1. La vita 2. Il pensiero 3. La poetica del fanciullino 4

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1. La vita 2. Il pensiero 3. La poetica del fanciullino 4
1. La vita
2. Il pensiero
3. La poetica del fanciullino
4. Classicismo e Decadentismo
5. Motivi, struttura e forme della poesia pascoliana
6. Le opere
6.1 Myricae
Lavandare
Novembre
Àrano
Romagna
X Agosto
Il lampo
Il tuono
L'Assiuolo
Orfano
Allora
Fides
Sapienza
Notte di neve
Scalpitio
Temporale
6.2 I Primi poemetti
I due fanciulli
6.3 I Nuovi poemetti
La vertigine
6.4 I canti di Castelvecchio
Il gelsomino notturno
La cavalla storna
La mia sera
La tessitrice
Nebbia
6.5 I Poemi conviviali
Da L'ultimo viaggio: Il vero
Calypso
Aléxandros
6.6 Odi e Inni
6.7 I Poemi celebrativi
6.8 I Carmina
6.9 Gli studi danteschi
7. L'Ulisse pascoliano
8. Pascoli e D'Annunzio
9. Pascoli e Carducci
1. La vita
Giovanni Pascoli nasce a S.Mauro di Romagna nel 1855, da Ruggero, amministratore di
una tenuta della famiglia Torlonia, e da Caterina Vincenzi Allocatelli. Dai sette ai
quattordici anni il poeta studiò nel collegio Raffaello a Urbino, che fu costretto però a
lasciare per la morte del padre, ucciso da una fucilata sparata da ignoti, mentre in un
calesse tirato da una ‘cavallina storna‘, tornava a casa dalla fiera di Cesena.
Colpito da altri lutti familiari, come la morte della madre e della sorella maggiore, continuò
tra molti stenti gli studi e, vincendo una borsa di studio, s'iscrisse alla facoltà di Lettere
dell'Università di Bologna. Durante gli anni universitari aderì alle idee socialistiche e
anarchiche e partecipò alle dimostrazioni in favore di Passanante, dopo un attentato al re
Umberto I.
Fu arrestato e trascorse tre mesi in
carcere. Assolto e liberato, riprese gli
studi, si laureò e subito dopo cominciò la
carriera d'insegnante di latino e greco,
prima nei Licei di Matera, Massa e Livorno,
poi nell'Università di Messina e di Pisa,
finché nel 1905 ottenne a Bologna la
cattedra di Letteratura italiana che era
stata del Carducci.
Morì a Bologna nel 1912.
Certamente le vicende tristissime della sua
famiglia, a cui egli assistette da fanciullo, e
poi le difficoltà economiche e gli ostacoli
da superare, sempre solo, lasciarono un
solco profondo nel suo animo ed influirono
sul suo carattere e conseguentemente
sulla sua poesia.
Il sentimento di ribellione che caratterizzò
la sua vita fu un senso di ripulsa e di
avversione per una società in cui era
possibile uccidere impunemente e nella
quale si permetteva che una famiglia di
ragazzi vivesse nella sofferenza e nella
miseria.
Non c'è però ribellione nella sua poesia, ma rassegnazione al male, una certa passività di
fronte ad esso: vi domina una malinconia diffusa nella quale il poeta immerge tutto: uomini
e cose. Egli accetta la realtà triste come è, e si sottomette al mistero che non riesce a
spiegare. La sua poesia non ha una trama narrativa e non è neppure descrittiva: esprime
soltanto degli stati d'animo, delle meditazioni. È l'ascolto della sua anima e delle voci
misteriose che gli giungono da lontano: dalla natura o dai morti.
2. Il pensiero
Il Pascoli ebbe una concezione dolorosa della vita, sulla quale influirono due fatti principali:
la tragedia familiare e la crisi del positivismo.
La tragedia familiare colpì il poeta il 10 agosto del 1867, quando gli fu ucciso il padre. Alla
morte del padre seguirono, in rapida successione, quella della madre, della sorella
maggiore e di due fratelli. Questi lutti lasciarono nel suo animo un impressione profonda e
gli ispirarono il mito del ‘nido’ familiare da ricostruire, del quale fanno parte i vivi e
idealmente anche i morti, legati ai vivi dai fili di una misteriosa presenza. In una società
sconvolta dalla violenza, e in una condizione umana di dolore e di angoscia esistenziale,
la casa è il rifugio nel quale i dolori e le ansie si placano.
L'altro elemento che influenzò il
pensiero del Pascoli, fu la crisi del
positivismo, che si verificò verso la
fine dell'Ottocento e travolse i suoi
miti più celebrati, quelli della
scienza liberatrice e del
progresso.
Il rinnovamento della società,
promesso dalla scienza, non si era
verificato. I conflitti internazionali
per le conquiste coloniali e i
conflitti sociali all'interno degli
Stati, dimostravano l'impossibilità
di giungere alla soluzione dei
problemi umani, perché lo
sviluppo morale dell'uomo, ancora
soggetto all'egoismo, alla
passione e alla violenza, era
talmente in ritardo rispetto allo
sviluppo della scienza che questo
si ritorceva in boomerang,
rischiava cioè di risolversi a danno
degli uomini, qualora questi se ne
servissero per i loro fini di egoismo
e di potere.
Pertanto, perduta la fede nella forza liberatrice della scienza, il Pascoli fa oggetto della sua
meditazione proprio ciò che il positivismo aveva rifiutato di indagare: il mondo che sta al di
là della realtà fenomenica, il mondo dell'ignoto e dell'infinito, il problema dell'angoscia
dell'uomo, del significato e del fine della vita. E conclude che tutto è mistero nell'universo e che gli uomini sono creature fragili ed effimere, soggette al dolore e alla
morte, vittime di un destino oscuro ed imperscrutabile.
Da questa constatazione il Pascoli fu tratto a formulare una teoria etico-sociale, un po'
nebulosa, di origine sentimentale, improntata a un umanitarismo generico, contenuta nella
prefazione delle Myricae, dove dice che « la vita è bella, tutta bella, cioè sarebbe, se noi
non la guastassimo a noi e agli altri... Gli uomini amano più le tenebre che la luce, e più il
male altrui che il proprio bene. E del male volontario danno, a torto, biasimo alla natura,
madre dolcissima ».
E giacché il male e il dolore sono un prodotto degli uomini e non della natura, il Pascoli
esorta gli uomini a bandire, nei loro rapporti, l'egoismo, la violenza, la guerra, ad unirsi e
ad amarsi come fratelli nell'ambito della famiglia, della nazione e dell'umanità. Soltanto
con la solidarietà e la comprensione reciproca gli uomini possono vincere il male e il
destino di dolore che incombe su di essi.
Tale condizione umana è rappresentata simbolicamente nella poesia I due fanciulli: due
fratellini, dopo essersi picchiati, messi a letto dalla madre, nel buio che li avvolge (simbolo
del mistero) dimenticano l'odio che li aveva divisi e si abbracciano trovando l'uno nell'altro
un senso di conforto e di protezione, sicché la madre, quando torna nella stanza, li vede
dormire l'uno accanto all'altro e rincalza il letto con un sorriso.
3. La poetica del fanciullino
La poetica del Pascoli è legata alla sua concezione del mistero come realtà che ci
avvolge. Ad esplorare questo mistero si sono rivelate impotenti tanto la filosofia quanto la
scienza, perché l'una non ha saputo dare una spiegazione sicura del mondo, l'altra non ha
saputo assicurare all'uomo la felicità promessa e il dominio incontrastato sulla natura. Ma
dove hanno fallito il filosofo e lo scienziato può riuscire il poeta, il quale, anche se non
perviene alla piena rivelazione di esso, può illuminarlo mediante improvvise intuizioni,
scoprendo il segreto della vita universale e le corrispondenze arcane tra le creature e le
cose.
Partendo da questa capacità conoscitiva della poesia, il Pascoli elabora una sua
particolare poetica che va sotto il nome di « poetica del fanciullino », dal titolo di una sua
prosa, in cui sviluppa il concetto prerazionale e intuitivo della poesia.
Egli prende lo spunto da un passo del
Fedone di Platone, dove a Socrate che
ha, parlato dell'immortalità dell'anima,
Cebéte e Símmia dicono che essi, pur
convinti delle parole del maestro
sull'immortalità dell'anima, hanno però
paura della morte, come se in essi ci
fosse « un fanciullino, che ha di questi
sgomenti ».
Per Platone dunque, il fanciullino era il
simbolo delle superstizioni e dei terrori
della morte e dell'oltretomba, da cui
siamo turbati sin dalla fanciullezza e che
sopravvivono in noi anche quando siamo
adulti, nonostante le persuasioni contrarie
della ragione.
Il Pascoli s'impadronisce di questa
immagine, ma fa del fanciullino il simbolo
dell'irrazionale, del modo cioè tutto
particolare, ingenuo ed incantato, di
vedere e di sentire che ha il poeta.
Questo fanciullino - egli dice - è in tutti gli uomini, i quali perciò sono tutti più o meno poeti,
ma nella maggior parte di essi, distratti e presi dalle loro attività pratiche, il fanciullino tace;
in altri, invece, più sensibili e sognanti, cioè nei poeti veri e propri, il fanciullino fa sentire
continuamente la sua voce di stupore davanti alla bellezza della natura e al fascino del
mistero.
A prima vista può sembrare che la poetica del fanciullino sia un modo mitico di affermare
la liricità della poesia, ossia l'idea della poesia pura, genuina espressione del sentimento,
immune da interferenze intellettualistiche e da ogni finalità pratica. Vista sotto questo
aspetto, essa è analoga alle poetiche romantiche, dal Vico al Croce.
Ma, quando le poetiche romantiche parlano del poeta ut puer, intendono una fanciullezza
ideale, propria della poesia che contempla stupita le cose. Il Pascoli, invece, confonde
questa fanciullezza ideale con la reale fanciullezza, chiusa in un mondo limitato, e pertanto
inverte i termini: passa cioè dal concetto del poeta ut puer a quello del puer ut poeta, del
fanciullo-poeta.
Con questo concetto del fanciullo-poeta si spiega sia la tendenza a pargoleggiare
presente in tante poesie del Pascoli, la tendenza cioè a fingere un'anima fanciulla,
artificiosa come lo sono tutte le finzioni, sia la condanna pascoliana della cosiddetta «
poesia applicata ».
Il Pascoli infatti distingue la "poesia pura" dalla. "poesia applicata". La poesia pura è quella
ingenua, fatta di trasalimenti e di stupori: è contemplazione pura delle cose. Oggetto di
essa non è soltanto la natura con le sue meraviglie, le stelle, il sole, il mare, ecc., ma
anche le armi, le guerre, le avventure, i viaggi, tutte cose che stimolano la fantasia e la
curiosità del fanciullo.
Ecco perché Omero celebra Achille e Ettore, Ulisse e il Ciclope, i duelli, le battaglie e le
peregrinazioni degli eroi, e trascura gli amori e le altra passioni degli uomini, che sono
elementi non poetici. Perciò gli eroi omerici sono più poetici di quelli delle tragedie greche,
così come gli eroi delle Chansons de gestes lo sono più di quelli dell'Orlando Furioso
dell'Ariosto, dei grandi drammi e dei grandi romanzi, che è tutta "poesia applicata".
Partendo dalla concezione del puer ut poeta, il Pascoli nega pertanto il carattere di arte
pura a quasi tutta la letteratura del passato.
4. Classicismo e Decadentismo
Il Pascoli fu un profondo conoscitore delle letterature classiche. Tutte le sue poesie, sia in
italiano che in latino, sono ricchissime di reminiscenze classiche.
La stessa poetica del fanciullino prende lo spunto da Platone e fa continuo riferimento ad
Omero; il motivo georgico, il più frequente e ispirato della sua poesia, risente delle
Bucoliche e Georgiche di Virgilio; i Poemi conviviali hanno come protagonisti personaggi
del mondo classico: Ulisse, Calypso, Solon, Aléxandros, ecc.
Tuttavia, il suo classicismo è assai diverso da quello tradizionale in genere e da quello
carducciano in particolare. Il classicismo tradizionale, di tipo rinascimentale, era per lo più
formale, volto cioè alla ricerca dell'eleganza, dell'armonia e della plasticità espressiva,
intesa anche come riflesso dell'equilibrio interiore. Quello carducciano, poi, era
espressione di sanità morale e di impegno civile.
Il classicismo del Pascoli perde il suo
vigore etico originario e si ammala delle
inquietudini e delle angosce del Poeta.
Figure e miti classici sono rivissuti con
sensibilità nuova, torbida, decadente.
Alessandro, per esempio, il protagonista
del poema conviviale Aléxandros, non è
più l'eroe greco, bramoso di gloria, come
lo conosciamo dalla tradizione, ma è un
tipico eroe pascoliano, che, giunto ai
confini del mondo rimane deluso delle
conquiste fatte, perché non può andare
più oltre. E riconosce che è meglio
sognare, perché il sogno è sempre più
bello della realtà.
Il Pascoli pervenne al Decadentismo per
istinto, non per influenze esterne, come si
verificò nel D'Annunzio che fu
sensibilissimo ad assimilare tendenze e
mode straniere: egli visse in sé la crisi del
positivismo e da essa fu portato ad
elaborare una visione del mondo e una
poetica che rientravano, senza che se ne
rendesse conto, nelle grandi correnti
irrazionalistiche del suo tempo. Fra i
maestri del Decadentismo, il Pascoli ebbe
solo una conoscenza superficiale di Poe
e Baudelaire.
Gli elementi del Decadentismo pascoliano sono:
1)
il senso smarrito dell'infinito e del mistero e la sensibilità a percepire le voci arcane
provenienti dagli abissi dello spazio o dalle zone profonde e inesplorate dello spirito;
2)
la concezione della poesia come rivelazione dell'ignoto;
3)
il simbolismo, ossia la tendenza a vedere le cose non nel loro aspetto realistico, ma
come simboli o segni della realtà che è al di là di quella percepita dai sensi;
4)
una certa fiacchezza di temperamento, che conferisce al suo pessimismo un tono
querulo e femmineo, lontanissimo dalla virile malinconia del Leopardi e del Carducci.
C'è ancora da aggiungere che la sua formazione positivistica tenne lontano il Pascoli dal
panteismo dei romantici, come pure il classicismo lo tenne lontano dalle aberrazioni dei
decadenti europei.
5. Motivi, struttura e forme della poesia pascoliana
I motivi della poesia pascoliana sono essenzialmente quattro: il motivo delle memorie
autobiografiche; il motivo della celebrazione degli ideali morali, patriottici e umanitari; il
motivo georgico; il motivo del mistero della vita e della cosmicità della terra:
1) Il motivo delle memorie autobiografiche rievoca con struggente commozione i
momenti della vita del poeta e i lutti familiari (La piccozza, Romagna, La tessitrice, La
voce, L'aquilone, Agosto, La cavallina storna, ecc.).
2) La celebrazione degli ideali morali, patriottici e umanitari (I due fanciulli, Italy, Gli eroi
del Sempione, Andrée, Al duca degli Abruzzi, ecc.) si ricollega alla tradizione
ottocentesca, legata al concetto del poeta-vate e della poesia intesa come strumento di
elevazione spirituale e di educazione morale, patriottica e civile. Queste poesie sono
generalmente considerate scadenti per l'eccessivo intellettualismo e didascalismo.
3) Il motivo georgico (Lavandare, Novembre, Arano, Il gelsomino notturno, L'assiuolo,
ecc.) si sviluppa nella contemplazione della natura e della campagna. È uno dei più
suggestivi, per la freschezza delle impressioni e l'acuta sensibilità del poeta.
4) Il senso del mistero della
vita e della cosmicità della terra (Il
libro, Il ciocco, La vertigine, ecc.) è
il più profondo e originale motivo
pascoliamo, il più vicino ai grandi
temi del Decadentismo.
La terra appare al Pascoli come
un atomo opaco, sperduto
nell'immensità dell'universo, tra il
turbinio degli astri. Questa visione
allucinante dà al poeta un senso di
solitudine, di sgomento e di
vertigine, che lo rende sensibilissimo a percepire le voci
misteriose provenienti dallo spazio
sterminato.
Quanto alla struttura e alle forme della sua poesia, il Pascoli opera la più decisa rottura
con la tradizione letteraria italiana (quella che dal Petrarca arriva fino al Carducci) e dà
inizio in Italia alla poesia moderna.
Per comprendere la nuova struttura della poesia pascoliana, bisogna rifarsi alla poeticadel
fanciullino: il fanciullo-poeta scopre e rappresenta un particolare, fuori e dentro di noi, che
sfugge agli altri, ma che ai suoi occhi assume un significato particolare, per cui anche la
cosa più piccola e insignificante può diventare segno e simbolo dell'infinitamente grande,
perché c'è una profonda unità nel mondo ed in tutto c'è il Tutto, ossia in ogni cosa c'è una
scintilla infinitesimale dell'anima universale.
Da questa concezione della poesia come contemplazione e rappresentazione del
particolare, deriva che la poesia più profonda del Pascoli è quella dei componimenti brevi,
dei frammenti contenenti sensazioni fulminee e intense o fresche impressioni; mentre i
componimenti dalla tematica più ambiziosa e dall'architettura più complessa, di contenuto
patriottico, epico e storico, sono, nell'insieme, artificiosi e scadenti, pregevoli solo in alcuni
stupendi particolari.
Perciò il Pascoli è l'iniziatore della poesia del « frammento lirico ». Ma il Pascoli non è
stato soltanto l'eversore delle vecchie strutture della lirica italiana, in quanto ha saputo
rinnovare profondamente anche il linguaggio poetico tradizionale. Tale linguaggio era
generico, dotto, stilizzato, povero e, nonostante la rivoluzione romantica, era rimasto
sostanzialmente inalterato.
Il Pascoli, fedele alla sua concezione della poesia come rappresentazione del particolare,
lo rende più ricco e realistico, adoperando spesso termini tecnici e dialettali e ricorrendo
alle onomatopee.
6. Le opere
La prima raccolta di poesie del Pascoli (1891) è dedicata al padre Ruggero e ha come
titolo un termine virgiliano, Myricae, ricavato dai versi iniziali della IV Egloga di Virgilio. Il
tema dominante della raccolta è quello della campagna, contemplata e colta nei suoi vari
aspetti e momenti, specialmente in quelli più suggestivi e malinconici dell'autunno, quando
è ancora vivo il ricordo dell'estate trascorsa e si avverte il triste presagio dell'inverno
imminente, che richiama l'idea della morte.
La raccolta successiva (1897) è costituita dai Poemetti, poidivisi in Primi poemetti e Nuovi
poemetti, in cui si narra la storia di una famiglia di contadini della Garfagnana, che ha un
ciclo di vita parallelo a quello delle quattro stagioni.
Ai Poemetti seguirono (1903) I
canti di Castelvecchio, dedicati
alla madre: si possono
considerare la continuazione
ideale delle Myricae.
Vennero poi (1904) i Poemi
Conviviali, così intitolati perché i
primi di essi furono pubblicati sulla
rivista « Il Convito », diretta a
Roma da Adolfo De Bosis. In essi
il Pascoli rievoca leggende e
figure del mondo classico greco e
romano.
I Poemi Conviviali realizzano un
tipo di poesia colta, raffinata, di
gusto parnassiano, lontanissima
dai postulati della poetica del
fanciullino.
Odi e Inni, i Poemi del Risorgimento e i Poemi Italici sono le raccolte che contengono le
poesie d'ispirazione civile, patriottica e umanitaria, mentre le Canzoni di re Enzio (il figlio di
Federico Il di Svevia, tenuto prigioniero a Bologna) trattano, alla maniera dei Poemi
conviviali, alcuni temi di storia medioevale, specialmente la vittoria dei Comuni sull'Impero.
I Carmina contengono le poesie latine del Pascoli, alcune delle quali ottennero il primo
premio nel tradizionale concorso indetto dall'accademia Hoefftiana (da un lascito di G.E.
Hoefft) di Amsterdam. In esse il latino del Pascoli non si riduce a una pura esercitazione
umanistica, ma sembra una lingua viva e moderna, miracolosamente aderente al sentimento del Poeta.
6.1 Myricae
È la prima raccolta poetica del Pascoli (1891) è dedicata al padre Ruggero e ha come
titolo un termine virgiliano, Myricae, ricavato dai versi iniziali della IV Egloga di Virgilio
(Sicelides Musae, paulo maiora canamus. / Non omnes arbusto iuvant humilesque
myrícae ... : « O Muse siciliane (allusione all'influenza del poeta siciliano Teocrito),
cantiamo argomenti un po' più elevati; non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici »).
Il titolo vuole evidenziare anzitutto il motivo georgico dell'ispirazione, ma è anche una
dichiarazione di umiltà da parte del poeta (una poesia egli dice ‘ che si eleva poco da
terra, humilis), nei confronti della grande poesia epico-storica del Carducci.
Le poesie contenute nella raccolta cantano i motivi umili e dimessi del mondo della natura:
dalla vita dei campi ai fenomeni meteorologici, ai fiori, agli uccelli, agli aspetti minimi della
quotidiana fatica del lavoro connessi ai cicli stagionali. E tutto guardato dall'ottica del
‘nido’, unica cellula di salvezza che riflette la virgiliana sanità campestre e difende dalla
violenza e dal caos eterni.
Ma, proprio perché il poeta osserva da quest'ottica,
gli elementi di quell'universo campagnolo, seppur
nominati con termini precisi e tecnici, non si
risolvono in descrizioni realistiche, ma tendono a
caricarsi di soluzioni impressionistiche e simboliche.
In queste poesie aleggia un pullulare di misteriose
presenze, di impercettibili echi tra piccole nostalgie
e tristi ricordi, tra passato e presente. La campagna
non ha più nulla di positivo e realistico, ma si popola
di ombre, di minacce, di presenze visionarie e
oniriche che la rendono inquietante.
Questi brevi componimenti si affidano a una grande
varietà di metri, a molteplici combinazioni di
strofette, a varie e originali contaminazioni tra
schemi della tradizione. Fondamentale risulta poi la
scelta linguistica, l'utilizzo di un linguaggio che si
adatta in modo diretto alle piccole cose, ai momenti
più semplici della vita familiare e del mondo
campestre, basandosi su termini assai precisi.
Ma non è soltanto la scelta dei vocaboli a ricreare questo mondo ‘basso’; l'aderenza alle
piccole cose viene assicurata anche da un linguaggio in grado di evocare le cose
attraverso suoni: le manifestazioni più esplicite di tale orientamento sono l'uso
dell'onomatopea, gli improvvisi salti dei legami logici e sintattici e le associazioni di
immagini lontane, che hanno tra di loro solo un rapporto di analogia.
Lavandare
La lirica svolge uno dei motivi più validi e suggestivi della poesia pascoliana: il motivo
georgico, la descrizione cioè della campagna, colta negli aspetti diversi delle varie
stagioni. Qui appare una campagna autunnale, ma, come spesso avviene nelle descrizioni
del Pascoli, essa si risolve in un sentimento di tristezza, suggerito dall'immagine dell'aratro
abbandonato in mezzo al campo: nel canto delle lavandaie, per l'arcana corrispondenza
che intercorre tra gli uomini e le cose, esso diventa il simbolo della solitudine e
dell'abbandono.
Testo
Parafrasi
Nel campo mezzo grigio e mezzo nero Nel campo che è per metà arato per
resta un aratro senza buoi che pare
metà no
dimenticato, tra il vapor leggero.
c'è un aratro senza buoi che sembra
dimenticato, in mezzo alla nebbia.
E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
E scandito dalla riva del fiume si sente
con tonfi spessi e lunghe cantilene:
il rumore delle lavandaie che lavano i
panni,
Il vento soffia e nevica la frasca,
sbattendoli, e lunghe cantilene:
e tu non torni ancora al tuo paese,

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