quasi amici - Ufficio Stampa
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GAUMONT presenta Una produzione QUAD François CLUZET Omar SY QUASI AMICI (INTOUCHABLES) Scritto e diretto da Eric TOLEDANO e Olivier NAKACHE distribuzione www.medusa.it durata: 111’ Ufficio Stampa: MariaTeresa Ugolini uscita: 24 febbraio 2012 tel. 06 66390640 335 7767096 [email protected] SINOSSI Dopo un incidente di parapendio che lo ha reso paraplegico, il ricco aristocratico Philippe assume Driss, ragazzo di periferia appena uscito dalla prigione - come badante personale… Per dirla senza troppi giri di parole, la persona meno adatta per questo incarico. L’improbabile connubio genera altrettanto improbabili incontri tra Vivaldi e gli Earth, Wind, dizione perfetta e slang di strada, completi eleganti e tute da ginnastica … Due universi opposti entrano in rotta di collisione ma per quanto strano possa sembrare prima dello scontro finale troveranno un punto d’incontro che sfocerà in un’amicizia folle, comica, profonda quanto inaspettata che li renderà….. Intoccabili. GLI ATTORI Philippe Driss Yvonne Magalie Marcelle Elisa Adama Albert Chantal Antoine François CLUZET Omar SY Anne LE NY Audrey FLEUROT Clothilde MOLLET Alba Gaïa BELLUGI Cyril MENDY Christian AMERI Marie-Laure DESCOUREAUX Grégoire OESTERMANN I REALIZZATORI Regia di Sceneggiatura e dialoghi Produttori Co-prodotto da Direttore della fotografia Addetto al montaggio Tecnico del suono Colonna sonora originale Scenografie Costumi Direttore di produzione Direttore del casting Eric TOLEDANO Olivier NAKACHE Eric TOLEDANO Olivier NAKACHE Nicolas DUVAL ADASSOVSKY Yann ZENOU Laurent ZEITOUN QUAD GAUMONT TF1 FILMS PRODUCTIONS TEN FILMS CHAOCORP Mathieu VADEPIED Dorian RIGAL-ANSOUS Pascal ARMANT Ludovico EINAUDI François EMMANUELLI Isabelle PANNETIER Vincent PIANT Gigi AKOKA QUASI AMICI (Intouchables) NOTE DI REGIA “Se non fossi caduto, non avrei incontrato Abdel e non sarei qui a parlare con voi adesso …” Sono state queste parole, pronunciate da Philippe Pozzo di Borgo nel corso nel nostro primo incontro a convincerci a fare di questa storia vera anche se improbabile il soggetto del nostro quarto film. Il nostro dichiarato desiderio è sempre stato mettere insieme umorismo ed emozioni utilizzando nella fattispecie le discrepanze che scaturiscono inevitabilmente da alcune situazione della nostra vita quotidiana. Dopo “Tellement Proches”, volevamo continuare sulla stessa strada e andare oltre raccontando una storia ancor più potente visto che “QUASI AMICI” descrive l’improbabile incontro tra un ricco aristocratico reso disabile da un incidente di parapendio e un badante che viene dalla povera e complicata periferia parigina che lo porterà piano piano ad apprezzare nuovamente la vita. L’originalità del film è che tratta in maniera umoristica e divertente un argomento alquanto delicato e serio e sarà proprio attraverso le risate che tra i due uomini dotati entrambi di una forte personalità e che sulla carta non hanno niente in comune - nascerà una complicità totalmente inaspettata. Ma al di là di questa straordinaria storia di amicizia, speriamo anche di abbozzare un ritratto della Francia contemporanea concentrandoci sul concetto stesso di solidarietà che viene dolorosamente messo alla prova dal divario sociale e psicologico apparentemente incolmabile che separa i quartieri eleganti e le periferie misere di Parigi, l’incontro insolito ed esplosivo tra due mondi apparentemente all’opposto che vuole simboleggiare l’incontro/scontro tra i disabili fisici e quelli sociali. “QUASI AMICI” assume la forma di una commedia tenera e comica che ricorda le “strane coppie” dei celebri “Profumo di Donna” di Dino Risi e “L’ottavo giorno” di Jaco Van Dormael. Descrivendo il difficile rapporto tra due mondi così diversi, desideravamo realizzare un film che parlasse dei pregiudizi in generale e abbiamo pensato di raggiungere il nostro scopo con un cast di attori di grande talento e fama. Ed è per questo che ci è sembrato logico dirigere per la terza volta Omar Sy che interpreta Abdel (Driss). Omar viene dalla periferia di Parigi e in questo film è riuscito a mostrare alcune sfaccettature della sua personalità che nessuno aveva ancora mai visto. E François Cluzet, famoso per la passione e l’intensità con le quali interpreta tutti i suoi ruoli, si è calato a meraviglia nei panni di Philippe Pozzo di Borgo (Philippe). Vista la complessità del ruolo, che ha richiesto un’autentica trasformazione fisica, un controllo perfetto del corpo e una rinuncia totale alla sua personalità di attore, eravamo certi che la sensibilità profonda e il rigore assoluto di François Cluzet sarebbero stati utilissimi per interpretare magistralmente Philippe Pozzo di Borgo. La regia del film è sobria, elegante e ritmata ed è stata l’energia dei due protagonisti a fornire la vera spinta narrativa. Il nostro obiettivo è stato non farsi imprigionare da preconcetti e cliché ma cercare di portare alla ribalta attraverso tutta una serie di sfaccettature e sfumature, la ricchezza spirituale prodotta da un magico incontro che ha letteralmente cambiato il destino di due uomini. Eric Toledano e Olivier Nakache QUASI AMICI (Intouchables) Note di produzione “QUASI AMICI” sarà il nostro quarto film con Eric Toledano e Olivier Nakache, e segna una nuova tappa nella nostra collaborazione che è iniziata nel 2004. Sin dal nostro primo film insieme, siamo stati affascinati dal loro desiderio e dalla loro capacità di combinare umorismo e emozioni, due registri diversi ma complementari che quando mischiati alle giuste dosi producono film che arrivano dritti al cuore. Per questo siamo stati sin da subito molto entusiasti all’idea di un film ispirato alla storia vera di Philippe Pozzo di Borgo, erede di un’importante famiglia aristocratica francese, collezionista d’arte, con una vita perfetta: una bellissima moglie, due meravigliosi figli, un incarico da manager in un’importante società che produce champagne … fino a quando un incidente di parapendio ha fatto di lui un invalido…. prima che sua moglie morisse di setticemia tre anni dopo. Queste due tragedie consecutive e ravvicinate avrebbero distrutto qualunque altro uomo ma nel caso di Philippe Pozzo di Borgo, un incontro – a dir poco inaspettato – ha cambiato tutto: è arrivato Abdel (ribattezzato Driss nel nostro film) un giovane proveniente da una periferia disagiata, superficiale, fiero, brutale, volatile insopportabile…. ma soprattutto umano che è stato in grado di far rinascere in Philippe la voglia di vivere. Sul grande schermo il pubblico cinematografico avrà l’occasione di seguire l’incontro/scontro tra due personaggi, due menti, due personalità, due temperamenti, due visioni della vita, due culture diametralmente opposte che creeranno situazioni molto comiche cariche però di tanta tenerezza, elemento che caratterizza tutti i film di Eric e Olivier. Il film inoltre impartisce una meravigliosa lezione di speranza, coraggio e tolleranza perché non soltanto Abdel ha salvato Philippe dalla depressione ma soprattutto – e contro ogni previsione – gli è diventato amico. E Philippe, a sua volta, ha insegnato a Abdel a trovare la stabilità, a vivere all’interno della società e a costruirsi una vita strutturata. Per quanto riguarda gli attori, abbiamo deciso di affidare i ruoli principali a François Cluzet e Omar Sy i quali, come i personaggi del film, vengono da due mondi totalmente diversi. Sapevamo che François Cluzet è uno dei pochissimi attori francesi in grado di annullarsi completamente in un personaggio e che per questo sarebbe stato in grado di regalarci un’interpretazione memorabile. Per quanto riguarda Omar (con il quale avevamo già collaborato due volte in passato (“Nos Jours Heureux”, “Tellement Proches”) invece, eravamo consapevoli che con il suo carisma, con il suo umorismo arrogante da “bullo di periferia” e con il suo immenso talento di attore, avrebbe dato vita ad un meraviglioso e commovente Driss. Eravamo inoltre convinti che tra i due attori si sarebbe creata una certa alchimia e che insieme sarebbero riusciti a dare vita a questa incredibile e speciale relazione di amicizia che è nata nella vita tra Philippe e Abdel. Raccontare questa storia ci ha anche offerto l’opportunità di affrontare temi sociali che ci toccano in maniera particolare: l’integrazione, la collocazione dei giovani che vengono dalle periferie, il divario sempre maggiore tra le classi più abbienti e quelle più povere, e le difficoltà a volte insormontabile di convivere con un handicap fisico…. In conclusione, nonostante l’inizio alquanto drammatico della storia, abbiamo avuto l’ambizione di fare di “QUASI AMICI” una commedia sincera, sia umana sia sociale, diversa da tutte quelle prodotte ultimamente dal cinema francese. INTERVISTA AI REGISTI Come vi è venuta l’idea di realizzare INTOUCHABLES? Olivier Nakache: Tutto è iniziato nel 2003 mentre stavano guardando un documentario che ci ha colpiti parecchio, intitolato: A LA VIE, A LA MORT. Il documentario raccontava la storia dell’improbabile e incontro tra Philippe Pozzo di Borgo, rimasto paraplegico in seguito ad un incidente di parapendio, e Abdel, un ragazzo della periferia parigina da lui ingaggiato come badante. All’epoca avevamo appena terminato le riprese di JE PREFERE QU’ON RESTE AMIS (a.k.a. JUST FRIENDS) e probabilmente non eravamo abbastanza maturi per affrontare un argomento di questo tipo; ciononostante quel documentario ci è rimasto nel cuore al punto che ogni tanto lo riguardavamo…. E poi alla fine dopo aver realizzato TELLEMENT PROCHES (a.k.a SO CLOSE), abbiamo capito che era giunto il momento di affrontare quella storia. Eric Toledano: Diciamo che anche le circostanze che si erano venute a creare dopo quel film erano un po’ speciali visto che Omar aveva lavorato con noi per la seconda volta interpretando il ruolo di un medico. Era stata una tale gioia vederlo di nuovo sul set dopo la felice esperienza di I NOSTRI GIORNI FELICI:PRIMI AMORI, PRIMI VIZI, PRIMI BACI (a.k.a THOSE HAPPY DAYS) che volevamo a tutti i costi continuare questa avventura con lui. Sentivamo che Omar non aveva ancora espresso tutte le sue potenzialità sul grande schermo e in quel momento abbiamo pensato al rapporto speciale tra Philippe e Abdel. Abbiamo fatto vedere a Omar il documentario per sondare il terreno e dopo aver avuto una risposta più che positiva da lui abbiamo capito che la storia conteneva tutti gli ingredienti che cercavamo: una trama incredibile, un argomento potente, tantissimo umorismo…. E soprattutto tutto ciò che Olivier ed io ammiriamo: individui che in situazioni difficili ed estreme riescono a conservare il senso dell’umorismo e a restare positivi. E’ così che lavoriamo nella vita di tutti i giorni ed è per questo che sapevamo di avere qualcosa da dire al riguardo. Dopo aver avuto l’approvazione di Omar, come avete proseguito? O.N.: Prima di iniziare a lavorare alla sceneggiatura, abbiamo voluto incontrare Philippe Pozzo di Borgo che vive a Essaouira, in Marocco, dove si è risposato. Per capire se il nostro desiderio di realizzare un film sulla sua storia sarebbe uscito rafforzato da un incontro con lui. E.T.: Siamo riusciti a contattarlo piuttosto facilmente perché alla fine del libro che ha scritto, LE SECOND SOUFFLE, ha inserito il suo indirizzo di posta elettronica e ci ha risposto immediatamente dicendo che non eravamo i primi registi cinematografici che avevano espresso il desiderio di adattare la sua storia per il grande schermo e che aveva già letto diverse sceneggiature al riguardo. In ogni caso ci ha detto che sarebbe stato un piacere per lui incontrarci. O.N.: E quell’incontro è stato veramente decisivo! E.T.: Perché ci ha raccontato tutto quello che nel documentario mancava e molte delle cose che ci ha rivelato hanno lasciato il segno. Philippe non è una persona molto loquace, ma le sue parole sono molto potenti…. E ci ha detto: “Se volete veramente fare questo film, fate che sia divertente perché questa è una storia che va trattata con umorismo.” E noi lo abbiamo tranquillizzato svelando le nostre intenzioni. Infine ha aggiunto: “Se non avessi incontrato Abdel, sarei già morto.” E questa conversazione ci ha permesso di porci tanti altri quesiti e di sviluppare nuovi sotto temi, nella fattispecie come è possibile che due diversi strati della società francese contemporanea, rappresentati da Philippe e Abdel, riescano ad entrare in contatto e a sviluppare una relazione potente dopo essere entrati per così dire “in rotta di collisione” per motivi casuali. Questi due uomini, uno vittima di un handicap fisico e l’altro vittima di un handicap sociale, hanno una sorta di bizzarra e inaspettata complementarietà, che li ha portati a sviluppare questo improbabile rapporto. Philippe Pozzo di Borgo vi ha dato subito la sua approvazione per INTOUCHABLES? O.N.: L’incontro è stata per lui l’occasione di conoscerci e di capire che persone fossimo e in quell’occasione gli abbiamo anche fatto vedere i nostri film precedenti. C’è stato tra noi uno scambio sincero e lui ci ha spinti a intraprendere questa avventura. E.T.: Ha capito subito che gli avremmo fatto leggere ogni singola riga della sceneggiatura e possiamo affermare che è stato contento di questo nostro desiderio e che ha avuto subito voglia di discuterne con noi…. E’ stato generoso ed estremamente gentile in tutte le email che da quel giorni ci siamo scambiati. O.N.: Si è fidato di noi e quando incontri una persona del genere, non resti certamente indifferente. E.T.: Per ogni nuova versione della sceneggiatura che gli facevamo leggere, ci mandava pagine e pagine di appunti. Per esempio, sottolineava sempre le situazioni impossibili per una persona nelle sue condizioni fisiche. In breve, ha reso la nostra sceneggiatura ancora più realistica e credibile raccontando i dettagli di una realtà che è al tempo stesso più folle e più divertente di quella che noi stavamo descrivendo nella nostra sceneggiatura. Ogni volta ha fatto emergere il lato normale di situazioni assolutamente anomale e la sua capacità di farci dimenticare il suo handicap fisico, ci ha guidati per tutto il film. Ed è anche per questo che quando Omar e François Cluzet hanno detto di si, abbiamo organizzato un “corso di integrazione”. Siamo tornati a Essaouira per far conoscere Philippe anche a loro e anche in questa occasione ci ha fornito tanto altro materiale prezioso … O.N.: Ed è stato allora che François ha iniziato a ispirarsi a lui, osservando come vive, come si muove, come parla prima di provare a ricreare tutto questo sul set. Alla fine delle tre giornate marocchine, François ci ha detto: “Sono pronto.” E’ un attore così intenso e pronto a calarsi totalmente nei ruoli che interpreta, e quell’incontro lo ha certamente toccato profondamente. Perché avete scelto François Cluzet per interpretare Philippe? O.N.: Inizialmente il criterio di scelta era una netta differenza di età tra i due personaggi. E questo implicava necessariamente la scelta di attori di un certo calibro. Poi abbiamo saputo che François aveva letto la sceneggiatura a nostra insaputa, grazie al suo agente e che aveva chiesto di incontrarci. Ed è così che è iniziato tutto! E.T.: Il suo entusiasmo è stato contagioso e ci è bastato per farci prendere una decisione. Una delle cose che ci hanno letteralmente conquistati è stata quando ci ha detto che voleva vivere le situazioni e non semplicemente interpretarle. Poi con il passare dei giorni abbiamo iniziato a pensare alle scintille che sarebbero scoppiate quando avrebbe incontrato Omar il quale, come lui, vive a fondo le situazioni e non si limita ad interpretarle. E le cose sono andate ben al di là delle nostre aspettative. O.N.: François è un attore molto intenso e questo ruolo implicava una grande preparazione. Non bastava presentarsi sul set il giorno prima dell’inizio delle riprese, provare a star seduto su una sedia a rotelle e interpretare il ruolo di un uomo sofferente … senza un’intensa e meticolosa preparazione. E come aveva promesso, è stato più che all’altezza della sfida. Sullo schermo non si ha mai la sensazione di vedere due “attori” che recitano, ognuno concentrato su se stesso. Si sente invece che recitano veramente e sinceramente insieme dando vita ad una sorte di personaggio bi-fronte. Era una cosa così evidente anche durante le riprese? O.N: Ad essere onesti non ce ne siamo resi conto subito perché François è un attore che all’inizio tende a mantenere le distanze. Ha un approccio molto intellettuale al suo lavoro soprattutto prima di iniziare le riprese. Per lui, la parte più importante del lavoro viene prima e finisce nel momento in cui arriva sul set quando tutto quello che fatto fino a quel momento deve essere tarato alla perfezione. Di conseguenza, non siamo riusciti a percepire immediatamente la straordinarietà di quello che succedeva! Ma poi abbiamo capito che erano entrambi riusciti a fare esattamente quello che desideravamo e da quel momento per noi guardarli recitare è stata una pura gioia. Omar e François, ognuno a suo modo, hanno cercato di sfruttare i propri ruoli per rendere i rispettivi personaggi il può reali e credibili9 possibile, evitando però qualunque forma di competizione tra di loro. In questo film, rispetto ai film precedenti che avevate fatto con lui, in che modo Omar vi ha sorpresi? E.T.: Non ci saremmo mai imbarcati nella realizzazione di un film come INTOUCHABLES se non avessimo avuto le idee ben chiare sugli attori che avremmo voluto con noi. E come è stato per il personaggio di Philippe, anche l’attore che doveva interpretare Driss doveva essere credibile sin dalla prima apparizione. Omar ci ha sorpresi in continuazione. Ha preso da solo l’iniziativa di dimagrire di 10 chili e di sviluppare un po’ di muscoli senza che noi glielo chiedessimo, semplicemente perché a suo avviso un uomo che viene dalla periferia sarebbe stato sicuramente più magro di come è lui nella vita reale. E quando lo abbiamo visto arrivare con la testa rasata, vestito semplicemente con una felpa con il cappuccio e un giubbotto di pelle, io sono rimasto letteralmente senza fiato per gli importanti passi che aveva già compiuto verso il suo personaggio, di sua spontanea iniziativa e senza alcuna indicazione da parte nostra. O.N.: E una volta sul set la sua recitazione è stata a dir poco magnetica! Avevamo sempre saputo che dentro di lui si nascondeva un grandissimo attore ma questa volta, ci ha veramente messi KO!. E.T: Omar ha portato sul set buon umore e amicizia, ingredienti preziosi durante la lavorazione. Possiede una strana e rara forma di umiltà. A volte, la gente lo aspettava vicino al set, soprattutto quando abbiamo girato vicino ad una scuola media a Bondy e lui si lasciava fotografare con tutti i ragazzini, senza mai perdere il buon umore. Non si prende mai troppo sul serio e il suo rapporto con la fama è assolutamente naturale. Come avete lavorato con François e con Omar prima dell’inizio delle riprese? O.N.: Abbiamo organizzato diverse letture della sceneggiatura che sono state utilissime perché ci piace “carpire” i segreti agli attori approfittando di questi momenti quando riusciamo a cogliere sfumature che altrimenti ci sfuggirebbero. Il nostro “metodo” di lavoro preveder diverse fasi. Innanzitutto, scriviamo la sceneggiatura e poi la riscriviamo durante le riprese. Ad essere sinceri, non sapevamo come avrebbe reagito François sul set perché noi parliamo in continuazione, anche durante i ciak! E.T.: Così facendo, tentiamo di “disturbare” le performance degli attori per far emergere cose inaspettate, improvvisazioni e piccolo incidenti di percorso. O.N.: Facciamo una lunga e meticolosa preparazione ma quando cominciamo a girare, proviamo tutte le idee che ci vengono in mente e questa è sicuramente una cosa destabilizzante al punto che spesso i nostri collaboratori ci chiedono di fare almeno una volta quello che è previsto dalla sceneggiatura! E.T.: Ma possiamo permetterci queste digressioni perché partiamo da una base molto solida, da una lunga preparazione alla quale hanno partecipato tutti. E poi giunge la fase di “demolizione” di quello che abbiamo fatto perché temiamo che gli attori si annoino. Noi vogliamo che sul set ci sia sempre concitazione, trepidazione; è una cosa che ci unisce molto. Dopo due film corali, I NOSTRI GIORNI FELICI:PRIMI AMORI, PRIMI VIZI, PRIMI BACI (Those Happy Days) e TELLEMENT PROCHES (So Close), questo film invece si concentra su due personaggi, e in questo ricorda un po’ il vostro primo lungometraggio, JE PREFERE QU’ON RESTE AMIS (Just Friends). Quale tra i due stili, preferite? E.T.: TELLEMENT PROCHE è stato inconsapevolmente influenzato dal successo di I NOSTRI GIORNI FELICI:PRIMI AMORI, PRIMI VIZI, PRIMI BACI, ed è per questo che abbiamo deciso di continuare sullo stesso registro, lavorando con il gruppo ma anche con ogni singolo personaggio. Inoltre, adoriamo le storie in cui diverse vicende si intrecciamo, i film italiani in cui i personaggi parlano in continuazione … O.N.: Siamo terrorizzati all’idea di annoiare il pubblico! Avere tanti personaggi e tante storie sicuramente ci aiuta ad evitare questo rischio. E.T.: E’ anche per questo che INTOUCHABLES è stata un’autentica e paurosa sfida per noi. Ma per fortuna avevamo al nostro fianco dei grandissimi produttori che hanno vegliato su di noi e che hanno saputo stimolarci e metterci sulla strada giusta sin dalla prima versione della sceneggiatura, aiutandoci a eliminare tutti i personaggi secondari e facendoci concentrare sui due protagonisti. E avevano ragione perché era stata propria la voglia di descrivere questo rapporto tra due persone ad averci spinti a scrivere e dirigere INTOUCHABLES. Ed è per questo che abbiamo deciso di fidarci ciecamente della storia e di affidarci ai due protagonisti senza prendere deviazioni. O.N.: In INTOUCHABLES, ci sono pochissimi personaggi secondari che rappresentano una sorta di “break” dalla storia principale senza però farci perdere di vista l’essenza del film. E.T.: Ma affinché possano svolgere il loro ruolo ed essere credibili, anche i personaggi secondari devono esistere e devono avere un certo peso. E sappiamo di dovere tantissimo agli splendidi attori che li hanno interpretati e che hanno accettato di fare un qualcosa che non era poi così scontato: solo qualche giorno di riprese, piccolissimi e umili ruoli al servizio della trama principale. E siamo stati più che fortunati ad avere con noi attori del calibro di Anne Le Ny, Clothilde Mollet, Audrey Fleurot, Grégoire Oesterman e tutti gli altri che hanno accettato di mettere il loro incredibile talento al servizio di questo film. La musica svolge sempre un ruolo importante nel vostri film, ma in questo è ancora più determinante. In quale fase del processo creativo lavorate alle musiche? O.N.: In tutti. Per esempio, appena abbiamo iniziato a scrivere abbiamo pensato alla canzone degli Earth, Wind and Fire sulla quale Driss balla alla festa di compleanno di Philippe. Mentre le canzoni che accompagnano le sequenze montate del film le abbiamo pensate durante le riprese e il montaggio. Ad essere onesti, siamo un po’ nevrotici sulle musiche! Gli dedichiamo molto tempo e poi arrivano i mal di testa per avere i diritti! E.T.: Per quanto riguarda il compositore e la colonna sonora, ci siamo imbattuti in Ludovico Einaudi mentre navigavamo sui siti musicali. I suoi brani al pianoforte – simili alle impeccabili composizioni di Michael Nyman o Thomas Newman – hanno accompagnato la scrittura di tante sequenze che avevano bisogno di emozioni ma anche di un certo distacco. E poi un giorno lo abbiamo chiamato e gli abbiamo chiesto di comporre la colonna sonora del film e lui ha accettato. Una volta gounti sul set, c’erano delle scene che temevate in modo particolare? O.N.: Sul set c’è sempre qualcosa da temere … E.T.: Le sequenze con la sedia a rotelle che Omar deve posizionare prima di portarci François e mettercelo a sedere sopra. La scena nella quale François soffre a causa dei suoi “dolori fantasma” come se i suoi arti stessero tornando alla vita. In questo caso, non ci siamo sentiti in grado di dargli alcuna indicazione e quindi eravamo piuttosto tesi. Le altre scene complicate erano quelle con tante comparse. O.N.: E poi c’è stata una primissima per tutti noi: gli inseguimenti in auto! Sono stati momenti folli ma devo confessare che eravamo più elettrizzati che stressati. E.T.: Infatti, nel film ci sono tantissime scene che non vedevamo l’ora di girare. Eravamo come due ragazzini elettrizzati, e mi riferisco soprattutto alla scena nella quale Omar balla con la canzone degli Earth, Wind and Fire! Abbiamo cominciato a parlarne con lui quattro giorni prima di girarla. Entravamo in una stanza e cominciavamo subito a ballare. Alla fine di ogni giornata che ha preceduto quella scena, facevo un numero per far capire a tutti quale era l’atmosfera e il tono che volevamo. O.N.: E poi ci sono state delle giornate particolari e speciali che cominciavano in un caseggiato della periferia di Parigi per finire nelle lussuosissime case dei quartieri più chic della città. E.T.: E questo riassume alla perfezione il film: passiamo da un mondo all’altro, da un ambito visivo ad un altro. E’ in momenti simili che abbiamo capito di essere giunti al cuore di quello che stavamo cercando. E’ stata anche l’occasione per adottare un approccio diversi nei confronti delle periferie…. E.T.: Le immagini cinematografiche che si vedono generalmente al cinema sono piuttosto forti e colpiscono immediatamente. Noi però abbiamo cercato di restare concentrati sul nostro soggetto e per questo più che fare una specie di ritratto delle periferie parigine, nei primi minuti del film abbiamo tentato di spiegare chi è Driss, da dove viene e attraverso questo, sottolineare il contrasto tra la casa di città di Philippe a Saint Germain des Prés. Oggi il pubblico conosce la dura realtà delle “banlieue” e quindi basta una sola inquadratura per far capire dove ci si trovi. O.N.: Tuttavia, la presenza di Omar rende quelle immagini molto più credibili proprio perché lui viene veramente – come Driss - , da una periferia simile, quella di Trappes. E grazie alla sua conoscenza diretta di quel mondo, ci ha corretti ogni qualvolta abbiamo fatto qualcosa di sbagliato nel rappresentare quelle zone. Con lui non potevamo certamente sbagliare … Durante il montaggio avete “riscritto”parecchio il film? O.N.: Quando abbiamo visto il primo montaggio – l’addetto al montaggio comincia alavorare subito durante le riprese - naturalmente sapevamo che avrebbe avuto bisogno di parecchi ritocchi. Ciò detto, questa volta durante il montaggio abbiamo cambiato meno cose rispetto ai film precedenti. E.T.: Forse perché questa volta abbiamo improvvisato meno sul set rispetto ai film precedenti. Eravamo molto più concentrati. Comunque durante il montaggio abbiamo apportato qualche piccolo cambiamento e visto che abbiamo lasciato parecchio spazio alla spontaneità durante le riprese, abbiamo lavorato un po’ per trovare la forma finale del film. O.N.: A volte il cuore della scena è cambiato. E.T.: In questo film la cosa più difficile è stata preservare quel delicato equilibrio tra comicità e emozioni. Durante le riprese abbiamo spesso mischiato tutto, e ogni ciak era diverso dall’altro. Il montaggio ci ha permesso di scegliere tra i vari toni e umori per costruire un qualcosa di coerente nel passare dalla commedia ai sentimenti. Il montaggio è una fase molto piacevole: è come un puzzle dove tutti i pezzi trovano facilmente il loro posto. E questo per noi è stato un segno particolarmente incoraggiante e rassicurante: ci ha fatto capire che eravamo sulla strada giusta! Trattandosi di una storia vera, avete sentito di avere una responsabilità particolare realizzando INTOUCHABLES? E.T.: Si, anche se nonostante tutto ci siamo senti molto liberi. Non stavamo realizzando un documentario e quindi non ci eravano posti alcun limite. Dopo aver letto le varie versioni della sceneggiatura, Philippe ci ha detto che ci sono state delle volte nelle quali siamo andati molto vicini alla realtà, ma ciononostante ci sentivamo una grande responsabilità addosso … O.N.: Non credo che abbiamo in alcun modo tradito la storia di Philippe anche se per esigenze cinematografiche abbiamo dovuto prenderci qualche libertà. E.T.: Inoltre non è stato certo un caso se abbiamo sentito la necessità di andare da lui e fargli vedere le immagini del film appena abbiamo completato le riprese. Ci hanno invitato alla sua festa di compleanno a sorpresa. C’era anche Abdel, insieme alla madre di Philippe, i suoi parenti e i suoi amici. Con il computer, gli abbiamo fatto una specie di “proiezione” delle immagini scattata sul set e per lui è stato sicuramente strano vedere François Cluzet nei suoi panni. E nel mezzo di quella bella serata c’è stato ad un certo punto un piacevole silenzio perché eravamo tutti commossi. Credo che la prima proiezione della versione finale del film sarà per lui e per i suoi cari un momento molto emozionante. Bio Eric & Olivier Eric Toledano e Olivier Nakache si sono conosciuti all’inizio degli anni novanta. Nel 1995, hanno co-diretto il loro primo cortometraggio, Le jour et la nuit, con Zinedine Soualem e Julie Mauduech. Ma è stato il loro secondo cortometraggio, Les Petits souliers, ad attirare l’attenzione di pubblico e critica. Ispirato alle loro rispettive esperienze (i giri vestiti da Babbo Natale che per raggranellare qualche sonno), e interpretato da un cast eccezionale formato da attori all’epoca sconosciuti o quasi (tra cui ricordiamo Gad Elmaleh, Atmen Kélif, Jamel Debbouze e Roschdy Zem), il film venne selezionato per il festival dei cortometraggi di Clermont-Ferrand e per quello di Parigi dove vinse il premio del pubblico nel 1999, per partecipare poi a numerosi altri festival internazionali dove si accaparrò in totale una dozzina di premi. Avendo entrambi frequentato i campi estivi, i due registi hanno continuato a lavorare insieme sfruttando le ispirazioni e le esperienze del passato per realizzare nel 2001 il cortometraggio Ces Jours heureux (con Lorant Deutsch, Omar Sy, Fred Testot, Lionel Abelanski e Barbara Schulz) che conteneva già gli elementi di quello che sarebbe diventato il loro secondo lungometraggio I nostri giorni felici: primi amori, primi vizi, primi baci (a.k.a Those happy days). Anche questo cortometraggio riscosse un enorme successo vincendo numerosi premi tra cui il Premio della Giuria e del Pubblico al Festival della Commedia di Meudon nel 2001, il Premio del Pubblico ai festival di Poitiers e Sarlat nello stesso anno). Nel 2003, Eric Toledano e Olivier Nakache hanno co-diretto il loro primo lungometraggio intitolato Je préfère qu'on reste amis (a.k.a Just friends), progetto segnato dall’incontro con Gérard Depardieu e dall’inizio del sodalizio artistico con Jean-Paul Rouve, con il quale hanno poi collaborato per il secondo lungometraggio, il già citato I nostri giorni felici: primi amori, primi vizi, primi baci uscito nel 2006 e accolto con grande entusiasmo da pubblico e critica. Il duo ha poi diretto Tellement proches (a.k.a So close) un film che affrontava il tema della famiglia interpretato da Vincent Elbaz, Isabelle Carré, Omar Sy, François-Xavier Demaison e Joséphine de Meaux. L’idea per il loro quarto lungometraggio, INTOUCHABLES, si è affacciata per la prima volta nel 2003 dopo la visione di un documentario che raccontava la storia del tragico incidente del quale era rimasto vittima Philippe Pozzo di Borgo. Otto anni dopo, nel 2011, i due registi hanno portato sul grande schermo la storia del ricco aristocratico rimasto paraplegico in seguito ad un incidente di parapendio e la cui vita è cambiata totalmente e inaspettatamente grazie all’incontro con un giovane di periferia assunto come badante. La commedia, interpretata da François Cluzet e Omar Sy, è stata acquistata dalla Weinstein Company – che la distribuirà negli Stati Uniti e in tanti altri paesi - prima ancora dell’uscita nelle sale francesi il 2 novembre di quest’anno. Filmografia Eric TOLEDANO e Olivier NAKACHE 2011 2009 2006 2005 2002 1999 1995 Intouchables / INTOUCHABLES Tellement Proches / So Close I nostri giorni felici:primi amori, primi vizi, primi baci Je Préfère qu’On Reste Amis… / Just Friends Ces jours heureux (cortometraggio) Les petits souliers (cortometraggio) Le jour et la nuit (cortometraggio) INTERVISTA A FRANÇOIS CLUZET Che cosa l’ha conquistata quando ha letto per la prima volta la sceneggiatura di INTOUCHABLES? Il fatto che fosse incentrata intorno a due personaggi e che raccontasse la nascita di un’amicizia, o più semplicemente la storia di due uomini. Adoro recitare per il mio compagno/compagna di scena. E mi sono reso immediatamente conto che Omar aveva la mia stessa maniera di lavorare. E ci sono delle volte in cui sai di non sbagliare. INTOUCHABLES deve tantissimo a Omar. E’ un uomo eccezionale e ho avuto spesso la sensazione che il film si reggesse tutto sulle sue spalle. Gli dicevo in continuazione: “Ricordati che stai recitando per entrambi, io non posso fare nulla …” (risate). Tra noi si è instaurata una grande complicità. Il fatto di interpretare il ruolo di un tetraplegico ha rappresentato una sfida maggiore rispetto ad altri ruoli? Si perché sono un attore che non ama troppo i dialoghi e che ama recitare in silenzio. Il che vuol dire che generalmente utilizzo molto il mio corpo, la mia gestualità per esprimere cose o sentimenti ma ovviamente, in questo caso, non è stato possibile! E quindi non potendo utilizzare il mio corpo, mi sono messo all’ascolto, ho partecipato e ho preso dagli altri ciò che andava preso e ho riso ogni volta che la situazione ci portava a farlo. La complicità che c’è tra Philippe e Driss emerge proprio in questo modo. Da un lato c’è un personaggio mobile e dall’altro uno completamente immobile. Driss diventa il mio corpo per certi versi. Quando balla, è un po’ come se anch’io stessi ballando. Quando scherza, scherza anche per me. E visto che sono due personaggi così diversi, sono fatti per andare d’accordo e nel processo di conoscenza si avvicinano l’un l’altro. Insieme a Omar e ai due registi, lei è andato a conoscere Philippe Pozzo di Borgo, nella sua casa di Essaouira. Cosa ricorda di quel viaggio? Sono stati momenti molto intensi e dopo quell’incontro la mia partecipazione e il mio impegno sono diventati ancora più totali. Se avessi dovuto interpretare un tetraplegico senza un volto, la cosa sarebbe stata molto più complicata per me. Ma vedere quest’uomo nella vita quotidiana e ascoltarlo mentre ci parlava della sua vita è stata una cosa fondamentale che mi ha aiutato tantissimo nella recitazione. E dopo quell’incontro, come si è preparato per interpretare Philippe? Essendo stato letteralmente conquistato dal talento di Omar, il mio lavoro è consistito semplicemente nel cercare di dimenticarmi di me. In effetti è questa la ragione per la quale ho scelto questo mestiere perché fare l’attore mi permette di abbandonarmi totalmente. Non ho mai tentato di sembrare più bello o più generoso, non lavoro in questa maniera! Il mio personaggio ha un enorme desiderio di normalità, sebbene si trovi a vivere in una situazione assolutamente straordinaria. E’ per questo che anche quando Driss gli propone di fare esperienze un po’ al limite, Philippe le accetta perché non le ha mai vissute prima e come un bambino, vuole provare tutto…. Con INTOUCHABLES, ho vissuto un processo di abnegazione che adoro. Per interpretare questo film bisognava partire dal presupposto che il personaggio di Driss avesse un cuore così grande da bastare per due. Piano piano io cerco di diventare il suo “socio”, dandogli il là per le battute, facendolo ridere visto che lui mi fa sempre ridere, rendendogli la vita più semplice e più leggera visto che lui la facilita tantissimo a me. Al punto da dimenticare il mio handicap e dirgli: sono felice quando sono con lui. Voglio insistere sul concetto di abnegazione perché per me è un elemento essenziale del mio lavoro. Non dobbiamo desiderare sempre e comunque che le cose passino e succedano solo attraverso di noi. E’ un’opportunità quando succedono ad altri. E’ affascinante a livello umano. E ho avuto la sensazione di essere molto più sereno alla fine delle riprese. La complicità con Omar è stata evidente sin dall’inizio o si è sviluppata poco a poco? All’inizio, quando Eric e Olivier mi hanno detto che Omar avrebbe interpretato Driss, sono andato a rivedere con attenzione il suo spettacolo comico, SAV. E devo dire che mi è piaciuto molto perché dimostrava di possedere un repertorio piuttosto vasto. Ma bisogna tenere presente che in quel caso si trattava di sketch brevi mentre un film come INTOUCHABLES richiedeva un qualcosa di totalmente diverso! Poi ho visto TELLEMENT PROCHES (a.k.a SO CLOSE) e l’ho trovato veramente eccezionale e ho capito perché Eric e Olivier avevano così tanta voglia di tornare a lavorare con lui. In quel film è semplicemente meraviglioso perché nella sua interpretazione non c’è mai distanza o distacco. E’ totalmente immerso nel ruolo e non cerca di sembrare più intelligente del suo personaggio. E’ un attore incredibile. E a quel punto ero assolutamente tranquillo e felice di imbarcarmi con lui in questa avventura. E poi quando alla fine ci siamo conosciuti di persona, anche se Omar è piuttosto discreto, sono riuscito a capire subito che anche lui si fidava di me. Desideravo veramente formare un duo con lui, volevo che si creasse un rapporto vero come attori e come uomini. In fondo in fondo, per questo film non siamo altro che due ragazzini che si divertono nel cortile della scuola e che sono felici se hanno un compagno di giochi che gli piace. E io sono stato molto fortunato perché mi sono trovato a recitare accanto ad un principe, un uomo con un approccio sano, onesto e generoso. Il rischio in casi come questo, quando ci sono due personaggi come i vostri, è di avere due attori che sono quasi in competizione tra di loro e che recitano ognuno per se. In questo film invece, siete una vera e propria idra con due teste. Un personaggio è imprescindibile e inseparabile dall’altro…. E qui torniamo al punto che sostengo con fervore da anni. La competizione tra due attori che recitano l’uno accanto all’altro è finita; il periodo in cui sul set era necessario instaurare una sorta di guerra fredda per far sì che gli attori entrassero in conflitto apertamente è passato per sempre. Contrariamente a quanto pensano i cattivi attori, non abbiamo poi così tanta responsabilità. Gli attori sono spesso sopravvalutati. Siamo semplicemente degli interpreti che devono fare ciò che viene detto loro e dobbiamo restare al nostro posto. Ho iniziato la mia carriera come attore dilettante e non voglio diventare un “professionista” un attore affermato. Sicuramente il successo che ho avuto finora mi ha dato più fiducia in me stesso ma adoro il lato amatoriale del mio mestiere: la pura e semplice gioia di condividere, di non recitare ma di vivere. Da questo punto di vista, Omar era in uno stato di grazia, proprio come i registi e di conseguenza per me è stato semplicissimo. E poi il mio lavoro è stato facilitato dall’immensa grazia di Philippe Pozzo di Borgo. Conosco sua sorella e le voglio molto bene; è stata la costumista di JANIS & JOHN. E quindi avevo saputo del suo incidente. Poi qualche tempo dopo ho letto il libro scritto da lui nel quale dice che l’handicap peggiore per lui non è tanto essere costretto su una sedia a rotelle ma dover vivere senza avere accanto la donna che ha tanto amato e che è morta. E’ questa la cosa che ho dovuto portare sulla scena: la vulnerabilità di un uomo orfano d’amore. La sua opinione su Philippe è cambiata durante le riprese? Il problema è che abbiamo realizzato una commedia nella quale però non mi sarei reso ridicolo come avevo fatto divertendomi un mondo in LES PETITS MOUCHOIRS (a.k.a. LITTLE WHITE LIES). Dovevo portare sulle spalle il peso di un handicap e dovevo cercare di essere il più credibile possibile. Pur non potendo muovermi ma dovevo essere sempre sulla palla: ascoltare tutto ciò che veniva detto, essere sempre sul chi va là…. Philippe è una persona talmente reale e concreta che anche io dovevo cercare di essere vero in tutte le situazioni. E avevo dimenticato la sua sofferenza che poi mi è tornata indietro come un boomerang e mi ha colpito profondamente. E quindi prima di girare delle scene più complesse dove c’era di mezzo il dolore, mi allontanavo un po’ per prepararmi e concentrarmi e facevo un po’ di esercizio fisico per dimenticare me stesso e per sentire la sofferenza del personaggio. Questa preparazione corporea e sensoriale è stata indispensabile poiché non potevo utilizzare il corpo come faccio generalmente per esprimere i miei sentimenti. Lavorare senza poter utilizzare il corpo non vuol dire che il corpo non senta nulla. Il volto deve esprimere ciò che senti. In genere, elimino più possibile le battute e recito con il corpo mentre qui ho dovuto fare il contrario. Ci sono state scene che ha temuto più di altre? No, a parte l’idea di riuscire a trasmettere questa idea del dolore anche se non ho potuto insistere troppo su questo tasto visto che si tratta comunque di una commedia: in un certo senso dovevamo far dimenticare il dolore ma al contempo far si che fosse comunque presente. So che Philippe soffre dei cosiddetti dolori fantasma che sono una cosa inimmaginabile: sente dolori fortissimi alle gambe dove in teoria non dovrebbe sentire nulla. Nella sceneggiatura Nakache e Toledano hanno osato utilizzare un tipo di umorismo assolutamente inaspettato, citando Hitler, e le barzellette sugli handicappati… Non si scusano mai delle scelte che compiono, che si tratti di umorismo o sentimenti. Non soffrono di nessun complesso … Hanno capito perfettamente che le uniche cose che Philippe non sopporta assolutamente sono la pietà e la compassione. Non vuole essere identificato solo con la sua attuale condizione e compatito per questo, visto che non è così che si presenta agli altri. Lui sa bene che loro hanno la fortuna di potersi muovere ma sa anche di essere fortunato perché è vivo. Eric e Olivier sono riusciti a cogliere alla perfezione tutto questo e a renderlo sullo schermo optando per la commedia. In ogni caso, ognuno dei componenti di questa coppia soffre di un handicap: per Driss si tratta di un handicap sociale mentre Philippe ha un handicap fisico. E’ per questo che Driss non prova pena o pietà per Philippe ed è questo che lo rende così interessante ai suoi occhi. Come lavorano sul set Eric e Olivier? Sono molto esigenti e ambiziosi e quindi è stato complicato per me dire loro che la mia ambizione era che le cose succedessero e basta. Con l’esperienza, ho imparato che per realizzare dei grandi film devi permettere alla vita di irrompere sul set. Eric e Olivier hanno un forte senso della fantasia e della comicità. Con loro, le giornate scorrevano veloci e in maniera molto piacevole. Amano gli attori e sono sempre al loro fianco. E questa è la chiave che permette loro di lasciarti provare senza tentare di strappare da te un’interpretazione a tutti i costi. Ho sempre cercato di fare esattamente il contrario anche se sono perfettamente consapevole che l’unica cosa che contava era il film e quindi anche senza potermi muovere, dovevo dare qualcosa che portasse energia e forza. E Eric e Olivier erano sempre lì pronti a motivarmi. Anche nelle scene in cui Philippe è solo e comincia a lasciarsi andare poiché non ha la forza per andare avanti da solo e si abbandona totalmente al suo dolore senza mai mostrare nulla, e restando sempre molto discreto. Cosa ha provato quando ha visto il film finito? Generalmente non riesco a vedere i film che ho interpretato ma questa volta ho fatto un’eccezione e sono rimasto profondamente commosso. E ho scoperto che il film funziona perché è stato realizzato con un vero spirito di squadra. Quando vedo INTOUCHABLES, mi commuovo anche perché capisco che siamo riusciti a farlo bene; il nostro è un lavoro di abnegazione e quelli che pensano di essere lì solo per difendere la propria pelle interpreteranno sempre e soltanto film modesti. La vera sfida è far si che un film funzioni e non fare un’interpretazione. L’essenza di questo film è questa coppia e nessuno ha mai la tentazione di voler scegliere tra Driss e Philippe. E questa è la quintessenza del nostro lavoro e vale anche per Eric e Olivier: nessuno di loro ha un ego smisurato. Mi diverto a guardare i bei film che hanno realizzato insieme, lavorando in una bella atmosfera. In fin dei conti, più mi faciliti la vita, e migliore sarà la mia recitazione perché sento di doverti qualche cosa. INTERVITA A OMAR SY Ci parli del suo primo incontro con Olivier Nakache e Eric Toledano… E’ stato nel 2001, per il cortometraggio, CES JOURS HEUREUX, che in seguito avrebbe portato al film I NOSTRI GIORNI FELICI: PRIMI AMORI, PRIMI VIZI, PRIMI BACI (a.k.a. THOSE HAPPY DAYS). All’epoca stavo scrivendo per CANAL + Idées insieme a Fred. Gli ho detto che non ero un attore e che per il momento cercavo di fare del mio meglio scrivendo battute e che ero soddisfatto del mio lavoro. Ma loro hanno insistito, dicendomi che anche loro erano agli inizi e che avremmo imparato insieme. Mi hanno parlato con una tale semplicità e chiarezza che alla fine ho accettato la loro proposta. E devo confessare che la realizzazione di quel film è stata veramente divertente. Dopodiché mi hanno richiamato per il lungometraggio e poi una cosa tira l’altra…. Che ricordi ha della lavorazione del film I NOSTRI GIORNI FELICI: PRIMI AMORI, PRIMI VIZI, PRIMI BACI (a.k.a. THOSE HAPPY DAYS)? Ricordo il mio primo campo estivo in assoluto. Non c’ero mai stato da piccolo! (risate) E mi piace la loro maniera di lavorare: dirigono gli attori con una grande sensibilità e riescono a farti sentire sempre completamente libero mentre in realtà ti dirigono in continuazione senza che tu te ne renda conto. E’ rimasto sorpreso quando le hanno chiesto di interpretare il ruolo del medico in TELLEMENT PROCHES (a.k.a SO CLOSE)? A dire il vero quando mi hanno chiamato per interpretare I NOSTRI GIORNI FELICI: PRIMI AMORI, PRIMI VIZI, PRIMI BACI (a.k.a THOSE HAPPY DAYS), ho capito che erano persone molto leali e fedeli. Tra noi era nata una vera amicizia che cresce ad ogni nostra collaborazione. Quando le hanno parlato per la prima volta di INTOUCHABLES? Poco dopo aver terminato le riprese di TELLEMENT PROCHES (a.k.a SO CLOSE) mi hanno parlato di un documentario su Philippe Pozzo di Borgo e Abdel aggiungendo che avrebbero voluto farci un film. Ormai, qualunque cosa mi propongano sono sempre più che felice di accettare perché mi fa piacere seguirli in quello che fanno. E’ stato così dopo I NOSTRI GIORNI FELICI: PRIMI AMORI, PRIMI VIZI, PRIMI BACI (a.k.a THOSE HAPPY DAYS) e ancora di più dopo TELLEMENT PROCHES… Che cosa ha provato quando ha visto il documentario? Ho capito subito che poteva uscirne un grande film, soprattutto considerando lo stile, la sensibilità, la precisione, l’umorismo tagliente e la profondità di Eric e Olivier. Ho pensato che se fossero riusciti a trovare un perfetto equilibrio tra emozioni e umorismo avrebbero fatto centro. La sceneggiatura le è piaciuta subito? Sì. Leggerla non ha fatto che confermare la mia prima impressione. Adoro la loro maniera di scrivere, il loro umorismo,. L’umanità e la verità che mettono in ciò che scrivono. E considerato il particolare tema del film, il loro stile assume un’altra dimensione. Come si è preparato al ruolo di Driss? L’ho discusso in continuazione con i registi e poi ho partecipato a quello che loro hanno definito “il corso di integrazione”, vale a dire il viaggio a Essaouira con François Cluzet per conoscere Philippe Pozzo di Borgo. E’ lì che la squadra si è formata e rafforzata veramente. E’ stato quello il vero punto di partenza del film. E’ stato un momento veramente incredibile. Siamo riusciti a comunicare con estrema facilità e il legame che si è creato tra di noi è nato in maniera spontanea e naturale. Abbiamo avuto modo di conoscere Philippe Pozzo, un uomo molto intelligente, pieno di vita e di umorismo e dotato di uno sguardo penetrante e potente. Sono rimasto immediatamente colpito dalla maniera e dall’affetto con il quale parla di Abdel, la persona che ha ispirato il personaggio di Driss. La maniera che ha di pronunciare il suo nome è estremamente emozionate e commovente. E’ stato facile capire che tipo di legame si sia instaurato tra di loro. Dopo quella visita, ci siamo sentiti tutti molto più responsabili e sotto pressione proprio per il rispetto verso quest’uomo che avevamo appena conosciuto. L’unica maniera per rispettarlo e onorarlo era fare il miglior film possibile. Come ha lavorato per costruire il rapporto con François Cluzet? Devo confessare che prima di questo film non ci conoscevamo personalmente, ci eravamo solo incrociati qualche volta. E quando ho saputo che avrebbe interpretato Philippe, ero al contempo felice e nervoso. Ero leggermente teso e preoccupato, anche se ho cercato di non farlo vedere troppo, ma ho percepito in lui lo stesso desiderio di recitare con me che provavo io nei suoi confronti. Da quel momento in poi le cose sono andate in maniera assolutamente naturale e spontanea, sotto lo sguardo sempre attento di Eric e Olivier. Tutte le mie preoccupazioni sono svanite come per incanto. François è molto aperto e generoso. Una volta che ti apre la porta, non la chiude più. Avrebbe potuto mettermi in ansia chiedendomi di dare il massimo ma ha fatto esattamente il contrario. Mi ha detto subito: “Questo film lo facciamo insieme. Quello che conta è quello che succede tra noi due.” A quel punto mi sono sentito sollevato e incoraggiato. Ci siamo ispirati e aiutati a vicenda. Era più preoccupato o nervoso rispetto agli altri due film diretti da Eric e Olivier? Il fatto di aver già lavorato con loro mi ha fatto sentire a mio agio così come l’idea di dover formare una coppia, un duetto, visto che lavoro sempre così! Cionondimeno, INTOUCHABLES è sempre stato per me un qualcosa di speciale. Ad ogni film che facciamo, Eric e Olivier alzano sempre la posta in gioco e quindi la pressione cresce di conseguenza. Spero di meritare la fiducia che ripongono in me. I dialoghi di questo film si adattavano alla sua maniera di recitare e alla sua dizione? Sì, assolutamente e questo è un altro dei motivi per i quali mi piace lavorare con loro. Prima di iniziare le riprese, abbiamo organizzato diverse letture della sceneggiatura. E poi sul set, mi hanno sempre lasciato libero di improvvisare. Sono loro a spingere gli attori a lasciarsi andare, a provare delle cose tanto sanno di poterci lavorare poi al montaggio. Non ti senti mai con le spalle al muro o costretto a fare qualcosa. E loro si mettono spesso a parlare anche mentre stai girando una scena, solo perché gli è venuto in mente qualcosa di diverso. Insieme abbiamo sempre cercato l’umanità e la verità necessarie all’argomento trattato cercando al contempo di evitare un eccesso di pathos o battute pesanti. Come si dividono il lavoro Eric e Olivier? Non seguono un metodo preciso. Parlano entrambi con gli attori e con la troupe. Non so dire chi faccia cosa perché in realtà fanno tutto entrambi e si completano a vicenda. Si capisce che la loro è una complicità di vecchia data. Nelle prime scene del film vediamo Driss nel suo mondo, quello della periferia, un mondo che difficilmente il cinema riesce a mostrare senza scadere nella caricatura. Come giudica il loro approccio? Quelle scene sono molto importanti perché fanno capire da dove viene Driss. E credo che siano ancora più importanti per me perché è anche da dove vengo io. E quindi mi sono sentito responsabilizzato: se ne parliamo e se facciamo vedere quel mondo, dobbiamo farlo come si deve. Eric e Olivier lo sanno. Offrendomi un ruolo in questo film, avevano necessariamente questo in mente e io mi sono fidato di loro: ritengo che il cinema francese non abbia mai parlato o descritto la “banlieue”con tanta poesia e delicatezza. Non hanno voluto mettere l’accento o evidenziare nulla in particolare, ma si sono limitati a raccontare. La loro neutralità risulta molto potente. Eric e Olivier non impongono mai il loro punto di vista ma esprimono semplicemente ciò che hanno osservato usando le immagini. E so che questa è un’altra delle ragioni per le quali sono felice e fiero di aver interpretato INTOUCHABLES. C’erano delle scene in particolare che temeva più di altre? Prima di iniziare le riprese, ero preoccupato per la scena della confessione di Driss, nella quale comincia confidarsi con Philippe. Era una cosa totalmente nuova per me. Temevo anche la scena con la battuta: “Niente braccia, niente cioccolato”. Mi chiedevo come l’avremmo interpretata sul set e prima di farla ero veramente stressato. Ma poi una volta iniziato a girare, è andato tutto benissimo. Ad un certo momento, arrivi ad un punto in cui smetti di porti delle domande e ti lasci semplicemente trasportare dall’energia. Ti senti libero. Abbiamo percepito immediatamente che stavamo vivendo e facendo qualcosa di molto potente. Ed è stata un’autentica gioia, ogni singolo giorno di riprese. Dominava un’atmosfera leggera che ha fugato tutti i dubbi che avevo. C’è una scena particolarmente divertente nel film, quando balla con la musica degli Earth, Wind and Fire. Che ricordo ha? Una delle cose che ho in comune con Eric e Olivier è l’amore per la musica e il ballo. E quella scena in particolare è stata magnifica perché viene poco dopo quella in cui Philippe cerca di iniziare Driss alla musica classica. E quindi è uno scambio vero e proprio: Driss vuole che Philippe conosca e condivida la sua musica. Non è preciso come Philippe ma è convinto che con il corpo e con il ballo riuscirà a raggiungere il suo scopo. In effetti, Driss balla per Philippe e quindi deve essere il più piacevole possibile. Ma con gli Earth, Wind and Fire, è stato facilissimo! Che tipo di attore è lei? Lavoro molto con l’istinto. Diciamo che più che recitare, reagisco. Cerco di porre tutte le domande prima di iniziare le riprese perché so che una volta sul set sarà troppo tardi per chiarire i dubbi e quindi voglio sapere le cose prima per potermi poi lasciare andare. So di non possedere una tecnica precisa di recitazione ma prima delle riprese ho lavorato con un coach brillante, Julie Vilmont, che mi ha insegnato tantissime cose. Dopo aver letto la sceneggiatura e averne parlato con i registi, sono andato da lei che mi ha aiutato a fare quello che dovevo fare. Il lavoro fatto con lei mi ha veramente liberato, eliminando tutti i sensi di colpa che avevo per non aver seguito nessun corso di recitazione. Ormai non mi scuso più di essere sul set. Come ha reagito quando ha visto il film? Devo dire che nei primi tre minuti - e questa è una vera novità per me – mi sono lasciato trasportare dalla storia. Non avevo visto i giornalieri sul set; è stata una decisione che ho preso per cercare di restare ancora di più nel personaggio. Per questo quando ho visto il film finito ho riscoperto una storia che già conoscevo, nutrita però dal lavoro della nostra meravigliosa squadra. Sono molto fiero di questo film e sono rimasto sopraffatto nel vedere l’emozione negli occhi di Philippe/François. Mi ci è voluto tanto tempo per ritornare sulla terra…. INTOUCHABLES Intervista ad Olivier Nakache & Eric Toledano DOPO L’USCITA DEL FILM Prima di entrare nel merito del fenomenale successo di Intouchables, potete parlarci della reazione di Philippe Pozzo di Borgo e di Abdel Sellou dopo la visione del film? Eric Toledano: Tra i due, Philippe è stato il primo a vederlo. Lo abbiamo chiamato a metà settembre, non appena abbiamo completato il film. E visto che per lui spostarsi è alquanto complicato, siamo andati in Marocco dove vive attualmente. Inizialmente avevamo pensato ad un cinema ad Essaouira ma non siamo riusciti a trovare una sala disponibile ed allora abbiamo preso il toro per le corna e abbiamo organizzato una proiezione all’aperto, usando la parete dietro la piscina come schermo. E’ stata un’esperienza incredibile, in un’atmosfera degna dei film hollywoodiani degli anni 50. Oltre a Philippe c’erano una trentina di suoi amici e la proiezione è cominciata con l’accompagnamento sonoro di cani e grilli. Mentre guardavamo trepidanti il film, abbiamo sentito spesso il rumore della sedia di Philippe che si muoveva e abbiamo dedotto che stesse ridendo e alla fine della proiezione ci siamo accorti che aveva le lacrime agli occhi. Non dimenticherò mai le sue magnifiche parole: "Nello stato in cui sono, ho smesso di guardarmi allo specchio da anni; era tanto tempo che non vedevo il color dei miei occhi." François (Cluzet) non avrebbe potuto sperare in un complimento migliore. Poi Philippe ci ha chiesto se volevamo che fosse presente all’anteprima del film a Parigi e noi naturalmente gli abbiamo risposto che non avremmo mai osato chiedere tanto. E così il 18 ottobre è venuto a Parigi per rivedere il film insieme alla moglie, in una sala sugli Champs-Elysées. Inutile dire che l’emozione era più che palpabile perché era alimentata dalla risposta del pubblico. E alla fine del film, quando mi sono chinato verso di lui, mi ha detto: "Sto applaudendo con tutte e due le mani!"… Olivier Nakache: Abdel ha visto il film per la prima volta proprio a quell’anteprima parigina. Vederli insieme e osservare Abdel che dava la sua sciarpa a Philippe per evitare che si prendesse un raffreddore è stato davvero emozionante. Alla fine del film, la prima cosa che Abdel ci ha detto è stata: "Non sapevo di essere nero!" Durante la preparazione di Intouchables, si era tenuto relativamente a distanza perché forse non pensava che il film sarebbe stato realizzato veramente. Per noi, la cosa più importante era non deludere nessuno dei due visto che stavamo raccontando la loro storia. Dopo la proiezione, Abdel ci ha confessato che ci saremmo anche potuti spingere oltre; per quanto riguarda Philippe, dopo l’uscita del film, avrà concesso almeno cinquanta interviste a giornalisti francesi e stranieri e sono certo che riceverà altre richieste non appena il film uscirà negli altri paesi. Diciamo che attualmente sta cercando di prendere la misura di ciò che lo aspetta. Sa di avere una grande responsabilità perché ha l’occasione di condividere la sua esperienza con tante altre persone e visto che è un oratore magnifico, è già riuscito a trasmettere messaggi importanti sulla condizione dei disabili. Cosa ci dite del tour promozionale in giro per la Francia che ha preceduto l’uscita del film? E.T: Abbiamo visitato 42 città francesi e non c’è stata una sola occasione nella quale non abbiamo constatato che il pubblico sentiva la stessa profonda emozione che avevamo provato noi la prima volta che eravamo venuti a conoscenza della storia di Philippe e Abdel. Quando lavori ad un film per più di due anni, ti chiudi in una sorta di bozzolo ma quando riemergi per mostrare il tuo lavoro al pubblico e le reazioni sono positive, è una soddisfazione enorme… e anche un enorme sollievo! Tuttavia, abbiamo cercato di restare con i piedi per terra anche se questo tour ci ha letteralmente galvanizzati! La presenza degli attori attrae sempre il pubblico, fa crescere il numero di biglietti venduti e può creare a volta impressioni sbagliate sul reale successo del film e bisogna essere sempre consapevoli di tutto questo. Come tutti i cineasti, eravamo molto preoccupati dell’intensa concorrenza che avremmo dovuto affrontare al momento dell’uscita del film nelle sale prevista in autunno. Ma le reazioni degli e esercenti e dei distributori e le prime critiche positive ci hanno comunque permesso di goderci fino in fondo questa magnifica esperienza. Cosa è successo letteralmente il giorno dell’uscita del film, il 2 novembre scorso? O.N: Non riuscivamo a crederci! Abbiamo concluso la giornata con 50.000 biglietti venduti a Parigi e 250.000 in tutta la Francia. In una sola serata avevamo raggiunto lo stesso risultato che con i nostri film precedenti avevamo ottenuto in una settimana! Abbiamo capito immediatamente che ci trovavamo in una situazione straordinaria. E che sarebbe stato impossibile fare pronostici, cosa che è stata confermata nella seconda settimana nella quale c’è stato un aumento del 45% del numero dei biglietti venduti. Il film è diventato una specie di fenomeno, commentato, analizzato, sezionato al microscopio… E tutti si chiedevano: “Perché?" E.T: Come cittadini, autori e registi, ci siamo fatti un’idea al riguardo. Per esempio, abbiamo capito di aver affrontato un argomento tabù in maniera diretta e divertente. Le risate fungono un po’ da terapia di gruppo ma questa è solo la nostra opinione. Una volta che il film è uscito nelle sale, non spettava più a noi – ma ai sociologi, agli analisti, ai politici e addirittura agli psichiatri - spiegarne il successo. E quando per esempio abbiamo letto su "Le Monde", che il film può essere interpretato come una metafora di una Francia incapace di fare i conti con la vitalità e le capacità dei giovani delle “banlieues” ci siamo resi conto che ormai il film aveva preso la sua strada e noi, in qualità di autori e registi della storia non avevamo più il controllo su quello che stava succedendo. Tutte queste opinioni hanno creato un dibattito sul film e cosa avremmo potuto sperare di più? Anche le associazioni dei disabili hanno adottato il film. O.N: A scanso di equivoci vorrei chiarire una cosa: non era nostra intenzione fare un film militante…. Ciononostante siamo stati felici di constatare che potevamo contare sull’appoggio di alcune associazioni, soprattutto di Simone de Cyrène che ci ha fatto conoscere Philippe Pozzo e al quale i nostri produttori stanno versando il 5% degli incassi del film. Il fondatore dell’associazione ci ha spiegato che forse se avessimo deciso di fare un film militante, il risultato sarebbe stato peggiore! E a suo parere, è stata la nostra sensibilità artistica a permetterci di fare emergere degli elementi nostro malgrado e dare al pubblico la possibilità di guardare le persone disabili in maniera diversa. “Ci ha fatto risparmiare 20 anni di attività di comunicazione” ci ha detto. “Con il vostro film state ottenendo cose che noi chiediamo da anni, soprattutto in termine di sensibilità e coscienza. Con Intouchables, avete acceso l’interesse su di noi in maniera divertente e la gente ci guarda con molta più simpatia.” Oggi viviamo in una società che esalta la perfezione fisica, la performance e l’efficienza. Ma quello che racconta Intouchables è forse esattamente l’opposto, vale a dire la storia di una persona che incarna la fragilità e che lotta per trovare un posto nella società e che alla fine riesce a tornare alla vita grazie al rapporto che instaura con un’altra persona. Ma ci tengo a ripetere che quando abbiamo deciso di scrivere e realizzare questo film, non era questa la nostra intenzione anche se oggi appare ovvio che Intouchables possa contribuire a unire le persone e a farle sentire più vicine. Le associazioni dei disabili con le quali abbiamo avuto contatti ci hanno raccontato con quanta impazienza aspettassero l’uscita del film. Volevano che il pubblico ridesse insieme a loro e che superasse la semplice nozione di compassione. E siamo stati onorati e felici quando il Ministero per la Disabilità ci ha insigniti del premio della APAJH (Associazione dei Disabili Giovani e Adulti). Ogni film di successo che si rispetti scatena sempre inevitabili polemiche. E Intouchables non ha fatto eccezione. Come avete reagito? E.T.: Tutto è iniziato con un articolo di due pagine su “Libération” che sosteneva che dietro l’approccio apparentemente sovversivo del film, c’era al contrario, un eccesso di sentimentalismo, diretto al pietismo. Ma per noi le critiche sono sempre positive perché sosteniamo da sempre che ognuno ha il diritto di esprimere la propria opinione e che l’unanimità, soprattutto in campo artistico, non è una cosa positiva. … E poi ci siamo resi conto che l’articolo in questione si scagliava più contro il fenomeno sociale e non tanto contro il nostro film. Tuttavia, non era nostra intenzione farci trascinare in polemiche politiche. Quando abbiamo deciso di realizzare questo film, non abbiamo mai avuto l’intenzione di dare una risposta al problema sociale: abbiamo solo sollevato il problema e dato l’avvio a un dibattito, lasciando il pubblico libero di trovare una risposta. Non siamo cineasti alla Ken Loach; con Intouchables volevamo semplicemente raccontare la storia di un incontro, di un’amicizia e di una riconciliazione, e non una lotta di classe. E anche se la storia si svolge in un periodo caratterizzato da una forte recessione economica, vira comunque all’ottimismo, come del resto i nostri film precedenti. Olivier ed io abbiamo sempre scelto la commedia come mezzo di espressione e neanche questa volta volevamo cambiare registro né prenderci troppo sul serio nel raccontare la storia. La nostra scrittura va sempre letta attraverso il prisma della distanza e della derisione: è questo quello che facciamo e che ci piace fare. Siamo perfettamente consapevoli che la commedia come genere cinematografico viene spesso considerata con superiorità o addirittura disprezzata perché si sostiene che l’umorismo sia una forma artistica facile. Tuttavia, non c’è nulla di più difficile per un attore che far ridere il pubblico. A che punto è il remake Americano di Intouchables? O.N: So che un remake è in cantiere e noi desideriamo essere coinvolti ma sappiamo anche che i codici politici e sociali in America sono diversi, soprattutto quando entrano in gioco gruppi etnici e ambienti sociali e culturali diversi. Perciò, vorremmo partecipare in qualche modo al remake senza però essere noi a dirigerlo, pur mantenendo un certo controllo sulla scelta del regista, degli attori o della sceneggiatura. Dopotutto, sentiamo di avere una certa responsabilità nei confronti della storia, responsabilità che ci è stata affidata da Philippe e Abdel che si sono fidati di noi. Harvey Weinstein ha un’opzione sul remake ma anche Quad e Gaumont sono molto interessati. Ma vogliamo rassicurare tutti su un fatto: le cose saranno fatte nel migliore dei modi. Che cosa vi aspettata dai César? E.T.: Speriamo solo che Omar, François, il direttore della fotografia e l’addetto al montaggio ottengano una candidatura. Noi siamo stati già abbastanza fortunati nel vedere il nostro film trasformarsi in un successo di critica e di pubblico… E’ già incredibile! State già lavorando al prossimo film? E.T.: Non ancora. Dobbiamo ancora digerire – e assaporare – questa esperienza prima di passare ad altro. Ma continueremo naturalmente a lavorare. Olivier e io siamo letteralmente innamorati dei film: è questo amore che ci da la spinta e che ci fa sognare. Quando mi capita di vedere un film che ormai è entrato a far parte della storia del cinema, quasi sempre si tratta di un film che abbiamo visto tantissime volte, che abbiamo amato e che ci ha motivati. Adesso speriamo solo che il successo di Intouchables ci permetta di lavorare con ancora maggiore libertà e vigore!