Cinema, televisione e critica di Armando Lostaglio

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Cinema, televisione e critica di Armando Lostaglio
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Cinema, televisione e critica di Armando Lostaglio
mercoledì 09 marzo 2011
Cinema, televisione e critica di Armando Lostaglio
Applausi lucani per Un giorno nella vita di Giuseppe Papasso
di Armando Lostaglio
Alla prima di Matera ha
ottenuto applausi e compiacimenti il film "lucano" diretto da Giuseppe Papasso,
"Un giorno nella vita". Presente in sala il regista, i giovanissimi interpreti
lucani e Maria Grazia Cucinotta, accolta da flash e ben disposta ad interviste
e autografi.
Un film che appartiene in particolare
a quanti oggi viaggiano intorno ai cinquant'anni, ai loro sogni di adolescenti,
fatti di cinema e di televisione. Ma l'opera prima di Papasso, peraltro ben
fotografata ed ambientata nei borghi fra Melfi, Rionero e Barile, intende
ripercorrere quei sogni da amarcord, nella mente di un bambino (bravissimo
Matteo Basso) che vede nel cinema la fuoriuscita dal suo mondo piccolo e
stretto. E pure costretto da un padre idealista e burbero, con una mamma dai
toni dimessi, come si conviene alle donne del sud. Bravi anche Alessandro Haber e Domenico
Fortunato (di origini lucane).
E' una favola, dunque, è la storia di
un sogno ambientato nella Basilicata del 1964. "I bambini prescelti hanno l'etÃ
e la bellezza giusta per questa favola", ha dichiarato il regista che finora si
era dedicato soltanto a girare documentari. Non è facile dirigerli, ci era
riuscito con più apprezzabili effetti Fulvio Wetzl con un altro film lucano
come "Mineurs" (2007). In "Un giorno della vita" filtra il
centro di Melfi e il suo castello, il sacrato della cattedrale e poi il piccolo
cinema dei ricordi infantili di Rionero, il San Marco, teneramente riadattato
per questo film. Il vecchio cinema parrocchiale attiguo alla Chiesa madre mai
più riaperto da oltre trent'anni, il "nuovo cinema paradiso" nei ricordi di
varie generazioni. E si respira infatti nel film di Papasso un'atmosfera di
già -visto: dal citato film di Tornatore fino a Salvatores di "Io non ho paura"
dei piani lunghi ritratti di giallo del Basso Melfese.
E' l'amore per il cinema al centro del
racconto, Salvatore che a dodici anni finisce in riformatorio perché ha
acquistato un vecchio proiettore, rubando dei soldi nella sezione del PCI,
necessari per il viaggio a Roma per i funerali di Togliatti. La felicità del
ragazzo dura poco, con tutto un corollario di questioni fra adulti, beghe
politiche e vita quotidiana tipica dei paesi del sud.Giuseppe Papasso ha scritto e diretto
il film - ammette lui stesso - pensando ad un film francese della Nouvelle
vague: "I quattrocento colpi" di un grande come Francois Truffaut. Questa è la
narrazione di una passione, mentre sullo sfondo c'è l'importanza e il peso
degli ideali nella società degli anni Sessanta. La politica, ma anche le
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speranze di un mondo che si voleva cambiare. "Ma chi ha vissuto quell'epoca
ricorderà - dice Papasso - come l'ideale politico aveva un valore pieno, che si
tramandava di generazione in generazione".
La storia è breve, ben racchiusa, con
tratti poetici come il bambino down che imita Charlot. Eppure, con tutta la
buona volontà , con la ricostruzione di ambienti e situazioni, Papasso non
riesce del tutto nel suo intento, mettendo in scena più fiction che cinema. Ciò
che si adombra con vigore è quel sogno ad occhi aperti dentro quella sala buia,
davanti al "lenzuolo illuminato" dalle nostre proiezioni. Maciste e la Loren,
"Anitona" e Marcello, tutti i protagonisti di un miraggio che continua ad
accarezzarci. Come Salvatore, oggi cinquantenne.
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La
televisione di Beniamino Placido
Ultima notte televisiva dedicata al critico e saggista Beniamino Placido, per
ricordarlo a poco più di un anno dalla sua scomparsa. Dopo una prima notte venerdì
18 febbraio, conclusasi con il film di esordio di Nanni Moretti "Io sono un
autarchico" (cui Placido partecipò interpretando se stesso), sono andati in
onda ampi brani dai programmi televisivi da lui condotti e realizzati,
purtroppo in orari da insonni. A partire da Serata Garibaldi del 1982,
conclusasi con Serata Marx del 1983 (compresi i brani da Serata Orwell del
1984, e Serata Freud 1986) si tratta di puntate da lui presentate in occasione
di serate a tema curate per la Rai. Tutti programmi caratterizzati da una
conduzione sobria, con ospiti che, durante le interviste, mantengono in studio
un atteggiamento di rispetto reciproco, pur conservando posizioni proprie e
distinte.
Cineasti e personaggi pubblici, uomini politici, intellettuali, e
letterati, tutti impegnati a ragionare su argomenti ben impostati da Placido,
che collega con garbo le diverse posizioni, aggiungendo del suo. Un maestro
della conduzione, con l'eleganza tipica di chi conosce gli argomenti, li sa
leggere e li trasmette con la forza della cultura. Vestito come uno che esce di
casa solo per andare a comprare il giornale, con quel parlare tipico di chi ama
la sua lingua madre (il rionerese) pur parlando bene almeno tre lingue, Placido
ha disquisito di Marx (ultima tranche della trasmissione notturna) portando
emblematici "scheletri in armadio".Â
Sezionando a cassetti le statue di Stalin e di Marx, Placido ha tenuto
una autentica lezione di economia come di politica come di sociologia, senza la
pretesa di esaurire l'argomento, portando nel finale uno spettatore a
giudicarne gli esiti e la comprensione. Proprio nel film di Moretti emerge una
riflessione: nell'Io sono un autarchico, l'attore-regista rilancia quella
metafora (marxista) sul cinema, "l'attore è la borghesia, la scena è il proletariato,
la colonna sonora è la piccola borghesia, che oscilla dall'una all'altra
parte". Che televisione, che intuizioni, altri tempi, troppo lontani da questi,
televisivamente parlando. Lectio magistralis, senza la pretesa di farla.
Peccato, comunque, ritrasmetterli a notte fonda.
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Armando Lostaglio
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CinEtica 2011: incidente di luce
Rionero in V. Con la consueta collaborazione di istituzioni come Mibac,
Regione, Provincia e Comune di Rionero (Assessorato alla cultura), grazie alla
sensibilità di imprese locali, oltre ad associazioni partner come
BasilicataCinema, Cinit, Cineclub Pasolini, Millennium Network, l'associazione
"Pasquale Sacco", anche quest'anno il CineClub "Vittorio De Sica" continua la
sua attività propositiva attraverso il cinema d'autore, con la XV^ Mostra
cinematografica CinEtica, dal titolo emblematico: "incidente di luce". Mutuando
un assunto di Goethe (Il colore è il dolore della luce), Enrico Ghezzi enuncia
un proprio concetto di cinema come "previsioni dello spazio e del tempo...Incidente
di luce..."
Su questa estensione d'onda, già a partire dal manifesto, opera di un
sempre eccellente Daniele Bracuto (responsabile del Cineclub Pasolini, e
Brucomeladesign), questa 15^ Mostra cinematografica si assume l'onere di
proporre agli appassionati dell'area del Vulture (ogni mercoledì dal 23
febbraio, in sala Vorrasi, ore 20) opere che intravedano proprio
quell'incidente di luce. Un percorso di vite che inavvertitamente vengono
illuminate dall'evento, reso cinema: in particolare è all'universo femminile
l'ispirazione di questi film. E sempre con Ghezzi: "Ogni film non finisce mai,
ma ricomincia in continuazione: è un eterno ritorno".  Un riannodarsi
nelle vite, dunque, un riflettersi e riflettere, come accade per i matti
liricamente espressi da Ascanio Celestini (La pecora nera) nel film d'esordio.
L'ilarità e la leggerezza fanno specie, in un ritorno agli anni '70, con le
espressioni geometriche di una donna (Potiche) mentre reinventa la storia: da
bella statuina di casa si propone protagonista in famiglia e soprattutto in
fabbrica: una svolta mai del tutto affermata, una spinta non sopita.
Con Miral,
l'incidente di luce investe le vittime di un destino arcaico, in terre
mediorientali: israeliti e palestinesi rimangono vittime di quella sciagura umana
chiamata guerra, difficile da estinguersi. E la protagonista rilegge il suo
tempo, le speranze, l'oggi che la vedrà giornalista affermata: è Rula Jebrael,
che ha pure lavorato in Rai (con Santoro). Introdurrà il film per parlare di
Medioriente Georges Almaz, di origini libanesi, che mantiene rapporti familiari
con quei luoghi. (La serata è dedicata al mondo femminile dall'assessorato alla
cultura del Comune di Rionero). Il buio contesta e nega la luce negli occhi
degli adolescenti di Napoli: l'amore buio, descritto da un autore radicato come
Antonio Capuano, lascia tuttavia all'orizzonte qualche filo d'aquilone: quei
ragazzi esigono un futuro diverso, un riscatto, oltre le sbarre. Don Pasqualino
Di Giacomo, che da anni opera a contatto con i detenuti, ci offrirà una
essenziale riflessione. E via via, è ancora la guerra a negare la luce, come in
20 sigarette, ma il finale riscatta la storia; ci sovviene la canzone di Ivano
Fossati "Il disertore", ispirata al poeta Boris Vian.
Con gli uomini di Dio, è
il coraggio, ma anche la paura, a determinare l'uomo, nonostante la fede, fra
mistica e quotidianità . E infine l'handicap di una ragazza, la violenza fra i
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muri di casa che occlude la visuale in Precious: non c'è luce che tenga. Per
questo il cinema si ostina a fare luce. E noi insistiamo a portarla, costi quel
che costi,  anche a Rionero, in Lucania, non più e tanto periferie del
mondo, su esortazione di un grande regista come Emir Kusturica (più volte in
mostra in precedenti edizioni) quando afferma: "Andremo ancora al cinema fra
vent'anni? Dipende. I film li vedremo su internet e telefonini, certo. Ma
proprio per questo la forma attuale su grande schermo, diventando meno
popolare, sarà un'esperienza imperdibile, da tutelare in tutte le città ".
Armando Lostaglio (direttore artistico
Cineclub De Sica - Cinit)
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La rivoluzione degli educati
"La maleducazione è arrivata molto in
alto. La nostra freddezza li ha lasciati lavorare. Adesso la ribellione spetta
a noi. Non si era mai visto nella
storia: la rivoluzione degli educati..". E' un passaggio estremamente
limpido scritto da una signora novantenne: Franca Valeri, acuta osservatrice
dei tic nostrani, autrice di teatro, interprete fra le più brillanti della
nostra epoca, scrittrice di un libro da
poco uscito, dal titolo emblematico: Bugiarda, no. Reticente. Uno scatto di
indignazione occorrerebbe, da parte di persone educate, avvezze al rispetto
delle regole, o almeno tendenti ad esse. Quanto ci attornia in questo frastuono
quotidiano concernente soprattutto il malcostume registrato così in alto, sa di
costrizione, e nel contempo di assuefazione ad un avanspettacolo da "così fan
tutti".Â
E le persone educate dove sono? Sicuramente sono quelle che lavorano
con umiltà seguendo i dettati della propria formazione, tirano avanti e portano
lustro a questa nazione che, a dispetto di loro, viene irrimediabilmente
dileggiata, quando non viene ignorata. In questi giorni, fra i fiumi di
inchiostro nostrano e tv ad ore, il New York Times, autorevole quotidiano
d'Oltreoceano, ha invece dedicato alle vicende di avanspettacolo offerto dal
nostro regime solo quindici righe.
Quindici righe, tanto vale agli occhi del mondo questa casereccia pantomima, e
con essa la nostra inclinazione inconfessata allo scandalismo. In questo che
Pasolini ammoniva (profeticamente) come un "genocidio culturale", la parte
sana, educata, assiste inerte, non si indigna nemmeno più. La gran parte è
infiacchita ed assuefatta a quel gioco
al massacro fatto piuttosto di voyerismo e di facile condanna, anziché di riappropriazione
di una dignità smaccatamente calpestata.
Una ebbrezza di potere dispotico,
ornato come si fa con i reality, volgare come sanno essere i reality: sarÃ
anche per questo che il cinema di questa nazione (mancando essa di credibilità )
non riesce da lustri ormai a posizionare un film fra i candidati stranieri
all'Oscar. Mentre quelle persone vengono premiate dal nostro voto,
le ascoltiamo puntualmente come profeti (del nulla). Se un cattolico come
Roberto Formigoni accetta l'imposizione del Gran capo di mettere nel listino
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elettorale la propria igienista dentale (divenuta maitresse di appuntamenti ad
ore), cosa si può esigere? Quel cattolico (che proviene da Comunione e
liberazione),pur di restare inchiodato alla poltrona di governatore di una delle
regioni più evolute d'Europa, la Lombardia, non intende rimettere il proprio
mandato, anzi lo difende insieme al suo Gran capo, legittimandone i
comportamenti senza manifestare un minimo di sussulto né di orgoglio, tantomeno di educazione, appunto, verso i propri
elettori. La misura è colma. Consigliamo a quel governatore qualche passaggio
di Feuerbach: "Senza dubbio il nostro tempo preferisce l'immagine alla cosa, la
copia all'originale, la rappresentazione alla realtà , l'apparenza all'essere...
Ciò che per esso è sacro non è che l'illusione, ma ciò che è profano è la
verità ..." (da "L'essenza del cristianesimo").
Armando
Lostaglio
Â
La
tv faustiana
"Benvenuto nella famiglia di Rai2, Maurizio, benvenuto in questa piccola
famiglia Scazzi". Ad esclamare un tale oltraggio (a mo' di scherno) è la
perenne conduttrice del pomeriggio domenicale, Simona Ventura, mentre si
accinge, ossequiosa, a presentare il nuovo programma della rete del sempiterno
(va da una Tv all'altra) Maurizio Costanzo. Senza pudore alcuno, la conduttrice
accenna, ridendo, della famiglia Scazzi come si farebbe di qualsiasi altro
argomento, incurante della tragedia che ha travolto una famiglia, una comunità ,
e soprattutto è stata uccisa una ragazzina, che porta proprio quel cognome. Una
vergogna senza limite alcuno viaggia, dunque, sulla rete pubblica, di domenica
pomeriggio.
Non ha veti, ormai, la quasi padrona di Rai2, che da anni porta in
conduzione (quale esperto di pallone?) il suo ex marito, pagato con soldi
pubblici, ennesimo senza-arte-né-parte, privilegiato per il solo fatto di aver
sposato ed avuto figli con la "padrona" di casa. E' superato (ma tanto chi se
ne accorge) ogni limite etico, ogni senso di decenza: irriso il nome della
famiglia di una ragazzina uccisa in un mistero ancora senza soluzione, mentre
il gioco del palinsesto continua a macinare stupidità senza confronto, si gioca
all'essere naufraghi senza che alcun tzunami li inghiotta per davvero (tv del
reale). Tutti protagonisti di un palcoscenico faustiano, emblemi arricchiti di
una miseria esistenziale, nell'ingranaggio produttivo ed elusivo (questo sì)
della realtà .
Armando Lostaglio, giornalista
Â
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Pane
perso
"Pane perso": si traduce così (ma il
suono è identico nel dialetto lucano) per indicare quel personaggio che spreca
il proprio tempo credendo di utilizzarlo nella giusta maniera. C'è poi il
"pan-pers" che, strumentalmente, utilizza nel proprio interesse quel tempo che,
ad un'analisi più attenta, risulta davvero inutile. Sono molti gli interpreti
di tale sortilegio collettivo, che si ammantano della presunzione del sapere,
di essere degli esperti, per poi propinarci le proprie scontate e quindi
inutili peripezie linguistiche, di saperi fatiscenti, desueti e prossimi alla
banalità .
Il bestiario è variopinto e numeroso,
la tv generalista ne offre a iosa dal pomeriggio a tarda sera, su canali
incontrollati che nessun anti-trust riuscirà a sgominare. Di recente si
aggiungono (nelle conduzioni) ai vari Venier, D'Urso, Sposini e Sgarbi, i nuovi
Signorini e Busi, oltraggi viventi alla dignità del mondo omosessuale e
intellettuale più in generale. Ha scritto una economista indiana, Vandana
Shiva, che "conservare la biodiversità è impossibile, finché essa non sia assunta come la logica stessa della
produzione". Spocchie ed urlatori di mestiere, il nulla pagato a caro prezzo da
una civiltà che sprofonda nel turpiloquio. Talvolta, vedendo fin dove riescono
ad arrivare e condurre il povero spettatore-consumatore asservito, verrebbe da
affermare quel motto di cioraniana ispirazione che "è quasi un delitto tenerli
in vita", per quel danno incalcolabile che riproducono, (lungi da ogni presunta
apologia di reato).
Suggerisce il filosofo Bolelli che, se
moltiplicassimo le ore al giorno per il numero di persone, avremmo una strage
di potenziali risorse umane, assurdamente consumate in tempo ed energie, a
parlare di dossier ed intercettazioni, di escort e barzellette, parolacce
urlate e festini, conduttori tv e celebrità costruite a tavolino, baruffe da
cortile e poi tutto il volgare campionario della polemica politica. Ecco, se tutte queste cose
decidessimo finalmente di ignorarle, e
se questo tempo e queste energie li dedicassimo piuttosto a progettare,
inventare, innovare, elaborare strategie economiche, sarebbe tutto davvero meno
perso. Guadagnato alla civiltà .
Armando
Lostaglio
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