Quando Messina Denaro era il pupillo di Totò Riina

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Quando Messina Denaro era il pupillo di Totò Riina
27/01/2014 06:55:00
Quando Messina Denaro era il pupillo di Totò
Riina
“Il mio pupillo”, “L’uomo che un giorno prenderà il mio posto”. Così, secondo le attendibili
ricostruzioni di diversi collaboratori di giustizia, il capo dei capi di Cosa nostra, Totò Riina,
definiva il giovane Matteo Messina Denaro. I motivi di stima erano tanti: Riina non aveva mai
avuto un erede con la sua spietatezza, e quel giovane di Castelvetrano, figlio di un alleato
fedelissimo dello zio Totò, non solo aveva partecipato all’ultima parte della guerra di mafia
dei Corleonesi per l’eliminazione fisica delle famiglie avversarie, ma aveva dimostrato sangue
freddo, lucidità negli affari, e ambizioni.
Riina ha visto crescere Matteo Messina Denaro. Nella sua decennale latitanza, passava molto
tempo, soprattutto in estate, a Mazara del Vallo, oppure a Selinunte, dove era ospite dei Messina
Denaro, andava in barca con Matteo e gli altri, acquistava e vendeva terreni, veniva accontentato in
tutto, si meravigliava del genio che c’era in quella famiglia criminale. Come quell’ascensore
nascosto – roba da fumetti, se Riina ne avesse mai letto uno – che nella gioielleria dell’amico di
Matteo, Vincenzo Geraci, portava in un caveau sotterraneo. Si innamorò di quel posto, Riina, e
decise che lì andava custodito il suo tesoro: monete d’oro, parecchi soldi, opere d’arte, spille
d’oro con la mascotte dei Mondiali di Calcio Italia ‘90. Le buone cose di pessimo e villano
gusto della mafia siciliana. Collier, orecchini, Cartier, crocifissi tempestati di brillanti, diamanti,
sterline e lingotti d’ oro ed altri preziosi per un valore di oltre due miliardi di lire. Un caveau che
Riina in alcuni casi utilizzò anche come nascondiglio.
Che genio che era Matteo, e che giovane. A Riina piaceva parecchio. Quando volle fare la “super
cosa”, l’organismo ristretto che, al posto della Cupola, avrebbe preso le decisioni sulle stragi del
‘92, tra i pochissimi invitati al suo tavolo volle proprio il rampollo dei Messina Denaro. E il
giovane di Castelvetrano era il suo inviato per le missioni più delicate. Lo manda a Roma per
pedinare ed uccidere Maurizio Costanzo, che aveva parlato male della mafia in una sua trasmissione
televisiva. Matteo si dà alla bella vita in attesa dell’ordine. Riina manda un un altro messaggio:
pedinare ed uccidere Giovanni Falcone, che in quel periodo è a Roma. Matteo scopre che il giudice
Falcone va a mangiare ogni sera sempre nella stessa trattoria all’aperto: un colpo di pistola, ed è
fatta. Ma Totò Riina lo richiama alla base. Falcone deve morire, si, ma in un modo particolare,
“spettacolare” dice Riina ai suoi. È l’ “attentatuni” di Capaci.
Dunque all’inizio degli anni ‘90 i contatti tra Riina e Denaro erano frequentissimi. Il giorno in cui
arrestarono Riina, il 15 gennaio 1993, Matteo Messina Denaro era lì a pochi metri, in Via Bernini,a
Palermo, scampando al blitz per un soffio, ma con tutto il tempo di ripulire il covo e portarsi dietro i
documenti più scottanti e importanti di Cosa nostra.
Riina il capo dei capi. Matteo Messina Denaro da Castelvetrano il suo erede.
Oggi, 20 anni dopo il loro ultimo incontro qualcosa è cambiato. Forse Riina si aspettava da
Messina Denaro un qualche segnale di attenzione nei confronti della sua famiglia, forse è stato
deluso da qualche mossa di Matteo, forse, semplicemente, dopo 20 anni di carcere duro e con l’età
che avanza gli è anche un po’ sbroccato il cervello, come accaduto a Provenzano. Fatto sta che le le
ultime dichiarazioni di Riina, intercettate mentre in carcere parla con un altro boss, Alberto
Lorusso, esponente della mafia pugliese, durante l’ora d’aria sono, nei confronti di Messina Denaro,
durissime.
Prima di addentrarci nel merito delle dichiarazioni di Riina, una premessa. Ma è normale che ad
un boss al carcere duro sia consentito parlare durante l’ora d’aria con un altro boss? In tutti
questi anni si è sempre sottolineata la capacità che Totò Riina avrebbe di mandare ordini anche dal
carcere. È chiaro che se non fosse messo in condizione di parlare con altri boss il problema non ci
sarebbe.
Altra cosa: Riina sa che quando parla è intercettato. E allora perché dice cose molto gravi su Di
Matteo (“gli faremo fare la fine del tonno”9, sull’attentato a Chinnici (“mi sono divertito”) e sullo
stesso Messina Denaro? O recita, perché sa di essere ascoltato, e vuole mandare dei messaggi
all’esterno, oppure, anche qui, dobbiamo ricorrere all’idea di una non perfetta lucidità di Totò U
Curto.
Ma cosa ha detto durante la sua conversazione con Lo Russo il nostro Riina? Contro Matteo
Messina Denaro usa parole dure. Gli rimprovera di pensare solo agli affari. Lo chiama “Signor
Messina” e la cosa che non gli dà pace è il fatto che si occupa troppo di energia eolica (“pali della
luce”, così Riina chiama le pale eoliche) e poco di chi sta in carcere.
“A me dispiace dirlo questo… questo signor Messina – sbotta Riina – questo che fa il latitante che
fa questi pali eolici, i pali della luce, se la potrebbe mettere nel culo la luce ci farebbe più figura se
la mettesse nel culo la luce e se lo illuminasse, ma per dire che questo si sente di comandare, si
sente di fare luce dovunque, fa luce, fa pali per prendere soldi ma non si interessa…”.
Il capo dei capi si rammarica dell’assenza del padre di Matteo, Francesco Messina Denaro: “ … ora
se ci fosse suo padre buonanima, perché suo padre un bravo cristiano u zu Ciccio era di
Castelvetrano… capo mandamento di Castelvetrano… a lui gli ho dato la possibilità di muoversi
libero.. era un cristiano perfetto…questo figlio lo ha dato a me per farne quello che dovevo fare, è
stato qualche 4 o 5 anni con me, impara bene, minchia tutto in una volta si è messo a fare luce in
tutti i posti… fanno altre persone ed a noi ci tengono in galera, sempre in galera però quando
siamo liberi li dobbiamo ammazzare”.
Meno male per Matteo Messina Denaro che Riina libero non torna..