qdpd n 5 - Collegio San Giuseppe

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qdpd n 5 - Collegio San Giuseppe
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“Sarebbe bello se ogni popolo allevasse e celebrasse, insieme a
coloro che curano la sua identità, anche quelli che tentano di aprirla
verso l’esterno, che smontano l’idea che la diversità dell’altro coincida con una deformità, un difetto, una mancanza. L’identità è come
una casa e ha quindi bisogno di fondamenta sulle quali appoggiare
il peso della vita di ogni giorno, richiede sicurezze e ripetizione. Ma
le case possono essere molto diverse: ci sono quelle in cui non ci sono
né porte né finestre e nessuno può entrare o uscire, e ci sono quelle
in cui ci sono arrivi e partenze, con vasti cortili per parlare, con
grandi finestre sul mondo e sul cielo, con porte che fanno circolare
l’aria e le persone. Per questa ragione è nobile lo sforzo di chi sa andare ai propri antipodi, di chi non rimane chiuso nei propri confini.”
Franco Cassano, Modernizzare stanca, Bologna 2001 p.18
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Quaderni
demerodiani
di
Pedagogia
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Didattica
Lo straniero
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Quaderni demerodiani di
Pedagogia e Didattica
Perché questi Quaderni
Questa che sta muovendo i primi passi non è la solita rivista per insegnanti ma uno spazio in cui colleghi che credono nella propria vocazione
di educatori-docenti mettono in comune esperienze, proposte, convinzioni, percorsi, tracciati, tentativi riusciti, contributi, domande e attese,
nel loro fare scuola.
Confrontarsi e condividere idee e metodi, contenuti e strategie è utile
soprattutto a coloro che scrivono e raccontano il loro vivere la scuola. La
comune ispirazione a principi pedagogici e strategie didattiche ha suggerito a coloro che hanno aderito al progetto la voglia di realizzarlo e di
proporlo a colleghi disposti a prendere parte all’Avventura.
“Quaderni demerodiani di Pedagogia e Didattica” può essere uno
strumento spendibile nella quotidianità didattica, offrendo materiale articolato in moduli ed aperto ad una duttile interazione con la programmazione curricolare del docente che alle esperienze dei colleghi può
attingere senza rinunciare al proprio originale apporto educativo.
Lo spirito di questa “non-rivista” è quello di un forum, di un franco
confronto e reciproco scambio che permette a chiunque di offrire il proprio contributo in nome della comune missione di educare con e nella
offerta culturale della prassi didattica.
Il termine “quaderni” vuole suggerire proprio questa operosità quotidiana e non presuntuosa di essere educatori lasalliani. Lasalliani, cioè
che incarnano nella loro missione presso i giovani il carisma e la tradizione plurisecolare di S.G.B. de La Salle, in cui il progetto pastorale e la
promozione culturale costituiscono un unicum irrinunciabile per chi considera il proprio insegnamento come “missione” e “missione condivisa”
con i colleghi e compagni di viaggio.
Il Direttore Editoriale
Fratel Pio Rocca
(dalla presentazione del N° 0 Giugno 2008 )
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Quaderni demerodiani di
Pedagogia e Didattica
“Et ego ideo adulescentulos existimo in scholis stultissimos
fieri quia nihil quae in usu habemus aut audiunt aut vident”.
(Petronio Satyricon I, 3)
Credo che i ragazzi perdano molta della loro intelligenza
in una scuola dove non hanno alcun contatto con la vita reale.
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Quaderni demerodiani di
Pedagogia e Didattica
Rivista semestrale di cultura scolastica lasalliana
Anno III – N° 1 Giugno 2010
Lo straniero
ALBERTO TORNATORA
Lo straniero (l’altro, l’ospite, il nemico)
SCUOLA PRIMARIA
LETIZIA FALLANI
Profumo di spezie
Accogliamo il bambino straniero
SCUOLA SECONDARIA DI SECONDO GRADO
MICHELE BARILE, EDUARDO CIAMPI
L’importanza dell’altro attraverso il pensiero di John Donne
BEATRICE CHIAPPONI
La Vita Columbae di Adomnán: un punto di vista sul mondo insulare
ANNA LISA MALATESTA
Il volto dell’altro: persona e comunità
MARINA PESCARMONA
Gli unici veri stranieri: gli E.T.
CHIARA RAMPONI
L’immagine dello straniero in Erodoto
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Quaderni demerodiani di
Pedagogia e Didattica
riscontri
ANDREA TESTA
Le radici della moralità nel Decameron
MARCO CILIONE, ELISABETTA SALVATORI
Il cammino della carità cristiana: da Santa Giacinta Marescotti Ruspoli
a Don Luigi Di Liegro
scholastica
ALBERTO TORNATORA
L’insegnamento del latino al liceo scientifico: una aporia della Riforma
MARCO CILIONE, ELISABETTA SALVATORI, ANDREA TESTA
Nemo propheta in patria
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Quaderni demerodiani di
Pedagogia e Didattica
Lo straniero
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Lo straniero
La distanza che ci separa dallo straniero
è quella stessa che ci separa da noi.
Edmond Jabès
Lo straniero
(l’altro, l’ospite, il nemico)
ALBERTO TORNATORA
La letteratura di tutti i tempi mostra il personaggio dello straniero attraverso
molteplici forme: nella Bibbia, ad esempio, Abramo si riconosce straniero tra gli
Ittiti (Gen. 23,4), Mosè è straniero in terra d’Egitto (Es. 2,22) e dà al suo primo
figlio il nome di Ghersom che nella etimologia popolare significa “straniero
in quel luogo”. Gli stessi ebrei si riconoscono già nel nome quali stranieri: ‘ibri
significa “colui che abita aldilà della frontiera”. Nell’Odissea è Ulisse lo straniero
che naufraga sull’isola di Scherìa presso i Feaci ed è accolto da Nausicaa, così
come nel ritornare a Itaca si finge straniero con l’aiuto di Atena per riconquistare
la sua casa e gli affetti familiari.
Lo straniero fuori dagli schemi letterari è colui che viaggiando incontra
diverse comunità umane che hanno specifiche tradizioni culturali e istituzioni
sociali con le quali si trova a confronto: dal suo punto di vista il viaggio è l’esperienza di un percorso di sopravvivenza e conoscenza, mentre dal punto di vista
della comunità “visitata” la sua è una presenza che può mettere in discussione
l’identità sociale e dare origine ad azioni di autodifesa causate dalla presunta
minaccia rappresentata dallo straniero il quale, a priori, è accompagnato da
stereotipi negativi. Il suo apparire suggerisce innanzitutto, prima ancora della
curiosità di sapere chi è e che cosa fa, la domanda sulla sua provenienza e sulle
sue intenzioni: da dove viene e che cosa vuole.
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Pedagogia e Didattica
Alberto Tornatora
Dall’avverbio latino extra “fuori” (da cui esterno, estraneo, strano) straniero
è chi non appartiene al nostro spazio geografico, al nostro orizzonte culturale,
alla nostra etnia. La lingua latina adopera il termine hostis che indica lo straniero
nella sua possibile duplice identità di nemico e di ospite: la complementarietà
tra le nozioni di “ospite” e di “straniero” è suggerita dalla stessa ambiguità della
parola hostis che, tra diritti ed obblighi articolati in un rapporto di reciprocità,
delinea anche la figura dell’hospes.
Il termine greco xenos che definisce lo straniero trae anch’esso origine dalla
idea di ospitalità reciproca. Il patto di xenìa (ospitalità) legava lo straniero –
ospite a colui che lo ospitava, al padrone di casa; era questo un patto reversibile
cui dimostrano di essere legati nell’Iliade il greco Diomede ed il licio Glauco
(Il. VI, 212-236): quando Diomede viene a sapere che Glauco, suo diretto avversario, discende da un antico ospite della sua famiglia invita il giovane a deporre
le armi e a rinnovare il patto di xenìa con lo scambio delle armi nella conferma
della validità di un legame più forte della guerra. Nello scambio Glauco cede la
sua armatura d’oro e riceve da Diomede armi di bronzo: l’evidente insensatezza
in termini economici dello scambio (il valore di cento buoi contro nove come
Omero precisa) è la conferma della potenza del legame stabilito dall’ospitalità
in cui risalta la superiorità del valore morale del gesto.
Platone nelle Leggi (V,729e) raccomanda di non commettere colpe verso gli
stranieri nei confronti dei quali bisogna invece mantenere gli impegni più santi:
ogni mancanza verso l’ospite straniero, rispetto a quella commessa nei confronti
di un concittadino, diventa una gravissima mancanza verso un dio vendicativo
perché “lo straniero essendo privo di amici, desta maggiore compassione e negli uomini
e negli dei, e chi ha maggiore potere di vendicarlo lo soccorre con più ardore, specialmente
il genio protettore o dio degli stranieri che accompagna Zeus Xenios.”
Il Nuovo Testamento descrive la figura di Gesù Cristo come quella di colui
che ha vissuto presentandosi come “altro”: per la sua famiglia era stato il bambino troppo vivace, per i sacerdoti e i maestri della legge era il pericoloso galileo,
tra i suoi concittadini era sentito come nemico ed estraneo. La sua “stranierità”,
secondo l’espressione suggerita da Enzo Bianchi, trae origine dalla natura della
sua stessa missione che è quella di annunciare il Padre celeste e i suoi comportamenti, così come le sue parole, non sono compresi: alla fine dei tempi quando il
mondo vedrà il suo definitivo ritorno (la parusìa) Gesù ricorderà agli uomini la
sua peculiare identità di straniero “… ero straniero e mi avete ospitato.” (Mt. 25,35)
Anche i cristiani hanno fatto esperienza di stranierità a cominciare dalle prime
comunità di credenti che dovettero affrontare la diffidenza e l’ostilità da parte
della società del tempo (giudei e pagani) che male sopportava per ragioni di12
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Lo straniero
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verse la loro “differenza”; nel confrontarsi con le tradizioni della religiosità e
della mentalità pagana, ad esempio, le fede esclusiva dei cristiani nell’unico Dio
impediva loro di integrarsi nel tessuto sociale ed era sufficiente motivo di sentimenti di ostilità e avversione che culminavano in violente persecuzioni. Un
brano tratto dalla Lettera a Diogneto (un testo in lingua greca del secondo secolo)
è una chiara testimonianza di come i cristiani concepissero il loro rapporto con
le istituzioni e la cultura dominante del tempo:
“Abitando nelle città greche e barbare, come a ciascuno è toccato, e uniformandosi
alle usanze locali per quanto concerne l’abbigliamento, il vitto e il resto della vita quotidiana, mostrano il carattere mirabile e straordinario, a detta di tutti, del loro sistema di
vita. Abitano nella propria patria, ma come stranieri, partecipano a tutto come cittadini,
e tutto sopportano come forestieri; ogni terra straniera è loro patria e ogni patria è terra
straniera. (…) Dai giudei sono combattuti come stranieri e dai greci sono perseguitati,
ma chi li odia non sa spiegare il motivo della propria avversione nei loro confronti. (…)
I cristiani abitano nel mondo ma non sono del mondo. (…) vivono come stranieri fra ciò
che è corruttibile, mentre aspettano l’ incorruttibilità celeste.” (V, 4-5; 17; VI , 3; 8 trad.
di Sergio Zincone)
Nei Petits Poèmes en Prose (L’étranger) Baudelaire descrive l’incontro con uno
straniero il quale, a chi gli domandava cosa amasse in particolare, rispondeva
guardando il cielo: “Amo le nuvole… le nuvole che passano… laggiù… laggiù…
le meravigliose nuvole!” (J’aime les nuages... les nuages qui passent... là-bas... là-bas...
les merveilleux nuages !) L’orizzonte del cielo nella sua costante mutevolezza sostituisce nel cuore dello straniero l’orizzonte terrestre popolato da una umanità
troppo spesso a lui ostile e questo deve essere il motivo per cui i suoi occhi si
sollevano dalle miserie quotidiane verso l’azzurro deserto dove corrono le nuvole. Mohammed Sceab, giovane egiziano emigrato all’inizio del secolo scorso
in Francia con l’amico fraterno Giuseppe Ungaretti, non riuscì ad alzare lo
sguardo e si suicidò a Parigi: il dramma di Mohammed, che provò persino a
cambiare il nome in Marcel per sopravvivere al suo dolore esistenziale, sembra
essere la tragica testimonianza di una mancata integrazione.
La riflessione sullo straniero oggi non può prescindere dalla necessità di acquisire la consapevolezza che certi assetti culturali finora considerati indiscutibili
devono essere ripensati alla luce del confronto ineludibile tra diverse culture e
sensibilità, tra “appartenenza e differenza, solidarietà e diversità, convivenza civile e alterità” (cfr. E. Bianchi, La fatica del dialogo, Reset marzo – aprile 2001).
D’altronde è la stessa parola di Dio che indica il pusillus grex dei cristiani come
comunità di “stranieri e pellegrini” (I Pt. 2,11) a suggerire di vivere nella dimensione dell’ascolto, dell’incontro e della comunione dove l’essere cristiani corrisponde a vivere tra gli uomini, con gli uomini. Ha scritto Jean Danielou:
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Pedagogia e Didattica
Alberto Tornatora
“La civiltà ha fatto un passo decisivo, forse il passo decisivo, il giorno in cui
lo straniero, da nemico (hostis) è divenuto ospite (hospes)… Il giorno in cui nello
straniero si riconoscerà un ospite, allora qualcosa sarà mutato nel mondo.” (Pour
une théologie de l’hospitalité, in “La vie spirituelle” 367, 1951, p.340)
Per una bibliografia aggiornata e per l’approfondimento di alcuni temi si vedano: AA.VV., Hospes Il volto dello straniero da Leopardi a Jabès, Venezia 2003
(a cura di A. Frolin); E. BIANCHI, Ero straniero e mi avete accolto, Milano 2006;
R. CESERANI, Lo straniero, Bari 1998; U. CURI, Straniero, Milano 2010.
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Profumo di spezie...
Strumenti per la didattica modulare nella scuola primaria
Percorso Tematico
Profumo di spezie.
Accogliamo il bambino straniero
LETIZIA FALLANI
“Quest’ anno ho un nuovo alunno, straniero, che si aggiunge agli altri 25, italiani.
Sarà accettato? Riuscirà ad integrarsi con gli altri?
Riuscirò a farmi capire? Riuscirà a capirmi? Entreremo in sintonia?”
Domande che ogni insegnante di scuola primaria, sempre più spesso, si fa al
suono della campanella di inizio anno scolastico. Il numero dei bambini stranieri,
nella primaria, conosce oggi una crescita “fisiologica” costante e significativa. È
bene quindi che a questi bambini siano riservati, dalla scuola, attenzioni, proposte e dispositivi per iniziare in maniera positiva ed efficace il loro cammino
d’integrazione. L’insegnante sa che ogni bambino va considerato innanzi tutto
come persona, con una sua storia: quando entra in aula e diventa scolaro non si
spoglia della sua cultura familiare e comunitaria. La scuola può assolvere il suo
compito culturale e formativo non ignorando la vita dei bambini venuti da fuori
e creando un legame fra le due culture. Il curricolo può riflettere e accogliere
molti elementi della cultura in cui ognuno di questi bambini vive.
Il primo ostacolo da tener presente e cercare di risolvere è la diffidenza verso
chi non si conosce. La diffidenza è naturale e riguarda anche i bambini. Può succedere che l’inserimento del nuovo, in più straniero non sia accettato dagli altri
compagni, a prescindere dal comportamento corretto o scorretto di questo. La
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Pedagogia e Didattica
Letizia Fallani
diffidenza non è legata a qualcosa di effettivamente riscontrabile in lui ma ad
una emulazione dell’atteggiamento degli adulti di riferimento, i genitori, o il
contesto sociale . La diffidenza può diventare pregiudizio.
Nell’epoca infantile la formazione del pregiudizio è inevitabile perché il bambino deve fronteggiare molte situazioni diverse e quindi comincia ad organizzare la realtà in categorie, raggruppando ciò che è uguale e ciò che è diverso
(genere, razza, etnia…). Con gli otto anni di età le capacità cognitive acquisite,
la strutturazione del mondo fisico e sociale, lo rendono più flessibile e più capace
di considerare oltre alle somiglianze anche le differenze dei nuovi stimoli che
aggiunge alle categorie preesistenti. Sviluppa la capacità di classificazione multipla, divide le persone in più categorie simultaneamente e in modo più flessibile.
Di fronte ad un bambino immigrato o diverso, gli altri bambini autoctoni provano naturale diffidenza, derivante anche dal contesto sociale.
Quando un bambino straniero entra in una classe si troverà di fronte una
realtà che influenzerà la sua integrazione:
- l’età dei compagni e il loro sviluppo cognitivo;
- la capacità comunicativa sua e dei suoi compagni ;
- il livello d’impegno che la Scuola rivolge verso un’educazione multiculturale;
- gli interessi che accomunano tutti i bambini: sport, giochi, letture…
Potrebbe incontrare degli ostacoli:
- non accettare se stesso perché si sente rifiutato dai compagni come diverso;
- tendere all’isolamento nonostante venga ricercato;
- avere un carattere introverso, suscettibile, fragile che gli crea disagio.
La scuola e l’insegnante possono proporre atteggiamenti e metodi capaci di
rieducare i bambini:
- a ristrutturare il loro modo di percepire e giudicare l’immigrato o il diverso
- a costruire insieme un percorso comune di amicizia e di collaborazione.
L’attività che proponiamo riguarda la tavola, i cibi e in particolar modo le spezie,
ingredienti preziosi, provenienti da paesi lontani, che nel corso della storia
hanno arricchito le nostre pietanze di profumi inconfondibili.
Oggi l’alimentazione è uno dei mezzi più diretti per conoscere le culture
“altre”, la loro economia, lo stato di sviluppo e sottosviluppo, i prodotti, i precetti
religiosi, i momenti di festa.
L’argomento offrirà l’occasione per parlare del paese d’origine del bambino
immigrato, delle sue tradizioni. Si valorizzerà così la sua cultura agli occhi dei
compagni, suscitando il rispetto reciproco e la collaborazione.
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Profumo di spezie...
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Destinatari: IV – V classi della scuola primaria
Prerequisiti:
Conoscenza del planisfero, dei continenti, dei principali paesi originari delle
spezie.
Linea del tempo per collocare periodi e personaggi storici
Percorso:
CONOSCERE ESPLORARE
Su un planisfero si individuano i continenti e i principali paesi da cui provengono le spezie.
Sulla linea del tempo si presentano i principali periodi storici e, a grandi
linee si racconta la storia delle spezie e i personaggi storici legati ad esse. Si presentano i grandi esploratori che per primi sono venuti a contatto con questi
preziosi prodotti.
TOCCARE ANNUSARE
Si sceglie un ambiente adeguato, comodo, dove si possono far mettere i bambini seduti a terra, in cerchio. Si possono invitare anche i genitori, soprattutto
gli stranieri.
Ognuno avrà portato un sacchettino con una spezia e qualche informazione
relativa alla pianta d’origine e al paese di provenienza. Tutti potranno toccare,
annusare le spezie, conversare sulle loro caratteristiche.
Gli alunni disegneranno poi i prodotti su cartoncini che verranno sistemati
su un planisfero (di Peters), in corrispondenza dei paesi d’origine.
PREPARARE UN RICETTARIO INTERCULTURALE
Si reperiscono ricette di paesi lontani che hanno tra gli ingredienti le spezie
utilizzando: internet, libri ,ricettari, interviste ai genitori, menù di ristoranti
etnici… Si crea un ricettario interculturale da distribuire alla fine a tutte le
famiglie degli alunni.
Divisi gli alunni in gruppi, ad ognuno si può assegnare lo studio di una
spezia e del paese d’origine.
Ciascun gruppo comporrà un ricettario, su cartoncini che da un lato hanno
la ricetta, dall’altro le curiosità sulla cucina di quel paese. Questo lavoro può
essere svolto anche nel laboratorio d’informatica.
È un buon esercizio per riconoscere e saper utilizzare il testo regolativo.
Successivamente ci si può cimentare, a casa o a scuola (se dotata di una
cucina), nella preparazione di una ricetta che verrà gustata e commentata
insieme.
Si può far riferimento ai testi sacri se si vuol inserire il discorso dell’acco17
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Pedagogia e Didattica
Letizia Fallani
glienza in contesto più specificatamente religioso, leggendo alcuni brani della
Bibbia.
Strategia didattica:
- Lezione frontale per le spiegazioni storiche, geografiche.
- Proiezione di un Power Point, o di un documentario, o visione di immagini
stampate.
- Attività in cerchio per toccare e annusare.
- Ricerche individuali o di gruppo sulle spezie e sulle ricette.
- Produzione di testi regolativi e disegni.
- Preparazione di uno o più piatti delle varie parti del mondo.
- Commento sul valore del cibo nelle varie culture del mondo, valorizzando
in particolar modo la cultura degli alunni stranieri della classe.
Strumenti:
- Power Point e computer o documentario, o immagini.
- quaderno, fogli da disegno, cartoncini.
- cartellone di sintesi.
- Bibbia.
OBIETTIVI
Favorire le relazioni interpersonali basate sulla conoscenza reciproca.
Favorire lo scambio e l’interazione.
Recuperare i rapporti scuola-famiglia.
Utilizzare percorsi di vario tipo per integrare i vari linguaggi: simbolico, iconico, sonoro.
Favorire le relazioni empatiche.
Promuovere un atteggiamento multietnico attraverso la conoscenza di altre
realtà sociali.
Testi di Riferimento:
- Dionigi Tettamanzi: Il dovere dell’accoglienza.
- Lezione - Mazzara, B.M.: Appartenenza e pregiudizio. Psicologia sociale
delle relazioni interetniche, Roma La nuova Italia Scientifica 1996.
- A.A.V.V.: Storia delle spezie ricettario, Mondadori 1976.
Verifica:
Questionario storico geografico sulle informazioni ricevute e sul valore delle
diverse culture.
Disegni che illustrano alcune fasi importanti della storia.
Testo regolativo di una ricetta speziata.
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Profumo di spezie...
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DOCUMENTI
LE SPEZIE: UNA STORIA AVVENTUROSA
Piccanti o aromatiche, queste merci speciali hanno scritto la storia: si potevano
comprare solo con l’oro, dopo interminabili viaggi. L’etimologia della parola
“spezie” spiega tante cose: deriva dal latino “species” cioè derrate alimentari,
ma vuol dire anche merce speciale e di valore. Successivamente indicherà specificatamente le droghe, gli aromi e in particolare i medicinali. Infatti per molto
tempo i farmacisti sono stati chiamati speziali.
Il primo dato storico certo si trova nel “Digesto” dell’imperatore Giustiniano,
dove in una parte che riguarda il commercio con l’Oriente, sono elencati 55 articoli soggetti a dazio di importazione. Ai primi tre posti troviamo la cannella,
il pepe lungo e il pepe bianco, insieme a perle, smeraldi, diamanti, lapislazzuli,
pellicce babilonesi, vesti di seta, leoni, leopardi ecc.
I problemi di rifornimento con l’Oriente erano enormi. Via terra, le merci
arrivavano a dorso di cammello, via mare, le navi sfruttavano i monsoni per
giungere prima e poiché le distanze erano enormi i rifornimenti erano aleatori.
Navi veloci di egizi, greci e più tardi romani permettevano di portare, dal leggendario paese di Ophir, il misterioso oriente, le spezie, gli aromi della “terra
divina”. Più tardi alcuni merci dell’Estremo Oriente seguirono la “via della seta”,
dal Mar Nero (Ponto Eusino) fino al Mar Mediterraneo. Invece i commercianti
cinesi portavano le merci fino in Asia Centrale dove s’incontravano con i greci
per le contrattazioni.
Nel mondo antico le spezie erano diventate un elemento indispensabile per
gli scambi commerciali. Togliere il pepe dalla mensa non voleva dire solo cambiare il sapore della mensa ma, soprattutto bloccare l’ingranaggio commerciale.
Nel Medioevo le spezie diventano rare anche se non persero d’importanza:
le imposte si potevano riscuotere in… grani di pepe. Sempre il pepe figurava tra
i tributi dovuti, dai vassalli ai loro signori.
Il pepe era uno “status simbol”, tanto che in Francia c’era l’abitudine (abolita
dalla Rivoluzione Francese) di offrire delle spezie, soprattutto pepe, ai giudici
per ingraziarseli.
Si può calcolare che nel Medioevo una libbra di pepe o di zenzero costasse
quanto un montone. Ma il Cattolicesimo mortificò e colpevolizzò l’uso delle spezie: i crociati le consideravano misteriose, di origine sovrannaturale, mentre i
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Pedagogia e Didattica
Letizia Fallani
Veneziani, più goderecci continuarono ad usarle e inventarono anche una costosissima droga, i “grani di Paradiso”.
I GRANDI VIAGGIATORI
Marco Polo aprì le porte dell’Asia e raccontò, nel Milione, la storia delle spezie: “Sulla riva del Mar Oceano c’è una città dedita a grandissimo commercio
che si chiama Cormos (Ormuz) e che ha un porto. Qui vengono i mercanti dell’India con le loro navi cariche di spezie, di pietre preziose,. Ed essi li vendono
ad altri mercanti che li trasportano per l’universo mondo”.
Cristoforo Colombo, parlando di Juana (Cuba) , diceva: “…ha molte spezie
e delle grandi miniere d’oro ed altri metalli… Io credo d’aver trovato rabarbaro
e cannella”.
Vasco de Gama, cinque anni dopo Colombo, partì alla scoperta del Giappone.
Approdò invece sulle coste di Malabar e vi soggiornò per diversi mesi. Prima
di ripartire fece sottoscrivere dal Raja di Calicut (Calcutta) questo documento
per il re del Portogallo: “Vasco de Gama, gentiluomo della tua Casa, è venuto
nel mio paese e mi ha recato piacere. Nel mio paese abbondano la cannella, i
chiodi di garofano, le pietre preziose. Quel che io aspetto dal tuo paese è oro ed
anche corallo e porpora.” Come si legge negli scambi commerciali l’oro è abbinato alle spezie.
Magellano (siamo nel XVI secolo) aprì le vie degli Oceani e le Molucche diventarono addirittura le “Isole delle spezie”.
I Portoghesi nel frattempo si erano impadroniti delle più importanti e ricche
colonie del Nuovo Mondo. Importavano le merci più preziose, comprese naturalmente, le spezie e usavano come intermediari gli Olandesi.
Ma a questi non sfuggì l’importanza di veicolare tale commercio e, da intermediari, si trasformarono in importatori diretti. Eravamo nel 1619 a Giava: un
gruppo di Olandesi fondò la Compagnia delle Indie Orientali, da subito organizzatissima e intraprendente così da moltiplicare in poco tempo le filiali in
tutto l’Oriente. Ma troppa cupidigia, rivolte e repressioni resero, presto, le sue
fortune effimere e, tra il 1781 e il 1782, gli Inglesi sferrarono agli Olandesi il
colpo di grazia. L’Inghilterra diventò la nuova padrona delle spezie e ne detenne
il monopolio sino al XX secolo, alla fine del suo impero.
LO SAPEVATE CHE?
- In Cina un medico avrebbe avuto scarso credito se non avesse prescritto
cannella come medicinale.
- Niccolò Conti, veneziano, fu il primo a farsi rivelare dagli Arabi la patria
di origine dei chiodi di garofano.
- Dai semi di coriandolo canditi, presero il nome i coriandoli di Carnevale.
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Profumo di spezie...
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SAPER USARE BENE LE SPEZIE
Tutte le spezie hanno proprietà digestive e stimolanti, ma se utilizzate in eccesso queste stesse proprietà diventano negative.
Il sapore delle vivande, nella giusta dose di spezie viene esaltato, ma appena
si supera questa dose viene inevitabilmente rovinato.
PAESE CHE VAI SPEZIA CHE TROVI
Cannella - Ceylon
Chiodi di garofano - Indonesia
Curry - India
Noce moscata - Brasile
Pepe - Cina
Peperoncino - Ungheria
Senape - America del Nord
Vaniglia - America Centrale
Zafferano - Italia (Abruzzo)
Conclusione
La preparazioni del le ricette, a casa o a scuola, sarà l’occasione per gustare
prelibati piatti tutti insieme, genitori, alunni e insegnanti per una giornata di
festa e di condivisione.
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Letizia Fallani
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L’importanza dell’altro...
QdPD 1 (2010)
Strumenti per la didattica modulare della lingua inglese
Percorso Tematico
“If I should die, think only this of me:
That there is some corner of a foreign fields
That is for ever England.”
R. Brooke ‘1914 and Other Poems’
L’importanza dell’altro
attraverso il pensiero di John Donne
EDUARDO CIAMPI (introduzione filosofico-letteraria)
MICHELE BARILE (programmazione linguistico-didattica)
Destinatari: III Liceo Scientifico – I Liceo Classico.
Prerequisiti: conoscenza generale della biografia dell’autore, del periodo storico
in cui visse e delle sue opere.
Percorso: si prenderanno in esame alcune opere letterarie e saggi, per analizzare
i concetti di ‘altro’, (Erich Maria Remarque Niente di nuovo sul fronte occidentale),
di ‘estraneo’, (Thomas Merton Nessun uomo è un isola,) di ‘prossimo’e di ‘universalità
(Bede Griffiths, Il Cristo Universale, John Donne, Meditazione XVII).
Si effettueranno questionari (tasks) a risposta sintetica, per l’analisi dei testi.
Costituirà parte integrante dell’unità didattica la composizione di un tema
che gli studenti svolgeranno sulle problematiche affrontate in questo percorso.
Tutto il modulo sarà realizzato in lingua inglese.
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Pedagogia e Didattica
Eduardo Ciampi - Michele Barile
Strategia didattica:
- lezione frontale, lettura di passi significativi dei testi scelti; analisi e commento; lezione interattiva.
Strumenti:
- testo in adozione, testi integrativi suggeriti dal docente
- registratore
- lavagna
- dizionario di lingua inglese
OBIETTIVI
Conoscenze Tematiche:
L’esistenza umana intesa come capacità di relazionarsi con gli altri.
Imparare a conoscere l’altro come un ‘soggetto’ che Dio ama e come immagine medesima di Dio.
Il concetto di uguaglianza visto come prerequisito essenziale per rispondere
al progetto di Dio.
Competenze:
Saper cogliere, attraverso la lettura dei testi, i valori essenziali che ci permettono di vedere noi stessi negli altri.
Saper discutere sui temi di socialità, disponibilità, dedizione e libertà.
Saper individuare la differenza tra ‘egocentrismo’ ed ‘altruismo’.
Testi di riferimento:
“Meditazione XVII” di John Donne.
“I Have a Dream” discorso di Martin Luther King.
Testi di supporto bibliografico:
Bede Griffiths: Il Cristo Universale, Quiriniana, 1996.
Thomas Merton: Nessun uomo è un’isola, New York 1955.
Erich Maria Remarque Niente di nuovo sul fronte occidentale, Osnabrück, Lower
Saxony 1929.
F. De André La guerra di Piero, canzone 1969.
Ernest Hemingway: Per Chi Suona la Campana(For Whom the Bell Tolls) Spain,
1940.
Verifica
I questionari a risposta sintetica e l’acquisizione di un linguaggio letterario
più specifico consentiranno agli alunni di fare un elaborato scritto in lingua in-
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L’importanza dell’altro...
QdPD 1 (2010)
glese, con un numero limitato di parole, che riguarda uno dei temi affrontati durante l ‘unità didattica.
Discussione delle prove.
Durata: sei ore, di cui quattro per le verifiche.
Lesson 1 –
L’esistenza umana intesa come capacità di relazionarsi con gli altri.
Obiettivo: attraverso la lettura della vita di Donne e della sua Meditazione XVII,
imparare a comprendere che nessun uomo è solo e che tutti siamo uniti in Dio e nella
Sua Chiesa.
Questa idea di unità in Dio Padre ci consente, di conseguenza, di guardare l’altro
come nostro fratello.
Metodo:lezione frontale, ascolto dal registratore.
Durata: 2 ore, una dedicata al questionario task 1.
INTRODUZIONE
Senza relazione la vita non ha senso: l’uomo ha infatti bisogno di un suo simile.1 Il bene è relazione con l’altro, e ogni volta che ciò viene a mancare o a fallire, a causa dall’incapacità degli uomini a rapportarsi, ecco che si prospetta una
vera e propria catastrofe esistenziale e cosmica. Nel lungo e doloroso percorso
di auto-conoscenza, durante il quale si giunge faccia a faccia col proprio egoismo, non ci si può non rendere conto di quanto sia fondamentale la necessità di
relazionarsi all’altro, con l’estraneo, e la volontà a farlo su base quotidiana e in
spirito d’amore. Infatti, senza l’altro nessun dialogo è possibile,2 nessuna condivisione, nessuna comprensione, nessuna compassione si realizza (il prefisso,
nonché preposizione di derivazione latina, cum implica infatti, necessariamente,
una relazione ‘con’ l’altro). È urgente scoprire l’altro come un tu e non come un
non io, come soggetto, e non come oggetto. Ecco quindi che l’insegnamento di
Cristo di amare il prossimo come se stessi, assume il significato di amarlo come
parte di se stessi.
Ma chi è l’altro, chi è questo prossimo di biblica memoria? In fin dei conti
non c’è bisogno di andare lontano per trovarlo; lo abbiamo molto più vicino di
quanto possiamo immaginare, all’interno della famiglia, nella stessa classe scolastica, nel medesimo ufficio: è lì, accanto a noi, a disposizione dell’amore che
gli vorremo donare. Dunque l’estraneo non è necessariamente l’extracomunita-
1
Genesi: 2, 18.
Non è casuale che il dialogo sia stato nella storia della filosofia classica il mezzo più idoneo
per un’efficace acquisizione cognitiva.
2
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Pedagogia e Didattica
Eduardo Ciampi - Michele Barile
rio o lo sconosciuto che incontriamo per strada, ma può essere anche colui che
ci è apparentemente molto più vicino.
La distinzione in razze, genti, e quindi in villaggi, città, regioni e nazioni, ha
portato necessariamente a vedere come altro colui che non apparteneva alla propria comunità, di qui la diffidenza, i contrasti, e lo scontro che ha prodotto a
lungo e medio termine un vero e proprio odio tra popolazioni differenti, nonché
la volontà, non a relazionarsi, ma a imporsi con la forza sui di lui. L’orrore delle
guerre che ancora insanguinano il nostro pianeta stanno a mostrarcelo; anche
se spesso sono le stesse guerre a mettere a nudo - a chi ha ancora occhi per vedere - che l’altro, l’estraneo, il nemico, in realtà è uno come noi.3
Il monaco benedettino Bede Griffiths (Il Cristo universale) ci fa notare:
Noi diventiamo sempre più noi stessi man mano che entriamo maggiormente in relazione con gli altri. Non perdiamo noi stessi, ma perdiamo il nostro senso di separazione
e di divisione.
Nella misura in cui l’uomo diventa consapevole dell’immagine divina impressa sull’anima di ogni essere umano, ecco che l’incontro e la conoscenza dell’altro significa un incontro e una conoscenza di Dio. Oggi, necessariamente,
l’attenzione all’estraneo implica anche la condivisione di un serio percorso di
dialogo ecumenico ed interreligioso che possa puntare a un recupero della profondità di ogni autentica religione.
Essere ascoltati, tenuti in considerazione, e amati dall’altro porta a riscoprire
in sé la propria dignità di essere umano fatto ad immagine divina, e stimola attraverso uno scambio reciproco di tali attenzioni - al recupero della somiglianza, smarrita dopo la Caduta.
Thomas Merton (Nessun uomo è un’isola) conferma la medesima profonda intuizione:4
3 Erich Maria Remarque, scrittore tedesco del XX secolo, nel suo romanzo Niente di nuovo sul
fronte occidentale descrive un episodio di guerra di trincea dove il personaggio principale del romanzo, per la prima volta, vede da vicino l’agonia e la morte di un essere umano, un nemico che
egli stesso ha ucciso. Da questo testo emerge con chiarezza il fatto che il nemico, l’altro è soltanto
un’idea indotta da chi vuole guerre e odio, quando in realtà si tratta di un uomo come noi, si tratta
di un fratello. Una simile tematica traspare anche da una canzone del cantautore italiano Fabrizio
De André: ‘La guerra di Piero’.
4 In Tempo di celebrazione lo stesso Merton aggiunge: “Le vite di tutti gli uomini sono inestricabilmente intrecciate fra loro, e la salvezza o la dannazione delle anime è implicata in questa inevitabile ‘comunicazione’ di libertà individuali. O ci amiamo e ci aiutiamo gli uni gli altri, o ci
odiamo e ci combattiamo, nel quel caso saremo gli uni un inferno per gli altri.”
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L’importanza dell’altro...
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La verità è che chi devo amare nel fratello è Dio stesso, vivente in lui. Devo cercare
la vita dello Spirito che spira in lui. […] La pazienza che ho con loro è la pazienza che
Egli ha con me, il mio amore per essi è il Suo amore per me.
Il titolo del famoso saggio di Merton - Nessun uomo è un’isola - ci porta all’autore che è stato scelto per sviluppare la presente unità didattica: John Donne.
Dalla sua Meditazione XVII è stato infatti tratto il titolo originale (No man’s an island).5 Il poeta metafisico inglese del XVII secolo, dinnanzi al tema della morte
di un nostro simile pone degli stimolanti interrogativi sull’importanza essenziale
dell’altro, e quindi di colui che appare estraneo alla nostra vita:
No man is an island, entire of itself; every man is a piece of the continent, a part of the main.
If a clod be washed away by the sea, Europe is the less. […] Any man’s death diminishes me, because I am involved in mankind, and therefore never send to know for whom the bells tolls; it
tolls for thee.6
JOHN DONNE (1572 – 1631)
John Donne was born in London, England, into a Roman Catholic family at
a time when open practice of that religion was illegal in England. He was a student in Oxford and Cambridge, but he was unable to obtain a degree from either
institution because of his Catholicism. By the age of 25 he was appointed chief
secretary to the Lord Keeper of the Great Seal, Sir Thomas Egerton. During the next four
years he fell in love with Egerton’s niece Anne More, and they were married in
1601: this ruined his career and earned him a short stay in Fleet Prison. Donne was
released when the marriage was proven valid. During this time Donne wrote,
but did not publish, Biathanatos, his defense of suicide. His wife died on 15 August
1617, five days after giving birth to their twelfth child.
Donne was elected as Member of Parliament in 1602, but this was not a paid
position and Donne struggled to provide for his family, relying heavily upon rich
friends. The fashion for coterie poetry of the period gave him a means to seek patronage and many of his poems were written for wealthy friends or patrons.
5 A dire il vero la medesima composizione di Donne ispirò un’altro celebre scrittore americano,
Ernest Hemingway, che ne usò un passo per il titolo di Per chi suona la campana. Credo che la Meditazione XVII possa essere considerata un vero e proprio caso letterario, dal momento che è stata
capace di dare i natali a due titoli fondamentali della letteratura - un saggio ed un romanzo - del
XX secolo.
6 “Nessun uomo è un’isola, completo di per sé; ogni uomo è un pezzo del continente, una
parte della terra ferma. Se una porzione di terra viene portata via dal mare, l’Europa ne rimane
mutilata. […] La morte di una qualsiasi persona mi diminuisce, poiché faccio parte dell’umanità,
e quindi non mandare nessuno a chiedere per chi suona la campana: suona per te”.
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Pedagogia e Didattica
Eduardo Ciampi - Michele Barile
While historians are not certain as to the precise reasons for which Donne left
the Catholic Church, he was certainly in communication with the King, James I
of England, and in 1610 and 1611 he wrote two anti-Catholic polemics: PseudoMartyr and Ignatius his Conclave. Although James was pleased with Donne’s
work, he refused to reinstate him at court and instead urged him to take holy
orders. At length, Donne acceded to the King’s wishes and in 1615 was ordained
into the Church of England.
In 1621 Donne was made Dean of St Paul’s, a leading (and well-paid) position
in the Church of England and one he held until his death in 1631. It was in late
November and early December 1623 that he suffered a nearly fatal illness,
thought to be either typhus or a combination of a cold followed by the sevenday relapsing fever. During his convalescence he wrote a series of meditations
and prayers on health, pain, and sickness that were published as a book in 1624
under the title of Devotions upon Emergent Occasions. Later became well known
for its phrase “for whom the bell tolls” and the statement that “no man is an island”.
Towards the end of his life Donne wrote works that challenged death, and
the fear that it inspired in many men, on the grounds of his belief that those who
die are sent to Heaven to live eternally. One example of this challenge is his Holy
Sonnet X, from which come the famous lines “Death, be not proud, though some
have called thee / Mighty and dreadful, for thou art not so.”
He died on 31 March 1631 having written many poems, most only in manuscript. Donne is buried in St Paul’s Cathedral, where a memorial statue of him
was erected (carved from a drawing of him in his shroud), with a Latin epigraph
probably composed by himself.
John Donne was famous for his metaphysical poetry in the 17th century. His
work suggests a healthy appetite for life and its pleasures, while also expressing
deep emotion. He did this through the use of conceits, wit and intellect.
Donne is considered a master of the metaphysical conceit, an extended metaphor that combines two vastly different ideas into a single idea, often using
imagery. Donne’s works are also witty, employing paradoxes, puns, and subtle
yet remarkable analogies. His pieces are often ironic and cynical, especially regarding love and human motives. Common subjects of Donne’s poems are love
(especially in his early life), death (especially after his wife’s death), and religion;
his poetry represented a shift from classical forms to more personal poetry.
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L’importanza dell’altro...
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John Donne: XVII. MEDITATION
Perchance he for whom this bell tolls may be so ill, as that he knows not it tolls for him; and
perchance I may think myself so much better than I am, as that they who are about me, and see
my state, may have caused it to toll for me, and I know not that. The church is Catholic, universal,
so are all her actions; all that she does belongs to all. When she baptizes a child, that action concerns me; for that child is thereby connected to that body which is my head too, and ingrafted
into that body whereof I am a member. And when she buries a man, that action concerns me: all
mankind is of one author, and is one volume; when one man dies, one chapter is not torn out of
the book, but translated into a better language; and every chapter must be so translated; God employs several translators; some pieces are translated by age, some by sickness, some by war, some
by justice; but God’s hand is in every translation, and his hand shall bind up all our scattered
leaves again for that library where every book shall lie open to one another. As therefore the bell
that rings to a sermon calls not upon the preacher only, but upon the congregation to come, so
this bell calls us all; but how much more me, who am brought so near the door by this sickness.
There was a contention as far as a suit (in which both piety and dignity, religion and estimation,
were mingled), which of the religious orders should ring to prayers first in the morning; and it
was determined, that they should ring first that rose earliest. If we understand aright the dignity
of this bell that tolls for our evening prayer, we would be glad to make it ours by rising early, in
that application, that it might be ours as well as his, whose indeed it is. The bell doth toll for him
that thinks it doth; and though it intermit again, yet from that minute that that occasion wrought
upon him, he is united to God. Who casts not up his eye to the sun when it rises? but who takes
off his eye from a comet when that breaks out? Who bends not his ear to any bell which upon any
occasion rings? but who can remove it from that bell which is passing a piece of himself out of
this world?
No man is an island, entire of itself; every man is a piece of the continent, a part of the main.
If a clod be washed away by the sea, Europe is the less, as well as if a promontory were, as well as
if a manor of thy friend’s or of thine own were: any man’s death diminishes me, because I am involved in mankind, and therefore never send to know for whom the bells tolls; it tolls for thee.
FORSE quello per chi suona il campanello è così malato da non sapere che
questa campana sta suonando per lui: e io forse posso credere di stare ben meglio
di quanto sto, che cotanti mi circondano, e costatano le mie condizioni, lo potessero aver fatto suonare per me, senza ch’io lo sappia. La Chiesa è Cattolica, universale, e così lo sono tutte le sue azioni; tutto quanto fa appartiene a tutti.
Quando battezza un bambino, quest’azione mi riguarda, poiché proprio questo
rilega quel bambino a questo corpo che è anche la mia testa, e s’innesta a questo
corpo cui sono un membro. E quando seppellisce un uomo, quest’azione mi riguarda; l’umanità intera è di un autore solo, ed in un solo volume; quando
muore un uomo, non si strappa un capitolo dal volume, anzi lo si traduce in una
lingua migliore; e ci vorrà che tutti i capitoli vengano così tradotti; Dio impiega
parecchi traduttori; certe parti sono tradotte dall’età, altre dalla malattia, altre
dalla guerra, altre dalla giustizia; ma la mano d’Iddio si trova in tutte le traduzioni, e la sua mano rilegherà tutte le pagine cosparse per questa biblioteca dove
riposeranno tutti i libri aperti gli uni per gli altri. Per conseguenza, la campana
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Pedagogia e Didattica
Eduardo Ciampi - Michele Barile
che suona per una predica non chiama soltanto il predicatore ma anche tutta la
congregazione, in modo che questa campana ci chiama tutti; ma quanto più a
me, che sono portato così vicino alla porta dalla malattia. Ci fu una lite che andò
fino al processo (nel quale tanto la pietà e la dignità, quanto la religione e la considerazione si mescolarono), per sapere quale tra gli ordini religiosi dovette per
primo suonare l’appello alla preghiera del mattino; e fu determinato che suonassero per primi coloro che per primi si alzassero. Se capissimo correttamente
la dignità di questa campana che suona la nostra preghiera vesperale, dovremmo
essere felici di farla nostra coll’alzarci presto, facendo cosicché essa sia per noi
quanto per lui, a chi tuttavia appartiene. Il rintocco ben suona per chi crede che
suona per lui; e benché smetta in modo intermittente, già dal minuto che gli fornisce tale occasione, viene unito a Dio. Chi è che non alza gli occhi verso il sole
quando questi spunta? Ma chi è che non toglie lo sguardo da una cometa quando
essa accade? Chi è che non tende l’orecchio per udire una campana che suona
per qualche occasione? Ma chi è che la può distogliere da quel rintocco che sta
facendo passare un pezzo di lui stesso al di fuori di questo mondo?
Nessun uomo è un’isola, intera per se stessa; ogni uomo è un pezzo del continente, parte della Terra intera; e se una sola zolla vien portata via dall’onda
del mare, qualcosa all’Europa viene a mancare, come se un promontorio fosse
stato al suo posto, o la casa di un uomo, di un amico o la tua stessa casa. Ogni
morte di uomo mi diminuisce perché io son parte vivente del genere umano. E
così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: essa suona per te.
TASK 1 - Answer as fully as possible:
1. The main idea, that no man is alone, we are all united in God and His Church, is expressed through two main sets of images: the unity of the human body and the unity
of a continent, a piece of land. Can you find all references to them in the passage, and
assess the value of each metaphor?
2. This idea of unity is strengthened by the thought of death.
Does the poet use any metaphor to describe it?
3. The main subjects of the passage are: ’I’ and ‘Man’.
a. can you find all references to them through the passage?
b. can you isolate any important sentences for each?
4. Part of the great strength of the passage comes form its insistence on some basic
words that recur throughout.
a. can you indicate which words are repeated?
b. what is their importance for the passage?
5. The passage begins on a note of doubt (‘Perchance’)
a. are there any other dubitative expressions in the rest of the passage?
b. is doubt in some way a characteristic of this passage?
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6. What would you say is (are) the most important sentence(s) in the passage?
Lesson 2:
Imparare a conoscere l’altro come un ‘soggetto’ che Dio ama e come immagine medesima di Dio.
Il concetto di uguaglianza visto come prerequisito essenziale per rispondere
al progetto di Dio.
Obiettivo: la parola ‘fratellanza’ è ormai sempre meno utilizzata oggi, ma occorre aggrapparci ad essa se vogliamo vivere tutti in un mondo migliore.
Metodo: lezione frontale. Ascolto dal registratore
Durata: due ore, una dedicate al questionario. Task 2
Introduzione:
‘I have a dream’ (Ho un sogno) è la frase con cui viene identificato il discorso
tenuto da Martin Luther King il 28 agosto del 1963 davanti al Lincoln Memorial
di Washington al termine di una marcia di protesta per i diritti civili.
Rev. Martin L.King è stato un politico attivista e pastore protestante statunitense leader dei diritti civili.
Il più giovane Premio Nobel per la Pace della storia, King fu insignito del
premio nel 1964 all’età di soli trentacinque anni.
I Have a Dream!
Martin Luthr King’s famous “I Have a dream” speech, 28th August 1963
I have a dream that one day this nation will rise up and live out the true meaning of its creed: “We hold these truths to be self-evident: that all men are created
equal.”
I have a dream that one day on the red hills of Georgia the sons of former slaves and the sons of former slave owners will be able to sit down together at the
table of brotherhood.
I have a dream that one day even the state of Mississippi, a state sweltering
with the heat of injustice, sweltering with the heat of oppression, will be transformed into an oasis of freedom and justice.
I have a dream that my four little children will one day live in a nation where
they will not be judged by the color of their skin but by the content of their character.
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Pedagogia e Didattica
Eduardo Ciampi - Michele Barile
I have a dream today.
I have a dream that one day, down in Alabama, with its vicious racists, with
its governor having his lips dripping with the words of interposition and nullification; one day right there in Alabama, little black boys and black girls will be
able to join hands with little white boys and white girls as sisters and brothers.
I have a dream today.
I have a dream that one day every valley shall be exalted, every hill and
mountain shall be made low, the rough places will be made plain, and the crooked places will be made straight, and the glory of the Lord shall be revealed,
and all flesh shall see it together.
This is our hope. This is the faith that I go back to the South with. With this
faith we will be able to hew out of the mountain of despair a stone of hope. With
this faith we will be able to transform the jangling discords of our nation into a
beautiful symphony of brotherhood. With this faith we will be able to work together, to pray together, to struggle together, to go to jail together, to stand up
for freedom together, knowing that we will be free one day.
This will be the day when all of God’s children will be able to sing with a
new meaning, “My country, ‘tis of thee, sweet land of liberty, of thee I sing. Land
where my fathers died, land of the pilgrim’s pride, from every mountainside,
let freedom ring.”
And if America is to be a great nation this must become true. So let freedom
ring from the prodigious hilltops of New Hampshire. Let freedom ring from the
mighty mountains of New York. Let freedom ring from the heightening Alleghenies of Pennsylvania!
Let freedom ring from the snowcapped Rockies of Colorado!
Let freedom ring from the curvaceous slopes of California!
But not only that; let freedom ring from Stone Mountain of Georgia!
Let freedom ring from Lookout Mountain of Tennessee!
Let freedom ring from every hill and molehill of Mississippi. From every
mountainside, let freedom ring.
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And when this happens, when we allow freedom to ring, when we let it ring
from every village and every hamlet, from every state and every city, we will
be able to speed up that day when all of God’s children, black men and white
men, Jews and Gentiles, Protestants and Catholics, will be able to join hands and
sing in the words of the old Negro spiritual, “Free at last! free at last! thank God
Almighty, we are free at last!”
Ho un sogno - di M.L.King
Discorso pronunciato a Washington da Martin Luther King il 28 agosto 1963
E perciò, amici miei, vi dico che, anche se dovrete affrontare le asperità di
oggi e di domani, io ho un sogno. E’ un sogno profondamente radicato nel sogno
americano, che un giorno questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo
il senso delle sue convinzioni: noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono creati uguali.
Io ho un sogno, che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro
che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi,
sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza.
Io ho un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, uno stato colmo
dell’arroganza dell’ingiustizia, colmo dell’arroganza dell’oppressione, si trasformerà in un’oasi di libertà e giustizia.
Io ho un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le
qualità del loro carattere. Ho un sogno, oggi!.
Io ho un sogno, che un giorno ogni valle sarà esaltata, ogni collina e ogni
montagna saranno umiliate, i luoghi scabri saranno fatti piani e i luoghi tortuosi
raddrizzati e la gloria del Signore si mostrerà e tutti gli essere viventi, insieme,
la vedranno. E’ questa la nostra speranza. Questa è la fede con la quale io mi
avvio verso il Sud.
Con questa fede saremo in grado di strappare alla montagna della disperazione una pietra di speranza. Con questa fede saremo in grado di trasformare le
stridenti discordie della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fratellanza.
Con questa fede saremo in grado di lavorare insieme, di pregare insieme, di
lottare insieme, di andare insieme in carcere, di difendere insieme la libertà, sapendo che un giorno saremo liberi. Quello sarà il giorno in cui tutti i figli di Dio
sapranno cantare con significati nuovi: paese mio, di te, dolce terra di libertà, di
te io canto; terra dove morirono i miei padri, terra orgoglio del pellegrino, da
ogni pendice di montagna risuoni la libertà; e se l’America vuole essere una
grande nazione possa questo accadere.
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Pedagogia e Didattica
Eduardo Ciampi - Michele Barile
Risuoni quindi la libertà dalle poderose montagne dello stato di New York.
Risuoni la libertà negli alti Allegheny della Pennsylvania.
Risuoni la libertà dalle Montagne Rocciose del Colorado, imbiancate di neve.
Risuoni la libertà dai dolci pendii della California.
Ma non soltanto.
Risuoni la libertà dalla Stone Mountain della Georgia.
Risuoni la libertà dalla Lookout Mountain del Tennessee.
Risuoni la libertà da ogni monte e monticello del Mississippi. Da ogni pendice
risuoni la libertà.
E quando lasciamo risuonare la libertà, quando le permettiamo di risuonare
da ogni villaggio e da ogni borgo, da ogni stato e da ogni città, acceleriamo anche
quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, cattolici e protestanti, sapranno unire le mani e cantare con le parole del vecchio spiritual: “Liberi finalmente, liberi finalmente; grazie Dio Onnipotente, siamo liberi
finalmente”.
Task 2- Answer as fully as possible
1. This is considered one of the most famous speeches throughout human
history: can you say what M.L.King wishes to dream about ?
2. Try to find out the word or the words King uses more frequently and explain why.
3. Do you remember other historical speeches famous for their peaceful contents and aims?
4. This speech has a climax: can you find it? What is its effect on the crowd
?
5. Is immigration in your country different from the immigration of the early
decades of the century?
6. Do you think that the colour of the skin, wealth and power could be considered discriminating elements still today? Give reasons.
Task 3 – Final Composition
According to our study of the theme of ‘no man is an island’ by John Donne
and ‘I have a dream’ by M.L.King the students must write a composition of 200
words, where they show the importance of brotherhood and altruism in a world
made up of frequent contrasts, fights and wars.
Durata: 2 ore.
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QdPD 1 (2010)
La Vita Columbae di Adomnán
Strumenti per la didattica modulare della latino
Percorso Tematico
La Vita Columbae di Adomnán:
un punto di vista sul mondo insulare
BEATRICE CHIAPPONI
Premessa
Pubblichiamo in questo numero dedicato al tema dello straniero un contributo relativo alla cosiddetta latinità romano-barbarica. Esso può aprire una finestra sui fenomeni di integrazione tra le civiltà del Nord Europa e la cultura
latina, documentare il successo e la persistenza della tradizione classica in un
territorio ampio quanto l’Europa, persino nei suoi angoli più remoti e in
un’epoca di confine che mescola le competenze degli antichisti e dei medievisti,
illustrare le caratteristiche di un mondo che è parte della nostra identità europea,
latina e cristiana, e su cui ha pesato per troppo tempo l’etichetta umanistica
dell’oscurantismo e della barbarie.
A chi indirizzare questa lezione tanto apparentemente lontana dalla consuetudine curricolare? Verrebbe da dire agli studenti dell’ultimo anno del liceo
classico o del liceo scientifico. In questo caso l’insegnante potrebbe opportunamente saldare il tardo antico con la tradizione umanistica (alcune letterature la35
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Pedagogia e Didattica
Beatrice Chiapponi
tine di alto profilo in uso nella scuola secondaria, come quella di P. Fedeli, per
fotuna si preoccupano di farlo). Ma non è fuori luogo pensare di utilizzarla per
integrare il quadro generale sull’alto medioevo che l’insegnante di Italiano fornisce in genere al primo anno del triennio 1 prima di iniziare il discorso sull’origine del volgare: oltre a pemettere di illustrare con uno specimen il fenomeno
del monachesimo insulare, lo studio di questo stadio della latinità può offrire
allo studente la percezione dell’evoluzione diacronica della lingua latina e ribadire il concetto di lingua come organismo vivente.
Lo svolgimento del tema può avvenire in una lezione frontale integrata da
una serie di lavori di approfondimento guidato che approdino, come verifica,
all’elaborazione di un testo incentrato sulla ricostruzione di una tipica giornata
monastica dell’alto medioevo scandita, sul modello del romanzo Il nome della
rosa di U. Eco, secondo le ore liturgiche.
Contenuti della lezione
Il latinista che si avvicina allo studio di un testo come questo sa bene che non
incontrerà la melodiosa pagina di Orazio o l’elevata poesia virgiliana. L’intento
dello studioso è quello di assecondare una curiosità vivace, che lo spinge oltre
il confini del conosciuto, per affrontare le nebbie che avvolgono una letteratura
semplice e a tratti di difficile interpretazione, proprio a causa di questa sua scivolosa e sfuggente rudezza.
La ricchezza e il valore di questa biografia, dai caratteri spesso fantasiosi ed
esagerati, risiedono nella vastissima quantità di informazioni relative alla cultura
ibernolatina che essa fornisce. Al di là delle vicende storiche e dei dati più prettamente prosopografici e toponomastici, il testo illustra infatti alcuni momenti
della vita quotidiana evidenziando elementi della tradizione locale caratterizzata
da una compenetrazione di aspetti precristiani e pratiche monastiche.
È in questo mosaico di culture diverse, a cui egli stesso appartiene, che Adomnán appronta il suo racconto agiografico relativo al fondatore del monastero di
Iona, remotissima isola a largo della Scozia. Nonostante la scarsità di notizie riguardanti la sua vita, Colum-cille († 597) è la figura meglio conosciuta del monachesimo irlandese delle origini: il suo nome monastico 2 (in gaelico Colum-cille
1 L’argomento, tra l’altro, offre l’opportunità di un lavoro pluridisciplinare che chiami in causa
l’insegnante di Inglese in merito all’introduzione storico-culturale sulla nascita della letteratura
anglosassone.
2 Il nome Colum-cille sembra essere stato adottato al posto dell’originario Crimthann (=
“volpe”). Si veda al riguardo W. Stokes, The Martyrology of Oengus the Culdee, London 1905, p. 139.
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La Vita Columbae di Adomnán
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= “colomba della chiesa”) sembra alludere alla sua opera di fondatore a Derry,
a Durrow e – come filiale di Derry – a Í (lat. Iova o Iona, nell’arcipelago scozzese
delle Ebridi) 3. Secondo il racconto di Adomnán, suo nono successore come abate
di Iona, Columba lasciò l’Irlanda, sua terra natale, all’età di quarantadue anni
(VC 4a) e morì nell’isola di Iona dopo trentaquattro anni di esilio/pellegrinaggio
(VC 123b-124b). In base agli Annali dell’Ulster 4 Colum-cille salpò per la Britannia
nel 563 e proprio gli Annali sembrano essere la principale fonte del nostro autore
circa la data della sua partenza5.
Colum-cille nacque tra il 521 e il 522 da Fedilmith (VC 4a), nipote di Conall
Gulban, presunto discendente di Níall Noígiallach 7, re supremo d’Irlanda († 405
ca.), e da Ethne, figlia di Mac-Naue, le cui origini vengono fatte in seguito risalire
ad una nobile famiglia della provincia del Lagin 8; entrambi gli elementi sembrano confermare la sua appartenenza al ramo settentrionale degli Uí-Néill, un
dato che si rivelerà fondamentale per chiarire le motivazioni storico-politiche
alla base dell’esilio/emigrazione in Britannia.
Durante i primi travagliati secoli dell’era cristiana, quando l’Europa subì invasioni e saccheggi, in seguito al disfacimento dell’Impero Romano d’occidente 9,
l’Irlanda rappresentò un luogo privilegiato per la fioritura di un’intensa attività
religiosa e culturale. Rimasta a lungo appartata rispetto alla civiltà classica 10,
3
Il nome in Gaelico scozzese è Ì Chaluim Cille (= ”isola di Colum-cille) o semplicemente Ì.
Gli Annali dell’Ulster sono una composizione cronachistica di epoca medievale che abbraccia
un periodo compreso tra il 431 d.C. e il 1489, tramandata dal ms. 1282 (H. 1. 8) conservato al Trinity
Col-lege di Dublino e dal ms. Rawlinson B 489 della Bodleian Library di Oxford. Cf. l’edizione di
S. Mac Airt – G. Mac Niocaill, The Annals of Ulster to A.D. 1131, Dublin 1983.
5 Tuttavia Beda, a differenza di Adomnano, riporta come anno di partenza il 565 e sostiene
che Columba morì e fu seppellito nell’abbazia di Iona all’età di settantasette anni, circa trentadue
anni dopo il suo arrivo in Britannia (cf. hist. III 4).
6 In base ai calcoli cronologici appena citati questa ipotesi sembra essere ormai universalmente
accettata. Adomnán non riferisce a tal proposito una data precisa, ma usa come termine di riferimento per indicare la data di partenza un evento avvenuto due anni prima (una metodologia che
risulta essere ricorrente all’interno dell’opera: cf. VC 4a e 17b): tale avvenimento è la battaglia di
Cul-drebene, combattuta – secondo gli Annali dell’Ulster – nel 561. Cf. Anderson – Ogilvie Anderson, Adomnan’s Life of Columba, Edinburgh 1961, p. 67.
7 Níall è il mitico fondatore di una dinastia regnante fino al 1022. Dopo la sua morte, intorno
al 405 d.C., i suoi due figli Eógan e Conall Gulban si divisero, secondo la tradizione, i territori del
padre, dando origine a due nuovi rami della famiglia, a capo dei due regni appena fondati. Nei
secoli seguenti, soprattutto dopo l’inizio del conflitto con l’Inghilterra, saranno molte le famiglie
irlandesi che rivendicheranno, come vessillo patriottico, la discendenza dagli Uí-Néill.
8 Per le tradizioni relative alle vicende irlandesi di questo periodo cf. T. F. O’Rahilly, Early
Irish history and mythology, Dublin 1946.
9 Le ultime legioni romane lasciarono la Britannia intorno al 410.
10 La storia dell’Irlanda si differenzia da quella degli altri paesi europei per una peculiarità
che ha avuto importanti conseguenze: l’isola non ha subito l’occupazione degli eserciti romani e
quindi l’impronta della civiltà greco-latina. Non si sa con precisione quando i Celti giunsero in Irlanda, tuttavia, a partire dal VI secolo a. C. vi sono prove del susseguirsi di ondate migratorie di
tribù celtiche provenienti dal continente e dal nord della Britannia (cf. V. Kruta, La grande storia
dei Celti, Roma 2003, p. 39 s.).
4
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Pedagogia e Didattica
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l’isola offrì l’ambiente ideale per lo sviluppo di una cultura cristiana dai connotati decisamente originali, talora influenzati dalle esperienze ascetiche orientali
e spesso in contrasto con la disciplina continentale.
Prime fra tutte la questione relativa al diverso calcolo della data della Pasqua 11, a lungo caratteristica anche delle fondazioni continentali di Colombano,
e la tonsura celtica 12, tipica dei druidi, questioni risoltesi entrambe solo con il
sinodo di Birr del 697 13, dopo il quale anche l’Irlanda settentrionale accettò
il computo alessandrino e la tonsura romana. Ma la questione più spinosa
riguarda certamente la stessa organizzazione ecclesiastica; benché Patrizio
(prima o seconda metà del V secolo) avesse dato alle comunità cristiane da lui
fondate un’impostazione incentrata sul vescovo, coadiuvato da presbiteri e diaconi e sostenuto da asceti e vergini, la diffusione sempre più ampia dei monasteri
determinò un sempre maggior prestigio dell’abate rispetto al vescovo.
I cenobi rispecchiavano la struttura sociale irlandese, che era fondata sul túath,
che costituiva un’unità tribale, più che territoriale, governata da un re (rí ) il cui
potere era soggetto solo a quello del re supremo (árd rí )14. L’organizzazione politica e sociale, che rimase invariata anche dopo la cristianizzazione dell’isola e
il consolidamento della struttura della gerarchia ecclesiastica, era legata a tale
divisione in tribù, di cui l’istituzione monastica era l’espressione più vitale: infatti, anche a causa della mancanza di veri e propri agglomerati urbani di tipo
mediterraneo, il monastero divenne il fulcro di tutte le attività non solo spirituali
e culturali, ma anche economiche e commerciali15.
11 I Celti seguivano il ciclo Augustalis di 84 anni, che fissava la data della Pasqua tra il quattordicesimo e il ventesimo giorno del mese lunare, cioè tra il 25 marzo e il 21 aprile. Questo tipo di
calcolo era stato sostituito a Roma nel 457 a favore di quello formulato da Vittorino d’Aquitania,
a sua volta soppiantato a Roma, nel secondo quarto del VI secolo, dal canone alessandrino di Dionigi il Piccolo, della durata di 19 anni (cf. R. A. Bartoli, La Navigatio Sancti Brendani e la sua fortuna
nella cultura romanza nell’età di mezzo, Padova 1990, p. 31-32 e L. Briatore, Le misure del tempo, Milano
1972, p. 40 s.).
12 Era costume dei druidi portare i capelli rasati nella parte anteriore del capo e molto lunghi
in quella posteriore. Questa pratica particolare fu adottata dai monaci irlandesi, mentre fu criticata
in ambito continentale. Cf. Bartoli, La Navigatio Sancti Brendani, cit., p. 31.
13 Cui partecipò anche Adomnano, principale promotore del celebre Cáin Adamnáin (ed. K.
Meyer, Oxford 1905). (Cf. Dáibhí Ó Crónín, Early Medieval Ireland, London 1995, p.80 e J. F. Kenney,
The sources for the early history of Ireland; an introduction and guide, I: Ecclesiastical, New York 1966,
p. 81); si tratta di legge da lui formulata in occasione del sinodo, a difesa delle donne. Il termine
cáin in Irlandese moderno si può tradurre come “tassa, pedaggio”, ma le antiche fonti latine gli
attribuiscono il valore di “legge, disposizione giuridica”. Questo concilio sancì la riconciliazione
tra le chiese del nord, facenti capo alle prime fondazioni di Colum-cille e quelle del sud, originariamente legate a Brigida. Le chiese del nord accettarono il computo pasquale romano, mentre
quelle del sud riconobbero Armagh, prima fondazione di Patrizio, sede primaria d’Irlanda, a rimarcare un’alleanza simbolica tra Patrizio e Colum-cille (rappresentanti del nord) e Brigida, tradizionalmente legata al sud.
14 Questa figura, pur presente nelle saghe mitologiche, sembra non esistere ancora fino al II-III
secolo d. C. (cf. G. Agrati - M. L. Magini, Saghe e racconti dell’antica Irlanda, Milano 2003, pp. X s.).
15 Cf. J. Markale, I Celti, Milano 2001.
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La Vita Columbae di Adomnán
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Così, mentre i vescovi assolvevano solo alla funzione liturgica, l’autorità
giurisdizionale era prerogativa esclusiva degli abati, che concentravano ora
nelle loro mani il potere un tempo appartenuto tanto al re quanto al druido.
Il cristianesimo in Irlanda non soppresse con violenza il complesso di credenze
e tradizioni precedenti 16, ma si sostituì gradualmente ad esso ereditandone
caratteristiche e funzioni; il monastero subentrò al bangor, il collegio dei druidi,
divenendo luogo privilegiato per attività culturali quali l’esegesi biblica, gli studi grammaticali e la produzione di codici miniati che nella loro decorazione
esaltano elementi carat-teristici dell’arte celtica. Con la cristianizzazione inoltre
la lingua latina si diffuse anche in Irlanda e l’uso della scrittura subentrò all’oralità, caratteristica tutta celtica; fu proprio nei monasteri che si provvide a registrare per iscritto le saghe e le leggende tradizionali fino ad allora trasmesse
solo oralmente 17.
16 Il motivo per cui la conversione dell’Irlanda avvenne con tanta facilità risiede anche nelle
comuni simbologie possedute sia dalla cultura cristiana che da quella celtica. Le antiche divinità
vennero così naturalmente sostituite dalle figure dei santi tradizionali. Dobbiamo inoltre tenere
presente la sacralità, presso i Celti, del numero tre alla base dell’organizzazione del repertorio poetico dei filid, per comprendere la facilità con cui venne accettato il dogma della Trinità. Considerando poi i cicli rituali di morte e resurrezione degli Dei celtici, sembra facile comprendere la naturale propensione all’accettazione dei concetti di incarnazione, morte e risurrezione. Anche la pratica della purificazione attraverso l’acqua, operata con il battesimo, ben si concilia con il culto celtico
delle fonti e dei corsi d’acqua. Le similitudini concettuali appena illustrate permettono dunque di
comprendere la facilità con cui il messaggio cristiano venne recepito, nonché rielaborato in maniera
del tutto originale, in ambito celtico, fino ad essere poi nuovamente esportato in continente.
17 Le registrazioni più antiche risalgono probabilmente al VII secolo, ma i più importanti manoscritti in lingua gaelica pervenutici sono molto più recenti: il più antico, detto Libro della vacca
bruna (Lebor na hUidre), di cui possediamo un frammento di settantasette pagine conservato alla
Royal Irish Academy di Dublino sarebbe stato compilato verso la fine del IX secolo, il Libro di Leinster nel secolo seguente, e altri (Libro giallo di Lecan, Libro di Ballymote) nei secoli XIV e XV. Si tratta
di raccolte contenenti vari testi, la cui anteriorità rispetto alla data dei manoscritti è in molti casi
confermata dai caratteri arcaici della lingua in rapporto a quella dell’epoca. Perciò, spesso i racconti, sono noti sotto parecchie versioni, indice dell’esistenza di tradizioni fondate sugli stessi
temi, ma evolutesi parallelamente. Tale ricchezza, tipica di una letteratura che resta viva poichè
trasmessa sempre soprattutto per via orale, spiega la difficoltà nello stabilire un testo di riferimento. In effetti, la scelta e la composizione degli elementi disponibili per lo stesso tema presentano di solito un certo numero di varianti.
I testi della tradizione irlandese, vengono abitualmente suddivisi in quattro libri dalle delimitazioni spesso arbitrarie in quanto fra loro legati da alcuni eventi e personaggi comuni. Il primo
gruppo, noto come “Ciclo mitologico”, comprende le origini mitiche dell’Irlanda e i personaggi
divini che permettono di stabilire un legame con il periodo successivo, ritenuto storico. Il secondo
gruppo è noto come “Ciclo dei Re” e raggruppava vari testi consacrati agli aspetti della sovranità
ed illustrati da episodi i cui eroi sono i leggendari membri delle dinastie regnanti nelle diverse
sedi: Emain Macha nell’Ulster, Cruachan nel Connacht, Cashel nel Leinster e Tara, la residenza
dei grandi monarchi del Midhe (“Mezzo”). Il terzo ciclo è il “Ciclo dell’Ulster”, conosciuto anche
come “Ramo rosso”, la raccolta epica più celebre della letteratura irlandese. L’eroe centrale di tale
epopea, Cú Chulainn, figlio mortale del dio Lugh, è il legittimo protettore del territorio degli Ulati
dell’Ulter, su cui regna suo zio Conchobar. Il quarto ciclo è infine il “Ciclo ossianico”, detto anche
Fiannaigecht, dedicato alle imprese di Finn e di suo figlio Oisin e dei loro compagni, i Fianna.
Cf. V. Kruta, La grande storia dei Celti, cit., p. 62-64.
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Pedagogia e Didattica
Beatrice Chiapponi
Per conoscere la prassi delle comunità cristiane irlandesie in particolare la disciplina monastica sono fonti privilegiate soprattutto i Penitenziali18.
Alcune pratiche tipicamente celtiche vennero ereditate dalla cultura cristiana
irlandese e rielaborate in un ambito propriamente cristiano; molto diffusa fra i
monaci irlandesi fu la pratica dell’alilithre, ossia la peregrinatio pro Dei amore,
forma suprema di ascesi strettamente collegata con il tema del viaggio eroico,
di stampo celtico. Questo concetto è spesso alla base dei “viaggi di fondazione”
dei monaci irlandesi, riscontrabile anche nell’avventura di Colum-cille, partito
con un gruppo di dodici discepoli alla volta delle ignote coste scozzesi 19.
Gli scriptoria dei monasteri irlandesi ebbero un ruolo di primo piano nella diffusione dei libri di istruzione e di preghiera; tra i più antichi codici miniati per
uso ecclesiastico e rituale sono da segnalare il Book of Durrow (seconda metà del
VII sec.) e il Book of Kells (VIII sec.). L’intensa attività missionaria irlandese nel
continente contribuì inoltre a diffondere in Europa numerosi testi miniati in Irlanda, portando sull’isola vari esemplari di manoscritti continentali 20. Lo studio
della grammatica latina fu coltivato in quanto strumento necessario per l’accesso
ai testi biblici, patristici e liturgici, e specialmente tra VI e VII secolo diede vita
alle sperimentazioni cosiddette di “latino isperico”21. Si può dunque sostenere a
buon diritto che la cristia-nizzazione, in Irlanda, diede l’avvio ad un’intensa
opera di latinizzazione e conservazione del patrimonio letterario della classicità,
il cui riflesso ebbe notevoli risvolti sul continente22.
L’analisi linguistica di questo testo, circoscritta ad un primo sondaggio sul
lessico, ha reso possibile l’individuazione di alcuni tra gli aspetti più significativi
della cultura ibernolatina, confermando e avvalorando alcune ipotesi storiche
fino ad ora non supportate da alcuna prova concreta.
Com’è noto, in area irlandese e nelle colonie britanniche di origine gaelica la
conoscenza del latino e l’uso del suo alfabeto sono stati introdotti dalla diffusione
del cristianesimo. Ed è proprio nel testo della Vita Columbae che possiamo osservare il bilinguismo caratteristico di queste aree, in cui le lingue locali sono
utilizzate nella predicazione al popolo e la lingua latina – con particolare atten-
18
M. G. Muzzarelli, Una componente della mentalità occidentale: I Penitenziali nell’alto medio, in Church History, Vol. 51, No. 4 (Dec., 1982), p. 488.
19 Cf. VC 107a ed. cit.
20 Su questo argomento si veda E. Coccia, La cultura irlandese precarolingia. Miracolo o mito?,
“Studi Medievali” 8 (1967), pp. 257-420.
21 Cf. soprattutto gli Hisperica famina (cf. M.W. Herren, Hisperica famina, Toronto 1974), veri e
propri esercizi di retorica, che presentano un idioma assai complesso, caratterizzato da un lessico
irto di ebraismi, grecismi e termini di origine ignota.
22 Nelle scuole monastiche si apprezzavano anche i classici, conosciuti generalmente di seconda mano, fatta eccezione per Virgilio (glossato probabilmente da Adomnano) ed Orazio, più
conosciuto in Irlanda (cf. J. F. Kennedy, The sources for the early history of Ireland; an introduction and
guide, I: Ecclesiastical, cit.)
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La Vita Columbae di Adomnán
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zione alla grammatica e ai glossari – era studiata e utilizzata all’interno delle
scuole druidiche e dei circoli eruditi, oltre che, ovviamente, negli ambienti monastici. Un contesto culturale capace di determinare singolari ed innovative
scelte linguistiche attraverso lo scambio e la fusione continua dei due idiomi.
Il testo della Vita Columbae venne composto a Iona, probabilmente, come
scrive lo stesso Adomnán in seguito alla richiesta degli stessi confratelli, desiderosi di avere una biografia che raccogliesse e narrasse gli innumerevoli e miracolosi prodigi compiuti dal proprio padre fondatore 23. Non possediamo
notizie relative al periodo in cui il testo potrebbe essere stato composto, tuttavia,
per stabilire un terminus post quem per la stesura della Vita, sembrano illuminanti
le stesse parole di Adomnán, quando, in relazione alle capacità di Colum-cille
di compiere atti miracolosi sperimentate in prima persona, scrive di essere stato
in quel tempo abate già da diciassette anni 24; questa indicazione potrebbe far
pensare ad una datazione non precedente al 696. Sembra plausibile affermare
che egli abbia iniziato a scrivere la Vita spinto dai confratelli, ma anche dal personale intento di commemorare il padre fondatore della sua comunità, cui si riteneva legato anche da un legame di parentela in coincidenza con la celebrazione
del primo centenario della sua morte.
Per quanto riguarda le fonti utilizzate sappiamo dallo stesso autore che egli
si servì dei racconti di experti, persone informate dei fatti, la cui attendibiltà non
viene mai messa in discussione. Il largo uso dei racconti dei testimoni oculari,
che riferiscono nei dettagli gli episodi edificanti e miracolosi più significativi25,
mette in luce la forte esigenza di Adomnán di dotare la sua biografia di Columcille dello stesso valore religioso e narrativo delle altre Vitae di santi continentali
da lui conosciute. Sono proprio questi testi, probabilente anch’essi alla base della
sua formazione letterario-religiosa, ad aver influenzato la struttura linguisticocompositiva della Vita Columbae. Due biografie soprattutto sono alla base della
struttura narrativa dell’opera; la prima è la Vita Sancti Martini di Sulpicio Severo,
che potrebbe essere stata determinante nella preferenza data da Adomnán alla
divisione tematica dell’opera in tre libri 26. Anche la scelta della composizione di
23 “Beati nostri patroni Christo sufragante vitam discripturus, fratrum flagitationibus obsecundarevolens...” cf. VC 1a.
24 Lo stesso Adomnán, di ritorno dal sinodo di Birr, tenutosi nel 697, narra dell’intervento miracoloso di Colum-cille, giunto per tre volte in soccorso della sua barca per sedare e trasformare
in un unico soffio favorevole i venti contrari alla navigazione verso l’isola di Iona.
25 Adomnán riferisce quasi sempre il nome del personaggio che, avendo assistito di persona,
ha fornito un resoconto completo, giunto poi oralmente fino a lui attraverso i fedeli e scrupolosi
racconti degli stessi abati e monaci della comunità di Iona.
26 Nel primo sono trattate le visioni profetiche di Colum-cille, nel secondo sono narrati i miracoli compiuti dal santo fondatore, con evidenti parallelismi con i miracoli di Cristo, come la resurrezione di un fanciullo morto e la trasformazione dell’acqua in vino , nel terzo infine sono
descritte le apparizioni angeliche.
41
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Pedagogia e Didattica
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due prefazioni sembra essere stata influenzata dal testo di Sulpicio Severo, che
a sua volta si era ispirato alla Vita Sancti Antonii, biografia in greco scritta da
Atanasio conosciuta in occidente dalla traduzione di Evagrio (che contiene due
prefazioni: quella originaria dell’autore e quella aggiunta dal traduttore). Nel
presentare lo stile di vita meditativo ed assorto in continua contemplazione di
Colum-cille, Adomnán sembra essersi ispirato alla figura di San Benedetto delineata nei Dialogi di papa Gregorio Magno. Tuttavia l’evidente recupero di questi modelli narrativi, riferibili alle due biografie appena citate, anche nel testo
della vita di san Cuhbert redatta da un monaco della comunità di Lindisfarne,
fondazione legata a Colum-cille, e coeva all’opera di Adomnán, farebbe pensare
alla grande diffusione di questi due testi nelle comunità monastiche fondate da
Colum-cille sia come oggetto di studio che come preziosi modelli narrativi. Va
infine sottolineato che la Vita Columbae mostra un approccio narrativo per nulla
riferibile ad una cronaca storica, dal momento che l’autore esclude dal testo ogni
riferimento temporale, facendo dell’opera una biografia più religiosa e quasi
esemplare che un resoconto storiografico.
Per affrontare il tema più specifico della lingua di Adomnán sarà bene delineare con verosimiglianza l’ambiente culturale in cui egli visse e si formò. In
area irlandese e nelle colonie britanniche di origine Gaelica l’uso dell’alfabeto
latino 27 venne introdotto dalla diffusione del Cristianesimo ad opera di missionari provenienti dalla Britannia e dalle Gallie. Alla scrittura ogamica, creazione
e monopolio della cultura druidica, venne sostituita nella predicazione la lingua
latina, nella forma del sermo humilis della Vulgata e del latino parlato in Britannia
o nella Gallia nordoccidentale; Un latino che si differenzia, per il suo uso vivo,
contraddistinto dall’uso di termini colloquiali, dal latino artificioso tipico dei
glossari e dei trattati grammaticali che ben si riflette nei componimenti poetici
quali gli Hisperica Famina ed altri versi riferibili alle scuole druidiche. La lingua
di Adomnán, come si evince dal testo, sembra essere distante da quest’ultimo
modello, presentando un numero ridotto di termini prettamente isperici, a favore di un largo uso di termini colloquiali. Ed è forse la stessa destinazione del
testo, composto per un publico monastico che sapesse apprezzarne gli altissimi
insegnamenti religiosi facendone un exemplum, a giustificare la scelta di prediligere forme linguistiche più semplici e colloquiali, a discapito dell’artificiosità.
Lo stesso testo offre importantissimi spunti di riflessione e ricerca per delineare
con maggiore chiarezza le caratteristiche del latino parlato in area monastica insulare, il quale deve essere considerato un idioma di scambio e comunicazione
interculturale, in grado di superare i particolarismi linguistici dovuti alla diversa
provenienza geografica dei monaci della comunità.
27 Benchè l’Irlanda non sia mai stata conquistata dai Romani, sappiamo che non furono rari i
contatti con il mondo romano, dovuti soprattutto agli scambi commerciali.
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La Vita Columbae di Adomnán
QdPD 1 (2010)
La lettura della Vita Columbae ha dunque offerto, in modo unico, uno squarcio
sulla cristianità scota premedievale, profondamente radicata nel tessuto della
società tribale celto-pittica, configurandosi come espressione di un ambiente socioculturale, attenendosi solo occasionalmente a topiche di ascendenza biblica.
Il testo conferma la sua importanza come fonte di riferimento per lo studio della
cultura ibernolatina.
Destinatario: I Liceo Classico
Prerequisiti:
1. Conoscenze generali di morfologia e sintassi.
2. Conoscenze generali di storia altomedievale.
Contenuti e testi: Adomnán, Vita Columbae.
Testi di supporto: A. Holder, Alt-Keltischer Sprachschatz, Leipzig 1897-1908;
A. MacDonald, Aspects of the monastery and monastic life in Adomnan’s Life of Columba, «Peritia», 4, 1985, pp. 174-186. Altri riferimenti testuali in nota.
Strategia didattica e strumenti: le lezioni coinvolgeranno attivamente gli studenti in un lavoro di analisi e riflessione sul testo latino, attraverso la lettura dei
brani proposti in fotocopia. Partendo da un lavoro preliminare di traduzione, i
ragazzi dovranno individuare gli elementi di microstoria più significativi, al fine
di ricostruire le abitudini e le pratiche monastiche, anche attraverso uno studio
comparato dei principali termini tecnici presenti nel testo.
Gli studenti saranno inoltre chiamati ad integrare il lavoro svolto in classe attraverso un’autonoma attività di ricerca da esporre nel corso della lezione successiva in modo chiaro e puntuale.
Obiettivi:
1. Illustrare i momenti chiave di una giornata monastica in ambito insulare.
2. Analizzare il lessico evidenziando i termini tecnici più significativi.
3. Definire il rapporto che intercorre fra l’ambiente insulare e la produzione
di libri manoscritti.
4. Ricostruire il modello di un monastero insulare sulla base delle informazioni fornite dal testo.
5. Analizzare un testo latino altomedievale di area insulare individuandone
alcune peculiarità.
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Pedagogia e Didattica
Beatrice Chiapponi
Verifica: per la verifica conclusiva di questo modulo viene proposta l’analisi di
alcuni brani, attraverso i quali gli studenti sono chiamati a ricostruire un momento specifico della vita quotidiana nel monastero di Iona.
Durata: tre ore, di cui una destinata alla verifica conclusiva.
Articolazione didattica del modulo
1. Monachesimo insulare
La lezione illustrerà le principali caratteristiche del monachesimo insulare,
evidenziandone il ruolo di primo piano nello sviluppo di una cultura cristiana
dai connotati assolutamente originali e spesso in netto contrasto con l’ortodossia
continentale. L’insegnante si soffermerà su alcuni punti di particolare rilievo storico-culturale, quali la questione relativa al diverso calcolo della data della Pasqua e l’organizzazione delle prime comunità monastiche.
Gli studenti familiarizzeranno con alcuni elementi caratteristici dell’ambiente
insulare, sia in ambito sociale che culturale. Approfondiranno l’importanza delle
comunità monastiche di fondazione irlandese in relazione alla trasmissione dei
testi e alla produzione dei libri manoscritti, con alcuni importanti riferimenti
all’uso del latino come lingua letteraria e alla sua diffusione.
2. Una giornata tipica nel monastero di Iona
La lezione si aprirà con la lettura di alcuni passi tratti dal testo. I ragazzi saranno stimolati a riflettere sui brani proposti, al fine di individuare gli elementi
di microstoria più significativi.
L’insegnante guiderà gli alunni alla scoperta delle informazioni fornite dall’autore, in un dialogo attivo fra testo e lettore, con particolare attenzione per gli
oggetti e i luoghi descritti, le pratiche quotidiane, i riferimenti geografici, zoologici e letterari.
Gli studenti dovranno inoltre ricostruire il modello di un monastero insulare
sulla base delle sole informazioni fornite dal testo.
3. Verifica conclusiva
I ragazzi saranno chiamati ad analizzare un brano tratto dal testo, mettendo
in pratica le competenze acquisite. L’insegnante potrà scegliere un passo particolarmente significativo e ben integrato nel contesto di indagine proposto dal
modulo. Dall’analisi testuale dovrà emergere un elaborato conclusivo sintetico,
in cui i ragazzi possano singolarmente sviluppare una propria riflessione, indi44
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La Vita Columbae di Adomnán
viduando nel brano gli elementi più significativi per ricostruire il contesto culturale e sociale del mondo monastico insulare.
L’insegnante valuterà la capacità degli alunni di mettere in luce con chiarezza
il valore del testo analizzato in qualità di testimonianza diretta di un preciso ambito socio-culturale.
Bibliografia essenziale
A. HOLDER, Alt-Keltischer Sprachschatz, Leipzig 1897-1908.
J. VENDRYÈS, Lexique étymologique de l’Irlandais ancien, Dublin-Paris 1959.
H. KURATH, Middle English Dictionary, Michigan 1967.
ANDERSON – OGILVIE ANDERSON, Adomnan’s Life of Columba, Edinburgh 1961.
A. MACDONALD, Aspects of the monastery and monastic life in Adomnan’s Life of Columba, «Peritia», 4, 1985, pp. 174-186.
J. A. GONZÁLES MARRERO – B. LÉON ROLO, La «Vita Columbae »: un ejemplo de la
cultura hiberno – latina, «Fortunatae», 9, 1997, pp. 179-191.
D. WOODS, Four notes on Adomnán’s «Vita Columbae», «Peritia», 16, 2002, pp. 40-67.
T. F. O’RAHILLY, Early Irish history and mythology, Dublin 1946
J. F. KENNEY, The sources for the early history of Ireland; an introduction and guide, I:
Ecclesiastical, New York 1966.
L. BRIATORE, Le misure del tempo, Milano 1972.
S. MAC AIRT – G. MAC NIOCAILL, The Annals of Ulster to A.D. 1131, Dublin 1983.
M. LAPIDGE – R. SHARPE, A bibliography of Celtic-Latin Literature 400-1200, Dublin
1985.
DÁIBHÍ Ó CRÓNÍN, Early Medieval Ireland, London 1995.
R. SHARPE, A Handlist of the Latin Writers of Great Britain and Ireland before 1540,
Dublin 1997.
J. MARKALE, I Celti, Milano 2001.
G. AGRATI - M. L. MAGINI, Saghe e racconti dell’antica Irlanda, Milano 2003.
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Pedagogia e Didattica
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Beatrice Chiapponi
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Il volto dell’altro...
Strumenti per la didattica modulare della filosofia
Percorso Tematico
Il volto dell’altro:
persona e comunità
ANNA LISA MALATESTA
Il percorso intende delineare il rapporto tra ragione e moralità in alcuni autori della civiltà greca e cristiano-medievale.
Destinatari
III Liceo classico – V Liceo Scientifico
Periodo
Seconda metà del II quadrimestre
Durata
3 settimane (3 ore a settimana) per un totale di 9 ore
Prerequisiti
Conoscenza del concetto di persona nel pensiero tomista, del concetto di rivoluzione nella società marxista
e dei concetti fondamentali del pensiero fenomenologico ed esistenzialista del Novecento
Schema del percorso
Lezione 1 (spiegazione frontale e commenti sul rapporto tra Persona e Comunità in Emmanuel Mounier)
(2 ore)
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Pedagogia e Didattica
Anna Lisa Malatesta
Lezione 2 (discussione guidata su temi tratti dalla
lezione 1)
(2 ore)
Lezione 3 (spiegazione frontale e commenti sul concetto di Altro in Emmanuel Lévinas)
(2ore)
Lezione 4 (discussione guidata su temi tratti dalla
lezione 3)
(2 ore)
Lezione 5 (Esercitazione scritta sull’intero percorso)
(1 ora)
Lezione 1 (spiegazione frontale e commenti sul rapporto tra Persona e Comunità in Emmanuel Mounier)
Nel delineare la “rivoluzione personalistica e comunitaria” Emmanuel Mounier, nel 1934, sottolinea come alla persona, quale realtà spirituale, sia essenziale
l’apertura all’altro, la vocazione comunitaria. Una comunità che trascende la storia ma che tuttavia costituisce un’ideale regolativo dell’impegno etico-politico.
Facendo propria la convinzione di Charles Pèguy, per il quale la rivoluzione
o è rivoluzione morale o non sarà affatto rivoluzione, M. giudica che un reale
cambiamento comporti un triplice impegno: di denuncia, di meditazione, di elaborazione tecnica dei modi di intervento. Il modello proposto si basa su di una
spiritualità legata al messaggio evangelico e rivolta alla globalità della persona,
alla concretezza della sua corporeità. Un personalismo che non coincide con un
vago spiritualismo.
La nostra esistenza è innanzitutto incorporata; essa si incarna in una natura
che tuttavia trascende; non si può ridurre né il suo ripiegamento né la sua
trascendenza. Inoltre, non è mai isolata: ciò che anzitutto la caratterizza è la
comunicazione; il personalismo è il contrario dell’individualismo. Questa
comunicazione spinge la persona ad una costante apertura che, paradossalmente, è misura del suo stesso raccoglimento: la carità e il dono di se stessi sono la
vera condizione dell’interiorità. È pur vero che il rapporto con l’altro è difficile,
spesso precario e sempre da rinnovare, tuttavia tiene vigile la nostra facoltà di
discernere ed anche la nostra capacità di rifiuto, cioè la nostra libertà. Lo spirito
non si pone che opponendosi; questa opposizione è una tensione feconda tra le
libertà, una tensione che obbliga le coscienze a scuotersi dal conformismo e soprattutto a non far finta che l’altro non esista.
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Ma che cos’è per Mounier la libertà ? È accoglienza di valori ed insieme
autonomia. Una disponibilità fondata sull’apertura all’Altro per eccellenza, apertura a Dio che è la radice di ogni processo di personalizzazione. La trascendenza
emerge dall’ambito teorico del Cristianesimo ed è essenzialmente slancio e comunicazione; la relazionalità umana attinge il proprio valore nell’appello della
Grazia e si identifica con la costruzione di se stessi e con l’azione nella comunità.
La trascendenza è la forza che, nell’uomo e al di fuori di esso, rende possibile
la libertà e la fa passare da elemento tragico dell’esistenza a libertà autentica.
Il progetto di Mounier non è l’elaborazione di una filosofia, la sua concezione
personalista non è né dottrinale né moralistica, ma coincide con l’incarnazione
dell’ispirazione cristiana in ogni ambito: filosofico, ovviamente, ma anche
religioso, estetico, politico, economico, sociale. Tale scopo esige a sua volta una
rivoluzione permanente delle anime e, in alcune circostanze, una rivoluzione
delle istituzioni. Di particolare attualità risultano le considerazioni di Mounier
nel dibattito post-conciliare sulla natura ed i metodi di una politica cristiana, ma
questo aprirebbe un capitolo troppo lungo. L’impegno del cristiano deve tendere
a superare le strettoie economiche che soffocano la persona e quelle politiche
che l’opprimono, come anche i compromessi individuali della pigrizia o dell’interesse.
Per questo la presenza storica della Chiesa è legata al concetto di “soprannaturalismo storico” del Cristianesimo. Agli “spiritualisti” Mounier ricorda l’Incarnazione, il Verbo che si manifesta nel tempo; al conformismo di certa “sinistra
cristiana” indica la trascendenza in cui e per cui vive il cristiano. Per dirla sempre
con Pèguy “il temporale è la cura dell’eterno” e la città terrena è l’orizzonte
umano e carnale sul quale può nascere o tramontare l’orizzonte divino.
La democrazia sarà quindi intesa senza aggettivi, come costruzione basata
su effettivi legami materiali, culturali, economici, etc. Ogni democrazia infatti
che voglia partire da una tabula rasa è un’illusione illuministica di creare il nuovo
dal nulla. Solo recuperando e ricomponendo le proprie radici, anche se strappate
o seccate, si può costruire una società che dialoga con le diversità che la compongono. Non può esserci cioè democrazia se non nel rapporto fra soggetti con
un’identità maturamente accettata e ciò è condizione necessaria per accorgersi
che altre identità coesistono e devono potersi esprimere al livello più costitutivo
del loro essere.
Essenziale è quindi recuperare, difendere e riscoprire tutto ciò che è esperienza di vita, di cultura, di creatività, di qualità di vita, di tradizione e di religione. Bisogna ritrovare insomma un patrimonio attuale per una transizione
(La petite peur du XX siecle,1948).
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Anna Lisa Malatesta
Questo è forse il messaggio più vivo di Mounier, messaggio che ridisegna i
modi, le opportunità e le angosce dell’essere cristiani oggi, accettando la sfida
nella quale è in gioco la libertà dell’uomo, ma anche la stessa immagine di Dio
(La pensèe de Ch. Pèguy, 1931).
Si allontana così ogni trionfalismo ed ogni comoda certezza senza tuttavia
perdere lo slancio della speranza:
“Il Cristianesimo oggi non è minacciato di eresia: esso non appassiona più a
sufficienza perché questo possa accadere. È minacciato da una specie di silenziosa apostasia provocata dall’indifferenza che lo circonda e dalla sua propria
distrazione. Questi segni non ingannano: la morte s’avvicina. Non già la morte
del Cristianesimo, ma la morte della cristianità occidentale, feudale e borghese.
Una cristianità nuova nascerà domani, o dopodomani, da nuovi strati sociali e
da nuovi innesti extraeuropei. Bisogna ancora che noi non la soffochiamo con il
cadavere dell’altra.” (Feu la chrètientè, 1950)
Lezione 2 (discussione guidata su temi tratti dalla lezione 1)
A. In che senso il personalismo di Mounier non coincide con un vago spiritualismo?
B. Confronto tra la rivoluzione marxista e la rivoluzione morale di Mounier
C. Il valore della comunicazione e come questa rappresenti un elemento essenziale della persona e del rapporto con l’altro
D. Rapporto tra libertà e trascendenza
E. Democrazia: tradizione e dialogo con la diversità
F. Commento sulla “silenziosa apostasia” che Mounier vede come l’attuale
grave pericolo per la cristianità occidentale
Lezione 3 (spiegazione frontale e commenti sul concetto di Altro in Emmanuel Lévinas)
E. Lévinas non è semplicemente inscrivibile nel coro delle voci che si sono levate dopo Hegel e che polemicamente volevano rivendicare un posto al soggetto. Infatti spesso queste voci sono rimaste nell’orizzonte hegeliano, come suoi
interlocutori senza riuscire a rompere il cerchio.
A partire da una storia e una tradizione a cui saldamente appartiene, Lévinas
riesce a fondare la radicale unicità e irripetibilità del singolo nel rapporto con
Altri, nella relazione etica (metafisica), con ciò che è radicalmente diverso da lui.
Solo l’incontro con il VOLTO può dare significato al soggetto, restituirgli la sua
identità.
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Trascrivendo alcuni brani della sua opera fondamentale - Totalità e Infinito vogliamo far emergere da un lato le linee fondamentali del suo pensiero e dall’altro la polemica inevitabile con la posizione hegeliana.
“Tra una filosofia della trascendenza che situa altrove la vera vita cui l’uomo
avrebbe accesso, sfuggendo da questo mondo, negli istanti privilegiati dell’elevazione liturgica e mistica o nella morte — e una filosofia dell’immanenza secondo la quale ci si può impadronire veramente dell’essere solo quando ogni altro
(causa di guerra), inglobato dal Medesimo, svanisce al termine della storia, noi ci
proponiamo di descrivere, nello svolgersi dell’esistenza terrena, di quella che noi
chiamiamo esistenza economica, una relazione con l’Altro che non porta ad una
totalizzazione divina od umana, una relazione che non è una totalizzazione della
storia, ma l’idea dell’infinito. Questa relazione è proprio la metafisica. (...)
La storia, rapporto tra uomini, ignora una posizione dell’Io verso l’Altro nel
quale l’Altro resti trascendente rispetto a me. (...)
Quando un uomo va veramente incontro al Altri, è strappato dalla storia1.
“L’idea platonica di Bene al di là dell’essere, e l’idea di Infinito della terza
meditazione cartesiana sono qui indicati, per dirla con Derrida, “gli unici due
gesti filosofici che, escludendo i loro autori, siano completamente assolti, riconosciuti innocenti da parte di Lévinas 2 ”. Queste due idee rappresentano, secondo Lévinas, le sole anticipazioni che, all’interno di una tradizione filosofica
definita dal movimento egoistico del MEDESIMO raggiungano “l’autrement
que étre” 3.
“Ponendo la relazione con Altri come etica, si supera una difficoltà che sarebbe inevitabile se la filosofia, contrariamente a Cartesio, partisse da un cogito
che si pone in modo assolutamente indipendente da Altri.
Il cogito cartesiano mostra infatti di fondarsi, alla fine della terza meditazione,
sulla certezza dell’esistenza divina, in quanto infinita, e rispetto alla quale si
pone e si concepisce la finitezza del cogito o il dubbio. Questa finitezza non potrebbe essere determinata, senza il riferimento all’infinito, partendo dalla mortalità del soggetto, per esempio. Il soggetto cartesiano si dà un punto di vista
che gli è esterno e a partire dal quale può comprendersi. Se in un primo momento Cartesio acquista una coscienza indubitabile di sé, autonomamente, in
un secondo momento — riflessione sulla riflessione — si accorge delle condi1
2
3
E. Lévinas, Totalità e Infinito, Jaca Book, Milano 1980 p. 50
J. Derrida, La scrittura e la differenza, Einaudi, Torino 1971, p. 108 nota 1.
S. Petrosino, La verità nomade, Jaca Book, Milano 1980, p. 78.
51
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Anna Lisa Malatesta
zioni di questa certezza. Questa certezza dipende dalla chiarezza e dalla distinzione — ma la certezza stessa è cercata a causa della presenza dell’infinito in
questo pensiero finito che senza questa presenza ignorerebbe la sua finitezza:
“... vedo manifestamente che si trova più realtà nella sostanza infinita che nella
sostanza finita, e quindi che ho, in certo modo, in me prima la nozione dell’infinito che del finito, cioè prima la nozione di Dio che di me stesso. Perché come
potrei conoscere che dubito e che desidero, cioè che mi manca qualche cosa, e
che non sono del tutto perfetto, se non avessi in me nessuna idea di un essere
più perfetto del mio, dal cui paragone riconoscere i difetti della mia natura?” 4.
(...) Il riferimento del cogito finito all’infinito di Dio non consiste in una semplice
tematizzazione di Dio. (...) Dio è l’Altro. Se pensare consiste nel riferirsi ad un
oggetto, bisogna credere che il pensiero dell’infinito non è un pensiero. (...) è in
ogni caso evidente che l’intuizione dell’infinito conserva un senso razionalista e
non diverrà in alcun modo l’irruzione di Dio attraverso un’emozione interiore.
Cartesio meglio di un idealista o di un realista, scopre una relazione con una alterità totale, irriducibile all’interiorità e che, però, non fa violenza all’interiorità;
una recettività senza passività, un rapporto tra libertà.
(...) Non si tratta più di un “oggetto infinito” ancora conosciuto e tematizzato,
ma di una maestà: “(...) Poiché, come la fede ci insegna che la sovrana felicità
dell’altra vita non consiste che in questa contemplazione della divina Maestà,
così sperimentiamo fin da adesso che una simile meditazione, sebbene incomparabilmente meno perfetta, ci fa godere della maggior gioia di cui siamo capaci
in questa vita” 5 - 6.
“Il fatto che il volto abbia attraverso il discorso una relazione con me, non lo
situa nel Medesimo. Esso resta assoluto nella relazione. La dialettica solipsista
della coscienza, sempre sospettosa della propria cattività nel Medesimo, si interrompe. (...)
La presenza di un essere che non entra nella sfera del Medesimo, presenza
che la oltrepassa, fissa il suo “statuto” di infinito.
(...) Questa presenza traboccante si attua come un porsi di fronte al Medesimo. Il porsi di fronte, l’opposizione per eccellenza, è possibile solo come messa
in causa morale., Questo movimento parte dall’Altro. L’idea dell’infinito, l’infinitamente di più contenuto nel meno si produce concretamente sotto la specie
di una relazione con il volto. (...) L’idea dell’infinito supera il mio potere — non
4
5
6
52
Cartesio, Opere, Laterza, Bari 1967, voi. 1, p. 225.
Cartesio, op. cit., p. 231.
Idem, pp. 215 e seg.
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Il volto dell’altro...
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quantitativamente, ma , lo vedremo più avanti, mettendolo in questione. (...)
Hegel torna a Cartesio sostenendo la positività dell’infinito, ma escludendo
ogni molteplicità, ponendo l’infinito come l’esclusione di qualsiasi “altro” che
potrebbe avere una relazione con l’infinito e che, per questo, limiterebbe l’infinito. L’infinito non può che inglobare tutte le relazioni. (...) Il rapporto di un particolare con l’infinito equivarrebbe all’entrata di questo particolare nella
sovranità di uno Stato. Diventa infinito negando la propria finitezza. Ma questo
esito non riesce a soffocare la protesta dell’individuo privato (...) dell’individuo
che sperimenta come tirannia lo Stato voluto, cercato, dalla sua ragione, ma nel
cui destino impersonale non riconosce più la propria ragione. (...)
Ma l’Altro, assolutamente altro — Altri — non limita la libertà del Medesimo
chiamandola alla responsabilità, la instaura e la giustifica 7.
“L’io identificato con la ragione — come potere di tematizzazione e di oggettivazione — perde appunto la sua ipseità. (...) La ragione rende possibile la società umana, ma una società i cui membri fossero soltanto ragioni scomparirebbe
come società. Di. che cosa potrebbe parlare un essere assolutamente razionale
ad un altro essere assolutamente razionale? Ragione non ha plurale, come si distinguerebbero, allora, le diverse ragioni?” 8.
Per E. Lévinas difendere la soggettività non significa giustificare la libertà arbitraria, ma anzi la soggettività è messa radicalmente in discussione e quindi responsabilizzata nel rapporto con Altri.
“La libertà dell’Io non è né l’arbitrarietà dell’essere isolato, né l’accorcio di
un essere isolato con una legge che s’impone a tutti, razionale ed universale. La
mia libertà arbitraria legge la propria vergogna negli occhi che mi guardano” 9.
“La grande meditazione hegeliana sulla libertà consente di capire che la
buona volontà, di per sé, non è una vera libertà, fino a quando non dispone dei
mezzi per realizzarsi. (...) La libertà non si realizza al di fuori delle istituzioni
sociali e politiche (...). L’insicurezza del domani, la fame e la sete, si prendono
gioco della libertà. (...) Esposta alla violenza e alla morte, la libertà umana, non
si realizza pienamente con uno slancio bergsoniano, con un colpo solo, ma si
pone al riparo dal proprio tradimento nelle istituzioni. (...) Così un’esistenza po-
7
8
9
Idem, pp. 200 e seg.
Idem, pp 119.
Idem, p. 258.
53
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Pedagogia e Didattica
Anna Lisa Malatesta
litica e tecnica garantisce alla volontà la sua verità, la rende, come si dice oggi,
oggettiva, senza arrivare alla bontà, senza privarla del suo peso egoistico. (...)
Esiste una tirannia dell’universale e dell’impersonale, ordine inumano benché
distinto dal brutale. Contro di essa, l’uomo si afferma come singolarità irriducibile, esterna alla totalità in. cui entra, e tale da aspirare all’ordine religioso in cui
il riconoscimento dell’individuo lo riguarda nella sua singolarità, (...). Il giudizio
della storia è pronunciato sempre in contumacia. L’assenza della volontà in questo giudizio consiste nel fatto che essa vi si presenta solo alla terza persona. (...)
Ma la possibilità di vedersi dall’esterno non contiene maggiormente la verità se
la pago con la mia spersonalizzazione. È necessario che, in questo giudizio a
partire dal quale la soggettività si mantiene assolutamente nell’essere, non venga
meno la singolarità e l’unicità dell’io che pensa, per assorbirsi nel suo pensiero
ed entrare nel suo discorso. È necessario che il giudizio sia pronunciato nei. confronti di una volontà che possa difendersi nel giudizio e, con la sua apologia, essere presente al proprio processo e non scomparire nella totalità di un discorso
coerente. (...)
Infatti la singolarità non può trovar posto in una totalità. L’idea di un giudizio
di Dio rappresenta l’idea limite di un giudizio che tiene conto di questa invisibile
ed essenziale offesa che è inferta alla singolarità dal giudizio (anche se si tratta
di un giudizio razionale ed ispirato a principi universali e quindi visibile ed evidente), da un giudizio, d’altra parte, fondamentalmente discreto che non fa tacere con la sua maestà la voce e la rivolta dell’apologia. (...)
L’esaltazione della singolarità nel giudizio si produce appunto nella responsabilità infinita della volontà suscitata dal giudizio. Il giudizio è diretto su di me
nella misura in cui mi ingiunge di rispondere. La verità si crea in questa risposta
all’ingiunzione.
(...) dietro la linea retta della legge si estende infinita ed inesplorata la terra
della bontà che esige tutte le risorse di una presenza singolare. Io sono dunque
necessario alla giustizia come responsabile al di là di ogni limite fissato da una
legge oggettiva. (...) dire “Io” — affermare la singolarità irriducibile in cui viene
proseguita l’apologia — significa possedere un posto privilegiato rispetto alle
responsabilità nelle quali nessuno mi può sostituire e dalle quali nessuno mi
può liberare, non potersi sottrarre — ecco l’“Io” 10.
Quindi la libertà come libertà di adesione passiva alle leggi comporta inevitabilmente
la perdita del singolo e delle sue potenzialità.
10
54
Idem, pp. 246 e seg.
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Il volto dell’altro...
QdPD 1 (2010)
“La totalizzazione si attua solo nella storia — la storia degli storiografi — cioè
dei superstiti. (...) Il tempo della storia universale finisce con l’essere come il
fondo ontologico nelle esistenze particolari si perdono, si contano e nel Quale si
riassumono le loro essenze. La nascita la morte come momenti puntuali e l’intervallo che le separa, si situano in questo tempo universale dello storico che è
un superstite. L’interiorità come tale è un “niente”, “puro pensiero”, nient’altro
che pensiero. Nel tempo dello storiografo, l’interiorità è il non essere nel quale
tutto è possibile” 11.
Il rapporto etico permette al singolo di svincolarsi dall’orizzonte impersonale
della storia e di essere cosciente del proprio destino.
“Quando attuo una relazione etica, mi rifiuto di riconoscere la parte che reciterei in un dramma di cui non fossi l’autore, o di cui un altro conoscesse prima
di me l’epilogo, di apparire in un dramma della salvezza o della dannazione che
si svolgerebbe mio malgrado e prendendosi gioco di me” 12.
La nostra attenzione al rapporto del soggetto con Altri non de riva da una
particolare fissazione religiosa, ma dal fatto che annullando, negando questo assolutamente Altro, l’idea d’Infinito, si ha come estrema conseguenza la perdita
del singolo.
Infatti se la filosofia hegeliana, e l’idea di Ragione che non ha limiti fuori di
sé, ed è misura di sé stessa, rompe definitivamente con la trascendenza e si pone
in questo modo come l’espressione più matura dell’illuminismo, questa stessa
rottura con Qualcosa di totalmente altro ha come risvolto immediato la negazione del soggetto e della sua libertà.
“Ma un’altra figura viene a smarrirsi nell’anonimato generico dell’essere:
oltre la trascendenza anche l’individualità, l’unico del soggetto viene ad essere
escluso dalla filosofia dell’essere. Nell’essere (essence) il soggetto, l’io, viene a
perdere ciò che lo fa essere, ciò che è: l’irripetibilità. (...)
La soggettività, luogo e non luogo della rottura d’ogni identità d’essere trova
il suo senso nella trascendenza. (...) Secondo Lévinas il problema della trascendenza e di Dio e il problema della soggettività irriducibile all’essence procedono
parallelamente 13.
11
12
13
Idem, p. 53.
Idem, p. 77.
S. Petrosino, op. cit., p. 64.
55
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Pedagogia e Didattica
Anna Lisa Malatesta
Lezione 4 (discussione guidata su temi tratti dalla lezione 3)
In che modo l’idea di Essere della metafisica occidentale può avere un carattere omologante ed impedire un vero rapporto con l’Altro
Che relazione può esserci, nella nostra società, tra il rispetto della trascendenza e il rischio di violenza, teorica o pratica
Partendo dal richiamo levinasiano all’etica della responsabilità, riflessione sul
valore di quest’ultima e sul suo legame con la solidarietà
Lezione 5 (Esercitazione scritta sull’intero percorso)
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Gli unici veri stranieri : gli E.T.
Strumenti per la didattica modulare delle scienze
Percorso Tematico
Gli unici veri stranieri:
gli E. T.
MARINA PESCARMONA
Introduzione
Il tema degli extraterrestri solletica da sempre la curiosità dell’uomo e dei ragazzi in particolare. Si può trattare quindi questo tema in maniera divertente e
leggera e arrivare nel contempo a conoscere concetti e quesiti impegnativi dal
punto di vista scientifico e filosofico.
La proposta didattica dell’articolo è quella di accennare a tematiche che dovranno poi essere approfondite a casa dagli alunni. Si pensa in questo modo di
stimolare in tipo di apprendimento attivo e personale. Alla fine di ogni paragrafo
vengono pertanto suggerite alcune domande o concetti da far approfondire agli
alunni.
Classi destinatarie: terzo classico, quinto scientifico, terza media
Prerequisiti: Il modulo didattico è adatto alle classi finali del ciclo secondario
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Pedagogia e Didattica
Marina Pescarmona
che hanno acquisito una conoscenza generale di biologia e di astronomia. Se ne
consiglia dunque lo svolgimento nel corso del secondo quadrimestre.
Strategia didattica e strumenti: lezione frontale e partecipata; lezione in copresenza con l’insegnante di filosofia e di disegno per lo scientifico, uso del Web
Obiettivi: Educazione alla lettura critica delle notizie e dei fenomeni. Educazione alla selezione delle fonti prese dal Web. Riflessioni filosofiche sul rapporto
scienza-natura e scienza-verità
Verifica: presentazioni in Power Point, realizzate dai ragazzi, che mostrino i
contenuti appresi, le questioni affrontate, le domande che ne conseguono
Durata del modulo: dipende dal materiale che i ragazzi trovano a casa. Per la
parte relativa all’insegnante possono bastare due lezioni da un’ora.
Avvistamento marziani
Nell’autunno del 1877, da un osservatorio di Milano, il nostro astronomo Giovanni Schiaparelli (1835-1910) avvistò su Marte strutture canaliformi che, cautamente, egli interpretò come una rete idrografica naturale (vedi fotografia n. 1).
Fu invece l’astronomo statunitense Percival Lowell (1855-1916), che volle vedere in quei canali un’opera di un qualche essere intelligente, la traduzione inglese scelta per la parola “canale” fu “canals” al posto di “channel”. Il primo
termine inglese indica un canale artificiale, il secondo invece lascia spazio a origini naturali. Sta di fatto che quel giorno, per una traduzione troppo libera e per
l’imprudenza interpretativa del Lowell, nacquero i marziani.
Fig. 1
I disegni
di Giovanni
Schiaparelli della
superficie
di Marte (1877)
che fecero
pensare alla
presenza di canali
(artificiali).
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Gli unici veri stranieri : gli E.T.
QdPD 1 (2010)
Il Lowell andò anche oltre pensando di riconoscere sul pianeta rosso anche
la presenza di nubi e di un clima temperato, nonché una serie di opere ingegneristiche, tante da riempire ben tre libri (Mars (1895), Mars and Its Canals (1906),
Mars as the Abode of Life (Marte come dimora della vita,1908).
Ogni tanto la scienza fa scoperte (o almeno crede che tali siano) a grandissima
risonanza popolare, Lowell divenne famoso quasi come Galileo all’epoca della
pubblicazione del suo Sidereus Nuncius.
Inevitabile fu l’inserimento nella congettura marziana da parte di grandi e
piccoli della fantascienza, nominiamo tra questi Herbert George Wells (18661946) e Olaf Stapledon (1886-1950).
Il primo, considerato insieme a Jules Verne (1828-1905) uno dei padri del romanzo scientifico, è stato allievo di Thomas Henry Huxley (1825-1895) l’evoluzionista convinto al punto di essere noto come “il mastino di Darwin”, ed è stato
autore di romanzi divenuti molto celebri, come ad esempio L’Uomo Invisibile e
La Macchina del Tempo.
Domenica 30 ottobre 1938 un giovane e bontempone Orson Welles (19151985), il giorno prima di Hallowen, diffuse il panico tra milioni di americani che
ascoltarono alla radio brani del suo adattamento della Guerra dei mondi di Wells.
Con una magistrale interpretazione da parte di attori coinvolti da Welles, moltissime persone si convinsero che quelle che sentivano fossero cronache di una
vera invasione dell’America credendo che un enorme oggetto infuocato fosse
atterrato nel New Jersey. Riportiamo uno stralcio dell’intervento del radiocronista Carl Phillips che diede la sua testimonianza oculare:
Mi sembrano tentacoli. Là vedo il corpo della cosa. È grande come un orso e luccica
come cuoio bagnato. Ma la faccia! È…indescrivibile. A fatica mi impongo di continuare
a guardarla. Gli occhi sono neri e scintillano come quelli di un serpente. Ha la bocca a
forma di V, e la saliva gli cola dalle labbra senza bordo e che sembrano fremere e pulsare…La cosa si sta alzando. La folla arretra. Hanno visto anche troppo. Questa è l’esperienza più straordinaria. Non trovo le parole. Sto tirandomi dietro il microfono mentre
parlo. Devo interrompere la descrizione finchè non mi sarò portato in una nuova posizione. Rimanete in ascolto, per favore, sarò tra voi tra un minuto.
Il panico seminato venne sedato dalle parole tranquillizzanti dei conduttori
dei veri notiziari che dovettero invitare alla calma e confessare la finzione.
Se i canali di Lowell erano solo illusioni ottiche, esistono tuttavia su Marte
alcuni tortuosi canali reali. Recentemente la sonda spaziale Mars Express ha portato la testimonianza di presenza di acqua ghiacciata al Polo Sud di Marte e la
convinzione che un tempo dell’acqua allo stato liquido possa aver scavato channels sulla sua superficie. Il pianeta potrebbe aver avuto un ruolo nel disseminare
la vita sulla Terra, e questo ha portato ad un rinnovato interesse verso Marte te59
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Pedagogia e Didattica
Marina Pescarmona
stimoniato dalla recente dichiarazione del Presidente Obama che ha annunciato
l’intenzione di portare l’uomo sul pianeta rosso
DOMANDE/STIMOLI GUIDA
- Suggerire agli alunni di trovare il testo completo della radiocronaca della
Guerra dei Mondi di Wells
- Fare un excursus sulla letteratura fantascientifica
- Cercare materiale iconografico sui marziani o extraterrestri in generale
E fuori dal Sistema Solare?
Ci siamo andati per la prima volta negli anni Ottanta (indirettamente) con le
nostre sonde Pioneer 10 e 11, da allora entrambe le sonde si stanno dirigendo
verso le stelle vicine, tanto per intenderci Pioneer 10 è diretta verso Aldebaran
nella costellazione del Toro e il suo arrivo è previsto tra due milioni di anni circa.
Questo se la nostra sonda durante il viaggio non sarà distrutta da asteroidi, rocce
e polvere disseminati nel percorso.
Per non sprecare un viaggio così lungo gli scienziati hanno pensato di equipaggiare le sonde con messaggi della razza umana. Cosa contiene il messaggio
e come è stato realizzato? L’intenzione era quella di inviare un’immagine con
un significato che risulti “ovvio” a un extraterrestre dotato di conoscenze scientifiche. Come si può vedere dalla figura n. 2, sono stati effigiati un uomo e una
donna accanto a un profilo del veicolo spaziale, la mano dell’uomo è sollevata
in un gesto di saluto che mette anche in evidenza il nostro pollice opponibile.
Vi sono poi immagini in scala del Sole e dei pianeti del nostro sistema solare.
Fig. 2
La placca delle
sonde Pioneer,
progettata da
Frank Drake e
Carl Saan e disegnata da Linda
Salzman Saaan
nel 1972.
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Gli unici veri stranieri : gli E.T.
QdPD 1 (2010)
La Terra è individuata come punto di origine di una traiettoria seguita dal veicolo spaziale. Le distanze dei pianeti impiegano come unità una lunghezza base
pari a un decimo della distanza orbitale di Mercurio dal Sole.
Le altre immagini incise nella placca di alluminio anodizzata con oro darebbero informazioni, “molto poco ovvie” a mio avviso, circa la posizione del Sole,
il tempo cosmico e la posizione del lancio del veicolo spaziale, nonché una chiave
quantitativa basata sulla lunghezza d’onda di 21 cm corrispondente alla radiazione emessa dall’idrogeno in transizione tra due differenti stati energetici (il
tutto rappresentato dal bilanciere in alto a sinistra nella figura). Questa particolare lunghezza d’onda è una grandezza fondamentale in astronomia e pertanto
arcinota (così si dice) a qualunque serio astronomo extraterrestre che pratichi
un minimo di radioastronomia.
Una seconda e più ambiziosa spedizione verso i pianeti esterni al sistema solare è stata effettuata con il lancio delle sonde Voyager 1 e 2 il 5 settembre e il 20
agosto 1977. Si cercò in questo caso di fornire agli ipotetici alieni un’idea sintetica
dell’umanità con suoni e immagini raccolti in una registrazione enciclopedica
relativa alla nostra cultura e al nostro mondo. Il tutto è stato inciso in un disco
da grammofono in rame placcato d’oro che contiene 115 immagini codificate
analogicamente, suoni naturali della Terra, saluti e messaggi in 55 lingue umane
dall’antico accadico e sumerico al moderno cinese e punjabi, espressioni di amicizia del presidente Jimmy Carter e del segretario generale delle Nazioni Unite,
una selezione di novanta minuti di musica di varie culture. Il disco era naturalmente accompagnato da una puntina e una testina e da istruzioni per l’uso simbolicamente incise.
Cosa era contenuto nelle 115 illustrazioni? Ne diciamo solo alcune: elenchi
delle nostre unità fisiche e dei nostri simboli matematici, la struttura del Dna,
una guida alla nostra anatomia e fisiologia, una serie fotografica sul nostro pianeta, una panoramica sui differenti stili di vita umani , dai boscimani agli uomini
delle città moderne, il traffico delle ore di punta, cibi e bevande, case, sistemi di
trasporto, telescopi, orchestre e …scuole!
Nella registrazione audio erano stati selezionati Bach, musica africana e giavanese, il Flauto Magico di Mozart, flauti peruviani, raga indiani, Louis Armstrong ma erano stati esclusi i Beatles né altra musica pop.
DOMANDE/STIMOLI GUIDA
- Far disegnare agli alunni una placca da mandare nello spazio per comunicare con un eventuale extraterrestre
- Far scrivere un elenco di fatti, oggetti, opere artistiche, scoperte che manderebbero nello spazio per far conoscere il nostro mondo
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Marina Pescarmona
Limiti e punti di forza del progetto SETI
SETI (Search for ExtraTerrestrial Intelligence) è l’acronimo con cui gli scienziati indicano ogni esperimento finalizzato alla ricerca di possibili esseri intelligenti nelle profondità dell’Universo e che da quarant’anni fa uso dei maggiori
radiotelescopi del mondo.
I limiti di ogni progetto di questo tipo risiedono nel fatto che si immagina di
contattare civiltà più vecchie e quindi anche più avanzate della nostra. Ha senso
pertanto dare per scontato che facciano uso di onde radio come facciamo noi?
Un altro limite sta nell’estrema difficoltà di trovare qualcosa date le dimensioni
della nostra galassia (78500 anni luce) non conoscendo oltretutto la frequenza a
cui gli alieni potrebbero trasmettere e il tipo di messaggio da cercare. Sarebbe
come cercare un ago in un pagliaio di dimensioni cosmiche.
I punti di forza sono invece costituiti dai costi limitati e dalla possibilità di
usare registrazioni fatte per altri scopi, disponendo così di molto materiale in
cui cercare eventuali messaggi.
In questa ricerca si assume inoltre che le leggi fisiche siano le stesse in tutto
l’Universo (o almeno ci basta che lo siano in quell’infinitesima parte dell’Universo costituito dalla nostra galassia), e si suppone che anche le tecnologie possibili siano abbastanza uniformi.
DOMANDE/STIMOLI GUIDA
- Nel nostro mondo c’è una sorta di guerra di frequenze per la trasmissione
in analogico, via satellite o via cavo. Proporre una ricerca sull’argomento
che chiarisca i termini delle questioni dibattute politicamente
UFO e dischi volanti
Il 24 giugno del 1947 Kenneth Arnold alle tre del pomeriggio stava volando
con il suo aereo privato sopra il monte Rainier , diretto alla sua casa nell’Idaho,
quando vide (o meglio riferì di aver visto) nove oggetti metallici lucidi, tutti di
forma approssimativamente circolare, eccetto uno che aveva la forma di mezza
luna, in rapido volo verso sud. Descrisse il loro movimento come “quello di un
piatto fatto rimbalzare sull’acqua”. Due giorni dopo l’avvistamento, il suo racconto venne diffuso in tutta l’America campeggiando la prima pagina di tutte
le testate nazionali.
Erano nati gli UFO (Unidentified Flying Object), anche se l’aviazione era convinta che si fosse trattato quasi certamente di un gruppo di nuvole a forma di
disco sopra le montagne.
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Nel 1955 fece il giro del mondo un filmato in bianco e nero che sembrava
mostrare un’autopsia di un extraterrestre precipitato sulla Terra con la sua
astronave. Nonostante lo scetticismo dimostrato allora dagli scienziati in tanti
ci credettero. Recentemente, il produttore televisivo inglese Ray Santilli, lo
“scopritore” del filmato, ha confessato che trattavasi di un falso. L’alieno fu realizzato da uno scultore inglese che utilizzò materia cerebrale di pecora e una
zampa di agnello per l’articolazione della gamba.
È incredibile in quanti casi siano invocati gli UFO, dall’attribuzione della responsabilità del famoso delitto di Cogne, al famoso mistero dei cerchi nel grano.
In quest’ultimo caso, forse per mostrare il loro aggiornamento in tema di multimedialità, i supposti alieni hanno recentemente disegnato tra il grano il simbolo
del browser di Mozilla: la volpe!
Una curiosità: ai marziani ha creduto per molto tempo Steven Spielberg, lo
testimoniano i suoi famosi film: ET, Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo, La Guerra
dei Mondi. Il regista ha in seguito cambiato idea diventando molto più scettico
a riguardo.
DOMANDE/STIMOLI GUIDA
- Far ricercare sul Web casi divertenti e particolari di avvistamenti UFO
- Far visitare il sito del CICAP (Comitato Italiano delle Affermazioni sul Paranormale)
Ma gli extraterrestri esistono o no?
Proviamo a immaginare altri universi ottenuti variando i valori delle grandezze fisiche che definiscono la struttura del nostro universo, scopriremmo che
quasi tutti questi possibili universi da noi creati sulla carta sono incapaci di generare quella che noi chiamiamo “vita”. Questa considerazione scientifica ha
portato– Brandon Carter- alla considerazione metafisica denominata principio
antropico debole (Weak Anthropic Principle, WAP) (per distinguerlo da quello
forte enunciato più avanti).
Del principio antropico debole esistono diverse definizioni, tra queste: “I valori osservati delle variabili fisiche non sono arbitrari ma sono tali da consentire la vita”.
C’è anche però chi dice che “In un universo che è grande o infinito nello spazio
e/o nel tempo, le condizioni necessarie per lo sviluppo della vita intelligente si troveranno
solo in certe regioni che sono limitate nello spazio e nel tempo. Gli esseri viventi presenti
in queste regioni non dovrebbero perciò sorprendersi nel constatare che la regione in cui
essi vivono nell’universo soddisfa le condizioni che sono necessarie alla loro esistenza”.
Una questione sostanzialmente statistica, un conto che però non si può svolgere dal momento che non è affatto noto ad esempio il numero di pianeti esi63
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Marina Pescarmona
stenti né tanto meno quello dei pianeti con condizioni favorevoli alla vita.
Il principio antropico forte (Strong Anthropic Principle, SAP) invece, arriva
a formulare frasi come queste:
- L’Universo deve contenere la vita
- L’Universo deve avere quelle proprietà che permettono lo sviluppo della vita all’interno di esso e in qualche stadio della sua storia.
Ancora più “forti” sono le asserzioni del cosmologo inglese John Barrow
(1952- ) che, nell’esprimere un’interpretazione di alcune idee del fisico statunitense John Archibald Wheeler (1911-2008), dice che “sono necessari osservatori per portare l’Universo alla formazione della vita”. Quindi l’uomo tornerebbe,
secondo queste affermazioni, ad essere protagonista del cosmo in cui vive, dopo l’emarginazione traumatica della rivoluzione copernicana.
L’uomo non sarebbe solamente spettatore dell’Universo in cui vive ma la
sua capacità osservativa diventerebbe necessaria all’esistenza stessa dell’Universo.
Da questi principi emergono alcune domande per il momento senza risposte
certe: se siamo in qualche modo privilegiati siamo allora anche gli unici? Da
qualche altra parte si è realizzata questa improbabile convergenza di fattori fisici? Il concetto di “vita” deve comprendere la consapevolezza dell’osservazione?
DOMANDE/STIMOLI GUIDA
- Approfondire il seguente tema: “L’oggettivita della conoscenza scientifica è
oggi messa in discussione soprattutto in seguito agli sviluppi della fisica quantistica e, dal punto di vista epistemologico, da alcune riflessioni come quelle di
Popper”.
Che cos’è la vita?
Sicuramente è il titolo di un libro scritto nel 1944 da Erwin Schrodinger (18871961) che, dopo aver rivoluzionato il concetto di atomo contribuendo alla ricerca
della fisica quantistica, si è dedicato alla divulgazione della biologia che in quegli
anni stava nel periodo d’oro della biologia molecolare.
Dal punto di vista scientifico, la vita appartiene a organismi in grado di svolgere funzioni come quelle di nascere, nutrirsi, crescere, interagire con l’ambiente,
riprodursi e morire. In questa definizione non rientrano pienamente i virus che,
tradizionalmente, sono infatti considerati border line tra vita e non vita.
Per niente chiaro è invece il come la vita sia venuta fuori da materia inanimata,
un processo evolutivo che sicuramente è durato centinaia di milioni di anni.
Ancora molta poca chiarezza c’è sull’identificazione delle tappe che avrebbero
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portato le prime molecole organiche, quale amminoacidi e nucleotidi, a organizzarsi in macromolecole inserite poi in quella struttura di complessità irriducibile che si chiama cellula.
Pur conoscendo i componenti fondamentali delle cellule siamo ben lontani
da riuscire a sintetizzarle in laboratorio, non riusciamo a riprodurre in vitro un
facsimile del processo naturale, né siamo in grado (almeno non ancora) di fare
una ricostruzione della storia della vita individuando una logica successione di
eventi. La vita è ancora in buona parte un mistero.
DOMANDE/STIMOLI GUIDA
- Far sviluppare il tema sull’origine della vita, facendo evidenziare i punti deboli
delle teorie attualmente esistenti
Bibliografia consigliata
ERWIN SCHRODINGER –“Che cos’è la vita?”- Adelphi, 1995
JOHN BARROW, FRANK TIPLER - “Il Principio Antropico” – Adelphi, 2002
MARIO MENICHELLA - “A caccia di ET” – Avverbi Editore, 2002
JOHN BARROW - “Le Immagini della Scienza” – Mondadori, 2009
Sito web del CICAP: http://www.cicap.org
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L’immagine dello straniero in Erodoto
Strumenti per la didattica modulare del greco
Percorso Tematico
L’immagine dello straniero in Erodoto
CHIARA RAMPONI
Destinatari: I Liceo Classico
Prerequisiti:
- Conoscenze generali di morfologia e sintassi.
- Conoscenza generale dello storico greco Erodoto, lettura e traduzione del
Proemio delle Storie.
Contenuti e testi:
Erodoto, Storie:
- VIII 144 (in greco): gli elementi che costituiscono la patria greca;
- IX 11, IX 55 (in traduzione italiana con testo greco a fronte): analisi dei termini x◊noj e b£rbaroj;
- I 201-203 (I 202,1-2 in greco): usi e costumi dei popoli del Caucaso;
- III 17-24 (III 20 in greco): usi e costumi degli Etiopi;
- III 98-106 (III 98 in greco): usi e costumi degli Indiani;
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Pedagogia e Didattica
Chiara Ramponi
Omero (in traduzione italiana con testo greco a fronte):
- Iliade I, 423-427; XXIII, 205-207;
- Odissea I, 22-25; IX, 105-111; 355-359.
Strategia didattica: Lezione interattiva. Lettura dei testi in lingua, guida alla traduzione con analisi linguistica, commento storico-letterario, analisi del lessico
in riferimento alla tematica affrontata.
Materiali utilizzati: libro di testo; testi forniti agli alunni in fotocopia con traduzione a fronte; dizionario greco-italiano; atlante storico; libro di storia antica;
dizionario di antichità classica.
Obiettivi: Riconoscere la rappresentazione dello straniero, quale risulta dai passi
esaminati; riflettere sui modi di vita desunti, con particolare attenzione ad alimentazione, culto dei morti, assenza di agricoltura, di artigianato, di istituzioni
politiche; individuare il lessico specifico afferente alla tematica trattata.
Verifica: Traduzione di un passo scelto tra quelli letti, tradotti e commentati in
classe, con tre domande a risposta aperta inerenti la tematica trattata.
Durata: 6 ore. (4 ore di lezione, 1 ora di verifica, 1 ora di discussione dei risultati).
Prima lezione
Obiettivi:
• Riconoscere gli elementi che, secondo Erodoto, costituiscono la grecità (tÕ
`EllhnikÕn).
• Distinguere la figura dello straniero identificato con il termine x◊noj da
quella dello straniero identificato con il termine b£rbaroj.
Contenuti e testi:
• Breve introduzione sulla modalità di composizione delle Storie di Erodoto
e sulle sue fonti.
• Lettura, traduzione e commento di Erodoto VIII, 144.
• Lettura in traduzione italiana con testo greco a fronte di Erodoto IX, 11, 55.
Strumenti:
• Fotocopie del testo greco con traduzione italiana a fronte.
• Cartina raffigurante i viaggi di Erodoto.
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L’immagine dello straniero in Erodoto
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Metodologia:
• Lezione frontale e interattiva.
Attività degli studenti:
• (a casa) Lettura di Erodoto I 201-203, con attenzione al lessico afferente alla
tematica trattata.
Durata:
• 1 ora.
Nella prima lezione, per introdurre la tematica che si affronterà, è opportuno
accennare rapidamente alla cosiddetta “questione erodotea” e alle diverse teorie
sulla genesi delle Storie: si discute tra gli studiosi se Erodoto abbia cominciato a
stendere, magari come oggetto di lettura in pubblico, oggi diremmo di conferenze, una serie di singole relazioni sui paesi visitati (teoria dei lÒgoi indipendenti: Bauer, Jacoby) o se, quando si accinse a scrivere, avesse già in mente un
piano di più vasto respiro (tesi evoluzionistica: De Sanctis, Powell; tesi unitaria:
Pohlenz). La questione rimane insolubile, dal momento che non abbiamo nessuna notizia sulle modalità di composizione dell’opera.
Nelle Storie Erodoto fonde al racconto delle guerre tra Greci e Persiani l’immenso tesoro di osservazioni ed esperienze accumulato nei suoi viaggi 1, facendo
precedere alla narrazione del conflitto la storia del sorgere e dell’accrescersi della
potenza persiana. Nell’opera ricorrono descrizioni geografiche, etnografiche e
narrazioni mitologiche, ma è anche vero che man mano che ci si avvicina all’età
contemporanea prevale nettamente nella narrazione l’interesse più propriamente storiografico. È la lontananza temporale così come quella spaziale a far
emergere in Erodoto la curiosità etnografica e geografica, il gusto mitologico.
Egli viaggiò in Oriente per raccogliere informazioni sulle condizioni presenti e
sugli avvenimenti passati di quelle regioni. Nella ricostruzione dei fatti la sua
ricerca si fonda sull’osservazione diretta e sulla tradizione orale; le fonti che Erodoto utilizza sono Ôyij (visione diretta), gnèmh (riflessione, giudizio), ≤stor∂h (indagine, ricerca personale), ¢koˇ (ascolto) 2, ciascuna naturalmente con un diverso
grado di attendibilità.
Un aspetto inoltre che la critica ha riscoperto in Erodoto come fondamentale
e valido è quello che in termini attuali definiremo “antropologico”. È un aspetto
che emergerà anche dalla lettura dei passi scelti per la presente Unità Didattica,
che propongono la descrizione erodotea di una particolare figura di straniero:
1 A tal proposito è utile commentare brevemente con gli alunni la cartina fornita in fotocopia,
indicante i luoghi visitati con ogni probabilità da Erodoto.
2 Cfr. Erodoto II, 99, 1.
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Chiara Ramponi
quello che vive ai confini del mondo conosciuto. Questi passi vanno rapportati
non solo ad un’esigenza di curiosità o di libera ricostruzione fantastica, ma anche
a quella di una visione globale dell’ecumene che segue delle linee logiche, per
cui la lontananza dalla Grecia assume un valore ambiguo: spesso gli uomini ai
confini del mondo sono descritti come i più selvaggi, ma nello stesso tempo possono anche essere quelli che più conservano la felicità naturale e originaria dell’età dell’oro.
Prima di passare alla lettura diretta di queste pagine, è opportuno cercare di
individuare i tratti essenziali della nozione di straniero nel mondo greco e sottolineare quindi che la principale discriminante che nella mentalità greca identifica lo straniero come tale è la lingua: chi non parla greco dalla nascita, non è
greco, è straniero, quindi diverso.
Fin dall’inizio della loro storia, i Greci, quando desiderano porre in rilievo la
propria unità e alterità rispetto agli stranieri, si appellano soprattutto alla comunanza linguistica: la matrice linguistica comune era un fatto indiscutibile. I Greci
pensavano che le altre lingue in confronto alla loro somigliassero al cinguettio
degli uccelli ed è Erodoto stesso a darci la testimonianza della concreta sensazione acustica che gli Elleni provavano nel sentire parlare gli uomini appartenenti ad altri popoli; porta il caso dei Trogloditi Etiopi: glîssan d‹ oÙdemiÍ ¥llV
paromo∂hn nenom∂kasi, ¢ll¦ tetr∂gasi kat£ per a≤ nukter∂dej 3, “usano una lingua
che non ha somiglianza con alcun’altra, ma emettono delle strida che ricordano
quelle dei pipistrelli”; da rilevare l’uso del sostantivo glîssa per indicare
l’idioma usato e l’uso del verbo tr∂zw, che significa “stridere”, presente già in
Omero per indicare il verso dei pipistrelli 4. Con una metafora non diversa gli
stessi Greci definiscono i primi popoli stranieri con cui entrano in contatto:
b£rbaroi, i “balbuzienti”, sono agli orecchi degli Elleni gli Asiatici, parlanti una
lingua diversa dalla loro 5. Un termine dunque, b£rbaroj , nato come concetto generale e linguistico: tutto ciò che non rientra nella lingua greca è “barbaro”, senza
che ciò comporti implicazioni di carattere etnologico e culturale. I b£rbaroi sono
dunque all’inizio i “non parlanti lingua greca” e pertanto tutti i “non greci”,
senza connotazione di disprezzo o di ostilità. Il concetto di b£rbaroi si oppone a
quello di “Ellhnej: le due nozioni costituiscono una polarità fondamentale nel
pensiero greco 6. Sin dall’età arcaica esiste un sentimento di appartenenza ad una
3
Cfr. Erodoto IV, 183.
Cfr. Od. XXIV, 7.
5 b£rbaroj è letteralmente un termine di composizione onomatopeica, formato dalla radice
raddoppiata *bar-bar. Interessante il confronto con baba√, espressione di stupore; bab£zw, balbettare; lat. balbus, balbutio.
6 Già nella poesia omerica è attestato come appellativo dei Carii (Il. II, 867) il termine barbarÒfwnoi, nel senso di “coloro che parlano in lingua straniera”, e in seguito si diffonderà nel linguaggio comune la voce verbale denominativa barbar∂zw, cioè “parlare straniero”.
4
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comunità etnico-linguistica: i Greci posseggono e riconoscono la propria identità
che li contrappone allo straniero ed è un’identità fortemente linguistica.
Dal momento che la definizione più completa ed efficace che sia stata data
della grecità la fornisce proprio Erodoto, è utile sottoporre alla classe la lettura
e la traduzione del cap.144 del libro VIII delle Storie; è un passo che si colloca
nella sezione narrativa che descrive il clima di diffidenza e di sospetti reciproci,
che caratterizza i rapporti tra Sparta e Atene nel periodo che intercorre tra le
battaglie di Salamina e Platea (480-479 a.C.). Nel brano, ai messi spartani che temono un accordo tra Atene e i Persiani, gli Ateniesi rispondono che mai si sarebbero schierati con il nemico per due motivi: prima di tutto questi hanno
incendiato e distrutto le statue e le dimore degli dei; in secondo luogo essi non
possono tradire quegli elementi che costituiscono l’unità dei Greci e cioè lo stesso
sangue 7, la stessa lingua, i santuari e i sacrifici comuni, i costumi analoghi. Le
due motivazioni avanzate dagli Ateniesi sono collocate su due piani diversi in
virtù del loro diverso valore: la prima e la più importante è quella che riguarda
gli Ateniesi in quanto tali, cioè come cittadini della polis; la seconda è quella che
li concerne in quanto Greci, cioè come partecipi dell’ `EllhnikÕn.
È dunque evidente la duplice condizione dell’uomo greco, che si presenta da
una parte come membro di una comunità ristretta e ben definita sul piano politico, giuridico e territoriale e dall’altro come membro di una comunità più
ampia, individuale e caratterizzata dagli elementi etnici e culturali enunciati da
Erodoto. Esistono dunque due identità, cui si contrappongono due idee di estraneità, una alla polis, una all’`EllhnikÕn, entrambe identificate e distinte con due
termini specifici: nel primo caso si parla di x◊noj, nel secondo di b£rbaroj. L’uso
di questi due termini, che indicano le due forme di estraneità nel mondo greco,
è ben evidente in un altro passo di Erodoto, da sottoporre agli alunni in traduzione italiana, con testo greco a fronte. In Erodoto IX, 11 agli ambasciatori che
chiedevano l’invio urgente di truppe contro i Persiani, gli efori spartani rispondono che i loro uomini erano già in marcia contro gli xe∂noi (ionico per x◊noi). A
questo punto, come più avanti nella narrazione (IX, 55) Erodoto specifica che
con il termine xe∂noi gli Spartani designavano i b£rbaroi. Si tratta di un’anomalia
rispetto all’uso corrente e per questo lo storico la sottolinea. Da un lato rivela un
forte etnocentrismo spartano, dall’altro l’eccezione indica la norma che nel
mondo ellenico si applicava una precisa distinzione tra lo straniero greco (x◊noj)
e lo straniero non greco (b£rbaroj). Il primo dunque è straniero sul piano politico,
appartenente ad un tipo di organizzazione statale più o meno omologa rispetto
a quella propria di chi lo considera tale. Anche il secondo è uno straniero in virtù
della sua discriminante politica, ma la sua è una estraneità più elevata, poiché
7 Erodoto allude con ogni probabilità al mito che faceva discendere le stirpi greche da Eolo,
Doro e Xuto, figli di Elleno (Cfr. Esiodo, fr. 7 Rzach)
71
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Pedagogia e Didattica
Chiara Ramponi
le formazioni statali da cui proviene spesso rappresentano la negazione, l’esatto
contrario dello stato cittadino greco 8. Inoltre è straniero anche dal punto di vista
etnico e culturale, in quanto non condivide con i Greci nessuno degli elementi
che secondo Erodoto stanno alla base della grecità 9.
Seconda lezione
Obiettivi:
• Individuare i caratteri distintivi della rappresentazione dello straniero che
emergono dalla descrizione erodotea dei popoli del Caucaso.
• Riflettere sui modi di vita di queste popolazioni.
Contenuti e testi:
• Breve introduzione relativa al I Libro delle Storie.
• Lettura, traduzione e commento di Erodoto I, 202, 1-2.
• Lettura in traduzione italiana con testo greco a fronte di Erodoto I, 201;
202, 3-4; 203.
• Lettura in traduzione italiana con testo greco a fronte di Omero, Od. IX,
105-111; 355-359.
Strumenti:
• Fotocopie del testo greco con traduzione italiana a fronte.
• Cartina storica raffigurante i territori dell’impero persiano.
• Cartina raffigurante la visione del mondo di Erodoto, secondo Niebuhr.
Metodologia:
• Lezione frontale e interattiva.
Attività degli studenti:
• (a casa) Lettura di Erodoto III, 17-24, con attenzione al lessico utilizzato e
agli elementi caratterizzanti la rappresentazione dello straniero.
Durata:
• 1 ora.
8 Cfr. il colloquio tra Serse e Demarato (VIII, 101-104), esule spartano, giocato sull’opposizione
tra libertà / sovranità della legge e servitù / dispotismo del monarca.
9 Cfr. M.Moggi, Straniero due volte: il barbaro e il mondo greco, in Lo straniero ovvero l’identità culturale a confronto, a cura di M.Bettini, Roma-Bari 1992, pp. 52-54.
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L’immagine dello straniero in Erodoto
QdPD 1 (2010)
È necessaria una breve presentazione del I Libro delle Storie; a parte i capitoli
introduttivi (1-5), il primo libro può suddividersi facilmente in due lÒgoi principali: il lÒgoj di Creso (6-94) e il lÒgoj di Ciro (95-216). Il primo lÒgoj (così lo
chiama lo stesso Erodoto, V 36,4) è dedicato alla Lidia, con al centro il suo ultimo
re, Creso (559 a.C.-546 a.C.); il secondo lÒgoj è incentrato sulla figura del re persiano Ciro, dalla nascita alla morte (530 a.C.) e narra tutte le sue conquiste. La
storia degli avvenimenti del trentennio 560-530 a.C. occupa appena una quinta
parte del libro: tutto il resto è una massa di introduzioni e prologhi, appendici,
novelle, digressioni di storia costituzionale e digressioni etnografiche. È proprio
questa raccolta di materiale, a prima vista accessorio, la parte più caratteristica
e significativa del libro. In relazione al nostro percorso si fermerà l’attenzione
su alcuni capitoli che si riferiscono alla spedizione di Ciro contro i Massageti,
compiuta dal re persiano dopo aver assoggettato la Ionia e aver conquistato Babilonia. Questo popolo vive in una pianura immensa delimitata dal fiume
Arasse, dal mar Caspio e dal Caucaso. Con l’ausilio delle carte storiche fornite
in fotocopia agli studenti, relative all’impero persiano e ai luoghi visitati con
ogni probabilità da Erodoto, è opportuno far individuare agli alunni i limiti geografici menzionati per dar loro delle coordinate di riferimento.
I Massageti sono una popolazione nomade affine agli Sciti, che abitava la Sogdiana, tra l’Oxus (attuale Amu Darya) e lo Iaxartes (attuale Sir Darya). Quest’area rimase mal nota ai Greci anche dopo l’annessione dell’impero persiano
e persino dopo la conquista di Alessandro Magno 10.
Dalla lettura in traduzione italiana del cap.201 si apprende che questo popolo,
a quanto dice Erodoto abita prÕj ºî te kaπ ¹l∂ou ¢natol£j, p◊rhn toà 'Ar£xew
potamoà, cioè “verso l’aurora e il sol levante, al di là del fiume Arasse”; da
osservare l’espressione usata dallo storico per indicare l’estremità orientale
in cui abitano i Massageti. Nel cap. 202, 1-2 lo storico si sofferma a descrivere
con dovizia di particolari le abitudini di vita delle genti che abitano presso
il fiume Arasse e nella regione del Caucaso. Il corso del fiume 'Ar£xhj , così come
lo descrive Erodoto, può corrispondere con qualche difficoltà a quello dell’Aras,
che sorge in Armenia e sfocia nel Caspio 11. Lo storico deve averlo confuso
con l’Oxus, che oggi sfocia tutto nel mare di Aral o anche con il Rha (Volga) 12.
L’incertezza dell’informazione è evidenziata dallo stesso autore con l’accostamento dei due comparativi dal significato antitetico (m◊zwn e œl£sswn). Il dato
interessante che è da sottolineare riguarda la presenza di isole nel fiume
suddetto, abitate da uomini che si cibano d’estate scavando radici di ogni sorta,
10 Un’idea della cultura materiale dei popoli della Sogdiana è data dai rinvenimenti archeologici: cfr. D.Mazzeo, EAA 1966, s.v. Sogdiana, arte della, e K.Jettmar, ibid, 1963, s.v. Oxus, tesoro
dell’.
11 Cfr. Erodoto IV, 40,1.
12 Lo stesso errore forse anche a IV 11, 1; cfr. Strabone XI, 8,6.
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Pedagogia e Didattica
Chiara Ramponi
mentre d’inverno si nutrono dei frutti che hanno raccolto dagli alberi e che
hanno riposto.
L’indicazione del tipo di alimentazione, che non prevede né agricoltura, né
allevamento definisce questi popoli come barbari: mentre i Greci fin dai poemi
omerici sono definiti “mangiatori di pane” 13, appartenenti cioè ad una cultura
avanzata, che presuppone coltivazione e cottura, gli abitanti di questi luoghi si
nutrono di radici e di frutti œxeurhm◊nouj, trovati, quindi non coltivati.
Altro elemento importante da rilevare nell’analisi del brano è che questi paesi,
che si collocano ai confini della terra abitata sono non solo il regno dell’inumano,
del selvaggio, ma anche delle meraviglie. Erodoto infatti narra che i popoli che
vivono presso l’Arasse hanno un frutto prodigioso, che potrebbe essere un frutto
della mitica età dell’oro; ha delle proprietà particolari: se viene gettato nel fuoco,
libera un profumo che li inebria, così come avviene per i Greci con il vino. Costante è il raffronto con il mondo greco, che rappresenta sempre per lo storico il
modello culturale al quale accostare, per analogia o per antitesi, i modelli culturali degli altri popoli. Nel descrivere le qualità di quel frutto prodigioso si possono leggere agli alunni alcuni versi dell’Odissea (IX, 105-111; 355-359), in cui si
fa riferimento al “vino naturale” dei Ciclopi, offerto spontaneamente dalla natura, senza il contributo del lavoro umano: come dice Omero, (Od. IX, 108-9),
oÜte futeÚousin cersπn futÕn oÜt' ¢rÒwsin, ¢ll¦ t£ g' ¥sparta kaπ ¢nˇrota p£nta
fÚontai, “non piantano pianta di loro mano, non arano, ma inseminato (¥sparta,
a privativo e spe∂rw, seminare) e inarato (¢nˇrota , a privativo e ¢rÒw, arare)
tutto nasce 14.
Nel cap. 202, 3-4 un dato interessante riguarda ancora il fiume Arasse, che,
dice Erodoto, sfocia con quaranta bocche che finiscono tutte, tranne una, in stagni e pantani, dove si racconta che abitino uomini che si nutrono di ≥cqàj çmoÝj,
“pesci crudi” e usano vestirsi fwk◊wn d◊rmasi, “con pelli di foca”. Da rilevare
dunque un’altra caratteristica di queste popolazioni, che si nutrono senza alcuna
preparazione del cibo e ricavano direttamente dalla natura anche le loro vesti.
Nel commentare il cap.203, dopo aver sottolineato la descrizione erodotea
del Mar Caspio, considerato dallo storico un mare a sé 15, contrariamente all’opinione comune nel mondo antico, da Ecateo ai geografi di epoca ellenistico-romana, che il Caspio fosse un golfo dell’Oceano nordico, è opportuno osservare
13 In Od. IX, 190-191, Ulisse descrive il Ciclope Polifemo con queste parole: kaπ g£r qaàm'
œt◊tukto pelèrion, oÙd‹ œókei ¢ndr∂ ge sitof£gwÄ . “Era un mostro gigante e non somigliava a un uomo mangiatore di pane”.
14 Cfr. Rosellini-Said, Usages de femmes et autres nomoi chez les «sauvages» d’Hérodote : essai de
lecture structurale, «Annali della Scuola normale superiore di Pisa», VIII, 3, 1978, p.964 : « Erodoto
tuttavia si separa dal mito; se il frutto produce l’effetto del vino , non ne ha l’apparenza. Analogia,
non identità: l’età dell’oro dell’etnologo non è quella dei fiumi di latte e miele».
15 Agli studenti è stata fornita una cartina raffigurante la visione del mondo di Erodoto, secondo Niebuhr.
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L’immagine dello straniero in Erodoto
QdPD 1 (2010)
quali elementi siano messi in evidenza dallo storico nel momento in cui parla
dei popoli che abitano ad ovest di tale mare, cioè nella regione del Caucaso.
Emerge ancora che tali popoli vivono per lo più di frutti selvatici (Erodoto usa
l’espressione significativa: ¢p' Ûlhj ¢gr∂hj zèonta; Ûlh è il bosco, la selva; corrispondente latino silva) e che presso di loro esistono alberi che producono foglie
di una specie particolare: tritate e mescolate con acqua, sono utilizzate per
dipingere su vestiti zùa, “figure di animali”, che non si cancellano più, ma che
“si logorano” con il resto del vestito; Erodoto usa il verbo sugkataghr£skw,
“invecchiare insieme”. Anch’essi dunque non conoscono agricoltura e godono
di un privilegio naturale, che rimanda alla mitica età dell’oro; il particolare relativo alle figure indelebili sulle vesti, kat£ per (= attico kaq£per) œnufanq◊nta
¢rcˇn, “come se fossero state tessute dentro dal principio”, è un evidente riferimento all’assenza di qualsiasi attività di artigianato. La generosità della natura
sostituisce in questo caso la cultura.
Da sottolineare infine il tipo di accoppiamento, che assimila gli abitanti del
Caucaso alle bestie e li classifica come popoli privi dell’istituzione dell’o≈koj.
Con questo termine si intende sia la casa come struttura edilizia, sia come istituzione giuridica, sociale e affettiva, perciò assume la valenza di “famiglia”, “nucleo familiare”. Il termine greco è entrato nella lingua italiana come primo
elemento di numerose parole composte attinenti al mondo della casa e della sua
gestione e in generale al mondo in cui vive l’uomo, quali economia, ecologia,
ecosistema.
In conclusione, riepilogando gli elementi che sono stati osservati nella descrizione erodotea di queste popolazioni (assenza di agricoltura, di forme di artigianato, della famiglia), si deve ribadire come tutto sia da considerare in
funzione del modello greco di riferimento. Lo straniero che abita ai confini del
mondo conosciuto è ai margini della civiltà, è lontanissimo dalla Grecia; man
mano che ci si allontana dal centro, i costumi dei popoli si fanno più rozzi e informi, l’alimentazione più selvaggia, si raggiunge il massimo grado di estraneità
e quindi di barbarie 16. I luoghi della marginalità geografica e culturale appaiono
nel discorso di Erodoto come uno spazio ambivalente: territorio degli uomini
selvaggi, ma anche luogo di meraviglie, dove si conservano le caratteristiche
dell’età dell’oro.
16 Come ha osservato S.Pembroke, in Women in charge: The function of alternative in early Greek
tradition and the ancient idea of matriarchy, Journal of the Warburg and Courtauld Institute, XXX,
1967, 6, il discorso etnografico è condotto secondo i caratteri del pensiero greco: esiste un quadro
di sistemi socio-culturali a cui un greco non può mancare di riferirsi quando tenta di definire la
barbarie e il mondo selvaggio.
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Pedagogia e Didattica
Chiara Ramponi
Terza lezione
Obiettivi:
• Individuare i caratteri distintivi della rappresentazione dello straniero, che
emergono dalla descrizione erodotea degli Etiopi.
• Riflettere sui modi di vita di queste popolazioni.
Contenuti e testi:
• Breve introduzione relativa al III Libro delle Storie.
• Lettura, traduzione e commento di Erodoto III, 20.
• Lettura in traduzione italiana con testo greco a fronte di Erodoto III, 17-19,
21-24.
• Lettura in traduzione italiana con testo greco a fronte di Omero Il. I, 423427; XXIII, 205-207; Od. I, 22-25.
Strumenti:
• Fotocopie del testo greco con traduzione italiana a fronte.
• Cartina storica raffigurante i territori dell’impero persiano.
Metodologia:
• Lezione frontale e interattiva.
Attività degli studenti:
• (a casa) Lettura in traduzione italiana di Erodoto III, 98-106.
Durata:
1 ora.
Quarta lezione
Obiettivi:
• Individuare i caratteri distintivi della rappresentazione dello straniero, che
emergono dalla descrizione erodotea degli Indiani.
• Riflettere sui modi di vita di queste popolazioni.
Contenuti e testi:
• Lettura, traduzione e commento di Erodoto III, 98.
• Lettura in traduzione italiana con testo greco a fronte di Erodoto III, 99106.
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L’immagine dello straniero in Erodoto
QdPD 1 (2010)
Strumenti:
• Fotocopie del testo greco con traduzione italiana a fronte.
• Cartina storica dell’India.
Metodologia:
• Lezione frontale e interattiva.
Durata:
• 1 ora.
Bibliografia
• Edizioni con traduzione e commento di Erodoto:
Erodoto, Le storie, Libro I, a cura di D. Asheri, V. Antelami, Fondazione Lorenzo
Valla, Milano 1988, vol. I.
Erodoto, Le storie, Libro III, a cura di D. Asheri, M. Medaglia, A. Fraschetti, Fondazione Lorenzo Valla, Milano 1990, vol. III.
Erodoto, Le storie, Libro VIII, a cura di A. Masaracchia, Fondazione Lorenzo
Valla, Milano 1977, vol. VIII.
Erodoto, Le storie, Libro IX, a cura di A. Masaracchia, Fondazione Lorenzo Valla,
Milano 1978, vol. IX.
• Bibliografia relativa all’argomento dell’Unità Didattica:
AYMARD A., Les étrangers dans les cités grecques aux temps classiques (V et IV siècle a.
J.-C.), «Recueils de la Société Jean Bodin», IX, 1, Bruxelles 1958, pp. 119-39.
BASLEZ M.-F., L’étranger dans la Grèce antique, Paris 1984.
BELTRAMETTI A., Erodoto: una storia governata dal discorso, Firenze 1986.
CARBONELL C.O., L’espace et le temps dans l’oeuvre d’Hérodote, «Storia della storiografia», 1985, 7, pp. 138-147.
CORCELLA A., Erodoto e l’analogia, Palermo 1984.
DE SANCTIS G., Studi di storiografia greca, Firenze 1951.
DÉTIENNE M.- VERNANT J.P., La cuisine du sacrifice en pays grec, Paris 1979.
DILLER A., Race Mixture among the Greeks before Alexander, Westport rist. 1971.
DUBUISSON M., Remarques sur le vocabulaire grec de l’acculturation, « Rev. Belge de
Philol. et d’Hist.», 60, 1982, pp. 5-32, pp. 14-16, 25-26.
GAUTIER PH., Notes sur l’étranger en Grèce et à Rome, «Anc. Soc.», 4, 1973, pp. 1-21.
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Pedagogia e Didattica
Chiara Ramponi
LÉVY E., Naissance du concept de barbare, «Ktéma», 9, 1984, pp. 5-14.
MOGGI M., Straniero due volte: il barbaro e il mondo greco, Lo straniero ovvero l’identità culturale a confronto, a cura di M.Bettini, Roma-Bari, 1992, pp.51-70.
MOMIGLIANO A., La storiografia greca, Torino 1982.
MUSTI D., La storiografia greca, Bari 1979.
PEMBROKE S., Women in charge: The function of alternative in early Greek tradition
and the ancjent idea of matriarchy, «Journ. of the Warburg and Courtauld Institute», XXX, 1967, 6.
ROSELLINI-SAID, Usages de femmes et autres nomoi chez les “sauvages” d’Hérodote:
essai de lecture structurale, «Ann. Sc. Norm. Sup. di Pisa» VIII, 3, 1978, p.964.
ROSSI L.E., Letteratura greca, Firenze 1994, pp.407-420.
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r iscontri
QdPD 1 (2010)
QdPD
Quaderni demerodiani di
Pedagogia e Didattica
L’esperienza dei Quaderni si rivela suggestiva e stimolante
sotto diversi profili. L’entusiasmo iniziale nel voler partecipare
ad una rassegna pluridisciplinare di percorsi modulari sui temi
proposti periodicamente dalla Comunità di Pastorale Lasalliana
è sorretto dal fascino della ricerca nello spirito di gratuità che
anima l’insegnante.
I percorsi nascono proprio dal lavoro di ricerca individuale o
d’équipe, che offre l’opportunità di arricchire innanzi tutto se
stessi e ravviva la quotidiana preparazione delle lezioni attraverso spunti nuovi ed originali nella progettazione di specifiche
unità didattiche. La presentazione dei moduli nei Quaderni costituisce però anche una proposta strutturata per i colleghi competenti nella stessa disciplina, nel segno della condivisione e
dell’apertura al contributo formativo e professionale dell’altro.
Il passo seguente è l’applicazione in classe, quando il ciclo di
lezioni prende vita e si innesca la dinamica educativo-didattica
dell’insegnamento-apprendimento: si controlla la correttezza
della scansione degli argomenti e dei tempi, si tenta di suscitare
l’interesse e la curiosità degli studenti secondo le strategie previste, si osserva l’efficacia di queste, si verifica il conseguimento
degli obiettivi educativi e didattici prefissati, si valutano i pro e i
contro dello svolgimento complessivo sulla base della risposta
reale che se ne riceve.
In questa sezione si raccolgono proprio i resoconti dei percorsi
pianificati e attuati, con le osservazioni, le varianti, i suggerimenti
dettati dall’esperienza compiuta a contatto con i discenti.
(a. tes.)
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Il cammino della carità cristiana...
Marco Cilione, Elisabetta Salvatori
Il cammino della carità cristiana:
da Santa Giacinta Marescotti Ruspoli a don Luigi di Liegro 1
MARCO CILIONE, ELISABETTA SALVATORI
Il modulo didattico Il cammino della carità cristiana: da S. Giacinta Marescotti
Ruspoli a don Luigi di Liegro è stato svolto nel corso dell’anno scolastico 2009-2010
dal IV liceo scientifico sezione A e dal V ginnasio sezione B dai professori E. Salvatori e M. Cilione.
Nel IV scientifico A è stata possibile la trattazione del tema in compresenza
nell’ambito dell’ora di religione: la professoressa Salvatori, coordinatrice del V
ginnasio B, ha illustrato la vita e le opere di carità di S. Giacinta, mentre il professor Cilione si è occupato del percorso umano e assistenziale di don Luigi di
Liegro. Entrambe i contributi hanno insistito sulle ripercussioni storico-sociali
che i due apostoli della carità hanno determinato l’una in epoca post-tridentina,
l’altro nella Roma tra gli anni Sessanta e gli anni Novanta.
A questa preparazione informativa di base ha fatto seguito la visita dei ragazzi delle due classi al centro Caritas di Ponte Casilino, dove gli studenti hanno
potuto verificare nel concreto le diverse attività svolte all’interno del complesso
e conoscere alcuni dei volontari che vi operano e qualcuno degli ospiti assistiti
nella struttura.
In particolare il IV scientifico A ha concluso la sua visita al centro partecipando fattivamente al servizio di preparazione della mensa serale. All’esperienza è seguita una discussione in classe che oltre a saldare la conoscenza diretta
del centro con quanto appreso nel modulo di preparazione, ha suscitato nei ragazzi il desiderio di ripetere in futuro, anche individualmente, l’attività di volontariato.
I ragazzi del V ginnasio B, a seguito della visita al centro, hanno elaborato la
seguente relazione pubblicata sul periodico della scuola Time out. Anche in questo caso gli studenti si sono dimostrati sensibili all’attività assistenziale del centro
manifestando l’intenzione di svolgere in futuro attività di volontariato.
1
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Vd. QdPD 4, pp.23-31.
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Visita al centro “Caritas” di ponte Casilino
M. Alocci, A. Desideri, F. Napolitano
Visita al centro “Caritas” di Ponte Casilino
A cura di:
MARCO ALOCCI, ALESSANDRA DESIDERI, FRANCESCA NAPOLITANO (V Ginnasio B)
Nel mese di marzo la professoressa Salvatori e il preside, Fr. Pio Rocca, hanno
accompagnato la classe V ginnasio B presso il complesso di Santa Giacinta Marescotti Ruspoli, situato nei pressi di Ponte Casilino a Roma, una “Cittadella
della Solidarietà” al cui interno vi sono diverse forme di sostegno per persone
senza fissa dimora. Nella struttura sono proposte molteplici attività come l’Emporio Caritas, dove le famiglie con problemi economici possono usufruire gratuitamente di generi alimentari e di prima necessità; la mensa, dove dai volontari
vengono serviti pasti caldi ai bisognosi; una sala ricreativa dove costoro hanno
l’opportunità di praticare varie forme di svago, tra cui la pittura, la lavorazione
del legno e il bricolage. Vi è inoltre una piccola chiesa dedicata a Santa Giacinta
Marescotti Ruspoli, protettrice degli umili e degli indigenti, della cui epigrafe si
sono occupati i docenti Marco Cilione ed Elisabetta Salvatori. La chiesa accoglie
nella preghiera e nella riflessione gli ospiti del centro e gli abitanti del quartiere,
allo scopo di realizzare un solido processo di integrazione. Nel centro sono presenti anche una sala conferenze e una biblioteca, che provvedono alla cura dello
spirito nella logica di un’attenzione alle persone relativamente alla propria integrità psico-fisica.
Ogni giorno numerosi volontari si adoperano per garantire tutti i servizi
sopra citati a circa ottanta persone ultracinquantenni che presentano gravi problemi sociali e psichici. Il loro impegno a favore dei più disagiati è notevole e da
quello che abbiamo potuto vedere, risulta utile e produttivo. Abbiamo avuto
l’opportunità di conoscere uno di questi volontari che ci ha illustrato in modo
molto chiaro e conciso il panorama della struttura. C’è stata poi la testimonianza
diretta di un’ospite del centro, che ha raccontato a tutti noi lo svolgersi delle
giornate alla ricerca di una quotidianità che era andata persa. Avendo conosciuto
le esperienze dirette di coloro che non hanno la fortuna di vivere in una casa
propria, ci siamo resi conto delle difficoltà della vita, dei problemi sociali e delle
povertà che ci circondano. Molti sono, infatti, i nuovi poveri che grazie ai servizi
offerti dalla “Caritas” trovano un piccolo sollievo alla quotidiana disperazione
e un’opportunità di tutelare la propria dignità personale. Abbiamo inoltre sviluppato un senso di umiltà verso tutti coloro che, nonostante vivano senza
niente, appaiono felici e non lasciano trasparire la tristezza che dovrebbe assalire
ognuno di essi. Tutto ciò ci ha aiutato a comprendere quello che accade nel no81
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Visita al centro “Caritas” di ponte Casilino
M. Alocci, A. Desideri, F. Napolitano
stro Paese, ovvero la povertà che sempre più si espande a causa di un’incessante
crisi economica che manda in rovina un numero sempre maggiore di famiglie.
E’ proprio in queste circostanze che emerge l’enorme utilità di questi centri, sempre pronti ad accogliere chi ne ha bisogno ed è questo ciò che davvero apprezziamo, insieme a tutto il resto dell’operato di queste organizzazioni.
Ringraziamo la professoressa Salvatori e il preside, Fr. Pio Rocca, per averci
dato l’opportunità di visitare il Centro “Caritas” di Ponte Casilino, facendoci
così conoscere la realtà che ci circonda e la serenità con cui queste persone affrontano la difficoltosa vita di ogni giorno.
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Le radici della moralità nel Decameron
Andrea Testa
Le radici della moralità nel Decameron
ANDREA TESTA
Questo percorso tematico ha caratterizzato nove ore di lezione di letteratura italiana nel I liceo classico (compresa la verifica e la riconsegna
degli elaborati), dal 14 al 29 maggio 2010. La vivacità intellettuale dei ragazzi e la loro attenzione mi ha consentito di ridurre la durata prevista
(dodici ore), senza rinunciare a nessuna fase o elemento rispetto al piano
programmato, dallo schema di ciascuna lezione ai testi di supporto, ai
compiti da eseguire a casa.
Ho deciso di avviarlo dopo aver introdotto la figura di Boccaccio, le
sue opere minori e una presentazione complessiva della struttura e dei
temi del Decameron.
Gli obiettivi principali del modulo sono stati la verifica che gli ideali
di decoro, onestà, amicizia, generosità, lealtà della lieta brigata dei giovani
novellatori si riscontrassero anche nelle novelle esaminate e l’individuazione dell’universo di riferimento dei valori esaltati nella raccolta. Abbiamo potuto constatare così una perfetta corrispondenza tra le doti di
alcuni dei protagonisti delle novelle e lo stile di vita della lieta brigata, ma
non si tratta di una regola sempre rispettata. Il sistema valoriale di riferimento è risultato chiaramente relativistico (Dio è quasi del tutto assente,
così come ogni riferimento sostanziale al trascendente), commisurato alle
capacità umane dei singoli, l’ingegno su tutte, che consente di avere una
buona riuscita nelle attività umane e nelle situazioni più complesse e spinose, ma implica anche il rischio di soccombere ogniqualvolta se ne sperimentino i limiti. Di qui l’attualità del percorso, con i riferimenti ai
numerosi casi di eccessiva fiducia nei mezzi intellettivi umani negli ambiti
più diversi e ai loro molteplici risvolti.
Nella verifica finale questi concetti sono emersi nella quasi totalità dei
questionari, salvo rare eccezioni, con una corretta caratterizzazione morale delle figure al centro delle novelle e anche con acute integrazioni, da
parte dei ragazzi, dei profili da me tracciati nella fase progettuale. Tra i
migliori, attenti alle riflessioni maturate durante le lezioni, qualcuno ha
sottolineato opportunamente che le doti poste in rilievo non sono esclusive di un ceto sociale (ad esempio la nobiltà o la borghesia), ma vengono
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Le radici della moralità nel Decameron
Andrea Testa
espresse anche da esponenti del popolo minuto, come nei casi di Chichibio e di Griselda, cogliendo il preumanesimo di Boccaccio.
Un obiettivo secondario riguardava l’attenzione al lessico e alle espressioni usati da Boccaccio nell’ambito della moralità dei personaggi. Solo
pochi alunni hanno familiarizzato con essi, preferendo ricorrere a perifrasi
e rielaborazioni personali non sempre semanticamente equivalenti. L’importanza degli usi linguistici, la percezione della loro varietà, in ciascun
autore e in ciascun’opera restano tuttavia per me finalità didattiche da
perseguire, magari sottolineando maggiormente la loro portata in futuro,
proprio in considerazione dei riscontri non esaltanti avuti in questa occasione.
Allego il modello della verifica, che comprendeva domande sull’ intero
discorso sviluppato sul Decameron, di cui il tema riguardante la moralità
rappresentava un approfondimento e un modo originale di affrontarne
la lettura.
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r iscontri
QdPD 1 (2010)
Collegio S.Giuseppe
Istituto De Merode
I Liceo Classico sez. B
ITALIANO (Boccaccio, Decameron) – Verifica
Fila A
1) La voce dell’autore e la funzione delle rubriche.(max. 10 righe)
2) Commedia e Decameron a confronto. (max. 10 righe)
3) Stabilisci un confronto tra la figura di Federigo degli Alberighi , quella del re
Pietro III d’Aragona e quella del marchese Gualtieri di Saluzzo. Qual è il quadro
morale che ne emerge? (max. 12 righe)
4) Delinea doti e disvalori di Frate Cipolla e Frate Rinaldo facendo riferimento al
lessico di Boccaccio (max. 10 righe)
Collegio S.Giuseppe
Istituto De Merode
I Liceo Classico sez. B
ITALIANO (Boccaccio, Decameron) – Verifica
Fila B
1) Complessità del mondo, scelte linguistiche, plurilinguismo ed ‘espressivismo’
nel Decameron. (max. 10 righe)
2) Il pubblico del Decameron. (max. 9 righe)
3) Individua le corrispondenze tra il lessico dell’amor cortese presente nella novella di Federigo degli Alberighi e quello riscontrato nei versi letti di Guinizzelli
e Dante (max. 10 righe)
4) Quali valori emergono nei protagonisti del Decameron? Quali considerazioni
suggeriscono? (max. 10 righe)
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r iscontri
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QdPD 1 (2010)
Scholastica
QdPD
Quaderni demerodiani di
Pedagogia e Didattica
Nobis propria est mentis agitatio atque sollertia.
Quintiliano Institutio Oratoria I,1
L’insegnamento del latino al liceo scientifico:
una aporia della Riforma
ALBERTO TORNATORA
Forse ormai siamo abituati a non meravigliarci più di nulla ma allora è sempre
più necessario “tenere alta la guardia” quando abbiamo a che fare con documenti
e leggi che indirizzano il futuro della scuola italiana. Gli esperti delle commissioni
ministeriali che hanno lavorato per lunghi mesi (prima e dopo l’avvento del Ministro Gelmini) alla Riforma del sistema scolastico, in merito alle finalità del corso
di studi scientifici affermano: “Il liceo scientifico approfondisce il nesso tra scienza e
tradizione umanistica. Fornisce allo studente le conoscenze necessarie per seguire lo sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica”.
Una petizione di principio immediatamente sconfessata dalle cifre della tabella
monte ore allegata al testo che schematizza il piano degli studi: in concreto l’approfondimento del nesso tra scienza e tradizione umanistica si risolve nella diminuzione di un’ora di latino a settimana che corrisponde ad un totale di 33 ore in
meno per il primo anno e, quando la Riforma sarà a regime, nell’arco di cinque
anni lo studente sarà stato privato complessivamente di 165 ore di latino. Non
c’è che dire, una vera “perla” che fa il paio con la diminuzione di un’ora di italiano a cominciare dalla quarta ginnasio per un totale di 66 ore in meno di studio
della lingua italiana al termine del biennio ginnasiale! Altro bel viatico per chi,
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scegliendo il liceo classico, è chiamato ad “approfondire le conoscenze necessarie allo
studio della civiltà classica e umanistica”.
Non è facile comprendere il motivo di tali evidenti incongruenze (ove non si
tratti di una manovra intenzionale che confida nella dabbenaggine di lettori
sprovveduti, ma tant’è) quando invece la rispettabile lungimiranza ministeriale,
per andare incontro alle esigenze di quanti a buon diritto non hanno intenzione
di affrontare l’impegno dello studio del latino, ha già previsto il Liceo Scientifico
opzione Scienze applicate1.
Perché allora indebolire la formazione letterario - umanistica del liceo scientifico “tradizionale”? Ci troviamo forse di fronte ad un alito residuo del miasma
che ha accompagnato quella operazione di marketing che erano le tre “I” (Inglese,
Informatica e Impresa) sbandierate come la panacea della scuola italiana al tempo
della Moratti? Tre argomenti sicuramente fascinosi (anche come suggestiva premessa sonora di uno sgradevole raglio asinino) per le orde di illetterati, incantati
davanti al “Grande Fratello” e campioni di asinità scolastica che dalla scuola pretendono solo ciò che è utile per la carriera: una scuola dove lo studio dedicato
alla formazione etica e culturale è considerato un freno che rallenta il raggiungimento del tanto agognato successo sociale 2.
Piuttosto ci saremmo augurati di vedere comparire in tutti i nuovi licei partoriti dalla Riforma l’introduzione dello studio (almeno un’ora a settimana) della
cultura greca e latina come da anni, vox clamantis in deserto, Oreste Tappi va predicando: “… le opere della letteratura latina e la loro lingua vera parlano di noi. In
questo risiede la loro più potente forma di motivazione e capacità di formazione. Il primo
obiettivo della scuola di latino deve essere perciò che i giovani conoscano quanto più e
quanto meglio le opere della letteratura, vi si appassionino, vi ritrovino se stessi … All’interno di una strategia nella quale nessuna materia è “fulcro”, ma tutte, su un piano
di parità e di reciproca integrazione, devono essere formative, lo studio del latino deve
diventare finalmente lo studio dei testi latini, che, a diversi livelli di approfondimento,
può e deve svolgersi in tutti i tipi di scuola 3 ”.
1 Che fine ha fatto il ponderoso volume dall’impegnativo titolo “Le conoscenze fondamentali per
l’apprendimento dei giovani nella scuola italiana nei prossimi decenni (sic!): i materiali della Commissione
dei Saggi “Firenze 1997 (in Studi e documenti degli Annali della Pubblica Istruzione 78)? Sono
passati appena dodici anni da quando nel marzo del 1998 il Ministero inviò a tutte le scuole un
documento dal titolo I contenuti essenziali per la formazione di base elaborati dalla Commissione di
Saggi nominata dal Ministro Luigi Berlinguer dove, nella sezione dedicata ai “Contenuti essenziali”, si afferma che “la tradizione classica costituisce un inesauribile patrimonio per il nostro
paese. È pertanto necessario che una conoscenza di base della cultura greca e di quella latina sia
acquisita da tutti, sottolineandone il ruolo nella costruzione dell’identità europea indipendentemente dallo studio delle due lingue, anche se andrà opportunamente valorizzato il ruolo del latino
per la comprensione della lingua italiana.”
2 Cfr. G.L. Beccaria, Il mare in un imbuto, Torino 2010 pp.86-87.
3 O. Tappi, L’insegnamento del latino, Torino 2000 pp. 10 e 12 passim.
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L’insegnamento del latino al liceo scientifico...
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Venti anni or sono 4 Beniamino Placido, raffinato critico letterario e televisivo,
con la peculiare immediatezza del suo ironico e sorprendente stile argomentativo
scriveva:
“Ho la consapevolezza – crescente – che il nostro procedere verso la modernità (che
non mi dispiace affatto) avviene purtroppo nel modo più cafonesco e cialtronesco possibile.
Erodendo la memoria; demolendo il passato. Ma senza passato non c’è presente. Non c’è
– a maggior ragione – nemmeno futuro. Se non riusciamo a capire chi siamo stati non
capiremo mai veramente chi siamo. Chi potremo essere, domani. Studiare solo ciò che è
immediatamente utile (l’inglese, le scienze, l’informatica) significa atrofizzare in noi – e
nei ragazzi – qualsiasi capacità progettuale. La capacità di progettare - qualsiasi cosa –
nasce quando si fa un passo indietro rispetto al presente. Riguadagnando così il senso di
una prospettiva. Che si riprenda a studiare il latino, dunque. Ma che si smetta – prima –
di fingere di studiarlo nei nostri benemeriti (ma di che?) Licei-ginnasi. Che lo si studi sul
serio. Non per vantarsene dopo, ma per impararlo. Per poterlo poi leggere, sempre. Sempre
con la stessa fatica. Come a me almeno accade. La stessa esaltante fatica che si fa quando
si vuole affrontare un universo sconosciuto; dove si incontrano tracce misteriose. Per risolvere un enigma”.
“Che si riprenda a studiare il latino … che lo si studi sul serio per capire chi
siamo oggi e chi potremo essere domani …” è un chiaro invito, o meglio, un preoccupato monito che si esplicita in una affettuosa esortazione a non perdere contatto con la realtà, a non perdere di vista le coordinate culturali che ci contraddistinguono, a non perdere la capacità di potere progettare un futuro degno di essere vissuto.
Gli insegnanti delle materie letterarie al Collegio San Giuseppe - Istituto De
Mérode sono convinti che la scuola5 deve portare tutti ad un livello culturale
adeguato alle esigenze della società moderna e fornire a tutti la possibilità di
raggiungere i livelli dell’eccellenza: nello assolvimento di questo compito lo studio del latino ricopre un ruolo importante.
La nostra scuola, che ha come priorità la tutela della educazione e della crescita
umana e culturale dei giovani che hanno diritto di ricevere la più qualificata ed
esauriente offerta formativa possibile, accoglie con favore le novità positive della
Riforma come lo studio delle scienze e della fisica all’inizio del corso di studi superiori e però, nell’ambito della sua autonomia, potenzia l’offerta educativa
mantenendo l’ora di latino allo scientifico e l’ora di italiano al quarto ginnasio
sin dal primo anno di attuazione della Riforma.
4
B. Placido, Il latino è come un giallo, sta in “Italiano e oltre” Anno V N° 2 Firenze 1990 pp.67-8.
Cfr. I. Fiorin, A cosa serve la scuola?, in Tuttoscuola n° 499 Febbraio 2010, pp.30-1: “Tra le missioni della scuola non ci sono solo compiti di tradizione e di consegna di un patrimonio culturale,
e nemmeno di formazione e di sviluppo di competenze specialistiche e funzionali, ma c’è anche
quello di aiutare i giovani a misurarsi con i problemi del tempo presente e di assumersi delle personali responsabilità al riguardo,nella prospettiva della costruzione di una società migliore.”
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L’articolo seguente Nemo propheta in patria, firmato dai colleghi Marco Cilione,
Elisabetta Salvatori e Andrea Testa, spiega le ragioni di una scelta di campo che
intende salvaguardare (con buona pace degli esperti ministeriali) il diritto dei
giovani ad una educazione fondata sulla conoscenza diretta e il più possibile approfondita della nostra tradizione culturale e che sia espressione di quei valori
per mezzo dei quali essi potranno affrontare con piena consapevolezza gli aspetti
contraddittori e paradossali della nostra società contemporanea (sempre più tecnologica, massmediatica e multimediale) che versa in evidenti difficoltà.
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Nemo propheta in patria
Nemo propheta in patria
MARCO CILIONE, ELISABETTA SALVATORI, ANDREA TESTA
Perché studiare latino?
La riforma della scuola secondaria superiore che andrà in vigore dal prossimo
anno scolastico, 2010-2011, prevede, nell’arco di un quinquennio, una notevole
riduzione delle ore di insegnamento di latino nel liceo scientifico. Alla disciplina
saranno dedicate 5 ore in meno, 3 al biennio, 2 al triennio.
Risalta proprio la diminuzione al biennio, quando lo studio è incentrato fortemente sulla lingua.
Il problema è appunto qui: lo studio della lingua latina favorisce l’acquisizione di abilità e competenze polivalenti, cioè applicabili alla soluzione di problemi in ogni campo del sapere e delle attività umane, oltre ad avvicinare,
attraverso la voce stessa dei nostri progenitori, a una civiltà che dà basi e sostanza culturali alla nostra, ed è nostra.
Chi studia o ha studiato la lingua latina sa che essa ha la razionalità, il rigore,
la precisione di una disciplina scientifica1 e il respiro ampio della civiltà e della
cultura, dell’humanitas che costituisce il tratto distintivo della riflessione letteraria
dell’Occidente. Una versione di latino comporta inoltre capacità di immedesimazione, di rappresentazione mentale di epoche, ambienti, situazioni, mentalità e
costumi, ha insomma come interlocutrici storia, filosofia, mitologia, antropologia.
Per questo tradurre non è un esercizio meccanico, non si risolve nell’applicazione di una o più formule, ma il carattere flessivo della lingua latina si unisce
alla conoscenza dell’uomo, nel tempo e nello spazio. Chi, tra noi, non ha curiosità
di sapere da dove viene, di conoscere le sue origini, anche semplicemente attraverso una ricerca araldica del proprio cognome? I monumenti e le iscrizioni, i
resti archeologici ci aiutano a trovare risposte lontane, ma profonde e la lingua
ne è il veicolo privilegiato, il messaggio lungo i secoli.
La lingua latina, ampliando l’orizzonte di riferimento di chi la frequenta, è
un dono inestimabile. Essa, dunque, concorre alla formazione di una sensibilità
storica e fa maturare la consapevolezza della propria identità storica e culturale,
1 Cfr. “Enomis”, Latino come matematica (www.matematicamente.it): “La traduzione di un passo
latino mette in campo una serie di capacità logiche, e per certi versi, nel campo umanistico gioca il ruolo
della matematica nell’ambito scientifico”.
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un’identità europea che vada oltre la semplice unione monetaria ed economica2.
La Chiesa, inoltre, ha usato e usa il latino a causa di una sua proprietà irrinunciabile: l’universalità; perché traduceva in vocaboli e regole grammaticali principi religiosi, etici e giuridici di orientamento individuale e sociale. Anche il
papa, Benedetto XVI, sostiene che la lingua latina può aiutare oggi nel recupero
dei valori universali, umani e civili radicati nella cultura europea3.
Vi sono, poi, altri pregi e risvolti apprezzabili. La decodifica dei testi latini
pervenuti è possibile solo a partire dall’analisi morfologica e sintattica, scartando
gli elementi concorrenti in astratto, ma non funzionali alla struttura della frase
o del periodo che si ha davanti. Questo procedimento, con metodo e rigore, abitua all’analisi dei testi nella loro complessità, ma favorisce anche l’esame attento
di un oggetto di qualunque natura nella vita di ogni giorno. Sul piano semantico,
similmente, si potrà valutare la plausibilità delle varianti, tenendo conto del contesto prossimo del passo.
Tradurre abitua alla concentrazione, alla riflessione, al confronto delle informazioni, obbliga alla sosta per pensare, contribuisce allo sviluppo di un atteggiamento aperto e insieme critico verso la realtà, ponendo in dialogo continuo
le capacità deduttive e induttive della nostra mente. Solo così proveremo il piacere e la soddisfazione di interpretare il senso di una trama testuale.
Pareri autorevoli in questo senso sono stati espressi dal genetista Luca Cavalli
Sforza: “Posso dire che, fra tutte le mie esperienze scolastiche, la traduzione dal latino
è stata l’attività più vicina alla ricerca scientifica, cioè alla comprensione di ciò che è sconosciuto” 4, da Giovanni Gallavotti, professore ordinario di Meccanica Superiore
nel Dipartimento di Fisica dell’Università La Sapienza: “Quello che mi è stato
d’aiuto non è stato per nulla lo studio, pur svolto da me in modo appassionato, delle discipline scientifiche, bensì quello del latino, del greco, della filosofia. E proprio lo studio
di queste discipline intese come messa in opera e insegnamento del ragionamento astratto,
avulso da immediate applicazioni, e che come tale fornisce gli strumenti essenziali per
raggiungere qualsiasi conoscenza. Senza lo sviluppo delle capacità deduttive e induttive
della mente non è possibile alcuna originalità o profondità in qualsiasi disciplina. Senza
la formazione classica ancora vedrei la Scienza non come una disciplina viva, in divenire
continuo, riflettente le esigenze della società (nel bene come nel male), ma come un’arida
sequenza di lemmi, teoremi, fatti, constatazioni e regole di comportamento e di valutazione” 5, da Jàn Figel’, commissario europeo per l’istruzione, la formazione, la
cultura e la gioventù: “Il suo – sc. del latino – studio è vantaggioso per l’apprendimento delle lingue naturali, e non mi riferisco solo a quelle romanze, e consente di aprire
2
Cfr. N. Flocchini, Insegnare latino, 1999, p.117.
Cfr. R. de Mattei, Latino, ovvero le sette vite di una lingua che non è mai morta, da L’Osservatore
Romano, 07.05.2008.
4 Cfr. L. Cavalli Sforza, Studiando, studiando, da Repubblica, 27.11.1993, p.33.
5 Cfr. G. Gallavotti, Sui contenuti essenziali per la formazione di base. Il conflitto inesistente, Convegno della Enciclopedia Italiana, Roma, 15-16 maggio 1998.
3
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direttamente le porte alle ricchezze del nostro passato, senza bisogno di ricorrere alle traduzioni. Esso è un allenamento per la mente e, secondo alcuni, una vera e propria ginnastica per i ‘muscoli cerebrali’” 6.
L’educazione linguistica ha nel latino, indeformabile e irreformabile7, uno dei
suoi più ampi e validi ambiti di articolazione.
Se c’è almeno un beneficio sicuro per tutti gli studenti italiani del latino, anche
per i meno capaci, questo è l’arricchimento del patrimonio lessicale della loro
lingua d’uso, appunto l’italiano. Ma si può scommettere anche sul progresso
nella formulazione più attenta dei periodi sia nello scritto sia nell’orale, con l’ausilio fornito all’analisi logica e del periodo.
Urge uno studio più serio e un potenziamento della matematica e della fisica
al liceo scientifico: è vero. I dati OCSE sono inequivocabili. Ma quegli stessi dati,
letti attentamente, dicono anche che gli studenti italiani faticano a comprendere
e a interpretare un testo nella loro lingua. Tenuto conto di quanto detto finora,
un insegnante di italiano e latino al liceo scientifico perderà numerose ore utili,
in ultima analisi, proprio all’apprendimento e al possesso della lingua italiana.
L’italiano sgrammaticato, stentato, povero di molti studenti all’ingresso del biennio della scuola secondaria superiore è una realtà preoccupante, ancor prima
dei rilevamenti OCSE. Un ripensamento e una riforma più oculata, meno settoriale, di questa, non solo sono auspicabili, ma necessari, il prima possibile.
La madre ripudiata: la lingua latina straniera in patria.
Eccola lì, relegata in un angolo, emarginata e offesa, umiliata da frettolosi
passanti che ne ignorano l’identità, costretta a vivere di avanzi e a cedere il passo
a un malinteso senso della contemporaneità, che la considera obsoleta e inutile.
Eppure la sua essenza continua ad alimentare le nostre parole e i nostri pensieri,
la sua linfa vitale continua a scorrere in modo impercettibile ma incisivo nelle
nostre vene.
Perché, dunque, una così diffusa ostilità nei confronti di una lingua di cui
continuiamo a essere nel contempo eredi e debitori? Perché riempirsi la bocca
di tante vuote celebrazioni che pur riconoscendo formalmente i meriti di questa
tradizione linguistica, la rinchiudono di fatto in una polverosa torre d’avorio?
Nel 1856 Francesco De Sanctis, tre volte Ministro della Pubblica Istruzione, fu
chiamato a ricoprire la cattedra di Letteratura italiana al Politecnico di Zurigo.
In questa sede era solito ripetere ai suoi studenti: “Prima di essere ingegneri, voi
siete uomini”. Il monito di De Sanctis esprime in modo sintetico, ma efficace, l’im-
6
7
Cfr. J. Figel, intervista, Convegno Futuro latino, Città del Vaticano, maggio 2007.
Cfr. N. Flocchini, op.cit.
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postazione della Scuola Politecnica Federale svizzera, che si distingueva allora
come oggi dagli altri Politecnici, per essersi orientata verso una formazione integrale della personalità dello studente. L’articolazione dei corsi riflette questo intento: le undici sezioni o facoltà (Architettura, Ingegneria civile, Ingegneria
meccanica ed elettrotecnica, Chimica, Farmacia, Ingegneria forestale, Agraria, Ingegneria rurale e agrimensura, Matematica e Fisica, Scienze naturali, Scienze militari) sono affiancate dalla dodicesima sezione detta dei corsi liberi, che cura la
cultura generale e umanistica e le Scienze morali (Lingue e Letterature moderne,
Storia universale, Storia dell’arte, Filosofia e Pedagogia, Economia e Diritto); ogni
studente ha l’obbligo di seguire almeno uno di questi corsi liberi per semestre 8.
Come mai due secoli fa ci si preoccupava di integrare la cosiddetta formazione tecnico-scientifica coltivando nel contempo la sensibilità umanistica? Certo
innanzitutto perché la cultura umanistica godeva all’epoca di un particolare prestigio dettato dalla tradizione.
Ma la risposta potrebbe essere più ampia. Enzo Mandruzzato fa notare come
formazione umanistica e formazione scientifica non costituiscano un aut-aut: al
legislatore che pensa di dover privilegiare rispetto al mercato del lavoro la cultura tecnico-scientifica a scapito di quella umanistica, si potrebbe obiettare che
“la tecnica non è la scienza, bensì la sua applicazione, che la vera scienza è teoresi e l’applicazione in fondo la umilia. [...] E poi scienza e tecnica hanno una curiosa sfortuna:
possono essere ammirate senza essere capite. Al contrario di tutto ciò che è arte della parola, che è intesa, soprattutto quando è grande, da tutti gli uomini. [...] Come l’ossigeno,
l’arte della parola penetra e ravviva tutto, indifferente a chi la misconosce. Ma il tema
proposto è strettamente didattico. Diremo che una scuola senza latino è fredda e orfana:
il latino è per tutti perché è di tutti” 9.
Sacrificare il latino a un modello di scuola funzionalista, cioè centrata sulla
subordinazione alle esigenze immediate del mercato del lavoro, è una scelta
poco lungimirante: soltanto una mente allenata da uno studio, come quello della
lingua latina, che la renda flessibile, può avere accesso a un’ampia gamma di attività professionali nell’ambito delle quali, poi, l’azienda potrà di volta di volta
fornire con corsi di aggiornamento specifico le conoscenze necessarie all’acquisizione delle competenze e delle abilità richieste dal mercato. Viceversa, una
mente abituata a uno studio settoriale ed eccessivamente tecnicistico tende a irrigidirsi o comunque a essere meno disponibile alla formazione continua.
Claudio Cesa fa opportunamente notare: “Per diventare uomini educati, bisogna
studiare, e studiare significa soprattutto apprendere ciò che non si esaurisce nell’uso
quotidiano, che può essere ricavato da tante altre fonti. [...] Lo studiare è per sua natura
8 Cfr. S. Romagnoli, Per una storia della critica letteraria. Dal De Sanctis al Novecento, Firenze, 1993,
p.37, nota 5.
9 Cfr. E. Mandruzzato, Latino per tutti o scuola senza latino, in A ciascuno il suo latino, Atti delConvegno di Studi, Vicenza 1-2 ottobre 2001 “Progetto Pallante”, a cura di G. Milanese, Lecce, 2004, p.17.
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astratto e staccato dal quotidiano e lo diventa tanto più quanto più gli studi si fanno
avanzati. L’adattamento operativo di quel sapere lo farà ciascuno, quando gliene capiteranno le occasioni: e sarà tanto più incisivo e originale quanto più la preparazione di
base non sarà stata strumentale” 10.
La lingua latina accolta e apprezzata fuori dai confini della patria.
La lingua latina, straniera in patria, è stata invece felicemente adottata non
solo in diversi Paesi del vecchio continente, ma anche in alcuni Stati extraeuropei
con radici culturali spesso molto diverse dalle nostre.
Un primo e assai significativo esempio è offerto dagli Stati Uniti d’America
dove, dagli anni Novanta in poi, si registra un progressivo incremento dello studio del latino e del greco e più in generale una riscoperta della cultura e della
civiltà classica non solo nelle università, ma anche nelle scuole secondarie e persino nelle scuole medie. Nell’ultimo ventennio il numero degli studenti universitari che frequentano corsi di latino e di greco è cresciuto del 30%. Questo
fenomeno è determinato in parte da una ricerca di distinzione nell’ambito di un
sistema educativo sempre più massificato e nel contempo sempre più competitivo. L’apprendimento di una lingua classica diventa una sorta di messaggio in
codice sia verso il mondo del lavoro che verso le migliori graduate schools. Per
iscriversi al college e poi alle graduate schools gli studenti americani devono sostenere una serie di test attitudinali. I punteggi ottenuti nelle prove di capacità
logico-verbali sono sistematicamente più elevati fra i giovani che hanno studiato
una lingua classica. La differenza in positivo risulta ancora più evidente rispetto
a quegli allievi che si sono dedicati allo studio di una lingua viva e strutturata
(cioè con casi e declinazioni) come il russo o il tedesco. In seguito a questi dati i
cosiddetti latin-based programs si stanno diffondendo in molte scuole medie, non
solo private ma anche pubbliche situate in quartieri disagiati. Negli ultimi due
anni più di 134000 studenti americani si sono presentati all’esame nazionale di
latino, contro i 124000 del 2003 e i 101000 del 1998; inoltre sono raddoppiati in
dieci anni gli allievi che superano l’Advanced Placement Test, più di 8000 nel
2007. Fioriscono corsi di studio di latino e perfino scuole, ad esempio in Nuovo
Messico e in Alaska o a New York, come la Brooklin latin School, sorta nel 2006,
dove il preside Jason Griffiths dichiara con orgoglio che “il latino è la lingua delle
persone di successo” 11.
10 Cfr. C. Cesa, Classici e scuola, in Rimuovere i classici? Cultura classica e società contemporanea, a
cura di F. Montanari, Varese 2003, pp.18-19.
11 Cfr. M. Cavallieri, Il latino, nuova lingua d’America, da Repubblica, 08.10.2008, p.49, sezione
Cronaca: “Dopo il francese e lo spagnolo la lingua di Cicerone potrebbe raggiungere il tedesco nella classifica
delle più studiate lasciando indietro il cinese, troppo lontano e oscuro anche se emergente”.
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In un recente sondaggio, due terzi delle università statunitensi hanno dichiarato che, a parità di fattori, la conoscenza del greco o del latino conferisce agli
studenti una marcia in più 12.
Perché dunque nel Paese della new economy e leader nel campo delle nuove
tecnologie si guarda con favore allo studio delle lingue classiche? Perché evidentemente s’è capito che per reggere a un sistema in cui la competitività risulta
tanto spietata quanto necessaria, occorre investire nel capitale umano e nella formazione, quanto più possibile, a tutto tondo della personalità di un individuo
(come già si è visto presso il Politecnico di Zurigo), che per dare impulso e promuovere l’eccellenza educativa occorre studiare in modo serio e impegnarsi a
fondo in quelle discipline come, ad esempio, il latino che, sul piano logico-razionale, favorisce lo sviluppo delle capacità logiche deduttive e induttive e di
ragionamento critico, allenando la mente a un lavoro di analisi e di cura del dettaglio che a lungo andare abitua ad affrontare problemi di qualunque natura in
maniera non superficiale ed approssimativa, oltre a rappresentare un ottimo
esercizio per la memoria 13.
In un’intervista14 il professor Luca Canali spiega l’interesse degli Stati Uniti
per il latino come una reazione all’imperante pragmatismo americano, dettato
anche dal desiderio di conoscere una letteratura che ha in fondo un carattere
universale. Alla domanda della giornalista su che cosa possa offrire al giorno
d’oggi il latino ad un ragazzo italiano o americano, l’illustre latinista ha così risposto: “Una sintassi estremamente razionale che bisogna imparare ragionando e non
solo studiando a memoria e questo è già qualcosa. Ma soprattutto bisogna sapere che la
letteratura antica, latina e greca, è alla base della letteratura e dell’intera cultura occidentale; così come si leggono i grandi della letteratura inglese o tedesca si devono leggere
i classici latini”.
Non si può restare poi indifferenti al fatto che la lingua latina rappresenti il
pilastro della lingua e della letteratura italiana: occorre ricordare che il 54 % di
tutti i vocaboli italiani e il 98% delle 60000 parole del lessico di base derivano
proprio dal latino.
Un altro fenomeno che investe l’Europa fuori dai confini dell’Italia circa la
vitalità del latino è rappresentato dall’esistenza di radio come quella finlandese,
la YLE Radio, o quella tedesca, la Radio Bremen15, che pubblicano in internet i Nuntii latini, ovvero le news che possono essere anche ascoltate in latino. Sul sito
web della radio finlandese è inoltre possibile partecipare a chat su temi d’attua-
12 Cfr. M. Ferrera, Classi dirigenti. Gli Americani riscoprono il latino e il greco, da Il Corriere della
Sera, 12.08.2008.
13 Cfr. M. Ferrera, art. cit.: “Si sviluppano in questo modo competenze generali sulle quali appoggiare
le molteplici competenze specifiche che si acquisiscono in seguito o in parallelo”.
14 Cfr. M. Cavallieri, art cit.
15 Cfr. http://www.radiobremen.de/nachrichten/latein.
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lità. Ancora forum e notizie nel notiziario polacco online Ephemeris16. Anche su
Google si possono compiere ricerche nel web nella lingua di Cicerone17.
Occorre pure ricordare che nel 2003 in Inghilterra è stata pubblicata una traduzione latina a cura di Peter Needham del primo romanzo che ha come protagonista il maghetto inglese Harry Potter intitolato Harrius Potter et philosophi
lapis 18.
Sempre in Inghilterra esiste da quaranta anni la Greek Summer School di Bryanston, che accoglie nelle due settimane a cavallo tra luglio ed agosto partecipanti
da tutto il mondo, di età compresa tra i sedici e i venticinque anni. Sono istituiti
corsi di grammatica, corsi di pittura su vaso, che si alternano a letture pubbliche
di Omero e delle tragedie e commedie greche, oltre alla recitazione in costume
dei capolavori di Euripide e di Aristofane. Le domande di partecipazione sono
in continuo aumento, segno di una riscoperta del greco antico e che l’Economist
ha definito “una versione ellenistica di Woodstock” 19.
Quanto detto finora dovrebbe indurre pertanto a riflettere sulle scelte da operare nel nostro Paese, quando si tratta del sistema nazionale di formazione e di
istruzione.
L’ammodernamento della scuola italiana, di una scuola, cioè, che sia a passo
con i tempi, non può consistere sic et simpliciter nella riduzione delle ore di latino,
nell’ottica – a quanto pare – di una sua progressiva eliminazione, quasi fosse un
ramo secco da tagliare perché oramai inutile e improduttivo. Come giustamente
si è osservato, “una scuola che offra agli studenti solo cose immediatamente utili mi
sembrerebbe una scuola molto povera” 20.
Si potrebbe piuttosto pensare, senza arrivare a così drastiche quanto avventate soluzioni, a una riformulazione dei piani orario, all’adozione di nuovi metodi d’insegnamento, nonché all’impiego di moderne strategie d’apprendimento
(attraverso, ad esempio, l’ausilio dell’informatica) tali da rendere lo studio del
latino più stimolante e produttivo. Perché il problema vero non è tanto quello
di capire se al giorno d’oggi serva ancora impegnarsi a studiare una lingua non
più parlata in nessuna parte del mondo ovvero, come si sente spesso ripetere,
“morta”, quanto invece quello di fare in modo che lo studio del latino continui
ad essere appetibile, tale da suscitare negli allievi, ora come in passato, interesse
e curiosità. Cosa sicuramente non facile, ma rinunciare o darsi per vinti in partenza per la smania di risultare a tutti i costi moderni e al passo dell’era tecnologica rappresenta la strada certamente più comoda ma anche più pericolosa.
16
Cfr. http://www.alcuinus.net/ephemeris.
Cfr. htpp://www.google.com/intl/la/.
18 Cfr. La lingua latina oggi: nel web e in libreria (a cura di P. Signoroni).
19 Cfr. M. Ferrera, art. cit.
20 Cfr. M. Sorce Keller, Elogio delle cose inutili: musica, latino e altre belle cose, Convegno dell’Associazione italiana di Cultura classica – Delegazione della Svizzera italiana, Lugano, Università della
Svizzera italiana, 13 maggio 2000.
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Scholastica
Marco Cilione, Elisabetta Salvatori, Andrea Testa
Se il futuro di una nazione dipende dalla qualità delle sue scuole e dalla loro offerta formativa, come ben hanno compreso quegli Stati che, pur sapendo che i
risultati saranno visibili nel medio e lungo termine, tuttavia hanno il coraggio
di investire in cultura ed istruzione, c’è di che preoccuparsi per ciò che si prospetta per la formazione degli studenti e per le sorti della scuola italiana e, conseguentemente, del Paese: un declassamento e un inevitabile livellamento verso
il basso che rischia di soffocare le singole personalità e individualità, insomma
quanto di meglio, di brillante e di originale c’è nei ragazzi.
Bibliografia:
CAVALLI SFORZA L., Studiando, studiando, da Repubblica, 27.11.1993;
CAVALLIERI M., Il latino, nuova lingua d’America, da Repubblica, 08.10.2008;
DE MATTEI R., Latino, ovvero le sette vite di una lingua che non è mai morta, da L’Osservatore Romano, 07.05.2008;
FERRERA M., Classi dirigenti. Gli americani riscoprono il latino e il greco, da Il Corriere
della Sera, 12.08.2008;
FIGEL’ J., intervista, in Futuro latino, convegno, Città del Vaticano, 2007;
FLOCCHINI N., Insegnare latino, Firenze, 1999;
GALLAVOTTI G., Sui contenuti essenziali per la formazione di base. Il conflitto inesistente, in Enciclopedia italiana, Atti del Convegno, Roma, 1998;
LICOPPE G., Pourquoi le latin aujourd’hui?, Università di Liegi, Atti del Convegno,
1989;
MILANESE G. (a cura di), A ciascuno il suo latino. La didattica delle lingue classiche
dalla scuola di base all’università, in Atti del convegno, Vicenza 1-2 ottobre 2001
“Progetto Pallante”, Lecce, 2004;
MONTANARI F. (a cura di), Rimuovere i classici? Cultura classica e società contemporanea, Varese, 2003;
ROMAGNOLI S., Per una storia della critica letteraria. Dal De Sanctis al Novecento,
Firenze, 1993;
SORCE KELLER M., Elogio delle cose inutili: musica, latino e altre belle cose, in Associazione Italiana di Cultura Classica, Lugano, 2000.
Sitografia:
98
‘Enomis’, Latino come matematica, http://www.matematicamente.it;
La lingua latina oggi: nel web e in libreria (a cura di P. Signoroni):
http://www.radiobremen.de/nachrichten/latein;
http://www.alcuinus.net/ephemeris;
http://www.google.com/intl/la
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Autori
QdPD 1 (2010)
QdPD
Quaderni demerodiani di
Pedagogia e Didattica
MICHELE BARILE Docente di Lingua e Letteratura Inglese al Liceo. Referente
CELAS. Consulente linguistico presso Enti Pubblici. Responsabile preparazione Esami Cambridge.
BEATRICE CHIAPPONI Docente di materie letterarie al Liceo ha collaborato con
la Biblioteca Angelica per l’ufficio manoscritti e rari, curando anche la pubblicazione di un articolo di settore. Collabora presso il Dipartimento di
Studi sul mondo antico dell’Università degli Studi Roma Tre.
EDUARDO CIAMPI Docente di Lingua e Letteratura Inglese al Liceo. Traduttore,
articolista e saggista impegnato da anni nell’editoria.
MARCO CILIONE Docente di materie letterarie al Liceo frequenta il Master per
Educatori Cristiani. Studioso di dialettologia ed epigrafia greca. Ha curato
la raccolta delle fonti greche e latine per il progetto Imago Urbis.
LETIZIA FALLANI Docente della scuola primaria ha frequentato il CELAS e il
Master per Educatori Cristiani. è curatrice di un laboratorio artistico.
ANNALISA MALATESTA Docente di Storia e Filosofia al Liceo ha frequentato il
CELAS ed il Master per Educatori Cristiani. Ha collaborato con la cattedra
di Filosofia della Religione presso l’Università di Roma Tor Vergata.
MARINA PESCARMONA Docente di Scienze al Liceo è Dottore di Ricerca in
Scienze medico-forensi e ha frequentato il Master “Scienza e Fede” presso
l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.
CHIARA RAMPONI Docente di materie letterarie al Liceo. Ha conseguito il Master per Educatori Cristiani. Ha conseguito la specializzazione in Archeologia Classica presso l’Università di Roma “La Sapienza”.
ELISABETTA SALVATORI Docente di materie letterarie al Liceo frequenta il Master
per Educatori Cristiani. Ha conseguito il Perfezionamento nell’ Insegnamento delle materie di Italianistica. Ha partecipato a scavi nel Foro Romano
e nel territorio cerite.
ANDREA TESTA Docente di materie letterarie al Liceo frequenta il Master per
Educatori Cristiani. Ha conseguito il Perfezionamento nello studio della
tradizione della lingua italiana del Trecento.
ALBERTO TORNATORA Docente di materie letterarie al Liceo. Ha conseguito il
Master per Educatori Cristiani e il diploma di Coordinatore Scolastico. Studioso di letteratura cristiana antica è autore di articoli e saggi pubblicati in
riviste universitarie.
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Pedagogia e Didattica
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Anna Lisa Malatesta
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QdPD 1 (2010)
Indice
QdPD
Quaderni demerodiani di
Pedagogia e Didattica
Presentazione
Perché questi quaderni di Fr. Pio Rocca
Contenuti
..................................................................
5
.........................................................................................................................................
7
Lo straniero
ALBERTO TORNATORA
Lo straniero (l’altro, l’ospite, il nemico)
................................................................
11
SCUOLA PRIMARIA
LETIZIA FALLANI
Profumo di spezie Accogliamo il bambino straniero
...................................
15
SCUOLA SECONDARIA DI SECONDO GRADO
Inglese
MICHELE BARILE, EDUARDO CIAMPI
L’importanza dell’altro attraverso il pensiero di John Donne
................
23
Latino
BEATRICE CHIAPPONI
La Vita Columbae di Adomnán: un punto di vista sul mondo
insulare ...................................................................................................................................... 35
Filosofia
ANNA LISA MALATESTA
Il volto dell’altro : persona e comunità
..................................................................
47
...................................................................................
57
Scienze
MARINA PESCARMONA
Gli unici veri stranieri: gli E.T.
Greco
CHIARA RAMPONI
L’immagine dello straniero in Erodoto
..................................................................
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QdPD 1 (2010)
Indice
r iscontri
MARCO CILIONE, ELISABETTA SALVATORI
Il cammino della carità cristiana: da Santa Cecilia
Marescotti Ruspoli a don Luigi di Liegro ............................................................ 80
MARCO ALOCCI, ALESSANDRA DESIDERI, FRANCESCA NAPOLITANO
Visita al centro “Caritas” di Ponte Casilino ........................................................ 81
ANDREA TESTA
Le radici della moralità nel Decameron ................................................................. 83
Scholastica
ALBERTO TORNATORA
L’insegnamento del latino al liceo scientifico:
una aporia della Riforma ............................................................................................. 87
MARCO CILIONE, ELISABETTA SALVATORI, ANDREA TESTA
Nemo propheta in patria ................................................................................................. 91
AUTORI
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...........................................................................................................................................
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Il volto dell’altro...
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Qui
docent
Paulatim
Discunt