biografia Club Dogo

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biografia Club Dogo
Che Bello Essere Noi
Data di pubblicazione: 5 ottobre 2010
“Non è che abbiamo scelto di chiamare l’album Che bello essere noi perché siamo i
più fighi, ricchi e famosi, o abbiamo qualche delirio di onnipotenza. In realtà Che
bello essere noi significa soprattutto Che bello non essere gli altri: quelli che per
riempire un locale devono essere votati da una giuria di qualità; quelli che per fare
un disco devono prima scrivere i ringraziamenti; quelli che per arrivare in
classifica vogliono assomigliare a quello che è primo in classifica che a sua volta
ha fatto la cover di quello che ora è finito ultimo in classifica. I Club Dogo queste
cose le fanno da soli, senza reality o leccaculismi.
In un momento dove tutti cercano di assomigliare a qualcuno Che bello essere noi è
un’affermazione della nostra identità, fuori dal coro e lontano dalle imitazioni: i
Dogo assomigliano solo ai Dogo”.
I Club Dogo sono diventati, nel giro di alcuni anni quattro dischi e centinaia di
concerti, da “una delle novità dell’hip hop italiano a “la realtà dell’hip hop italiano”.
A decretarne il successo non sono state le recensioni dei critici musicali né i
passaggi in televisione o in radio, tutt’altro: sono state le autoradio dei furgoni che
fanno le consegne in giro per la città al ritmo Puro Bogotà i click dei milioni di
ragazzi che guardano il video di Brucia Ancora su youtube, le centinaia di flash
delle fotocamere che immortalano Jake La Furia col dito medio alzato, le suonerie
dei cellulari che squillano nelle piazze col beat di Don Joe, e tutti quelli che su
facebook vorrebbero l’amicizia di Gué Pequeno o hanno il cane argentino tatuato sul
braccio. Tradotto: il successo dei Club Dogo è dalla gente, per la gente. Quindi è a
ragione che il nuovo album si intitola Che bello essere noi: non si tratta di
autocelebrarsi, è passato il tempo per queste cazzate, anche perché se è vero che i
Dogo o li ami o li odi è vero anche il fatto che pure loro ti odiano e te lo vengono a
dire in faccia con rime potenti e precise come un colpo di Van Damme.
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Provate un po’ a chiedergli perché non sono più quelli di prima, dei tempi di Mi
Fist; provate a dirgli che si sono imbastarditi con la musica dance o che parlano
troppo di droga. Mentre sarete ancora lì a dare aria alla bocca con queste domande
stupide, loro vi passeranno davanti con un sorriso e l’auto che fa casino sgommando
via, lasciandovi a terra tra la polvere, sepolti dalle basi del dj Don Joe. I Club Dogo
saranno davanti, perché è solo da quella posizione che la fotografia di un paese
immobile come l’Italia viene messa a fuoco. Jake La Furia e Gué Pequeno
raccontano, senza censure né senza embedded, quello che succede in strada. Anche a
costo di essere duri con chi li ha sempre amati e si accontenta troppo di quello che
ha in un’epoca, quella degli Anni Zero dove zero è la voglia di rischiare, impegnarsi
e mettersi in gioco. Tutto questo senza nessun moralismo, ché non c’è niente che
suoni stonato come chi tenta di fare pezzi con “questo è giusto e questo è sbagliato”.
Ma arriviamo al punto centrale di questo disco: Che bello essere noi detto fuori dai
denti “spacca”: spacca perché ancora una volta i Club Dogo dimostrano che le
etichette per descriverli non esistono; spacca perché il primo aggettivo per definire
questo disco non può essere che “potente”; spaccano i testi, spaccano le basi,
spaccano i featuring, spaccano i Dogo, spacca tutto.
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Settembre 2010
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