Studio della Risposta di un Rivelatore di Germanio Iperpuro per

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Studio della Risposta di un Rivelatore di Germanio Iperpuro per
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA
Facoltà di Scienze MM. FF. NN.
Corso di Laurea in Fisica
Tesi di Laurea Triennale
Studio della Risposta di un
Rivelatore di Germanio Iperpuro
per Spettroscopia Gamma in
Campi Magnetici molto Intensi
Relatore:
Dr. Andrea Fontana
Candidato:
Andrea Capra
A.A. 2007/2008
Indice
1 Introduzione
1
2 La spettroscopia gamma
2.1 Sorgenti . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.2 Interazioni . . . . . . . . . . . . . . . .
2.2.1 Scattering Compton . . . . . .
2.2.2 Assorbimento fotoelettrico . . .
2.2.3 Produzione di coppie . . . . . .
2.2.4 Scattering Thomson e Rayleigh
2.3 Rivelazione . . . . . . . . . . . . . . .
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3 Il rivelatore al germanio iperpuro
3.1 Caratteristiche generali dei rivelatori . . .
3.2 Proprietà dei semiconduttori . . . . . . . .
3.2.1 Semiconduttori intrinseci o puri . .
3.2.2 Semiconduttori estrinseci o drogati
3.2.3 La giunzione pn . . . . . . . . . . .
3.2.4 Semiconduttori come rivelatore . .
3.3 Il germanio iperpuro . . . . . . . . . . . .
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4 Misura attività ambientale
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5 Studio del rivelatore in campo magnetico
5.1 Apparato sperimentale e misurazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5.2 Analisi dei dati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5.3 Risultati e conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Bibliografia
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II
Capitolo 1
Introduzione
La spettroscopia gamma ad alta risoluzione permette un’analisi approfondita e non
distruttiva delle proprietà nucleari, in particolare dei nuclei strani con la possibilità
di ottenere molte informazioni sulle interazioni nucleone-iperone e iperone-iperone;
ciò è reso possibile dall’impiego di rivelatori al germanio iperpuro (HPGe). Questi
abbinano un’efficienza elevatissima a un allargamento artificiale delle righe trascurabile.
Nel primo capitolo si prenderà in considerazione una semplice spiegazione del decadimento gamma in termini di nuclei ordinari, si farà una rapida didascalia delle
principali interazioni tra fotoni e materia, infine si darà qualche elemento di spettroscopia gamma.
Nel secondo capitolo si sono studiate le proprietà dei rivelatori a semiconduttore e
le caratteristiche del HPGe.
Come test sul rivelatore si analizzerà la radiazione ambientale, identificando i radionuclidi presenti (relativamente all’attività gamma).
Infine si studierà il comportamento del rivelatore sottoposto a campi magnetici molto intensi, allestimento sperimantale che sarà creato presso GSI con lo scopo di
studiare le proprietà di ipernuclei strani.
1
Capitolo 2
La spettroscopia gamma
2.1
Sorgenti
Un nucleo è uno sistema legato di barioni e la maggior parte di quelli conosciuti, per
lo più prodotti artificialmente, si trovano in una configurazione energetica instabile,
cioè hanno un certa probabilità di decadere in nuclei di altra specie o di diseccitarsi
attraverso l’emissione di fotoni gamma. Se all’istante t sono presenti N (t) nuclei di
una certa specie, l’esperienza ci mostra che al tempo t + dt si sono disintegrati
−dN (t) = ΓN (t)dt,
dove Γ è la costante di decadimento che dipende dal nucleo considerato e dal tipo
di decadimento. Se all’instante t = 0 troviamo N0 nuclei, integrando la precedente uguaglianza, troviamo la legge di decadimento che governa il numero di nuclei
sopravvissuti al tempo t
N (t) = N0 exp(−Γt).
Questa legge ha carattere statistico e si può ottenere la probabilità che un nucleo
sopravviva al tempo t, dividendo ambo i membri per N0
N (t)
= P (t) = exp(−Γt).
N0
Invece la probabilità che decada nell’intervallo tra t e t + dt è
−dP (t) = ΓP (t)dt = Γ exp(−Γt),
dunque la costante di decadimento è la probabilità di decadimento per unità di
tempo
1 dP (t)
Γ=−
P (t) dt
2
2 – La spettroscopia gamma
Ciascun sistema ha un tempo di dimezzamento caratteristico, cioè l’intervallo temporale nel quale metà dei nuclei presenti all’istante iniziale è decaduto
N0
= N0 exp(−ΓT1/2 )
2
T1/2 =
ln 2
.
Γ
Il tempo di dimezzamento ha una variabilità piuttosto ampia, da 10−20 s a 1024 y. I
principali processi in cui il decadimento comporta l’emissione di particelle di massa
a riposo non nulla sono i seguenti:
• Decadimento α, tipico dei nuclei pesanti con A > 145, questi si trasformano
in un nucleo con 4 nucleoni in meno, ovvero emettendo un nucleo di 42 He
(particella α), secondo lo schema
Ai (Z,N ) → Af (Z − 2,N − 2) + α.
• Decadimento β, in cui un nucleo si trasforma in un isobaro. A seconda che
vi sia un eccesso o un difetto di neutroni rispetto all’isobaro stabile, abbiamo,
rispettivamente, le due possibilità
Ai (Z,N ) → Af (Z + 1,N − 1) + e− + ν̄,
Ai (Z,N ) → Af (Z − 1,N + 1) + e+ + ν,
dove e− e e+ sono elettrone e positrone e ν̄ e ν sono antineutrino e neutrino.
• Fissione spontanea, ovvero un nucleo si spezza in due nuclei aventi ciascuno
una massa circa la metà di quello iniziale,
Ai (Z,N ) → Af 1 (Z1 ,N1 ) + Af 2 (Z2 ,N2 ) + Kn
Z1 + N1 + Z2 + N2 + K = Z + N,
dove n è un certo numero, K, di neutroni.
Vi possono essere altri tipi di decadimenti, cosiddetti esotici per la bassa probabilità
rispetto ai precedenti, fra cui nominiamo il doppio decadimento β, emissione di
protoni o neutroni e emissione di nuclei leggeri (con A > 4) da parte di nuclei
pesanti.
γ?
In base ai risultati della Meccanica Quantistica, il sistema legato di nucleoni che
stiamo studiando è descritto da un insieme discreto di autofunzioni degli operatori
energia, spin J, parità P e spin isotopico I. L’autostato con il più piccolo autovalore
dell’energia viene detto stato fondamentale e la differenza tra gli autovalori varia
da decine di keV fino a qualche MeV. Un nucleo eccitato può essere il prodotto
3
2 – La spettroscopia gamma
di uno dei processi elencati in precedenza o di un assorbimento di un quanto di
radiazione elettromagnetica, in quest’ultimo caso si parla di assorbimento stimolato.
I nuclei eccitati hanno la tendenza a decadere spontaneamente, portando il nucleo in
una configurazione energetica stabile. Queste transizioni sono accompagnate dalla
liberazione di energia sottoforma di quanti di radiazione elettromagnetica, detta
emissione spontanea, la cui lunghezza d’onda λ è compresa tra 10−8 cm e 2×10−11 cm
(fotoni gamma). L’emissione può anche essere stimolata irraggiando un campione
con una radiazione nello stesso spettro di lunghezze d’onda. Il meccanismo che
genera la transizione risiede nella ridistribuzione di cariche elettriche, correnti e
momenti magnetici: l’interazione di queste con il campo di radiazione tende a portare
il sistema in stati di minore energia, ed eventualmente allo stato fondamentale.
L’interazione dei nucleoni carichi, delle correnti generate da questi nel moto orbitale
e dei momenti magnetici intrinseci e orbitali (di protoni e neutroni nel caso di nuclei
ordinari) col campo elettromagnetico è descritta da un Hamiltoniano del tipo
X
X
e2
e X
2
A
−
µ
·
rotA
+
pi · A +
eφ
H=−
i
2M c protoni
2M c2
protoni
nucleoni
dove M è la massa di un nucleone, e è la carica del protone, p e µ sono i momenti, rispettivamente, canonico e magnetico, A è il potenziale vettore e φ è il
potenziale scalare. Le equazioni di Maxwell si possono riformulare legando il campo
elettromagnetico ai potenziali, attraverso le equazioni
1 ∂A
B = ∇ × A.
c ∂t
Le soluzioni delle equazioni di Maxwell che descrivono la radiazione elettromagnetica
possono essere sviluppati in seriep
di Fourier, ciascuna componente caratterizzata da
un momento angolare orbitale ~ L(L + 1), da una parità definita e una specifica
distribuzione angolare. La serie di Fourier è una combinazione lineare di campi di
multipolo del tipo
∞ X
L
X
E=
aL,M EL,M
∇·A=0
E = −∇φ −
L=0 M =−L
dove i coefficienti aL,M dipendono dalle sorgenti di radiazione e, a seconda che si
parta da questo sviluppo o da quello del campo magnetico, la radiazione prende il
nome di multipolo magnetico e multipolo elettrico rispettivamente. A parità di numero quantico L, è più intensa la radiazione di multipolo elettrico, anche se l’intesità
decresce molto rapidamente al crescere di L.
La possibilità per un nucleo di transire dipende dalla conservazione del momento
angolare totale e della parità, dunque, per il decadimento gamma, devono valere le
seguenti regole di selezione:
J i = Jf + L
|Ji − Jf | ≤ L ≤ |Ji + Jf |
4
2 – La spettroscopia gamma
Pi = Pf Pγ .
Inoltre l’esperienza mostra che lo spin isotopico varia secondo le
Ii − If = 0, ± 1
∆I3 = 0.
La probabilità di transizione si può stimare nell’ambito della teoria delle perturbazioni dipendenti dal tempo. In particolare, una volta nota la densità degli stati
finali, cioè la frazione dN di stati possibili nell’intervallo energetico dE, la regola
d’oro di Fermi ci permette di calcolare la probabilità per unità di tempo w
w=
2π
dN
| < ψf |H|ψi > |2
,
~
dE
dove l’elemento di matrice Hf i che connette lo stato iniziale |ψi > con quello finale
|ψf > descrive la dipendenza dal tipo di interazione (l’Hamiltoniana scritta in precedenza è un’interazione di tipo elettromagnetico), invece dN
è un fattore cinematico
dE
legato all’energia liberata nel decadimento.
Qualunque sia il processo che sottostà alle transizioni nucleari, il decadimento si può
schematizzare allo stesso modo dei precedenti in cui varia il numero di nucleoni
Ai → Af + γ.
Si può ricavare l’energia del raggio gamma, nell’ipotesi di nucleo iniziale in quiete,
considerando la conservazione del quadrimomento
Qi = Qf + L
dove Qi e Qf descrivono, rispettivamente, il nucleo iniziale e finale e L è il quadrimpulso del fotone. Dalla precedente otteniamo
(−Qf )2 = (L − Qi )2
Ei Eγ
c2
dove Mi e Ei sono, rispettivamente, la massa a riposo e l’energia del nucleo iniziale
e Mf è la massa a riposo del nucleo finale. Risolvendo rispetto all’energia del fotone
gamma (Eγ )
c2
Eγ =
(M 2 c2 − Mf2 c2 ),
2Ei i
Mf2 c2 = Mi2 c2 − 2
poichè
M i c2
2Ei
'
M f c2
2Ei
' 1 grazie alle ipotesi fatte, otteniamo
Eγ = Mi c2 − Mf c2 .
5
2 – La spettroscopia gamma
2.2
Interazioni
Benchè si conoscano diversi modi in cui i fotoni possono interagire con la materia,
solo tre sono importanti ai fini della loro rivelazione
• scattering Compton,
• assorbimento fotoelettrico,
• produzione di coppie
Lo scattering Thomson e Rayleigh è ugualmente importante dal punto di vista dell’interazione fotone-materia, ma è poco rilevante per la spettroscopia gamma. Lo
studio di questi processi, la cui probabilità relativa è dipendente fortemente dal numero atomico e dall’energia (cfr. fig.2.2.3), ci permette di comprendere le principali
caratteristiche della radiazione gamma nel passaggio attraverso la materia:
- Le sezioni d’urto dei tre processi è molto piccola rispetto a quella delle collisioni
inelastiche degli elettroni, dunque la radiazione è molto più penetrante nella
materia rispetto alle particelle cariche.
- Al termine dei tre processi, un fotone viene diffuso o viene assorbito nel mezzo,
in ogni caso è rimosso dal fascio incidente, sicchè questo non viene degradato
in energia, bensı̀ diminuisce in intensità secondo la
I(x) = I0 exp(−µx),
dove I0 è l’intensità del fascio incidente, x è lo spessore del mezzo assorbente e
µ è il coefficiente di attenuazione che dipende dal mezzo e dalla sezione d’urto
totale. I fotoni che attraversano completamente il mezzo sono quelli che non
hanno interagito affatto e quindi mantengono inalterata la loro energia, infatti
il loro numero diminuisce in accordo col numero di quelli rimossi dal fascio,
spiegando cosı̀ l’attenuazione esponenziale dell’intensità.
La produzione di coppie elettrone-positrone è più probabile quando i fotoni incidenti
hanno energia nell’ordine di qualche Mev, al contrario l’effetto fotoelettrico domina
a basse energie, mentre l’effetto Compton è possibile in tutto lo spettro energetico.
2.2.1
Scattering Compton
Lo scattering Compton è un urto inelastico in cui un fotone viene diffuso da un
elettrone libero. È noto che nella materia gli elettroni non sono liberi, tuttavia
l’energia dei raggi gamma è di almeno un ordine di grandezza superiore all’energia
di legame di questi nella shell K e quindi si può considerare che l’urto avvenga con
6
2 – La spettroscopia gamma
un elettrone non legato e a riposo.
Definendo Qi e Li i quadrimomenti iniziali, rispettivamente, di elettrone e fotone, e
Qf Lf quelli finali, dalla conservazione del quadrimomento
Qi + Li = Qf + Lf
otteniamo
m0 hνi − m0 hνf −
h2 νi νf
(1 − cos θ) = 0
c2
dove m0 c2 è l’energia a riposo dell’elettrone (0.511MeV), θ è l’angolo di diffusione
del fotone rispetto alla direzione d’incidenza e può assumere tutti i valori tra 0
e π, mentre νi e νf sono la sua frequenza, rispettivamente, prima e dopo l’urto.
Riarrangiando i termini, si giunge alla relazione fondamentale
hνf =
hνi
,
1 + (1 − cos θ)
dove = hν/m0 c2 . Naturalmente l’energia cinetica dell’elettrone è
Te− = hν − hν 0 .
La sezione d’urto differenziale, calcolata nell’ambito dell’elettrodinamica quantistica,
è espressa dalla formula di Klein-Nishina
2 1 + cos2 θ 2 (1 − cos θ)2
dσ
1
= Zr02
1+
dΩ
1 + (1 − cos θ)
2
(1 + cos2 θ)[1 + (1 − cos θ)]
dove r0 = 2.82 × 10−13 cm è il raggio classico dell’elettrone.
Nella trattazione della rivelazione della radiazione gamma, è utile conoscere l’energia
media trasferita agli elettroni di rinculo. Poiché questi vengono fermati nel mezzo in
cui diffondo, conosciamo la frazione di energia assorbita dal mezzo. Questa sezione
d’urto di assorbimento, σ a , si calcola attraverso l’equazione
σc = σ s + σ a
dove σc è il risultato dell’integrazione della formula di Klein-Nishina rispetto all’angolo solido, ovvero la sezione d’urto totale, mentre σ s è la sezione d’urto di
diffusione, ovvero la frazione media di energia contenuta nel fotone diffuso
hνf dσ
dσ s
=
.
dΩ
hνi dΩ
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2 – La spettroscopia gamma
2.2.2
Assorbimento fotoelettrico
L’assorbimento fotoelettrico si caratterizza per la totale conversione di un fotone
in un fotoelettrone, in cui un elettrone legato viene espulso da un orbitale con un
energia (cinetica) pari alla differenza tra quella del fotone incidente (Eγ = hν) e
quella di legame (Eb )
Te− = hν − Eb .
L’interazione avviene con l’intero atomo, d’altra parte per gli elettroni liberi non
è possibile assorbire un fotone e garantire la conservazione del momento. Infatti il
nucleo assorbe l’energia di rinculo che, di solito, è trascurabile.
L’andamento della sezione d’urto in funzione dell’energia del gamma incidente ci
mostra un massimo in corrispondenza delle energia di legame di un elettrone nella
shell K. Sopra questa soglia la probabilità d’interazione diminuisce rapidamente,
visto che anche gli elettroni più legati non sono più disponibili. Invece al di sotto, si
trovano altri picchi abbinati all’energia di legame dell shell più esterne (L, M, ecc.),
intorno a 10−2 MeV.
Se assumiamo che l’energia degli elettroni non sia relativistica, hν m0 c2 , possiamo
ricorrere all’approssimazione di Born per il calcolo della sezione d’urto, ottenendo
√ 5 m0 c2 4
per atomo,
φ = 4α 2Z σ0
hν
8πr 2
1
dove σ0 = 3 0 = 6.651 × 10−25 cm2 e α = 137
è la costante di struttura fine. Ad ogni
modo la dipendenza dal numero atomico Z varia a seconda dell’energia del fotone
incidente
φ ∝ Zn
per energie nell’ordine del MeV n è compreso tra 4 e 5.
Conseguentemente alla ionizzazione dell’atomo, si osserva che la lacuna viene rapidamente colmata attraverso la cattura di un elettrone libero o con la transizione
di uno delle shell più esterne, fenomeni che sono accompagnati dalla caratteristica emissione di raggi X o dall’emissioni di elettroni Auger. Queste diseccitazioni
dell’atomo sono da tener presente quando si tratterà la rivelazione della radiazione
gamma.
2.2.3
Produzione di coppie
Quando l’energia dei gamma è pari ad almeno il doppio di quella dell’elettrone a
riposo (1.02Mev) si può materializzare in una coppia elettrone-positrone, secondo la
γ → e+ + e−
Te− + Te+ = hν − 2m0 c2 .
8
2 – La spettroscopia gamma
Tuttavia, per garantire la conservazione del momento, è necessaria la presenza di
un’altra particella come un nucleo o un elettrone. La sezione d’urto è indicativamente proporzionale al quadrato del numero atomico
τ ∝ Z 2.
Quando il positrone prodotto viene rallentato, a causa di urti e di bremsstrahlung, tanto che la sua energia cinetica è comparabile con l’energia termica degli
elettroni, l’annichilazione tra le due particelle carica opposta produce due fotoni di
0.511 MeV.
Figura 2.1. Le linee nere mostrano per quali valori di Z e Eγ la sezione d’urto
degli effetti adiacenti è uguale
2.2.4
Scattering Thomson e Rayleigh
Lo scattering Thomson è un processo classico in cui fotoni diffondono su elettroni
liberi, ovvero è il limite classico dello scattering Compton. Infatti per ottenere
la sezione d’urto di questa diffusione si calcola il limite di basse energie, rispetto
all’energia a riposo dell’elettrone, della formula di Klein-Nishina
8π 2
σ0 =
r .
3 0
9
2 – La spettroscopia gamma
Lo scattering Rayleigh è l’interazione di fotoni con tutti gli elettroni di un atomo,
che dà luogo ad un cambio di direzione del fotone, con un angolo di deflessione
inversamente proporzionale all’energia.
Entrambe le reazioni non comportano alcun assorbimento di energia da parte del
mezzo, quindi poco interessanti dal punto di vista della spettroscopia gamma.
2.3
Rivelazione
Visto che la radiazione elettromagnetica è neutra, non è possibile rilevarla direttamente durante il suo passaggio attraverso il rivelatore. I fotoni possono essere
rivelati solo se interagiscono, in uno dei modi descritti in precedenza, con gli atomi
che costituiscono il materiale assorbente, ovvero solo quando la loro energia viene
interamente (o in parte) trasferita a uno o più elettroni secondari che, rallentando
e perdendo energia attraverso ionizzazioni, eccitazioni e bremsstrahlung, ci danno
informazioni sul gamma.
In altre parole, per rivelare la radiazione gamma, serve un rivelatore in grado di
convertire in maniera efficacie l’energia del fotone in energia cinetica di uno o più
elettroni secondari e di fungere da rivelatore di questi, attraverso la raccolta della
carica elettrica.
Il processo preferito, ai fini della rivelazione dei raggi gamma, è l’effetto fotoelettrico:
la creazione di un fotoelettrone garantisce che la totalità dell’energia della particella incidente sia convertita in energia cinetica dell’elettrone secondario (fotopicco).
Tuttavia, per giungere ad un corretta analisi dello spettro, è necessario tenere conto
anche degli altri due.
I primi rivelatori utilizzati per la spettroscopia gamma sono gli scintillatori. Ne
esistono di diversi tipi, a seconda che siano costruiti con materiali organici o inorganici, liquidi o solidi, tra cui ricordiamo lo ioduro di sodio attivato al tallio NaI(Tl)
che è stato sviluppato nei primi anni cinquanta ed è tuttora il più popolare tra i
rivelatori di radiazione gamma. Questi rivelatori si basano sulla possibilità di produrre un segnale luminoso (fluorescenza) attraverso la diseccitazione degli atomi del
mezzo in cui l’elettrone secondario diffonde. Gli impulsi di luce vengono amplificati
e convertiti in segnali elettrici da fotomoltiplicatori. La principale causa di perdita
di risoluzione del rivelatore risiede nella fluttuazione della carica raccolta, come vedremo, molto maggiore che nei rivelatori a semiconduttore.
L’apparato in esame è un cosiddetto rivelatore a stato solido, nel nostro caso costituito da un cristallo di germanio iperpuro, che, sfruttando le proprietà dei semiconduttori, genera un segnale elettrico direttamente proporzionale all’energia del fotone
incidente; questo è possibile dato che l’elettrone secondario, che è molto energetico,
genererà coppie buca-elettrone che saranno raccolte per un tempo fissato (shaping
time) al catodo e all’anodo. Ulteriori dettagli saranno specificati nella sezione 3.2
10
2 – La spettroscopia gamma
dedicata alle caratteristiche del rivelatore.
Sono possibili due tipi di misurazione. In quella più semplice, detta conteggio, si
registrano solamente il numero di eventi in un certo intervallo di tempo, senza raccogliere altre informazione sull’energia della radiazione. Invece ciò che interessa in
questa sede è generare uno spettro, riportando in ascissa di un istogramma l’ampiezza del segnale, proporzionale alla carica collezionata e quindi all’energia del fotone,
e in ordinata la frequenza con cui tale impulso viene registrato dall’elettronica collegata al rivelatore (analizzatore multicanale).
In un evento Compton l’elettrone secondario acquista un’energia variabile con continuità a seconda dell’angolo di diffusione del fotone; si possono identificare due casi
limite:
1. diffusione in avanti, l’angolo di scattering è θ ' 0 e quindi hνf ' hνi e Te− ' 0,
2. collisione testa a testa, l’angolo di diffusione è θ = π e il gamma è diffuso
all’indietro e l’elettrone acquista la massima energia possibile
Te− = hν
θ=π
2hν/m0 c2
.
1 + 2hν/m0 c2
L’interazione Compton dei gamma con gli elettroni del rivelato produce nello spettro una distribuzione di energia continua al di sotto della reale energia del raggio
gamma. Questo fondo
termina in corrispondenza
della massima energia di rinculo
dell’elettrone Ee− θ=π , cioè Egap = hν − Ee− θ=π a sinistra dell’energia del fotone
incidente, spalla Compton. Il gap vale
Egap =
hν
,
1 + 2hν/m0 c2
nel limite hν m0 c2 si ha
Egap '
m 0 c2
= 0.256M eV.
2
A margine della precedente analisi bisogna tenere conto dell’effetto dell’energia di
legame non nulla dell’elettrone che smussa la spalla Compton; inoltre il valore finito
del momento angolare orbitale fa si che la distribuzione monoenergetica del fotone
diffuso abbia in realtà una larghezza finita.
Ora rivolgiamo l’attenzione alle complicazioni che possono sorgere nella funzione
di risposta del rivelatore (vedi sezione 3.1) in relazione alla sua geometria, nell’ipotesi che le particelle cariche (fotoelettrone, elettrone Compton e positrone) siano
11
2 – La spettroscopia gamma
completamente assorbite all’interno del volume. Possiamo identificare tre situazioni
rispetto al libero cammino medio della radiazione secondaria, definito come la distanza media percorsa prima di subire un’interazione.
Rivelatore molto piccolo corrispondente alle dimensioni di circa 1 o 2 cm. Se
l’energia del fotone soddisfa hν < 2m0 c2 può accadere che un fotone, dopo
una prima diffusione Compton, non subisca nessun’altra interazione comportando un’incompleta identificazione della radiazione primaria. Se hν 2m0 c2
è possibile che i due raggi gamma, nati dall’annichilazione di un positrone, fuoriescano dal volume del rivelatore, andando a costituire un picco a hν − 2m0 c2 ,
cosiddetto double escape.
Rivelatore molto grande , nell’ordine di decine di centimetri, non è realistica,
eppure ci permette di sottolineare alcuni aspetti grazie alla semplicità della
funzione di risposta. In questo caso nulla sfugge dal volume del rivelatore,
infatti il gamma iniziale che subisce un primo scattering Compton, interagisce
successivamente in un altro punto del rivelatore; questo seconda interazione
può essere nuovamente Compton, allora il fotone diffuso avrà energia ancora
minore, oppure può essere assorbito in un effetto fotoelettrico terminando in
quel punto la storia del gamma. Lo stesso ragionamento si può ripetere se
il primo evento è una produzione di coppie, allora i gamma di annichilazione
del positrone subiranno una o più diffusioni Compton, fino alla completa conversione dell’energia. Poiché la radiazione primaria e secondaria viaggia alla
velocità del luce per non più di 10cm, la durata totale del processo è di meno di
un nanosecondo, dunque, viste le caratteristiche dei comuni rivelatori, l’effetto
complessivo è di trasferire tutta l’energia del gamma iniziale negli elettroni
secondari contemporaneamente. In sintesi ci si può riferire al fotopicco come
full-energy peak.
Rivelatore standard con dimensione intermedia tra quelle descritte in precedenza; è importante notare che per fotoni, che interagiscono sulla parte più esterna, anche volumi piuttosto grandi possono apparire piccoli. Quando l’energia
del raggio gamma è limitata, lo spettro è ancora caratterizzato dalla presenza
del continuo Compton e dal fotopicco, tuttavia più bassa è l’energia del fotone
incidente, minore è l’energia del fotone Compton diffuso e la distanza da esso
coperta, cosicchè, anche trattandosi di rivelatori di dimensioni standard, questi appaiono molto grandi. Per fotoni di energia inferiore a 100keV è possibile
che il continuo Compton scompaia. Per gamma mediamente energetici sono
possibili scattering Compton multipli, al termine dei quali il fotone diffuso può
fuoriuscire dal rivelatore, causando una parziale conversione dell’energia della
12
2 – La spettroscopia gamma
radiazione iniziale, andando a colmare il gap tra la massima energia di rinculo
dell’elettrone e il fotopicco. Per gamma la cui energia rende altamente probabile la produzione di coppie può accadere che i due fotoni di annichilazione
fuoriescano entrambi dal volume del rivelatore (il già menzionato double escape
peak ), oppure solo uno, generando il cosiddetto single escape peak con energia
pari a hν − m0 c2 . Tutte le altre possibilità in cui uno o entrambi i fotoni da
0.511MeV sono parzialmente o totalmente trasformati in elettroni, coprono la
parte di spettro compresa tra gli escape peak.
Figura 2.2. A sinistra, funzione di risposta per una sorgente gamma di bassa
energia produce. A destra, quella di una sorgente di alta energia. Le frecce indicano
gli effetti descritti in precedenza.
Rilasciando l’ipotesi che tutte le particelle cariche vengano riassorbite all’interno
del volume del rivelatore, possiamo identificare tre complicazioni della funzione di
risposta.
Perdita dell’elettrone secondario a seguito dell’interazione con gamma molto
energetici che producono particelle molto veloci, tanto che il rivelatore risulta
troppo piccolo per il cammino medio di queste. L’incompleta raccolta della
carica distorce la risposta del rivelatore e trasla a sinistra eventi che altrimenti
sarebbero stati individuati ad ampiezze più elevate.
Bremsstrahlung emessa dagli elettroni secondari durante il loro passaggio nel
mezzo, può non essere rivelate, modificando la funzione di risposta. La produzione di bremsstrahlung è proporzionale Z 2 del mezzo assorbente, rendendola
13
2 – La spettroscopia gamma
importante per rivelatori con alto numero atomico. Inoltre, come nel caso precendente, la frazione di fotoni persa aumenta marcatamente con l’aumentare
dell’energia della radiazione incidente.
Fuga di radiazione X dovuta a un assorbimento fotoelettrico del fotone iniziale,
avvenuto vicino alla superficie del rivelatore. La mancata raccolta dell’energia
di diseccitazione dell’atomo può portare alla formazione di un picco, al di sotto
del fotopicco di un valore pari all’energia di legame del fotoelettrone della shell
K. Date le caratteristiche del fenomeno, la probalità che avvenga è maggiore
quando l’energia del gamma è bassa. Inoltre vi possono essere effetti più
subdoli, dal momento che l’interazione fotoelettrica può avvenire con elettroni
meno legati, creando cosı̀ picchi di fuga difficilmente risolvibili dal fotopicco.
Al termine della panoramica sulla spettroscopia, consideriamo l’influenza che
possono avere i materiali che circondano il rivelatore (capsule per mantenere in
vuoto, schermature per prevenire l’interazione con sorgenti indesiderate, etc.).
Picco di backscattering è l’effetto più prominente, individuabile intorno a 0.2MeV,
causato dalla diffusione Compton a grandi angoli (superiore a 110 gradi) nella
mezzo circostante il rivelatore: questo si comporta come una sorgente monoenergetica, visto che i fotoni diffusi hanno tutti approssimativamente la stessa
(bassa) energia
hν
,
hν 0 =
1 + 2hν/m0 c2
θ=π
nel limite hν m0 c2
m 0 c2
2
θ=π
i fotoni diffusi all’indietro, dentro al rivelatore, creano un picco proprio intorno
a 0.2MeV.
hν 0 '
Caratteristica radiazione X , prodotta in un assorbimento fotoelettrico degli
atomi che costituiscono la materia che circonda il rivelatore, può introdursi
nel rivelatore.
Fotoni di annichilazione di un positrone possono entrare nel rivelatore, formando
un picco artificiale a 0.511MeV, che può generare confusione con la radiazione
di annichilazione di uno sorgente β + .
14
Capitolo 3
Il rivelatore al germanio iperpuro
I rivelatori di particelle cariche sfruttano le ionizzazioni e le eccitazioni da esse prodotte nella materia per ottenere informazioni. Al contrario la radiazione neutra deve
interagire con gli atomi che costituiscono il rivelatore per poi produrre particelle cariche, rilevabili dagli strumenti. La separazione di carica elettrica non è, tuttavia,
l’unica strada percorribile per trasferire l’energia delle particelle incidenti alla materia: gli scintillatori, ad esempio, producono un segnale luminoso.
Lo straordinario sviluppo dell’elettronica ha portato a costruire rivelatori che convertono l’energia della radiazione in impulsi elettrici, che poi la tecnologia informatica è
in grado di processare velocemente in grande quantità. I rivelatori a semiconduttore
sono particolarmente indicati per la spettroscopia gamma perché
• l’energia di ionizzazione (creazione coppia lacuna-elettrone) è molto bassa,
permettendo cosı̀ di generare molti portatori di carica;
• il numero atomico degli elementi considerati (germanio e silicio) è alto, garantendo elevate sezioni d’urto;
• la densità è tanto alta da avere in un piccolo volume la massa sufficiente ad
assicurare un’ottima efficienza.
3.1
Caratteristiche generali dei rivelatori
In questa sezione verranno brevemente richiamate le grandezze che caratterizzano
tutti i rivelatori, in quella seguente si cercherà di riassumere le proprietà della materia che spiegano il funzionamento del diodo (giunzione pn di semiconduttori) e
il suo impiego all’interno dei sistemi di rivelazione della radiazione, infine l’ultima
sarà dedicata all’illustrazione delle caratteristiche del rivelatore al germanio iperpuro
utilizzato in questa tesi.
15
3 – Il rivelatore al germanio iperpuro
Risposta del rivelatore : mette in relazione l’energia della radiazione incidente
con il segnale prodotto dal rivelatore, di solito un impulso di corrente, il cui
integrale è la carica elettrica raccolta: questa è una misura dell’energia depositata dalla radiazione, visto che tale energia è proporzionale al numero di
ionizzazioni prodotte. Se la risposta è lineare, è immediato ricavare l’energia
della radiazione, dopo opportuna calibrazione.
Sensibilità : è la capacità di produrre un segnale utilizzabile da uno specifico tipo
di radiazione. Non esistono rivelatori sensibili a tutti i tipi di radiazione. La
sensibilità del rivelatore dipende da diversi fattori:
• la sezione d’urto per produrre particelle cariche,
• la massa del rivelatore,
• il rumore di fondo del rivelatore,
• i materiali che circondano il volume attivo del rivelatore.
I primi due fattori determinano la probabilità con cui la radiazione incidente
trasferisce la sua energia al rivelatore, ad esempio per le particelle neutre è
necessario impiegare materiali molto densi per garantire un ragionevole tasso
d’interazioni, vista la piccola sezione d’urto di cui dispongono. Il rumore di
fondo dipende dalle fluttuazioni della carica raccolta e dall’elettronica associata
quindi, per assicurare un segnale stabile, è necessario disporre di un numero
sufficiente di ionizzazioni. I materiali che circondano il rivelatore possono
schermare certi tipi di radiazione o assorbirne una parte, individuando cosı̀ un
limite inferiore per l’energia rilevabile.
Funzione di risposta : è lo spettro di ampiezze ottenuto bombardando il rivelatore con una sorgente monoenergetica. Idealmente la funzione di risposta
è una delta di Dirac, ovvero, fissata l’energia incidente, il segnale prodotto
ha ampiezza unitaria quindi, se la risposta del rivelatore è lineare, l’ampiezza
misurata dal rivelatore corrisponde all’energia della particella incidente. In
realtà accade che la larghezza della riga non è nulla e la funzione di risposta corrisponde a una Gaussiana, centrata sul valore dell’energia incidente.
Tuttavia abbiamo già visto che vi è un’ampia casistica di complicazioni della
funzione di risposta, tipiche della radiazione neutra. Dalla convoluzione tra lo
spettro della radiazione S(E 0 ) e la funzione di risposta del rivelatore R(E,E 0 )
otteniamo la distribuzione delle ampiezze A(E)
Z
A(E) = S(E 0 )R(E,E 0 )dE 0 .
Per risalire allo spettro della radiazione, bisogna dunque invertire la precedente
uguaglianza. Il risultato sarebbe immediato se R(E,E 0 ) = δ(E 0 − E).
16
3 – Il rivelatore al germanio iperpuro
Risoluzione in energia :è l’intervallo energetico fuori dal quale il rivelatore può
distinguere due sorgenti prossime in energia. Le sorgenti monoenergetiche
appaiono nello spettro come una distribuzione di energia di forma gaussiana, ovvero di larghezza finita ∆E dovuta alla fluttuazione nel numero delle
ionizzazioni e eccitazioni prodotte dalla radiazione. La risoluzione
∆E
,
E
dove E è l’energia depositata nel rivelatore, può essere espressa in funzione della F W HM massima larghezza a metà altezza e si considerano non risolvibili
due sorgenti la cui differenza in energia è ≤ ∆E = F W HM . Dato il carattere statistico dei processi di ionizzazione e eccitazione, la risoluzione migliora
all’aumentare dell’energia depositata. Infatti, detta I l’energia di ionizzazione
fissata per ogni atomo, si contano in media J = E/I ionizzazioni, quindi più
è alto il numero di queste meno ha importanza la fluttuazione relativa. Se un
rivelatore non è in grado di assorbire completamente la radiazione incidente,
possiamo scrivere la varianza per distribuzioni puramente Poissoniane
R=
σ2 = J
ottenendo
√
r
J
I
= 2.35
,
R = 2.35
J
E
dove 2.35 è il fattore che lega la deviazione standard di una Gaussiana alla sua
FWHM e E è variabile. Se un rivelatore assorbe completamente l’energia incidente, il numero di ionizzazioni prodotte è vincolato dal valore fisso dell’energia
assorbita, compromettendo l’ipotesi d’indipendenza degli eventi Poissoniani.
Ad ogni modo si può introdurre nella varianza un fattore correttivo F , detto
fattore di Fano
σ2 = F J
dove J è sempre il numero medio di ionizzazioni prodotte. F è una funzione
complicata dei processi di trasferimento dell’energia ed è una caratteristica
intrinseca del rivelatore, la cui risoluzione vale
r
√
FJ
FI
= 2.35
.
R = 2.35
J
E
Per F = 1 si ritorna al caso puramente Poissoniano, invece è possibile avere F < 1 utilizzando materiali semiconduttori. Oltre alla fluttuazione delle
ionizzazioni, la risoluzione complessiva dello strumento deve tenere conto anche degli effetti indotti, ad esempio dall’elettronica, le cui rispettive varianze
si sommano, se le fonti di questi errori danno luogo a eventi indipendenti e
distribuiti secondo una Gaussiana.
17
3 – Il rivelatore al germanio iperpuro
Efficienza : è definita da
Etot =
eventi registrati
eventi emessi dalla sorgente
ed è funzione della geometria del rivelatore e della sezione d’urto delle interazioni. L’efficienza totale può essere espressa come il prodotto tra quella
geometrica, o accettanza, e quella intrinseca, seconda la
Etot ' Egeom · Eint .
L’efficienza intrinseca è la frazione di radiazione emessa dalla sorgente che
effettivamente colpisce il rivelatore
Eint =
eventi registrati
eventi nel rivelatore
e quindi dipende solo dal tipo di radiazione, dalla sua energia e dal materiale del rivelatore. Al contrario, l’efficienza geometrica, che è la frazione della
radiazione emessa intercettata dal volume del rivelatore, dipende completamente dalla sua configurazione geometrica e dalla distribuzione angolare della
radiazione. L’efficienza è una questione critica per la radiazione neutra, dato
che ha una bassa probabilità di interagire nella materia per produrre particelle
cariche secondarie.
Tempo di risposta : ovvero il tempo impiegato dal rivelatore per formare un
segnale dopo l’assorbimento della radiazione. Naturalmente è preferibile un
rivelatore che generi un segnale marcato nel più breve tempo possibile.
Tempo morto è il tempo richiesto dal rivelatore e dall’elettronica di acquisizione
per processare un evento che si può esprimere come durata del segnale. Questa
caratteristica è fortemente connessa con l’efficienza. Distinguiamo due casi
fondamentali
• estendibile o paralyzable,
• non estendibile o non-paralyzable.
Nel primo caso, l’arrivo di un secondo evento sul rivelatore durante il tempo
morto prolunga tale intervallo a partire da quell’istante fino al termine del
segnale. Se il conteggio è molto alto è possibile che si verifichi un pile-up,
ovvero il tempo morto complessivo viene esteso fino alla paralisi del rivelatore.
Dunque con un rivelatore che rimane attivo durante il tempo morto è preferibile utilizzare sorgenti di bassa intensità. Al contrario, i rivelatori che non
rendono possibile la rivelazione di un secondo quanto di radiazione durante il
18
3 – Il rivelatore al germanio iperpuro
tempo morto, perdono semplicemente tutti gli eventi caduti in quest’intervallo,
per questo vengono detti non paralizzabili. Ciascun elemento della catena di
rivelazione possiede un proprio tempo morto ed è difficile trovare un metodo
generale per il calcolo dell’effetto complessivo se gli intervalli sono comparabili.
3.2
Proprietà dei semiconduttori
La configurazione elettronica dei cristalli è caratterizzata da una struttura a bande
di energia che ne determina il comportamento in un campo elettrico. Le bande
si formano grazie alla disposizione reticolare degli atomi, i cui orbitali più esterni
tendono a sovrapporsi, dato che il passo reticolare è delle stesso ordine di grandezza delle dimensioni atomiche. Il potenziale elettrico generato dal campo cristallino
rimuove la degenerazione degli stati atomici e crea livelli energetici cosı̀ prossimi da
formare un continuo, la cosiddetta banda. Tra due bande adiacenti non è possibile
posizionare elettroni. Il gap, cioè la distanza in energia tra le bande, è determinato
dalla separazione degli atomi nel reticolo e può essere dell’ordine di qualche elettronvolt. La banda completa con energia più alta è chiamata banda di valenza, quella
immediatamente sopra che può essere parzialmente piena, banda di conduzione, e
quella interposta tra queste due banda proibita.
Nei metalli gli elettroni si possono considerare non legati e sono liberi di muoversi
Figura 3.1.
Schematizzazione delle tipiche strutture a bande
per tutto il reticolo cristallino: infatti, come si può vedere dalla figura 3.2 nel caso
a), la banda di conduzione non è piena, quindi è possibile che le cariche, sottoposte
19
3 – Il rivelatore al germanio iperpuro
ad un campo elettrico, abbiano un moto ordinato (corrente). Oppure, come nel
caso b), la banda di valenza e quella di conduzione sono sovrapposte, permettendo
ugualmente la deriva degli elettroni sotto l’azione di un campi elettrici. Nel caso d)
gli elettroni non hanno alcuna possibilità di generare una corrente, se non per campi
elettrici cosı̀ intensi da alterare la struttura a bande.
Rimane da esaminare il caso c) (i semiconduttori), nel quale non è possibile la conduzione se il cristallo è mantenuto a 0K. Tuttavia, aumentando la temperatura,
l’energia termica (proporzionale a kB T , che a temperatura ambiente vale 0.025eV )
diviene comparabile con il gap, permettendo la promozione degli elettroni nella
banda di conduzione. Questo ha un duplice effetto:
• gli elettroni eccitati ora sono liberi di rispondere alle sollecitazioni elettriche,
• le lacune formate nella banda di valenza si comportano come portatori di carica
positiva. Infatti, quando un elettrone riempie una lacuna adiacente, ne lascia
alle spalle un’altra e il ripetersi di questo processo genera un’ulteriore corrente
positiva, tipica dei semiconduttori.
Questi materiali si possono classificare in due categorie: puri o intrinseci, drogati o
estrinseci.
3.2.1
Semiconduttori intrinseci o puri
Al contrario dei metalli, i portatori di carica nei semiconduttori sono di due tipi: elettroni e lacune. Coppie elettrone-lacuna si generano e si ricombinano costantemente,
stabilendo una concentrazione intrinseca di equilibrio alla temperatura T
ni = AT 3/2 exp(
−Eg
),
2kB T
dove A è una costante che dipende solo dalla massa efficace e Eg è il gap di energia
tra la banda di valenza e quella di conduzione per T = 0K. La concentrazione pi di
lacune ha un’espressione analoga.
L’azione di una forza esterna, come un campo elettrico, causa un movimento ordinato
di portatori di carica e, grazie al campo cristallino, queste si comportano come
se avessero una massa efficace dipende dall’energia. Senza entrare nel dettaglio,
possiamo scrivere la dipendenza della velocità di deriva come
v n = µn E
v p = µp E
20
3 – Il rivelatore al germanio iperpuro
dove E è l’intensità del campo elettrico e µn e µp sono, rispettivamente, la mobilità
degli elettroni e delle lacune. Questo parametro caratterizza il comportamento del
portatore sotto l’azione della forza esterna
µ∝
q
m∗
dove q è la carica del portatore, m∗ è la sua massa efficace e la costante di proporzionalità dipende dalla temperatura, dal reticolo e dalle sue imperfezioni. Nel
complesso la mobilità ha il seguente andamento con il campo elettrico E
E < 103 V/cm
µ = costante
103 V/cm < E < 104 V/cm
E > 104 V /cm
µ ∝ E −1/2
µ ∝ E −1
e questo determina la corrente in un semiconduttore. Come si può vedere facilmente,
quando E > 104 V/cm, i portatori raggiungono la cosiddetta velocità di saturazione,
ovvero un ulteriore incremento del campo elettrico non ha effetto su questo valore
limite, che è approssimativamente 107 cm/s. Dette ρn = −eni la densità di carica
degli elettroni e vn la loro velocità, la densità di corrente è
jn = −ρn vn = ni eµn E,
visto che la velocità di deriva è opposta alla direzione del campo. L’espressione
analoga per le lacune è
jp = ρp vn = pi eµp E
con ρp = epi . La densità di corrente totale, come abbiamo già detto, è la somma
delle due
J = jn + jp = eni (µn + µp )E
dove abbiamo usato il fatto che ni = pi . Inoltre, dalla legge di Ohm J = σE, si può
ottenere la conducibilità
σ = eni (µn + µp ).
(3.1)
Il procecco opposto alla generazione di una coppia elettrone-lacuna è la ricombinazione diretta: essa è possibile solo se le due particelle hanno il medesimo momento
e la medesima energia, per cui risulta un tempo di vita estremamente lungo rispetto a quello misurato sperimentalmente (tra 10−8 e 10−9 s). Infatti, il principale
meccanismo di ricombinazione è dovuto alla presenza di impurità nel cristallo che
perturbano la struttura a bande, aggiungendo livelli energetici nella banda proibita.
Dalla banda di conduzione, gli elettroni possono decadere verso questi centri di ricombinazione e rimanervi per un certo intervallo di tempo, durante il quale possono
annichilarsi con una lacuna; oppure possono essere intrappolati da impurità che sono
21
3 – Il rivelatore al germanio iperpuro
in grado solamente di trattenerle per un tempo determinato (trapping).
Anche i difetti reticolare, che consistono in buchi nel reticolo, o nella presenza di
atomi tra due punti reticolari adiacenti o in dislocazioni di intere schiere di atomi,
possono dare luogo allo stesso tipo di meccanismi di ricombinazione. Questi difetti
possono generarsi durante la crescita del cristallo, per shock termico o a seguito di
bombardamento da radiazione.
Proprietà del germanio intrinseco
Numero atomico (Z)
32
Massa atomica (A)
72.60
Isotopi stablili (A)
70, 72, 73, 74, 76
Densità a 300K (g/cm3 )
4.41×1022
Costante dielettrica
16
Gap a 300K (eV)
0.665
Gap a 0K (eV)
0.746
−3
2.4×1013
Densità di portatori a 300K (cm )
Resistività a 300K (Ω · cm)
47
2
Mobilità lacune a 300K (cm /V · s)
1900
2
Mobilità elettroni a 300K (cm /V · s)
3900
Mobilità lacune a 77K (cm2 /V · s)
4.2×104
Mobilità elettroni a 77K (cm2 /V · s)
3.6×104
Energia per coppia elettrone-lacuna a 77K (eV) 2.96
3.2.2
Semiconduttori estrinseci o drogati
A differenza della precedente discussione sulle impurità, l’aggiunta controllata di
una certa quantità di drogante migliora la conducibilità. Per esempio, nel germanio
intrinseco, ni ' 1.5 × 1013 cm−3 contro una densità di atomi ' 1022 cm−3 (tabella
3.2.1), ovvero solo un miliardesimo di atomi di germanio è ionizzato, quindi è evidente la necessità di aumentare la concentrazione di portatori di carica. Poiché il
germanio è tetravalente (come il silicio), è sufficiente introdurre una piccola quantità
di impurità trivalenti o pentavalenti per sbilanciare la concentrazione a favore delle
lacune o degli elettroni, rispettivamente.
Il drogaggio crea livelli energetici immediatamente al di sotto della banda di conduzione, se si tratta di atomi pentavalenti detti donatori, o immediatamente al di
sopra della banda di valenza, se si tratta di atomi trivalenti o accettori; in entrambi i
casi la differenza in energia è di circa 0.01eV . Dal primo tipo di drogaggio si ottiene
un materiale di tipo n, ovvero vi è una prevalenza di elettroni. Infatti, i donatori
hanno un elettrone in più, che non contribuisce ai legami, già saturi, e può essere
facilmente portato dal nuovo livello creato alla banda di conduzione per eccitazione
22
3 – Il rivelatore al germanio iperpuro
termica, aumentando cosı̀ la conducibilità del materiale. Inoltre l’elettrone in eccesso riempie le buche normalmente create, diminuendo la concentrazione di lacune, le
quali, contribuendo comunque alla corrente, vengono chiamate portatori minoritari.
Al contrario, nel secondo modo di drogaggio, si ottiene un semiconduttore di tipo p,
ovvero la concentrazione di lacune è dominante, dato che gli elettroni nella banda
di valenza sono facilmente eccitabili al nuovo livello di energia, aumentando cosı̀ il
numero di lacune in quella banda. Inoltre l’eccesso di lacune diminuisce la concentrazione di elettroni liberi e il ruolo di portatori minoritari ora compete a questi.
Per utilizzi standard la concentrazione di impurità introdotte è dell’ordine di 1013
atomi cm−3 , in pratica poche parti su un miliardo rispetto alla densià del semiconduttore. Per utilizzi speciali è anche possibile usare materiali pesantemente drogati
(' 1020 atomi cm−3 ) come contatti elettrici e vengono distinti dai semiconduttori
normalmente drogati, aggiungendo un + in apice alla lettera che contraddistingue
il tipo di semiconduttore estrinseco.
Indifferentemente con il tipo di dopante, la concentrazione di lacune e elettroni obbedisce alla semplice legge dell’azione di massa. Se n è la concentrazione di elettroni
e p quella di buche, il loro prodotto è
np = n2i = CT 3 exp(
−Eg
)
kB T
dove ni è la concentrazione intrinseca precedentemente stabilita. Un semiconduttore
deve essere neutro, quindi, detta NA la concentrazione di accettori e ND quella di
donatori il bilanciamento dà
NA + n = ND + p.
In un materiale di tipo n si ha NA = 0 e p n, dunque
n ' ND ,
ovvero la concentrazione di elettroni è approssimativamente quella degli atomi donatori, ottenendo per la concentrazione di lacune
p'
n2i
.
ND
Dalla (3.1)
σ ' eND µn .
(3.2)
Analogamente per un semiconduttore di tipo p
σ ' eNA µp .
23
(3.3)
3 – Il rivelatore al germanio iperpuro
3.2.3
La giunzione pn
Proprietà peculiari nascono quando si giustappongono due semiconduttori drogati
diversamente. I metodi per produrre materiali monolitici in cui una parte presenta
droganti di tipo n e quella adiacente di tipo p non sono negli obiettivi di questa
trattazione. Ad ogni modo, avendo stabilito siffatta giunzione, chiamata diodo, possiamo dedurre le caratteristiche elettriche sulla base di semplici considerazioni.
Vista la differenza di concentrazione di lacune e elettroni, si assiste alla diffusio-
Figura 3.2.
Schema della giunzione pn
ne delle prime nella zona drogata n e dei secondi nella zona di tipo p. Poiché il
semiconduttore è inizialmente neutro, la ricombinazione nelle due zone diversamente drogate crea un campo elettrico a cavallo della giunzione che inibisce ulteriore
diffusione. In altre parole c’è una differenza di potenziale tra le due zone, dovuta
all’accumulo di cariche negative nella parte p e all’accumulo di cariche positive in
quella n, chiamato potenziale di contatto, dell’ordine di un Volt.
La regione in cui varia il potenziale è chiamata zona di svuotamento perché non
vi si trovano portatori di carica liberi, infatti, qualora se ne creassero, verrebbero
condotti dal campo elettrico verso la parte a minor potenziale. Si possono calcolare
il potenziale di contatto e l’estensione della zona di svuotamento, appellandosi a un
modello unidimensionale in cui la regione p si estende lungo il semipiano di ascissa
negativa e la regione n lungo quello positivo, come nella figura 3.2.3.
Assumendo la distribuzione della densità di carica uniforme
eND
0 < x < xn
ρ(x) =
(3.4)
−eNA −xp < x < 0
24
3 – Il rivelatore al germanio iperpuro
Figura 3.3. Distribuzione della carica (ND > NA ) e andamento del
potenziale di contatto
dove xn è l’estensione della zona di svuotamento nella regione n e xp l’estensione
nella regione p, si può determinare il potenziale dall’equazione di Poisson
ρ(x)
d2 φ
=−
,
2
dx
(3.5)
dove è la costante dielettrica. Dalla conservazione della carica totale abbiamo
anche
NA x p = ND x n .
(3.6)
Integrando una volta (3.5) otteniamo
dφ
=
dx
− eND x + cn 0 < x < xn
eNA
x + cp
−xp < x < 0,
dove cn e cp sono costanti di integrazione che si possono calcolare dato che
dφ dφ =
= 0,
dx x=xn
dx x=−xp
25
(3.7)
3 – Il rivelatore al germanio iperpuro
quindi dalla (3.7) l’espressione per il campo elettrico è
eND
dφ
− (x − xn ) 0 < x < xn
−E(x) =
=
eNA
(x + xp )
−xp < x < 0.
dx
(3.8)
Integrando (3.8)

 − eND x2 − xn x + c 0 < x < xn
2
φ(x) =
 eNA x2 + xp x + c0
−xp < x < 0.
2
(3.9)
Poiché la soluzione deve essere continua in x = 0 c = c0 . Detta φ0 la differenza di
potenziale tra le due zone, si ha φ(xn ) = φ0 , φ(−xp ) = 0 e
eND 2
x +c
2 n
φ0 =
(3.10)
eNA 2
x + c.
2 p
Eliminando c si ottiene il potenziale di contatto
0=−
(3.11)
e
(ND x2n + NA x2p ).
2
φ0 =
(3.12)
Usando (3.6)
s
xn =
2φ0
eND (1 +
s
xp =
ND
)
NA
2φ0
eNA (1 +
NA
)
ND
.
(3.13)
Dalla precedente scopriamo che se una regione è più drogata dell’altra, la zona di
svuotamento si estende maggiormente in quella meno drogata. La larghezza totale
della zona di svuotamento si trova facilmente
r
2φ0 NA + ND
d = xp + xn =
.
(3.14)
e
N A ND
Se NA ND dalla (3.14)
r
d ' xp '
2φ0
eNA
(3.15)
e dalla (3.3)
s
d'
2µp φ0
,
σp
(3.16)
dove σp è la conducibilità della regione p.
La zona di svuotamento, come vedremo nel seguito, è la parte deputata alla rivelazione della radiazione. Il campo intrinseco non è sufficiente per raccogliere abbastanza
26
3 – Il rivelatore al germanio iperpuro
carica e il volume attivo del rivelatore è troppo piccolo. Si ovvia a questo polarizzando inversamente il diodo, ovvero alimentando la regione n con un potenziale
positivo V che attrae gli elettroni. La differenza di potenziale diviene φ0 + V e
l’equazioni (3.14), (3.15) (3.16) si riscrivono sostituendo il nuovo potenziale. V è
limitato superiormente solo dalla capacità del diodo di resistere a tensioni elevate:
oltre un certo valore, infatti, si ha la perforazione del dielettrico. Il potenziale di
contatto può essere trascurato a fronte di valori della tensione inversa di due o tre
ordini di grandezza superiori, aumentando proporzionalmente l’ampiezza della zona
di svuotamento. Quando questa si estente per tutto il semiconduttore, si parla di
svuotamento completo.
3.2.4
Semiconduttori come rivelatore
Quando un elettrone secondario, prodotto in un’interazione fotone-materia, deposita
energia nella zona di svuotamento della giunzione pn, vengono generate lungo il
percorso lacune e elettroni in egual numero. L’intenso campo elettrico fa si che
entrambi i portatori di carica si muovano in direzione opposta, dando luogo a una
corrente che persiste finché l’intera carica non viene raccolta. Tuttavia l’applicazione
del campo elettrico è subordinata al collegamento di elettrodi ai capi della giunzione
e questo non può avvenire se i contatti sono metallici poiché creano una giunzione
metallo-semiconduttore con la zona di svuotamento che si estende all’interno del
semiconduttore. Per ovviare a questo problema si interpone uno strato di materiale
n+ tra la regione n e il contatto metallico e uno strato p+ tra la regione p e il suddetto
elettrodo, infatti, dato l’alto drogaggio, la zona di svuotamento è pressoché nulla in
base alla (3.13).
Uno dei vantaggi, già menzionati, di utilizzare un semiconduttore come rivelatore
è la piccola energia necessaria per produrre portatori di carica. Inoltre, assumendo
che la regione di svuotamento sia sufficientemente ampia da fermare completamente
gli elettroni secondari, la risposta del cristallo è perfettamente lineare. Supponiamo
che l’intera energia del fotone gamma E sia convertita in un elettrone secondario,
allora questo nel suo tragitto genera E/I coppie elettrone-lacuna, dove I è l’energia
media necessaria per la generazione della suddetta coppia. Se assumiamo che solo
una frazione n di coppie venga raccolta, allora la carica totale che si forma agli
elettrodi è
nE
Q=
I
e dal momento che la zona di svuotamento ha una capacità C (si veda più avanti),
la tensione rilevata agli elettrodi è
V =
Q
E
=n .
C
IC
27
3 – Il rivelatore al germanio iperpuro
La relazione effettivamente è lineare. Al contrario, quando la zona di svuotamento
risulta più piccola del cammino della radiazione, la risposta non è lineare, infatti ciò
che si misura è la perdita di energia. Dunque, per una data estensione della zona di
svuotamento, la risposta è lineare solo se il libero cammino medio della radiazione
non supera quest’estensione.
La risoluzione, come abbiamo visto a pagina 17, dipende dal fattore di Fano e dal
numero di portatori di carica. Benché numerosi esperimenti non abbiamo ancora
determinato precisamente il valore del fattore di Fano, esso viene stimato intorno a
0.12. Visto che per il germanio I = 2.96eV concludiamo che
1.4
R= √ .
E
Un fattore che limita la sensibilità del rivelatore è la corrente di perdita che attraversa la giunzione anche se questa è polarizzata inversamente e quindi, idealmente,
non conduce. Le fluttuazioni di questa corrente possono mascherare piccole sorgenti
introducendo un certo rumore di fondo. La corrente è imputabile a diversi fattori,
tra cui ricordiamo il movimento dei portatori di carica minoritari e gli effetti di
superficie che possono rappresentare percorsi di fuga.
Inoltre la configurazione elettrica della zona di svuotamento dà luogo a effetti capacitivi che possono peggiorare la risposta del rivelatore introducendo rumore. Per
una configurazione planare si ha
A
(3.17)
C=
d
dove A è l’area della zona di svuotamento.
L’efficienza intrinseca per particelle cariche (come gli elettroni secondari) è molto
prossima a 1, e può essere valutata attraverso opportune simulazioni MonteCarlo.
3.3
Il germanio iperpuro
La massima larghezza della zona di svuotamento che si può ottenere con semiconduttori normalmente puri è 2 o 3 mm, anche se la polarizzazione inversa è prossima
alla rottura del diodo. Tuttavia, per la spettroscopia gamma, sono necessari rivelatori con un volume attivo ben più grande.
Dalla relazione 3.15 si nota che, diminuendo la concentrazione di impurità, è possibile aumentare il volume attivo. Infatti, le tecniche sviluppate verso la metà degli anni Settanta, permettono di ridurre la concentrazione di impurità fino a 1010
atomo/cm3 , raggiungendo un’estensione della regione di svuotamento pari a 1 cm.
Il procedimento inizia da un materiale già molto puro, come si usa nell’industria dei
semiconduttori, e viene raffinato progressivamente, sfruttando la maggiore solubilità
28
3 – Il rivelatore al germanio iperpuro
delle impurità nel germanio fuso rispetto allo stato solido. Questo viene riscaldato
localmente e gli atomi estranei vengono fatti passare da una parte all’altra finché
non sono eliminati dal materiale. Ripetendo più volte questa lavorazione si ottiene
un germanio purissimo, forse il materiale più puro prodotto in quantità commerciabili, dal quale viene fatto un accrescere un grande cristallo monolitico. Il germanio
iperpuro ottenuto è di solito chiamato germanio intrinseco o HPGe. Se la bassa
concentrazione di drogante rimasta è appartenente al terzo gruppo (accettori come
l’alluminio), si parla di semiconduttore di tipo π, se la concentrazione maggiore è
di donori viene indicato con ν. La proprietà elettrica di questi materiali è di avere
un’alta resistività.
Il processo summenzionato non è applicabile al silicio, data il suo alto punto di fusione (1410 o C contro i 959 o C del germanio) che rende difficoltosa l’espulsione delle
impurità. Tuttavia è possibile per entrambi gli elementi dar origine a materiali compensati, in cui l’eccesso di un tipo di drogante viene bilanciato da quello opposto.
Questo tipo di semiconduttore ha il grande svantaggio di dover essere mantenuto
costantemente a bassa temperatura per prevenire la ridistribuzione degli atomi compensanti.
Nella configurazione planare i contatti elettrici sono applicati sulle due superfici piatte di un disco di germanio di tipo π o ν attraverso strati n+ e p+ . Le configurazioni
n+ πp+ e n+ νp+ , dove nel primo caso la regione totalmente svuotata è prodotta nella
giunzione n+ π e nel secondo nella p+ ν, hanno le stesse caratteristiche. Il piccolo gap
a temperatura ambiente tra la banda di conduzione e quella di conduzione è causa
di un eccesso di corrente di perdita provocata dall’eccitazione termica, per evitare
questo, il rivelatore opera intorno a 77K. Il potenziale inverso applicato garantisce
che la zona di svuotamento occupi l’intero volume della regione meno drogata e
che gli elettroni raggiungano la velocità di saturazione (∼ 107 cm/s) diminuendo le
possibilità di ricombinazione e il tempo di raccolta. La velocità di saturazione delle
lacune non è raggiunta, per non incorrere nella perforazione del dielettrico.
La distribuzione delle linee di campo elettrico all’interno di un diodo determina la
velocità dei portatori di carica prodotti nelle interazioni tra elettroni secondari e materia e dunque il tempo impiegato per raccogliere i portatori per formare il segnale.
Dall’equazione di Poisson (3.5) di pagina, si ricava l’andamento del potenziale di
contatto φ
ρ
(3.18)
∇2 φ = −
posto che nel germanio di tipo π la densità di carica ρ = −eNA , dove −e è la
carica di un elettrone e NA è la densità degli accettori, in ciascuno di questi siti nel
reticolo cristalli è presente una carica negativa. Analogamente per il germanio ν.
Dall’equazione (3.16), la profondità della regione di svuotamento è
d=
2V
,
ρ
29
3 – Il rivelatore al germanio iperpuro
dove V è la tensione inversa applicata ai capi della giunzione. Il valore minimo
del potenziale applicato a un semiconduttore di spessore S per ottenere il completo
svuotamento della regione è
ρS 2
VS =
.
(3.19)
2
Sfruttando le simmetrie della geometria planare, l’equazione di Poisson (3.18) si può
risolvere per un modello unidimensionale
d2 φ
ρ
=− .
2
dx
(3.20)
Per una tensione applicata minore di (3.19), l’intensità del campo elettrico è
E(x) = −
d2 φ
dx2
(3.21)
con la condizione al contorno φ(d) − φ(0) = V , la cui soluzione, per il germanio di
tipo π risulta
eNA d
V
x−
,
(3.22)
|E(x)| = +
d
2
dove x è la distanza dal contatto p+ . Per x > d e V < VS la soluzione non è più
valida e il campo elettrico è nullo. Invece per V > VS , l’eccesso di tensione aumenta
il campo elettrico di (V −VS )/S in tutto il volume attivo del rivelatore. La giunzione
dà luogo a effetti capacitivi dipendenti dalla tensione applicata
C=
ρ 21
2V
per unità di area
(3.23)
invece, quando lo svuotamento è completo, ovvero applicando una tensione V > VS ,
la capacità satura al valore (3.23) con il potenziale VS . Il valore costante di C indica
che la regione di svuotamento si estende per tutto il cristallo di germanio.
La configurazione cilindrica o coassiale permette una maggiore efficenza, visto che
il volume attivo può essere ulteriormente incrementato, facendo crescere cristalli di
lunghezza arbitraria. I contatti elettrici, attraverso gli usuali strati pesantemente
drogati, vengono sistemati sulla superficie esterna e sulla quella interna, rimuovendo
un piccolo cilindro dal centro del cristallo (true coaxial ). Per ridurre la corrente di perdita sulle superfici piatte della geometria coassiale, si sceglie di estendere
l’elettrodo esterno su una di queste (closed-end coaxial ), anche se si riscontra una
disuniformità del campo elettrico, specialmente negli angoli del cristallo dove le linee
di campo non sono più radiali, visto che qualche accorgimento tecnico permette di
ovviare a questo problema (bulletized closed-end coaxial, figura 3.4). Al contrario
della geometria planare, le disuniformità del campo elettrico richiede attenzione sulla posizione del contatto rettificante, come si vedrà nel seguito, il potenziale inverso
30
3 – Il rivelatore al germanio iperpuro
da applicare è minimo quando lo strato p+ nel germanio di tipo π e n+ in quello di
tipo ν sono posti sulla superficie interna del cilindro. Inoltre questa scelta assicura
un’intensità maggiore del campo elettrico nelle regioni più esterne del rivelatore.
L’equazione di Poisson (3.5) in coordinate cilindriche prende la forma, nella
Figura 3.4.
Configurazione bulletized closed-end coaxial del HPGe
coordinata radiale,
d2 φ 1 dφ
ρ
+
= .
(3.24)
2
dr
r dr
Assumendo la configurazione true-coaxial per un cristallo di tipo π, con raggio interno r1 e raggio esterno r2 , e la condizione al contorno φ(r1 ) − φ(r2 ) = V , il campo
è
elettrico E(r) = − dφ
dr
|E(r)| =
A
V − eN
(r22 − r12 )
eNA
4
r+
,
2
r ln rr21
(3.25)
dove NA è la concentrazione di accettori costante per tutto il volume del cristallo.
La tesione per svuotare completamente il rivelatore si ottiene ponendo E(r1 ) = 0,
ottenendo
i
ρ h 2 r2 1 2
r1 ln − (r2 − r12 ) .
(3.26)
VS =
2
r1 2
La capacità del semiconduttore completamente svuotato in questo caso è
C=
2π
ln rr21
(3.27)
ed è minima mantendo il raggio interno il più piccolo possibile.
La caratteristica principale dei rivelatori HPGe è l’altissima risoluzione, che permette di distinguere sorgenti molto prossime in energia, rendendoli fondamentali
per analizzare spettri molto complessi. In generale, come abbiamo visto, la risoluzione è condizionata da tre fattori, la cui predominanza dipende dall’energia della
radiazione e dalla dimensione e qualità del rivelatore:
31
3 – Il rivelatore al germanio iperpuro
• ampia fluttuazione del numero di portatori di carica,
• variazione dell’efficienza nella raccolta della carica,
• rumore introdotto dall’elettronica.
Denotando la larghezza a metà altezza complessiva con WT , possiamo scrivere
WT2 = WD2 + WX2 + WE2 .
Il primo termine tiene conto della fluttuazione statistica, seconda la formula già nota
WD2 = (2.35)2 F IE,
dove F è il fattore di Fano, I è l’energia necessaria per produrre una coppia elettronelacuna e E è l’energia della radiazione incidente. Il contributo di WX2 è dovuto all’impossibilità di raccogliere interamente i portatori di carica e domina nei rivelatori
molto grandi e quando il campo elettrico applicato non è sufficiente a saturare la loro
velocità di deriva. Il terzo fattore rappresenta gli effetti introdotti dai componenti
elettronici. Ad alte energie la perdita di risoluzione si deve al primo contributo,
mentre a basse dominano gli altri due. Le migliori prestazioni si ottengono impiegando piccoli volumi, per limitare la ricombinazione dei portatori, che è la principale
causa della perdita di questi, e diminuire gli effetti capacitivi del rivelatore stesso.
32
Capitolo 4
Misura attività ambientale
L’ambiente in cui viviamo è sede di un ininterrotto flusso di radiazioni la cui origine
si può rintracciare nei raggi cosmici e nella disintegrazione dei nuclidi naturali e
artificiali. I radionuclidi naturali possono essersi formati nella nucleosintesi stellare
oppure possono essere prodotti dall’interazione dei raggi cosmici coi nuclei presenti
nell’atmosfera. I primi possono essere raccolti in tre famiglie, aventi come capostipiti U-238 U-235 Th-232 e tutt’e tre terminano con un isotopo stabile del piombo. I
numeri di massa dei nuclei appartenenti alle tre famiglie sono esprimibili attraverso
le relazioni A = 4n + 1 A = 3n + 1 A = 2n + 1 . Altri radionuclidi naturali sono
caratterizzati da un tempo di vita paragonabile all’età della Terra e tra questi vi è
il K-40, il principale responsabile del fondo radioattivo del corpo umano.
L’interazione dei raggi cosmici, costituiti principalmente da fotoni, neutrini, elettroni, positroni e protoni, con i nuclei presenti nell’atmosfera produce nuove sorgenti
radioattive; per esempio p + A → p + A + nπ ± + mπ 0 , dal decadimento dei mesoni
hanno origine raggi gamma π 0 → 2γ.
Infine reattori nucleari e test militari con ordigni atomici hanno rilasciato nell’ambiente numerosi radionuclidi.
33
4 – Misura attività ambientale
Figura 4.1.
Picco del Potassio a 1440 keV
34
Capitolo 5
Studio del rivelatore in campo
magnetico
Abbiamo studiato la performance di un rivelatore HPGe commerciale prodotto dalla
Ortec in campi magnetici molto intensi (fino a 2.5T ) e abbiamo analizzato gli effetti
del campo sullo spettro gamma per tre sorgenti differenti: americio (141 Am, 59 keV ),
cesio (137 Cs, 661 keV ) e cobalto (60 Co, 1173 e 1332 keV ).
Sono attesi due effetti per il rivelatore operante in campi magnetici:
• deflessione dei portatori di carica, dovuta alla forza di Lorentz,
• aumento dell’effetto Penning nel vuoto che circonda il semiconduttore all’interno della capsula del rivelatore.
Entrambi i fenomeni incrementano il tempo di salita del segnale e modificano la
forma del full-energy peak nello spettro.
La deflessione dei portatori di carica è causa del prolungamento del percorso di deriva
ed è la principale sorgente del cosiddetto difetto balistico: in generale questo consiste
nella riduzione dell’ampiezza del segnale che può essere causato sia dal maggior
tragitto percorso, sia dall’aumento degli effetti di ricombinazione e di trapping.
Anche se la carica viene completamente raccolta, il maggior tempo richiesto può
causare la diminuzione del segnale di uscita, dipendentemente dallo shaping-time.
Nel caso di ricombinazione o trapping l’effetto è predominante visto che la scala dei
tempi tipica di questi processi è molto maggiore delle costanti di tempo dei circuiti.
L’effetto Penning consiste nell’aumento del tasso di ionizzazioni prodotte nel gas
residuo all’interno del volume tra il cristallo di germanio e la capsula del rivelatore:
la deflessione delle particelle cariche, seguendo le linee del campo, ne prolunga la
permanenza nel suddetto volume, incrementanto l’intensità dell’effetto Penning o
producendo ionizzazione secondarie che portano a scariche nel gas.
I due effetti risultano nella distorsione del segnale generato e del full-energy peak
35
5 – Studio del rivelatore in campo magnetico
nello spettro. L’informazione contenuta nel segnale si degrada e il cambiamento può
essere quantificato in tre diversi modi:
• perdita di efficenza,
• spostamento del picco,
• perdita di risoluzione.
Si ritiene che l’effetto Hall sui poratori di carica in un campo magnetico, non abbia
conseguenze rilevanti e per questo non sarà oggetto di ulteriore analisi.
5.1
Apparato sperimentale e misurazioni
L’apparato utilizzato per controllare il comportamento del rivelatore HPGe in un
campo magnetico è posizionato all’interno del magnete SOLE presso i Laboratori
Nazionali del Sud dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Il magnete è un solenoide superconduttivo, in grado di raggiungere 2.5T .
Il rivelatore durante l’esperimento è stato polarizzato a 2900V . Le tre sorgenti di
raggi gamma sono state messe insieme a 5cm dalla capsula in alluminio che contiene il rivelatore e allineate con il suo asse. Visto che lo scopo è di investigare
l’effetto del campo magnetico sulla raccolta della carica e quindi sulla FWHM, sullo
spostamento del centroide, sull’asimmetria (skewness) e sulla perdita di efficienza,
si sono ripetute acquisizioni (runs), con lo stesso shaping-time e differente valore
del campo magnetico. I valori di shaping-time usati sono 3µs e 6µs. I valori del
campo magnetico sono 0.00, 0.70, 1.32, 2.02, 2.25, 2.50T per una durata dei runs di
30min e 0.00, 0.60, 0.80,; 1.00, 1.20, 1.60, 1.80 T per una durata dei runs di 15min.
In ciascun run il tempo morto è rimasto più piccolo del 4%. Per dimostrare che
il campo magnetico non ha effetti sull’elettronica all’interno della capsula di alluminio (preamlificatore e filtro per alte tensioni), si è inviato un impulso elettrico
nell’preamplificatore. Il guadagno è fissato all’inizio dell’acquisizione in modo che
vi sia un picco alla fine dello spettro. Per tutti i runs, ogni canale corrisponde alla
larghezza in energia 0.09137 ± 0.00059keV .
Il picco generato dall’impulso esterno è modificato dal campo magnetico, mentre lo
spostamento del centroide di ogni altro picco, la variasione della skewness e l’aumento della FWHM sono significative e verranno analizzate nella prossima sottosezione.
5.2
Analisi dei dati
Per ottnere informazioni sulla risoluzione, sullo spostamento del centroide, sulla simmetria e sulla perdita di efficienza, lo studio fit di ogni picco gamma è effettuato con
36
5 – Studio del rivelatore in campo magnetico
una funzione che descrive il fondo e una che si adatta alla forma del picco. Visto
che per campi magnetici molto intensi l’asimmetria del picco è notevole, si è usato
una funzione bigaussiana per il fit.
Il fit è stato svolto utilizzando le routines MINUIT del pacchetto ROOT. La procedura prevede la scelta di un intervallo di canali alla sinistra e alla destra del picco
per valutare il fondo e ricavare tutti i parametri del fondo e della forma del picco,
corrispondenti al miglior χ2 . Dal valore degli scati quadratici medi σ1 e σ2 della
funzione bigaussiana, la FWHM e la skewness sono calcolate in base alle formule
F W HM = 2.35
σ1 + σ2
2
r
2
(σ2 − σ1 )
π
σ + σ 2 3π − 8
1
2
2
σ =
(σ2 − σ1 )2 .
+
2
4π
La skewness del picco è calcolata in due diversi modi: dalla definizione matematica
z = zm +
S1 =
σ 2 (z − zm ) − (π − 3)(z − zm )3
σ3
e direttamente dai dati, attraverso la formula empirica
n
S2 =
dove
1 X zi − z 3
n i=1
σ
v
u n
u1 X
σ=t
(zi − z)2
n i=1
e
n
z=
1X
zi .
n i=1
Durante l’analisi si è trovato che S2 dipende dalla scelta dei canali a sinistra n1 e
a destra n2 del picco gamma. Questi canali sono scelti in modo da minimizzare la
differenza tra S1 e S2 . La seguente relazione è vera per ogni picco
S − S 1
2
= 0.0367 ± 0.0223.
S1
La perdita di efficienza è calcolata in base alla
Eloss =
N1 − N2
N1
37
5 – Studio del rivelatore in campo magnetico
dove N1 e N2 sono, rispettivamente, gli integrali del picco tra n1 e n2 senza (B = 0)
e con il campo magnetico (B 6= 0).
La parametrizzazione del fondo nella spettroscopia gamma è un problema ben noto,
al quale è stato dedicato nel passato un impegno notevole. Seguendo la letteratura,
si sono provate differenti parametrizzazioni per migliorare il risultato dei fit. Risultati ottimali si sono ottenuti usando differenti parametrizzazioni per le tre diverse
sorgenti. Il fondo dei picchi gamma del Cs è parametrizzato attraverso una funzione
lineare, mentre per i picchi del Co una funzione costante. I picchi di Am hanno
una pronunciata asimettria del fondo, quindi sono utilizzate tre differenti funzioni:
arcotangente più funzione lineare, polinomi di Chebyshev del terzo grado e funzione
degli errori più funzione lineare. Per questa sorgente sono riportati il valore medio
dei risultati ottenuti con le suddette funzioni di fondo.
5.3
Risultati e conclusioni
Dall’analisi degli spettri di energia si può estrapolare il cambiamento della risoluzione dalla distorsione del picco causata dal campo magnetico: le informazioni sono
ottenute dalla FWHM, della ∆FWHM rispetto al caso di assenza di campo magnetico (B = 0), dallo spostamento del picco all’aumentare dell’energia, dalla skewness,
dalle due deviazioni standard relative ai due lati della bigaussiana e dalla perdita
di efficenza. Queste quantità mostrano la comparsa di una lunga coda dalla parte
destra del picco, cioè verso energie più alte, ed esibiscono una dipendenza lineare
con energie crescenti per diversi valori di B.
In aggiunta, l’effetto è visibile anche plottando le stesse quantità in funzione del
campo magnetico per le tre sorgenti separatamente. Anche in questo caso c’è una
significativa diminuzione della risoluzione all’aumentare dell’intensità.
L’analisi del tempo di salita del segnale mostra l’allargamento di questo e la correlazione con l’ampiezza del picco per tutte le intensità del campo. Questo effetto può
essere utilizzato per correggere la distorsione del picco.
38
Bibliografia
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[6] A. Rigamonti P. Carretta, Stucture of matter, Springer-Verlag 2007
[7] A. Fontana et al., Study of the performance of HPGe detectors operating in very
high magnetic fields, pre-print
39