Il sound che dà

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Il sound che dà
emo(zioni)
in
musica
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CIUFFI CORVINI, OCCHI
CERULEI E PELLI
ANGELICHE, ECCO CHI
SONO, COSA FANNO
E COSA VUOL DIRE
ESSERE UNO DI LORO:
DAL PUNK AD OGGI
TUTTO CIÒ CHE SI PUÒ
SAPERE DEGLI PIÙ
EMOZIONALI E EMOTIVI
ED EMO E BASTA
PROTAGONISTI DELLA
MUSICA MONDIALE
DI
VALENTINA GRISPO
Quando la musica non è solo qualcosa da ascoltare con il proprio Ipod, ma diventa un vero e
proprio stile di vita, gruppi musicali, melodie e
sonorità, influenzano il look ed il modo di essere. Il termine emo è strettamente collegato alle
sensazioni e ai sentimenti, all’emotività e alle
emozioni. Filo conduttore di quello che è diventato
uno stile sempre più diffuso e imitato: la musica.
L’Emo-style nasce come risposta al punk già negli
anni ’80.
Oggi Emo (da emotional) è, nella sua accezione
più modaiola, sinonimo di stile e tendenza, ma
soprattutto di un’indole sensibile. Abbiamo incontrato Alessandro 18 anni e Clara 19 anni che
incarnano il prototipo Emo non solo nello stile,
ma soprattutto nel modo di essere. “Tutto è par-
tito qualche anno fa”, racconta Alessandro, “non
ero più soddisfatto dalle sonorità punk-rock e
la scoperta di questo genere ha riempito i
miei vuoti al riguardo alle mie esigenze musicali.
L’adeguamento del look è stato una conseguenza ispirata dai vari esponenti del genere, non una
forzatura”.
L’identikit del tipo Emo è standard: ciuffi corvini
allungati che nascondono sguardi cerulei ed eternamente malinconici in contrasto con pelli angeliche color bianco latte. Corpi esili accentuati da
skinny jeans rigorosamente total black, felpe e tshirt che ricalcano le preferenze musicali. Ai piedi
le intramontabili Converse o le storiche Vans
slip-on, un must quelle a scacchi. E poi spillette, cinture borchiate e skulls sempre e comunque.
“Essere Emo”, dice Clara, “vuol dire sentire il pianto di dolore che esce da una canzone e riuscire a
percepirlo sulla propria pelle, non basta indossare
una maglia a righe o cambiare taglio di capelli. La
moda è una cosa, la musica è un’altra”. E’ contrario anche Alessandro alla commercializzazione
dell’Emo: “Per me”, spiega, “essere emo significa addentrarsi psicologicamente all’interno di questo genere musicale e sentire davvero
quello che trasmette. Non ha importanza come ti
vesti, se vuoi ascoltare questo genere puoi farlo
anche senza il bisogno di seguire i dettami della
moda”. La tracklist delle loro giornate è scandita
da gruppi ben precisi dai My Chemical Romance, ai The used passando per i Matchbook
Romance, i Silverstein, gli Underoath, I Finch,
senza dimenticare i From first to last, i Fall out boy,
i Senses failure ed i Funeral of a friend. Il loro rapporto simbiotico con la musica lo si percepisce
a pelle “La musica”, dice Ale accordando la sua
chitarra, “è tutta la mia vita. E’ una compagna di
viaggio che mi segue ovunque vada, se sono a
casa è inevitabile che stia ascoltando o suonando musica, se mi trovo fuori ho sempre con me il
mio lettore mp3. Per ogni periodo della nostra vita
c’è una colonna sonora”. Non una passeggera
tendenza modaiola, quindi, ma uno stile di vita
che tocca nel profondo il modo di essere. Chi fa
parte della cosiddetta emo generation ci tiene a
sottolineare la netta linea di confine che li separa
dal punk. “Il punk rock”, spiega Clara, “nasce dal
senso di ribellione e spensieratezza e dalla voglia
di restare eterni peter pan. L’emo invece tratta
temi più riflessivi, per lo più tristi, legati ad un
amore finito o al senso di inadeguatezza rispetto
al mondo”. Sulla differenza tra i due generi dice la
sua anche Alessandro: “Il punk è un genere nato
negli anni 70 che trae la sue radici dal rock’n’roll e
si presenta con suoni aggressivi e frenetici, l’Emo
è decisamente più melodico. Anche per quanto
riguarda il look la differenza è sostanziale, nel-
l’emo style non vedrete mai abiti strappati, catene
e vistose creste colorate, quelle sono caratteristiche dei punk del decennio anni 80”, e sottolinea, “ribadisco comunque che per entrambi i
generi ogni esasperazione è sbagliata soprattutto
da parte di chi punta esclusivamente sull’abbigliamento, ignorando che oltre al guardaroba c’è
molto di più”. Sì, perchè gli eterni tristi dalla spiccata sensibilità, convivono con una solitudine cercata, ma non voluta, alla continua ricerca del loro
posto nel mondo, sanno commuoversi senza
vergognarsene, si rifugiano nella musica da fare
e ascoltare e compongono malinconiche poesie
sull’abbandono celebrando l’amore perduto. “La
precisa volontà del genere emo”, dice Clara, “è
appunto emozionare trasmettendo al contempo strazio e rabbia, basta ascoltare una canzone
in cui sia presente lo “screamo” ( da “scream” in
inglese urlare ndr) per condividere il dolore cantato
dall’artista”. Mettere a nudo la propria anima attraverso una canzone, compenetrarsi nel dolore urlato e nel disagio esistenziale cantato, mostrando al
mondo la propria sensibilità, tutto questo è Emo, a
prescindere da ogni moda.
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l’l’espe
rtone
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DI SIMONE ZACCARIA
Il sound che dà
I brividi
Vampiri musicali di tutto il mondo uscite dalle
vostre bare e spingete il tasto play del vostro lettore mp3: nel sangue inizia a scorrere l’emo.
Originariamente il termine emo è stato associato
alla scena musicale di Washington DC della metà
degli anni ’80, quando bands come Embrace e
Rites of Spring si distaccano dalla cruda e dissacrante realtà musicale punk e hardcore per sperimentare un nuovo genere, l’emocore (emotional
hardcore), tentando di conciliare suoni e testi allo
scopo di emozionare.
Già intorno ai primi anni ’90 la scena emo si allarga, contando epigoni a San Diego intorno all’etichetta ‘Gravity Records’ e a New York dove i club
cult ABC No Rio e CBGB ospitano bands emo
come Rorschach, Native Nod, Merel e 1.6 Band.
Con lo scioglimento della maggior parte di questi
gruppi si chiude la prima ondata di emocore che
nel frattempo ha comunque trovato il tempo e il
modo di influenzare la scena musicale dando vita
a nuove contaminazioni come ad esempio quello del sound dei californiani Samian e Jawbreaker
che uniscono l’emo al pop punk e i canadesi No
means No che alternano ritmiche rock aggressive
a cantati melodici.
Il 1994 è un anno importante perché vede crescere il fenomeno emo grazie a gruppi come Fugazi e
Sunny Day Real Estate che suscitano molto interesse con l’album Diary e che iniziano a sfruttare
Internet per incontrare il grande pubblico. Questo
è anche il periodo in cui l’emocore si divide in due
filoni, l’ “hardcore emo“ e l’ “indie emo“. A quest’ultimo appartengono Jimmy Eat World, di Phoenix,
i primi punk rockers contaminati dall’emocore ad
essere prodotti da una major, la Capital Records
(1996). Dal 1994 al 2000 il filone indie emo cresce e si diffonde nei vari stati tanto da indurre le
major a tentare di sfruttare la crescente popolarità
di questo genere proponendo contratti e imbrigliando le bands, tentativi falliti grazie al progressivo allontanamento dei vari gruppi dalle originali
sonorità emo. Da una parte ciò ha salvaguardato
l’indipendenza di gruppi come Sunny Day Real
Estate, The promise Ring e The Get Up The Kids,
dall’altra ha determinato la fine della corrente indie
e quindi di tutta la scena emo ‘underground’ .
La longevità del termine emo alla fine degli anni
’90 lo si deve in massima parte ai Jimmy Eat
World e a gruppi come i Dashboard Confessional
i cui sound, nonostante segnino la definitiva lontananza dall’emo delle origini, continuano a creare
proseliti e a incontrare il gusto del grande pubblico.
L’apertura al mainstream ha generato una moltitudine di bands a cui il termine emo, così come era
stato concepito inizialmente, non sarebbe il caso
di associare: Brand New, Funeral for a Friend,
Alexinofire, Something Corporate, The Starting
Line, A Static Lullaby e altri. Tuttavia ad oggi è
impossibile distinguere tra chi è emo e chi non
lo è proprio perché è la stessa cultura popolare
ad aver confuso negli anni i protagonisti di questo genere grazie all’azione di sabotaggio dei veri
gruppi emo, tenacemente affezionati alla propria
indipendenza.
E’ arrivata l’alba carissimi emolettori. Vi suggerisco di tornare nel buio delle vostre bare, diversamente rovinerete quel fantastico pallore che vi
rende tanto affascinanti.
kool
faces
DI JOYCE
Vanessa
18 anni, Faleria (VT)
(ex) I.S.I.S.S. G. Colasanti
Qualche tempo fa mi vestivo genere hip-hop,
ora sono cambiata e preferisco toppini
e jeans stretti da poter mettere negli
stivali. Ora non seguo assolutamente nessuna moda a differenza di quando ero un’anima hiphop. Non saprei proprio darmi
un’etichetta d’abbigliamento,
sono abbastanza “country”.
Di giorno
mi metto
i pantaloni
neri con una
minigonna jeans sovrapposta e sempre gli stivali,
sopra magliettine leggere
con colori accesi.
La sera non cambio molto
l’abbigliamento, però curo
l’acconciatura e i particolari..ad
esempio con orecchini..
Non potrei mai rinunciare al mio
giubbetto jeans..non potrei
neanche fare a meno degli
anelli che mi ha regalato
il mio ragazzo.
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DUE VULCANI DI CREATIVITÀ QUESTO
MESE SU TRIBU: LA SIMO E LA VANE
NON LA MANDANO A DIRE. UNA È
UNA DECISA SEXY-NOIR, L’ALTRA
UNA CAMALEONTICA COUNTRY-GIRL,
NOSTALGICA DELL’HIP-HOP
Simona
19 anni, Roma
(ex) I.S.I.S.S. G. Colasanti
Il mio stile è particolare, preciso
nei limiti. Amo le magliette e
le felpe stile american ma
alla fine vesto quello che
mi piace davvero.Non sto
mai ore davanti all’armadio senza decidermi.
Non appartengo ad alcuna
tribù, non le sento adatte a
me che invece preferisco spaziare tra
gli stili
senza costrizioni. Non indosso
niente di particolarmente esagerato ma
mi piace sentirmi
bene con quello che
ho addosso anche
se però la sera quando esco, a seconda di
dove mi porta il bel fusto
qui a fianco, Antonello, che è il
mio migliore amico, decido di essere
una persona seria ed elegante..
Non uscirei mai senza il mio
anello e un bel paio di
scarpe, che sono la
chicca decisiva per lo
stile di una persona.
l’espe
rtone
stile
secondo Vanessa e Simona
lo
DI VALENTINA GRISPO
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Passare ai raggi X il look di qualcuno
non è facile come si possa credere.
Dietro la scelta di ogni capo c’è un
microcosmo di gusti e preferenze
che solo chi li indossa può spiegare esaustivamente. E’ vero però che
l’osservazione attenta dei dettagli di
un look è uno degli hobby più praticati e persino materia di studio
sociologico. Per questo, anche
stavolta, proveremo a scansionare
le mìse di due ragazze, Simona e
Vanessa. I punti in comune tra i due
generi proposti sono direttamente
proporzionali ai dettagli che ne personalizzano lo stile. Partiamo dalla
più appariscente, Vanessa. Impossibile non notarla con un colore di
capelli rosso fiore di zenzero, chiaro
sintomo di una personalità divertente e giocosa, che ricorda una Geri
Halliwell vecchia maniera, irresistibile, determinata e aggressiva. Fedele
ai recenti diktat imposti dai blasonati coiffeur da passerella, Vanessa
sfoggia una frangia extralong che
copre la fronte in maniera compatta e supera le sopracciglia sfiorando le palpebre. Il suo viso ovale è
molto versatile e si presta bene per
divertenti esperimenti con gli stili più
disparati. La fronte spaziosa crea un
gradevole effetto d’insieme spettinato, ma comunque regolare. In tinta
con i capelli rosso fuoco, la maglia
dolcevita che tuttavia avremmo preferito senza
la stampa floreale che rimanda alla celebre (e fin
troppo inflazionata) margherita macro del brand
Guru. La giacca in denim è arricchita da stringhe
in camoscio che ricordano un look vagamente
country che rispecchia quanto Vanessa dichiara
descrivendo il suo stile. Nei pantaloni, ampi con
grandi tasche basse e cerniere, e nelle comode
sneakers sportive, c’è un richiamo all’anima hip
hop che ha caratterizzato il suo style e che adesso permane nel suo guardaroba pur non appartenendole più. Un dettaglio da non trascurare è
la borsa in pvc con inserto in eco pelliccia, sintomo di un trend invernale che ha visto impazzare
questa stagione il fur style. Noi, da bravi animalisti
promuoviamo esclusivamente quelle sintetiche!
Se Vanessa punta al colore della passione, Simona si mantiene sul passepartout senza tempo: il
classico nero. Nera la maglia in lycra con scollatura strategica a goccia, nera la giacca in velluto a costine, corta e sciancrata e nera anche la
cintura in tela. L’effetto del monobottone, però,
non si sposa, a nostro parere, con la linea sago-
mata della giacca che crea un effetto
poco piacevole alla silhouette. Simona
propone una versione inedita in denim
lavaggio chiarissimo del classico cargo
pant portato ampio, come Vanessa, e
basso in vita. Tasche e cinghie sono in
contrasto con la giacca, capo classico,
ma si legano alle sneakers per un look
che punta sull’effetto stretch sopra e
sporty sotto. A differenza di Vanessa, Simona sfoggia degli appariscenti monili. Come gli orecchini modello
chandelier che rimandano a culture
orientali e tratti esotici. A completare la
sua mìse ci pensa una pochette monogrammata, inseparabile amica, come
lei stessa dichiara, non solo di stile, ma
soprattutto di praticità.
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visualz
THE JEAN-MICHEL
BASQUIAT SHOW
LA TRIENNALE DI MILANO
DAL 20 SETTEMBRE 2006
AL 28 GENNAIO 2007
DI GIANLUCA VITIELLO
‘The Jean-Michel Basquiat Show’ è il
titolo della mostra che si tiene fino al 28
gennaio alla Triennale di Milano.
Una vasta documentazione fotografica e una sezione video, con
molti materiali inediti, documentano il lavoro dell’artista e il contesto
in cui è nata e si è sviluppata la sua
arte: la New York degli anni Ottanta.
Protagonista emblematico della
s c e n a n e w y o rc h e s e d e g l i a n n i
’80, Basquiat è uno degli artisti più popolari dei nostri tempi.
Ancora oggi, a quasi venti anni dalla
morte, avvenuta quando non era ancora
ventottenne nell’agosto del 1988, i suoi
lavori e il suo linguaggio continuano ad
affascinare il pubblico di tutto il mondo.
L’ a t t i v i t à a r t i s t i c a d i B a s q u i a t
prende forma nell’arco di soli
10 anni, dal 1978 al 1988.
In questo breve periodo la sua febbrile
attività lo ha portato a produrre un grande numero di opere sempre caratterizzate da un segno che lo ha reso uno
dei grandi testimoni della sua epoca.
Le opere sono esposte secondo
un percorso che consentirà l’ap-
profondimento di alcune delle tematiche care
all’artista tra cui: l’uso ricorrente della parola
sin dalla sua attività come graffitista ‘sui generis’, quando firmava SAMO i suoi aforismi e le
sue brevi poesie sui muri di Downtown; il forte
legame con il mondo della musica; le sue radici
afroamericane; la costante ricerca di un’identità nei numerosi autoritratti che svelano fragilità e ambizioni, il desiderio di riconoscimento e
la fama travolgente; la scena artistica degli anni
’80 e la profonda amicizia con Andy Warhol.
L’allestimento delle opere consente ai visitatori della mostra di entrare a far parte di un mondo
che oscilla tra infanzia e perdita dell’innocenza,
di godere dello slancio vitale che anima il gesto e
l’uso del colore, e di comprendere al tempo stesso l’orrore e la sofferenza contenuti nei segni, nelle
parole e nelle forme.
Tutto ciò attraverso i materiali poveri che Basquiat
utilizza fin dalle prime esperienze di street art,
stabilendo un legame profondo con il mondo
della strada, un ponte tra quella vita da ‘refusè’
che lui, giovane nero di estrazione borghese, aveva deliberatamente cercato, e la nuova
dimensione di agio e fama cui la sua arte e le
leggi del mercato dell’arte lo hanno condotto.
All’interno del percorso espositivo è previsto l’allestimento di una sezione fotografica con contributi di alcuni dei più famosi fotografi che hanno
documentato la vita e il lavoro di Basquiat.
Evento speciale è la proiezione del film
‘Downtown ‘81’ in cui Basquiat interpreta se stesso e di cui ha prodotto le musiche.
Il film racconta la giornata di un artista underground newyorchese, documentando l’effervescenza culturale e creativa della New York
degli anni ’80.
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kool
visualz
A CURA DI OMBRETTA MOTTADELLI
1) PIUMINO in nylon lucido, multitasche e zippato. Con collo, fascia in vita e polsi in maglia a
costine Fay
SFRECCIARE
SOTTOZERO
PEZZI SUPERTECNICI PER GODERSI AL MEGLIO
LA SETTIMANA BIANCA PROTEGGENDOSI DAL
FREDDO INVERNALE E AUMENTANDO LA RESA
SU PISTA
2) EDIZIONE LIMITATA per la slitta da competizione professionale personalizzata con i colori
del BMW Sauber F1 team
1
3) SCI per il puri freeride per infinite discese su
pendii vergini sulla e nella neve alta e polverosa.
Perfetto per per il galleggiamento su neve fresca.
Modello Watea di Fisher
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4) MODELLO THRAMA dim matic con banda
elastica regolabile e logo a contrasto e lenti
antiappannamento BRIKO
5) SCARPONI da sci modello Attiva Ert con
scarpa interna in tessuto termoisolante, ergonomici per professsionisti della neve Tecnica
6) DOPOSCI per camminare nella neve alta
senza pericolo di bagnarsi i piedi, in gomma stringato con eco-fur interna ed esterna Najoleari
7) FRONTE E RETRO del paio di guanti tribute
in tessuto tecnico con disegno stampato per gli
amanti dello snowboard Billabong
8) TESSUTO HIDRANEK FLORIDA per i pantaloni imbottiti strutturati in funzione di un uso
tecnico intenso, taglio curvo per aggevolare il
movimento Aesse Canadiens
9) CASCO Rn’s 500 limited. Sistema air cooling
per una ventilazione ottimale, paraorecchie morbidi per un maggior confort e per non limitare la
capacità uditiva Quechua
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news
by art
kitchen
DI ART-KITCHEN
WEB 2.0 POSTER
Utilizzando la pixel art (stile artistico
che si rifà alle grafiche dei videogiochi 80’s) il collettivo Eboy hello.
eboy.com (4 giovani designer di
Berlino) ha realizzato questo poster.
Inserendo i vari topic, web-site propri della rivoluzione del Web 2.0 ne
da un’immagine urbana che ben le
si addice (per un approfondimento
si veda www.wikipedia.org e precisamente (http://www.wikipedia.
org/wiki/Web_2.0)
Ottimo regalo per i patiti di Internet
A LOT OF WHEELS, A LOT OF FUN
Un numero impressionante di ruote (ben
quattordici!) per questo skate. Frontside e
backside proprio come uno snowboard,
scivolare tra una curva e l’altra su discese
d’asfalto. Possibilità nuove di affrontare
ostacoli urbani. Nato dalla creatività di Mike
Evers e Maaike Simonian www.mikeandmaaike.com (gli stessi
che hanno disegnato
l’X-box) è acquistabile
su internet:
www.flowlab.com
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DAN WITZ
Storico artista di street art americano,
capace di creare opere in acrilico fotorealistiche di piccole dimensioni, cammei
d’arte che, sebbene la loro misura ridotta,
spiccano tra grandi scritte, stencil e tag.
Aguzzate lo sguardo.
CUSTOMIZE YOUR SHOES
Rendere le sneakers opere uniche.
Ottimo proposito per
questo collettivo italiano. Basta mandare via
e-mail un disegno, un
progetto, un concept,
scegliere il modello
di scarpa e in 15, 20
giorni la propria scarpa
personalizzata è pronta. Tutto fatto a mano.
www.rockn.it
ALTA FEDELTA’
Nick Hornby
Edizioni Guanda
DI SIMONA MASTRANGELO
top of the
trip
GLI OASIS E IL BRIT-POP.
COME SENTIRSI VIVI NEGLI ANNI ‘90
Luca Bonanni
Edizioni Ferdinando Lo Vecchio
T
utti i fan degli Oasis, ma anche gli
amanti della musica in generale e
ancor più quelli del rock, troveranno
il libro di Luca Bonanni estremamente interessante e puntuale. Il rock, nato negli
Stati Uniti negli anni Cinquanta, vive una felicissima stagione con i
complessi beat inglesi
dei primi anni Sessanta che possono
vantare un successo
e una diffusione planetari. Parliamo dei
Beatles, dei Rolling
Stones, degli Who.
All’inizio degli anni
Novanta, dopo esperienze di vario genere,
con l’esplosione del
brit-pop, l’Inghilterra può festeggiare la rinascita del rock britannico e il ritorno ai fasti del
passato. Nel 1989 l’album di debutto degli
Stone Roses si impone per l’inedita ricerca
di attualizzazione e modernizzazione delle
melodie dei Beatles che lo contraddistingue.
Proprio un concerto degli Stone Roses sarà
un’esperienza così folgorante per Liam Gallagher da fargli provare il desiderio irresistibile di far parte di una band. Dopo una breve
panoramica su alcuni gruppi inglesi che
hanno contribuito al solidificarsi del nascente brit-pop come i Ride o i Charlatans, si
passa ad analizzare, con grande perizia, il
fenomeno Oasis. Frammenti delle biografie
dei fratelli Gallagher vengono incastonati qui
e lì per scavare più a fondo nella natura dei
testi delle canzoni. La vita difficile nel grigio-
re di Manchester, il rapporto pessimo con un
padre violento, le difficoltà economiche, sono
tutte componenti che lasciano un segno nella
musica della band inglese. Noel, chitarrista
e autore di quasi tutte le melodie e i testi,
individua molto presto nella musica una via
di fuga; Liam, il cantante, ci mette qualche
anno in più. L’incontro tra la voce dell’uno e
il talento dell’altro produce nel ’94 lo splendido disco Definitely maybe che vola rapidamente in cima alle classifiche della Gran
Bretagna. In poco tempo gli Oasis diventano
il gruppo rock inglese più popolare degli
anni Novanta. Ogni
album prodotto dalla
band viene descritto
attraverso un’attenta
analisi dei pezzi che
lo compongono centrata sulle melodie e
sui testi, di cui sono
citati, in originale e
in traduzione, i passi
più significativi. Nella
sezione finale del libro, chiusa l’ampia parte
dedicata agli Oasis, c’è ancora spazio per le
altre band protagoniste del brit-pop, dai Pulp
ai Verve, passando per i Blur e i Radiohead.
La competenza con cui Luca Bonanni descrive la scena musicale inglese è quella di un
addetto ai lavori, ma il tono è quello appassionato e caldo di un grande amante del
rock che vive visceralmente la sua passione
e vuole che altri la condividano. Se il fine è
quello di fissare sulla pagina scritta qualcosa che brucia dentro, il linguaggio utilizzato si
caratterizza per un’originalità, una freschezza
e un’immediatezza che consentono anche ai
profani che vi si avvicinano per la prima volta
di rimanere affascinati dall’universo musicale
inglese.
“Le cinque migliori <<canzone 1- lato
A>> di tutti i tempi? <<Janie Jones>>, dei
Clash, da The Clash; <<Thunder Road>>,
di Bruce Springsteen, da Born to run;
<<Smells like teen spirits>>, dei Nirvana, da Nevermind; <<Let’s get it on>>, di
Marvin Gaye, da Let’s get it on; <<Return
of the grievous angel>>, di Gram Parsons,
da Grievous Angel.”
Rob Fleming, il protagonista del romanzo,
è prima di tutto un appassionato di musica.
Londinese, ultratrentenne, gestisce un negozio di
dischi insieme a Dick e Barry, due tipi stravaganti che
condividono con lui la pessima abitudine di maltrattare i clienti che abbiano gusti musicali dissimili dai
loro. Oltre a questo, spendono moltissimo tempo a
stilare classifiche di ogni sorta: top five musicali (tanto
di moda, ultimamente), sul cinema e su cose inerenti
la vita privata.
Rob è stato mollato di recente da Laura, la sua ultima fidanzata, e cerca di fare chiarezza nella sua vita
ripercorrendo le tappe più significative delle sue storie sentimentali e riflettendo su cosa ci sia di sbagliato
in lui e nelle persone che lo circondano. Al riparo delle
pile di cd che invadono ogni spazio abitabile che lo
circondi, Rob continua a comportarsi da eterno adolescente e fa fatica ad assumersi delle responsabilità. Lunghe riflessioni volte all’autoanalisi si alternano,
con sapiente equilibrio, a dialoghi, scene e situazioni
della vita di tutti i giorni tratteggiati con profondità ed
ironia. .
MOSCHE A HOLLYWOOD
Alessandro Fabbri
Edizioni minimum fax
M
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osche a Hollywood è
il romanzo d’esordio
di un giovane scrittore
di Ravenna cresciuto
a telefilm americani. L’America, il
grande sogno, viene smitizzata
attraverso uno sguardo disincantato e ironico che dà corpo a luoghi comuni solidi e autentici come
esperienze reali. Los Angeles è
una città decadente, in cui vecchi divi del cinema imbracciano fucili e fanno fuoco
sulle lettere della scritta Hollywood perché la trovano volgare, scaduta. In questo universo impazzito si
muovono Luca e la sua fidanzata, Chiara. Lui sogna
di trasferirsi in California e scrivere un soggetto per
un film. Viaggiano attraverso le strade desertiche
della Valle della Morte finché si imbattono in due tizi
poco raccomandabili che portano con sé una grande
borsa verde, raccontano di aver avuto un guasto alla
macchina e chiedono loro un passaggio. Di qui inizia
una serie rocambolesca di colpi di scena, imprevisti e peripezie che si affastellano tra inseguimenti e
sparatorie: Chiara viene rapita dai due autostoppisti
e Luca, per riaverla, dovrà portare fino a Los Angeles, superando svariati posti di blocco, la misteriosa
borsa verde. Il suo contenuto? Sette milioni di dollari,
il frutto di una rapina. Una trama avvincente, costruita
in modo da tenere il lettore con il fiato sospeso dalla
prima all’ultima pagina.