spettrometria gamma

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spettrometria gamma
SPETTROMETRIA
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GAMMA
La spettrometria gamma è un metodo di analisi che consente la determinazione
qualitativa e quantitativa dei radionuclidi gamma-emettitori presenti in un
campione di interesse.
Il successo di questo metodo sta nel fatto che, con rare eccezioni, tutti i nuclei
prodotti per decadimento di un nucleo padre, lo sono in uno stato eccitato, e quindi
emettono raggi gamma per raggiungere il loro stato finale.
I raggi gamma sono privi di carica elettrica e sono pertanto “invisibili” al rivelatore:
sono solo gli elettroni liberati a seguito dei vari processi di interazione (fotoelettrico,
Compton, produzione di coppie) a fornire la prova dell’interazione dei fotoni.
La funzione del rivelatore è quindi quella di trasformare l’energia dei raggi gamma
in una quantità di carica elettrica, ad essa proporzionale, che viene raccolta per dar
luogo ad un segnale elettrico.
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Un rivelatore per spettrometria gamma deve quindi essere costituito da un materiale
opportuno e avere dimensioni adatte, in modo che esista una buona probabilità di
interazione del fotone e che siano minimizzate le fughe di elettroni secondari (che
invece devono andare a costituire il segnale).
Dal punto di vista del materiale, i rivelatori a stato solido (a scintillazione o a
semiconduttore) sono i più indicati vista la densità e lo Z efficace (alta efficienza di
rivelazione).
Dal punto di vista delle dimensioni, considerando raggi gamma di energia pari a pochi
MeV, questi origineranno elettroni con energia massima anch’essi di pochi MeV, il cui
range in un rivelatore a stato solido è dell’ordine di qualche millimetro (anche i fotoni di
bremmstrahlung per tali energie sono poco penetranti). Dimensioni del rivelatore di
almeno un centimetro garantiscono quindi la raccolta di quasi la totalità degli
elettroni liberati.
Il fatto che tutti gli elettroni liberati siano raccolti nel rivelatore non è sufficiente a
garantire il completo assorbimento dell’energia del fotone-gamma incidente da parte
del rivelatore. Questo aspetto, che dipende dalla modalità di interazione dei fotoni e dalle
dimensioni del rivelatore, influisce sulla forma dello spettro gamma acquisito.
Nella spettrometria gamma a giocare un ruolo determinante sono le tre modalità di
interazione dei fotoni con la materia (rivelatore): effetto fotoelettrico, effetto Compton,
produzione di coppie.
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Effetto fotoelettrico
Viene liberato un elettrone con energia cinetica pari all’energia del fotone incidente,
meno l’energia di legame. Tale energia di legame la si ritrova poi sotto forma di raggi X
originati a seguito del riassesto degli elettroni atomici. A loro volta i raggi X
interagiranno per effetto fotoelettrico con elettroni atomici meno legati.
Alla fine se nulla esce dal rivelatore, nell’effetto fotoelettrico la somma delle energie
cinetiche degli elettroni liberati è uguale all’energia del fotone-gamma incidente nel
rivelatore
L’ effetto fotoelettrico è quindi il processo ideale
quando si è interessati alla misura dell’energia dei
raggi gamma. Nel caso di raggi gamma monoenergetici, la distribuzione differenziale delle
energie cinetiche degli elettroni per una serie di
eventi di effetti fotoelettrici è : un singolo picco
posizionato ad una energia pari all’energia dei
fotoni incidenti
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Effetto Compton
Viene liberato un elettrone con energia cinetica che dipende dall’angolo di scattering. pari
all’energia del fotone incidente, meno l’energia di legame. L’energia del fotone diffuso
abbiamo già visto essere pari a:
h ' 
h
h
1
 (1  cos  )
2
me c
L’energia dell’elettrone liberato (trascurando la sua energia di legame) è quindi pari a:

 h
 (1  cos  ) 

2
me c


Ee   h  h '  h 


h
 1  m c 2  (1  cos  ) 
e


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Effetto Compton
Possono essere identificati due casi limite:
1. Il fotone incidente viene diffuso ad un angolo prossimo allo zero (=0): in questo
caso l’energia ceduta all’elettrone è praticamente nulla
2. Il fotone viene scatterato all’indietro (= ): in questo caso è massimo il
trasferimento di energia all’elettrone:
 2 h

2
m
c
e
E e  (    )  h  

2 h
 1 m c2
e







Oltre a questi due casi limite esistono tutte le
situazioni intermedie con gli elettroni liberati aventi
energie cinetiche comprese tra questi due estremi
Nel caso di raggi gamma monoenergetici,
la distribuzione differenziale delle energie
cinetiche degli elettroni per una serie di
eventi di effetti Compton è funzione
continua che va da zero ad un valore
massimo, inferiore rispetto all’energia
dei gamma incidenti.
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Produzione di coppie
Viene liberata una coppia elettrone/positrone con energia cinetica pari a quella del
raggio gamma incidente, meno l’energia necessaria a creare le due particelle (1.022 MeV).
Il grafico dell’energia totale delle particelle cariche (elettrone + positrone) create dal
fotone è ancora un singolo picco posizionato ad una energia di 2moc2 inferiore a quella dei
raggi gamma che interagiscono per produzione di coppie.
Per comprendere la risposta di un rivelatore per spettrometria gamma ed interpretare lo
spettro acquisito è bene considerare tutti e tre i tipi di interazione contemporaneamente,
sulla base anche delle dimensioni del rivelatore. Di seguito alcuni esempi
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Rivelatore “piccolo”
Iniziamo a considerare un rivelatore con
dimensioni inferiori rispetto al percorso dei
fotoni secondari prodotti a seguito delle varie
interazioni dei fotoni primari (quelli emessi dalla
sorgente che raggiungono il rivelatore).
Tali fotoni secondari sono quelli originati da
scattering Compton e quelli dovuti ai processi di
annichilazione dei positroni.
Se i fotoni secondari sfuggono dal rivelatore la loro energia non viene trasferita agli
elettroni del rivelatore con la conseguenza che nello spettro compaiono dei “segnali” ad
energie inferiori rispetto a quelle dei fotoni incidenti.
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Rivelatore “grande”
Un rivelatore è considerato grande se le sue
dimensioni sono superiori rispetto al percorso
dei fotoni secondari prodotti a seguito delle varie
interazioni dei fotoni primari.
In pratica tale condizione è poco realistica perché
per le tipiche energie degli emettitori gamma si
dovrebbe avere un rivelatore di dimensione pari a
diverse decine di centimetri
In questo caso l’energia dei raggi gamma
incidenti viene interamente trasferita al
rivelatore, anche se con interazioni multiple.
Vista la rapidità dei processi in gioco, il
rivelatore fornisce un unico impulso,
proporzionale all’energia totale di tutti gli
elettroni liberati nella catena di eventi
In sostanza la risposta del rivelatore è la stessa che si avrebbe se il raggio gamma primario
avesse interagito con un semplice effetto fotoelettrico in un singolo step.
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Rivelatore “intermedio”
E’ la situazione reale, caso intermedio tra i due
estremi visti prima. In questo caso i fotoni
secondari possono sia essere assorbiti
all’interno del rivelatore, sia non interagire con
esso, non dando quindi luogo alla totale
deposizione di energia del fotone gamma
incidente
A differenza del rivelatore piccolo, il gap tra full-energy peak e Compton edge è parzialmente
riempito da multipli eventi Compton, inoltre nel caso di fotoni di alta energia oltre al picco di
fuga doppia può comparire nello spettro anche il picco di fuga singola.
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Effetto delle schermature
Misure di spettrometria gamma sono in genere
condotte schermando opportunamente il
rivelatore così da limitare la rivelazione del
fondo ambientale.
Questo complica ulteriormente
la forma dello spettro visto che i
fotoni
primari
possono
interagire con la schermatura
(in genere piombo) dando luogo
alla rivelazione di raggi X
caratteristici dello schermo,
fotoni diffusi per effetto
Compton dallo schermo, fotoni
di
annichilazione
prodotti
all’interno dello schermo.
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