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Capitolo
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Emorragia subaracnoidea, aneurismi
e altre malformazioni vascolari
Massimo Rollo, Flora Desiderio, Rosalinda Calandrelli, Alessandro Pedicelli
Emorragia subaracnoidea
INTRODUZIONE
L’emorragia subaracnoidea (ESA) è un sanguinamento nello spazio
compreso tra aracnoide e pia madre; rappresenta circa il 5% degli eventi
cerebrovascolari acuti (stroke) ed è causata per l’85% dalla rottura di
un aneurisma cerebrale (Fig. 5.1). Studi epidemiologici indicano una
maggiore incidenza nella fascia di età compresa tra i 45 e i 55 anni, con
una prevalenza della patologia nel sesso femminile. Sebbene l’incidenza
in base al sesso vari con l’età, il rischio di ESA è circa il 25% più elevato
nelle donne sopra i 55 anni rispetto agli uomini della stessa età.
La trombosi venosa, le malformazioni vascolari arterovenose, le vasculiti e le neoplasie primarie o secondarie rappresentano una causa meno
frequente di ESA. Nel 14-22% dei casi la diagnostica per immagini (DPI)
non riconosce la causa, imputata pertanto a rottura di microaneurismi
(aneurismi di Charcot) o a varianti del drenaggio del sistema venoso
profondo. Gli aneurismi cerebrali hanno un’incidenza dell’1-2%, ma
questa percentuale sembra superiore se si considerano i frequenti riscontri occasionali durante le indagini RM e/o TC eseguite per indicazioni
non specifiche; l’incidenza clinica nell’infanzia è dell’1,9-3%. Il rischio
di rottura di un aneurisma è compreso tra lo 0,8 e il 2,5% annuo in relazione alla natura, alle dimensioni e alla sede. L’aneurisma più comune
è quello sacciforme (berry), su base congenita; seguono, in ordine, gli
aneurismi fusiformi di natura infiammatoria o dissecante, le duplicazioni arteriose e i cosiddetti aneurismi blister-like che, pur presentandosi con
la DPI come dilatazioni aneurismatiche, sono fissurazioni arteriose con
formazione di uno pseudoaneurisma, privo di una vera e propria parete
(Fig. 5.2). Gli aneurismi infiammatori e quelli blister-like presentano un
rischio emorragico più alto delle altre forme.
CENNI DI CLINICA
E STORIA NATURALE DELL’ESA
L’ESA è un evento acuto con mortalità del 30% nelle prime 24 ore
dal sanguinamento e del 50-60% nelle successive 4 settimane. L’entità dell’emorragia condiziona la clinica, con quadri che vanno dalla
cefalea associata a rigor nucalis, al coma profondo e alla morte cerebrale.
La classificazione di Hunt-Hess suddivide i pazienti con ESA in cinque
classi, sulla base della presentazione clinica, al fine di ottimizzare il
trattamento e migliorare la prognosi (Tab. 5.1). L’ESA si presenta con
distribuzione pericefalica e cisternale, talvolta associata a ematoma intraparenchimale. In molti casi è possibile, sulla base della localizzazione
e della preponderanza del sanguinamento in una determinata cisterna,
ipotizzare la sede del sanguinamento. La comunicazione tra compartimento subaracnoideo e intraventricolare e la natura arteriosa del
sanguinamento comportano frequentemente emoventricolo, talvolta
con ostacolo alla circolazione liquorale e idrocefalo (postemorragico).
L’idrocefalo può essere evolutivo e causare aumento della pressione intracranica (PIC), con progressivo peggioramento clinico; più spesso però
l’ostacolo e l’idrocefalo sono transitori e si risolvono spontaneamente.
I radicali liberi, prodotti dalla degradazione del sangue nello spazio subaracnoideo, rappresentano un fattore irritativo sulle pareti avventiziali
delle arterie, con frequente vasospasmo, più marcato a partire dalla terza
giornata dall’ESA e fino a dopo 10-15 giorni. L’incidenza del vasospasmo
è variabile, in parte correlata con la quantità di sangue cisternale, in parte
dipendente da fattori di reattività individuali, connessi all’età del paziente. Nel bambino sotto i 5 anni il vasospasmo non insorge e nell’anziano
l’incidenza risulta inferiore rispetto alle fasce medie di età.
DIAGNOSTICA PER IMMAGINI DELL’ESA
Gli obiettivi della DPI dell’ESA possono essere schematizzati come
segue:
• accertamento;
• identificazione e caratterizzazione della causa (aneurismi
cerebrali);
• riconoscimento delle eventuali complicanze.
Accertamento dell’ESA
Alla valutazione clinica si affianca, in regime d’urgenza, la TC senza
mezzo di contrasto (mdc). La TC ha elevata sensibilità nel riconoscimento dell’iperdensità emorragica e nella definizione della sua
distribuzione nello spazio subaracnoideo, nonché nell’individuazione
di veri e propri ematomi intracisternali o ematomi intraparenchimali
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Figura 5.1 Emorragia subaracnoidea
da rottura di aneurisma dell’arteria
comunicante posteriore. A,B. TC
senza mdc: iperdensità da ESA
nelle cisterne della base. C. Ipodensità
ovalare temporo-mesiale destra (freccia),
sospetta per aneurisma, nel contesto
della quota emorragica parenchimale
e subaracnoidea. D,E. L’angiografia
bidimensionale e con ricostruzione
tridimensionale (angiografia rotazionale)
mostra un voluminoso aneurisma
della comunicante posteriore.
La ricostruzione 3D permette un superiore
dettaglio del colletto, delle dimensioni,
della morfologia dell’aneurisma
e dei suoi rapporti con i vasi parenti.
F. Controllo angiografico dopo
trattamento endovascolare
con “coiling”.
Tabella 5.1 Classificazione clinica dei pazienti con ESA (Hunt-Hess)
Grado 1
Cefalea e lieve rigor nucalis
Grado 2
Cefalea medio-grave, marcato rigor nucalis, eventuali
deficit dei nervi cranici
Grado 3
Sonnolenza, confusione mentale, lievi deficit focali
Grado 4
Stupor, emiparesi moderata-grave, possibile
decerebrazione, turbe vegetative
Grado 5
Coma profondo, decerebrazione, aspetto agonico
Tabella 5.2 Classificazione di Fischer
Figura 5.2 ESA causata da pseudoaneurisma (blister-like).
A. La TC senza mdc: ESA nelle cisterne della base. B. Carotidografia
interna destra: sfumata immagine aneurismatica, lungo la carotide
terminale, con colletto mal definito. C. Risultato immediato
dopo trattamento endovascolare (spirali). D. Risultato dopo il secondo
trattamento, reso necessario da recidiva di ESA e accrescimento
dello pseudoaneurisma.
associati. La classificazione di Fischer classifica l’emorragia subaracnoidea come compare sulla TC basandosi sulla entità e distribuzione
dell’emorragia (Tab. 5.2). Il grado di severità di tale scala correla con
il rischio di vasospasmo.
La sensibilità della TC varia in relazione al tempo di esecuzione
dell’esame e decresce al 90% entro le prime 24 ore, all’80% dopo 3
giorni e fino al 50% a 1 settimana dal sanguinamento. La riduzione
della sensibilità è correlata alla diluizione del sangue nel liquor, alla
sua distribuzione in funzione della circolazione liquorale e ai fenomeni
Grado 1
Non evidente
Grado 2
Meno di 1 mm di spessore
Grado 3
Più di 1 mm di spessore
Grado 4
Qualsiasi spessore con estensione intraparenchimale
di lisi endogena. La TC eseguita in urgenza è utile anche per valutare la presenza, la distribuzione, l’entità del sangue intraventricolare
e l’eventuale idrocefalo associato.
Identificazione e caratterizzazione
della causa (aneurismi cerebrali)
L’accertamento della causa dell’ESA dovrebbe essere ottenuto in regime
d’urgenza, per indirizzare il paziente a una corretta e precoce terapia.
La ricerca della causa dell’ESA si avvale soprattutto dell’angio-TC, da
eseguirsi immediatamente dopo l’esecuzione della TC senza mdc. Con
la somministrazione in bolo di contrasto iodato non ionico si valuta
l’opacizzazione delle arterie cerebrali costituenti il circolo di Willis.
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In letteratura è riportata una sensibilità dell’angio-TC di circa il 90% nella diagnosi degli aneurismi cerebrali; la sensibilità varia con le moderne
tecniche di ricostruzione (MPR; MIP; SSD), riducendosi al 60% circa
per aneurismi inferiori a 3 mm e per aneurismi periferici. La metodica
è altresì gravata da un certo tasso di falsi positivi determinati dall’erronea interpretazione di ectasie infundibulari o tortuosità vascolari. Una
volta identificato l’aneurisma è necessario valutarne le caratteristiche
morfologiche e i rapporti con le arterie parenti. Un’adeguata valutazione
diagnostica prevede la definizione di:
• localizzazione dell’aneurisma (Tab. 5.3);
• dimensioni e morfologia (Tab. 5.4);
• forma, margini, ampiezza del colletto, ratio (rapporto
corpo/colletto) (Tab. 5.5).
Queste informazioni sono necessarie per la scelta tra terapia endovascolare e chirurgica e anche per definire la tecnica operatoria più
appropriata. La Tabella 5.3 riporta l’incidenza degli aneurismi cerebrali
nelle sedi consuete; nella tabella spiccano per frequenza gli aneurismi dell’arteria comunicante anteriore, seguiti da quelli dell’arteria
comunicante posteriore e dell’arteria cerebrale media. La sede spesso
influenza la morfologia e le dimensioni dell’aneurisma e i rapporti
con le arterie parenti.
Gli aneurismi della comunicante anteriore si sviluppano frequentemente per la presenza di varianti anatomiche del distretto anteriore del poligono di Willis, come l’agenesia o l’ipogenesia del tratto A1 di un’arteria
cerebrale anteriore; in tal caso la condizione di iperafflusso del tratto A1
della cerebrale anteriore controlaterale che rifornisce i circoli dei due lati
è ritenuta la principale causa dello sfiancamento dell’arteria comunicante
anteriore. Per tale motivo, questi aneurismi si presentano con un colletto
ampio, a volte coinvolgente l’origine del tratto A2, e mostrano una tendenza allo sviluppo ventrale. Gli aneurismi con colletto di dimensioni
inferiori tendono a svilupparsi prevalentemente nei punti di giunzione dei
tratti A1-A2, senza un evidente coinvolgimento dell’arteria comunicante
anteriore, con orientamento prevalentemente postero-craniale.
Tra gli aneurismi della carotide interna (CI) intracranica domina per
frequenza quello della comunicante posteriore (Fig. 5.3 A); in questa
sede, l’aneurisma ha sviluppo postero-laterale, morfologia prevalentemente allungata e – anche nelle forme con colletto particolarmente
ampio – risparmia quasi sempre l’origine dell’arteria comunicante
posteriore. Sempre per frequenza, seguono gli aneurismi del tratto oftalmico della CI, che hanno origine immediatamente a valle dell’arteria
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Tabella 5.3 Localizzazione degli aneurismi cerebrali
Comunicante anteriore
30%
Comunicante posteriore
25%
Cerebrale media
20%
Carotide interna
10%
Basilare
5%
Altre
10%
Multipli
20%
Tabella 5.4 Classificazione degli aneurismi cerebrali
Morfologica
Dimensionale
Sacciformi
Piccoli (<3 mm)
Fusiformi
Medi (3-9 mm)
Dissecanti
Grandi (>9mm)
Duplicazioni
Giganti (>15 mm)
Tabella 5.5 Criteri morfologici degli aneurismi cerebrali
Forma
Margini
Colletto
Sferica
Regolari
Piccolo
Allungata
Irregolari
Medio
Cilindrica
Tasche accessorie
Grande
Polilobulata
Calcificazioni
Ratio
Diametro del colletto/
Diametro del corpo
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Figura 5.3 Vasospasmo post-ESA
in aneurisma dell’arteria comunicante
posteriore. A. Carotidografia destra:
aneurisma dell’arteria comunicante
posteriore e spasmo arterioso
del tratto distale della carotide e dei tratti
prossimali delle arterie cerebrali media
e anteriore. B. ECD: conferma di spasmo
severo della carotide interna destra,
con rilievo di tracciato di bassa velocità,
a elevate resistenze periferiche.
C. Color-Doppler: stesso reperto. D. Doppler
transcranico: il vasospasmo è esteso
all’arteria cerebrale media sinistra,
con alte velocità campionate nel tratto M1.
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oftalmica, si orientano verso l’alto, presentano un colletto solitamente
ampio con un rapporto corpo/colletto basso. Difficilmente questi
aneurismi coinvolgono l’origine dell’arteria oftalmica; possono avere
una tendenza alla crescita progressiva, potendo raggiungere dimensioni
grandi o giganti (Fig. 5.4 A). Tra gli aneurismi della CI, quelli del tratto
terminale sono di riscontro meno frequente, quasi sempre nel punto di
divisione tra cerebrale media e anteriore; si sviluppano cranialmente,
talvolta con varianti a origine eccentrica rispetto al punto di biforcazione, prevalentemente sul versante della cerebrale media.
Gli aneurismi dell’arteria coroidea anteriore sono rari.
Gli aneurismi dell’arteria cerebrale media (ACM) privilegiano il
punto di passaggio fra i tratti M1 ed M2, dove l’ACM si suddivide nelle
principali branche corticali a distribuzione temporale e fronto-parietale
e solitamente ne coinvolgono una nella loro crescita. Tuttavia, esistono
varianti di sede e conformazione della diramazione arteriosa, con possibile bi- o triforcazione dell’ACM. Una classica tipologia è rappresentata
da sviluppo prevalentemente laterale, sacciforme, con un colletto ampio
e con origine di un ramo arterioso direttamente dalla base del sacco
aneurismatico. Nelle varianti giganti di questo gruppo, il coinvolgimento delle arterie può essere tale che la circolazione del complesso
aneurisma-ACM subisce variazioni così complesse da indurre fenomeni
di trombosi parziale o subtotale intraneurismatica e fenomeni tromboembolici spontanei, in uno o più dei distretti arteriosi coinvolti.
Un gruppo a parte è costituito dagli aneurismi del circolo posteriore (distretto vertebro-basilare) che hanno la comune caratteristica di
contrarre stretti rapporti anatomici con il tronco dell’encefalo e, dal
punto di vista emodinamico, con la circolazione talamica e cerebellare. L’ESA causata da un aneurisma di questo gruppo si associa quasi
sempre a emoventricolo ed è gravata da una prognosi peggiore sia in
termini di mortalità sia di morbilità (Fig. 5.5). Gli aneurismi del distretto vertebro-basilare includono gli aneurismi cerebellari, localizzati
più frequentemente all’origine delle arterie cerebellari postero-inferiori
o superiori, con morfologia sacciforme. In questo ambito, spicca per
rilevanza soprattutto l’aneurisma dell’apice dell’arteria basilare che si
riscontra sotto forma di ectasia sacciforme, più o meno ampia, a sviluppo
prevalentemente supero-anteriore, con colletto solitamente ampio, che
coinvolge l’emergenza delle arterie cerebrali posteriori e, talvolta, delle
arterie cerebellari superiori. L’arteria basilare e le arterie vertebrali posteriori sono anche sede elettiva di aneurismi fusiformi, più o meno estesi,
secondari a dissezione o associati a duplicazioni arteriose (Fig. 5.6).
Nel 20% dei casi, gli aneurismi sono multipli e localizzati in differenti distretti. In presenza di ESA, con riscontro di aneurismi multipli,
è molto importante individuare l’aneurisma fonte dell’emorragia.
Tra i criteri morfologici usati per definire quale aneurisma si è rotto,
si sottolineano le irregolarità dei margini e la presenza di eventuali
Figura 5.4 Aneurisma gigante
carotideo del tratto oftalmico.
A. Arteriografia della carotide interna
sinistra: visualizzazione dell’aneurisma
e dei suoi rapporti con la carotide.
B. Arteriografia della carotide interna
sinistra: controllo dopo trattamento
endovascolare con spirali e con stent
flow-diverter.
lobature o di piccole tasche accessorie, riferibili, presumibilmente, a
punti di minore resistenza della parete aneurismatica (Fig. 5.7). Il criterio morfologico, tuttavia, non rappresenta una certezza. Più indicativa
può essere l’evidenza di uno spasmo segmentario, localizzato su un
tratto di arteria in prossimità di uno degli aneurismi, ma il criterio più
accreditato rimane la correlazione tra la maggiore concentrazione focale
di emorragia e la sede dell’aneurisma. Questa correlazione è utile solo
nei casi in cui la TC venga effettuata precocemente dopo l’ESA, prima
che la diluizione emoliquorale abbia redistribuito il sangue (Fig. 5.7).
Nella maggior parte dei casi, l’elevata sensibilità dell’angio-TC permette di ottenere tutte le informazioni necessarie, ma in circa il 10% dei
casi (secondo quanto riportato in letteratura) non è possibile ottenere
una chiara demarcazione tra l’aneurisma e le arterie adiacenti; i sistemi
di post-processing con ricostruzioni 3D a volte generano artefatti che
aumentano apparentemente le dimensioni del colletto ed evidenziano
false fusioni tra il sacco aneurismatico e le arterie adiacenti; questo
fenomeno, definito kissing vessel, si riscontra maggiormente negli aneurismi di taglia grande (Fig. 5.1 C).
L’angiografia digitale a sottrazione d’immagine (DSA) rappresenta
ancora oggi l’esame gold standard nello studio della patologia vascolare
cerebrale; l’alta sensibilità e specificità della metodica sono garantite da
una corretta e adeguata esecuzione, basata sul cateterismo selettivo delle
arterie cerebroafferenti, corredato dalla angiografia rotazionale 3D (3DRA)
che migliora sensibilmente la qualità e la quantità delle informazioni
(Fig. 5.1 E). Lo studio rotazionale permette, dopo l’identificazione
dell’aneurisma, l’acquisizione di un’immagine tridimensionale del distretto arterioso che fornisce tutte le informazioni morfologiche sull’aneurisma e sui suoi rapporti con le arterie e consente la scelta della proiezione angiografica di studio ottimale che diventerà anche la proiezione
di lavoro/guida ideale per la successiva fase terapeutica endovascolare.
Dunque, sul piano diagnostico, la metodica conferma per lo più i risultati
dell’angio-TC, con un valore aggiuntivo nella definizione degli aspetti
anatomofunzionali, ai fini della pianificazione terapeutica. Lo studio
angiografico è per sua caratteristica una procedura dinamica, che fornisce
informazioni sul flusso intralesionale e nel territorio vascolare a valle.
Negli aneurismi di taglia medio-grande sono importanti sia la valutazione
dinamica del flusso intra-aneurismatico dimostrando l’inflow e l’outflow
sia la valutazione del flusso nel distretto arterioso a valle. Per aneurismi
periferici (prevalentemente infiammatori) e per aneurismi fusiformi o
dissecanti è indispensabile definire le caratteristiche della circolazione
arteriosa corticale, per prevedere l’attivazione di sistemi anastomotici
leptomeningei e procedere a eventuali test di occlusione (Fig. 5.6).
La RM nella diagnostica dell’ESA riveste un ruolo rilevante solo nella
fase subacuta, a causa della lunghezza del tempo di esecuzione, delle inevitabili limitazioni legate agli artefatti da movimento e della disponibilità
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Figura 5.5 ESA in aneurisma
del circolo posteriore. A,B. RM,
sequenze T2w: aneurisma dell’arteria
vertebrale distale destra con segni
di effetto massa sul tronco encefalo.
C, TC senza mdc: tenue iperdensità
da ESA nelle cisterne della fossa cranica
posteriore. D. Angiografia vertebrale:
conferma l’aneurisma subito a valle
della PICA. E. Angiografia di controllo
dopo embolizzazione con spirali e stent.
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nei centri di primo soccorso. Dunque la gestione diagnostica dell’ESA
in urgenza si avvale soprattutto dell’integrazione tra TC e angiografia
digitale, secondo il criterio di un rapido avvio del paziente al trattamento,
riducendo il rischio di un risanguinamento, spesso fatale. Il riscontro
TC di ESA non corrisponde però inevitabilmente alla successiva indivi-
Figura 5.6 ESA da rottura
di aneurisma dissecante della giunzione
vertebro-basilare. A. TC senza mdc:
ESA nella cisterna pontina e in sede
intraventricolare. B,C. Angiografia
vertebrale destra: dimostrazione
dell’aneurisma e della sua morfologia
(freccia). D. Ricostruzione 3D
da angiografia rotazionale che meglio
dimostra l’origine della PICA a monte
della lesione. E, Controllo angiografico
dopo trattamento di occlusione
dell’aneurisma e della vertebrale
con spirali, preservando la PICA.
F, il controllo della vertebrale sinistra
mostra regolare opacizzazione del circolo
della basilare dopo il trattamento.
duazione di un aneurisma; un certo numero di casi rimane senza una
fonte/origine dimostrabile di sanguinamento perché non conseguenti
a un aneurisma o perché all’aneurisma si sovrappongono modificazioni fisiopatologiche mascheranti. La presenza di un’ESA circoscritta
alle cisterne pontine, mesencefaliche o interpeduncolare può essere
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Figura 5.7 Aneurismi multipli
in ESA. A,B. TC senza mdc: ESA massiva.
C e D. Arteriografia carotidea sinistra:
evidenza di multipli aneurismi, i maggiori
rispettivamente alla biforcazione
della carotide interna e biforcazione
dell’ACM (frecce), con evidenti lobature
della lesione di maggiori dimensioni.
E. Controllo angiografico dopo terapia
endovascolare: occlusione degli
aneurismi maggiori con spirali.
E
espressione di un’ESA sine causa. Condizioni quali vasospasmo, trombosi precoce del sacco aneurismatico o rallentamenti di flusso correlati
all’ipertensione endocranica rappresentano la causa più frequente della
negatività dell’angiografia in fase acuta. Infine, si deve considerare anche
la possibilità che l’aneurisma non sia dimostrato a causa dell’uso di una
tecnica inappropriata e/o di un’esplorazione angiografica incompleta.
In caso di angiografia non diagnostica, il paziente deve essere attentamente monitorato, sorvegliato, stabilizzato e avviato in tempi brevi a
un successivo step diagnostico, con angio-TC o angio-RM; quest’ultima
ha il vantaggio di non esporre ulteriormente il soggetto a radiazioni
ionizzanti e di possedere una più ampia capacità esplorativa, potendo
escludere le altre più rare cause intrarachidee dell’ESA.
Riconoscimento delle complicanze dell’ESA
L’ESA, specie se abbondante, si associa a vasospasmo e frequentemente
ad aumentata pressione intracranica, che a sua volta può arrivare a
determinare riduzione della perfusione, aumento dell’edema cerebrale
e innesco di un meccanismo di ulteriore incremento della pressione
che può portare addirittura alla morte cerebrale, con evolutività nelle
ore e nei giorni successivi, segnata anche dalla possibilità di nuovo
sanguinamento. Il risanguinamento rappresenta la complicanza più
temibile, gravata da un tasso di mortalità del 50-70% e di morbilità del
90%, con picco massimo di frequenza entro le prime 48 ore, successiva
rapida riduzione tra la terza e la quarta giornata, incidenza globale del
14% nelle prime 2 settimane. La recidiva può avvenire per l’aumento
della pressione transmurale, per lo sfiancamento della parete, per la
mobilizzazione/lisi del coagulo sulla breccia dell’aneurisma.
L’idrocefalo postemorragico si può verificare in fase acuta-subacuta
(per ostruzione del flusso liquorale endoventricolare) o in fase cronica
(per aderenze aracnoidali). La complicanza più frequente dell’ESA è
tuttavia il vasospasmo, dimostrabile angiograficamente nel 40-70% dei
casi, responsabile di una più o meno marcata ipoperfusione generalizzata e nel 20-30% dei casi da veri e propri danni cerebrali ischemici.
A seconda dello stato del paziente, la TC e la RM sono impiegate
nello studio delle possibili complicanze. Al doppler transcranico spetta
il ruolo principale nella diagnostica e nel monitoraggio del vasospasmo
cerebrale (Fig. 5.3 B-D).
Aneurismi cerebrali
CONCETTI GENERALI
DELLA TERAPIA ENDOVASCOLARE
Il trattamento endovascolare rappresenta attualmente l’opzione di
prima scelta nella terapia degli aneurismi cerebrali, in particolar modo
nel trattamento in fase acuta dopo ESA. La preferenza per il trattamento
endovascolare è quasi generalmente riconosciuta, per la minore invasività rispetto alla chirurgia (tassi di complicanze inferiori) e per l’elevata
capacità di prevenzione del risanguinamento. La terapia, che dovrebbe
seguire immediatamente la fase angiografica/diagnostica è basata sul
microcateterismo superselettivo del sacco aneurismatico, con successiva
occlusione mediante posizionamento di spirali a distacco controllato,
metalliche, biocompatibili. L’indicazione elettiva è quella rivolta al
trattamento di aneurismi con colletto di piccole dimensioni, per il
quale si ottengono agevolmente risultati ottimali, anatomici e clinici.
Gli aneurismi con colletto ampio necessitano, a volte, di una tecnica
più complessa, con sistemi di contenimento per le spirali, costituiti
da palloncini di occlusione o stent (remodelling technique o stenting
associato). Queste metodiche comportano un aumento del rischio
rispetto al semplice coiling, ma garantiscono un risultato finale migliore
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e prevengono/riducono le temibili complicanze tromboemboliche, non
rare, nella cura endovascolare degli aneurismi a colletto ampio.
Nella terapia endovascolare degli aneurismi di taglia grande o gigante, la frequenza di recidiva dopo terapia con il solo coiling può essere
ridotta con l’impiego degli stent “a diversione di flusso” (flow diverter),
di recente introduzione; questi stent, a maglia fitta, sono posizionati
a cavallo del colletto dell’aneurisma, in modo tale da indurvi una
progressiva, spontanea trombosi, ma non trovano oggi indicazione in
regime d’urgenza in quanto necessitano di una terapia antiaggregante
per scongiurare le complicanze di una trombosi dello stent (Fig. 5.4).
La chirurgia trova indicazione secondaria in tutti quei casi in cui la
terapia endovascolare non possa garantire il risultato o sia gravata da
un rischio eccessivo di complicanze. Esistono aneurismi che sono appannaggio elettivo della terapia endovascolare, come tutti gli aneurismi
del circolo posteriore, ed esistono indicazioni prevalenti alla chirurgia
per gli aneurismi più superficiali del circolo anteriore, come quelli
dell’ACM. La scelta tra terapia endovascolare e neurochirurgica è condizionata anche dalla gravità dello stato clinico del paziente: nelle forme
di HH Hunt-Hess 3 e 4 si privilegiano le modalità meno invasive.
Malformazioni arterovenose cerebrali
INTRODUZIONE
Le malformazioni arterovenose (MAV) sono il risultato della disfunzione dei processi di migrazione e maturazione dei capillari embrionali, a
cui si sovrappongono la reazione e l’adattamento dell’albero vascolare
circostante. Rappresentano circa il 25% delle malformazioni vascolari
cerebrali, con un’incidenza nella popolazione compresa tra lo 0,6 e il
7%; in questo gruppo rientra anche la malformazione aneurismatica
della vena di Galeno (MAVG) che rappresenta circa l’l% di tutte le
MAV intracraniche dell’età pediatrica. I due sessi sono colpiti in egual
misura; le manifestazioni cliniche sono prevalenti in un range d’età
compreso tra i 20 e i 40 anni, con una localizzazione sopratentoriale
(85%) prevalente su quella sottotentoriale (15%).
Le MAV sono classificate sulla base di criteri dimensionali in:
• MAV piccole, con nidus inferiore a 3 cm (Fig. 5.8);
• MAV medie, con nidus compreso tra 3 e 6 cm;
• MAV grandi, con nidus superiore a 6 cm.
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Dal punto di vista topografico, invece, sono classificate in:
• MAV superficiali;
• MAV profonde;
• MAV coroidee.
A loro volta le MAV superficiali si distinguono in:
• MAV corticali, rifornite esclusivamente da arterie corticali
e drenate da vene superficiali;
• MAV cortico-sottocorticali, alimentate da arterie corticali e drenate
da vene sia superficiali sia profonde;
• MAV cortico-ventricolari, dalla tipica conformazione piramidale,
•
rifornite da arterie corticali e perforanti, con drenaggi venosi
sia superficiali sia profondi (Fig. 5.9);
MAV cortico-callose, alimentate esclusivamente da arterie corticali,
prevalentemente del circolo anteriore, con drenaggi
sia superficiali sia profondi (Fig. 5.10).
Le MAV profonde sono caratterizzate da un nidus, localizzato nella
sostanza grigia dei nuclei della base, che riceve sangue esclusivamente
dalle arterie perforanti e drena nel sistema venoso profondo. Le MAV
coroidee, a sviluppo prevalentemente intraventricolare, sono rifornite
dalle arterie coroidee e subependimali e drenano nelle vene ventricolari del sistema venoso profondo. Le classificazioni topografiche
in realtà trovano riscontro prevalentemente nelle malformazioni piccole (Fig. 5.8); le forme medie o grandi, coinvolgendo più strutture,
spesso sono ibride e non hanno una specifica corrispondenza classificativa topografica. Berenstein propone una classificazione basata
esclusivamente sull’angioarchitettura della MAV in cui riconoscere le
caratteristiche fondamentali delle diverse componenti (nidus, arterie afferenti, vene efferenti); la classificazione si pone l’obiettivo di
identificare la disposizione originaria della MAV e il rapporto con il resto
del circolo, di individuare eventuali punti di debolezza del sistema (aneurismi arteriosi associati, aneurismi da flusso, aneurismi nidali, stenosi e
aneurismi venosi), di distinguere i difetti congeniti da quelli acquisiti
(aneurisma displastico o aneurisma da flusso) e prevedere in tal modo la
possibile evoluzione clinica della lesione. Le afferenze arteriose sono suddivise in apporti diretti e indiretti; le afferenze dirette sono caratterizzate
da tutte quelle arterie coinvolte esclusivamente nello shunt arterovenoso
e a distribuzione nidale, mentre quelle indirette alimentano prevalentemente il tessuto cerebrale adiacente alla MAV e, solo secondariamente, lo
shunt, mediante rami collaterali a pettine. Questi rami arteriosi indiretti
rappresentano la circolazione collaterale della MAV e possono essere
la via con la quale si inducono fenomeni da furto che sottraggono apporto ematico al tessuto sano adiacente la MAV. L’effetto emodinamico
B
Figura 5.8 MAV cerebrali superficiali
multiple. A. Arteriografia vertebrale
destra: piccola MAV corticale in regione
occipitale, rifornita da rami terminali
dell’arteria cerebrale posteriore.
B. Carotidografia destra: altra micro-MAV
superficiale in regione parietale.
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Sezione
|1|
Cranio/Encefalo
A
B
C
D
Figura 5.9 MAV cortico-ventricolare. A,B. Carotidografia destra:
evidenza dell’estensione e dell’angioarchitettura di una MAV alimentata
da branche silviane. C,D. Immagini RM T2w: evidenza dei rapporti
del nidus della MAV con le strutture cerebrali (corticali e del corno
ventricolare temporale).
A
B
C
D
Figura 5.10 MAV cerebrale cortico-callosa. A,B. TC senza mdc:
emoventricolo acuto. C. La carotidografia mostra una MAV con piccolo
nidus alimentato dall’arteria pericallosa destra ipertrofica. D. Il controllo
a 6 mesi dopo trattamento con polimero di alcol etilen-vinilico mostra
guarigione completa senza residui della lesione; l’arteria pericallosa
ha ora un calibro normale.
dello shunt arterovenoso può portare a reclutamento di vasi meningei,
ma anche a distorsione e a ipertrofia arteriosa, con formazione di
aneurismi secondari. Gli aneurismi secondari (presenti nel 23% della MAV) sono in genere localizzati sulle arterie afferenti al nidus. Gli
aneurismi da flusso sono indicatori dei peduncoli vascolari che devono essere trattati prioritariamente, perché una buona percentuale
delle emorragie osservate nella storia naturale delle MAV sono dovute a
rottura di un aneurisma arterioso (Fig. 5.11). Il nidus della MAV, classificato secondo criteri dimensionali e topografici, può avere un aspetto
compatto o rado e nel suo interno possono essere presenti diversi tipi
di shunt, fistole arterovenose dirette a più o meno elevata portata o
ectasie pseudoaneurismatiche sui versanti sia arterioso sia venoso. Le
dilatazioni arteriose sono correlate al flusso, rappresentano un punto
debole del nidus e possono essere difficili da evidenziare all’angiografia
senza il cateterismo superselettivo. Pseudoaneurismi arteriosi possono
documentarsi in fase acuta in presenza di ematoma cerebrale e il loro
ingrandimento costituisce una delle poche indicazioni al trattamento
della MAV in urgenza. Le ectasie venose intralesionali sono generalmente prossimali a un segmento venoso stenotico o trombizzato o a
un kinking, meno frequentemente a uno pseudoaneurisma parzialmente
ricanalizzato. Immediatamente dopo l’emorragia possono essere evidenziate tasche venose corrispondenti a pseudoaneurismi, causati dalle
alterazioni emodinamiche. Il nido può essere monocompartimentale,
ovvero drenato da una singola vena o pluricompartimentale, drenato
da più vene afferenti a differenti sistemi.
Il drenaggio venoso della lesione è generalmente prevedibile sulla
base della localizzazione del nidus; in caso di trombosi sono possibili
ridistribuzioni di circolo con nuovi reclutamenti venosi. In alcune MAV,
A
C
B
D
Figura 5.11 MAV cerebellare con aneurisma da flusso. A,B. TC
senza mdc: Emorragia intraventricolare e intraparenchimale da rottura
di aneurisma arterioso da flusso. C. Arteriografia carotide interna sinistra
(proiezioni laterale) mostra la complessa MAV con associato aneurisma
da flusso lungo una branca afferente alla lesione (freccia). D. Angiografia
selettiva della piccola afferenza arteriosa che dimostra la presenza
dell’aneurisma (freccia).
118
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Emorragia subaracnoidea, aneurismi e altre malformazioni vascolari
la circolazione del liquido cefalorachidiano è alterata per l’aumento
della pressione venosa (alto flusso o trombosi segmentaria) nel seno
sagittale superiore (SSS) o per effetto diretto di vene intraventricolari
o anche per meccanismi compressivi.
DIAGNOSTICA PER IMMAGINI DELLE MAV
La DPI delle MAV si avvale dello studio integrato con TC, RM e angiografia.
Il paziente sintomatico, prevalentemente con quadro clinico acuto, è sottoposto abitualmente all’esame TC, metodica di prima istanza nella diagnosi
di una MAV e dell’eventuale complicanza emorragica. In TC, una MAV di
dimensioni medio-grandi appare come un insieme di vasi serpiginoso,
isodenso o lievemente iperdenso, con marcato enhancement vascolare dopo
mdc. L’emorragia parenchimale è l’espressione clinica peculiare della rottura
di una MAV che, se di piccole dimensioni, può essere svelata solo dopo
somministrazione di mdc. Con la TC si può ottenere la dimostrazione di:
del contenuto ematico per fenomeni di ristagno;
dilatazione ventricolare con eventuali segni di idrocefalo;
emorragie parenchimali, endoventricolari o extrassiali;
calcificazioni periependimali o giunzionali;
lesioni ischemiche e segni di massa/rigonfiamento.
L’uso del mdc e le ricostruzioni 3D VR e MIP consentono di potenziare le strutture vascolari arteriose e venose, di identificare le eventuali
trombosi venose e le dilatazioni venose sovra- e sottotentoriali relative
a congestione da reflusso.
Lo studio RM si avvale di sequenze standard (SE e FSE, GRE, SWI, DWI,
FLAIR) T1 e T2/T2*-dipendenti, nei tre piani ortogonali, e del completamento mediante angio-RM (soprattutto con le tecniche 3D-TOF e contrast
enhancement sequenziale). In condizioni di elezione, la RM rappresenta il
gold standard diagnostico per lo studio del parenchima cerebrale. La RM
permette di diagnosticare la MAV definendone sede, estensione e rapporti
con il parenchima circostante (Fig. 5.9 C) e documentando, inoltre, le
alterazioni secondarie di segnale dell’encefalo (edema da congestione,
gliosi, atrofia). La RM è particolarmente sensibile nel riconoscere i segni
delle pregresse emorragie – anche non recenti –, le microemorragie
perinidali (T1, GRE, SWI) e le eventuali trombosi venose. Le sequenze
angio-RM forniscono dati preliminari sull’angioarchitettura della MAV,
senza però poterne definire i dettagli che rimangono ancora appannaggio esclusivo dell’angiografia. L’esame DSA è effettuato con cateterismo
selettivo delle arterie carotidi interne ed esterne e delle arterie vertebrali,
mediante accesso transfemorale, e si pone l’obiettivo di definire:
• i feeder arteriosi coinvolti, sia della MAV sia della circolazione
•
•
•
collaterale, la presenza di eventuali aneurismi da flusso,
il reclutamento di circoli collaterali extracranici;
le caratteristiche morfostrutturali ed emodinamiche del nidus;
la tipologia del drenaggio venoso, la compartimentazione,
i reflussi e le caratteristiche emodinamiche e morfologiche
delle singole componenti venose;
la vascolarizzazione cerebrale complessiva, con definizione
delle eventuali modificazioni anatomofunzionali prodotte
dalla MAV.
|5|
cerebrale, gravata da un rischio medio di sanguinamento del 2% annuo,
che aumenta al 4-6% annuo dopo un primo sanguinamento: l’emorragia parenchimale intraventricolare, associata o meno a componente
subaracnoidea, comporta mortalità del 32% circa a 20 anni. La causa
dell’emorragia può essere ricondotta, sul versante arterioso, agli aneurismi da flusso e, sul versante venoso, all’ostacolo al deflusso sanguigno
e al conseguente istaurarsi di uno stato di ipertensione intranidale. I
deficit neurologici e le crisi comiziali sono causati da fenomeni di furto,
dallo shunt o dall’iperpulsatilità delle vene; il deterioramento cognitivo
è causato dall’atrofia progressiva del tessuto cerebrale circostante.
Spetzler e Martin hanno codificato una classificazione morfodimensionale e topografica delle MAV con un grading che valuta i rischi di
morbilità e mortalità della chirurgia, prendendo in considerazione tre
parametri:
• il diametro della lesione: le grandi dimensioni delle MAV sono
• dilatazioni venose e del sistema sinusale, con iperdensità
•
•
•
•
Capitolo
•
•
responsabili di importanti rischi nell’intervento chirurgico.
L’asportazione della lesione, infatti, può causare effetti
emodinamici sul circolo cerebrale, congenitamente incapace
di attivare i normali meccanismi di autoregolazione,
e che improvvisamente si trova a sopportare un brusco
incremento di flusso;
la sede, intesa come localizzazione della lesione in aree eloquenti
(aree sensitivo-motoria, del linguaggio, la corteccia visiva,
la capsula interna, i gangli della base, l’ipotalamo, i peduncoli
cerebellari e i nuclei cerebellari profondi). L’intervento chirurgico
su MAV adiacenti a tali aree comporta una morbilità, per i rischi
di dissezioni e retrazione durante l’intervento e di edema
ed emorragia nel postoperatorio;
il tipo di drenaggio venoso che condiziona l’accessibilità
delle lesioni: può essere superficiale (esclusivamente attraverso
il sistema corticale o i seni trasverso o retto per le lesioni
cerebellari), profondo (quando coinvolge le vene cerebrali
interne, le vene basali ecc.) o misto.
Considerando quindi le dimensioni, l’eloquenza neurologica della sede
e il drenaggio venoso, Spetzler e Martin hanno assegnato un punteggio
per ogni categoria; la somma complessiva dei valori trovati per le varie
categorie stabilisce il grading totale della lesione. Si distinguono complessivamente cinque gradi; un grado superiore al terzo si correla a un
grave rischio operatorio (Tab. 5.6).
La radiochirurgia rappresenta una valida alternativa terapeutica alla chirurgia; la metodica si applica con modalità stereotassica, con
acceleratori lineari o meglio ancora con Gamma Knife o Cyberknife,
Tabella 5.6 Grading delle MAV secondo la classificazione
di Spetzler e Martin
Tipo di presentazione
Punti
Dimensioni
Piccole (<3 cm)
1
Medie (3-6 cm)
2
Grandi (>6 cm)
3
Eloquenza del parenchima adiacente
STORIA NATURALE DELLE MAV
E CONCETTI GENERALI DI TERAPIA
La maggior parte delle MAV rimane a lungo asintomatica, per poi manifestarsi con sintomi quali cefalea, crisi epilettiche, deficit neurologici,
deterioramento neurologico o crisi ictali in tempi molto variabili. L’esordio più frequente e temibile della MAV è rappresentato dall’emorragia
Eloquente
0
Non eloquente
1
Drenaggio venoso
Solo superficiale
0
Profondo
1
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Sezione
|1|
Cranio/Encefalo
A
Figura 5.12 Esempi di FAVD tipo II
e IV. A. FAVD tipo II, carotidografia
esterna destra in proiezione laterale:
FAVD con drenaggio nel seno sigmoideo
di destra e reflusso piale (freccia). B. FAVD
tipo IV, arteriografia vertebrale sinistra:
dimostrazione della FAVD su una vena
profonda, con dilatazione aneurismatica
venosa.
B
concentrando la dose sul nidus e inducendo un processo reattivo che
determina graduale e progressiva occlusione. La percentuale di guarigione è maggiore per MAV con nidus di piccole dimensioni (<2 cm)
e decresce sensibilmente con l’aumentare del volume nidale; il tempo
di guarigione è variabile tra 6 mesi e 3 anni.
Le MAV rappresentano un’indicazione elettiva alla terapia endovascolare, che prevede il microcateterismo arterioso e l’embolizzazione del nidus,
con materiale fluido (colla, acrilica o polimero di alcol etilen-vinilico.).
Con la terapia esclusiva endovascolare, la guarigione completa si ottiene
in una percentuale non superiore al 30-40% (Fig. 5.10); nei restanti casi
si riducono sensibilmente le dimensioni nidali e si possono trattare
selettivamente gli aneurismi associati. Nella pratica clinica, la chirurgia
rappresenta la prima scelta per MAV di piccole dimensioni e superficiali
mentre la radiochirurgia si rivolge prevalentemente a MAV profonde, con
volume nidale esiguo, non complicate da emorragie. La terapia endovascolare costituisce l’indicazione primaria al trattamento di tutte le restanti
forme, da sola (in caso di guarigione) o integrata successivamente dalla
chirurgia e/o dalla radiochirurgia. L’integrazione aumenta sensibilmente
il risultato globale e riduce drasticamente le complicanze.
Le FAVD sono frequentemente sintomatiche con manifestazioni
cliniche caratterizzate da acufeni, cefalea, disturbi del visus e deficit
neurologici sfumati e transitori; possono esordire in modo acuto
con sintomatologia ictale, causata da emorragia, secondaria a danno
ischemico venoso, con evoluzione progressiva a esito spesso infausto
(Fig. 5.13). Le manifestazioni cliniche croniche vedono prevalere i
deficit cognitivi progressivi. L’ischemia venosa rappresenta il maggiore rischio di complicanza per l’instaurarsi di una condizione di
ipertensione venosa generata, da un lato, dalla pressione dello shunt
AV, dall’altro, da un ostacolo al drenaggio venoso, con attivazione
A
B
C
D
Fistole arterovenose durali
Erroneamente classificate in passato tra le malformazioni vascolari cerebrali con il termine di malformazioni arterovenose durali, le fistole
arterovenose durali (FAVD) sono generalmente conseguenza di insulti
flogistici o traumatici. Si sviluppano nel contesto delle meningi, in rapporto diretto con la dura madre o nello spazio peridurale o sottodurale.
Le FAVD rappresentano il 10-15% di tutte le malformazioni vascolari
arterovenose intracraniche e constano di uno shunt angiodisplastico
più o meno esteso, alimentato da arterie meningee e drenato da vene
intracraniche di vari distretti (Fig. 5.12 A). Lo shunt può avere ricadute
emodinamiche più o meno rilevanti e si associa, in circa il 30% dei casi,
a una trombosi venosa; questo dato tende ad avvalorare l’ipotesi di una
genesi secondaria a una trombosi o a un processo tromboflebitico. Si
sviluppano in sedi diverse, con predilezione per alcune aree della base cranica, motivo per il quale in passato sono state classificate con un criterio
che le suddivide in base al drenaggio venoso (seni durali, vene meningee,
vene superficiali, vene profonde). Le FAVD con drenaggio sinusale sono
suddivise a loro volta in: (1) un gruppo antero-inferiore, caratterizzato
dal drenaggio nei seni cavernosi, nei seni petrosi o nei seni sfeno-parietali;
(2) un gruppo postero-superiore, caratterizzato dal drenaggio nel seno
sagittale superiore, nei seni trasversi e nei seni sigmoidei.
Figura 5.13 Emorragia cerebrale in FAVD tipo IIA+B con aneurisma
venoso. A. TC senza mdc: vasto ematoma acuto temporale sinistro.
B,C. L’angiografia selettiva della carotide esterna (proiezioni laterale e frontale)
mostra la complessa FAVD con multiple afferenze arteriose sul seno trasverso
occluso in modo segmentario e con reflussi venosi piali ectasici
e aneurismatici. D. Controllo angiografico dopo trattamento trans-arterioso
curativo della FAVD con polimero di alcol etilen-vinilico.
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Emorragia subaracnoidea, aneurismi e altre malformazioni vascolari
Tabella 5.7 Classificazione di Cognard delle FAVD
Gruppo
Drenaggio venoso
I
Drenaggio diretto in un seno durale con flusso anterogrado
II
IIA: drenaggio in un seno con reflusso retrogrado
senza reflusso piale;
IIB: drenaggio in un seno con reflusso piale;
IIA+B: drenaggio in un seno con reflusso retrogrado
sia nel seno che nelle vene piali
III
Drenaggio diretto in una vena corticale
con flusso retrogrado
IV
Drenaggio in una vena corticale con dilatazione
o aneurisma venoso
V
Drenaggio in vene perimidollari
di reflussi venosi piali in distretti cerebrali sani; l’entità e la sede del
reflusso – non compensato da meccanismi di pronto riadattamento
di circoli collaterali cerebrali – portano all’insorgenza del danno
ischemico e della relativa sintomatologia. Per identificare le FAVD a
maggior rischio, Djingian ha classificato le FAVD in quattro gruppi
per tipologia del drenaggio venoso; la classificazione è stata successivamente ripresa da Cognard che ha aggiunto un quinto gruppo,
includendo le fistole della base cranica caratterizzate da un drenaggio
venoso discendente perimidollare che le distingue dalle fistole durali
spinali (Tab. 5.7; Fig. 5.14).
Senza alterazioni parenchimali cerebrali può essere difficile diagnosticare le FAVD con la TC o la RM per la mancanza di nidus, per la sede
durale dello/degli shunt e del drenaggio venoso sinusale. Gli unici
elementi di sospetto possono essere le ectasie venose cerebrali piali
tipiche delle FAVD tipo III o gli aneurismi venosi nelle FAVD tipo IV.
Nelle FAVD, l’eco-color-Doppler (ECD) dei vasi epiaortici può risultare
particolarmente sensibile; la metodica deve valutare la carotide esterna
e i suoi rami da cui prendono origine le arterie meningee (occipitali,
faringee ascendenti) e le vene di drenaggio del cranio (giugulari, oftalmiche); lo shunt arterovenoso è responsabile di segnali di iperafflusso,
con forte riduzione delle resistenze periferiche sul versante arterioso e
segni di arterializzazione del flusso sul versante venoso. Nel caso in
cui l’ECD faccia sospettare una FAVD, si deve necessariamente ricorrere all’angiografia. Nel paziente sintomatico con danno parenchimale
encefalico (edema, ischemia, emorragia, ematoma sottodurale), la TC e
la RM possono, invece, dare un maggiore contributo per la frequente as-
A
Capitolo
|5|
sociazione con la trombosi venosa sinusale; l’uso di sequenze dopo mdc
con soppressione del grasso e l’impiego dell’angio-RM, soprattutto con
tecnica contrast enhancement, aumenta molto la sensibilità e la specificità
degli studi RM. L’angiografia è ancora una volta la tecnica di maggiore
affidabilità per la diagnosi e per la definizione delle caratteristiche
strutturali e la classificazione della FAVD (Fig. 5.12). Solo quelle inquadrabili nel tipo I possono essere considerate benigne (e possono essere
lasciate senza cura), mentre i restanti quattro gruppi (tipo II-III-IV-V)
devono essere trattati.
CONCETTI GENERALI
DI TERAPIA DELLE FAVD
Le FAVD endocraniche, contrariamente a quelle spinali, trovano indicazione elettiva nella terapia endovascolare. L’obiettivo da conseguire
è l’occlusione della fistola e della base del drenaggio venoso; le deafferentazioni parziali non portano alcun beneficio e tendono a complicare
ulteriormente la fistola, aumentandone il rischio di complicanze. L’embolizzazione può essere effettuata con due modalità: per via arteriosa
o per via venosa retrograda. Il trattamento per via arteriosa mediante
microcaterismo selettivo delle afferenze meningee prevede l’impiego di
embolizzanti fluidi (polimero di alcol etilen-vinilico) da iniettare fino al
versante venoso (Fig. 5.13). Questa modalità non è applicabile in tutti
i casi per le difficoltà di raggiungere il punto ideale di embolizzazione
ed è gravata da un rischio di complicanze da danno ischemico dei nervi
periferici. La modalità terapeutica per via venosa retrograda è finalizzata
all’occlusione del tratto di vena sede degli shunt AV, con rilascio di spirali staccabili secondo il principio che la vena di drenaggio della FAVD
non partecipa al drenaggio cerebrale e che l’occlusione di questa non
comporta un significativo rischio emorragico. Le indicazioni chirurgiche
nelle fistole durali rimangono appannaggio di quelle a localizzazione
spinale ed è un dato ormai accertato che le FAVD non rispondano alla
terapia radiochirurgica.
Cavernomi
Gli angiomi cavernosi (o semplicemente cavernomi) sono malformazioni vascolari benigne, a basso flusso e ben circoscritte; rappresentano l’8-16% delle malformazioni vascolari. Istologicamente, sono
costituiti da spazi vascolari irregolari, sinusoidali, intercomunicanti
(caverne), alimentati da una esile rete capillare e drenati da una o
più vene.
B
Figura 5.14 FAVD tipo V. A. Arteriografia
vertebrale destra: dimostrazione
della FAVD in regione peripontina,
con aneurisma venoso. B. Fase angiografica
tardiva: dimostrazione dei drenaggi venosi
perimidollari a decorso discendente
(freccia).
121
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Sezione
|1|
Cranio/Encefalo
Macroscopicamente gli angiomi cavernosi sono classicamente descritti
come formazioni ben definite, multilobulate e con aspetto moriforme
o a nido d’ape.
Hanno dimensioni variabili, abitualmente da 1 mm a 1 cm di diametro, ma possono arrivare a dimensioni nettamente maggiori; nel 70%
dei casi si localizzano in sede sovratentoriale (spesso in prossimità di
uno spazio subaracnoideo o dell’ependima ventricolare), ma possono
svilupparsi in tutto il sistema nervoso centrale, compreso il midollo spinale. Nelle forme sporadiche prevalgono le localizzazioni singole (75%
dei casi) mentre nelle forme familiari l’incidenza delle localizzazioni
multiple è dell’80% circa ed è associata a mutazione genetica autosomica dominante. I cavernomi sono sempre stati considerati lesioni malformative congenite, ma esistono casi, provati con certezza, di cavernomi
acquisiti, ritenuti conseguenza di ostruzioni venose/venulari.
È probabile che esista un continuum tra cavernomi, angiomi venosi
e teleangectasie capillari e anche a questo riguardo l’esperienza neuroradiologica indica che in pazienti portatori di una malformazione
vascolare venosa possono comparire successivamente altri tipi di malformazioni venose.
Sulla base della diffusione della RM, la frequenza di riscontro è molto
aumentata e si può affermare che i cavernomi sono per lo più asintomatici e di riscontro occasionale; la sintomatologia può esordire con
crisi epilettiche (37-69%), emorragia (8-24%), deficit neurologici (21%)
e cefalea (8%) e l’evoluzione è variabile con forme che tendono alla
regressione spontanea, altre che si accrescono più o meno velocemente
(per il succedersi di nuove emorragie) e altre ancora in cui si assiste alla
comparsa di nuove lesioni, soprattutto nelle forme familiari.
A
B
C
D
DIAGNOSI
L’esame TC risulta negativo nel 30-50% dei casi per cavernomi di piccole
dimensioni e non complicati da emorragia; quando visibile, il cavernoma
appare come una lesione a margini netti, di morfologia rotondeggiante,
lievemente iperdensa rispetto al parenchima circostante, a densità omogenea o lievemente aumentata nella periferia. Nei cavernomi di maggiori
dimensioni è frequente il riscontro di calcificazioni, che in taluni casi possono occupare la maggior parte della lesione. I cavernomi non complicati
(da emorragia) non causano edema perilesionale e raramente determinano effetto massa (Fig 5.15). La somministrazione di mdc solo raramente
potenzia le lesioni di medie e piccole dimensioni; talora evidenzia le
strutture vascolari venose del cavernoma che possono essere attribuite
a varianti di drenaggio venoso (eventualmente associate). Il sanguinamento dei cavernomi comporta, in fase acuta, aumento della iperdensità,
aumento delle dimensioni complessive ed aumento dei segni a effetto
massa (Fig. 5.16). Si dovrebbe tuttavia cercare di distinguere le emorragie
intralesionali dalle vere e proprie rotture del cavernoma che determinano
sanguinamento extralesionale intracerebrale e possono generare un vero
e proprio ematoma cerebrale; l’ematoma rende difficile la diagnosi di
certezza del cavernoma in fase acuta, sia con la TC sia con la RM.
Il gold standard diagnostico del cavernoma è rappresentato dalla RM e
dall’impiego combinato e comparativo di diverse sequenze; la massima
sensibilità si trova nelle sequenze T2* (suscettibili, GRE e SWI), ma le reali
dimensioni del cavernoma sono meglio dimostrate dalle sequenze TSE/FSE
in cui non si verifica l’espansione determinata dall’effetto paramagnetico.
Sulla base del reperto RM è stata proposta una classificazione in
quattro tipologie, in funzione delle caratteristiche del materiale emorragico intralesionale.
• Tipo 1. Emorragia in una cavità del cavernoma: la lesione
è caratterizzata dalla presenza di emorragia in fase subacuta
in quanto presenta un core centrale costituito da metaemoglobina
(iperintensità nelle sequenze T1, ipo- o iperintensità
nelle immagini T2) e un anello di emosiderina (ipointensità
periferica più grande ed evidente in GRE e SWI) (Fig. 5.15).
Figura 5.15 Voluminoso cavernoma temporale sinistro in paziente
con cefalea. A,C. Le immagini T2 e T1 convenzionali mostrano
l’architettura interna a popcorn del nucleo, costituito da vescicole
ematiche con livelli fluido-fluido nel contesto, espressione del recente
sanguinamento, e l’ipointensità dell’alone periferico di emosiderina.
B. Le immagini T2* dimostrano l’ipointensità di gran parte del nucleo
e la migliore visualizzazione dell’alone periferico di emosiderina per il forte
effetto di suscettibilità magnetica di tali sequenze. D. La lesione mostra
parziale enhancement dopo mdc. Nonostante il volume la lesione è priva
di edema circostante ed esercita solo un minimo effetto massa sul corno
temporale del ventricolo laterale sinistro.
• Tipo 2. Emorragie in varie fasi evolutive: la lesione è caratterizzata
•
•
da un nucleo ben demarcato a intensità di segnale mista
nelle immagini T1 e T2 in relazione alla coesistenza di focolai
emorragici pregressi e recenti, con eventuali calcificazioni
nel contesto (popcorn-like). Il nucleo centrale è circondato
da emosiderina (ipointensità periferica più grande ed evidente
in GRE e SWI) e da gliosi (iperintensità di segnale
nelle immagini T2) (Fig. 5.16).
Tipo 3. Emorragie croniche: la lesione mostra un piccolo core
costituito quasi esclusivamente da piccole aree di emosiderina
(segnale iso-ipointenso nelle immagini T1, ipointenso
nelle sequenze T2 e marcata ipointensità nelle sequenze GRE
e SWI per il forte effetto da suscettibilità magnetica).
Tipo 4. Microemorragie puntiformi: la lesione presenta
dimensioni minute e apparenza simile alle telangectasie; è
costituita da minuti depositi di emosiderina visualizzati come
foci di ipointensità di segnale, visibili solo in T2* (GRE, SWI).
L’uso del mdc, come già detto a proposito della TC, determina enhancement solo parziale e non in tutti i cavernomi; in ogni caso, il mdc
delinea meglio le strutture venose di drenaggio e le eventuali altre
122
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Emorragia subaracnoidea, aneurismi e altre malformazioni vascolari
A
D
B
E
Teleangectasie capillari
B
variabile e pareti sottili, prive di cellule muscolari lisce o fibre elastiche.
A differenza dei cavernomi, tra i vasi della lesione si riscontra tessuto
cerebrale normale interposto e non vi è coesistenza di emosiderina.
Sono normalmente asintomatiche e il loro riscontro è di solito occasionale, senza rischio emorragico (Fig. 5.18). Nei rari casi sintomatici,
si presentano con crisi epilettiche e deficit neurologici; le emorragie
sono comunque eccezionali e si dubita che derivino realmente dalle
teleangectasie.
DIAGNOSI
Le teleangectasie capillari (o angiomi capillari) sono malformazioni
vascolari molto piccole, in genere inferiori al centimetro, angiograficamente occulte. La loro sede elettiva è il ponte (Fig. 5.17), ma possono
comunque essere riscontrate in ogni parte del nevrasse. Istologicamente
sono formate da gruppi di capillari abnormemente dilatati, con calibro
A
|5|
Figura 5.16 Ematoma frontale destro
in paziente affetto da cavernomi
multipli (cavernomatosi). A,B. RM,
immagini assiali T2-TSE e GRE T2*.
Notare come il cavernoma frontale destro
abbia margini di difficile demarcazione,
per la coesistenza della vasta emorragia
(extracapsulare), con vasto edema
vasogenico perilesionale, effetto massa
e compressione sul ventricolo omolaterale
ed ernia subfalcina.C,D. RM, immagini
assiali T2-TSE e GRE T2*. La presenza
del cavernoma non complicato
controlaterale facilita la diagnosi.
E. La TC dimostra sia la marcata
iperdensità dell’ematoma (frecce)
sia la più tenue iperdensità
del cavernoma.
C
malformazioni venose associate (anomalie di drenaggio venoso e
teleangectasie capillari).
Nei cavernomi con reperti RM tipici non esiste alcuna indicazione alla
angio-RM e all’angiografia; l’angio-RM o l’angiografia sono impiegate
solo in fase acuta e/o in caso di emorragie con sospetto di MAV/FAVD.
In questi casi, proprio la negatività dell’angiografia tenderà ad avvalorarne l’ipotesi diagnostica, essendo gli angiomi cavernosi malformazioni
a basso flusso e quindi non visualizzabili angiograficamente.
Capitolo
C
Con la diffusione della RM, la frequenza di riscontro delle telangectasie
capillari è molto aumentata.
La loro diagnosi è quasi sempre presuntiva vista la non indicazione
a effettuare alcun trattamento ed è basata sull’impiego combinato e
comparativo di diverse sequenze.
Figura 5.17 Teleangectasia pontina
tipica, di riscontro occasionale (RM
eseguita per disturbo dell’eloquio
associato a parestesie in emisoma
destro). A. RM assiale, T2-TSE. La lesione
appare iperintensa, senza effetto massa
né edema. B. RM assiale, GRE T2*.
La lesione vira verso la ipointensità
(per l’effetto BOLD da flusso estremamente
lento, che porta a desaturazione
dell’ossiemoglobina a desossiemoglobina).
C. RM assiale T1-TSE dopo mdc. La lesione
va incontro a impregnazione dopo mdc.
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Sezione
A
|1|
Cranio/Encefalo
B
Figura 5.18 Riscontro occasionale
di teleangectasia fronto-parietale
sinistra (paziente con lieve emiparesi
sinistra). Focale area nastriforme
di alterata intensità di segnale in sede
corticale, a cavallo di un solco.
A. RM assiale T2-TSE, in cui l’alterazione
appare iperintensa. B. RM assiale GRE
T2*, con viraggio verso l’ipointensità,
per effetto BOLD. C. RM assiale T1-TSE
dopo mdc, con sfumata impregnazione
lungo il solco.
C
Nei casi non complicati da trombosi o emorragia, le teleangectasie
sono solitamente individuate per una presa di contrasto punteggiata o
a spazzola associata a sfumata iperintensità in T2. Nelle sequenze T1
senza mdc, le teleangectasie sono normalmente isointense al tessuto
circostante (e quindi non visibili), mentre nelle sequenze T2-GRE
appaiono spesso come area di ipointensità secondaria a effetto di su-
scettibilità, verosimilmente per elevato contenuto in deossiemoglobina
dei capillari a lento flusso. La recente introduzione delle sequenze di
suscettività (SWI) ha aggiunto una nuova possibilità che aumenta
sensibilità e specificità della diagnosi: con le immagini SWI, la teleangectasia appare fortemente ipointensa (con ipointensità più marcata
rispetto alle sequenze GRE).
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