Maggio/Giugno 2013 – N. 3 - Associazione Culturale Zenit

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Maggio/Giugno 2013 – N. 3 - Associazione Culturale Zenit
CHI SIAMO
L’Associazione Culturale Zenit nasce come comunità militante già nel 2003 costituendosi poi ufficialmente nel dicembre del 2005. Le nostre posizioni
non possono essere etichettate nelle classiche categorie
di destra o sinistra. Abbiamo radici culturali che si
rifanno al fascismo ma non per questo possiamo accettare di essere storicizzati o emarginati dalla storia.
Noi vogliamo confrontarci con il presente, analizzare i fatti e trarne da esse le indicazioni valide e necessarie per costruire il futuro. Il nostro motto è sempre
stato Filtra la Verità e il nostro simbolo è una maschera antigas perchè crediamo che attraverso queste categorie create ad arte e attraverso il caos creato
dalla modernità il sistema allontani l’uomo dal vero
e dal reale. Quindi il motto Filtra la Verità vuole
esprimere in modo diretto e provocatorio il nostro
approccio critico verso i mass media ma il nostro
pensiero politico non si ferma qui, ovviamente noi di
Zenit non siamo solo una Associazione Culturale che
si occupa di controinformazione ma siamo soprattutto una comunità militante e cioè un nucleo di persone che persegue la formazione umana dei propri
membri attraverso appunto l’impegno comunitario
e militante che mostrando uno spiccato interesse verso i temi dell’approfondimento culturale e dell’informazione determina il proprio agire politico.
I nostri punti cardini sono i seguenti:
-noi crediamo che l’unità, l’indipendenza e l’integrità territoriale della Patria debbano risultare l’obiettivo essenziale della politica estera del nostro paese;
-crediamo nella Tradizione, nella concreata realizzazione di una comunità europea e rifiutiamo la
subordinazione di quest’ultima alle subculture disumanizzanti quali mondialismo, plutocrazia e nichilismo;
-crediamo nella solidarietà, ogni qual volta si pre-
senti il bisogno di un tangibile aiuto alla comunità e
verso tutti quei popoli che vedono stringersi intorno a
sè la morsa livellante dell’imperialismo e che lottano
per la propria sovranità.
La nostra caratteristica principale è sicuramente
quella di non voler essere il solito gruppo politico che
abbia obiettivi di egemonia o che abbia come scopo
la sola mera aggregazione fine a se stessa. Noi vogliamo formare ragazzi e renderli liberi dalle logiche
della democrazia occidentalista, noi vogliamo che i
ragazzi possano aspirare a trasformare la propria
rabbia, la propria suggestione nei confronti di simboli e tradizioni in sentimenti costruttivi, perchè a noi
piace la sostanza e della superficialità non sappiamo
che farne. Noi vogliamo che i ragazzi e gli uomini
che si avvicinano abbiano voglia di sapere, approfondire perchè solo respirando liberamente si può
diventare soldati addestrati, perchè per noi non esiste
l’agire senza il pensiero. Il nostro operato di militanti politici è quindi riscoprire la gioia di donarsi e
di metterci a disposizione di tutti coloro che sono stufi
di accettare la realtà che ci viene preconfezionata dal
sistema attraverso la manipolazione delle informazioni e della cultura. Per questo motivo quindi il nostro motto è FILTRA LA VERITA’ e invitiamo
anche voi ad indossare come noi le maschere antigas
per resistere ai gas omologanti di questa coatica società moderna che sta allontanando sempre più l’uomo dal vero e dal reale.
IL MARTELLO
Dopo una breve pausa di riflessione abbiamo deciso
di riprendere a martellare perchè Zenit senza il suo
Martello non poteva continuare la sua opera di controinformazione, perchè Zenit senza il suo Martello
era orfano di una parte importante del suo operato
che in passato lo aveva caratterizzato per la serietà e
dedizione con cui chi prima di noi lo aveva ideato e
curato rendendoci orgogliosi del nostro disinteressato
approccio alla militanza politica. Il Martello allora
ritorna per fare da megafono alle nostre ambizioni e
al nostro sano modo di fare politica e allora ecco che
ritorna forte in noi quel monito che abbiamo fatto
nostro attraverso la locuzione latina Gutta cavat lapidem. Questa frase latina resta sempre la più adatta per descrivere il nostro pensiero e agire politico,
la paternità è da ricercare nel poeta Ovidio, sebbene
ripresa e riadattata anche in prosa da diversi autori
fino in età medievale, è la formula dialettica che abbiamo designato ad emblema del nostro organo di
diffusione.
Tre parole che, nella loro inflessibile semplicità, possiedono una forza intrinseca che può essere sprigionata solo attraverso la perseveranza della lotta, così
rendendo fede alla cultura delle idee che diventano
azione. Lapidem, la pietra, dall’aspetto fermo, incrollabile, apparentemente insormontabile da ogni
agente esterno, sempre avrà ragione di chi, soggetto al richiamo dell’istintività, tenterà di scalfirne
la massiccia fermezza con un gesto estemporaneo,
violento e chiassoso. Gutta, la goccia, trova la sua
forza nella volontà di dominare ogni vezzo ad abbandonarsi in un disordinato ed inconcludente getto.
Al contrario, a renderla efficace è la sua capacità di
riconoscere la ponderatezza e la costanza quali virtù.
Il gesto ritmico, scandito dal suono basso e ripetitivo che ne sancisce la monotona caduta, è il simbolo
della sua vittoria su di un nemico che non può vincere in altro modo, se non col suo continuo stillicidio.
E’ dunque solo attraverso questa azione costante e
perfettamente coerente che la goccia potrà perforare la pietra (gutta cavat lapidem, appunto). Il
tempo sarà garante della bontà della sua meticolosa
azione, inosservata dallo sguardo distratto dei suoi
contemporanei, eppure fieramente implacabile nel
perseguire il proprio obiettivo. Nella sensibilità dei
nostri avi, la dimostrazione che la natura custodisce
ancestrali riferimenti dai quali poter trarre ispirazione. Le coscienze, oggi sopite dall’intossicazione e
dall’alienazione dei media di massa e della società dei
consumi, potranno essere scavate per mezzo del lavoro durevole dell’informazione libera e dall’esempio
del sacrificio e della militanza.
L’Irlanda tra il verde e il grigio
di Davide Ciotola
Alla abituale conoscenza dell’isola irlandese come
palcoscenico di conflitti perenni tra ideali in lotta
fra loro, è di questi anni la prospettiva di un nuovo
scontro in vista, basato sullo iato che si sta aprendo tra
una scelta ecologista, più o meno obbligata, intrapresa
negli ultimi anni, e la recente possibilità di rivalutare
il proprio inserimento nel settore mondiale dell’estrazione in mare di petrolio, già presente in passato ma
oggi possibile in modo e con numeri da veri protagonisti. Parallelamente alle direttive del Piano di Salvataggio del Fondo Monetario Internazionale vigente
, la politica e il popolo irlandese hanno finora agito
nella direzione di un nuovo sviluppo ecosostenibile, al
fine di ricominciare a far crescere una economia disastrata dalla parabola discendente della solita finanza
“distratta” che l’aveva portata sull’orlo del default. La
filosofia del rispetto dell’ambiente imposta dal governo irlandese negli ultimi anni si è così basata su un
principio molto semplice: più inquinamento prodotto
uguale più tasse, con questo concetto valevole in egual
modo sia per le industrie che per i cittadini. Producendo un generale rialzo dei costi del carburante si sono
dunque generate due opzioni: una svolta, quasi obbligata dunque, nella direzione di un’economia dei consumi più “verde”, oppure una scelta consapevole nella
dilapidazione della scarsa liquidità monetaria ancora
rimasta in possesso degli abitanti e delle aziende attraverso i nuovi tributi aggiunti da versare allo Stato.
La sollecitazione definitiva è arrivata poi con una tassazione sui rifiuti più incisiva, naturalmente a carico
di quei contribuenti che meno si sono adeguati allo
sviluppo di un sistema di raccolta differenziata che ha
contribuito a fare dell’Irlanda uno dei Paesi ecologicamente più virtuosi d’Europa, addirittura ponendola al
primo posto per lo smaltimento sostenibile di scarti
elettrici ed elettronici. Come evidente, però, i danni
apportati dalla finanza negli ultimi anni non possono
essere recuperati neanche dalla buona volontà e dagli
ottimi risultati ottenuti dalla orgogliosa popolazione
irlandese. Tant’ecco arrivare la scure dei rappresentanti del Fondo Monetario Internazionale ad imporre per
il prossimo futuro nuovi tagli alla macchina statale al
fine di assicurar loro l’onorarsi del debito contratto dal
Paese nel periodo crisi. E dunque, con un tempismo
davvero eccezionale, ecco risorgere una “nuova” prospettiva per l’economia irlandese, ovvero lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi del Mar Celtico.
Al largo di Cork si trova infatti l’ormai celeberrimo
giacimento di Barryroe, il quale da solo potrebbe rappresentare una svolta economica impressionante: 1,6
miliardi di barili possono davvero significare maggiore occupazione, maggiori tributi nelle casse statali, un
indotto che è quello tipico dei paesi di produzione di
petrolio in aree sotto controllo, (ovvero in sicurezza da
attentati,rapimenti, etc., tristi consuetudini soprattutto dei paesi africani produttori di idrocarburi) tale che
chi non conosce abbastanza approfonditamente l’ambito marittimo può solo immaginare il movimento di
denaro che questo settore è in grado di sviluppare negli anni. Il prezzo da pagare è alto, e riguarda l’intero
ecosistema dell’area che, in mare e sulla terra, subirebbe un cambiamento di una entità senza precedenti, e
non solo per un ulteriore sconvolgimento del panorama, sempre magnifico, delle coste d’Irlanda, ma anche
perché modificherebbe per sempre la vita tanto delle
creature marine e quanto degli irlandesi stessi. A onor
del vero bisogna considerare che nel mondo marittimo
commerciale esistono le normative stringenti dei protocolli dell’International Maritime Organization, leggi ben precise sulla responsabilità sociale, sui requisiti
anti inquinamento delle attività on e off-shore, sui requisiti di conoscenze e addestramento obbligatori per
i lavoratori che debbono operare nel settore a cui attenersi, ma la prudenza non è mai abbastanza, e molti
recenti eventi in tutto il mondo lo hanno dimostrato.
Uno dei principali sponsor di una prospettiva “grigia”
dell’economia d’Irlanda è Tony O’Reilly, ex rugbysta ma soprattutto imprenditore internazionale dalla
classica carriera di successo, che con forza afferma
come debba considerarsi ormai come un percorso
obbligato quello che stanno proponendo tutti i rappresentanti delle varie compagnie petrolifere multinazionali: creare un nuovo petrolcentro vero e proprio a
Cork. La prospettiva, proposta con fermezza, è quella di un maggior benessere, ridistribuibile per tutti.
Un’offerta di una semplicità e di una generosità fin
troppo evidente per non far pensare al contemporaneo e davvero stridente confronto con le restrizioni, a cui vincolarsi obbligatoriamente, ancora una volta ribadite dall’Unione Europea, ma
che dal punto di vista del convincimento di un popolo fiero, ma stanco di continui sacrifici imposti, sta riscuotendo un successo sempre maggiore.
Altmark 2013, l’Occidente promulga lo
Stato d’Assedio anticipato
di Johannes Balzano
Lontano dai riflettori e dalle telecamere, in un silenzio più che sospetto, il Governo tedesco, d’accordo
con i suoi vertici militari, sta costruendo nell’Altmark,
regione del Land di Sassonia-Anhalt, una mega città militare destinata all’addestramento di soldati per
l’intervento in crisi interne. Il GUZ, Gefechtsübungszentrum (Centro di addestramento militare) Colbitz-Letzlinger Heide, è situato in una località abbastanza isolata e prevede la costruzione di 500 edifici su 6
chilometri quadrati, una zona industriale, il collegamento ad un’autostrada in pronta costruzione e la nascita di un aereoporto con più di 1.700 metri di piste
d’atterraggio. La notizia è stata captata dal giornale
Current Concerns, contattato con una lettera anonima scritta presumibilmente da chi a conoscenza della
costruzione e quindi vicino ai vertici governativi, tanto è che la questione è arrivata in Parlamento e il Governo ha dovuto rispondere alle interrogazioni lanciate dall’opposizione. Il GUZ rientra nel programma
di Crowd Riot Controll, ideato dalla NATO per esercitare i propri uomini nella guerriglia urbana, esautorando così la polizia in materia di ordine pubblico
e preparandosi quindi per situazioni probabilmente
„delicate“. Fonti governative hanno fatto riferimento
alla necessità di creare tali strutture per poter prevenire eventuali rivolte nelle zone “rosse“: Afghanistan
e Kosovo. Spiegazione non molto convincente e che
non hanno smentito direttamente la fonte „giornalistica,“ la quale ha fatto riferimento alla crescente paura dei governi occidentali di possibili proteste organizzate a causa di un futuro netto peggioramento della
vita sociale, legato all’accumularsi del debito sovrano.
Non solo la questione sociale ma anche la questione
internazionale sta portando a perplessità l’opinione
pubblica e sempre più movimenti e partiti politici cercano di prendere le distanze dalle “missioni di pace“
in atto nel mondo. Una chiara dichiarazione di guerra
ai propri cittadini e la costruzione di basi di controllo
fisico delle persone è il piano dell’occidente, avvolto
nella sua Democrazia di cartapesta sempre stata stretta a chi ha fatto della sua „pelle politica“ una ribellione e che ora non va neanche tanto comoda a chi si
è fatto ingannare dalle manipolazioni del sistema. La
congiuntura economica ha risvegliato il malcontento
ovunque, i governi sono sempre meno legittimati e
movimenti di protesta, a volte purtroppo più fallaci del
sistema stesso, stanno ottenendo un successo enorme.
Il sipario calato dai Mass-Media sulla Grecia, dove
si consumano ogni giorno scontri urbani, è la prova
evidente che „là sopra“ sono preoccupati delle conseguenze. Conseguenze che quindi sono temute anche
in Germania, elogiata per la sua brillantezza sociale
ed economica, ma evidentemente consapevole della
sua struttura vacillante con i suoi milioni di lavoratori
precari senza capacità di progettare il proprio futuro.
Conseguenze che sono temute nei Paesi del Sud europeo dove le televisioni sono sempre più controllate, le
disgrazie dovute alla crisi nascoste e il nascere di fenomeni “alternativi” stroncati. Conseguenze che quindi
hanno convinto l’Occidente a procedere alla completa
militarizzazione delle aree cruciali, militarizzazione
facilitata dalle centinaia di Basi Nato e Americane disseminate sul Vecchio Continente, e come detto prima
al passaggio di consegne della materia di Ordine Pubblico dalle Polizie Nazionali agli eserciti coordinati
ormai a livello sovranazionale, consumando quindi
un autentico Golpe. Non sarà così per giornalisti, professoroni e intellettuali vari, tutti assoldati dal potere,
ma l’essenza è quella di un regime militare nascosto
che funge come braccio armato della democrazia
dei numeri finanziari, sempre più propensa a gettare
nell’insicurezza il singolo cittadino neutralizzando la
sua reazione, ma che comunque teme il precipitare incontrollato della situazione. Sinistre e Centro Sociali
in Germania si sono subito appropriate della protesta,
visto che le Destre vanno a braccetto con le istanze del
potere, ma come sempre facendo il gioco degli “oppressori” lanciando slogan di pacifismo e di disarmo
e non capendo, o non volendo capire, la complessità
di un processo ben strutturato che prevede l’annullamento dell’opposizione mentale e di quella fisica.
Un’eutanasia calcolata al millimetro che ha cancellato
ogni istanza di contestazione nazionale, l’unica capace
di fare leva sulla libertà di un popolo, ghettizzandola
in recinti storici dei quali sono vietate anche le analisi
distaccate. La morte della Nazione è un processo irrinunciabile per chi vuole mettere le mani sulle nostre
libertà e per chi vuole amalgamarci in nome del “capitale apolide” basato sul disordine finanziario e il passo
del GUZ non può non svegliare qualche animo irrequieto in più, perchè dalla coercizione dell’intelletto
stiamo passando alla coercizione del corpo, ora che
i nostri padroni hanno deciso di dichiarare lo stato
d’assedio nei loro domini che non sono più i paradisi
terrestri raccontati nelle favole del “Libro Democratico”.
Intervista dell’International Business Times
a Matteo Caponetti (ESFS)
Intervista integrale e originale dell’International Business Times di New York a Matteo Caponetti
Coordinatore e Responsabile del European Solidarity
Front for Syria
1) Vedo che l’organizzazione è stata fondata a gennaio.
Quanti membri avete? Quale tipo di eventi avete organizzato?
Il Fronte Europeo di Solidarietà per la Siria è nato
all’inizio del 2013 dall’idea di alcuni attivisti che sin
dall’inizio dei tumulti in Siria si erano adoperati per
sostenere la posizione del presidente Assad e del popolo siriano. Nasce quindi per unire le forze di tutti
i sostenitori europei di questa giusta causa al fine di
dare voce alle comunità siriane sparse nel nostro vecchio continente che sono state oscurate volutamente
dai mass media internazionali. I principali fondatori di questo progetto si trovano in Italia, Grecia, Cipro, Belgio, Olanda, Finlandia e Spagna ma abbiamo
trovato subito l’entusiastico sostegno da parte di numerosi militanti che si sono subito attivati in diversi
paesi e più precisamente in Polonia, Francia, Repubblica Ceca, Romania, Irlanda, Serbia, Gran Bretagna,
Scozia, Malta, Ucraina, Danimarca, Svezia, Canada
e Argentina. Abbiamo simpatizzanti ovunque anche
nei paesi sopra non citati come Germania, Slovacchia, Slovenia, Svizzera perfino in Indonesia ed Australia oltre ovviamente il sincero affetto di molti anzi
moltissimi siriani. Le attività da noi svolte fino ad ora
sono state molteplici, abbiamo iniziato con campagne
di affissioni con manifesti comparsi in varie città e capitali europee basti pensare che ad esempio in Grecia,
nonostante la crisi economica e i gravissimi problemi di politica interna, le affissioni hanno coperto ben
17 città. Stessa cosa vale per il resto del materiale da
noi prodotto come adesivi, volantini e striscioni che
in Spagna, Olanda, Italia, Finlandia, Malta, Romania
hanno avuto gran successo. Il nostro lavoro però non
si ferma solo a semplici ma importantissime affissioni,
abbiamo organizzato e organizzeremo svariate conferenze soprattutto nelle scuole, in cui abbiamo avuto la
fortuna di essere invitati per spiegare l’importanza di
questa battaglia per la civiltà, sono poi in programma
raccolte fondi e di materiali da inviare qualora ne servisse la necessità direttamente in Siria, abbiamo stretto legami con le varie comunità siriane e prodotto vari
articoli e video per monitorare e diffondere la grave
situazione che ha colpito e colpisce il popolo siriano
in questa barbara guerra mossa entro i suoi confini
dalla comunità internazionale. In questo breve periodo di attività due sono state però le iniziative più
importanti, la prima è stata compiuta in occasione
dell’anniversario del secondo anno dallo scoppio degli attentati terroristici in Siria, per questa data avevamo in mente un azione che potesse riscuotere l’attenzione da parte dei media e alla fine dopo attente
riflessioni abbiamo optato per piazza San Pietro aiutati anche dall’importante manifestazione che vedeva
la partecipazione di migliaia di persone e centinaia di
giornalisti e televisioni presenti al primo angelus del
neo eletto papa Francesco. Il risultato è stata il silenzio dei media e la scientifica indifferenza con tagli di
immagini e telecamere che evitavano di riprendere la
piazza intera in cui erano presenti almeno 30 bandiere
siriane. La seconda è avvenuta sabato scorso durante
il corteo organizzato dall’Ucoii (Unione delle comunità islamiche in Italia) in sostegno all’FSA (Free Syrian
Army). Durante il corteo alcuni dei nostri attivisti
hanno pacificamente e spontaneamente organizzato
una azione dimostrativa per protestare contro questa
manifestazione, sventolando bandiere siriane e innalzando cori solidali con il popolo siriano e il suo legittimo presidente Bashar al-Assad. In questo corteo
vi erano presenti tra l’altro alcuni esponenti salafiti e
un rappresentante dei fratelli musulmani in Siria, tutto ciò ovviamente documentato da noi con foto, oltre
sicuramente a persone che in buona fede credono in
una causa che il 90% dei siriani però respinge pagando con la propria vita la fedeltà e la difesa della propria
patria. Gli effetti della nostra azione hanno portato a
svegliare e compattare molte coscienze ma allo stesso tempo ci hanno portato ad essere stati denunciati dalla polizia, oltre a ricevere insulti e minacce con
tanto di schedario fatto di foto e dati personali in possesso di persone che in Siria hanno partecipato alla
lotta armata tra le file degli integralisti musulmani. Il
nostro lavoro è molto impegnativo perchè in Europa
e nel mondo sono nate nel silenzio assoluto moltissime spontanee manifestazioni, siti internet, pagine e
profili sui social network e comitati che sostengono il governo di Damasco. Il nostro prossimo importante appuntamento sarà la manifestazione in programma a Roma nel mese di giugno.
2) Quale sono le vostre ragioni per sostenere Assad?
Innazitutto ci tengo a precisare che noi, diversamente
da altri abbiamo una posizione lineare sin dall’inizio,
quindi parlo di ormai due anni fa, tutti gli attivisti che
oggi fanno parte del Fronte Europeo di Solidarietà
per la Siria hanno sempre sostenuto la legittimità del
governo dell’attuale presidente siriano Bashar al-Assad. Sosteniamo Assad perchè sostenere Assad, come
ci spiegano i nostri amici siriani, significa difendere il
proprio paese, la propria terra, la propria famiglia, il
proprio popolo. Difendiamo Assad e nello stesso tempo condanniamo questo meccanismo mediatico che è
stato messo in piedi dall’occidente che distorce la verità
raccontando volutamente solo ciò che fa più comodo
alla propaganda delle nazioni coinvolte in questa feroce aggressione diretta ed indiretta contro la nazione
siriana, omettendo e falsificando le notizie provenienti dalle città siriane in cui la totalità della popolazione continua a gridare senza remore ” il popolo vuole
Bashar al-Assad”. Noi ci opponiamo fortemente alla
creazione di un ennesimo stato fantoccio in mano alle
potenze occidentali in Medioriente perchè crediamo
che siano esse stesse motivo della mancata pacificazione in cui riversa l’intera area geografica. Due anni
fa il movimento di protesta siriano, come parte della
primavera araba, ha rivendicato pacificamente nuove
riforme in un paese, nel quale, varie realtà etniche e
religiose in centinaia di anni hanno imparato a coesistere l’una con l’altra su uno stesso territorio. Come
è accaduto esattamente per la Libia, questo delicato
equilibrio è stato sconvolto dall’intervento dei governi
occidentali e dei suoi alleati del Quatar e dall’Arabia
Saudita, che pur sostenendo la forte volontà di volere
la pace nel paese a favore dei diritti umani, allo stesso
tempo hanno infiltrato agenti fornendo armi e denaro
alle fazioni ribelli anti-governative. Le file dei ribelli continuano a essere ingrossate dall’arrivo di mercenari affiliati anche a movimenti integralisti come
Al-Qaeda, gli stessi terroristi contro cui la Francia ha
recentemente intrapreso una campagna militare in
Mali ma che paradossalmente supporta attivamente
in Siria. Gli stessi terroristi che il mondo intero capitanati dagli USA combattono in Afghanistan, Iraq
ecc, gli stessi terroristi che sono stati autori di vili attentati in tutto il mondo mietendo vittime innocenti
di assurdi giochi di potere. Ora le vittime innocenti
sono di nazionalità siriana ma sta volta a difenderle c’è
un coraggioso presidente che con l’aiuto di un eroico
esercito e un incomibile popolo resiste e contrabbatte
questa barbaria esportata dentro i loro confini. Essi,
quindi, non rappresentano il popolo siriano, ma gli
sforzi delle potenze occidentali che con il beneplacito
appoggio dell’integralismo islamico vogliono fare della Siria un nuovo stato fantoccio nelle loro mani nello
scacchiere mediorientale. Per questo motivo il Fronte
Europeo di Solidarietà per la Siria è al fianco del popolo siriano, del suo esercito, del presidente Assad e
del suo governo. Abbiamo il dovere di essere la loro
voce in Europa e cercare di svegliare più coscienze
possibili dinanzi a questa ennesima dimostrazione di
arroganza imperialista dell’Occidente, dalla brutalità
del fondamentalismo islamico e dagli interessi politici
ed economici dei paesi mediorientali come Turchia.
3) Ci sono dei partiti politici, in Italia o all’ estero, che
hanno le vostre stesse opinioni?
In Italia e in generale in Europa partiti che sono
espressione di una percentuale importante di un paese
che sostengano la Siria ed Assad non ci sono. Esistono
partiti come il Fronte Nazionale di Marine Le Pen in
Francia che da sempre ha rapporti amichevoli nei confronti di Damasco ma è l’unico esempio. In Italia e nel
resto dell’Europa vi è il silenzio, oltre ad alcuni partiti
minori che da sempre hanno posizioni antimperialiste, ma ognuna con i distinguo dovuti alla propria appartenenza ideologica, non ci sono partiti importanti
schierati in questo senso, si possono trovare singoli
parlamentari battersi ma sono voci isolate che non
trovano consenso all’interno delle loro stesse organizzazioni politiche. In realtà la creazione della nostra
organizzazione, il Fronte Europeo di Solidarietà per la
Siria, ha proprio lo scopo di unire tutte le voci fuori
dal coro coinvolgendo moltissimi movimenti ed associazioni che non hanno paura di gridare e sostenere
senza imbarazzi Viva la Siria! Viva Bashar al-Assad!.
4) Quali sono state le reazioni del pubblico quando avete iniziato a presentare il vostro messaggio?
La reazione dell’opinione pubblica nella maggioranza dei casi è di indifferenza totale. Quella siriana è
una causa che non conosce o non interessa la maggioranza della gente comune. Questo però varia da
paese a paese e dai diversi problemi politici ed economici che quei paesi attraversano. I principali mass
media presentano la situazione siriana seguendo il
solito schema dei buoni e cattivi. Ma l’assuefazione
si sta trasformando in indifferenza perchè gli schemi
utilizzati in Siria stanno diventando ripetitivi all’occhio degli spettatori e questa indifferenza potrebbe
rivelarsi, se saremo in grado di attirare intelligentemente la loro attenzione, una possibilità di risveglio
per molte coscienze davanti a questo violento e criminale attentato nei confronti di uno stato sovrano.
Che la farsa continui
munque questa è anche la dimostrazione di come la
politica italiana, ormai ridotta a marionetta dei poteri
forti, sia costituita da gente altamente mediocre che
– chi per scopi meramente personali, chi per ignoranza in materia, chi per un suo fallimento umano – sta
portando la gente a stufarsi di essa. C’è da augurarsi
solo che le persone incomincino a guardarsi intorno e,
con una migliore presa di consapevolezza, si tolgano
dalla mente tante tare mentali imposte dal sistema (tra
le quali i fardelli dell’antifascismo, anticomunismo, e
anti-vari che hanno scassato le scatole, visto che creano divisioni e la nascita di generazioni, soprattutto nel
versante degli “antifascisti”, di debosciati e ignoranti )
e si uniscano in una visione migliore e illuminata del
fare politica. Questa potrebbe essere una grande occasione. Ricordiamo, per finire questo breve articolo,
di Luca D’Amico
che Napolitano è ben amato in USA, in Israele e presso l’Unione Europea.
Sabato 20 aprile 2013 è stato eletto il nuovo Capo dell A buon intenditor, poche parole.
Stato. Sarebbe stata una data pur se non storica, si- Al di là di come andrà a finire, W l’ITALIA!
curamente da scrivere negli annali della Repubblica
Italiana, ma lo sarà ancor di più in quanto ha visto la
rielezione del Capo dello Stato uscente, Giorgio Napolitano. La sua candidatura, dopo varie elezioni a
vuoto di altri candidati – come Prodi e Rodotà – sono
mancate anche a causa dello schieramento del centro-sinistra (il PD) che ha candidato Prodi (scelta di
per se non condivisibile, visto il passato di tale personaggio) ma che alla resa dei conti non gli ha permesso
di avere il quorum sufficiente per l’investitura. Franchi
tiratori? Semplici sbandati? Non si sa. Sta di fatto che
Napolitano, salvo una sua volontà di non proseguire
per tutti i sette anni, è e sarà il “nuovo” Presidente della Repubblica Italiana fino al 2020. Ma un dubbio ci
assale: siamo sicuri che l’elezione è stata fatta apposta
per porre fine a queste votazioni infruttuose? Non potrebbe esserci l’ipotesi che il tutto è avvenuto perchè,
vista la situazione di palese e assodata volontà di non
formare il Governo a distanza di quasi due mesi dalle
elezioni, con la presenza di “Re Giorgio” finalmente si
sbloccherà lo stallo a Montecitorio? E siamo sicuri che
il tutto potrà originare un Governo che, pur se non
costituito da tecnici, ricalcherà la formula “Montiana”
delle “lacrime e sangue”? E, vista la condivisione di
tutti gli schieramenti politici, nessuno si sentirà in colpa per la tosatura delle pecore italiote? Non crediamo
che possa verificarsi diversamente, tipo indire nuove
elezioni. Non avrebbe senso. Infatti già si fa largo il
nome di Amato… In sostanza, possibilmente per i
prossimi 5 anni, si avrà un Governo alla Monti solamente più “ufficile” del Professore – in quanto eletto
dal popolo – e con briglie sciolte. Meglio di così! Co-
Panorami siciliani, strategie americane,
dispute italiane: il MUOS che spaventa
di Davide Ciotola
Cercando di voler andare oltre un discorso antiatlantico pregiudiziale è lecito approfondire in maniera raziocinante il perché il Mobile User Objective System
rappresenta un immenso interrogativo per la salute e
lo sviluppo della meravigliosa terra di Sicilia. E’ infatti
evidente che non è puntando il dito sull’ennesima lesione della richiesta, pur legittima, di rispetto della sovranità nazionale che solamente si può discutere l’argomento in questione, e per due motivi principali: in
primis è lapalissiano che l’Italia non si può permettere
oggi, men che ieri non avendone la benché minima
forza diplomatica, di opporsi ai disegni geostrategici
di quello che da sessanta e più anni è il suo primo alleato, e le tantissime strutture che gli Stati Uniti mantengono sul territorio italiano nonostante sia cessato
da tempo il pericolo rosso sono la riprova di questo,
et in secundis considerando che dello sviluppo dell’affaire MUOS, da parte italiana, gli estensori sono stati
i vertici dei governi succedutisi di entrambi gli schieramenti politici, posizione confermata finanche dalle
ultime dichiarazioni del governo tecnico, nella persona del ministro degli interni Annamaria Cancellieri,
che si è rivolta duramente alla presidenza della Regione Sicilia affermando che: “(…)il MUOS è d’interesse
strategico per la difesa militare della Nazione e dei nostri alleati” indicando le opposizioni alla realizzazione
del progetto americano “(…)inaccettabili perché impediscono l’attuazione delle esigenze di difesa nazionale tutelate dalla Costituzione” E’ dunque sull’ampia
autonomia concessa, nel bene e nel male, alle amministrazioni locali che invece ha potuto trovare terreno la
forte richiesta della cittadinanza di Niscemi, che, comunque ben conscia di anni di pressapochismo am-
ministrativo, ha invertito la solita rotta di cordiale benemerenza riservata all’ospite americano: se, sempre a
Niscemi, per quanto riguarda il sistema NRTF (Naval
Radio Transmitter Facility , 46 trasmettitori, innestati
in un territorio facente parte di una sughereta tra le
più antiche d’Europa, tanto da essere stata classificata
come area naturale protetta, sito d’interesse comunitario dal 1997) dal 1991, e per oltre ventanni, non si
sono mai posti problemi sugli effetti nocivi alla salute
derivanti dal campo elettromagnetico di quelle antenne, per il Muos sin dall’inizio vi è stata perlomeno
una minima considerazione di eventuali pericoli da
esso derivanti. Lo scontro più importante è dunque
diventato quello tra le perizie tecniche commissionate
di volta in volta dalle parti di questo triste intreccio
con protagonisti accademici e istituzioni. Tra gli studi
pubblicati il più controverso, ad oggi, per importanza
e clamore suscitato, si è dimostrato quello dei Professori Luigi Zanforlin e Patrizia Livreri dell’Università
di Palermo: essi, nel loro lavoro, svolto su commissione di una società di ricerche scientifiche milanese (di
proprietà statunitense), avrebbe utilizzato infatti delle
informazioni tecniche frutto della collaborazione diretta della Difesa USA, arrivando a dimostrare il fatto
che il sistema MUOS sarebbe sostanzialmente innocuo; il grosso problema è che naturalmente le informazioni in mano ai due accademici, quindi alla base
del loro studio, non possono essere condivise con la
comunità scientifica per essere discusse, in quanto coperte da segreto militare. Ma un’altra importantissima
opinione, invece, è quella rappresentata ad esempio
dallo studio del Professor Massimo Zucchetti (a onor
del vero collaboratore del MIT, quindi non certo un
antiatlantista) e del Dott. Massimo Coraddu del Politecnico di Torino, che fanno invero della mancanza
di dati ufficiali completi il primo tassello di un puzzle preoccupante, sotto ogni punto di vista: secondo
il loro rapporto “Le misurazioni svolte da ARPA-Sicilia tra Dicembre 2008 e Aprile 2010 presso l’NRTF
di Niscemi, seppure eseguite con strumentazione e
procedure non del tutto adeguate, hanno evidenziato
un sicuro raggiungimento dei limiti di sicurezza per la
popolazione, ed anzi un loro probabile superamento”,
concludendo alquanto seccamente che “per un principio di salvaguardia della salute della popolazione e
dell’ambiente, non dovrebbe essere permessa alcuna
installazione di ulteriori sorgenti di campi elettromagnetici presso la stazione NRTF di Niscemi, e anzi
occorre approfondire lo studio delle emissioni già
esistenti e pianificarne una rapida riduzione, secondo
la procedura di riduzione a conformità prevista dalla
legislazione italiana in vigore. Alle emissioni del siste-
ma MUOS sono associati rischi di gravi incidenti e di
danni per la salute della popolazione e per l’ambiente,
che andrebbero attentamente valutati, e che ne impediscono la realizzazione alla distanza di appena qualche Km da aree densamente abitate.” Il recente stop
ai lavori di installazione del MUOS emesso dal Presidente della Regione Sicilia sembra sempre più oggi la
solita presa di tempo politica, visti gli scarsi risultati
ottenuti: da una parte il Consolato Generale degli Stati Uniti d’America, da Napoli, ha reagito rilasciando
una nota ufficiale in cui dichiara di apprezzare “l’accordo tra il Governo Italiano e la Regione Siciliana di
affidare ad un organismo tecnico indipendente uno
studio approfondito e in tempi brevi di valutazione
dell’impatto sull’ambiente e sulla salute delle popolazioni interessate”, ma ha anche tenuto a sottolineare
che “nel frattempo le predisposizioni presso il sito
continueranno”; questo statement di conseguenza ha
provocato dall’altra parte la mobilitazione dei diversi comitati No MUOS, i quali ormai sono in stato di
mobilitazione permanente, attraverso una protesta
continua con presidi fissi davanti agli ingressi dell’area
della base americana. Sullo sfondo rimane il paesaggio di questa terra meravigliosa che, come sempre da
secoli, contesa dai dominatori dell’epoca, ostaggio dei
potenti di turno, nonostante rimanga tuttora la vera
perla del Mediterraneo, viene ancora una volta sacrificata a nuovi motivi strategici, più grandi certamente
della Trinacria stessa, ma sicuramente mai appieno rispettosi delle popolazioni coinvolte e della storia che
queste rappresentano.
Educazione Siberiana: dal libro al film,
un viaggio interrotto
di Cristina Di Giorgi
Nove volte su dieci quando vai a vedere un film dopo
aver letto il libro da cui è tratto ti viene spontaneo
fare confronti e critiche, soprattutto sul come è stata tradotta in versione cinematografica la storia che
hai letto e se ne è stato rispettato lo spirito. E questo vale a maggior ragione se il libro ti è piaciuto.
Leggere Educazione siberiana di Nicolai Lilin, da divoratrice di volumi quale sono, è stata per me un’esperienza doppiamente intensa: primo perché è stato
l’ultimo consiglio entusiastico di un Amico che poi ha
proseguito il suo viaggio verso l’Orizzonte e secondo
perché mi ha fatto scoprire un mondo, quello della
cosiddetta “criminalità” siberiana, a me prima totalmente sconosciuto. Ho usato non a caso il termine
“cosiddetta”, perché attraversando le esperienze di vita
dell’autore del romanzo, si viene a contatto con una
struttura comunitaria basata su tradizioni antiche e
rispettate, spesso e volentieri tutt’altro che criminali.
O per lo meno, per niente negative se le si confronta con le storture sociali e comunitarie di gran parte dei Paesi delle democrazie occidentali e moderne.
Come ho già avuto modo di dire e di scrivere commentando il libro, “se è vero che formalmente la legge
è quella pubblica e/o politica, è però altrettanto vero
che all’interno della comunità criminale siberiana
esiste una ben più rigida gerarchia di regole e valori, rispettate da tutti i membri non solo e non tanto
per costrizione, ma per consapevolezza e amore, per
un senso di appartenenza che va oltre il confine del
politicamente corretto: il coraggio, le leggi della strada, l’amicizia, la lealtà, la condivisione dei beni, l’amore e il rispetto per i disabili e anche la cultura del
tatuaggio, che racconta sulla pelle la storia di ognuno” (da un mio articolo pubblicato su Altaforte.org).
E’ quindi con uno spirito di interesse e grande curiosità che sono andata a vedere il film di Salvatores
ispirato al romanzo di Nicolai Lilin, con l’immenso
John Malkovich nella parte del nonno del protagonista (pilastro della comunità siberiana e custode delle
sue regole di vita e d’onore). Senza voler rivelare troppo a chi ha intenzione di andarlo a vedere (cosa che
consiglio sicuramente), è inevitabile per me togliermi
qualche sassolino dalla scarpa e lanciare una frecciatina al regista che – pur essendo io consapevole del
fatto che qualche concessione “cinematografica” alla
trama del libro andava comunque fatta… – secondo
me ha decisamente ecceduto nella sua interpretazione della vicenda narrata. Per i miei gusti sono stati
fatti troppi cambiamenti (sia riguardo ai personaggi sia nel filo della narrazione) e troppi “tradimenti”
allo spirito della storia come l’ho letta nel libro. Su
tutto questo troneggia comunque l’immensa figura
del nonno patriarca e la grandissima interpretazione
di Malkovich, che ne ha fatto un personaggio forte, a
tratti inquietante ma comunque degno di grande ammirazione. Solo per lui il film merita di essere visto.
Vi consiglio quindi di andare al cinema, ma di farlo con spirito critico (e questa è una “regola” a mio
modo di vedere sempre e comunque valida e utile…):
guardate il film e poi leggete il libro, traendo da voi le
giuste conclusioni. Fatevi e fate a tutti delle domande, anche e soprattutto “scomode” (come quella che
mi sono fatta io al termine di questo duplice “viaggio
tra i ghiacci siberiani”): nel binomio legalità-criminalità, da che parte sta veramente il giusto e soprattutto…chi è in grado di dispensare giudizi in materia?
Meditate gente…meditate! E fatelo con la vostra testa!!
Leon Degrelle: soldato d’Europa
di Livio Basilico
Molte cose sono state scritte su Leon Degrelle, ma chi
era realmente costui ?
Nato nelle ardenne belghe, più esattamente a Bouillon il 15 giugno 1906 ; studio’ all’università Cattolica di Louvain dove si occupo’ di letteratura, poesia e
giornalismo. Nel 1929 diventò redattore capo del quotidiano “Il XX Secolo” di Bruxelles. Dopo un breve
passaggio in Italia, Leon Degrelle non nasconde la sua
ammirazione per il fascismo mussoliniano. Chiusa la
parentesi italiana, decise di partire in Messico, dove
lì vive clandestinamente in mezzo ai partigiani cattolici, i « CRISTEROS ». Tornato nel 1931 in Belgio,
dirige l’Azione Cattolica belga e poi, nel 1935, fonda
il movimento ” Rex “, che prende nome dal motto «
christus rex » un partito che si ispira contemporaneamente a Maurras, l’animatore dell’ Action Française e
al fascismo italiano. Agisce mettendo in risalto tutte le
corruzioni della classe politica. “Contro tutti i partiti,
contro tutti i corrotti !” è uno degli slogan principali di
Rex.”Rex è un movimento, ovvero una forza attiva che
traina una corrente d’idee. Rex è un movimento rivoluzionario. Rex è un movimento popolare”. In contrasto acceso con i comunisti e i socialisti, Rex predilige
però la lotta ai capitalisti. Si deve a Degrelle il primo
sciopero generale belga in difesa dei diritti dei lavoratori. La riuscita dello sciopero venne assicurata dalla
collaborazione tra classi e tra città e campagne. I figli
degli scioperanti furono infatti accolti e nutriti nelle
fattorie e nelle case borghesi mentre i padri, privi del
ricatto quotidiano, poterono continuare la battaglia
fino alla vittoria. Il grande successo elettorale di Rex
provocò la santa alleanza fra monarchia, clero, sindacati, partiti socialisti e comunisti, capitalisti. In questo
quadro iniziava frattanto la Seconda Guerra mondiale. Degrelle, in quanto simpatizzante dell’asse, fu arrestato arbitrariamente e consegnato ai francesi che lo
internarono nel medesimo campo di concentramento
nel quale si trovavano i reduci repubblicani della guerra civile spagnola (anarchici e comunisti). In mezzo a
questi nemici naturali nessuno poteva scommettere
un centesimo sull’incolumità del giovane capo belga.
Invece i prigionieri spagnoli solidarizzarono con lui.
Il Belgio occupato dai Tedeschi era destinato a scomparire nella Nuova Europa. Per farlo sopravvivere
Degrelle, liberato dal comando germanico, propose
l’entrata in guerra, sul fronte dell’est di una legione volontaria belga in crociata contro il comunismo. Uomo
d’azione più ancora che di apparato, Degrelle parte volontario sul fronte come soldato semplice nella
Divisione da lui creata, la Waffen SS Wallonie, per la
quale ottiene da Himmler il privilegio inconsueto di
un cappellano militare. Sul fronte dell’est Degrelle si
guadagna i gradi ascendendo fino a quello di generale,
ottenuto nella primavera del ’45. Guerriero di razza,
Degrelle, in un solo drammatico giorno, nella radura
di Tcherkassi intraprende ben 17 corpi a corpo venendo ferito 3 volte. Hitler, ammirato da tanto coraggio,
lo fa prelevare da un aereo e lo ospita al Berghoff per
la convalescenza.”Se avessi un figlio vorrei che fosse
come lei” gli dirà. A guerra perduta Degrelle ripara in
Spagna planando rovinosamente sulla spiaggia basca
per mancanza di carburante. Condannato a morte dal
nuovo regime belga (che gli assassina padre, madre e
un fratello), Degrelle ottiene asilo politico in Spagna.
La sua richiesta alle autorità belghe di riaprire il processo, di trasmetterlo pubblicamente e di consentirgli
di presenziarvi in divisa di generale SS viene rigettata.
La sua condanna venuta in prescrizione, i Belgi la riconfermano incostituzionalmente inventando un’apposita legge detta Lex Degrelliana.
Durante la campagnia militare in russia, Leon Degrelle scrisse “MILITIA” il cui titolo originale era Les
Ames qui brûlent (Le anime che bruciano). E’ doveroso pubblicare qualche righe di questo testo:
“Il denaro, gli onori, i corpi sciupati, l’avidità nel carpire una felicità terrena che sfugge di mano e sempre
si sottrae, hanno reso il gregge umano un’orda miserabile, che si avvelena, si sbrana, per trovare liberazioni
inesistenti. Non si tratta più di un girotondo di isolati,
morsi dalle passioni e dai vizi. Sono le collettività a
venir aspirate dal vortice dei desideri impossibili: desiderio di possedere, di essere il primo, di fondare la
propria potenza sulla materia, cioè di soffocare e di
eliminare lo spirituale con pseudo-piaceri che sono
soltanto caricature della gioia. L’acqua limpida dei
cuori si è intorbidita sino agli strati più profondi. Il
fiume degli uomini trasporta un diffuso odore di fango. Il disordine del secolo ha sconvolto tutto quel che
un tempo era luce e voli a tuffo di rondini nei cannetti.
Ogni giorno il mondo è sempre più egoista e più brutale. Ci si odia tra uomini, tra classi, tra popoli, perchè
tutti si accaniscono nella ricerca dei beni materiali il
cui possesso furtivo rivela il nulla. Ma tutti rinunciano
ai beni dell’universo morale e dell’eternità spirituale.
Chi ha conosciuto la caduta riconosce sempre le linee
di rottura, per quanto esse siano finemente aggiustate:
contengono delicatezze spezzate.
Chi non è stato vile un giorno, chi non reca in sè parole, gesti, desideri, abdicazoni inconfessabili, o il cadavere mummificato della propria vita interiore? Quanti
uomini non celano al riparo delle convenzioni il fallimento della loro sensibilità, dei loro giuramenti e la
miserabile profanazione dei loro corpi? Con rimorsi, a
volte; senza rimorsi, il più delle volte. O piuttosto, anche con una piccola aria di trionfo e d’insolente provocazione. Le cadute finali – quelle che hanno liquidato tutto – decenza, pudore, rispetto di sè, del proprio
corpo, della propria parola, e Dio del resto – sono il
risultato di centinaia di piccoli rinnegamenti preliminari, all’inizio negati o celati. L’insieme precipita solo
allorchè le innumerevoli fibre del cuore sono state tagliate, le une dopo le altre, in mezzo ai sotterfugi, alle
cattive ragioni, seguite da molteplici rinuncie sempre
più irrimediabili, con la coscienza assassinata…I Santi furono semplici uomini, semplici donne, carichi di
passioni, debolezze e sovente di colpe. Anch’essi, talvolta, hanno dovuto stancarsi, cedere, dirsi che non
sarebbero mai arrivati a scrollarsi di dosso il peccato
che li accompagnava: eppure non hanno rinunciato.
Ad ogni caduta si sono rialzati, decisi ad essere tanto
più vigili quanto più si sentivano deboli. La virtù non
è un abbigliamento provvisorio, ma una lenta, dura e
a volte assai penosa conquista. Essi hanno provato la
gioia di sentirsi alla fine vincitori del proprio corpo
e del proprio pensiero. La loro lotta ci dice che la felicità rimane alla porta di ognuno. Ognuno possiede
una libertà: è lo spirito che vince o che capitola. Le
anime dormono o sono sterili, ed è appunto a causa
del soffocamento spirituale che il mondo decade. E’
di speranza, di carità, di giustizia, di umiltà, di vita
spiriutuale che il mondo ha bisogno. La fede ha valore
solo quando conquista; l’amore quando arde; la carità,
quando è di salvamento.”
Parole forti le sue, che ancora oggi risuonano nelle
menti di tutti noi camerati, Parole che nutriscono il
piu profondo delle nostre anime, come lui stesso disse:
“In fondo, tu sei tanto felice.
Tu sai che là risiede la sola felicità.
Canta!
Tuoni la tua voce nelle valli!
Rimpianti e lacrime? Ma è la parte più mediocre di te
che ha sofferto: quella che tu hai appena respinto!
Il più duro è superato. Resisti. Stringi i denti. Fa tacere
il cuore. Non
pensare che alla vetta! Sali!
Degrelle; aveva sognato «un secolo di cavalieri, forti
e nobili» invece si ritrova stordito col suo «carico di
sogni tramontati» questo stesso stordimento lo spinse
un giorno a scrivere che: «i giardini interiori dell’uomo hanno perduto i loro colori e i loro canti di uccelli». L’unico rimedio alla morte dell’Uomo è il sacrificio
che per Degrelle coincide con l’amore. Sostiene che
«la felicità esiste solo nel dono, nel dono completo di
se stesso.”…di seguito alcuni brani tratti da un intervista avvenuta nella sua casa di malaga il 1°marzo 1988 :
“Noi (…) eravamo soldati che proiettavano nella lotta le loro idee, e che si preparavano alla costruzione
dell’Europa. Ma questa concezione dell’Europa non è
arrivata subito (…). È stata la guerra che, spingendo
i Tedeschi fuori dal proprio Paese ha fatto capire loro
cosa succedeva negli altri Paesi. Ha fatto anche si che
negli altri Paesi vedessero i Tedeschi e potessero rendersi conto di cosa fossero, e che eravamo tutti degli
europei, nonostante tutte le lotte e gli odi eravamo tutti la stessa gente (…).
C’era il grande motore germanico, la Germania è nel
centro dell’Europa, è un Paese che ha il senso dell’organizzazione, del lavoro, della perfezione, vi stava benissimo come elemento trainante. Ma accanto esisteva
tutto questo meraviglioso mondo occidentale e la sua
civiltà bimillenaria. Che cos’era Berlino con i maiali
che camminavano nella sabbia della strada, mentre
Parigi era uno dei centri maggiori dell’universo, 1500
anni dopo che Roma era stata la capitale del Mondo ?
Era evidente che questo progetto germanico da solo
non avrebbe mai potuto fare l’Europa, aveva bisogno
del grande sostegno occidentale, ed è li che ho concentrato i miei sforzi , per far risorgere una grande
unità occidentale da unire al centro Europa ma anche
all’universo mondo slavo (…). Questo è sempre stato
il mio progetto (…). L’Europa !
nel brano che segue Degrelle spiega la sua visione
dell’Europa, questa stessa europa per cui ha lottato e
sofferto tanto, Degrelle emane, in ogni parola del suo
testo, una forza spirituale incredibile e un incrollabile
fede nel futuro :
« ” Noi abbiamo detto allo Stato: non occupatevi di
quello che non vi riguarda: le coscienze non sono affar vostro. Occupatevi delle riforme sociali, politiche,
economiche e lasciate le anime tranquille. Ed abbiamo detto alla Chiesa: diffondete la verità e la luce,
raggiungete le anime in una atmosfera sempre più
pura. Ed in un Paese, dove dirsi cattolici significava
appartenere ad un partito, abbiamo chiesto al clero di
avvicinarsi alle anime in punta di piedi, tacendo, e di
non occuparsi della nomina delle guardie campestri
e dei segretari comunali. Abbiamo cosi realizzato nel
nostro movimento, la realizzeremo domani nel Paese, l’unità fra credenti e non credenti. Alla Camera,
al Senato, abbiamo inviato dei parlamentari ai quali
non avevamo chiesto se erano cattolici o se non lo erano. Erano dei buoni cittadini che andavano a servire
il loro Paese, ed un Paese è un bene comune di quelli
che credono e di quelli che non credono. Ed erano in
gran parte dei giovani, di cui molti avevano appena i
venticinque anni necessari per essere eletti. Perché il
nostro Movimento, come quelli dei Popoli che si sono
salvati, è giovanile. Giovinezza!, come cantate voi Italiani.
” Si era diviso tutto il Paese in classi: classe contadina,
classe operaia, classe media, classe dirigente. Noi rexisti abbiamo mostrato alle classi che erano legate l’una
all’altra , e non soltanto dall’anima, dagli slanci umani,
ma dalle realtà economiche. La classe contadina non
può fare a meno degli operai. Ma quando gli operai
sono in miseria chi ne soffre? Anche i contadini che
non possono vendere i prodotti della terra agli operai
delle officine. E quando i contadini sono in miseria
patiscono operai e contadini, perché i contadini non
comprano i prodotti delle officine che non possono
lavorare a pieno rendimento. Nel sistema capitalistico,
quando succede che gli sbocchi sui mercati stranieri
sono chiusi, tutte le classi ne soffrono, perché sono legate l’una all’altra come gli anelli di una catena.
Per questo, noi rexisti abbiamo spazzato tutte le lotte di classe e siamo riusciti a far eleggere nello stesso
giorno un discendente della più alta nobiltà Belga, un
nipote di De Marode e di Montalembert insieme ad
un operaio metallurgico di Liegi, Knappen, nobile anche lui della più bella nobiltà del mondo: quella del
lavoro. Ed abbiamo pure superato la lotta delle lingue: Francese nel Sud, Fiammingo nel Nord, Tedesco
nell’Est. Si faceva credere ai Valloni, ai Fiamminghi
ed ai Tedeschi che per mantenere la loro cultura do-
vevano restare sulla difensiva, l’uno contro l’altro. Ed
invece noi abbiamo dimostrato, parlando in Francese
ai Fiamminghi ed ottenendo da loro 100.000 voti, che
era per noi un benefìcio inestimabile essere ad una
confìuenza di civiltà e poter gettare ponti tra il Germanesimo e la Latinità.
” Questa concezione della riconciliazione Nazionale
nella pace religiosa, sociale, linguistica, è la negazione
del parlamentarismo, che è, invece, il culto dell’odio
e dell’incompetenza. Perciò noi vogliamo riportare
il Parlamento alla sua funzione storica, che era unicamente il controllo ed il voto del Bilancio, e vogliamo creare al suo posto gli organismi corporativi che
ci mancano. Noi vogliamo ricondurre l’elaborazione
delle leggi in limiti normali; vogliamo che le leggi
agricole siano fatte dalla Corporazione dell’Agricoltura, vogliamo un regime speciale, si, una Corporazione
per l’Agricoltura, una Corporazione della Metallurgia,
una Corporazione della Pesca, del Cuoio; organismi
capaci di preparare leggi ben fatte e che lavorino seriamente alla collaborazione fra gli uomini.”
E’ difficile fare un riassunto di ciò che Leon Degrelle rappresenta per tutti noi camerati, siamo figli di
un Europa che ormai ha perso della sua grandezza e
splendore, questa stessa Europa che ha illuminato il
mondo durante millenni. Vorrei concludere questo
articolo dedicato a Leon Degrelle con una promessa
per tutti noi:
“Solo la forza delle nostre braccia potranno innalzare
sui vostri scudi quella vittoria che i deboli hanno creduto fosse ormai inaccessibile. Solo chi ha fede sfida
e rovescia il destino! Abbiate fede! E lottate! Il mondo lo si perde o lo si prende! Prendetelo! Nel deserto
umano, in cui belano tanti montoni, siate leoni! Forti
come loro! E come loro intrepidi! Nell’ora della disfatta di un mondo, c’è bisogno di anime rudi ed elevate come rocce contro cui s’ infrangeranno invano le
onde scatenate.” Un angelo-guerriero Leon Degrelle,
un esempio per la nostra gioventù. ETSI MORTUUS
URIT, seppur morto arde, è stato scritto sulla sua tomba.
E che Iddio ci aiuti! Salve, camerati!”
Le voci del silenzio
di Matteo Caponetti
Gli amici Federico Cenci e Fabio Polese hanno realizzato un interessante libro dal titolo “Le voci del silenzio – Storie di italiani detenuti all’estero”. Ci potete raccontare come e perché è nata l’idea di realizzare questo
scritto?
Mentre stiamo parlando circa 3.000 nostri connazionali patiscono nelle carceri d’oltreconfine. La maggior
parte di questi, ossia 2.000 persone, sono in attesa di
giudizio. Attesa talvolta estenuante, chimerica, risucchiati come sono in gineprai giuridici in cui il rispetto dell’imputato o del detenuto latita, specialmente se
questi è uno straniero.
A prescindere dalla loro innocenza o colpevolezza, si
tratta comunque di italiani che dovrebbero aver garantiti dei diritti. E’ avvilente che le loro vicende vengano abitualmente ignorate dai media nazionali. Lo
scopo del nostro lavoro è proprio quello di penetrare
questo muro d’indifferenza, dando finalmente voce a
chi finora voce non ha avuto: gli italiani detenuti all’estero e i loro familiari.
Quali riscontri avete avuto dai media e dalle librerie
nella divulgazione di questi fatti da voi così accuratamente raccontati nel vostro libro?
Abbiamo riscontrato grande interesse, a testimonianza che non c’è poi tutta questa indifferenza in
giro rispetto ai temi importanti. E’ solo che l’opinione pubblica ha bisogno di essere pungolata; se chi fa
informazione ottemperasse maggiormente al lodevole
compito di proporre costruttivi spunti di dibattito e di
confronto, siamo sicuri che la popolazione si lascerebbe coinvolgere con inattesi entusiasmo e vigore. Così
si innesca l’impegno civile.
Se invece i media si limitano a diffondere banalità e
notizie preconfezionate, alla fine si finisce per scivolare in un abisso di generale apatia.
Siamo oltremodo onorati che il nostro umile contributo possa aver smosso qualche coscienza.
Quali sono i maggiori problemi che avete riscontrato
nelle vostre ricerche sui vari casi giudiziari che avete
trattato?
Anzitutto la lingua. In alcuni Paesi i nostri connazionali non riescono neanche ad ottenere la presenza
di un interprete in sede processuale, debbono quindi sottoporsi a dei processi senza potersi difendere e
senza capire i contenuti delle accuse rivoltegli contro.
Talvolta, inoltre, non è garantita nemmeno una difesa degna di esser definita tale: gli avvocati d’ufficio di
alcuni Paesi appaiono evasivi rispetto alle legittime
istanze dei loro assistiti e dei familiari, sembrano essere addirittura conniventi con i giudici e con l’accusa. In certi casi si può parlare di veri e propri processi
sommari.
Per non parlare, poi, dei problemi che sono comuni
alle carceri di molti posti al mondo, compreso il nostro Paese: sovraffollamento, mancanza d’igiene, violenza.
C’è in particolare una storia che vi ha maggiormente
colpito rispetto alle altre?
Ogni storia tra quelle che abbiamo trattato possiede
aspetti molto toccanti che non possono certo lasciarci
indifferenti. La storia di Mariano Pasqualin è una di
queste. Mariano, un ragazzo di Vicenza che è stato arrestato per traffico di stupefacenti a Santo Domingo,
ha trovato la morte dopo pochi giorni dal suo arresto
in circostanze alquanto sospette in una galera del posto. Nonostante la richiesta della famiglia di far rientrare in Italia la salma al fine di procedere con un’autopsia che ne svelasse le cause del decesso, le autorità
di Santo Domingo hanno arbitrariamente deciso di
cremare il corpo e spedire in Italia le ceneri. Questa
– come le altre di cui ci siamo occupati – è una storia costellata da molte ombre, che nessuno, tra organi
di stampa e istituzioni in Italia, ha voluto approfondire. Solo sua sorella Ornella ha provato a sapere la
verità sfidando l’indolenza delle autorità italiane e le
ambiguità di quelle domenicane. I racconti di Ornella
Pasqualin trasmettono al lettore una grande forza d’animo, ma anche il dolore lacerante che ha colpito tutta
la loro famiglia.
Nel libro affrontate sia il caso Parlanti che quello di Forti. Avete notato qualche tipo di atteggiamento razzistico da parte degli Stati Uniti nei confronti dei nostri due
connazionali?
Purtroppo, sì. Non è una nostra sensazione, sono i fatti oggettivi a dimostrare che una pregiudiziale anti-italiana abbia influito negativamente sullo svolgimento dei due processi in questione. A titolo d’esempio,
riportiamo le parole che lo stesso Carlo Parlanti ci ha
pronunciato in merito a ciò: “…il Procuratore genera-
le ha invitato, più di una volta, i giurati a riflettere sul
fatto che io provengo dall’Italia che, secondo loro, ha
una cultura di violenza contro le donne. Gli americani, in genere, sono molto razzisti. Non conoscono le
statistiche e non sanno che negli Stati Uniti il tasso di
violenza è quindici volte superiore a quello dell’Italia”.
E ancora, testimonianza di Carlo Parlanti: “Vedono
l’italiano tipico come quello descritto dalla serie tv “I
Soprano” che descrive l’italiano come un mafioso, alcolizzato e un picchiatore di donne. E più volte, durante il mio procedimento, si è fatto riferimento a questo”.
Crediamo non ci sia bisogno di aggiungere altro.
In tutti i casi che avete menzionato nel libro avete mai
avuto l’impressione che i protagonisti di queste tristi
storie si sentano abbandonati e dimenticati dallo Stato
Italiano? E, se sì, quanta fiducia ripongono ancora su
di esso?
Molto spesso ci è capitato di percepire un senso di abbandono da parte dei protagonisti di queste disavventure. La maggiore responsabilità di questo ricade sulle
istituzioni italiane, il loro immobilismo è una delle
cause (ma non una giustificazione) dell’indifferenza
da parte dei media. Detto ciò, abbiamo constatato che
talvolta vi è l’impegno di singoli funzionari delle nostre sedi diplomatiche e delle ambasciate affinché gli
italiani detenuti all’estero non siano lasciati totalmente soli. Forse, per attuare azioni che abbiano maggiore incisività ci sarebbe bisogno di determinatezza da
parte delle alte cariche. Pertanto riteniamo che l’assenza di sovranità nazionale non aiuti in questo senso.
Federico e Fabio, vi ringraziamo della vostra disponibilità e vi invitiamo al più presto a parlarne davanti
ai nostri simpatizzanti e ai vostri lettori organizzando
insieme una conferenza sull’argomento. Nel frattempo
saremmo lieti di poter acquistare il vostro libro, consigli al riguardo?
Caro Matteo, grazie a voi dello spazio che ci avete concesso. Al più presto organizzeremo una conferenza insieme, siamo lieti del vostro sostegno e della vostra
sensibilità al tema. Chi volesse acquistare il libro, laddove non dovesse trovarlo nelle librerie a cui abitualmente fa riferimento, può richiederlo direttamente
alla casa editrice. Vi diamo i contatti a cui rivolgervi:
www.levocidelsilenzio.com
www.ecletticaedizioni.com
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