era abituato a vedere nella propria provincia. Un

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era abituato a vedere nella propria provincia. Un
1971: prima speciale dogo argentino, al centro Ambrojo del Chubat con Ruben Passet Lastra
era abituato a vedere nella propria provincia. Un
esempio: fino alla fine degli anni ‘80 tra i dogo
provenienti dalla provincia di Cordoba e quelli
provenienti dalla zona di Buenos Aires c’erano evidenti differenze morfologiche. Questo era comunque il prodotto della selezione in quel preciso
momento, un prodotto intermedio che testimoniava la ricostruzione in atto; il quale ha poi portato alla nascita del dogo ma che, a quel tempo,
era ancora lontano dalla omogeneità necessaria e
al tipo a cui mirava Tonio. Tornando alle foto, ultimamente succede spesso che si prendano come
Mallocai del Punilla, 1979
Agustin Nores Martinez al centro
60 canidapresa
esempi di tipicità alcuni cani di quel periodo.
Personalmente lo ritengo un errore, in primo
luogo perché in quel momento, con ogni probabilità non esisteva più un tipo ben definito, in secondo luogo anche se Antonio non aveva lasciato
molto materiale scritto, esisteva comunque una
bozza di standard a cui fare riferimento. Se si
vuole prendere a tutti i costi un soggetto come
esempio di tipicità, lo si deve fare con un cane
selezionato dallo stesso Antonio e la scelta non
può ricadere che su Ana, il cane che Antonio utilizzò nella “prueba de campo” dimostrativa che
Amadeo Bilò in piedi tra due dogo
organizzò quando presentò pubblicamente la
razza e che protagonista del filmato citato in precedenza. Questo soggetto, come si può vedere,
per conformità e proporzioni della testa, del
corpo, ma anche per la taglia, ed ovviamente
escludendo il colore, non ricorda nessuna delle
razze utilizzate per la selezione del dogo ed è
senza dubbio quello morfologicamente più vicino
a un tipico dogo attuale. Per ciò che riguarda la
tipologia e le proporzioni della testa ideale questa
viene descritta molto bene da Tonio nell’articolo
pubblicato dalla rivista “Diana” nel 1947 e la si
può vedere molto bene nella foto a pagina 55 che
rappresenta il cranio ideale di un dogo argentino.
Tonio ha sempre parlato della testa ideale del
dogo come una testa con cranio da masticatore e
muso da fiutatore, con profilo convesso-concavo.
Pertanto una testa che non deve ricordare quella
di un alano o di un mastino, cioè con tratti marcatamente molossoidi, ma nemmeno quella di un
bull terrier o di un levriero, cioè con profili e proporzioni differenti da quelli descritti da Antonio
Nores Martinez come ideali. Che siano esistiti
esemplari mostranti evidenti caratteristiche che
ricordavano le razze intervenute nella selezione
del dogo è un dato di fatto ed è del tutto normale in un processo di selezione, non c’è nemmeno
bisogno di andare a riguardarsi le foto. Tutto ciò
però è solo il prodotto intermedio della selezione
che ha portato alla nascita del dogo. Da nessuna
parte questi esemplari sono indicati come tipici o
come l’obiettivo voluto e poi raggiunto da
Antonio. Per quel che riguarda la taglia qualche
sostenitore del dogo gigante asserisce che molti
cani del passato erano soggetti che superavano
anche i 70 cm e che tra gli scritti di Antonio si
legge che per la riproduzione sarebbero da preferire i soggetti di taglia più importante.
Effettivamente in passato ci sono stati soggetti
fuori taglia, ma stiamo sempre parlando di quel
periodo descritto sopra, in cui la razza era in una
fase di ricostruzione e comunque non è detto che
questi esemplari siano poi stati utilizzati per la
riproduzione. Tonio sostenne è vero questa teoria
sulla taglia degli stalloni da utilizzare in riprodu-
Ana, il dogo che
Antonio Nores
Martinez utilizzò nel
1947 per la “prueba
de campo” quando
presentò
ufficialmente la razza
canidapresa 61
Pakistan, incrocio di bull terrier ferito dopo una
battuta al cinghiale. Cani di questo tipo sono
utilizzati in questo paese anche per l’odiosa pratica
del bear-baiting. In alcuni tratti è abbastanza
evidente la somiglianza con gli antenati del dogo.
(
Conoscere la storia
è fondamentale per
proseguire in un corretto
lavoro di selezione.
zione, ma bisogna sempre tenere presente il
momento storico in cui lo disse. Stiamo parlando
della metà degli anni quaranta e la metà degli
anni cinquanta; in quell’epoca la razza pativa il
problema opposto di quello attuale, cioè si faticava a ottenere esemplari che raggiungessero la
taglia minima necessaria a svolgere la funzione
per la quale Antonio li aveva selezionati. Questo
accadeva per svariati motivi: uno era senza dubbio
la consanguineità con la quale si lavorava, visto
che il materiale genetico a disposizione era abbastanza limitato. Un altro motivo erano le condizioni in cui questi soggetti erano allevati, in quanto
erano cani da lavoro che svolgevano un preciso
compito molto dispendioso per tanti aspetti ma
che, di certo, non ricevevano cure e alimentazione
adeguate al tipo di vita, come era poi in uso a
quell’epoca in ogni parte del mondo. Ora per i
motivi contrari a quelli descritti sopra, si fatica a
mantenere i cani sotto il limite massimo della
taglia.
Concludo affermando che le foto storiche presenti in moltissimi siti internet o nei libri sono di assoluto interesse, perché conoscere la storia e com-
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prendere bene da cosa si è partiti è fondamentale
per proseguire in un corretto lavoro di selezione.
Però quando si osservano immagini o si leggono
documenti è indispensabile considerare sempre
l’epoca e il momento storico a cui si riferiscono
prima di dare giudizi affrettati o sposare teorie.
Senza dimenticare che, su molti aspetti della storia
del dogo, si possono fare solamente delle supposizioni, e le mie non fanno eccezione. La verità assoluta purtroppo non la conosce nessuno. Chi poteva darci delle risposte certe purtroppo è scomparso prematuramente lasciandoci comunque una
preziosa eredità: sta in noi seguitare nella selezione mantenendoci il più possibile vicini al progetto
di Martinez.
Andrea Pancaldi
Bibliografia
“Il dogo argentino” - Paolo Vianini
“El dogo argentino” - Agustin Nores Martinez
“Nostro perro dogo argentino” - Ruben Passet Lastra
“Historia del dogo argentino” - Jorge Arturo Masjoàn