlieu, ambiente
nel quale Omar Sy è molto conosciuto. Il film lancia uno sguardo nuovo sul mondo dei disabili, che
sono trattati come una minoranza della società, e siamo felici di aver ricevuto risposte positive anche
da alcune associazioni che si occupano di portatori di handicap.
Avete dichiarato di voler fare una "bella commedia". Vi ispirate ad un certo tipo di commedia
americana, alla Alexander Payne?
E.T.: Non è mia intenzione risultare demagogico, ma in realtà la nostra principale ispirazione è la
grande commedia italiana degli anni '60 e '70, come "Profumo di donna". Nel nostro ufficio c'è un poster
di Vittorio Gassmann! Ci piace quel genere di commedia che tratta argomenti seri con leggerezza.
Sicuramente per fare un film come il nostro non si può prescindere da grandi film americani come "Rain
Man" o "Lo scafandro e la farfalla", ma senza dubbio il nostro punto di riferimento è la commedia
italiana.
Ci sono dei progetti per un remake americano?
O.N.: Gli Stati Uniti si sono dimostrati interessati, ma vogliamo comunque mantenere un certo controllo
sulla sceneggiatura nel caso ci dovesse essere un remake. Per il ruolo principale si è fatto il nome di
Colin Firth.
Che effetto vi fa tutta questa attenzione per il film e il fatto che nonostante sia uscito da poco nelle sale
già si parli di un possibile remake?
O.N.: Siamo molto felici che il film esca in tanti paesi, che possa essere visto da un vasto pubblico. Di
sicuro fa piacere l'interessamento e i progetti per un remake, ma prima di tutto per noi viene il piacere di
mostrare il film al pubblico.
E.T.: Gli americani non hanno sempre voglia di vedere film francesi, preferiscono fare un remake con
attori americani!
A proposito di Stati Uniti, su 'Variety' il film è stato molto criticato e siete stati accusati di razzismo. Cosa
pensate di queste critiche?
E.T.: Innanzitutto bisogna precisare che le critiche sono state espresse in un solo articolo, che tra l'altro
è stato pubblicato su 'Variety' a settembre, prima ancora che il film uscisse. Con internet la notizia si è
poi diffusa ovunque. Io credo che il giornalista che ha scritto quell'articolo abbia avuto uno sguardo
miope, ha giudicato il film con un'ottica americana, senza tenere conto della società francese e della
sua storia. Siamo stati accusati di riproporre una nuova versione dello schiavismo, ma dicendo questa
cosa si ignora completamente la storia della Francia. Quella critica è stata solo un eccesso di
egocentrismo americano, una provocazione idiota. Noi presenteremo il film negli Stati Uniti e
aspettiamo il giudizio del pubblico, che è quello che decide.
O.S.: Quando presenteremo il film vedremo quale sarà la reazione degli spettatori. Il giornalista non ha
avuto il distacco necessario da avere quando si osserva un'altra cultura. Bisogna avere uno sguardo
ampio, non essere incapaci di vedere oltre il proprio naso. Il nostro film vuole esprimere luce e
speranza.
Recensioni
Paolo D'Agostini. La Repubblica
Al di là del mix emotivo che rende efficace e anche toccante il film Quasi amici (Intouchables) dei
francesi Eric Toledano e Olivier Nakache, è interessante addentrarsi nel suo meccanismo di
costruzione perché è un notevole esempio di modernizzazione della commedia. Di che si tratta?
Philippe (Francois Cluzet) è un uomo di raffinata cultura ed esageratamente ricco - lo si vede dalla
fastosa abitazione parigina e dalla schiera di dipendenti al suo servizio - che ha perso precocemente la
moglie amatissima e che il gusto per gli sport estremi ha, dopo un incidente e una grave frattura
vertebrale, ridotto alla completa immobilità: dal collo in giù non sente niente. Driss (Omar Sy) è un
ragazzo senegalese di banlieue, di famiglia indigente e dalla fedina penale non immacolata, ma dallo
spirito contagiosamente vitale, che si presenta a Philippe per la selezione di un badante, ma solo per
ottenerne un foglio firmato che gli servirà a rinnovare l'indennità di disoccupazione con cui tira a
campare. E invece ecco la scintilla. I due si piacciono. E malgrado l'indisponente rozzezza di Driss sia
agli antipodi dell'educazione di Philippe, e malgrado l'iniziale e categorico rifiuto da parte del ragazzo di
farsi carico delle responsabilità e delle funzioni richieste per l'impegnativa assistenza al disabile, il posto
è suo e per Philippe (ma anche per Driss) sta per iniziare una nuova stagione della vita. Perché tra loro
funziona così bene, in mezzo allo sconcerto dell'ambiente che circonda Philippe? Perché Driss dà a
Philippe ciò di cui questi sente il bisogno: essere trattato "senza pietà". E più Driss colleziona gaffes e
goffaggini e grossolanità più che "scorrette", più Philippe ne ricava piacere, divertimento, spinta vitale.
Tra l'altro il film ha un bell'inizio, che poi è in realtà la fine da cui parte il flashback. La pazzia di una
corsa a manetta sulla lussuosa Maserati di Philippe che Driss - peraltro sprovvisto di patente di guida ha voluto rimettere in uso anche se non è stata attrezzata per la disabilità del padrone. Si diceva del
meccanismo. Che è un insieme di azzardi europei e di compromessi mainstream. Quanto agli azzardi,
per esempio, non è detto che una commedia hollywoodiana si sarebbe spinta tanto su un tema così
delicato. D'altra parte è anche vero che il film paga più di un pedaggio alla "vendibilità" dell'argomento
così ostico. Intanto non è indifferente il fatto che Philippe sia un disabile che dispone di infinite risorse
materiali soprattutto, ma anche culturali e spirituali, che ovviamente non sostituiscono ciò che ha perso
ma ne alleviano il peso. Poi della tristezza senza speranza dell'ambiente dal quale proviene il ragazzo
Driss si evita accuratamente di approfondire i termini, ma tutto resta sullo sfondo all'insegna del
patetismo e della presunta bontà d'animo e sanità morale di fondo dei disgraziati. E altro: pochi
superficiali tocchi su chi circonda Philippe, parenti conoscenti e dipendenti. Resta da ricordare che il
film non è un'incredibile invenzione ma si ispira a una vicenda reale. L'ispiratore del personaggio di
Philippe si chiama Philippe Pozzo di Borgo. I due autori citano invece come fonti artistiche, per
l'impronta di commedia che si proponevano, il Dino Risi di Profumo di donna, anche se nel loro caso la
comicità prende decisamente il sopravvento sulla malinconia.
Alice Casalini. Cinemafrica.org
24 febbraio 2012: l’attore francese Omar Sy vince il César come miglior attore per Quasi amici
(Intouchables) diretto dalla ormai consolidata coppia Olivier Nakache ed Eric Toledano. La conquista di
un riconoscimento così importante accompagna l’uscita italiana del film campione d’incassi in Francia
Quasi amici: una fortunata coincidenza che speriamo porti fortuna al film di Nakache e Toledano, loro
quinta regia insieme. Osannato dalla critica e dal pubblico francese Quasi amici è ispirato ad una storia
vera e i due registi e sceneggiatori ne hanno saputo trarre una commedia amara che lascia spazio alle
risate e alle lacrime: Olivier Nakache e Eric Toledano hanno dunque trovato una storia semplice ma
intensa, e sono riusciti a raccontarla in modo sincero ed onesto.
Quasi amici racconta di un incontro tra due persone appartenenti a due mondi completamente
differenti: Philippe è un ricco aristocratico costretto sulla sedia a rotelle in seguito ad un incidente, Driss
è un ragazzo di origini senegalesi proveniente dalle banlieue e appena uscito di prigione. Philippe ha
bisogno di un badante mentre Driss ha bisogno di un lavoro per avere tutti i documenti in regola. In
seguito ad un improbabile colloquio, Philippe, contro ogni previsione e con stupore dei suoi
collaboratori, sceglie di mettere in prova Driss per un mese. A poco a poco i due imparano a conoscersi
e la vicinanza forzata che oltrepassa la sfera dell’intimità e della riservatezza, trasforma il loro rapporto
avvicinando due mondi opposti.
Olivier Nakache e Eric Toledano hanno dunque trasformato in finzione la vera storia di Philippe Pozzo
di Borgo e Yasmin Abdel Sellou, badante di origini algerine: il rapporto realmente esistito è sicuramente
uno dei motivi che hanno condotto il film in un porto sicuro. Sapere che dietro l’improbabile amicizia di
Philippe e Driss c’è una verità fondata porta lo spettatore inevitabilmente a un maggior coinvolgimento
emotivo che fa passare in secondo piano lo schema prevedibile con il quale Nakache e Toledano
portano avanti il racconto. I due registi si sono lasciati andare a un sistema lineare dietro al quale forse
si sono anche un po’ nascosti da possibili e pericolosi imprevisti. Tutto questo non toglie a Quasi amici
la sua piacevole forza emotiva e coinvolgente, dovuta in particolar modo all’interpretazione dei due
attori protagonisti che da soli sostengono il film, il navigato François Cluzet e il giovane Omar Sy,
presenza ormai fissa nei film di Nakache e Toledano (Tellement proches nel 2009, Nos jours heureux
nel 2006, e Ces jours heureux nel 2002): non a caso dunque Sy ha vinto il César proprio grazie a
Quasi amici.
I primi piani intensi di Driss e Philippe portano avanti la loro storia anomala, buffa e ricca di stranezze: il
loro rapporto si costruisce piano, piano protetto dalle mura dell’enorme casa di Philippe, mentre
all’esterno c’è il mondo pieno di rischi e sfide che entrambi cercano di evitare. Driss e Philippe sono i
due opposti sotto ogni punto di vista, culturale, fisico e sociale e questo incontro così unico viene
raccontato in modo politicamente scorretto e senza ipocrisie: in questo modo il rapporto tra Driss e
Philippe prende il sopravvento su qualunque altro elemento del film conquistando l’attenzione
completa, assorta ed empatica dello spettatore che viene travolto dal sorriso sincero e ingenuo di Driss
e dallo sguardo malinconico di Philippe.
Quasi amici in Francia ha superato il record d’incassi di Giù al nord, aspettiamo ora di sapere se il
pubblico italiano sarà ugualmente coinvolto e trascinato dall’insolita amicizia di Philippe e Driss.
Luigi Locatelli. Nuovo Cinema Locatelli
I numeri fanno impressione. 280 milioni di dollari incassati finora in tutto il mondo, che fanno di Quasi
amici (Intouchables) il film non americano di maggior successo commerciale di tutti i tempi. Del
malloppo, 166 li ha incassati in Francia (più Algeria, Tunisia e Marocco), che gli vale il numero due al
box office nazionale di sempre dopo Chez les Ch’tis (Giù al Nord). 64 arrivano dalla Germania, mercato
tradizionalmente sfavorevole al cinema venuto da Parigi, e che invece stavolta si è arreso all’invasione
dei due intoccabili. In Italia Quasi amici nel weekend scorso ha raggiunto il primo posto al box office,
dopo una marcia di quattro settimane che l’ha visto a ogni weekend mantenere costante l’incasso di un
milione e mezzo di euro, mentre di solito i film fanno il botto la prima settimana e poi si inabissano.
Segno, questa tenitura, questa progressione diesel, che il successo si è consolidato strada facendo ed
è dovuto soprattutto al passaparola (...). In ogni caso gli otto e passa milioni di euro a oggi incamerati
da noi sono qualcosa di eccezionale per un film francese, genere che in Italia non paga quasi mai. Si
vedano gli incassi del pompatissimo The Artist, molto, molto più strombazzato di Quasi amici, che sono
dignitosi ma non stellari, per non parlare di come è andato, anzi non è andato, un gran bel film quale
Polisse, gran successo in patria e da noi rimasto in sala un solo weekend (...).
Qui siamo di fronte a una storia che si fa parabola esemplare, che intercetta paranoie, paure,
ossessioni, ansie ma anche speranze e voglie del presente, del qui e ora di questa nostra acciaccata
Europa, che le intercetta e poi le rimastica, le rielabora, le struttura in una narrazione e ce le serve
egregiamente. Usando archetipi vecchi e facendoceli sembrare nuovi, tirandoli a lucido con sapienza
artigianale e anche con una certa ruffianeria da venditori e imbonitori che sanno il mestiere loro. La
storia la sapete, la sappiamo. (..)
Anche la durezza è meglio del pietismo, dunque che Driss, così sguaiato e ineducato, sia l’eletto. Storia
ispirata, così dicono i titoli di coda, a quella vera dell’aristocratico corso Philippe Pozzo di Borgo e del
suo badante, il tunisino Abdel Sellou. (...) Siamo nella più classica commedia degli opposti, due
caratteri che più diversi non possono essere, la strana coppia che per forza deve convivere con tutti i
malintesi e i battibecchi e i micro-macro conflitti che si generano. Il bianco e il nero, il ricco e il povero,
il borghese e il lumpenproletario, il colto e l’ignorante, il debole e il forte, il malato e il sano, l’europeo e
l’africano, l’uomo del nord del mondo e l’uomo del sud del mondo. (...). All’inizio i due faticheranno a
coabitare e a tollerarsi, poi impareranno a rispettarsi, forse anche a volersi bene (questo è l’aspetto più
sotterraneo e segreto del film, che pure fa dell’estroversione uno dei suoi registri e sembra tutto
esplicitare e gridare). Driss incomincerà a restare affascinato da quell’uomo colto che lo sta
introducendo a un mondo ignoto – l’arte, la musica, la bellezza, la cultura nel senso proprio del canone
occidentale alla Bloom – e anche agli agi, mentre Philippe di quel rozzo giovane uomo venuto dalla
banlieu, e da ancora più lontano, amerà la sincerità, l’autorevolezza fisica e corporale, la forza e
l’astuzia, e una umanità per così dire naturale e primaria. Soprattutto, ne apprezzerà la mancanza
totale di condiscendenza e ipocrisia nei suoi confronti. Non c’è pietismo in Driss, semmai pietas.
Questa commedia tratta la disabilità con sguardo fermissimo e senza il minimo cedimento sentimentale
e politically correct, Driss fa battute e battutacce su quell’uomo che non può muoversi, sul suo corpo
degradato, ma lo fa sentire ancora vivo, ancora umano, almeno capace di cogliere qualcosa del vivere,
portandolo a folle velocità nella notte sulla Maserati, o trasformando la sua carrozzina di disabile in
giocattolo da corsa, e accompagnandolo in un bordello dove sapienti mani orientali gli facciano il
massaggio giusto all’orecchio che, ebbene sì, se ben solleticato e sollecitato, è ancora in grado di
trasmettere qualche brivido a Philippe. (…)
Si ride moltissimo. Driss è sguaiato e volgare, ma non gli si può resistere, non ce n’è, grazie anche a un
attore che di nome fa Omar Sy e che si è fatto largo nel mondo dei comici immigrati. Così bravo, Sy, da
aver portato via il mese scorso il César addirittura a quel Jean Dujardin di The Artist che di lì a un paio
di giorni avrebbe vinto l’Oscar (giusto così: Intouchables è assai meglio di The Artist, non c’è gara).
Certo, il film è al fondo, nonostante l’apparente tono oltraggioso e smargiasso, di grande bontà, e
perfino edificante. In fondo, ci dice che tra diversi la coabitazione è possibile e auspicabile, che tra
mondi lontani non è detto ci debba essere sempre scontro di civiltà, ma ci stanno anche l’incontro e la
compenetrazione. Prende quelle che sono le ossessioni dell’everyman francese e bianco-europeo di
oggi, la paura dell’immigrato e dell’altro, e le esorcizza attraverso questa sacra rappresentazione (sacra
perché ha l’esemplarità e la didascalicità del rito), e le depotenzia, le devia, le sublima, quelle
ossessioni. Ma c’è molto altro, in questo film epocale. C’è la messa in scena, chissà quanto
consapevole, della debolezza europea a fronte della rampante, forse inarrestabile forza extraeuropea
dei popoli giovani e belli e forti. Intouchables allora sarebbe una sorta di spengleriana riflessione sul
tramonto dell’Occidente in forma di commedia e burla, dove l’europeo si arrende e si mette nelle mani
dell’altro che viene da lontano e che ha ancora quell’energia che lui ha invece irrimediabilmente perso.
Gli si arrende, e gli consegna il proprio corpo sfibrato. Ma in questo film-mondo, in questo film-epoca,
c’è altro ancora, e ancora, e ancora, c’è l’eterna dialettica servo-padrone (...), qui nella sua variante
tutta maschile, e di complicità maschile, sul modello Don Giovanni-Leporello. Sicchè, oltre al Vivaldi e
Weber che sentiamo eseguire in qualche scena, in questo film c’è anche qualcosa, anzi parecchio, di
mozartiano.
Gianni Rondolino. La Stampa
film che in Francia ha avuto un successo strepitoso e che in Italia, da più di un mese, riempie le sale e
conquista il pubblico s’intitola Quasi amici, come fosse semplicemente il ritratto di due personaggi che
diventano appunto amici frequentandosi.
Il titolo originale è Intouchables e coglie meglio il significato della storia che mette a confronto due
esseri contrapposti e appunto intoccabili. Da un lato c’è il ricchissimo borghese Philippe, paraplegico;
dall’altro il nero Driss, in crisi con la famiglia povera e alla ricerca di denaro. Fra i due si crea un
rapporto imprevisto e imprevedibile, dal momento che Driss si presenta in casa di Philippe e questi,
dopo avergli fatto fare un esame, lo fa assumere come il suo aiutante personale, che lo deve seguire di
giorno in giorno. La vicenda si sviluppa appunto quotidianamente mettendo a confronto non soltanto
due personalità contrapposte ma due modi diversi di vivere e di concepire la vita di relazione. Inoltre c’è
il forte contrasto fra povertà e ricchezza ed anche fra due razze e due popoli differenti: il bianco e il
nero, il francese e l’africano. Un contrasto che mette in luce due culture e due civiltà, che a poco a poco
si integrano a mano a mano che il rapporto fra i due diventa una vera e propria «amicizia». Perché non
v’è dubbio che Philippe veda in Driss un uomo ricco di spirito inventivo, d’un sottile umorismo, d’un
modo molto personale e originale di comportarsi. E, dal canto suo, Driss vede in Philippe un miliardario
che è più umano e simpatico, gentile e comprensivo di come si pensa possa essere appunto un uomo
ricchissimo ed anche solitario.
Il film, che è interpretato da due attori di grande intensità espressiva che sanno mescolare il serio e il
faceto, la simpatia e la deferenza, la quotidianità e la difficoltà di vivere, non può lasciare indifferente lo
spettatore, anzi lo coinvolge di sequenza in sequenza lungo una narrazione che si articola non tanto in
capitoli quanto piuttosto in un unico percorso progressivo. Ed è questa progressione (...) a fornire il filo
conduttore di uno spettacolo che non soltanto piace moltissimo al pubblico e lo diverte, grazie a una
serie di situazioni e di battute umoristiche, ma apre uno spiraglio su una serie di problemi che, non solo
in Francia, riguardano i rapporti fra bianchi e neri, europei e africani; e più in generale fra passato e
presente nel campo del modo di vivere e di pensare. E non è poco per un film che parrebbe soltanto
divertente e invece è serio e profondo.
Valerio Caprara. Il Mattino
Lasciando da parte l’ipotetica autorità del critico, “Quasi amici” è invece un titolo da consigliare ai veri
amici. Il duo registico francese ci regala, infatti, una scorribanda sul versante tragicomico dei rapporti
umani che non sbaglia un colpo sulla definizione dei caratteri, il valore delle recitazioni e la variopinta,
paradossale, irresistibile suite di situazioni, colpi di scena, figuracce, mascalzonate e sberleffi. Ispirato a
una storia vera (“Il diavolo custode”, ediz. Ponte delle Grazie), il film accende la più impensabile delle
scintille tra un ricco, raffinato e tetraplegico signore bianco e il suo badante nero, mini-malavitoso,
ignorante e scatenato: scavalcando con bella faccia tosta e adeguato gioco narrativo ogni riverenza
politicamente e socialmente corretta, “Quasi amici” tratta l’handicap come un accidente penoso eppure
non definitivo che non ha bisogno dell’ipocrita pietismo ma, casomai, di un franco e liberatorio aiuto per
continuare a sfidare in qualche modo la scommessa della vita.
Cristina Piccino, Il Manifesto
In Francia coi suoi 19 milioni di euro al botteghino è diventato il vanto nazionale. «Non toccate
Intouchables» recitava con gioco di parole - Ne touchez pas - un commento qualche giorno fa sul
quotidiano francese “Libération”, alludendo al fatto che il film di Toledano e Nakache è diventato
appunto «intoccabile» esso stesso, gradito all'alta borghesia - il gruppo del film ha ricevuto anche
l'invito a pranzo di Sarkozy, con il caso scoppiato sulla mancata presenza, ufficialmente per impegni di
set di Omar Sy - e al pubblico delle banlieue. Perché poi è tra questi due mondi, intoccabili tra loro, che
gioca la storia del film di cui Toledano e Nakache hanno scritto la sceneggiatura ispirata al romanzo di
Philippe Pozzo di Borgo (...). «È insopportabile, vanitoso, orgoglioso, brutale, superficiale, umano.
Senza di lui sarei morto di decomposizione .. Mi ha liberato quando ero prigioniero, protetto quando ero
debole. Mi ha fatto ridere quando ero a pezzi..» scrive Pozzo di Borgo, e la cifra della «storia vera» - coi
dovuti aggiustamenti, Abdel diviene Driss nel film (Omar Sy), ed è senegalese mentre Philippe è
interpretato da Cluzet - viene dichiarata subito dai registi, che accentuano il tono di questa verità con la
scena finale, stile filmino di famiglia, in cui vediamo i due protagonisti reali.
Il «diavolo custode» è insomma l'opposto di Philippe, trova Rimbaud pesante, ride davanti all'opera, si
annoia con la musica classica e Berlioz è il nome della periferia parigina. Adora le macchine potenti,
balla benissimo, fa scoprire a Philippe il gusto di una bella canna e del massaggio thai con signorine in
camera la sera ... Come ti ecciti? gli chiede. Attraverso le orecchie risponde Philippe che da mesi
intanto ha una corrispondenza amorosa con una donna alla quale non ha il coraggio di dire del proprio
stato di paralitico. Scommettiamo che sarà il diavolo custode a mettere tutto a poso? E ai parenti
scandalizzati Philippe risponde che gli piace perché non ha compassione, difatti Driss sfodera battute
sui paralitici come se nulla fosse lasciandosi alle spalle nel lusso di bagno con vasca l'Hlm di spaccio,
violenza, famiglia numerosa.
Fosse però solo lo specchio francese di due società parallele, Quasi amici non funzionerebbe fuori dai
confini nazionali: il gusto esotico è certo componente reciproca dei due personaggi, che si annusano, e
nella distanza siderale, si seducono. Ed è questa seduzione la chiave del loro rapporto.
Solo che Toledano e Nakache la nascondono nella cifra più facile e rassicurante della commedia, in cui
funzionano gli stereotipi perciò Driss ha un corpo perfetto, da calciatore, pensa solo a rimorchiare,
risolve i problemi, tipo «inquadrare» l'insopportabile figlia teenager del capo a suon di sberle o quasi. E
mettono in atto il gioco di immedesimazione che è riconoscibile ovunque: risate davanti all'opera lirica,
l'arte contemporanea che so farla pure io, tipo un Sordi italiano degli anni sessanta. Mentre come ogni
uomo comune Driss si esalta per le grosse macchine e gli aerei privati. L'aristocratico si diverte, in
fondo è il suo il punto di vista, e piange quando Driss deve andare via. Questi « Quasi amici» sono la
perfetta sintesi di una complicità maschile (?) che è sempre in bilico sull'erotismo, specie poi degli
opposti, che si sintetizzano nei diversi corpi, uno perfetto, l'altro devastato, nella sua idea di mascolinità
impotente come leggiamo nelle prime pagine del romanzo che i registi hanno lasciato fuori.