schizZofrenia

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schizZofrenia
schizZofrenia
di sbrunzina
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schizZofrenia
di sbrunzina
schizZofrenia
schizzofrenia VI
urlava il bicho, sputando sguardi e parole sconnesse. sventagliava un
balocco colorato e ridendo diceva "allora?". "oggi non posso" si
ripeteva il gigante con tre zampe "oggi non posso". e basta.
il bicho diceva che provarlo era l'unico modo. perchè c'era da stare
zitti, perchè a furia di ingoiare arriva un momento che c'è bisogno
di sfiatare. ci vuole un gioco, una distrazione, un colore acceso che
catturi quegli occhi opachi.
"tu sei molto patetico, mi ricordi qualcuno, lo sai?" il bicho lecca
con la punta della lingua il balocco e un rivoletto cangiante
fiorisce dall'acciaio gorgogliando agli angoli della bocca "hai una
forza molto tua che a volte va svegliata. hai sempre bisogno di
qualcosa che ti ricordi chi sei"
lui ciondolava la testa. nodi rossi pendere nel vuoto. "io voglio
provarci..."
"per che cosa?" ghignava il bicho "fare no no con la testa ti fa solo
stringere la corda"
per liberarsene, era sceso in strada. freddo di novembre increspargli
la pelle "magari incontro qualcuno, magari qualcuno per oggi mi
salva"
"con quella faccia lì?" sempre a ridere il bicho, e intanto tendergli
il balocco con la bava alla bocca "loro scappano, ma tu non puoi mica
andare lontano"
lui si incrociò in uno specchio. nudo, rosso e quel piede malamente
torto all'indentro.
anche questa volta, cos'altro poteva fare?
ingoiò il bicho d'un fiato e sfiatò ruttando il bruciore dei tessuti
lacerati
anche per questa volta, ci sarebbe stato tempo per guarire.
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schizZofrenia
schizzofrenia V
la prima volta che ho sentito il terremoto era un novembre di qualche
anno fa, mentre dormivo nel letto col gatto acciambellato ai miei
piedi. ricordo di colpo le sue unghie perforare coperta e lenzuolo
fino a mordere il piede. una frazione di secondo. poi, con la dovuta
spinta, si era lanciato in un angolo chissà dove. avevo acceso la
luce per mettere a fuoco cosa lo avesse terrorizzato e, mentre
frugavo con gli occhi la stanza, avevo sentito il pavimento muoversi,
la vetrinetta con su le chiavi tremare e i libri barcollare sulla
mensola. poco più di un attimo.
tic tic tic. i tacchi nervosi come nacchere sull'asfalto. si sentiva
solo quel rumore, a parte qualche sporadico scroscio di risate dalle
rade finestre illuminate.
tic tic tic. stretta nel mio cappotto ero a disagio e camminavo a
piccole falcate veloci cercando di non pensarmi troppo esposta. in
cinque minuti sarei arrivata al portone e sarebbe stata casa.
una madre ansiosa mi aveva cresciuta con la paura di camminare da
sola di notte in una città pressochè sconosciuta e per quanto
razionalmente mi ripetessi che non c'era nessun pericolo, non
riuscivo a far smettere di rimbalzare nella testa, proprio dietro
agli occhi, immagini di film in cui il cattivo spunta dall'ombra per
rapinarmi, stuprarmi o addirittura uccidermi. tic tic tic, il parco
era quasi finito e presto sarei arrivata all'incrocio con avenida
libertador, perennemente trafficata.
non avevo voluto prendere il taxi solo per il puntiglio di sentirmi
autonoma, razionale e sicura, e ora maledivo il mio orogoglio. al
semaforo tirai un sospiro di sollievo: finalmente visibile e a
portata di urlo.
buenos aires di notte è una città strana. ci sono strade più
affollate di corso vittorio emanuele alle sei del pomeriggio, ma
basta infilarsi in una calle laterale per trovarsi di colpo in una
città fantasma.
tic tic tic. ecco un momento che mi sarei portata nella tomba: una
sensazione di leggerezza increspata da un'ansia sottile di pericolo,
come un fischio continuo, alla base della nuca.
ero sotto casa della morgante, la collega del piano di sotto con cui
ogni giorno bevevo il primo caffè della mattina. il portinaio si era
appisolato nella guardiola con il Clarìn in mano, aperto sicuramente
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schizZofrenia
alla pagina dello sport.
da quanto tempo quelle povere piante nell'atrio non ricevevano un
sorso d'acqua? tic tic tic
il tabaccaio era chiuso. strano. l'indomani avrei dovuto ricordare di
comprare le sigarette e un dolcetto per Belèn, che mi aveva offerto
la colazione.
tic tic...un fruscio, lieve come sussurro di vento, schizza rapido
lungo il mio fianco destro.
topi spaventati lungo la schiena storcono la caviglia sciogliendola
dal calcagno.
un attimo, poi è di nuovo asfalto da macinare a passo spedito.
tic tic tic
gli occhi del mio gatto che d'improvviso vogliono schizzare fuori
dalle orbite.
tic tic tic
il pelo ritto e uno slancio.
qualcosa mi afferra il polpaccio e io mi sbilancio in avanti, a
faccia in giù sull'asfalto. di colpo l'attimo si smaglia nello
sbadiglio di un tempo immobile.
mi volto a guardare e mi ritrovo quegli occhi gialli, lucidi e
storti, fissi nei miei.
spalanca la bocca sdentata e mi striscia addosso un ghigno.
"ti stavo aspettando" mi biascica contro mentre con la mano lurida mi
sfiora la testa.
io semplicemente non sono capace di chiedere aiuto. mi esce solo un
urletto roco che certo non basta a fermare le macchine lungo il
corso.
non ho fiato, non ho aria, non ho spazio. solo carne da macello sotto
un neon accecante.
"facevi finta di non sentirmi?". mi apre sottovoce la buccia di
panico, ci si affaccia dentro e all'improvviso urla "credevi di
potermi distrarre?".
ride.
si tira su le maniche di un golf dello stesso colore del mio senza
lasciarmi gli occhi. "adesso ho fame" dice mentre affonda le mani in
un contorto nodo di terrore.
lo sa, che non sono capace di chiedere aiuto. lo sa che per quanto
lontano possa andare, alla fine vincono sempre quegli occhi, sempre
così troppo simili ai miei.
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schizZofrenia
schizzofrenia IV
Il suono insistente della sveglia penetra attraverso la coperta,
s'infila nella maglia dei sogni e ci si amalgama finchè pian piano,
come una luce nella nebbia, riesce ad avere la meglio.
Apro gli occhi pesanti e cisposi. Ieri sera erano le 2 e proprio non
avevo voglia di struccarmi. Il risultato è che un panda mi fa le
pippe e la magica soluzione al cetriolo di sephora pure. Mi alzo
faticosamente dal letto, non ce la posso fare. Caracollo fino alla
macchinetta del caffè e intanto che si riscalda vado in bagno per
cercare di migliorare la situazione. E’ solo un mese che lavoro in
Roche e non mi sembra il caso di smascherare subito il mio lato meno
cosmetico.
Perché tutte le volte che
esco con Pietro e Claudia si sceglie
sempre un giorno infrasettimanale? Sono anni che li conosco e sono
anni che con loro faccio gli orari più pazzeschi, beviamo
l’imponderabile, fumiamo tutta la sera come degli idioti e il giorno
dopo malediciamo la nostra scarsa responsabilità. D’altronde,
dicevamo ieri, arrivati alla nostra età è in queste serate che
sentiamo di nuovo il ruggito degli anni brillanti dell’università,
quando
l’orologio non distingueva giorno o notte e avevamo ogni
sempre una storia diversa e nuove mitiche avventure.
“Bei tempi... “ scuote la testa riccioluta Pietro “e adesso,
vent’anni dopo, mi ritrovo un cadavere”.
I soliti discorsi, si sa che Pietro dopo un po’ che beve diventa
intimista.. e come al solito, quando io ho dichiarato risoluta che a
quegli anni comunque non ci tornerei, mi han dato della solita
cinica. Cosa ne sanno loro poi… Hanno conservato di quegli anni solo
fotografie di feste, di serate in riva al fiume, quel panico gelato
prima
dell’esame
di
Contini…tante
istantanee
quadrate,
tutto
edulcorato, tutto smussato dal tempo. Di quella famosa serata però
mica ne parlano.
Trangugio il caffè come fosse una pozione magica e mi butto sotto la
doccia. Devo ricordarmi di chiamare il fornitore prima delle 10 per
raccomandargli che i centrotavola siano impeccabili: se vedo un
pomodoro ammaccato non lo pago, giuro. Però se tutto va per il meglio
sarà un successone, lasceremo i clienti a bocca aperta.
E’ mentre mi asciugo i capelli che me ne accorgo.
Piccole gocce rotonde. Brillanti come gli occhi di Linda quella sera
di luglio di vent’anni fa.
Mi slaccio l’accappatoio e la vedo. Come ogni giorno si allunga sul
braccio per circa 10cm. Bianca come la faccia di Pietro
mentre
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schizZofrenia
guarda Linda col coltello in mano.
Erano mesi che non si riapriva. Ora è lì che sbava succo di sangue e
siero.
Mi guardo allo specchio. Capelli umidi, occhiaie e una patina nera in
faccia. Una cicatrice sul braccio che non si cucirà mai del tutto.
Eccoli, i miei mostri sono tornati.
Lascio spurgare la ferita e scelgo un completo nero così se mi
macchio non si nota. Mentre mi metto il mascara, il grido di Linda,
acuto e disperato, mi arriccia la pelle e mi attanaglia la pancia in
una morsa.
“Lo sapevo che saresti tornata” le dico “ci ho pensato ieri, quando
Pietro s'è messo a raccontare al tizio della vacanza in Corsica…”
Pietro ieri sera che riempie il bicchiere di mirto. Pietro ieri sera
che guardandoci tutti dice all’amico di Claudia “sai , conosco questa
gentaglia davvero da una vita, insieme ne abbiamo passate di ogni, ai
tempi dell’università. E pensa che, a proposito di Corsica, vent’anni
fa noi ci siamo andati insieme. Eravamo un sacco di gente in una
casetta da sei persone”
Pietro che ci guarda tutti, Pietro che non si ferma e va avanti.
“Ancora oggi mi chiedo come abbiamo fatto a vivere due settimane lì,
11 animali in una casa da sei.. Guarda, c’eravamo tutti noi" Pietro
che con un gesto abbraccia tutto il tavolo " poi c'erano mio cugino e
la fidanzata, due ragazzi del corso e…” Pietro che si ferma. Pietro
che ci guarda.
Pietro che dice che ha bevuto troppo e ora deve andare fuori a
fumarsi la sigaretta della staffa.
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schizZofrenia
schizzofrenia III
"Sono un persona orribile". Sputi la sentenza sul cruscotto
arroventato. Frigge a contatto con il simil pelle e poi sta lì ad
asciugare
"In che senso?" ho imparato a non sfuggirle. Concentrato sul
moncherino traballante di un vecchio che mi vuole pulire il vetro, so
che devo darle corda.
E' come un pitbull: una volta braccata la
preda, se quella si agita, i denti semplicemente affondano di più, se
assecondi la mascella, allora allenta la presa.
"sono una persona orribile. punto. ho questi pensieri malati che mi
si arrovellano nella testa. sbocciano all'improvviso come melograni
gonfi di succo, di grani stretti e schiacciati. e tutto intorno bile
più amara del fiele" intanto allunghi le gambe a sciogliere il crampo
che inevitabilmente ti prende quando parti per la tangente
"ma insomma dimmi quali sono, questi pensieri" sono curioso. E so che
finchè non me lo dice non spianerà quella ruga accartocciata tra gli
occhi. "non corrugare la fronte. Il mio barbiere mi ha detto che fa
venire la calvizie"
"questa è una delle minkiate più grandi che abbia mai sentito". Lo
sapevo, che ti saresti scocciata per l'interruzione. In realtà ti sto
solo spingendo un po' più vicino a dove volevi arrivare.
"guarda che è vero, addirittura, ci si stempia a seconda di come si
corruga la fronte. guarda se fai così..." non sarò un pitbull ma so
bene come portarti dove voglio io
"smettila pirla. quello è un cretino. tutte le volte ti pettina che
sembri joey tempest negli anni d'oro. si rende conto che sono passati
20 anni e che anche l'hair stylish ha fatto progressi?" si appiana la
ruga, ora che hai riguadagnato la giusta distanza puoi riprendere il
filo.
"perchè dicevi che sei una persona orribile?"
la giusta distanza dà vergogna, così impari la prossima volta. "stavo
pensando.... è una cosa un po' cinica..."
"tu costantemente ti vanti di essere una persona cinica. non dici
forse che solo i veri Idealisti sono davvero cinici?"
"sì beh insomma stavo pensando... ecco. E' che ormai gli zoppi e i
monchi non sono più di moda"
"scusa?"
"hai in mente ai semafori? è un crescendo continuo. Prima erano i
bambini, poi i vecchi, poi gli storpi.
Poi una gara alla
deformazione più mostruosa. Ormai però all'orribile e al deforme ci
si è abituati. Ci hanno iperstimolato alla violenza e all'orrore al
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schizZofrenia
punto che riusciamo persino a scherzarci. Ormai l'orrore è solo
curioso, non fa paura. Ha perso il senso"
"L'orrore serve come parametro"
"Appunto. Nell'ansia di uscire dallo standard va benissimo anche
l'orrore."
"scusa, tu non è che quando dipingi
spandi proprio colate di
zucchero... quel quadro dei due corvi... non voglio essere brutale ma
i bambini hanno proprio paura"
"Anche io ci casco. Perchè va di moda forse. Il punto è che l'orrore
deve avere un senso, un messaggio. Altrimenti è esercizio di stile"
"beh sì. è abbastanza orrendo definire quei poveretti ai semafori
esercizi di stile". Quando si perde nel gioco intellettuale non dà
più peso a nulla. Risuona come un sasso scagliato in uno stagno:
cerchi concentrici sempre più grandi. Ipnotizzanti ed inutili. Ci
perdevano le giornate a guardarli, i bambini di altre generazioni.
"E' per questo, capisci? E' per questo che non funziona. Non fanno
più quasi nemmeno pena....". Esageri, come sempre e come sempre a
questo punto comincio davvero a chiedermi dove vuoi andare a parare.
"beh ti dico una cosa,allora. Così ti togli quel sorrisino idiota di
supponenza. Sai qual'è il vero scandalo? la bellezza. La bellezza è
il vero scandalo, l'energia, la vita. Metti ai semafori delle donne
incinte, con quella forza che trasuda dagli occhi e quello sguardo
sempre un po' più altrove... donne incinte, e vedrai se non ne
tireranno su di quattrini. Stupiscili una volta tanto queste enormi
marmotte
incravattate,
chiuse
nel
loro
stretto
abitacolino
personalizzato, ricordagli che fuori c'è un'immensità di altro
rispetto a loro. E che il futuro non sono le loro facce palliducce e
corrucciate, non sono gli orrori deformati di pensieri debitamente
imbottigliati sotto vuoto"
(trasudi il fervore di una pazza invasata, ma ferma al semaforo tutti
pensano tu stia urlando all'auricolare con un fornitore incompetente)
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schizZofrenia
schizzofrenia II
"volevo una carezza, tutto qui" continui a ripeterlo con le mani che
sembrano sporche di marmellata. continui a ripeterlo gracchiando,
come un nastro inceppato, e non riesci a fermarti. come fai a non
capire? mi dai fastidio, mi dà fastidio vederti vomitare in grumi
acidi l'arrosto mentre ci sono bambini che muoiono di fame. uomini
che muoiono nei modi più orribili. madri costrette a guardare i figli
lottare tra la vita e la morte. non mi fa pena il tuo soffocare i
rantoli di bile, non mi fa pena la tua gola strozzata che ancora
culla parole incomprensibili di ideali e di speranze. guardati.
lacrimi stille di siero e intanto, mentre il dolore ti incendia il
cranio, hai ancora la forza per spiarmi di nascosto, per vedere se ti
sto guardando, per capire se arriverà il perdono, l'abbraccio di un
compatito malessere condiviso. sai cosa vedo lì, buttata in terra con
la testa affondata nella lana sporca del tappeto che tua madre ti ha
ricamato per il giorno delle tue nozze? vedo solo un enorme, informe
verme bianco e molliccio. che succhia lentamente ogni goccia di
pioggia, ogni inutile briciola abbandonata. e di questo ingurgitare
lento e continuo si gonfia, rielaborando l'inutile senza espellerlo,
converge ogni singola energia per trattenerlo nelle sue maglie fini
di bava. ti ubriachi di inutile perchè io possa amare il tuo dolore.
che non amo, semplicemente perchè è noia stonata e ripetuta,
semplicemente perchè non è mio. semplicemente perchè io ancora voglio
toccare l'odore del grano, voglio sentire scivolare sulla cute la
risata del vento.
allacciati in unico nodo di carne e di ossa, tu sei la mia clavicola,
tu sei la mia tortura, tu ora sei quel volto tumefatto su cui sputo
la mia rabbia.
(fu allora che le ossa si spaccarono in un tonfo sordo, molto simile
a quello che la sera prima aveva fatto la latta della passata caduta
sul marmo. proprio per quello, controvoglia, aveva dovuto mangiare
l'arrosto)
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schizZofrenia
schizzofrenia
aveva scelto di rimanere trincerata dietro le sue convinzioni. niente
istinto. niente colpi di testa. ma ogni volta che pensava a lui,
sentiva la sua volonta' sciogliersi come un'aspirina nell'acqua.
tante bollicine. bastava pensarci. smettere di fare qualsiasi cosa.
lasciare libera la testa di non occuparsi di quello che stava facendo
in quel momento, e via. ecco lui. le bollicine. cominciava a pensare
di perdersi tra le sue braccia. di abbandonarsi ad ogni sua voglia.
era un baratro in cui era dolce lasciarsi trascinare.
quando finalmente le chiese di farlo, lei era ad un punto in cui non
avrebbe potuto resistergli.
completamente sedotta da quegli occhi, da tempo si lasciava fare.
forse era davvero questa, la vertigine del canto delle sirene:
nessuna possibilità di fermarsi, nessuna previsione sicura.
Quando le aveva chiesto di iniziare quel gioco, l'aveva guardata
fissa, perforandole lo sterno con la lama invitante della scommessa:
era nato per cacciare, e quella non era certo la prima volta. sapeva
bene con che passi muoversi, quali corde premere. appena appena,
forzandola piano, per lasciarla arricciata in un nodo di desiderio e
di sottile spavento. era un fottuto bastardo, lei lo sapeva. come
sapeva che stava giocando come al gatto col topo. Godeva nel farla
macerare, sciogliendone le difese una ad una.
alla fine, inevitabilmente, lei cedeva: un passo per volta, un sorso
per volta, si lasciava andare a quel gioco. lasciava allora che la
sua testa si prendesse ciò che desiderava, col corpo che restava
impotente a guardare, solo e silenzioso.
ogni notte creava per lei visioni fantastiche, esasperate e
spaventose, e proprio lì scovava quell'urlo che le scaturiva dal suo
più profondo io. Nello stringersi degli spasmi trovava per la sua
sete uno sfogo, una voce, uno spazio. E allora si svegliava al
mattino affamata di nuova ossessione, spaventata dal controllo che
nei giorni stava cedendo eppure assetata di nuove vertigini: era
diventata una sua creatura, era ormai plagiata da quella posta sempre
più alta, sempre più pesante. spremendola, contorcendole la carne in
fantasie sempre nuove e diverse, ogni giorno le toglieva un pezzo di
sé. Goloso, glielo mordeva via di netto, inumidendole le labbra per
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schizZofrenia
vederla accartocciata d'istinto animale. Per poi, infastidito di
noia, strapparsela via di dosso ridendo del suo sguardo di bestia
braccata. Lei si stava lasciando scivolare, solo a momenti provava a
resistergli, per orgoglio, per un lampo di lucida analisi di un
disastro inevitabile e folle. ma ormai era la vertigine dell'inerzia,
a trascinarla. fin dove si sarebbero spinti? erano insieme,
allacciati in un unico corpo che rantolava stremato.
folle d'amore per quel nastro di ragione e carne, aveva smesso bere
anche una sola goccia di acqua.
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schizZofrenia
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schizZofrenia
indice
schizzofrenia VI
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schizzofrenia V
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schizzofrenia IV
8
schizzofrenia III
10
schizzofrenia II
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schizzofrenia
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rumori dal fondo
contrappunto fiorito di gorgoglii intestinali
una boccata d' aria lunare
mulini a vento in fondo al mare
tappeti rossi al centro del sahara
impercettibili boati di essenza
scrivere qualcosa di sensato è arduo,
invece scrivere cose completamente prive di senso è arduo.
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vecchio cantiere nautico ristrutturato per l'occasione.
diventa un condominio dove scrittori e non, possono
pubblicare i loro pensieri mettendoli sotto gli occhi di
tutti. senza vergogna.