Preparare e celebrare il Triduo Pasquale

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Preparare e celebrare il Triduo Pasquale
DANIELE PIAZZI
PREPARARE E CELEBRARE
IL TRIDUO PASQUALE
Apertura del Triduo: la sera del Giovedì santo
Preparare e celebrare la Messa nella Cena del Signore
Giovedì santo sera: apertura, non primo giorno del Triduo pasquale
Capita ancora spesso di vedere scritto nei bollettini parrocchiali che il Giovedì santo è il primo giorno del
Triduo pasquale, tanto che poi si è costretti a mettere la Veglia al Sabato Santo. In realtà il Giovedì santo è l'ultimo
giorno della Quaresima. Solo la sera è rilevante, perché si apre il Triduo commemorando l'Ultima Cena. Si inizia,
in pratica, a seguire il vangelo della passione - risurrezione secondo la cronologia dei sinottici. In una sorta di
«mimesi» (imitazione passo passo) delle ultime ore di Cristo, lo accompagniamo ora per ora dalla notte della cena e
del tradimento fino alla notte della risurrezione. Solo allora la sequela non sarà più semplicemente commemorativa
delle sue ultime ore (tipo celebrazioni anniversarie), ma finalmente sarà «misterica» attraverso i sacramenti
pasquali (battesimo, cresima, eucaristia), solo allora saremo immersi anche noi pienamente nel mistero pasquale.
Solo con i sacramenti dell'iniziazione, infatti, non si fa semplice ricordo del Cristo morto, sepolto e risorto, ma si
«diventa» il Cristo morto, sepolto e risorto. L'anno liturgico – triduo compreso – non serve a conteggiare il tempo,
ma a «riempirlo» (dargli senso) con gli eventi della salvezza.
Cosa si celebra nell'eucaristia serale del Giovedì santo?
È l'unica volta in tutto il Messale che le rubriche si preoccupano di sintetizzare le tre commemorazioni celebrate
in questa sera:
Nell'omelia si spieghino ai fedeli i principali misteri che si commemorano in questa Messa, e cioè l'istituzione della
santissima Eucaristia e del sacerdozio ministeriale, come pure il comandamento del Signore sull'amore fraterno
(Messale Romano, n.5, p. 136).
È anche l'unica volta in cui i gesti rituali della cena consegnatici da Gesù (prendere pane e vino, rendere grazie,
spezzare il pane, dare pane e vino), sono usati per commemorare se stessi. Di solito nelle altre eucaristie dell'anno
non si fa memoria dell'ultima cena, ma usiamo i gesti della cena per celebrare la Pasqua.
Inoltre, seguendo il vangelo di Giovanni, questa sera ricordiamo anche la consegna del comandamento nuovo.
Un po' più fragile liturgicamente e biblicamente la terza commemorazione indicata: l'istituzione del sacerdozio
ministeriale. Infatti, il «Fate questo in memoria di me» è da sempre pensato rivolto a tutta la Chiesa e non solo agli
apostoli. Infatti, se interroghiamo i testi liturgici e biblici, l'attenzione celebrativa è portata sull'eucaristia innanzi
tutto e poi sul comandamento dell'amore. Così recita la colletta:
O Dio che ci hai riuniti per celebrare la santa Cena
nella quale il tuo unico Figlio,
prima di consegnarsi alla morte,
affidò alla Chiesa il nuovo ed eterno sacrificio,
convito nuziale del suo amore,
fa' che nella partecipazione a così grande mistero
attingiamo pienezza di carità e di vita. Per.
Come si vede dai corsivi si celebra l'istituzione dell'eucaristia affidata alla Chiesa come sorgente di carità e di
vita (comandamento nuovo). Le letture che si proclamano tornano sul concetto di eucaristia come sintesi della
nuova alleanza e rito memoriale perenne (Prima lettura, Esodo 12,1-8.11-14: Prescrizioni per la cena pasquale),
come memoriale della morte e della risurrezione di Gesù (Seconda lettura, Prima Corinti 11,23-26: Ogni volta che
mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunciate la morte del Signore).
Il vangelo, invece, è coraggioso. Da sempre non proclama il racconto della cena, ma della lavanda dei piedi
(Giovanni 13,1-15: Li amò sino alla fine). Se è importante questo vangelo perché ci affida il comandamento nuovo,
non dobbiamo dimenticare il vero motivo della sua collocazione in questa sera, proprio all'apertura del Triduo.
Infatti, perché Gesù fa il gesto profetico di lavare i piedi ai suoi discepoli? Perché «sapendo che era giunta la sua
ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Gv
13,1).
Come si celebrano i misteri di questa sera?
Una celebrazione «modello»
Quali sono le modalità rituali attraverso le quali commemoriamo l'istituzione dell'eucaristia? Semplicemente
celebrando «bene» l'eucaristia stessa, ritmando i quattro gesti compiuti da Gesù nell'ultima cena e affidati alla
Chiesa: prendere il pane e il vino, rendere grazie, spezzare il pane, dare il pane e il vino.
Per questo oggi si vietano le messe private e nei piccoli gruppi e si celebra un'unica eucaristia alla quale devono
essere presenti tutti i ministri della comunità; per questo il tabernacolo va lasciato vuoto (per indicare lo stretto
legame tra celebrazione e comunione eucaristica); per questo si danno indicazioni sulla processione offertoriale, si
ordina che le ostie per la comunione dei fedeli siano consacrate nella stessa celebrazione e sufficienti per oggi e per
il giorno seguente; inoltre, si consiglia che anche agli infermi si porti la comunione dai diaconi e dai ministri
straordinari, prendendo il pane direttamente dalla mensa (Congregazione per il Culto Divino, Preparazione e
celebrazione delle feste pasquali, [= PCFP] Roma 1988, nn. 44-53).
Sarebbe certamente opportuno distribuire la comunione sotto le due specie, in obbedienza all'invito del Signore:
«Prendete ... mangiate ... bevete».
Il segno del «mandatum»
Il rito che ricorda il comandamento nuovo è affidato alla imitazione del gesto di Gesù nell'ultima cena. Non va
pare un po' bruttina l'espressione: lavanda dei piedi? Il latino era più nobile, parlava di mandatum, cioè «consegna».
Chissà perché nel Missale Romanum hanno preferito lotio pedum.
È un rito intenso, se si fa bene. Ma non l'abbiamo reso una cosa da bambini? Così recitano i documenti ufficiali:
«La lavanda dei piedi, che per tradizione viene fatta in questo giorno ad alcuni uomini scelti, sta a significare il
servizio e la carità di Cristo, che venne non per essere servito, ma per servire» (PCFP n. 52). Perché non scegliere,
allora, tra le diverse persone giovani e adulte che svolgono un ministero o un servizio nella comunità? Oppure
poveri o anziani? Il Missale Romanum parla di viri selecti, l'italiano traduce con uomini e ragazzi. Di per sé non si
lascia spazio alle donne. Inoltre la rubrica afferma che la lavanda si fa « dove motivi pastorali lo consigliano»
(Messale Romano, n. 6 p. 136).
Ricordo che fino al 1955 il rito della lavanda era riservato alle chiese cattedrali e abbaziali, cioè dove risiedeva
una comunità canonicale o monastica e si faceva alla fine della Messa e del vespro anticipato, o meglio la rubrica
prescriveva: «Dopo la spogliazione degli altari, a un'ora adatta fatto segno con la tabula, i chierici si riuniscono ad
faciendum Mandatum». Lo ricordo perché questo rito non si enfatizzi troppo. In alcune comunità, che preferiscono
ometterlo, si è dato risalto al gesto della condivisione e dell'offerta in apertura della processione offertoriale. Dopo
l’omelia e la preghiera universale tutti si siedono, mentre si prepara l'altare si raccolgono le offerte dei fedeli
destinate all'impegno caritativo scelto all'inizio della quaresima e una volta raccolte si portano all'altare con il pane
e il vino.
La reposizione dell'eucaristia
Sul significato e sulle modalità celebrative concrete lascio la parola ai testi ufficiali che sono chiari nelle
disposizioni circa la processione di reposizione e soprattutto circa il luogo della reposizione dell'eucaristia:
Si riservi una cappella per la custodia del santissimo sacramento e la si orni in modo conveniente, perché possa
facilitare l’orazione e la meditazione: si raccomanda il rispetto di quella sobrietà che conviene alla liturgia di questi
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giorni, evitando o rimuovendo ogni abuso contrario. Se il tabernacolo è collocato in una cappella separata dalla navata
centrale, conviene che in essa venga allestito il luogo per la reposizione e l’adorazione (nda: qui si vuol dire che se già
esiste una cappella della custodia eucaristica è quella che si deve usare anche questa sera).
Terminata l’orazione dopo la comunione, si forma la processione che, attraverso la chiesa, accompagna il santissimo
sacramento al luogo della reposizione. Apre la processione il crocifero; si portano le candele accese e l’incenso.
Intanto si canta l’inno «Pange lingua» o un altro canto eucaristico. La processione e la reposizione del santissimo
sacramento non si possono fare in quelle chiese in cui il venerdì santo non si celebra la passione del Signore. Il
Sacramento venga custodito in un tabernacolo chiuso. Non si può mai fare l’esposizione con l’ostensorio.
Il tabernacolo o custodia non deve avere la forma di un sepolcro. Si eviti il termine stesso di «sepolcro»: infatti la
cappella della reposizione viene allestita non per rappresentare «la sepoltura del Signore», ma per custodire il pane
eucaristico per la comunione, che verrà distribuita il venerdì nella passione del Signore.
Si invitino i fedeli a trattenersi in chiesa, dopo la messa nella cena del Signore, per un congruo spazio di tempo nella
notte, per la dovuta adorazione al santissimo sacramento solennemente lì custodito in questo giorno. Durante
l’adorazione eucaristica protratta può essere letta qualche parte del Vangelo secondo Giovanni (cc. 13-17).
Dopo la mezzanotte si faccia l’adorazione senza solennità, dal momento che ha già avuto inizio il giorno della
passione del Signore (PCFP nn. 49. 54-56).
Preparazione all'austerità dei giorni della morte e della sepoltura:
il silenzio delle campane e la spogliazione dell'altare
La celebrazione della sera del Giovedì santo è arricchita da altri due riti. Il primo collocato all'intonazione del
Gloria consiste nel far suonare a distesa le campane e, in alcune chiese, anche i campanelli per poi farli tacere fino
alla Veglia pasquale. Difficile dire da dove nasce il rito: ricordo di tempi in cui non si usavano le campane ma le
tabulae di legno? Di tempi in cui non si usavano strumenti musicali per il canto (come fa tuttora l'Oriente), visto
che durante il Triduo anche l'organo e gli strumenti devono tacere o accompagnare solo sobriamente il canto? In
ogni caso oggi questo rito indica l'ingresso nei giorni della passione.
Ugualmente la spogliazione degli altari. Da necessità pratica di togliere gli arredi dalla mensa, come facciamo
nelle nostre case finito il pranzo, divenne nei secoli allegoria della spogliazione di Cristo. Oggi è ridotto a un gesto
extraliturgico senza ritualità precise:
Terminata la messa viene spogliato l’altare della celebrazione. È bene coprire le croci della chiesa con un velo di
colore rosso o violaceo, a meno che non siano state già coperte il sabato prima della domenica V di quaresima. Non
possono accendersi le luci davanti alle immagini dei santi (PCFP n. 57).
Alcuni problemi pastorali: il giro dei «sepolcri» e le prime comunioni
In molte regioni d'Italia è uso popolare fa il giro dei «sepolcri» o delle «sette chiese» dopo la Messa nella cena
del Signore. Altre comunità hanno tradizionalmente l'uso o l'hanno introdotto di fare una adorazione eucaristica
serale. Chiaro che occorrerà dire ai fedeli che non si va a dei sepolcri. Già le norme ci consigliano di meditare Gv
13-17, allora perché non organizzare il giro degli altari o l'adorazione come «imitazione» della preghiera notturna
di Gesù e ricordo del tradimento di Giuda e dell'abbandono degli apostoli? I riti orientale e ambrosiano hanno
conservato questo elemento «mimetico» mentre si accompagna il Cristo nelle ultime ore. Inoltre potrebbe essere
l'occasione di motivare il digiuno pasquale del venerdì e del sabato santo aiutando i più sensibili ad entrare nei
giorni in cui lo Sposo è tolto.
Un altro problema è dato dall'inserimento nella Messa in cena Domini delle prime comunioni. Si possono capire
le motivazioni: è la sera in cui Gesù ci dona l'eucaristia, così non c'è distrazione folcloristica... Ma attenzione: se
c'è una celebrazione adatta per la prima eucaristia questa è l'eucaristia della Veglia pasquale! Attenzione a non
snaturare l'eucaristia e insieme il Triduo pasquale. Celebrando l'eucaristia noi non facciamo memoria della cena,
ma con i gesti della cena celebriamo il mistero pasquale. Perciò i giorni in cui ammettere ai sacramenti pasquali per
la prima volta sono: la notte di Pasqua e l'assemblea domenicale normale.
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Primo giorno del Triduo: Venerdì Santo
Preparare e celebrare la celebrazione della passione del Signore
Che cosa si celebra?
La storia dei riti del Venerdì santo è articolata e complessa in tutte le tradizioni liturgiche sia orientali sia
occidentali. Al di là delle differenze tra famiglie liturgiche e al di là della stessa storia che ha conosciuto la
celebrazione della passione nella liturgia romano – franca, penso si possa affermare che celebrare il Venerdì santo è
mettere in atto una articolata struttura rituale sulla falsariga storico – cronologica così come è fornita dal testo
evangelico della Passione. La preoccupazione, però, non sarà solo quella di ripetere materialmente gli avvenimenti,
ma quella di «entrarvi dentro» attraverso la fede, di venire alla presenza degli eventi narrati.
Al Giovedì santo, aprendo il Triduo, commemoriamo la Pasqua rituale, al Venerdì la Pasqua – passione e alla
Veglia pasquale, dopo la pausa silenziosa della discesa agli inferi, celebriamo la Pasqua – risurrezione. Così
sintetizza il mistero oggi celebrato la Memoria dell’Ufficio della Passione della Liturgia Bizantina:
Oggi si celebra la memoria della santa, salvifica e tremenda passione del Signore e Dio e Salvatore nostro Gesù
Cristo: gli sputi, gli schiaffi, le percosse, gli insulti, i motteggi, la tunica di porpora, la canna, la spugna, l’aceto, i
chiodi, la lancia e, prima di tutto, la croce e la morte, volontariamente accettate per noi; e inoltre anche la confessione
salvifica sulla croce del ladro riconoscente crocifisso con lui. // Tu sei il Dio vivente, anche se morto sul legno, o
morto e nudo e Verbo del Dio vivente! // Aprì le porte chiuse al ladro con la chiave del “Ricordati di me”! // Per la tua
straordinaria e infinita misericordia verso di noi, o Cristo, abbi pietà.
Un altro testo ci aiuta a leggere sinteticamente il senso della celebrazione odierna, è l’antifona che apre
l’adorazione della croce, di origine orientale entrata nell’uso romano nel IX secolo circa:
Adoriamo la tua croce, Signore, lodiamo e glorifichiamo la tua santa risurrezione.
Dal legno della croce è venuta la gioia in tutto il mondo.
Oggi è il primo giorno del triduo e celebriamo la pasqua come passione, come passaggio del Figlio di Dio
da questo mondo al Padre, come patire del Figlio di Dio solidale con i peccatori per distruggere il peccato del
mondo. E nella sua ora, finalmente giunta, volontariamente accolta, scorgiamo già la gloria della risurrezione,
poiché è una morte che vince le nostre morti.
Oriente e occidente nel tradurre ritualmente la celebrazione di questo mistero e strutturando il triduo,
soprattutto oggi, seguono drammaticamente i racconti della passione e percorrono ora dopo ora, anche
cronologicamente, gli eventi del Cristo tradito, giudicato, flagellato, caricato della croce, crocifisso e morto. Questa
tensione permea ancora le diverse ore dell’Ufficio divino di oggi. Con gruppi preparati o i presbiteri della stessa
comunità o di più comunità potrebbero darsi il tempo di celebrare anche le ore minori di terza, sesta e nona che
soprattutto oggi ripercorrono la passione? Perché non farlo nelle città episcopali in una chiesa riservata in questo
triduo alla liturgia delle ore? Perché non invitarvi in questi giorni anche i religiosi e le religiose, chi può o a turno?
Le diverse parti
La struttura rituale attuale, come prevista nella riforma della settimana santa del 1955, si articola in tre parti: la
liturgia della Parola, l’adorazione della croce, la comunione eucaristica. Non mancano una apertura e una
conclusione.
L’apertura è affidata alla prostrazione dei ministri e alla preghiera silenziosa di tutta l’assemblea, che viene
chiusa da una orazione, da scegliersi tra le due proposte. La prima sottolinea il tema della passione che «inaugura»
la Pasqua, la seconda contempla la vicenda di Cristo e ne vede le conseguenze per la salvezza dell’uomo.
La chiusura del rito prevede, quasi specularmene all’apertura, un’orazione di benedizione sull’assemblea e lo
scioglimento silenzioso della stessa. L’orazione sul popolo apre alla speranza della risurrezione.
La liturgia della Parola
La celebrazione della Passione consiste essenzialmente in questa prima parte. Oggi la Parola domina qualsiasi
altro segno. È la Parola che narra l’evento della passione, ad esempio, a fissare l’ora più consona della liturgia di
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oggi: l’ora nona. È la Parola che oggi assume in pieno la sua forza sacramentale e narrando del Servo del Signore
(prima lettura) e del sacerdote – vittima (seconda lettura) ci porta a scoprire in colui che «è innalzato da terra» il
sovrano/despota che sconfigge la morte (passione secondo Giovanni). La Parola dona alla celebrazione odierna un
particolare carattere «rivelativo», poiché ad ogni generazione di discepoli occorre sempre «mostrare» più che
«spiegare» come la morte del Messia riveli e non nasconda l’opera di Dio.
Apre la liturgia della parola il quarto canto del Servo del Signore (Is 52,13-53,12). Difficile distinguere se è un
popolo o se è un singolo, ma alla luce del NT il servo sofferente è certamente un individuo. Apre il brano la
presentazione che Dio stesso fa del suo servo. E già fin dalla presentazione si annuncia il suo successo (Is 52,1315). Fanno poi eco i popoli (Is 53,1-7), che l’hanno accettato, perché sfigurato dalla sofferenza. Il canto termina
con un nuovo oracolo divino (Is 53,8-12), che glorifica il servo e gli promette un futuro fecondo.
Il salmo responsoriale, il salmo 30, è il grido di fiducia di un uomo provato duramente e disprezzato dai
suoi. Riprende il motivo del disprezzo da parte dei «suoi» e della incrollabile fiducia in Dio nella persecuzione,
insieme al gridare a Dio di salvare chi si affida a lui.
La lettera agli ebrei è già stata letta per tre settimane nell’ufficio delle letture in quaresima. Il brano di oggi
(Eb 4,14-16; 5,7-9) sottolinea la relazione tra Cristo, sommo sacerdote in forza della offerta della sua vita, e i
fedeli. È colui che capisce le nostre infermità, le ha sperimentate, è il nostro sommo sacerdote intercessore, è il
modello per la nostra sofferenza. Santificando il suo sacerdozio con l’obbedienza al disegno del Padre, egli è in
grado ora di salvare coloro che gli sono obbedienti. Questa lettura ci avvia a leggere la passione di Cristo come
compartecipazione alla sorte dell’uomo e come servizio di mediazione sacerdotale a favore dell’umanità.
Difficile sintetizzare i molteplici temi della passione secondo Giovanni. In essa trovano compimento
diversi temi dello stesso vangelo: la venuta dell’ora (Gv 2,4; 13,1; 17,1); il tema della «glorificazione innalzamento» (Gv 3,14; 8,28; 12,32); il tema della intronizzazione regale che forse è l’emergente in tutta la
passione, agendo Gesù da vero protagonista e arbitro della sua volontà di andare fino in fondo al progetto del Padre
(Gv 18, 4-9. 37; 19,30). Altri spunti possono essere offerti dalle particolarità narrative, dove Giovanni annota
episodi propri: la scritta sulla croce che lo proclama re (19,19-22), la tunica senza cuciture che non deve essere
divisa (19,23-24), la consegna della madre a Giovanni (19,25-27), la sete dopo che «tutto è compiuto per adempiere
la scrittura» (19,28-30), il colpo di lancia che permette di volgersi al trafitto (19,37). Dal solenne Io sono del
giardino dell’arresto (non dell’agonia!), al Tutto è compiuto sulla croce, la passione di Giovanni è la narrazione
solenne, ricca di rimandi pedagogici all’Antico testamento che proclama la rivelazione divina di Cristo e il
superamento della croce - scandalo.
Le indicazioni liturgiche raccomandano una breve omelia. Basterebbe, se proprio si vuole farla, scegliere
un versetto - tra i principali - e commentarlo attualizzando. Oppure basterebbe un’idea: - la croce albero di vita; l’unità del mistero pasquale (morte - sepoltura - risurrezione) orientando a vivere il triduo o addirittura tutto lo
sviluppo pasquale del mistero (passione, risurrezione, ascensione, dono dello spirito); - l’esperienza del dolore
dell’uomo e la risposta di una croce - trono.
Reso partecipe della passione del suo Signore, il corpo ecclesiale si pone davanti al Padre come popolo
sacerdotale che intercede per il mondo. L’articolata e complessa preghiera dell’assemblea trova davvero nelle dieci
intenzioni proposte un respiro di universalità. La preghiera universale che segue il racconto traduce in preghiera il
desiderio della Chiesa di associarsi all’obbedienza gloriosa del Figlio di Dio, che regna dalla croce e attrae a sé
ogni creatura. La preghiera spazia su un mondo crocifisso e di crocifissi per il quale Cristo viene proclamato
«potenza di Dio e sapienza di Dio» (1Cor 1,24). Preghiera che è come il grande sacrificio vespertino offerto
sull’altare del mondo.
L’adorazione della croce
Oggi viene portata la croce perché «sia vista». «Essi guarderanno colui che hanno trafitto» così chiude Giovanni
il racconto della passione e così oggi fa la Chiesa. Sia la prima che la seconda forma, sia che si porti la croce velata
e la si sveli, sia che la si mostri processionalmente tre volte, il rito sta a indicare che non si vogliono suscitare solo
dei bei ricordi, perché Gesù è morto, ma proclamare simbolicamente che ora «tutto è compiuto», che tutto è
svelato. Se osserviamo i canti che accompagnano l’ad-oratio, cioè il bacio, della croce, vediamo che rispondono al
gesto rivelativi, sono antifone e inni di lode, oppure negli Improperia sono un invito ad andare oltre la croce e la
sofferenza inflitta al Servo del Signore per vederne l’efficacia salvifica.
La comunione eucaristica
La terza parte prevede la comunione eucaristica. È caratteristica della tradizione romana e variamente realizzata
lungo i secoli, fino a diventare comunione del solo presidente. Sconosciuta alle altre liturgie latine, questa parte può
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essere interpretata come una normale partecipazione all’eucaristia dei giorni quaresimali, oppure considerata come
elemento disturbante della commemorazione di oggi e toglie spessore alla celebrazione eucaristica conclusiva della
grande veglia del terzo giorno della pasqua.
I segni e i riti
Il silenzio e la prostrazione
Inizio semplice ma di una solennità senza pari, se veramente si invita al silenzio, a inginocchiarsi, se i
ministri entrano senza fretta e non dalla porta «di servizio». Anche la prostrazione è un segno gravido (attenzione,
davanti all’altare, davanti alla roccia che è Cristo). Anche questo grande silenzio può raccogliere e riunire la
presenza orante dei fedeli e «imposta» tutta la celebrazione sulla tonalità dell’ascolto.
Il silenzio è anche il grande sfondo di tutta l’Azione liturgica: niente campane, niente strumenti (è proprio
impossibile oggi cantare senza di essi, anche se sono consentiti per sostenere il canto?)... Ma non è il silenzio di un
tragico funerale. È il silenzio della tragicità della morte, delle domande, delle attese e delle speranze dell’uomo. È
un silenzio che attende la risurrezione.
La proclamazione della passione
In questi decenni si è scritto di tutto. Ad alcuni la “sceneggiata” dei tre lettori non piace, ad altri è stragradita,
fino a far starnazzare cori al posto della folla e a dividere accuratamente i diversi personaggi tra voci maschili e
femminili. Altri hanno persino drammatizzato il racconto con bambini e giovani... E se rimanessimo ai tre lettori?
Casca proprio il mondo a mantenere una tradizione medievale?
Oppure potremmo dividere la lettura in parti con più lettori, introducendo brevemente le scansioni e
intervallandole con canti adatti. Se si volesse dividere la passione di Giovanni in brani potremmo seguire questa
scansione, incastonadovi le strofe del bel corale Tu nella notte triste (cfr. E. COSTA – G. REMONDI, Alcuni
suggerimenti di regia celebrativa, in A. CATELLA - G. REMONDI (edd.), Celebrare l’unità del Triduo pasquale. 2.
Venerdì santo: la luce del Trafitto e il perdono del Messia, LDC, Leumann (TO) 1995, pp. 211-226):
a) Gv 18, 1-14
Tu nella notte triste
dell'uomo che tradisce,
Signore, morirai?
Nel pane della cena
memoria dell'Agnello,
tu vivo resterai con noi.
b) Gv 18, 14-40
Tu nel silenzio vile
dell'uomo che rinnega,
Signore, griderai?
Al mondo che condanna
tu, sazio di dolore,
tacendo t'offrirai per noi.
c) Gv 19,1-18
Tu dall'ingiusta croce
dell'uomo che uccide,
Signore, scenderai?
Nell'ora che redime,
mistero dell'amore,
tu santo morirai per noi.
d) Gv 19,19-42
Tu dalla tomba muta
dell'uomo che dispera,
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Signore, tornerai?
Immerso nella morte,
prepari la vittoria
del giorno nuovo che verrà.
La preghiera universale
È lunga, ma proprio oggi dobbiamo avere fretta? I celebranti che possono cantino le orazioni. Si lasci
davvero il silenzio tra l’invito alla preghiera e l’orazione, oppure si riempia con un breve facile Kyrie, eleison. I
repertori ne sono pieni. Chi ha fretta può sempre scegliere tra le intenzioni alcune. Ad es. potrebbe riassumere le
prime tre, premettendo ,’invito: Preghiamo il Signore per la santa Chiesa: per il papa N., per il vescovo N., per tutti
i vescovi, i presbiteri e i diaconi, per tutti coloro che svolgono un ministero nella Chiesa e per tutto il popolo di
Dio. L’orazione potrebbe essere la prima o la terza.
Ma si potrebbero invece tenere tutte e dieci le preghiere abbreviando l’invito alla preghiera, utilizzando
come monizione il titolo stesso delle intenzioni: Preghiamo per la santa Chiesa... preghiamo per il papa.. ecc.
Suggerimenti per abbreviare il formulario, rispettandone la struttura si possono trovare in appendice (p. XXX).
Chi ha voglia di un linguaggio un po’ diverso o di rielaborazioni più vicine a noi può trovare proposte per
questo formulario in: COMUNITÀ DI BOSE, Preghiera dei giorni, Gribaudi, Torino 1993, pp. 242-248; A. CATELLA G. REMONDI (edd.), Celebrare l’unità del Triduo pasquale. 2. Venerdì santo: la luce del Trafitto e il perdono del
Messia, LDC, Leumann (TO) 1995, pp. 227-229.
L’adorazione della croce
Il rito consente due modalità: l’ingresso della croce (nuovo), lo scoprimento della croce (antico). Ha senso
svelarla se o si sono velate croci e immagini, o effettivamente non ci sono croci visibili. Certo lo «svelare» la croce
è gesto carico di simbolismo e di rivelazione. Attenzione a farlo bene, altrimenti è ridicolo svelare crocifissi coperti
malamente e in maniera goffa. Sottolineo che si mostra la croce, non il crocifisso. I riti non orientano verso una
interpretazione dolorosa e sanguinolenta del crocifisso, ma all’esaltazione della croce.
I canti di oggi hanno una notevole importanza. Soprattutto in questo momento spiegano come noi interpretiamo
la croce. Occorrerà sceglierli con cura. L’antifona Adoriamo la tua croce è troppo significativa per non cercare di
cantarla. Per quanto riguarda gli improperi e la loro possibile connotazione antisemita, non entro nel merito. Io li ho
sempre sentiti r e cantati come rivolti alla Chiesa di oggi, nuovo Israele e non come improperi contro gli uccisori
del Figlio di Dio. Un tentativo bello di riformulazione l’ha fatto la Comunità di Bose (vedi: Preghiera dei giorni,
op. cit., p. 249).
Memoria della beata vergine Maria sotto la croce
Rito pensato per l’anno mariano, introduce una nota «popolare» e anche mariologica al venerdì santo, da questo
punto di vista carente e che nella liturgia latina ha lasciato tutto in balia di pii esercizi. Si può fare terminata
l’adorazione della croce. Se non è necessario, è meglio non collocare in presbiterio una immagine della Vergine,
ma andare al suo altare oppure esporre in qualche luogo visibile della chiesa un quadro o immagine dell’addolorata.
Oggi l’immagine della Madonna non deve «coprire» la croce.
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Secondo giorno del Triduo: Sabato Santo
Nella prassi pastorale questo secondo giorno del triduo è dimenticato. Il Giovedì santo apre il triduo
commemorando l’eucaristia, la pasqua rituale affidata alla Chiesa. Il venerdì santo celebra la pasqua passione e la
veglia pasquale la pasqua-risurrezione. Al Sabato santo spetta celebrare il momento più silenzioso e di
abbassamento nella morte. Celebra la pasqua-passaggio nella sua fase discendente più bassa. Se l’incarnazione
porta Cristo sulla terra, la sepoltura lo pone nel ventre della terra. Nella nostra tradizione liturgica non esistono
assemblee particolari. Rimane però l’opportunità ci celebrare parte della liturgia delle ore, che soprattutto
nell’Ufficio delle Letture sviluppa con inni, antifone, salmi e letture il mistero di questo giorno.
Se non si riesce a celebrare le lodi negli altri giorni, penso che anche nelle piccole comunità nella mattina di
oggi si dovrebbe proporre un momento orante, che annunci il mistero della sepoltura del Signore.
Approfittando del fatto che in genere oggi si confessa tutto il giorno, si potrebbe mettere in evidenza, dove c’è,
la statua del Cristo morto o un bel quadro della pietà (deposizione della croce) e invitare i fedeli non ad accendere
la candela, ma ad offrire dei fiori recisi, posti in un cesto (perché non quelli del Giovedì santo?), a baciare il Cristo
e a recitare una preghiera. L’orazione di oggi è adattissima. Se proprio non partecipano a nessuna pare della liturgia
delle ore, almeno la devozione personale li porterebbe a riflettere su questo aspetto della pasqua.
La fretta di preparare per la veglia trasforma oggi la chiesa in un via vai affannato. Non è possibile lasciare
veramente tutto spoglio fino al tramonto? O preparare a chiesa chiusa? Chi entra e trova una chiesa silenziosa e
vuoto, la sola croce illuminata dai ceri che domina, riceve già un messaggio che dice attesa, vuoto che chiede di
essere riempito.
Terzo giorno del Triduo: Domenica della Risurrezione
Preparare e celebrare la Veglia pasquale
Non è questa la sede per richiamare la teologia liturgica, la storia e l’importanza pastorale della celebrazione
principale di tutto l’anno liturgico. I suggerimenti rituali, che ne normano la preparazione, dicono essi stessi la sua
rilevanza.
«Nell’annunciare la Veglia pasquale si abbia cura di non presentarla come ultimo momento del sabato santo. Si
dica piuttosto che la veglia pasquale viene celebrata nella notte di Pasqua, come un unico atto di culto. Si avvertano
i pastori di insegnare con cura nella catechesi ai fedeli l’importanza di prendere parte a tutta la veglia pasquale»
(Congregazione per il Culto Divino, Preparazione e celebrazione delle feste pasquali del 1988 = PCFP n. 95).
Si veglia nella notte. Questa norma è di stretta interpretazione (PCFP n. 78). Non dovremmo a Pasqua
preoccuparci dell’orologio. Una veglia pasquale fatta con calma e senza una lunga omelia, ma con i battesimi,
richiede dalle due alle tre ore. Sempre la mia esperienza mi dice che è possibile celebrare così a lungo: basta
celebrare bene e far entrare i fedeli nel ritmo in crescendo della Veglia stessa.
Alla Veglia devono essere presenti tutti i ministri della comunità. Anzi, dove piccole comunità non potessero
garantire una solenne celebrazione, sono invitate a celebrarla insieme (PCFP nn. 43 e 93-94).
Le diverse parti
a) Prima parte: liturgia della luce
Il sussidio sceglie la forma più solenne prevista dal Messale: benedizione del fuoco e processione con il cero. Se
si sceglie la forma solenne, non si tralasci l’opportunità di far seguire al triplice Lumen Christi della processione
con il cero, un ritornello o un canto sul tema del Cristo - luce.
Il lucernario, però, non va enfatizzato. L’importante è il segno del cero e l’annuncio pasquale. Può essere utile
scegliere, in base alla preparazione dell’assemblea, alla disposizione architettonica della chiesa, la seconda forma,
cioè la benedizione del fuoco in un braciere alla porta della chiesa.Il rito romano più antico sembra non conoscere
l’uso del fuoco pasquale.
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Ancora oggi la liturgia ambrosiana ha una ritualità sobria per quanto riguarda il lucernario. Perciò mi sono
permesso di segnalare nell’Appendice una forma di lucernario più semplice, con l’ingresso nella chiesa buia e il
cero già acceso. Forse piccole comunità, o grandi assemblee, che vogliano dare più rilievo alla liturgia della parola
risparmiando tempo e fatica o l’inflazione dei segni, potranno trovarlo più adeguato alla loro situazione celebrativa.
Non mi sento di fare o proporre una scelta tra le tre opportunità: benedizione del fuoco all’aperto, benedizione del
fuoco alla porta della chiesa, ingresso dal fondo con il cero già acceso. Le ho provate tutte e tutte, se preparate e
realizzate con cura, raggiungono lo scopo di iniziare la Veglia con un gioioso passaggio dalle tenebre alla luce.
Chiude il lucernario l’Annuncio pasquale (Exsultet). Per sua natura esige il canto. Se non c’è il diacono, lo
canta il sacerdote. Se non lo sa o può cantare può essere affidato anche a un cantore. L’edizione italiana del
Messale ha già apportato alcuni adattamenti, proponendo una forma breve e inserendo un ritornello. È opportuno
seguire il suggerimento.
b) Seconda parte: liturgia della Parola
Prima proposta: Proclamare tutte le letture e cantare i loro salmi responsoriali. «Le letture della sacra Scrittura
formano la seconda parte della Veglia. Esse descrivono gli avvenimenti culminanti della storia della salvezza che i
fedeli devono poter serenamente meditare nel loro animo attraverso il canto del salmo responsoriale, il silenzio e
l’orazione del celebrante... Pertanto tutte le letture siano lette, dovunque sia possibile, in modo da rispettare
completamente la natura della Veglia pasquale, che esige il tempo dovuto» (PCFP n. 85). Bastano buoni lettori
(anche solo tre o quattro per chi ha problemi di ministri) e due salmisti preparati che si alternano. È necessario che
un breve commento prima di ogni lettura faccia percepire all’assemblea la progressione storico - salvifica che ha
portato alla scelta di quei brani dell’Antico testamento.
Seconda proposta: proclamare tutte le letture e omettere alcuni salmi responsoriali sostituendoli con il silenzio.
Si potrebbero cantare solo i salmi delle letture dispari e sostituire il salmo delle pari con un momento di silenzio. Il
commentatore può stimolare la riflessione con alcune domande. Nel sussidio sono segnalati questi interventi.
Terza proposta: proclamare quattro letture secondo l’uso romano antico. Qui si potrebbero cantare tutti i loro
salmi, oppure ometterli tutti, tranne il Cantico di Mosé, perché la terza lettura che narra la prima Pasqua si deve
sempre fare. In questo caso più ministri potrebbero fare una breve omelia-catechesi sulle letture per guidare i
presenti a una migliore comprensione della storia della salvezza.
È una soluzione pastorale e rituale opportuna per comunità poco preparate. L’osservanza rubricale stretta di fare
tutte le letture in fretta e senza canti, certamente non risponde allo scopo di far vegliare nell’ascolto della parola.
Si potrebbero utilizzare le prime tre letture con l’aggiunta a scelta di una lettura profetica, oppure leggere la
prima, la terza, poi a scelta Isaia o Baruc, e Ezechiele, soprattutto se ci sono battesimi.
Quarta soluzione: tre letture soltanto. È una soluzione permessa, ma è minimale. In questo caso vale la pena
scegliere la prima, la terza, la settima lettura e cantare i loro salmi responsoriali.
Le orazioni. Dopo il salmo o dopo il silenzio è opportuno che il diacono o il celebrante stesso si rivolgano ai
fedeli con una breve monizione che spieghi il senso della colletta che interpreta in chiave cristiana le letture
veterotestamentarie e li inviti a un momento di preghiera silenziosa (PCFP n. 86).
Il Gloria. È consuetudine simpatica e, ritengo, da mantenere, di riprendere a questo punto il suono di organo,
strumenti e campane. Dopo le lunghe letture è un intermezzo allegro. Non capisco molto la rubrica di accendere qui
le candele dell’altare. Mi astengo da interpretazioni allegoriche. Se è agevole e non disturba può aggiungere una
nota gioiosa, se occorre arrampicarsi su altari barocchi è meglio tralasciare questo rito prescritto dalle rubriche, ma
non spiegato nemmeno da PCFP n. 87.
Le letture dal Nuovo Testamento. «Si legge l’esortazione dell’apostolo sul battesimo come inserimento nel
mistero pasquale di Cristo» (PCFP n. 87). Segue la ripresa del canto dell’Alleluia. Il Messale non lo dice, ma lo
prescrivono PCFP n. 87 e il Caeremoniale Episcoporum: si può conservare l’uso medievale della triplice
intonazione fatta dal celebrante alzando di volta in volta il tono. Il cantore canta il salmo alleluiatico. E si arriva
così al vero annuncio pasquale: il brano evangelico, culmine di tutta la liturgia della Parola. In questa notte è
opportuno usare l’evangeliario (da deporre sull’altare prima della Veglia) e ripetere l’Alleluia anche dopo la
pericope o un altro ritornello di lode. «Non si ometta di fare l’omelia, per quanto breve, dopo il Vangelo» (PCFP n.
87).
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c) Terza parte: liturgia battesimale
È la parte della veglia che deve rispondere a diverse realtà pastorali. Può assumere cinque modalità diverse: con
il battesimo degli adulti, con il battesimo di bambini in età di catechismo, con il battesimo dei bambini, con la solo
benedizione del fonte, con la benedizione dell’acqua lustrale. Il sussidio che ho curato (ed. Queriniana) presenta i
seguenti schemi rituali:
Schema A: benedizione del fonte e battesimo di adulti e bambini in età di catechismo;
Schema B: benedizione del fonte e battesimo dei bambini;
Schema C: benedizione del fonte senza battesimi per le chiese parrocchiali;
Schema D: benedizione dell’acqua lustrale per le chiese non parrocchiali.
Quando si devono battezzare insieme adulti e bambini nati da poco, si segue il rito degli adulti, avendo
l’avvertenza nelle monizioni di rivolgersi anche ai genitori e ai padrini dei bambini.
Quarta parte: liturgia eucaristica
«La celebrazione dell’Eucaristia forma la quarta parte della Veglia e il suo culmine, essendo in modo pieno il
sacramento della Pasqua, cioè memoriale del sacrificio della croce e presenza del Cristo risorto, completamento
dell’iniziazione cristiana, pregustazione della Pasqua eterna» (PCFP n. 90). « Conviene che tutti i riti e tutte le
parole raggiungano la massima forza di espressione» (PCFP n. 91). Se le prime tre parti della veglia sono un
unicum nel corso dell’anno, la liturgia eucaristica di questa notte, invece, rischia di essere svuotata dall’abitudine.
Occorrerà introdurla adeguatamente. Peccato che il Messale non preveda una monizione del presidente, come per le
altre parti.
La processione fatta dai neofiti adulti, se ce ne sono, o dai fedeli va curata. Non dimentichiamo l’espressività di
un solo pane e di un solo calice. Il canto deve esprimere il meglio della festa dell’assemblea.
La preghiera eucaristica va cantata nelle sue varie parti (prefazio per primo). Nel sussidio è proposta la
preghiera eucaristica III con gli embolismi propri della notte, ma - contravvenendo alle rubriche - non vedo inadatta
la preghiera eucaristica IV, come sintesi di tutta l’opera della salvezza.
È opportuno che la comunione sia distribuita per intinzione sotto le due specie (PCFP n. 92). Fare la comunione
durante la Veglia è veramente «fare Pasqua». Dividere il pane in più patene e il vino in più calici alla la frazione
del pane è certamente significativo. Occorrerà, in mancanza di più sacerdoti e diaconi, preparare alcuni laici che
aiutino i ministri ordinati nella distribuzione della comunione sotto le due specie. La forma per intinzione ritengo
sia la più consona alle grandi assemblee e alla sensibilità attuale.
Chi desiderasse, può usare la proposta della CEI per l’anno mariano e inserire un saluto alla Vergine prima della
benedizione finale.
I segni
Il fuoco, il cero pasquale e le candele per i fedeli. Ricordo la norma che prescrive che il cero sia veramente di
cera e cambiato ogni anno (PCFP n. 81). Ugualmente preoccupazioni di pulizia della chiesa non possono impedire
di distribuire le candele a tutti i fedeli. Ne va della natura stessa del lucernario. É meglio collocare il cero vicino
all’ambone, piuttosto che vicino all’altare. Lo si accenderà in tutte le domeniche di Pasqua, fino a Pentecoste.
Se si accende il fuoco pasquale, il rito raccomanda che sia un fuoco che divampi veramente. Una bella fiamma
alta in un cortile o sagrato buio esprimono senza grandi parole il significato della luce che rompe la notte e la
riscalda.
Il libro dei vangeli. É opportuno l’uso dell’Evangeliario. Portato in processione dall’altare all’ambone esprime
meglio che l’annuncio evangelico è il vertice della liturgia della Parola. Questa notte è meglio non usarlo nella
processione d’ingresso, perché in essa l’attenzione è rivolta al cero. Lo si prepari prima sulla mensa dell’altare.
Il fonte battesimale. Dove è possibile ci si rechi ad esso per la benedizione dell’acqua. Altrimenti si collochi in
presbiterio un recipiente bello e capace, ornato a festa, per la benedizione dell’acqua battesimale o lustrale. Nelle
chiese parrocchiali dove il battistero non sia in vista dei fedeli, l’acqua benedetta vi potrà essere portata
processionalmente.
Il battesimo per immersione. Lo richiede la pienezza del segno. Chiesto il permesso dell’Ordinario, basta
preparare alcuni ministri e le cose necessarie per asciugare e rivestire i neofiti. Adulti e bambini già grandi si
possono far entrare nel fonte con una tunica scura, che sarà poi cambiata nella veste bianca. Occorrerà far uscire
dalla chiesa i catecumeni eletti per prepararsi rapidamente all’inizio della liturgia battesimale. L’assemblea intanto
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potrebbe anticipare qui la riaccensione delle candele ed eseguire di nuovo un canto sul tema della luce o di carattere
battesimale. Dopo i battesimi va previsto un canto battesimale relativamente lungo, perché i neofiti abbiano il
tempo di asciugarsi e rivestirsi. La sagrestia o un locale in comunicazione con la chiesa va attrezzato allo scopo con
alcuni ministri, uomini e donne, che aiutino i neofiti e sappiano già in precedenza cosa e come fare. Anche il
celebrante e l’eventuale diacono devono, durante le litanie, prepararsi con vesti più agili al battesimo per
immersione.
Se proprio si ha timore di questa ritualità molto «corporea», piuttosto della infusione romana è meglio
l’immersione ambrosiana, che fa immergere tre volte nell’acqua almeno la nuca dei catecumeni.
La rinnovazione delle promesse battesimali e l’aspersione della assemblea. Le rubriche del Messale
prescrivono due volte le promesse battesimali: la prima volta per i catecumeni, la seconda per l’assemblea. La CEI
ha semplificato i riti, prescrivendole una sola volta. È opportuno che l’aspersione sia fatta con solennità, passando
veramente in mezzo all’assemblea. È opportuno che anche visivamente un ministro prenda davanti a tutti con il
secchiello l’acqua dal fonte appena benedetto.
Perché non riprendere a far portare a casa dai fedeli un po’ d’acqua battesimale per la preghiera in famiglia
prima del pranzo pasquale? Basta benedire una congrua quantità d’acqua e mettere alla porta della chiesa delle
piccole bottigliette con un foglietto che porta la benedizione del pranzo pasquale (il testo si trova nel Benedizionale
pp. 691-693 e nel sussidio CEI, La famiglia in preghiera, pp. 130-131).
Il pane e il vino. «È desiderabile che sia raggiunta la pienezza del segno eucaristico con la comunione della
Veglia pasquale ricevuta sotto la specie del pane e del vino. Gli Ordinari dei luoghi sapranno valutare l’opportunità
di questa concessione e le circostanze che l’accompagnano» (PCFP n. 93).
Occorre preparare un calice grande e una patena grande: un solo pane e un solo calice. È più espressivo.
All’Agnello di Dio più ministri si avvicinano all’altare con più calici e patene quanti sono necessari. Ai lati
dell’altare si divide il vino dal calice principale in altri, ugualmente il pane lo si distribuisce in più patene.
Non va dimenticato il gesto di frazione. Occorre preparare un pane grande che possa essere realmente spezzato
in più pezzi da distribuire ai fedeli. Necessariamente anche l’Agnello di Dio deve essere prolungato per il tempo
necessario a dividere il pane e il vino.
Il modo più agile di distribuire la comunione sotto le due specie è per intinzione. Basta che il ministro ordinato
tenga il calice, e che un altro ministro o laico adulto gli si affianchi a sinistra con la patena con il pane. I movimenti
divengono più scorrevoli. Il commentatore deve avvertire che la comunione viene distribuita per intinzione e che
perciò non si riceve l’eucaristia sulla mano, ma sulle labbra.
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