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MADAMA BUTTERFLY - 1
MADAMA BUTTERFLY
TRAGEDIA GIAPPONESE IN DUE ATTI
Milano, 17 febbraio 1904 – Teatro Alla Scala
PRIMA RAPPRESENTAZIONE IN TRE ATTI
Brescia, 28 maggio 1904 – Teatro Grande
Libretto di G. Giacosa – L. Illica
tratto da Madam Butterfly (1900) di David Belasco,
Madam Butterfly (1898) di John Luther Long,
Madame Chrisantème (1887) di Pierre Loti
Riferimenti letterari
Pierre Loti (Rochefort-sûr-Mer 1850 – Hendaye 1923)
Iniziò la sua carriera nella Marina francese già a 17 anni per il suo desiderio di viaggiare. Ad ogni
incarico poté visitare i paesi più lontani ed esotici, dei quali scriveva abitualmente un memoriale ad
ogni ripartenza. La sua produzione letteraria annovera circa quaranta libri, in cui narra le sue
avventure amorose e descrive i luoghi in cui ha vissuto. Tra i suoi lavori ricordiamo oltre a Madame
Chrisantème (Giappone), Al Marocco, Aziyadé (Istambul), Il matrimonio di Loti (Tahiti), Gli ultimi
giorni a Pechino, Pescatori d’Islanda (Bretagna).
David Belasco (San Francisco 1859 – New York 1931)
Compì gli studi in un monastero, da cui uscì per dedicarsi al teatro, facendo pratica di attore
presso compagnie girovaghe e poi di direttore di scena in diversi teatri dell’Ovest. Allo stesso
tempo cominciò a scrivere drammi e adattamenti da opere straniere. Il vero successo però l’ottenne
come direttore di teatro: tra i teatri più importanti che diresse si notano i newyorkesi Madison
Square Theatre e il Lyceum. Con il crescere della sua fortuna, divenne proprietario di diversi teatri,
dei quali uno porta il suo nome. Belasco si è conquistato un posto importante nella storia della
scenografia per le innovazioni che introdusse nel campo dell’illuminazione scenica per il suo senso
del colore fedele alla naturalezza e privo di crudezze e contrasti stravaganti. Questo aspetto della
sua carriera ha messo certamente in secondo piano la sua produzione letteraria, rilanciata a livello
mondiale proprio dagli adattamenti operistici di Puccini di Madame Butterfly (1900) e di The Girl
of the Golden West (1905).
Il romanzo e il dramma
Madame Chrysantème – Pierre Loti (1887)
Il romanzo autobiografico trova corrispondenza nel primo atto dell’opera di Puccini.
Trama. Ai primi di luglio del 1885, il capitano francese Pierre viene mandato in Giappone.
Durante il viaggio matura la determinazione a sposare una geisha, in virtù di un privilegio concesso
agli ufficiali stranieri. Dunque il giorno dopo l’approdo, Pierre si fa accompagnare dal signor
Kanguro, sensale di matrimoni, col quale si accorda per un matrimonio dopo tre giorni. La sposa,
accompagnata da tutti i familiari, è una bambina di soli dodici anni. Pierre inorridito, rifiuta la sposa
e si accorda nuovamente con Kanguro per una ragazza molto graziosa ma più grande lì presente,
alle stesse condizioni economiche, nonostante sia una geisha. Il matrimonio avviene prima presso il
consolato francese e poi secondo l’usanza giapponese. La vita matrimoniale procede allegramente
per il primo mese, ma già ad agosto Pierre inizia a sentirsi a disagio per quella scelta e agli inizi di
settembre non sopporta più la vicinanza di Crisantemo, tanto che torna a “casa” solo saltuariamente.
Finalmente il 17 settembre arriva l’ordine di salpare l’indomani per la Cina. Dopo tre mesi di
matrimonio con Kihu-San (Crisantemo), Pierre riparte per non tornare mai più in Giappone.
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Un’ultima visita alla sua casa giapponese e alla mogliettina: un lieve senso di colpa svanisce nel
sorprendere la ragazza che canta allegramente mentre conta e valuta le monete ricevute la sera
prima come regalo di addio secondo gli accordi matrimoniali.
Dal romanzo francese, Puccini prenderà l’atmosfera poetica e l’idillio dell’innamoramento, la
cura minuziosa della descrizione delle piccole cose. Di Madame Chrisantème restano la casa di
carta in cima alla collina che sovrasta Nagasaki, la processione dei parenti per le nozze, le preghiere
cantate della signora Pruna, l’attesa di Crisantemo per le visite di Pierre, il signor Kanguro che
combina il matrimonio, le grandi maniche del kimono piene di tasche,
Madam Butterfly – John Luther Long (1898)
Il racconto di Long fu pubblicato da Giacosa in traduzione italiana nel febbraio del 1904 in
occasione della prima assoluta dell’opera di Puccini.
Trama. Il tenente americano sposa una geisha di Nagasaki, Cho-Cho-San, per il privilegio
concesso agli ufficiali stranieri. Dopo essersi sposati, vanno a vivere per qualche tempo a New
York. Tornano a Nagasaki, e Cho-Cho-San viene abbandonata da Pinkerton. Intanto Pinkerton si è
sposato con l’americana Kate, e si è ormai completamente disinteressato di Butterfly, tanto che,
tornati a Nagasaki, manda Kate a occuparsi delle pratiche per portare via il bambino. Kate è andata
a casa di Cho-Cho-San ma non l’ha trovata. Infatti la donna ha ripreso a fare la geisha per
mantenere il bambino. Un giorno va al consolato americano per farsi dire da Sharpless quando
Pinkerton ritornerà.. Qui si imbatte in Kate Pinkerton che manda un telegramma al marito: ChoCho-San capisce subito chi è lei e il motivo per cui sono tornati in Giappone. Cho-Cho-San
sconvolta tenta di uccidersi ma al pensiero del bambino si salva e continua a fare la geisha.
Madam Butterfly – David Belasco (1900)
Il dramma in un unico atto di Belasco ricalca fedelmente il racconto di Long, tranne che per aver
reso tragico il finale, come lo conosciamo noi. Il merito di Belasco fu di rendere drammatico e
fluido il racconto di Long. Il dramma si svolge in una sola giornata nella casa di Butterfly.
La situazione storica
Intorno alla metà dell’Ottocento, gli Stati Uniti riuscirono a ottenere dei trattati per l’accesso ai
porti giapponesi, seguiti negli anni seguenti da Inghilterra, Russia e Olanda. I trattati con gli
stranieri favoriti dallo shogun (la più alta carica militare giapponese) Tokugawa vennero subito
osteggiati dalle fazioni conservatrici, capeggiate dallo stesso Imperatore. Un nuovo trattato nel 1858
voluto dallo shogun con gli Stati Uniti, la Francia e l’Inghilterra provocò forti disordini nel paese,
che indussero l’imperatore a condannare a morte lo shogun, e ordinò al suo successore, Iemochi, di
espellere gli stranieri: tale ordine per motivi politici, militari e commerciali non venne eseguito.
Negli anni seguenti le tensioni sfociarono in scontri a fuoco sempre più frequenti e consistenti tanto
che culminarono nel bombardamento di alcune navi straniere. La risposta armata delle potenze
straniere segnò la sconfitta definitiva dello shogun e delle sue truppe nel 1867, e l’abolizione dello
shogunato. Le ultime truppe resistettero fino al 1869 sconfitte dalle truppe imperiali. Intanto nel
1868 il nuovo imperatore Komei fissò la capitale a Yedo ribattezzandola Tokyo e dette inizio al
processo di occidentalizzazione del Giappone. Negli anni seguenti, venne abolita la struttura
feudale, e fu instaurato un nuovo tipo di nobiltà, che centralizzava il potere e unificava il territorio
nazionale. Un comunicato imperiale diramato ai governanti limitrofi sul nuovo assetto nazionale del
Giappone, incrinò i rapporti con la Corea che non condivideva le riforme giapponesi. Con il
pretesto di un attacco coreano a una cannoniera giapponese, nel 1875 il Giappone mosse contro la
Corea, con un’azione militare che portò alla firma di un trattato di apertura della Corea agli altri
stati. Nel frattempo alcune fazioni di samurai si opponevano all’occidentalizzazione voluta
dall’Imperatore. La questione si risolse a favore dell’Imperatore nel 1877 dopo un sanguinoso
conflitto durante il quale i 30.000 samurai di Saigo Takamori non riuscirono a sostenere l’attacco
dei 76.000 soldati imperiali.
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Nel 1890 l’approvazione della nuova Costituzione sanciva la totale apertura del paese. La crescita
del paese rese evidente l’inadeguatezza dei trattati economici stipulati nei decenni precedenti: e così
nel 1894 tali trattati vennero revisionati a Londra su basi di uguaglianza. Tra il 1894 e il 1895 il
Giappone dovette fronteggiare una nuova crisi con la Corea e la Cina, che si risolse a favore del
Giappone con la firma di un trattato nel quale la Cina rinunciava ad ogni influenza in Corea e
cedeva alcuni territori al Giappone. La questione coreana trascinò nelle tensioni anche la Russia a
favore della Corea: le tensioni culminarono nella dichiarazione di guerra nel 1904 che si concluse
l’anno successivo ancora una volta a favore del Giappone, nonostante la superiorità militare. Il
trattato mediato da Roosvelt stabiliva la rinuncia della Russia a qualsiasi ingerenza in Corea e la
cessione di alcuni territori al Giappone. Intanto tra Giappone e Corea si erano firmati accordi sulla
gestione delle riforme interne ai due paesi. La persistenza di focolai insurrezionali e la relativa
necessità di ordine pubblico, portò all’annessione della Corea al Giappone nel 1910. In politica
estera, restarono tensioni solo con gli Stati Uniti per la forte ondata di immigrazione di giapponesi
in California.
Dunque durante l’Ottocento l’Europa cominciò a venire in contatto con le civiltà orientali
attraverso il commercio e il colonialismo. Il contatto con l’estremo Oriente avvenne nella seconda
metà del secolo grazie all’apertura dei porti da parte del Giappone a navi straniere. Madame
Chrysantème (1887) di Pierre Loti fu il primo dei soggetti letterari ambientato in Giappone, a
Nagasaki tra luglio e settembre del 1885. Il romanzo autobiografico descrive l’usanza per cui il
Giappone permetteva agli ufficiali di marina stranieri di contrarre matrimoni con le geishe che
terminavano automaticamente con il reimbarco dell’ufficiale.
Genesi dell’opera
Nell’estate del 1900 Puccini iniziò a pensare a un nuovo soggetto: ne valutò moltissimi sulle
tematiche più disparate. Ciò su cui si concentrò maggiormente furono un soggetto sulla regina
Maria Antonietta e le avventure di Tartarin de Tarascon personaggio di Alphonse Daudet per la
comicità del personaggio. E addirittura si cercava di portare a compimento una possibile
collaborazione con D’Annunzio, a cui si pensava da molti anni, ma che fallì per le diverse esigenze
estetiche dei due artisti. Proprio in quel periodo, Puccini era a Londra, e fu qui che assisté al
dramma Madame Butterfly dell’americano Belasco. Nonostante la sua completa incomprensione
della lingua inglese, Puccini intuì il potere di comunicazione non verbale intrinseco al soggetto e ne
rimase talmente impressionato che al termine dello spettacolo chiese a Belasco l’autorizzazione a
trasformare il dramma in opera lirica. Quando agli inizi dell’inverno Ricordi raggiunse l’accordo
dopo lunghe trattative, Puccini avendo già buone idee, contattò Illica al quale chiese di rifarsi anche
alla novella di Long da cui il dramma di Belasco era a sua volta tratto.
Nell’aprile del 1901, Puccini aveva già chiara la struttura in due atti, dei quali il primo venne
creato da Illica come antefatto. Il secondo atto riprendeva il dramma di Belasco ed era suddiviso in
tre parti: la prima parte nella casa di Butterfly, la seconda nella villa del Console (poi al Consolato)
per ritornare nel finale nella casa di Butterfly. Nel corso dell’anno, Puccini si rese conto che la parte
centrale del secondo atto avrebbe disturbato l’azione e la soppresse. Così a dicembre del 1901
Puccini definì la struttura in due lunghi atti con un intermezzo per il quale voleva servirsi del coro
con «voci misteriose a bocca chiusa», nonostante le obiezioni dei librettisti e dello stesso Ricordi
che vedevano inusuale la struttura in due soli atti a cui rispose sostenendo con fermezza la struttura
bipartita.
Il lavoro procedette bene fino al 1903, nonostante una situazione familiare in grave crisi: la sua
posizione era già male accettata dal resto della famiglia per la convivenza con Elvira, donna
sposata, con la quale non poteva regolarizzare la posizione, essendo ancora vivo il primo marito. A
peggiorare i rapporti familiari fu la relazione che egli ebbe tra il 1901 e il 1903 con Corinna, una
ragazza piemontese conosciuta durante un viaggio in treno, relazione che tutti, compresi Ricordi e
la sorella suor Giulia Enrichetta, si auspicavano che terminasse il più presto possibile. Inoltre alla
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fine di febbraio del 1903 Puccini ebbe un incidente in macchina, a seguito del quale si fratturò la
tibia destra. La notizia ebbe molta risonanza a livello pubblico, tanto che ricevette gli auguri di
guarigione perfino da Mascagni, che era a San Francisco, e dal Re Vittorio Emanuele. Lo stesso
giorno dell’incidente si ebbe anche notizia della morte del marito di Elvira: il che sembrò a molti un
segno divino, potendosi in questo caso regolarizzare la posizione di Elvira. Se non fosse stato per
quella ragazza piemontese… Perfino Ricordi prese posizioni durissime al riguardo, preoccupato
della reputazione del suo artista di punta, scrivendogli una lunga lettera di rimprovero prendendo a
pretesto l’interminabile guarigione che aveva sospeso i lavori dell’opera. Fatto sta che tutti questi
impedimenti, l’impossibilità di muoversi, l’assillo dei familiari per l’assistenza, la mancanza del
lavoro, affrettarono il distacco dalla “piemontese”, cosicché a gennaio del 1904 poté celebrare il
matrimonio con Elvira. La composizione dell’opera fu terminata a dicembre del 1903.
L’allestimento in grande stile della prima alla Scala non procurò alcun tipo di problema, con un cast
di artisti eccellenti tanto che la prova generale riscosse l’ammirazione degli orchestrali. Invece la
prima del 17 febbraio 1904 fu un clamoroso fiasco, probabilmente alimentato dalle dispute fra
editori che pilotavano il giudizio di pubblico e critica, e dalle antipatie politiche per la sua
preferenza per gli ambienti aristocratici. La condotta del pubblico sembra far pensare che il fiasco
fu preordinato: le contestazioni si fecero sentire subito fin dai primi minuti, e addirittura il secondo
atto non fu quasi udibile per gli schiamazzi del pubblico, e addirittura alcuni sentirono voci di fiasco
sicuro appena prima della rappresentazione, come emerge da alcune lettere della sorella Ramelde e
della stessa Elvira presenti alla prima. Anche le critiche apparse sui giornali, sono molto dure, ma
deboli in argomentazioni. In linea generale, invece che considerare l’opera come la naturale
evoluzione delle tecniche impiegate nelle opere precedenti, la maggior parte della critica (sia
giornalistica, sia musicale) accusava Puccini di aver usato quelle tecniche in maniera meccanica
senza trasporto emotivo, sull’onda del successo dell’Iris di Mascagni e dell’impressionismo
francese. Ma non mancarono i sostenitori illustri di Butterfly, come Giovanni Pascoli che volle
incoraggiare il maestro pubblicando una poesia in cui auspica il successo dell’opera («Caro nostro e
grande Maestro, / la farfallina volerà…»). Lo stesso Puccini dimostrava una fede incrollabile:
sebbene fosse stato costretto ad apportare dei tagli per alleggerire la struttura e a dividere il secondo
in due atti, non volle intervenire sull’essenza dell’opera. Il 28 maggio la ripresa dell’opera a Brescia
riscosse un successo strepitoso a dimostrazione della fiducia di Puccini nel suo lavoro.
Ambientazione dell’opera
L’importanza dell’ambientazione musicale per Puccini è sempre stato una delle sue maggiori
preoccupazioni, come accadde nelle opere precedenti e soprattutto nella Tosca. Per la Madama
Butterfly divenne fondamentale. Il dramma era incentrato principalmente sullo scontro tra due
civiltà, americana e giapponese, ed era proposto dalla prospettiva giapponese, lasciando a quella
americana la funzione di intruso. Pertanto si richiedeva di immergere il lavoro nel clima giapponese
e rendere partecipe lo spettatore di quell’atmosfera. Sappiamo che nel 1902 Puccini contattò una
signora giapponese, di nome Oyama: questa gli fornì diverse indicazioni sulle usanze giapponesi e
alcune melodie tradizionali che egli annotò, e gli assicurò che gliene avrebbe procurate altre. Inoltre
ella contestò a Puccini i nomi scelti per alcuni personaggi: ad esempio Yamadori è un nome
femminile, e i nomi dati alle divinità non sono corretti. Tutto questo lavoro bibliografico di ricerca
di fonti musicali, occupa nell’opera circa un quarto della musica complessiva dell’opera a cui vanno
aggiunte le melodie “di colore orientale”. Tra queste va segnalato anche l’inno nazionale
giapponese utilizzato da Puccini nella celebrazione del matrimonio. Possiamo rintracciare alcuni dei
motivi originali giapponesi in alcuni momenti sensibili dell’opera: ad esempio, nell’aria di Butterfly
del Secondo Atto «Che tua madre» dove dice «e la canzon giuliva e lieta»; nella ninna-nanna
«Dormi amor mio»; e poi anche nella preghiera di Suzuki. Dal punto di vista armonico, Puccini
trovò che la scala pentafona e quella a toni interi rendevano perfettamente il clima orientale,
integrando così alla perfezione l’elemento esotico nel sistema armonico occidentale, concretizzato
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in orchestra da un uso caratteristico dei legni e da un vasto assortimento di percussioni, campane e
gongs (ad esempio tam-tam e campanelli giapponesi, campanelli a tastiera e campane tubolari).
L’atmosfera americana invece viene messa in risalto attraverso l’inno della marina (che nel 1931
divenne inno nazionale degli Stati Uniti) che compare due volte nel Primo atto, nell’introduzione
all’aria di Pinkerton «Dovunque al mondo» e nel brindisi di Pinkerton e Sharpless «America for
ever», e due volte nel Secondo, quando Butterfly rivendica la cittadinanza americana e, dopo,
all’arrivo della nave nel porto. Le parti musicali di Pinkerton e Sharpless vengono trattate da
Puccini alla maniera occidentale, tralasciando completamente il colore orientale. Il colore
occidentale ritorna anche nei momenti di espansione lirica, dove Butterfly dimostra la sua voglia di
occidentalizzarsi.
Le rielaborazioni dell’opera
Come abbiamo accennato, la prima assoluta di Milano fu un fiasco completo. Nonostante la
consapevolezza di Puccini che l’opera fosse corretta e che il fiasco fu preordinato da fazioni di
concorrenti, il compositore si dovette adeguare alle necessità e apportò delle modifiche per la
“seconda prima” di Brescia. Altre modifiche importanti vennero apportate anche in occasione della
prima londinese nel 1905, poi edite dalla Ricordi nel 1906. La versione che attualmente viene
eseguita e che va considerata quella definitiva, deriva dagli ultimi interventi per la prima all’Opéra
Comique a Parigi nel 1906 poi pubblicati, con qualche ulteriore cambiamento di poco conto, in
partitura nel 1907.
Vediamo brevemente le differenze tra le varie versioni della Butterfly.
Milano, 17 febbraio 1904
L’opera era divisa in due atti. La struttura generale della trama dell’opera non è stata
sostanzialmente intaccata, e quindi corrisponde a quella corrente. Vediamo brevemente come si
presentava la versione scaligera rispetto alla versione a cui siamo abituati ad assistere.
Il Primo Atto fu creato da Illica e Giacosa, con la funzione di prologo, ricreando i fatti antecedenti
e sottintesi del dramma di Belasco. Innanzitutto la contrapposizione tra la cultura giapponese e
quella americana era molto più accentuata, come in diversi episodi in cui gli americani si prendono
beffe delle usanze giapponesi. Inoltre vi erano ancora piccole scene di colore giapponese a fini
descrittivi. Sebbene questi episodi contribuissero a creare l’atmosfera orientale, appesantivano però
l’azione rendendola meno agile e consequenziale. Ad esempio, prima dell’ingresso dei funzionari
per le nozze, Butterfly descrive a lungo alcuni parenti, tra cui il bonzo e l’ubriacone Yakusidè, e
poco più avanti presenta la madre e la cugina. Dopo il matrimonio vi era ancora un’altra scena in
cui lo zio ubriacone scambia battute scherzose con un nipote di robusta corporatura. Infine nella
scena finale vi era un breve arioso di Butterfly in cui lei esprimeva i suoi dubbi alla proposta di
Goro di sposare un americano.
Il Secondo Atto, riprende quasi interamente il dramma dell’americano: nel dramma di Belasco il
secondo atto era diviso in tre parti, le due estreme ambientate nella casa di Butterfly, e la centrale
presso il Consolato degli Stati Uniti. Puccini soppresse la scena centrale, poiché interrompeva
l’unità di luogo dell’opera, e dette continuità alle due parti inserendo un intermezzo orchestrale con
il celeberrimo coro a bocca chiusa per l’attesa di Butterfly per l’arrivo di Pinkerton dopo l’approdo
della nave.
Nella prima parte dell’atto, il principe Yamadori entrava nella casa di Butterfly. La scena in cui
Butterfly e Suzuki adornano la casa di fiori era più semplice, senza la pantomima.
Nella seconda parte dell’atto mancava l’aria di Pinkerton «Addio fiorito asil». Nel finale Kate e
Suzuki entrano in casa dopo aver attraversato il giardino parlando amabilmente, le due mogli si
scontrano e Butterfly si rivolge direttamente a Kate.
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Nelle versioni successive, via via vennero eliminate le scenette di colore giapponese che
appesantivano l’azione, rendendo tutto più scorrevole e incisivo. Oltre a queste vennero eseguiti
degli interventi di una certa importanza.
Brescia, 28 maggio 1904
Dopo l’insuccesso di Milano, Ricordi convinse Puccini ad apportare delle modifiche. Quella più
evidente ma non sostanziale, non incidendo sulla struttura originaria, dell’opera fu la divisione in tre
atti, con la chiusura del sipario dopo l’intermezzo con il coro a bocca chiusa al centro del secondo
atto.
Sotto l’aspetto puramente musicale, l’intervento più significativo è l’inserimento dell’aria del
tenore «Addio fiorito asil» nel nuovo terzo atto. Altrettanto importante è l’armonizzazione del tema
di ingresso di Butterfly a cui fu impressa maggior tensione emotiva. Altri cambiamenti sono la
modifica del profilo delle melodie di alcuni brani del duetto del primo atto e nella scena del suicidio
di Butterfly.
Londra, 10 luglio 1905
In questa versione, da considerarsi di transizione, non si registrano cambiamenti significativi, se
non l’eliminazione di alcuni degli episodi descrittivi dell’atmosfera giapponese.
Parigi, 28 dicembre 1906
Dagli interventi apportati in questa occasione ha origine la versione cui assistiamo oggi nei nostri
teatri. Ruolo importante nella definizione degli ultimi cambiamenti ebbe il registra francese Albert
Carré: questi, avendo diretto le prime francesi della Bohème e della Tosca, cominciò a prendere
accordi con Ricordi per la prima francese della nuova opera di Puccini già dal 1903. Inizialmente le
modifiche e i tagli proposti da Carré lasciarono lo staff italiano perplesso, ma poi convennero
giudicando la messinscena «logica, pratica e poetica». Rilevanti anche gli interventi sul testo e sul
profilo musicale del finale dell’aria di Butterfly «Che tua madre» e l’aggiunta di una sezione
orchestrale di 18 battute che accompagna la pantomima di Butterfly e Suzuki che addobbano di fiori
la casa. Il finale dell’opera subì altri importanti interventi. Kate parla con Suzuki ma resta in
giardino, Butterfly la scorge dall’interno della casa e si rivolge a Sharpless: per eseguire la
modifica, gran parte delle battute assegnate a Kate, vennero trasferite a Sharpless conservando
intatta la melodia.
Belle alcune accortezze puramente registiche come ad esempio, il particolare del principe
Yamadori che rimane in terrazza, invece di entrare in casa.
Trama dell’opera
Formalmente la chiusura del sipario a metà del secondo atto determina la divisione dell’opera in
tre atti. Concettualmente l’azione è continua e interromperla solo per permettere al pubblico di
prendere un caffè o fumare una sigaretta, guasta irrimediabilmente l’atmosfera creata nel secondo
atto. Oltretutto l’intervallo non è neanche giustificato da motivi tecnici di cambio delle scene, come
invece accade nella Manon Lescaut (anche se al giorno d’oggi talvolta è possibile realizzare un
cambio scena senza rumore e in pochi minuti) e di per sé il terzo atto è quello di durata più breve
rispetto agli altri due. Occorre notare che negli ultimi anni sono divenute più frequenti le
messinscene con il secondo e terzo atto uniti, considerando così l’opera in due atti di cui il secondo
suddiviso in due parti, quasi che si volesse accontentare il desiderio del Maestro.
La storia si svolge a Nagasaki agli inizi del ‘900 («A Nagasaki – Epoca presente).
ATTO PRIMO. Sulla collina presso Nagasaki, Goro mostra a Pinkerton la casa che ha acquistato
tipicamente giapponese con le pareti scorrevoli per creare ambienti diversi a seconda del gusto e gli
presenta Suzuki, cameriera di Butterfly, e gli altri servitori. Tutto è già pronto per le nozze tra
Pinkerton e Butterfly. Arriva Sharpless, il console americano a Nagasaki, e intrattiene con Pinkerton
una conversazione sulle abitudini libertine dei marinai americani, e sulla facilità di interruzione di
tutti i tipi di contratto in Giappone, compreso il matrimonio, rescindibile ogni mese. Sorseggiano
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whisky, il discorso cade poi sulla bellezza e la dolcezza di Butterfly e sulle reali intenzioni di
Pinkerton, che si dichiara sì infatuato della bella giapponesina, ma per il suo futuro desidera vere
nozze e una vera moglie americana. Arriva Butterfly accompagnata dalle amiche, e tutte si
inchinano a Pinkerton in segno di rispetto. Sharpless la interroga sulle sue origini: la sua famiglia un
tempo ricca, cadde in disgrazia e lei a quindici anni fa già la geisha. Giungono in corteo anche i
funzionari e i parenti. Tutte queste usanze orientali sono derise dai due americani. Analogamente,
Pinkerton è deriso dalle amiche di Butterfly e non è ben visto dai parenti e amici di Butterfly che
auspicano un divorzio. Butterfly confida sottovoce a Pinkerton di voler abiurare la propria religione
in favore di quella americana. Tra gli oggetti portati da Butterfly nella nuova casa vi è anche il
pugnale con cui suo padre fu costretto all’harakiri. Nonostante lo scarso gradimento le nozze
vengono celebrate con gran solennità da parte giapponese. Durante i festeggiamenti lo zio Bonzo
accorre e aggredisce verbalmente Butterfly: davanti a tutti dichiara di aver scoperto dell’abiura di
Butterfly e invita i parenti a ripudiarla. Rimasti soli, Pinkerton la consola. La preghiera di Suzuki
annuncia la sera e Butterfly si prepara per la notte. L’atto si conclude con un lungo duetto d’amore.
ATTO SECONDO. PARTE PRIMA. Nella camera di Butterfly, Suzuki prega gli dei perché facciano
cessare il pianto di Butterfly. Pinkerton è partito da tre anni. Butterfly ormai ridotta in miseria,
rinnegata dai parenti, confida ciecamente in un suo prossimo ritorno. Viene a farle visita Sharpless,
il console americano, con una lettera di Pinkerton nella quale esprime la sua volontà di divorziare.
Butterfly non sembra interessata al motivo della visita di Sharpless, in quanto è distratta dalla
presenza di Goro che ha tentato più volte di farle prendere altri mariti, ultimo dei quali il principe
Yamadori, anch’egli venuto a chiederle ancora la mano. Butterfly conferma la sua fedeltà a
Pinkerton, suscitando sensi di colpa nel console, nonostante che per la legge giapponese un così
lungo abbandono porta automaticamente al divorzio. Butterfly invece si adegua alla legge
americana, secondo la quale il divorzio deve essere pronunciato da un giudice. In una conversazione
sottovoce, non udita da Butterfly, i tre uomini si dimostrano preoccupati da tanta illusione della
ragazza, e Sharpless confessa di essere venuto per disilluderla sul ritorno di Pinkerton. Un ultimo
tentativo di Yamadori di ottenere il consenso a un nuovo matrimonio, vede il determinato rifiuto di
Butterfly. Rimasti soli, Sharpless ha intenzione di parlare seriamente alla ragazza ma le lo
interrompe spesso, fino a che il console con tono brutale insinua la possibilità di un non ritorno di
Pinkerton. Butterfly non può accettare l’idea e mostra a Sharpless il bambino avuto dal marito. A
questo punto Sharpless non avendo più il coraggio di dirle la verità se ne va. Mentre Butterfly
consola il suo bambino, un colpo di cannone annuncia l’ingresso in porto della nave di Pinkerton.
Butterfly si fa prendere da un’emozione frenetica, nonostante che Suzuki tenti di stemperarla,
riempie la casa di fiori per accogliere il marito, e si mette ad aspettarlo con il bambino in braccio.
Intanto scende la sera e poi la notte. Il bambino e Suzuki si addormentano nell’attesa. Solo Butterfly
rimane sveglia fissando immobile l’orizzonte.
ATTO SECONDO. PARTE SECONDA. Butterfly sta ancora aspettando Pinkerton quando sorge il sole.
Vedendo che il bambino dorme ancora lo prende in braccio per portarlo a letto. Intanto
sopraggiunge Pinkerton, accolto con grande sorpresa da Suzuki, accompagnato da Sharpless e da
una donna, Kate, la moglie di Pinkerton, venuti per prendere il bambino e portarlo negli Stati Uniti.
I due americani pregano Suzuki di parlare a Butterfly e di prepararla alla notizia. Mentre Sharpless
e Suzuki vanno in giardino per parlare con Kate, lui resta in casa ad ammirare come tutto sia
rimasto immutato. Sopraffatto dal rimorso, non ha il coraggio di affrontare Butterfly e prega
Sharpless di farlo per lui, ma prima di andarsene per sempre, rivolge un ultimo sguardo di nostalgia
alla casa e riconosce la sua vigliaccheria. Intanto Kate ha convinto Suzuki a parlare con Butterfly
per convincerla ad affidarle il bambino. Intanto Butterfly si risveglia e chiama Suzuki, Kate esce in
giardino. Suzuki e Sharpless le comunicano che Pinkerton non verrà. Butterfly scorge Kate in
giardino: capisce subito che si tratta della moglie americana di Pinkerton e che sono venuti con
l’intenzione di portargli via il bambino. Piegata dal dolore, Butterfly acconsente a concedere loro il
bambino a patto che Pinkerton venga a prenderlo dopo mezz’ora. Butterfly rimane sola nella sua
camera semibuia e prende il pugnale dal piccolo altare di Budda e legge l’iscrizione «Con onor
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muore / chi non può serbar vita con onore». Quando sta per uccidersi, Suzuki fa entrare il bambino:
Butterfly gli rivolge l’ultimo addio e guardandolo profondamente negli occhi si augura che conservi
almeno un labile ricordo della sua mamma. Amorevolmente benda gli occhi del bambino, va dietro
il paravento e si ferisce a morte alla gola. Si apre la porta ed entrano Pinkerton e Sharpless che
accorrono verso Butterfly per soccorrerla, ma muore trascinandosi sul pavimento per indicare il
bambino a Pinkerton.
Principali aspetti musicali
Vocalità. Butterfly, soprano. Il ruolo è decisamente tra i più impegnativi di tutto il repertorio
pucciniano restando quasi sempre presente in scena per tutta l’opera. Dal punto di vista
dell’interpretazione l’artista deve tenere conto della crescita psicologica tra primo e secondo atto.
Dal punto di vista tecnico, l’impegno non è inferiore: l’estensione tonale si sviluppa su due ottave
più una terza minore, con un’alta concentrazione sulle note di passaggio e nel registro grave, contro
sonorità orchestrali di ampia portata. Pinkerton, tenore. Tecnicamente la linea vocale insiste
nell’ottava centrale, con poche incursioni nel registro grave e acuto, maggiormente rappresentato
nelle note di passaggio. La distribuzione della presenza in scena non è omogenea: infatti nel primo
atto, il personaggio è sempre presente, con un relativo impegno interpretativo e vocale che culmina
nel lungo duetto finale. Assente completamente nella prima parte del secondo atto, ritorna nella
seconda parte con impegno minore. Per Sharpless e Suzuki, l’impegno è più modesto, sia in termini
vocali che interpretativi. Il ruolo di Sharpless, baritono, è ben distribuito in tutti gli atti: nonostante
un sol acuto, la parte si sviluppa prevalentemente nella regione grave e nella tessitura comoda.
Mentre per Suzuki, mezzosoprano, la tessitura rimane nel registro centrale, sebbene si sviluppi su
un’estensione totale di due ottave.
Primo Atto.
L’introduzione orchestrale ci proietta subito nell’atmosfera giapponese con il suo tema composto
di numerosi brevi motivi. Goro viene rappresentato con un tema che ritorna in generale anche in
connessione con Nagasaki e con le cose giapponesi. Questi ha funzione di chiave di volta tra le due
culture orientale e occidentale. Il tema della marcia affidata ai legni introduce i parenti di Butterfly.
Il dialogo Pinkerton-Sharpless è un canto di conversazione di sapore più occidentale, al cui centro
l’aria del tenore «Dovunque al mondo» prosegue lo stile di canto del dialogo. In quest’aria del
tenore il “colore americano” si esprime dal punto di vista musicale con l’esposizione del tema
dell’inno della marina americana (l’attuale inno nazionale U.S.A.) e dal punto di vista testuale, con
l’utilizzo di vocaboli americani («milk, punch o whisky» e «America for ever» sulle note dell’inno
nazionale). L’aria del tenore «Amore o grillo» è un bellissimo esempio di miniatura letteraria grazie
alla raffinata versificazione di Giacosa in cui si rievoca l’immagine del volo della farfalla.
Le scene seguenti, arrivo di Butterfly e cerimonia nuziale, sono caratterizzate musicalmente
dall’esposizione della maggior parte delle melodie giapponesi sia originali che “in stile”. La
contrapposizione tra americani e giapponesi è risolta con due linguaggi musicali differenti: il
chiacchiericcio disordinato e caotico dei parenti di Butterfly evidenziato da un canone all’unisono
tra soprani e bassi diviene sottofondo indistinto al dialogo lirico tra Pinkerton e il console. Segue il
cantabile di Butterfly nello stile misto di Puccini tra arioso e cantabile, in cui ella descrive gli
oggetti che estrae dalle ampie maniche del kimono. Sul finire della scena la musica abbandona la
connotazione orientale a favore di quella occidentale, accompagnando il processo di
occidentalizzazione spirituale di Butterfly, che confida a Pinkerton di aver abiurato. Il momento
della cerimonia nuziale ha poca rilevanza, trattandosi di una pura formalità burocratica, avendo
come premessa l’automatico scioglimento del vincolo alla partenza dello sposo, come testimonia la
lettura frettolosa della formula del matrimonio da parte del Commissario Imperiale. Le nozze si
concludono con il brindisi alla sposa «O Kami» interrotto dalle grida dello zio Bonzo che ripudia
Butterfly poi sostenuto da tutti i parenti, accompagnato dal tema della maledizione.
MADAMA BUTTERFLY - 9
Il finale del Primo Atto è tutto dedicato all’ampio duetto tra Butterfly e Pinkerton ove si mette in
evidenza l’incomunicabilità delle due culture. Nella prima sezione il brano «Bimba non piangere»
del tenore ha una funzione consolatrice mirata all’ottenimento del bene materiale che brama,
attraversato dal motivo della maledizione. Nella seconda sezione col calar della notte, il seducente
«Viene la sera» del tenore porta al primo vero duetto, in realtà due a parte contemporanei. Con
l’aria «Bimba dagli occhi pieni di malia» il tenore impiega tutte le armi della seduzione per far
cadere le ultime resistenze della ragazza. Il desiderio di Pinkerton diviene sempre più fremente in
«Stolta paura, l’amor non uccide» in cui si evidenzia la contrapposizione ai dubbi della ragazza
causati dall’eco della maledizione dei parenti. L’ultima parte del duetto inizia su «Via dall’anima
inquieta» e termina sul finale «Dolce notte! quante stelle!» che riprende il tema dell’ingresso di
Butterfly.
Secondo Atto, Prima Parte.
L’atto si apre con un’introduzione orchestrale in forma di fugato apparentemente allegro ma
pervaso dalla malinconia, rispecchiando i sentimenti di solitudine, miseria e disperazione di
Butterfly per essere stata abbandonata. Il tema della maledizione del Bonzo, la preghiera di Suzuki
e il tema del suicidio del padre confermano la desolazione interiore di Butterfly. Il colloquio con
Suzuki mette in evidenza la cieca affermazione delle sue illusioni. Il brano della nidiata di pettirossi
rappresenta un esempio eccellente di colore orientale ottenuto grazie alla dolcissima orchestrazione
con oboi, flauti, e violini, contrapposti a clarinetti, viole e triangolo.
La tensione del dialogo cresce esponenzialmente fino a scoppiare nel pianto disperato di Suzuki a
cui risponde Butterfly con l’aria «Un bel dì vedremo» pervasa dalla malinconia di un momentaneo
scoraggiamento che subito svanisce per riaffermare la sua autoconvinzione nell’espansione lirica
del finale. L’aria inizia con una frase sospesa e delicatissima che riprende l’immagine del «fil di
fumo». L’illusione di Butterfly è sottolineata da un assolo del violino su «come da lontano» e dalle
viole in sordina su «come un lontano mormorìo», che porta alla frase «s’avvia per la collina» sulla
scala a toni interi. Nel finale riprende il tema iniziale «con molta passione».
La visita di Sharpless è l’occasione per mostrarci come le abitudini di Butterfly si siano
occidentalizzate: il valzer lento in orchestra mentre Suzuki serve il tè nell’episodio successivo ne è
la dimostrazione più rappresentativa. Tutto il dialogo è in un leggero stile arioso da conversazione.
Il tema del principe Yamadori accompagna l’entrata del personaggio e ripropone il motivo di una
canzone giapponese originale. Chiude la scena la lettura della lettera, accompagnata da un motivo
orchestrale in cui la melodia si muove gradatamente con note distanti nel tempo, su un ritmo
regolare scandito, che rappresenta la cieca fiducia di Butterfly nell’amore per Pinkerton. Visto il
rifiuto di Butterfly ad accettare la realtà, Sharpless esasperato prospetta brutalmente il non-ritorno di
Pinkerton: un colpo secco di gran cassa su una sola nota degli archi introduce la replica di Butterfly
«Due cose potrei far» presagio del destino che si compirà, su una allucinata marcia processionale,
dal ritmo che ricorda i battiti di un cuore trafitto dal dolore. Dopo aver mostrato a Sharpless il figlio,
di nome Dolore, sul tema dell’amore del primo atto, si rivolge al bambino con l’aria «Che tua
madre», che porta Butterfly alla decisione di darsi la morte.
Ci avviamo alla fine dell’atto, o della prima parte del secondo atto. In questa scena si avvertono
sentimenti contrastanti che vanno dalla rabbia di Butterfly per le insinuazioni sulla paternità del
figlio, ai pensieri per il bambino, la gioia incontenibile all’udire il colpo del cannone del porto. Nel
duetto dei fiori prevale la dimensione lirica e poetica: inizia con un assolo di Butterfly, seguito dal
duetto con Suzuki. E poi la veglia notturna per l’attesa di Pinkerton. Il coro a bocca chiusa riprende
e sviluppa il tema orchestrale udito nella lettura della lettera. La parte melodica è affidata al coro
fuori scena sostenuto da una viola d’amore (non percepibile in sala) doppiata in orchestra da flauto,
arpa e violino con sordina. Questo coro fu una delle parti dell’opera composte per prime: già nel
dicembre del 1901 Puccini chiedeva a Illica di trovare il modo di sistemare a metà del secondo atto
un intermezzo, con funzione di passaggio per il finale, per il quale voleva servirsi del coro con
«voci misteriose a bocca chiusa».
MADAMA BUTTERFLY- 10
Secondo Atto, Seconda Parte.
La scena riprende con un preludio orchestrale, che nella messinscena in tre atti è a sipario chiuso.
Il brano musicale dapprima rievoca precedenti stati d’animo di Butterfly, attraverso il richiamo di
motivi già presentati, poi emerge un ampio tema nuovo che si conclude con le voci dei marinai in
lontananza. La descrizione musicale dell’alba contrasta armonicamente con la parte precedente del
preludio e va verso passaggi in stretto che accrescono la tensione emotiva.
L’entrata di Sharpless e Pinkerton si appoggia su un accompagnamento quasi processionale. Il
duetto tra i due uomini si trasforma in terzetto con l’ingresso di Suzuki, che in questa circostanza
acquista uno spessore musicale maggiore. In linea generale tutta la scena è caratterizzata dagli
aspetti drammatici, dallo svolgersi dell’azione: al crescere della tensione corrisponde
l’innalzamento del tono di conversazione che determina lo svegliarsi di Butterfly. L’arioso «Addio
fiorito asil» del tenore, conferma l’importanza del personaggio. Qui Pinkerton esterna il rimorso e il
senso di colpa nei confronti di Butterfly, mitigando così il cinismo del personaggio di Belasco.
Quest’aria venne aggiunta nell’edizione di Brescia per sottolineare questi due aspetti.
La scena seguente con il rientro di Butterfly, passa nello stile di conversazione, caratterizzato
dall’uso drammatico delle pause per aggiungere tensione psicologica, data dalla presenza di Kate.
Lo straziante motivo di «Un bel dì vedremo» diventa annunzio di morte in «Fra mezz’ora salite la
collina». Riecheggiano vorticosamente i temi precedenti che l’hanno condotta alla decisione
estrema. L’ultimo saluto di Butterfly è rivolto al figlio con la straziante aria «Tu, tu piccolo Iddio!»:
l’inizio arioso si trasforma rapidamente in una sorta di cavatina alle parole «O a me, sceso dal
trono».
Il momento del suicidio è solenne: un assolo della tromba bassa accompagnato da viole e corno
inglese, con il ritmo scandito da timpano, gran cassa e tam-tam, e riproduce quasi fedelmente il
timbro della musica sacra giapponese.
MADAMA BUTTERFLY- 11
Madama Butterfly a Torre del Lago
Anno
1931
Direttore
Butterfly
Pinkerton
Sharpless
Suzuki
Regia
Edoardo vitale
Rosetta Pampanini
Angelo Minghetti
Gino Lulli
Olga De Franco
1953
Ino Savini
Orietta Moscucci
Guido Malfatti
---
1956
1959
Argeo Quadri
Napoleone
Annovazzi
Ermanno WolfFerrari
Giacomo Zani
Rosetta Noli
Antonietta Stella
Pier Miranda
Ferrara
Flaviano Labò
Angelo Marchiandi
Giovacchino
Forzano
---
--Afro Poli
Anita Caminada
---
-----
Virginia Gordoni
Bruno Prevedi
Enzo Sordello
Flora Rafanelli
Walter Boccaccini
Beniamino Prior
Piero Francia
Ruggiero Rimini
Nunzio Todisco
Ottavio Garaventa
Beniamino Prior
Angelo Romero
Walter Alberti
Adriana Alinovi
Pirali
Anna Di Stasio
Lucia Stanescu
Silvana
Mazzieri
Silvana
Mazzieri
Anna Di Stasio
1966
1974
1976
Alberto Paoletti
Reynald
Giovaninetti
Wilma Vernocchi
Licia Galvano
Raina Kabaivanska
Raina Kabaivanska
Rita Talarico
1977
Nino Sonzogno
Elena Mauti Nunziata
Beniamino Prior
Alberto Rinaldi
1978
Nino Bonavolontà
Marcello Panni
Ottavio Garaventa
Giorgio Merighi
Beniamino Prior
Vincente Sardinero
Antonio Boyer
1984
Maria Chiara
Lorenza Canepa
Diana Soviero
Elena Mauti Nunziata
Tullio Pane
Eleonora
Jankovic
Tiziana
Tramonti
Pier Luigi
Samaritani
1989
Bruno Moretti
Yoko Watanabe
Grimaldi
Mietta Sighele
Dano Raffanti
Nazareno Antinori
Giovanni De
Angelis
Paola
FornasariPatti
Renzo Giacchieri
Andrea Piccinni
Yoko Watanabe
Grimaldi
Simona Zambruno
Adriana Morelli
Salvatore Fisichella
Salvatore Ragonese
Giovanni De
Angelis
Antonella
Trevisan
Mirna Pecile
Licenza Buizza
Giorgio Merighi
Salvatore Ragonese
Giovanni De
Angelis
Oslavio De
Credico
Giuseppe
Altomare
Maria Spacagna
Renzo Giacchieri
Marta Moretto
Stefano Monti
Mauro Buda
Patricia Panton
Rolando Panerai
Mauro Buda
Adriana
Cicogna
Claudia Marchi
Fulvia Bertoli
Marco Chingari
Sergio Bologna
Fulvia Bertoli
Chiara Chialli
Vivien A. Hewitt
Marzio Giossi
Elena Zilio
Vivien A. Hewitt
Vivien A. Hewitt
1972
1990
Bruno Moretti
1991
Angelo Campori
1994
Niksa Bareza
Mina Yamazaki
Silvia Ranalli
1995
Marcello panni
Janos Acs
Maurizio Arena
Adriana Morelli
Natalia Dercho
Natalia Dercho
Maria Pia Jonata
1997
2000
Mario Perusso
Massimo Morelli
2002
Steven Mercurio
Antonio Manuli
Giovanni
BattistaPalmieri
Gianni Mongiardino
Keith Olsen
Mario Carrara
Alberto Cupido
Carlos Antonio
Moreno
Mario Giuggia
Maria Pia Jonata
Antonia Cifrone
Sun Xlu Wei
Maria Pia Jonata
Mina Tasca
Salvatore Fisichella
Maurizio Graziani
Antonio De Palma
Andrea Bocelli
Giorgio Merighi
Giorgio Merighi
Stefano Secco
Fabio Armiliato
Antonio
Salvatori
Juan Pons
Chiara Chialli
Teresa Nicoletti
---
Vincenzo La Scola
Stefano Secco
Lee Hyun
Marco Berti
Massimiliano
Pisapia
Marzio Giossi
Luca Salsi
Choi Jong Woo
Nicola Alaimo
Luca Salsi
Mariella
Guarnera
Jang Hyun Ju
Renata Lamanda
Yukiko Tanaka
2003
Keri lynn Wilson
28/05
/
2004
2004
Placido Domingo
Veronica Villarroel
Hui He
Daniela Dessì
Alberto Veronesi
Carla Maria Izzo
2004
2005
2006
Choi Seung Han
Lukas Karytinos
Roberto Zarpellon
Kim Yoo Sum
Sun Xiu Wei
Hisami Namikawa
Keiko Yokoyama
Aldo Masella
Gianrico Becher
Franca Valeri
Giovanni Miglioli
Renzo Giacchieri
Rolnado Panerai
MassimilianoFich
era
Stefano Monti
Vivien A. Hewitt
Chung Kab Gyun
Chung Kab Gyun
Masayoshi
Kuriama
MADAMA BUTTERFLY- 12
BIBLIOGRAFIA
“Belasco, David”, in Enciclopedia Italiana, vol. VI, pagg. 496-497 e Appendice, II, Roma, Istituto
della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, 1949
“Giappone – Storia moderna. Il Meiji (1868-1912)”, in Enciclopedia Italiana, vol. XXVII, Roma,
Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, 1949
Tutti i libretti di Puccini a cura di Enrico Maria Ferrando, Milano, Garzanti, 1984
Loti, Pierre, Madame Chrisantème, traduzione di Decio Cinti, Padova, Franco Muzzio Editore,
1995
Girardi, Michele, Giacomo Puccini. L’arte internazionale di un musicista italiano, Venezia,
Marsilio Editori, 1995
Leibowitz, René, Storia dell’opera, Milano, Aldo Garzanti Editore, 1966
Carner, Mosco, Giacomo Puccini. Biografia critica, Milano, Il Saggiatore, 1961
Sartori, Claudio, Puccini, Milano, Nuova Accademia Letteraria, 1958
Pinzauti, Leonardo, Puccini: una vita, Firenze, Vallecchi Editore, 1974
Celletti, Rodolfo, Gli ultimi cent’anni, in AA. VV., Storia dell’opera, vol. III, tomo I, parte I, La
vocalità, Torino, UTET, 1977
Gilardone, Marco-Fussi, Franco, Le voci di Puccini. Un’indagine sul canto, Torino, Omega Musica,
1998