filippo brunelleschi

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filippo brunelleschi
FILIPPO BRUNELLESCHI
(FIRENZE 1377–1446)
GENIO DELL’ARCHITETTURA,
PADRE DEL RINASCIMENTO ITALIANO,
INVENTORE DELLA PROSPETTIVA.
Relazione a cura di:
Andrea Sala, Andrea Beretta, Niccolò Fallara.
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INTRODUZIONE.
FILIPPO BRUNELLESCHI, architetto e scultore fiorentino, contribuì in maniera
fondamentale con la sua opera allo sviluppo del Rinascimento
Italiano.
Il
recupero
delle
forme
classiche,
la
pratica
di
un’architettura basata su proporzioni matematiche e l’elaborazione
del metodo di rappresentazione “prospettica” dello spazio fanno
dell’artista toscano una delle figure principali nella transizione dal
Medio Evo all’età moderna. Ispirato nella sua attività più da intenti
pratici che da dettami teorici (al contrario per esempio di Leon
Battista Alberti), Brunelleschi non ha lasciato nessuno scritto o trattato in cui venga
sintetizzato il suo pensiero architettonico; per questo motivo le sue opere hanno
costituito nel corso dei secoli un vero e proprio “testo”, su cui gli architetti hanno
studiato, cercando di coglierne l’insegnamento.
GLI INIZI E LE PRIME OPERE: 1377 -1417.
Filippo Brunelleschi, detto Pippo, nacque a Firenze nel 1377, pressoché coetaneo di
Lorenzo Ghiberti e Jacopo della Quercia. La sua era un famiglia benestante e colta: la
madre apparteneva alla illustre famiglia degli Spini, mentre il padre, ser Brunellesco
di Filippo Lapi, era un notaio. Uomo leale e stimato, fu spesso incaricato di importanti
ambascerie: nel 1367, ad esempio, era stato inviato a Vienna per incontrare
l’imperatore Carlo IV.
Nato e cresciuto in una famiglia agiata, Pippo abitò in una casa situata a pochi passi
dal cantiere di Santa Maria del Fiore, il grandioso Duomo di Firenze che era in corso
d’opera da quasi un secolo. E’ facile immaginare il giovane curiosare tra macchinari e
pietre della costruzione che in futuro verrà poi ultimata anche grazie a varie sue
opere, tra le quali spicca la omonima cupola.
Essendo figlio di un notaio, Filippo ebbe il privilegio di imparare a leggere e a
scrivere: la sua prima formazione, fra gli otto ed i dodici anni circa, si basò sullo
studio dell’abaco, il manualetto d’istruzione indirizzato ad aspiranti mercanti,
artigiani, artisti ed architetti che conteneva soprattutto nozioni di aritmetica e
geometria. Quest’ultima comprendeva anche lo studio dei principi della visione e
della loro applicazione, ovvero la perspectiva, pratica adottata per misurare le
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grandezze inaccessibili con metodo di rilevamento indiretto. Col tempo Filippo
dovette acquisire anche una cultura superiore all’ordinario attraverso la lettura dei
Testi Sacri e delle opere di Dante, per le quali nutriva un forte interesse, nonché con
la frequentazione di personaggi illustri, come ad esempio l’umanista Niccolò Piccoli e
lo statista Gregorio Dati.
Mentre svolgeva i propri studi, il giovane Pippo cominciò per diletto ad esercitarsi nel
disegno e nella pittura, dimostrando le proprie doti a tal punto che ser Brunellesco,
pur vedendo così sfumare la speranza di vedere il figlio seguire la strada paterna degli
studi giuridici, rispettò la sua indole e lo condusse a bottega da un orafo amico di
famiglia, forse Benincasa Lotti. La bottega di un orafo offriva tutte le migliori
opportunità per chi desiderasse diventare un buon artista. Qui Filippo si esercitava
nel disegno, base imprescindibile di tutte le arti, imparando inoltre a fonder e gettare
i metalli, a cesellarli e a lavorarli a sbalzo, incastonare le pietre, ecc.; uscirono dalle
sue mani anche orologi meccanici.
Alla fine del Trecento, l’apprendistato poteva considerarsi concluso e infatti, nel
1398, Filippo chiese di essere ammesso all’Arte della Seta, a cui fu immatricolato
come orafo nel 1404.
Filippo Brunelleschi iniziava la propria attività di orafo negli anni in cui Firenze
avviava una importante ripresa economica e politica dopo il dissesto di metà
Trecento, fra epidemie, carestie, crollo finanziario e feroci lotte sociali culminate
con il tumulto dei Ciompi del 1378.
Dopo la profonda crisi, con conseguente arresto della crescita demografica, la città
dove Filippo cresceva e si formava stava cercando di ritrovare la floridezza perduta;
segno manifesto di questa volontà era la recente riapertura dei cantieri pubblici nel
centro religioso di Firenze.
Nel 1401
Firenze attraversava un periodo critico, sia per l’ennesima epidemia di
peste che l’anno prima aveva ucciso dodicimila cittadini (uno su cinque) sia per le
truppe di Gian Galeazzo Visconti che, dopo aver sconfitto Pisa, Siena e Perugia,
puntavano al cuore del territorio fiorentino. Per fronteggiare l’emergenza le
maestranze impegnate nella costruzione del Duomo vennero inviate a rinforzare le
mura difensive delle cittadine più a rischio intorno a Firenze.
Proprio in quest’anno, drammatico ma fervido di iniziative, l’Arte dei Mercanti di
Calimala promosse un concorso per la realizzazione della seconda porta del
Battistero. Furono ammessi al concorso sette orafi e scultori toscani. Fra questi
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figurava anche Filippo Brunelleschi, appena rientrato da Pistoia. Tra gli altri erano
candidati anche Jacopo della Quercia e Lorenzo Ghiberti, fino ad allora pressoché
sconosciuto.
I candidati avevano a disposizione quattro lastre di bronzo
di circa 34 chili in totale, con le quali entro un anno
dovevano
realizzare
una
formella
quadrilobata
raffigurante una scena con il sacrificio di Isacco.
Solitamente questo episodio prefigurava il sacrificio di
Cristo sulla Croce, mentre in quel periodo a Firenze si
identificava la sorte di Isacco con quella della stessa
città, minacciata dalla peste e dall’esercito visconteo.
Dopo circa un anno i candidati portano a termine i loro
lavori e la commissione poté giudicarle. Due delle sette formelle vennero considerate
più meritevoli: quella di Filippo Brunelleschi e quella di Lorenzo Ghiberti. L’opera di
Pippo presenta una scena nel culmine della sua drammaticità, quando Abramo ha già
appoggiato la lama sul collo del figlio mentre quest’ultimo cerca di liberarsi, in
aperto contrasto con la calma placida degli altri personaggi. La formella di Ghiberti
invece non evidenzia il dramma dell’evento, ma l’armonia della descrizione, fatta di
ritmi fluenti e distesi. Fu proprio Ghiberti ad uscire vincitore dalla competizione: era
solo l’inizio di una accesa rivalità che avrebbe più volte visto fronteggiarsi i due
artisti.
Nello stesso anno 1402 giungeva la notizia della morte di Gian Galeazzo Visconti, duca
di Milano, che scongiurava il pericolo di un assedio a Firenze e diede un forte impulso
alla ripresa.
Dopo la delusione successiva al concorso per la porta del Battistero, Brunelleschi partì
per Roma accompagnato da Donatello, non ancora ventenne, con il quale si stava
instaurando un intenso rapporto di amicizia. Il soggiorno romano fu un’esperienza
importante per entrambi: Pippo e Donato setacciavano le rovine antiche della città
alla ricerca di reperti archeologici da scoprire, dissotterrare, studiare, misurare e
copiare.
Prima del 1404 Donatello rientrò a Firenze, dove collaborò per tre anni con Ghiberti
alla realizzazione di modelli in cera e terracotta per la porta del battistero. Filippo
rimase a Roma, dove si pagava il soggiorno lavorando saltuariamente come orafo.
Partito con l’intenzione di studiare la cultura antica, si appassionò sempre
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maggiormente ad osservare la varie tipologie di edifici costruiti dai Romani, con
particolare attenzione ai dettagli strutturali delle centine e delle armature e alla
comprensione delle tecniche costruttive,
cercando di immaginare quali macchine
potevano essere state utilizzate per realizzarli e di fissare gli stili architettonici. Per
qualche anno Brunelleschi alternò viaggi a Roma a soggiorni a Firenze, dove
partecipava attivamente alle dispute riguardanti le maggiori imprese artistiche
cittadine, prima fra tutte la costruzione di Santa Maria del Fiore e della sua cupola.
Prima di diventare architetto, Filippo fu quindi orafo e scultore. Le fonti ed i
documenti ricordano che Brunelleschi in gioventù realizzò varie sculture, fra cui una
“Santa Maria Maddalena” in legno dipinto per l’antica Chiesa di
Santo Spirito. Ma l’unica opera plastica sicuramente di Filippo a
noi pervenuta, oltre alla formella con il sacrificio di Isacco
conservata al Museo nazionale del Bargello, è il Crocifisso di
Santa Maria Novella, databile intorno al 1410-1415, che è
considerato
“la
prima
opera
rinascimentale
della
storia
dell’Arte” (Bollosi 2002).
Nel corso dei primi anni del secondo decennio, Brunelleschi e Donatello furono
chiamati a partecipare alla decorazione delle nicchie poste all’esterno della Chiesa di
Orsanmichele, ricevendo la commissione per eseguire due statue per dei tabernacoli
esterni. Il San Pietro per l’Arte dei Beccai (eseguito probabilmente nel 1412) è stato
attribuito dal critico d’arte Bellosi al Brunelleschi, servendo come esempio per la
statuaria successiva, a cominciare dal San Marco per l’Arte
dei Linaioli (compiuto nel 1413), opera indubbia di
Donatello.
Stilisticamente prossime al San Pietro e dunque attribuibili
al Brunelleschi, sono anche alcune sculture in terracotta
raffiguranti la Madonna col Bambino: fra queste il bellissimo
gruppo nella Chiesa di San Martino a Pontorme. Anche in
questo caso, Filippo inaugurò una nuova strada da
percorrere, rilanciando nel Rinascimento la tecnica della terracotta assai diffusa
nell’antica Roma e caduta in disuso nel Medio Evo. Donatello e Luca della Robbia
furono i due principali protagonisti di questo tipo di lavorazione, con esiti
particolarmente innovativi ed originali.
Nel secondo decennio le attività di Brunelleschi e Donatello si incrociarono più volte.
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L’INVENTORE DELLA PROSPETTIVA.
Filippo Brunelleschi è considerato dalla critica moderna il padre del Rinascimento
Italiano e, in quanto tale, il creatore di quella rivoluzionaria concezione artistica che
pone l’uomo al centro del mondo. Tutti gli studi del maestro fiorentino in materia di
prospettiva sono volti a creare un metodo prospettico che avalli la centralità umana
nell’universo.
Negli anni compresi tra il 1413 ed il 1417, Brunelleschi arricchì, probabilmente grazie
alla sua amicizia con il matematico Paolo dal Pozzo Toscanelli, le esperienze ottiche
effettuate nell’ambito della sua formazione giovanile. L’artista inventò infatti la
“prospectiva” come scienza della rappresentazione, mettendo a punto un
procedimento geometrico – e dunque razionale – che potesse far coincidere la realtà
rappresentata con quella reale. Per raggiungere un risultato così importante, che
segnò una svolta cruciale nella rappresentazione figurata occidentale, Filippo dipinse
due tavolette di legno (andate perdute) con due vedute urbane,
l’una raffigurante il Battistero con gli edifici circostanti visti
dall’interno della porta centrale di Santa Maria del Fiore, l’altra
Piazza della Signoria, tracciate osservando da un’angolazione
fissa il riflesso delle immagini sulla superficie di una lastra di
argento brunito: fu quello un passo fondamentale verso l’elaborazione del metodo
della prospettiva lineare centrica, in cui cioè le linee convergono verso un unico
punto centrale. Le fonti dicono che l’architetto avesse
praticato un foro nelle
seconda tavoletta, di dimensioni ridotte sul davanti rispetto al dietro. Lo scopo di
quest’apertura sta nel poter porre l’occhio dietro alla tavoletta e vedere, mediante la
lastra che fungeva da specchio posta di fronte, la riflessione dell’immagine in essa
rappresentata, con lo scopo di far coincidere esattamente il punto di vista del pittore
e quello dell’osservatore. In questo modo Brunellleschi mette in pratica la visione
della sua prospettiva unica e monoculare. L’uso dello specchio gli serve per
dimostrare la precisione e la matematicità della sua scoperta prospettica.
L’impostazione geometrica e perfetta della prospettiva monoculare si discosta molto
dalla binocularità medioevale, nella quale si poteva scorgere “a colpo d’occhio” un
ambiente semicircolare, ma con una veduta d’insieme che desse l’idea della veduta
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fuggevole e momentanea. La visione prospettica del Brunelleschi è perfetta ed
equilibrata, armonica ed immutabile, basandosi sul senso del compiuto e della
perfezione.
Il sistema rispondeva all’esigenza di rappresentare non solo la profondità, ma anche
le dimensioni proporzionali degli edifici, secondo precise norme geometriche. Dal
punto di vista teorico, Brunelleschi partì dalle nozioni dell’ottica medioevale,
aggiornandole con una nuova concezione Umanistica dello spazio, percepito come
infinito e continuo. Oltre alle evidenti applicazioni nell’architettura, si ritiene che
l’artista fiorentino abbia trasposto anche nella pittura le sue scoperte, dipingendo lo
sfondo architettonico in una delle prime opere di Masaccio.
GLI ANNI E LE OPERE DAL 1418 AL 1446
LA CUPOLA DI SANTA MARIA DEL FIORE.
Come già accennato, Filippo Brunelleschi dedicò tutta la sua
vita alla realizzazione di quest’opera chiave nel campo
dell’architettura
capolavoro
del
mondo
l’architetto
occidentale.
fiorentino,
Con
questo
universalmente
riconosciuto associando il suo nome alla cupola del Duomo di
Firenze, diede l’avvio all’intera architettura rinascimentale.
Studiando i monumenti antichi egli inventò una nuova tecnica, ma soprattutto una
nuova ideologia: l’architetto non è più un semplice capomastro, ma un progettista
che risolve problemi tecnici ed estetici con un lavoro intellettuale. Durante il Medio
Evo, al contrario, il lavoro di progettazione non veniva pianificato a monte, ma i
problemi venivano studiati nel corso della costruzione, man mano che essi si
presentavano.
Brunelleschi compie questo fondamentale salto di qualità, sia grazie ai suoi studi e
sopralluoghi sulle rovine romane, sia in merito ad un’altra sua grande invenzione: la
prospettiva. Applicando la misurazione razionale dello spazio mediante il già citato
metodo prospettico, egli rese possibile sviluppare una progettazione totale, che fu
utilizzata in tutta la storia dell’architettura ed è tuttora fondamentale.
Quando, nel 1418, Brunelleschi partecipò al concorso per la cupola del Duomo aveva
circa quarant’anni. Le descrizioni dei biografi lo descrivono come un uomo
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dall’aspetto trasandato, calvo, basso ed arcigno, temuto ed apprezzato – a seconda
dei casi – per la straordinaria lucidità mentale e la parola pronta e sagace. Filippo era
conosciuto per le sue opere di scultura ed oreficeria, per le invenzioni meccaniche e
per le sperimentazioni prospettiche. Egli aveva comunque collaborato almeno dal
1404 con l’Opera del Duomo, dapprima con compiti consultivi e poi con incarichi vari
non precisati.
La cupola, concepita come coronamento e conclusione di una opera di proporzioni
imponenti quale era il Duomo, appariva un’impresa assai ardua da attuare. Infatti
doveva appoggiarsi sul tamburo ottagonale, costruito tra il 1410 ed il 1413, alto ben
13 metri dalla trabeazione della navata maggiore e largo poco meno di 42 metri. Era
dai tempi del Pantheon che non si vedeva una cupola dal diametro tanto grande.
Il completamento di quest’opera chiave, basata su una tecnica che permetteva di
voltare l’enorme cupola senza bisogno di armature, occupò quasi l’intero arco della
sua vita e gettò le basi dell’architettura rinascimentale.
Dunque la sua costruzione risultava molto complessa tecnicamente oltre che costosa,
specie se realizzata con le tecniche tradizionali: infatti non si poteva usare
un’armatura provvisoria a centine lignee, ovvero un sistema di travature appoggiato
da un lato all’altro del tamburo a sostegno della muratura per il tempo necessario alla
malta per asciugarsi, dato che tale struttura non avrebbe potuto sostenere il peso
dell’immane volta fino alla chiusura, né tanto meno si sarebbe potuto appoggiare
l’impalcatura a terra vista l’altezza vertiginosa.
Il 19 Agosto del 1418 gli Operai del Duomo bandirono il concorso che invitava a
produrre modelli o disegni di attrezzature per la centinatura, l’armatura, i ponti, gli
apparecchi di sollevamento e quant’altro fosse necessario alla costruzione dell’opera.
Il bando prevedeva, per il vincitore, un premio di 200 fiorini d’oro; fra i 17
partecipanti c’erano anche F. Brunelleschi e L. Ghiberti. Il 23 dicembre vennero
presentati i progetti appena consegnati: quello di Filippo era una cupoletta il legno
completa di lanterna, probabilmente della grandezza di un forno per il pane. Fra il
1418 ed il 1419 Brunelleschi, ammesso con Ghiberti ad una prima selezione, lavorò
alla propria invenzione studiandone varianti, aggiustamenti e modelli dimostrativi.
Brunelleschi era appoggiato nella sua idea da Donatello e Nanni di Banco, che lo
aiutarono a costruire un modello della sola cupola in mattoni e calcina, edificato
senza armatura in piazza, fra il campanile ed il Duomo. Questo lavoro risulta pagato il
29 dicembre 1419 dall’Opera, con ben 45 fiorini d’oro.
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L’innovazione dell’opera riguardava sia l’aspetto artistico sia quello tecnico; la cupola
consiste infatti di due calotte, una interna all’altra, composte di otto spicchi
impostati sulla base ottagonale del tiburio. La sua forma goticheggiante, sviluppata in
altezza, fu dettata non da una concessione al gusto tradizionale, ma da necessità
strutturali: grazie alla minore inclinazione rispetto alla parete concava di una cupola
emisferica, gli spicchi poterono infatti essere costruiti senza bisogno di centinature ed
appoggi da terra, sfruttando la coesione dei mattoni disposti a spina di pesce.
Importante caratteristica del progetto è inoltre la presenza degli otto costoloni
esterni, che coniugano la funzione strutturale con l’effetto decorativo, raccordandosi
ai pilastri angolari del tamburo.
Nell’aprile del 1420 Brunelleschi e Ghiberti vengono nominati provveditori della
cupola insieme
al capomastro della fabbrica Battista d’Antonio; finalmente il 7
agosto del 1420 si inizia la costruzione della cupola da realizzarsi – secondo le
disposizioni dell’Opera – sulla base del modello di Filippo costruito in piazza Duomo,
che sarebbe rimasto alla vista di tutta la cittadinanza fino al 1431.
IL CAPOMASTRO DIVENTA ARCHITETTO-INGEGNERE.
Brunelleschi si assunse la piena responsabilità non solo del progetto di quest’opera,
ma anche della sua esecuzione, verificando di persona il rispetto dei dettami stabiliti
dalla fase preliminare ed il regolare sviluppo del lavoro da parte del cantiere.
L’architetto fece costruire le due calotte con l’ausilio di una
impalcatura aerea che si innalzava gradualmente, partendo da
una piattaforma di legno posta sopra il tamburo con i ponti
fissati ad anelli nella muratura delle vele. Egli organizzò otto
squadre di muratori, ciascuna guidata da un capomastro
preposta alla realizzazione di una vela: in questo modo il lavoro
procedeva in maniera uniforme su tutti i lati. Quando la costruzione cominciò a
diventare molto alta, Filippo fece allestire dei punti di ristoro sui ponteggi, in
maniera che gli operai non perdessero tempo per salire e scendere al momento della
pausa pranzo. Molto attento ad incoraggiare gli operai e a metterli in condizione di
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rendere
al
massimo,
Brunelleschi
non
tollerava
però
le
contrarietà
e
le
insubordinazioni. Quando i muratori fiorentini iniziarono uno sciopero chiedendo
migliori condizioni di lavoro, egli li sostituì con maestri lombardi, più remissivi ed
abituati a lavorare nei cantieri delle grandi cattedrali del nord. Gli scioperanti
vennero poi riassunti, ma con un salario ridotto.
L’architetto controllava di persona i mattoni e le pietre utilizzati; controllava tutti gli
operai e, impegnandosi infine anche nella fornitura del materiale, realizzò a proprie
spese un battello per il trasporto dei marmi in Arno, per il quale ottenne il primo
brevetto ricordato nella storia. Realizzò macchinari ed inventò soluzioni per facilitare
la costruzione della cupola e salvaguardarla nel tempo, come ad esempio un accorto
impianto di illuminazione e vari appigli in ferro posti in prossimità delle scale che
rendevano più agevole il passaggio tra le due calotte. Pensò anche a sistemi di
prevenzione per danni alla struttura causati da agenti atmosferici e installò un
sistema di agganci in ferro da utilizzare il futuro per altri eventuali ponteggi.
Nell’impresa della cupola del Duomo, Brunelleschi volle essere l’unico responsabile
del progetto e della realizzazione, a costo di doversi scontrare molte volte con quanti
lo affiancavano. Filippo non ammetteva rapporti di lavoro collegiali e corporativi,
tanto che nel 1434 rifiutò di iscriversi all’Arte dei Maestri di pietra e legname
pagando il relativo tributo; il gesto gli costò perfino il carcere, da cui venne liberato
su intercessione proprio dell’Opera del Duomo.
L’INAUGURAZIONE.
Il 25 Marzo 1436 – festa dell’Annunciazione, inizio della primavera e primo giorno del
calendario fiorentino – fu un giorno di grande festa. Su una lunga pedana di legno
progettata da Brunelleschi, una solenne processione con in testa Papa Eugenio IV partì
da Santa Maria Novella ed entrò in Duomo per la consacrazione ufficiale.
Da quando, nel 1296, era stata posta la prima pietra della cattedrale, erano passati
ben centoquarant’anni e adesso la colossale fabbrica poteva dirsi quasi compiuta con
il completamento ormai prossimo della cupola; infatti il 31 agosto dello stesso anno
l’arcivescovo di Fiesole, Benozzo Federighi, salì sulla sommità della volta per
collocare l’ultima pietra e benedire la grandiosa opera architettonica. Sin da quel
giorno la Cupola di Santa Maria del Fiore apparve un simbolo denso di significati: la
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metafora della corona trionfale della Vergine, dedicataria del Duomo fiorentino, ma
anche l’emblema di una città rinnovata di cui Filippo Brunelleschi era uno degli
artefici più sommi.
LA CUPOLA.
Pensata come una struttura leggera, sospesa nel vuoto, la cupola non è di muratura
piena come il tamburo sottostante, ma è costituita da due calotte, una interna ed una
esterna, che, procedendo verso l’alto, tendono ad assottigliare lo spessore e ad
avvicinarsi tra di loro. Entrambe presentano una pianta ottagonale come il tamburo e
sono pressoché concentriche e parallele, distanziate fra di loro da una intercapedine
praticabile ancora oggi grazie ad un sistema di scale che parte dal piano pavimentale
della Chiesa. La fabbrica è chiusa in alto da una struttura ad anello, costituita da otto
stanze con finestre, denominata “serraglio”, che ha appunto il compito di “serrare”
insieme le calotte mantenendole solidali tra loro.
Il diametro del cerchio in cui è inscritto l’ottagono della pianta del tamburo,
all’imposta della cupola, è di m. 41,98 (quello del Pantheon è di m. 42,70). La calotta
interna ha uno spessore in basso di m. 2,22 che va assottigliandosi verso l’alto fino a
m. 2. La calotta esterna ha uno spessore in basso da m. 0,96 a m. 0,40. L’anello di
chiusura della cupola è alto da terra m. 86,70 circa. Le otto vele trapezoidali hanno
una base di m. 17,47 e l’altezza di m. 32,65. L’intercapedine è larga m. 1,8. La
cupola pesa 37.000 tonnellate e l’intera opera, comprensiva di lanterna e palla
dorata, è alta m. 107 da terra.
La Cupola di Brunelleschi si discosta da soluzioni avanzate in precedenza per rigore di
equilibri e di forme, rapportandosi in maniera proporzionale ai volumi articolati ed
alle forze dinamiche del corpo di fabbrica sottostante come punto di convergenza e di
estrema sintesi.
FORMA E STRUTTURA.
A partire da un tamburo ottagonale la Cupola si erge su otto spicchi, le vele,
organizzati su due calotte separate da uno spazio vuoto. Il motivo di questa scelta è
senz’altro da attribuire ad un alleggerimento della struttura che altrimenti sarebbe
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stata troppo pesante e, probabilmente, i quattro pilastri sottostanti non l’avrebbero
retta.
Il profilo della Cupola, in ogni caso, assume una forma di estrema importanza per la
sua stabilità: infatti, si avvicina molto a quella di una catenaria rovesciata. Questo
nome deriva dal fatto che la sua forma è quella che assume una catena appesa,
tenendo fermi i suoi due estremi. Come avrebbe poi dimostrato Bernoulli alla fine del
Seicento, tale forma è la più adatta per sostenere una cupola che si regge con il
proprio peso.
LA LANTERNA E LE TRIBUNE MORTE.
Sin dal progetto trecentesco era stata prevista una lanterna sulla sommità della
cupola. Già nel 1432, quando venne murato il grande occhio ottagonale che chiude
l’immane volta, Brunelleschi fornì all’Opera del Duomo un progetto per la Lanterna.
Mentre erano ancora vivi i ricordi dei grandi festeggiamenti per la conclusione della
cupola nel 1436, l’artista ebbe la delusione di dover partecipare ad un altro concorso
per l’assegnazione definitiva dell’opera, costretto a confrontarsi con il suo
collaboratore Antonio Manetti Ciaccheri e, per l’ennesima volta, con Lorenzo
Ghiberti. Il 31 dicembre del 1436 la commissione giudicante, di cui faceva parte
anche Cosimo de’ Medici, approvò il modello di Filippo, realizzato in legno dallo
stesso Manetti. Come di consueto, l’architetto organizzò tutto nei minimi particolari,
scegliendo personalmente i marmi, approntando una gru girevole per sollevare e
collocare i blocchi e progettò un castello di legno per la costruzione. Finalmente nel
marzo del 1446 fu posta la prima pietra e, quando un mese dopo Brunelleschi morì, ne
era stata edificata solo la base.
Filippo Brunelleschi morì infatti nella notte tra il 15 ed il 16 aprile del 1446, lasciando
precise disposizioni sulla lanterna della Cupola di Santa Maria del Fiore in costruzione
e al figlio adottivo e discepolo Andrea di Lazzaro Cavalcanti detto “il Buggiano”,
unico erede, la casa e 3.430 fiorini. La sua tomba è collocata dapprima in un loculo
del Campanile di Giotto, per poi essere trasferita in Duomo con una solenne cerimonia
il 30 dicembre dello stesso anno. Lo stesso Buggiano è l’autore del monumento
funerario di Brunelleschi, situato sulla parete della prima campata nella navata destra
di Santa Maria del Fiore. L’opera è costituita da un busto-ritratto entro una cornice
circolare a festone di lauro, dove l’architetto è raffigurato a capo scoperto,
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all’antica, senza alcuno strumento del proprio mestiere, così da esaltare la virtù e
l’ingegno al di là della prassi artigianale. In corrispondenza del monumento negli
ambienti sotterranei alla cattedrale, fra le fondamenta dell’antica Santa Reparata, è
stata rinvenuta nel 1972 la tomba dell’artista. I resti del defunto testimoniano la
statura bassa e la corporatura gracile del personaggio, mentre il cranio è risultato di
una misura molto superiore alla media.
Brunelleschi, ancora in vita all’età di circa cinquant’anni, è
stato ritratto dal Masaccio nella scena con “San Pietro in
Cattedra” negli affreschi della Cappella Brancacci in Santa Maria
del Carmine a Firenze.
La Lanterna della Cupola venne portata poi a termine con la
palla in bronzo dorato, commissionata nel 1468 ad Andrea
Verrocchio, raccordata al vertice della pergamena da un bottone
metallico e sormontata dalla croce in rame.
Fulcro visivo e conclusione formale della cupola del Duomo, la lanterna ha anche il
compito di garantire la chiusura degli sproni e delle otto vele sottostanti. Per la sua
invenzione, Brunelleschi trasse forse ispirazione da oggetti dell’oreficeria sacra come
ostensori ed incensieri, traducendo certe forme minute su scala monumentale.
Mentre avviava la realizzazione della lanterna, nel 1445 Filippo metteva in opera una
importante aggiunta all’abside del Duomo: le cosiddette “tribune morte” ovvero
cieche, già previste e progettate dall’architetto nel 1438. Alla morte dell’artista
risultava compiuta solo quella a nord. Si tratta di quattro tempietti a pianta
semicircolare addossati alle pareti del tamburo sgombre dalle tribune absidali, che si
integrano con l’architettura del Duomo.
Il
triconco
absidale
del
Duomo
re-interpretato
dai
molteplici
interventi
brunelleschiani (cupola, lanterna, tribune morte sulle sagrestie) fu un punto di
riferimento innovativo e stimolante per gli studi intorno al tema della pianta centrale
elaborati dall’architettura fra fine Quattrocento e primo Cinquecento.
ALTRE OPERE.
Come abbiamo già visto, Filippo dedicò quasi tutta la sua vita alla costruzione della
Cupola di Santa Maria del Fiore di Firenze, ma riuscì a realizzare per la sua città
diverse opere di vario genere, tutte a loro modo significativamente valide ed
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importanti sia per la estetica che per le tecniche di costruzione ed i materiali
utilizzati.
Nel corso degli anni si era infatti consolidata la tradizione fiorentina che coinvolgeva
il capomastro dell’Opera del Duomo in campi che esulavano dai suoi ristretti compiti
istituzionali: così era stato sia per Arnolfo di Cambio che per Francesco Talenti. Con
Filippo questa prassi subisce un’autentica impennata, a riprova della flessibilità del
suo metodo progettuale. L’attività di Brunelleschi si dispiega quindi su svariati
settori, in aggiunta all’architettura sacra, come l’allestimento scenico e le
fortificazioni.
Queste opere possono essere suddivise in tre categorie:
- PORTICATI E BASILICHE
- EDIFICI A PIANTA CENTRALE
- PALAZZI E FORTIFICAZIONI.
PORTICATI E BASILICHE.
Appartengono a questo gruppo: lo Spedale degli Innocenti, la Basilica di San
Lorenzo; la Chiesa di Santo Spirito.
Il 19 Agosto del 1419 iniziò la costruzione dello
Spedale degli Innocenti, l’istituto destinato al
ricovero dei bambini abbandonati e delle ragazze
madri.
programma di
L’impresa
iniziative benefiche
rientrava
in
un
più
vasto
promosso dalla classe politica emergente per
assicurare alla cittadinanza un’adeguata assistenza “sociale e sanitaria”.
Intorno al 1423 Brunelleschi dava forse inizio ai lavori di
trasformazione della Chiesa di San Lorenzo, di cui nel 1428
terminò la costruzione della sacrestia vecchia, così definita per
distinguerla da quella nuova costruita da Michelangelo un
secolo dopo.
Nel 1444, due anni prima di morire, Brunelleschi diede inizio alla ricostruzione della
Chiesa di S. Spirito.
14
GLI EDIFICI A PIANTA CENTRALE.
Le principali opere che compongono questa tipologia di costruzioni sono: La Cappella
Barbadori in Santa Felicita; La Sagrestia vecchia in San Lorenzo; La Cappella dei
Pazzi in Santa Croce; La “rotonda” di Santa Maria degli Angeli.
La Cappella dei Barbadori, poi Capponi, in Santa Felicita, è esemplare delle ricerche
spaziali di Filippo. Realizzata intorno al 1420, negli anni in cui l’artista realizzava il
portico degli Innocenti ed era impegnato a dimostrare la possibilità di voltare la
Cupola del Duomo senza armatura. Nella Cupola della Cappella dei Barbadori,
Brunelleschi saggia la spinapesce, l’intersezione degli ordini, le paraste assottigliate
al di là di ogni ortodossia classica.
Da segnalare invece che la Sagrestia Vecchia di San Lorenzo è
l’unica opera pervenutaci integra che Filippo Brunelleschi
abbia portato a compimento.
PALAZZI E FORTIFICAZIONI.
Questo gruppo di opere comprende il Palazzo di parte Guelfa, le Fortificazioni ed
altre consulenze ed i Progetti per Cosimo de’ Medici e Luca Pitti.
L’attività di Brunelleschi nell’architettura civile è comunque poco nota. Le ragioni
sono varie, non ultima il fatto che le costruzioni “laiche” – torri, case, ville,
ristrutturazioni in palazzi pubblici - , riferite all’artista dalle fonti oggi conservate,
sono poche e controverse.
INDICE:
Introduzione
pag. 2
15
Gli inizi e le prime opere: 1377 - 1417
pag. 2
L’inventore della prospettiva
pag. 6
Gli anni e le opere dal 1418 al 1446:
La Cupola di S. Maria del Fiore
pag. 7
Il capomastro diventa architetto – ingegnere
pag. 9
L’inaugurazione
pag. 10
La cupola
pag. 11
Forma e struttura
pag. 11
La lanterna e le tribune morte
pag. 12
Altre opere:
Porticati e Basiliche
pag. 14
Gli edifici a pianta centrale
pag. 15
Palazzi e fortificazioni
pag. 15
Bibliografia
pag. 16
BIBLIOGRAFIA:
Elena Capretti
“BRUNELLESCHI”
Ed. Giunti
Stefano Borsi
“BRUNELLESCHI”
Ed. Giunti
Ross King
“LA CUPOLA DI BRUNELLESCHI Ed. Rizzoli
Peter J. Gaertner
“BRUNELLESCHI”
Ed. Koenemann
Enciclopedia
“ENCARTA”
Microsoft
Enciclopedia
“WIKYPEDIA”
World Wide Web
IMMAGINI:
“GOOGLE”
16

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