lettura critica |Perché Dante sceglie la terzina

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lettura critica |Perché Dante sceglie la terzina
lettura critica | Perché Dante sceglie la terzina
Si è detto, e autorevole sostenitore di questa tesi è stato Karl Vossler, che la scelta della terzina da parte di Dante
sia stata determinata da un motivo religioso, quasi omaggio alla Trinità: ma a parte il fatto che non vi è testimonianza di questo proposito in Dante, esso se pur fosse stato reale resterebbe una di quelle “intenzioni” che il De
Sanctis escludeva dalla considerazione della poesia nella sua effettiva realtà. […] Si è di recente dimostrato come
attraverso la prosa scolastica del Convivio Dante sia giunto alla Divina Commedia, temprando la propria arte con
quell’esercizio che non aveva un puro valore intellettuale e risentendo nel suo volgare fortemente l’influenza della
prosa latina. Ora senza dubbio se non nell’invenzione prima, nella creazione della terzina ha avuto una parte determinante la consuetudine del ragionamento scolastico, del sillogismo ternario, per il quale il pensiero si articola
attraverso tre proposizioni. Ricordiamo anche l’importanza delle sentenze di Dante, come esse rispondessero al
gusto proprio del Medioevo, quando le arti poetiche insegnavano che le sentenze servono per adornare un componimento, ed esistevano veri e propri repertori di aforismi, sentenze, proverbi ad uso degli scrittori e predicatori;
Dante in ciò non faceva che seguire il suo tempo, ma quello che per gli altri era un semplice ornato retorico, egli
assimilò e fece suo proprio nella Divina Commedia che si snoda attraverso un gioco di sentenze, poste al principio
(e seguite da un però) o alla chiusa della terzina (precedute da un ché). Questo continuo trapasso dal particolare
all’universale e viceversa, che rispondeva all’abito del ragionamento sillogistico, alla mentalità, alla personalità di
Dante, ha avuto un’importanza fondamentale nella formazione della terzina; ne derivano certi elementi della sua
sintassi, i però, i ché,
(ditene dove la montagna giace
sí che possibil sia l’andare in suso;
ché perder tempo a chi piú sa piú spiace)
(Purg., III, vv. 76 sgg.)
e l’incastrarsi di sentenze e definizioni nel periodo principale, per mezzo di proposizioni relative. Tutto ciò si riconnette alla concezione stessa della Divina Commedia, che è la rappresentazione del mondo terreno alla luce di
una verità universale, che scende dal cielo e parla per bocca delle guide di Dante. Ma anche nel racconto stesso
sentiamo questa tendenza di Dante a riportare ogni fatto particolare a una norma universale, e inserendo ogni
fatto nel giro di un sillogismo Dante tende a portare nel suo racconto il ritmo ternario della terzina.
Il racconto di Francesca
Anche il tragico racconto di Francesca appare inquadrato in un parallelismo di sentenze, che rafforza il parallelismo retorico con cui è esposto:
Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,
prese costui della bella persona
che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sí forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi a vita ci spense.
Queste parole da loro ci fur porte.
(Inf., V, vv. 100 sgg.)
In questo caso è evidente (non siamo forse ancora di fronte all’arte più raffinata di Dante e quindi riusciamo meglio a cogliere il suo substrato culturale, perché è più scoperto) che il racconto è condotto secondo il modo del
sillogismo: Amor, ch’ al cor gentil ratto s’apprende è una sentenza di carattere generale; prese costui della bella
persona: il sillogismo è sottinteso (“costui gentile, come poteva non esser preso?”); segue una seconda sentenza:
Amor, ch’a nullo amato amar perdona, con un parallelismo mi prese del costui piacer, e una proposizione consecutiva aggiunta a maggiormente serrare il periodo sí forte, / che, come vedi, ancor non m’abbandona. Qui è
la confessione di una donna travolta dalla passione, eppure è possibile pensare un simile discorso fuori dal ritmo
della terzina? Sembrerebbe un’offesa a Francesca ricordare che qui è sottinteso un sillogismo, ma così è. Inoltre,
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notiamo questa forte testura di tre terzine, in cui spicca con tanto vigore il verso iniziale. O nel verso iniziale o in
quello di chiusa si afferma la forza del poeta; in questa tessitura Dante è riuscito a costringere un mondo tanto
vario e diverso.
Il racconto di Francesca, rispetto ad altri, ha ancora qualcosa di elementare; le tre terzine sono sintatticamente
staccate, congiunte solo dalla rima, si rivela ancora una forma d’arte primitiva e rigida. Ma questi sono solo i primi
tentativi della terzina dantesca: in essi meglio si scopre il passaggio dal sirventese, fatto per enumerare, narrare,
descrivere, ad una struttura più complessa, e in questo passaggio ha avuto una parte fondamentale l’esperienza
della cultura scolastica e della forma sillogistica. Proprio per questa esperienza viene così naturale a Dante di
ragionare per terzine; proprio per questo le sentenze vengono ad avere un valore ritmico e sintattico dominante:
molte terzine si aprono così, come questa di Francesca, con una sentenza, altre invece da una sentenza sono
chiuse solennemente.
Le parole di Beatrice
Dante pensa per terzine, discendendo dalle sentenze ai particolari, o risalendo dai particolari alle sentenze, e
nelle terzine sentiamo la robusta architettura intellettuale del suo poema; valga questo esempio caratteristico:
“Voi vigilate nell’etterno díe,
sí che notte né sonno a voi non fura
passo che faccia il secol per sue vie;
onde la mia risposta è con piú cura
che m’intenda colui che di là piagne,
perché sia colpa e duol d’una misura.
Non pur per ovra delle rote magne,
che drizzan ciascun seme ad alcun fine
secondo che le stelle son compagne,
ma per larghezza di grazie divine,
che sí alti vapori hanno a lor piova,
che nostre viste là non van vicine,
questi fu tal nella sua vita nova
virtualmente, ch’ogni abito destro
fatto averebbe in lui mirabil prova.
Ma tanto piú maligno e piú silvestro
si fa ’l terren col mal seme e non colto,
quant’elli ha piú di buon vigor terrestro.
(Purg., XXX, vv. 103 sgg.)
Si confronti il giro di questa terzina con quello delle terzine iniziali della Divina Commedia e si vedrà come
Dante si è tanto più immedesimato nel suo ritmo, strettamente legato alla sua maniera di ragionare. Qui,
dove parla Beatrice, il procedimento scolastico è scoperto: prima una sentenza generale (Voi vigilate
nell’etterno díe) e poi una proposizione consecutiva (sí che…), che formano il terzetto solenne di apertura;
da questa affermazione ne rampolla un’altra (onde la mia risposta…), finché, a chiudere il periodo di due
terzine, giunge una sentenza solenne (perché sia colpa e duol d’una misura). Sí che… perché…: si noti la
forza di queste congiunzioni iniziali che danno così spicco al singolo verso e alla singola terzina. Il pensiero
di Dante è qui veramente una cosa sola con la terzina e si snoda secondo le linee del ragionamento scolastico, un ragionamento entro cui è pure una potente passione. Alle prime due terzine segue un periodo
che si sviluppa con un giro maggiore; per accusare Dante, Beatrice deve risalire molto indietro:
Non pur per ovra delle rote magne,
che drizzan ciascun seme ad alcun fine
secondo che le stelle son compagne…:
abbiamo qui il caratteristico caso della terzina che si sviluppa da sé, come una cellula che si vada moltiplicando
in altre. La terzina così si sviluppa in un più ampio giro: il ritmo di tre versi diviene il ritmo di nove versi (notiamo
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ancora come questa sia una delle caratteristiche terzine di Dante, in cui si interrompe il periodo con un relativo: che
drizzan…); dopo quella prima terzina, il ritmo sintattico e quello metrico prendono un nuovo slancio:
ma per larghezza di grazie divine…
e nel periodo si incastra un nuovo relativo:
che sí alti vapori hanno a lor piova…
con una consecutiva:
che nostre viste là non van vicine…
Poi un’altra terzina, e uno sviluppo del ragionamento:
questi fu tal nella sua vita nova
virtualmente, ch’ogni abito destro
fatto averebbe in lui mirabil prova.
Si fa rilevare ancora una volta la frequenza delle consecutive, che stringono così saldamente membro a membro,
e, dopo questo ampio giro ritmico delle terzine, la solenne chiusa di mirabil prova. Poi si direbbe che il discorso
riprenda forza dopo un respiro:
Ma tanto piú maligno e piú silvestro…
Il ragionamento continua: di contro alla mirabil prova sono gli opposti effetti della condotta di Dante; un’altra sentenza suggella il ragionamento. Rileviamo ancora l’importanza delle congiunzioni in Dante; e, ma, tanto, quanto sono
come altrettanti saldi punti d’appoggio del discorso. Si vede come qui il ragionamento scolastico sia una cosa sola
col ritmo delle terzine, le quali si adattano bene a questa passione dantesca irrobustita e regolata dall’esperienza
dell’uomo “domestico della filosofia”.
(M. Fubini, Metrica e poesia, Feltrinelli, Milano 1975)
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