Banditi e Briganti - Rubbettino Editore

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Banditi e Briganti - Rubbettino Editore
Francesco Saverio Nitti, Eroi e Briganti, 1899
Banditi e brigaNTI
Rivolta continua dal Cinquecento all’Ottocento
Rubbettino
e 18,00
ENZO CICONTE
Banditi e brigaNTI
«Che nome ha la terra in cui siete nato?»
mi domandò una vecchia signora che, nei suoi
giovani anni, era stata nel Mezzogiorno d’Italia.
«Sono di Napoli», risposi. «Proprio di Napoli?».
«No, di una terra ancora più meridionale, della
Basilicata». Mi accorsi che il nome riusciva nuovo
e volli precisare. «È una terra»,... io dissi, «molto
grande, grande la terza parte del Belgio, grande
più del Montenegro: non ha città fiorenti, né
industrie. La campagna è triste e gli abitanti
sono poveri. È bagnata da due mari e l’uno e
l’altro hanno costiere assai malinconiche;
dintorno ha le Puglie, i Principati e le Calabrie».
I nomi di queste terre dovettero produrre
una certa impressione poiché la mia interlocutrice
non mi fece quasi finire. «Il vostro», mi disse,
«se è tra la Calabria e le Puglie, deve essere
il paese dei briganti»
ENZO CICONTE
Storia di lunga durata. Storie di uomini, e di donne, molto
diversi tra loro. Storie di banditi, come venivano chiamati tra il
Cinquecento e il Settecento quelli che erano colpiti dal bando, cioè
da un decreto di espulsione dalla comunità di cui facevano parte.
Storie di briganti come nell’Ottocento i francesi definivano tutti
quelli che s’opponevano alla loro dominazione.
Il bandito ed il brigante non sono prodotti solo del Mezzogiorno
perché in tempi diversi li troviamo in Calabria, Basilicata,
Campania, Puglia, Sicilia, Abruzzo, Molise, Lazio, Veneto,
Piemonte, Toscana, Emilia-Romagna.
Una lunga scia di sangue fatta di atrocità, corpi squartati, teste
mozzate esposte ovunque. Crudeltà da tutte le parti.
Una repressione cieca, crudele, selvaggia pensa di risolvere
problemi, che sono sociali e politici, facendo ricorso alle armi, al
carcere, alle fucilazioni indiscriminate. Dalla Repubblica di Venezia
allo Stato Pontificio, dal Regno di Napoli al neonato Regno d’Italia
tutti i regnanti si comportano allo stesso modo.
L’altra faccia della repressione è la scelta degli Stati di venire a patti,
di scendere a compromessi, di fare accordi con i malviventi.
Sui briganti c’è un’enorme letteratura. Mancava un libro che
raccontasse il filo che lega e che separa banditi e briganti, che
mettesse in luce le diverse componenti – politica, religiosa, sociale,
di classe, culturale –, che demistificasse falsi miti come quello che i
mafiosi sarebbero i figli naturali o gli eredi legittimi dei briganti, e che
fosse illustrato con un numero rilevante di immagini che mostrano
lo sguardo con il quale la nascente borghesia italiana ed europea
ha osservato quelle plebi meridionali o come la propaganda dei
militari italiani ha raccontato la guerra e la distruzione dei briganti.
Sfileranno le xilografie dei banditi dei secoli passati, le stampe e gli
acquerelli dei briganti d’inizio Ottocento di Pinelli e di altri autori
europei impregnati di romanticismo, le prime foto dei briganti
catturati o dei cadaveri di quelli uccisi dai militari italiani.
Rubbettino
Enzo Ciconte è stato consulente presso la Commissione
parlamentare antimafia dalla XIII alla XV legislatura (19972008). È docente di Storia della criminalità organizzata presso
l’Università di Roma Tre. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo:
’ Ndrangheta dall’Unità a oggi, 1992; Mi riconobbe per ben due volte. Storia dello
stupro e di donne ribelli, 2001; Mafie straniere in Italia. Storia ed evoluzione,
2003 e, per Rubbettino, ’ Ndrangheta, 2008 e 2011²; Storia criminale,
2008; con Vincenzo Macrì Australian ’ndrangheta, 2009; con Nicola
Ciconte Il ministro e le sue mogli. Francesco Crispi tra magistrati, domande della
stampa, impunità, 2010; con Vincenzo Macrì e Francesco Forgione
Osso, Mastrosso, Carcagnosso. Immagini, miti e misteri della ’ ndrangheta
(illustrazioni di Enzo Patti), 2010; ’ Ndrangheta padana, 2010.
In copertina: Ritratto di Gasbarrone e sua moglie Geltrude, acquerello di F. Raggi del 1839
Enzo Ciconte
Banditi e briganti
Rivolta continua
dal Cinquecento all’Ottocento
Rubbettino
Sommario
Premessa
7
Introduzione. Tra fantasia e realtà
9
1. Gli antenati dei briganti tra Cinquecento e Settecento
23
2. Le intermittenze della legislazione
41
3. Finisce il Settecento. Nascono i briganti
63
4. Nobili, borghesi, contadini sulle terre del latifondo
79
5. Il brigantaggio al tempo dei francesi
89
6. Il brigantaggio al tempo del Papa Re
103
7. L’inquieta Romagna
113
8. Il brigantaggio al tempo degli ultimi Borbone
121
9. 1848. La grande paura dei moderati
135
10. I briganti nell’agonia del Regno
147
11. Arrivano i piemontesi; anzi, no: gli italiani
159
Bibliografia
185
su questioni e nodi problematici ancora irrisolti a distanza di 150 anni dall’Unità d’Italia.
Pirati d’acqua e briganti di montagna
Sopra:
5 - Capobrigante.
Incisione di Marroni
A destra:
6 - Briganti.
Disegno di Karl Gustaf
conte di Morner, litografia
di Cuciniello e Bianchi.
Bisogna iniziare dal fatto che a differenza dei pirati che sono uomini d’acqua, anzi di mare, i briganti – tutti, nessuno escluso – sono uomini di terra, per la precisione: di boschi e di montagna; preferiscono camminare sulla terraferma e poggiare i piedi su terreno solido e asciutto.
L’acqua che conoscono è quella dei torrenti, dei fiumi, delle fiumare, dei laghi, delle paludi, delle piogge torrenziali, della rugiada portata dall’aurora che annuncia un nuovo giorno ma che non promette al brigante la certezza d’un
sicuro tramonto perché può essere ucciso prima che il sole
varchi l’orizzonte e ceda il passo alla notte.
I pirati sono uomini d’altra tempra. Le loro imprese c’inseguono da tempi e da luoghi remoti e affascinanti, che hanno nomi accattivanti che si fa fatica a trovare sulle carte geografiche.
Luoghi esotici che ci parlano di culture, abitudini, costumi diversi e
distanti da noi, e proprio per questo, a sentire quelle storie, si rimane
a bocca aperta.
Nomi che ti aprono un mondo sconosciuto, da favola, dal suono misterioso, dolce, che richiama sapori e trasmette voci di cose lontane,
mai udite prima.
Le strepitose imprese dei pirati
sono legate a nomi di sogno: il
Mar delle Antille, il Mar dei Caraibi, l’isola di Madagascar. A
leggere quanto succede laggiù,
la fantasia si scatena e ti pare di
udire le voci dei pirati, le loro
urla selvagge e terrificanti quando vanno in battaglia, ti sembra
di sentire il rumore delle armi
che cozzano tra di loro, sciabola
contro sciabola, o il tuono del
cannone e delle pistole che sparano; se si sta attenti, si può avvertire quasi l’odore acre della
polvere da sparo.
Sembra persino d’udire l’eco lontana dei canti dopo l’assalto, di
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gustare l’odore del vino che scorre a fiumi
assieme al rum e ad altre bevande forti, adatte a veri uomini; e, infine, la gioia della vittoria sui nemici. Perché i pirati vincono
sempre; questo si sa,
non possono perdere.
Chi non ha sognato a
occhi aperti sentendo
pronunciare il nome
dell’isola della Tortuga
dove c’è il covo dei pirati più famosi di tutti
i tempi?
Cosa accomuna briganti e pirati
Tra i briganti e i pirati non c’è alcuna parentela, neanche lontana. Solo
poche cose li accomunano; fra queste, il mito che li circonda e li segue
ovunque, e la protezione di numerosi potenti che s’intravedono dietro
gli uni e gli altri.
Fernard Braudel ha scritto che «dietro la pirateria marittima, c’erano le
città, gli stati cittadini; dietro al banditismo, pirateria terrestre, c’era egualmente, a sostegno dell’avventura l’aiuto dei signori. Spesso i briganti hanno un signore autentico che li guida e dirige da vicino o da lontano».
I signori dietro gli uni e gli altri. È vero; i signori accompagnano, guidano, strumentalizzano prima i banditi e poi i briganti; ma non ci sono solo
i signori perché, come si vedrà, i banditi e i briganti hanno altri accanto a
loro, e sono davvero tanti, uomini e donne di varia estrazione sociale.
Briganti e pirati sono accomunati dal fatto che sono stati perseguitati
dalle autorità del tempo che hanno fatto di tutto per fermarli, in mare
aperto o sulla terraferma.
Accomunati anche dal fatto che se
le autorità hanno avuto un giudizio
pesantemente negativo, ben altro è
stato quello di gran parte della gente semplice, del popolo minuto, dei
giovani e soprattutto delle giovani
donne in età da marito che spasimavano per loro, che sognavano fu11
Sopra:
7 - Briganti di Sonnino.
Bartolomeo Pinelli 1823.
Sotto:
8 - Lite di briganti.
Bartolomeo Pinelli 1823.
ghe romantiche, incontri avventurosi, amori
senza fine.
Romanzieri, poeti, scrittori, libellisti, cantastorie, pittori, registi cinematografici e autori televisivi hanno tramandato ben altra immagine
da quella che è rimasta impressa nelle carte giudiziarie o di polizia o nelle cronache del tempo
o nei ricordi di chi quelle vicende ha vissuto.
Sulle tracce dei briganti
9 - 10
Vita di Filomena Pennacchio,
illustrata da cantastorie
popolari
Le pagine che seguono non s’occupano di pirati, ma parlano di uomini davvero particolari e
speciali, raccontano le vicende e le tragedie dei
«filibustieri di terra» come Stendhal chiama i
briganti, già a quell’epoca molto noti.
Per trovare le loro tracce bisogna avventurarsi tra boschi e foreste, vallate e sentieri, attraversare boscaglie e fitte selve, incamminarsi su aspri
sentieri di montagna, penetrare con loro nel profondo di alberi secolari, grotte, caverne, anfratti: è lì dentro che li troveremo.
I briganti s’inerpicano per monti e sentieri che pochi conoscono, vanno
per angusti calanchi, attraversano fiumi a piedi o a cavallo, camminano ai
bordi di burroni e precipizi, costeggiano il limitare d’immense foreste.
Stanno acquattati al riparo di piante secolari cresciute nel cuore di impenetrabili selve; controllano guadi o valichi vicini alle zone di frontiera – da sempre scarsamente sorvegliati, pericolosi e poco sicuri –, si aggirano presso località che si portano dietro una triste nomea perché da
tutti chiamate i “mali passi”: luoghi orridi, infidi, ideali per gli appostamenti e per gli agguati di giorno e di notte.
L’immaginario collettivo, ma anche gli studi e
le ricerche, indicano i boschi come una delle
fonti del brigantaggio, quasi una scaturigine
primordiale e nel contempo i loro testimoni più
affidabili; boschi che sanno parlare se sollecitati dal vento ma che, interrogati sui fatti dei briganti, rimangono silenziosi su quanto hanno visto e udito.
Tra boschi smisurati, incantati, misteriosi
Davanti agli occhi dei briganti ci sono boschi
smisurati, incantati, misteriosi che hanno generato in varie epoche fiabe e racconti popolati
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di fate e di orchi, di uomini cattivi e di uomini buoni che
hanno il potere, anzi la magia, di trarti in salvo e di trovarti
un riparo, un rifugio sicuro e un tozzo di pane quando sei
morto di fame.
Non c’è possibilità d’annoiarsi a seguire i briganti attraverso
quegli alberi carichi d’anni e quelle foreste. Ci potrà essere paura semmai, ma noia no.
I briganti si alimentano dell’aiuto prezioso dei contadini, degli uomini, delle donne e dei fanciulli che frequentano quelle
località; si alimentano anche di miti e di leggende, preziosi
quanto i viveri che ricevono. E si sa, senza miti e leggende i
briganti non esisterebbero,
e il loro ricordo non sarebbe arrivato sino a noi.
Questi luoghi splendidi per
la loro bellezza, incantati,
selvaggi, incontaminati ma
anche aspri, oscuri, inospitali, pericolosi, quando calano le ombre della sera
mettono paura o inquietudine. È qui che agiscono e
vivono i briganti, intrecciano rapporti, trovano solidarietà, amano e sono amati;
e spesso vi muoiono.
Sono anche ferocemente
odiati e disprezzati, sono
braccati dai soldati, dai carabinieri, dagli uomini della guardia nazionale, a volte persino da vecchi amici
che d’un tratto, per soldi o
per gelosia o per salvare la
vita come promette l’ultimo bando, o chissà per cos’altro – forse lo sgarbo d’un momento – si trasformano in traditori.
I briganti sono un po’ dappertutto, tra i monti e le zone di confine come s’è detto, ma anche lungo le strade principali dove sono all’ordine
del giorno agguati, rapine, sequestri di persona seguiti dalla richiesta
del riscatto.
C’è un’insicurezza per la propria vita e per il libero possesso dei propri
averi che genera paura, terrore che modifica abitudini e stili di vita,
che limita i commerci e gli spostamenti, che immobilizza alcuni e che
13
Sopra:
11 - Brigante di Sonnino
e sua moglie.
Bartolomeo Pinelli 1823.
Sotto:
12 - La famiglia del brigante,
tempera di Herry Lèveque.
costringe altri a trovare vie e percorsi
alternativi, che penalizza paesi e località perché infestati dai briganti.
Da qui bisogna partire per cercarli, per
rintracciare le loro orme, per individuare i segni del loro passaggio. Agiscono in questi posti e sono considerati imprendibili; anzi, immortali.
I briganti non muoiono mai, altrimenti che briganti sarebbero? Neanche quelli che sono uccisi e orrendamente squartati muoiono veramente
perché vivono nei ricordi, nei racconti, nelle fiabe, nelle leggende che li
rendono immortali.
Molti di loro si proclamano «re» dei
boschi che li ospitano e li nascondono
a occhi esterni. Alcuni si sentono davvero dei re, molti li considerano tali e li proteggono e li amano e li rispettano più dei veri regnanti.
Il brigante conosce bene i luoghi perché vi è nato, perché si è recato su
quelle terre sin da ragazzo, perché è qui che si sente sicuro, al riparo da
tutti; agisce e si muove entro un’area circoscritta che gli è familiare.
Non tutti sono rimasti fermi, alcuni di loro si sono mossi dai luoghi
d’origine, hanno valicato monti e attraversato le frontiere degli stati; ma
di solito il brigante non abbandona tanto facilmente le località che conosce a menadito. Qui sta la sua vera forza, qui sta la sua vera debolezza.
Bisogna aggirarsi tra i boschi, ma non soffermarsi più del necessario per
non farsi prendere dalla malìa, dal fascino e dall’incanto di foreste e di
montagne dai paesaggi fatati, dalla voglia di non abbandonarli più.
I briganti nei palazzi, non solo in montagna
13 - Frascatana rapita
dai briganti.
Bartolomeo Pinelli 1823.
Chi vuole incamminarsi è bene che lo sappia subito: il viaggio è lungo, dura per più secoli. Non troveremo i briganti solo tra le incontaminate località montane, ma anche nei palazzi nobiliari e papalini abitati, a Napoli come a Roma, da nobili e da porporati, e dagli ultimi
arrivati, i borghesi che accumulano le loro ricchezze e comprano residenze da qualche nobile famiglia decaduta, oppure innalzano i loro palazzi scimmiottando lo stile di quelli dei nobili.
C’è una gara tra di loro a chi sia più bravo a costruire la dimora più
sontuosa o quella più originale in grado di affermare, in faccia a tutti,
il proprio prestigio da trasmettere ai posteri e il potere da esercitare
nel presente.
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