Verdiglione, psicoanalisi e codice penale

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Verdiglione, psicoanalisi e codice penale
Verdiglione, psicoanalisi e codice penale - Massimo Fini
Le comunicazioni giudiziarie che stanno raggiungendo a raffica Armando Verdiglione, per
circonvenzione d'incapace prima, poi anche per associazione per delinquere, hanno fatto
nascere una bagarre abbastanza indecorosa. Agli psicoanalisti ufficiali o semiufficiali, freudiani,
junghiani, lacaniani non è parso vero di potersi gettare a corpo morto su un pericoloso
concorrente denunciandone le magagne culturali e scientifiche con un crescendo che ha preso
le forme, tutte italiane, del consueto linciaggio di chi sta per cadere a terra. Così Verdiglione ha
avuto buon gioco nell'autoesaltarsi nei panni del martire. E l'ha fatto nel suo solito modo
megalomane promuovendo subito un congresso internazionale intitolato Il razzismo in Italia,
dov'è implicito ch'egli ne è la principale vittima, e pubblicando paginoni interi di pubblicità sui
giornali dove si identifica nientemeno che con Dreyfus («Siamo di fronte a un nuovo caso
Dreyfus dove l'ebreo è sostituito dall'intellettuale come inventore») e denuncia l'attacco «alla
libertà culturale e alla libertà d'impresa». Messa su questo piano si tratta solo di una bella lotta
fra cialtroni. E vero infatti che è difficile prendere sul serio uno che, come Verdiglione, tiene
sedute psicoanalitiche che durano, se gli garba, cinque minuti (ma questo lo faceva anche
Lacan) e, soprattutto, che si esprime normalmente in questo modo: «Posto l'oggetto come
androgino, l' Altro è folle per dare ragione all'uno. La malattia mentale non esiste perché il
sintomo è una risorsa inestinguibile nella parola e lungo un cammino anziché l'indizio di una
malattia. Né l'uno né l' Altro né lo zero sono folli ma c'è una follia del sembiante che rende
impossibile la riuscita del discorso psicotico. Tutte non stanno insieme e non fanno così se una
fra tutte è benedetta o sia tale da indicare qual è il paradosso su cui si fanno le tutte...». Ma è
anche vero che gli psicoanalisti ufficiali o semiufficiali, freudiani, junghiani o lacaniani che siano,
portano dietro di sé tali code di paglia che non è loro lecito dar lezioni a nessuno, nemmeno a
Verdiglione. Probabilmente Verdiglione fa in modo più spudorato e sgangherato ciò che gli altri
fanno in maniera istituzionale: prender soldi a chi ci crede. Il che, per gli uni e per gli altri, non è
reato. Ognuno è libero, purché adulto, passabilmente sano di mente e consenziente, di
spendere i suoi denari come vuole: dandoli a Musatti o a Verdiglione o anche a mamma Ebe
per avere il privilegio di leccare i pavimenti. Profondo è il mistero del masochismo e, oltretutto,
non è detto che da siffatte pratiche l'adepto non ricavi qualche giovamento e benessere. Il
«caso Verdiglione» quindi non è né culturale né scientifico, ma semplicemente penale.
Armando Verdiglione deve spiegare, alla magistratura, senza riempirsi quella sua boccuccia a
ciucciamiele di Dreyfus, di razzismo e di libertà, se nell'esplicare la sua attività, di per sé lecita,
abbia usato mezzi che leciti non sono. Di ciò giudicheranno i magistrati, ma non c'è dubbio che
in questi anni una certa tendenza al raggiro e alla truffa, non solo culturale e scientifica,
Verdiglione l'abbia manifestata. lo sono a conoscenza, per esempio, di un fatterello, piccolo ma
significativo perché illustra bene i metodi di Armando Vermiglione, oltre che le abitudini di un
certo sottobosco culturale. Il fatto è questo. Un giorno d'inverno dell' '82 un pittore di mezza
tacca, Rino Pianetti, viene avvicinato da un critico d'arte, Luigi Senna, il quale si dichiara
affascinato dalla sua opera. Il critico è talmente entusiasta che non riesce a capacitarsi come il
Pianetti non abbia avuto finora miglior sorte e non sia adeguatamente conosciuto. Si offre
quindi spontaneamente per scrivere sull'artista e sulla sua opera, gli farà anzi un'intervista. Ma
dove? Pensa e ripensa, dopo qualche giorno il Senna riferisce a Pianetti che la rivista che gli
pare più adatta è Spirali di Armando Verdiglione. Viene quindi preso il contatto con Spirali, ci
sono vari incontri fra il critico, il pittore e la segretaria di redazione, Giovanna Sancristoforo. La
donna è favorevole, ma vuole prima parlarne col «Maestro», com'ella chiama Verdiglione.
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Qualche giorno dopo, la Sancristoforo conferma che tutto è ok, il Maestro è d'accordo, c'è solo
un piccolo particolare, roba da niente: un concorso spese di cinque milioni che il Pianetti
pagherà in due tempi, la metà alla correzione delle bozze, il resto alla pubblicazione di Spirali.
Naturalmente si conviene che l'intervista comparirà come un normale articolo della redazione e
non come pubblicità. Il pittore accetta e paga la prima tranche. Qualche giorno dopo però la
segretaria di redazione, profondendosi in lodi sperticate per l'inarrivabile arte del Pianetti, gli
chiede di scucire subito anche il resto. Cosa che lo sciagurato pittore fa. Esce finalmente Spirali
con l'intervista costata così cara, ma ahimè filettata e sormontata dalla scritta «pubblicità». Il
pittore va su tutte le furie. La segretaria di Spirali si duole per quello che chiama un «disguido»
ed invita il Pianetti ad «illustrare uno dei prossimi numeri di Spirali nella sua nuova veste
editoriale». Per altri cinque milioni? Non si sa, ma ce n'è quanto basta. Su comportamenti
analoghi a questi oggi la magistratura è chiamata a giudicare Armando Verdiglione. Ed il suo
entourage. Dreyfus, la libertà della cultura e la libertà d'impresa non c'entrano niente.
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