Religione e politica nelle opere di Tolkien

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Religione e politica nelle opere di Tolkien
Relazione di Salvatore Ferraguto N°matricola 0458978 laureando L2
Religione e politica nelle opere di J.R.R. Tolkien
Introduzione
La straordinaria vena creativa di Tolkien ne fa uno degli autori di lingua inglese più
apprezzati del XX secolo. Un pubblico sempre più vasto lo incorona come il più grande
esponente del genere “Fantasy”. La sua opera più significativa The Lord of the Rings è
ormai un cult di intere generazioni. La trasposizione cinematografica ne ha consacrato il
successo.
Milioni di lettori vedono nei suoi romanzi la straordinaria forza della fantasia. Ma Tolkien
in realtà vuole solo raccontare le storie leggendarie di un popolo di mezz’uomini o cela
intenti che vanno oltre e che sconfinano nella religione e nella politica?
Scopo della mia relazione è quello di effettuare un’indagine su questi particolari aspetti
all’interno dell’universo tolkieniano.
La mia ricerca si sviluppa lungo due filoni che, per convenzione, tratterò come due
parallele. Nella prima parte cercherò di indagare quegli elementi di impronta religiosa che
è possibile riscontrare nelle opere di Tolkien, in particolare, nel suo capolavoro ma anche
nella sua biografia attraverso una breve analisi di alcuni frammenti delle numerose lettere
scritte dall’autore a parenti e amici.
La seconda parte del mio lavoro interesserà quella polemica, in gran parte italiana, iniziata
negli anni ’70 e prolungatasi fino a pochi anni fa, che ha fatto dell’illustre professore un
autore di “destra”.
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J.R.R. Tolkien: Tra cristianesimo e paganesimo
Le opere di Tolkien possono essere paragonate a dei libri di storia. Raccontano tante
piccole storie, ciascuna delle quali è legata alle altre secondo un progetto divino, ben
definito, realizzato con il concorso degli uomini, degli elfi, degli hobbit e dei nani.
Come accade in molte religioni si parte da un mito fondante, un incipit solenne, una sorta
di Genesi da cui tutto inizia e a cui tutto rinvia.
Nell’orizzonte tolkieniano il Silmarillion crea i presupposti e la cornice al Signore degli
Anelli: i toni di quest’opera ricordano quelli di un libro sacro; il Valaquenta1 inizia con
queste parole « Nel principio Eru, l’Uno, che nella lingua elfica è detto Ilùvatar, creò gli
Ainur dalla propria mente ». Eru è Dio, ma non si tratta di un dio supremo, bensì di Dio
stesso, l’Unico. Eru è dunque l’Unico, che creò gli Ainur (una sorta di santi), che dagli elfi
furono chiamati Valar e che gli uomini hanno chiamato dei. Sebbene dunque non si tratti di
dei gli uomini li hanno definiti tali, in quanto esistevano prima della creazione del mondo e
in quanto frutto della mente di Eru2.
I Valar dunque, e le altre divinità minori de Il Silmarillion sono una sorta di armonia
celeste prima che le vicende terrene abbiano inizio, prima che la storia celeste sprofondi
nella storia terrestre, prima che gli dei decadano e cedano il passo agli elfi, agli uomini,
agli hobbit.
Sempre sull’esempio di altre grandi religioni si potrebbe intravedere in Gandalf
l’immagine di un profeta che sembra sapere sempre più di quanto non dica, anche se di
fatto non mi pare che giunga mai ad alludere ad una figura determinata sul modello di
Gesù Cristo.
Ma anche se fosse così bisogna soffermarsi ora su un’altra questione: si dovrebbe stabilire,
ammettendo che si professino dei culti, se sia possibile che nella Terra di Mezzo convivano
religioni diverse e riconducibili a forme vicine al cristianesimo o al paganesimo. In questo
caso naturalmente gli hobbit potrebbero essere esponenti della sensibilità cristiana, mentre
razze inferiori, come ad esempio gli orchi, appartengono ai principi del paganesimo.
In realtà nelle sue opere Tolkien non conia una religione ufficiale, con rituali, culti,
preghiere, adepti e sacerdoti; non ci sono neppure luoghi dediti alle celebrazioni e neppure
organizzazioni parallele al potere temporale, così come non esistono né paradisi né averni
pagani.
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J.R.R Tolkien, Novero dei Valar, in Il Silmarillion, 1977, cit. pag 23
Cfr. Novero dei Valar, pag 23
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In poche parole, come ama ripetere lo stesso autore in molte delle sue lettere, le sue opere
non contengono esplicite allusioni di carattere morale, religioso, o politico.
L’universo tolkieniano è tuttavia intriso di eroi dallo spirito cristiano, ma allo stesso tempo
non si può negare quanto siano presenti elementi pagani. Tali elementi pagani sono
naturalmente da ricondurre alle esperienze del nostro autore. Tolkien nella sua carriera
universitaria fu infatti illustre filologo e profondo conoscitore della letteratura medievale
oltre a portare con sé uno straordinario interesse per la
mitologia nordica e per il
fantastico. Fu proprio nelle leggende medievali che egli scoprì quell’universo fantastico da
cui trasse spunto per creare i suoi mondi, e del resto la fantasia è uno di quei elementi dai
quali non si può prescindere per comprendere le sue teorie.
Si prenda spunto ora da una raccolta di saggi dello stesso Tolkien3, dove egli afferma
testualmente «La Fantasia resta un diritto umano: noi creiamo a nostra misura e secondo
la nostra modalità derivata, perché siamo stati creati: e non soltanto creati, ma creati a
immagine e somiglianza di un Creatore». Ma si prenda spunto anche dall’introduzione al
Signore degli Anelli di Elemire Zolla, dove questi afferma come “la fiaba e la religione
sono state sciaguratamente scisse e sempre vanno tentando di riabbracciarsi e rifondersi
in uno (e per religione Tolkien intende: «il divino, il diritto al potere, distinto dal possesso
del potere, l’obbligo di culto»)”. A queste citazioni si potrebbe aggiungere come lo stesso
autore doveva essere inevitabilmente attratto dai miti pagani, che secondo il suo pensiero
non potevano essere in assoluto menzogneri, ma contenevano barlumi di verità. In questo
caso esisterebbe un progetto divino a cui tutti gli esseri viventi si uniformano, secondo il
piano d’amore di Iluvatar. Ma allora Iluvatar sarebbe Dio, e se è Dio tutto rimanda al
cristianesimo…ma i Valar e gli elfi che sono dei e semidei (ma anche santi e angeli), e
allora si ritorna al paganesimo, e di fatto nel Signore degli Anelli esiste il fato, che nel
cristianesimo diventa provvidenza, e troviamo ancora la grazia e il destino. Si entra così in
un cerchio dove diventa sempre più difficile scindere i due aspetti. Una prospettiva unitaria
tra cristianesimo e paganesimo non dovrebbe essere dunque un’ipotesi azzardata tanto che
nella Terra di Mezzo nessuno ha coscienza dell’esistenza di Dio.
La soluzione sta ancora una volta nelle parole di Tolkien che nel saggio Sulle fiabe scrive
«Dio è il Signore, degli angeli, e degli uomini – e degli elfi. La leggenda e la Storia si sono
incontrate e fuse4».
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J.J.R. Tolkien, Il medioevo e il fantastico, Luni, Milano-Trento 2000
Sulle fiabe in Il medioevo e il fantastico, pag. 229
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Da queste parole si deduce che Tolkien è credente. Ma questo è un dato di fatto, la
conferma sta nelle sue parole, o meglio nelle sue lettere: in una lettera inviata ad Emy
Ronald del 15 dicembre 1956 egli scrive «Io sono cristiano, e cattolico romano…» e
precedentemente in un’altra lettera invita a Michael Tolkien aveva scritto «…Io ti
propongo l’unica grande cosa da amare sulla terra: il Santissimo Sacramento…Qui tu
troverai avventura, gloria, onore, fedeltà e la vera strada…5». Le vicende e i dati
biografici che raccontano della profonda cattolicità di Tolkien sono, dopotutto,
numerosissimi e indiscutibili.
Nonostante ciò, per concludere, risulta interessante il commento del più grande critico
italiano di Tolkien, Gianfranco de Turris.
Nell’introduzione a Il medioevo e il fantastico questi scrive «John Ronald Reuel Tolkien, il
professore che amava i draghi, filologo insigne ed estroso, subcreatore della Terra di
Mezzo e dei suoi miti cosmogonici, cattolico tradizionalista, “uomo di destra” (come l’ha
definito Humphrey Carpenter nella sua biografia), antimoderno al punto di preferire i
fulmini ai lampioni, i cavalli alle automobili, ha insegnato ormai a diverse generazioni ad
amare il Medioevo e il Fantastico ed a non considerarli entrambi come qualcosa di
negativo, di cui vergognarsi o addirittura di “pericoloso” e, come è giunto a scrivere
qualche critico italiano, di “irrazionale” ed “eversivo”. Tolkien della evasione del
Prigioniero dal carcere della Modernità ne ha fatto un atteggiamento positivo e
costruttivo, indispensabile per uscire indenni mentre si superano tutti gli ostacoli che si
frappongono alla libertà».
Anche se per certi aspetti l’opinione che de Turris ha di Tolkien può apparire estremista
non si può fare a meno di considerare come egli catturi con sottile spirito critico quanto
l’illustre filologo fosse cattolico. Lo si evince dal suo tradizionalismo conservatore e
dall’elogio del Medioevo; proprio quel Medioevo, ovvero l’età di mezzo, che rappresenta
per la Santa Chiesa romana una fase dove l’amore per il prossimo, la preghiera, la fede in
Dio avevano conosciuto la loro massima diffusione. Proprio in quel “buio millennio”
Tolkien aveva scoperto il fantastico e aveva trovato le fonti per costruire il suo universo.
Per quanto riguarda l’espressione “uomo di destra” rimando al paragrafo successivo.
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Tutte le lettere citate sono contenute nella raccolta “La realtà in trasparenza, Bompiani, 2001”
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Una polemica tutta italiana
La seconda parte del mio lavoro si sviluppa su una serie di aneddoti e considerazioni che
mi hanno spinto ad indagare se nei suoi romanzi Tolkien sostenesse progetti politici o
ideologie politiche particolari.
Secondo molti appassionati si tratta di un falso problema: l’autore non era un attivista
politico, né tanto meno uno scrittore politico. Egli stesso si oppose a qualsiasi
interpretazione del genere, tanto che in una delle sue lettere ebbe a dire che Il Signore degli
Anelli «non ha intenzioni allegoriche… o morali, religiose o politiche» (Lettera 165, La
realtà in trasparenza), sebbene scrisse anche «solo l'Angelo custode di ognuno di noi,
oppure Dio stesso, è in grado di svelare la vera relazione che c'è tra i fatti personali e le
opere di un autore. Non certamente l'autore stesso (benché ne sappia più di qualsiasi
investigatore), e certamente nemmeno i cosiddetti “psicologi”».
Lo stesso autore, nella lettera, se da un lato vuole esprimere una certezza, dall’altro non
vuole cancellare ogni ipotesi di dubbio e, a dire il vero, si potrebbe trattare di un ottimo
espediente. Prendo spunto da un triste episodio della vita dell’autore: Tolkien combatté
nella Grande Guerra ed in particolare partecipò alla Battaglia de La Somme che, insieme a
quella di Verdun, fu una delle più cruente della prima guerra mondiale. Nella lunghissima
battaglia che vide contrapposti francesi e inglesi da un lato e tedeschi dall’altro persero la
vita oltre un milione di persone tanto che quel fronte verrà ricordato come la “tomba di
fango”.
Tolkien si porterà per tutta la vita quell'orrore, quelle morti, quei compagni mutilati dai
mortai e accecati dai gas, con il fango, i pidocchi, la dissenteria ed epidemie ovunque i suoi
occhi potevano arrivare a vedere.
Fu un’esperienza terribile ed è probabilmente in quella trincea stretta e lunga che Tolkien
intravide la “Terra di Mezzo”, il punto preciso dove il bene si contrappone al male, dove
tutte le forze si scontrano nella battaglia decisiva. Hobbit, elfi, uomini e nani in lotta contro
Sauron (la Germania), il male assoluto, che per soddisfare la sua sete di potere può contare
sui cavalieri neri (gli austriaci) e sugli orchi (i turchi). Gli Hobbit sarebbero allora gli
inglesi (immuni dal potere dell'anello), gli uomini magari i francesi, i nani naturalmente gli
italiani e gli elfi infine erano i paesi nordici come la Svezia e la Norvegia. Nell’occasione
non si può invece identificare Mordor con l’URSS anche grazie alla smentita di Tolkien
stesso nella lettera 229.
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Si tratta di una possibile interpretazione de “Il Signore degli Anelli” non certamente
dell’unica. Provo ad elaborarne un’altra prima di dar voce alle opinioni di alcuni critici.
In questa mia seconda ipotesi la Terra di Mezzo potrebbe essere intesa come simbolo della
coscienza umana in perenne lotta tra bene e male. La coscienza è dominata però da forze
contrapposte: da un lato l’altruismo degli hobbit, il coraggio degli uomini, la sapienza degli
elfi; dall’altro l’odio degli orchi, la ferocia dei cavalieri neri, la sopraffazione di Sauron.
Questa interpretazione però a ben poco a che vedere con la politica, o meglio, con la destra
o la sinistra.
Premetto inoltre che la polemica tra Tolkien fascista o comunista è una questione
esclusivamente italiana nata agli inizi degli anni ’70 quando la casa editrice Rusconi
pubblicò una prima versione italiana della trilogia. In quegli anni la cultura ufficiale era
monopolizzata dal pensiero marxista, mentre il clima politico era decisamente avvelenato
tanto che “tutto” doveva essere di destra o di sinistra. In una situazione tale il fatto che a
pubblicarlo fosse Rusconi, che il direttore editoriale fosse Alfredo Cattabiani e per giunta
con la prefazione di Elemire Zolla, rispettivamente editore, direttore ed intellettuale da
tempo bollati come fascisti rese quanto meno necessaria la “scomunica” da parte dei rossi.
Questi gridarono allo scandalo quando, solo per ricordare un episodio – a causa di una
dotta e provocatoria introduzione di Zolla - si alzò un muro contro il professore di Oxford,
dipinto di volta in volta come conservatore, reazionario, addirittura razzista (gli orchetti si disse allora- rappresentano per Tolkien una razza inferiore). Gli almirantini sfruttarono
al volo l’occasione. Trovarono una giustificazione culturale per le loro azioni. Fu quindi
una sorta di “appropriazione indebita”, qualcosa di simile a quanto avevano già fatto, su
scala molto più vasta, dai Nazisti con Wagner negli anni '30 e '40. Solo che, nel caso di
Tolkien, l'appropriazione fu resa possibile da ignoranza e chiusura ideologica di altri.
Viceversa, in America, negli anni '60, a Tolkien era capitato addirittura di essere il
paladino dei contestatori anti-intervento in Vietnam; tant’è vero che le T-shirt con la scritta
“Frodo Lives” e le scritte “Another Brick in Mordor” sui muri delle caserme risalgono
appunto a quel periodo.
Veniamo ora ad un aneddoto poco conosciuto ma alquanto significativo: nel gennaio 2002,
all’anteprima del film di Peter Jackson, erano presenti in sala tra gli altri Maurizio Gasparri
e Gianni Alemanno oltre ad altri esponenti della destra. I commenti furono pressoché
unanimi tanto da relegare, ancora una volta, l’autore alla biblioteca ideale della destra.
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Relazione di Salvatore Ferraguto N°matricola 0458978 laureando L2
Secondo Lucio Del Corso e Paolo Pacere «nella storia della ricezione dei romanzi di
Tolkien in Italia il travestimento a scopi politici (più o meno espliciti) pare una regola »6 e
ancora secondo gli stessi critici i romanzi della Terra di Mezzo sono « una sorta di punto
d’incontro tra concezioni destrorse»7 .
Opinioni discordanti dalla precedente, se non del tutto opposte, vengono espresse da Errico
Passaro
che
reputa
grossolana
l’interpretazione
di
Tolkien
come
serbatoio
dell’immaginario neofascista8. A differenza di quanto sostengono Del Corso e Pacere non
fu l’interpretazione costruita a tavolino da qualche intellettuale politicizzato in cerca di
seguaci a rendere l’autore un simbolo della destra, bensì come sostiene Passero si trattò di
una scoperta, di un’illuminazione di pochi ma selezionati lettori che diffusero un mito col
“passaparola”.
Sulla base di queste informazioni si potrebbe riassumere che se l’autore può essere
inquadrato nel patrimonio culturale della destra, ciò avviene solo sulla base di una serie di
mistificazioni e fraintendimenti dovuti anche agli anatemi della cultura comunista;
sull’altro versante Tolkien non si inserisce mai negli ambienti culturali vicini alla sinistra
se non con la sola eccezione dell’esperienza hippie.
Tenendo conto delle osservazioni dei critici e degli episodi citati, oltre alla lettura dei
principali romanzi tolkieniani, sostengo (come molti del resto9) la tesi che l’illustre
filologo aveva inventato i suoi mondi, i suoi personaggi, le sue lingue per il solo piacere di
raccontare qualcosa di nuovamente epico e fantastico, e creare qualcosa di cui nella
letteratura contemporanea non c’era più traccia e di cui invece la letteratura medievale era
ricchissima. Tolkien, del resto, scriveva non per i critici ma per i suoi figli. Ne concludo
pertanto che nelle sue opere non ci siano particolari allusioni politiche eccezion fatta
proprio per quella “relazione che c'è tra i fatti personali e le opere di un autore” di cui
parla Tolkien stesso nella lettera citata in precedenza.
6
L.Del Corso e P.Pacere, L’anello che non tiene. Tolkien fra letteratura e mistificazione. Minimum Fax,
Roma, 2003, pag.9
7
L.Del Corso e P.Pacere, op. cit, pag. 32
8
E. Passero e M. Respinti, Paganesimo e cristianesimo in Tolkien, Roma, 2003, pag. 86
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P. Zanotti, Il modo romanzesco, Laterza, Bari, 1998, pag.53
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Riferimenti bibliografici
L.Del Corso e P.Pacere, L’anello che non tiene. Tolkien fra letteratura e mistificazione,
Minimum Fax, Roma, 2003
G. De Turris, Introduzione, in Il medioevo e il fantastico, Luni, Milano-Trento, 2000
O. Palusci, J.J.R. Tolkien, La Nuova Italia, 1982
E. Passero e M. Respinti, Paganesimo e cristianesimo in Tolkien, Roma, 2003
J.J.R. Tolkien, Il medioevo e il fantastico, Luni, Milano-Trento, 2000
J.J.R. Tolkien, La realtà in trasparenza, Bompiani, 2001
J.J.R. Tolkien, Novero dei Valar, in Il Silmarillion, Bompiani, 2004
P. Zanotti, Il modo romanzesco, Laterza, Bari, 1998
E. Zolla, Introduzione, in Il Signore degli Anelli, Bompiani, 2003
Sitografia
www.culturacattolica.it
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