Scheda da Film discussi insieme 2006

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Scheda da Film discussi insieme 2006
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Match point
regia e sceneggiatura: Woody Allen (Usa 2005)
fotografia: Remi Adefarasin
montaggio: Alisa Lepselter
musiche non originali: Giuseppe Verdi, Gaetano Donizetti,
Georges Bizet, Andrew Lloyd Webber, Gioacchino Rossini,
Carlos Gomez
scenografia: Jim Clay
costumi: Jill Taylor
interpreti: Jonathan Rhys-Meyers (Chris), Scarlett Johansson
(Nola), brian Cox (padre), Emily Mortimer (Chloe)
produzione: BBC, Thema Prod.
distribuzione: Medusa
durata: 2h 04’
WOODY ALLEN
New York - 1 dicembre 1935
1969 Prendi i soldi e scappa
1971 Il dittatore dello stato libero di Bananas
1972 Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma non avete
mai osato chiedere
1973 Il dormiglione
1975 Amore e guerra
1977 Io & Annie
1978 Interiors
1979 Manhattan
1980 Stardust Memories
1982 Una commedia sexy di una notte di mezza estate
1983 Zelig
1984 Broadway Danny Rose
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MATCH POINT
1985 La rosa purpurea del Cairo
1986 Hannah e le sue sorelle
1987 Settembre
1987 Radio Days
1988 Un’altra donna
1989 Crimini e misfatti
1989 Storie di New York
1990 Alice
1991 Ombre e nebbia
1992 Mariti e mogli
1993 Misterioso omicidio a Manhattan
1994 Pallottole su Broadway
1995 La dea dell’amore
1996 Tutti dicono I Love You
1997 Harry a pezzi
1998 Celebrity
1999 Accordi e disaccordi
2000 Criminali da strapazzo
2001 La maledizione dello scorpione di giada
2002 Hollywood Ending
2002 Anything Else
2004 Melinda e Melinda
2005 Match Point
LA STORIA
Chris Wilton arriva a Londra da giovane giocatore di tennis
già convinto di non avere i numeri per affermarsi tra le teste
di serie. L’altra sua convinzione è quella di sapere che la for-
tuna gioca sempre un ruolo fondamentale nella vita: come la
pallina da tennis che incappa nel bordo rete e può cadere di
qua o di là del campo e determinare la vittoria o la sconfitta
di uno dei due contendenti. Le sue sono origini modeste,
viene dall’Irlanda e suo padre è stato minatore. Ma è un bel
ragazzo, e si muove con una certa sincerità, due doti che catturano immediatamente il giovane erede di una ricca famiglia nobile della città, Tom Hewitt, di cui diviene istruttore
di tennis nel club molto privato che frequenta. Tom lo coinvolge subito nella vita di famiglia: la sera stessa della loro
prima lezione lo invita all’opera e i suoi genitori hanno per
lui parole di apprezzamento. Anche Chloe, la sorella, dopo
averlo sentito desideroso di conoscere i musei e le gallerie
d’arte di Londra, gli si offre come guida. Il secondo invito
che Tom rivolge a Chris è anche più importante: un week
end nella casa di campagna. Tra i tanti che vi si ritrovano c’è
Nola, una bella ragazza americana. “È la mia fidanzata”, gli
dice subito Tom. Si sono incontrati sei mesi prima ad una
festa e lui se ne è innamorato. Nola ha alle spalle una famiglia disastrata e davanti un incerto mestiere d’attrice. Due
motivi più che sufficienti per non godere affatto della simpatia di Eleonora, madre di Tom. Chris è attratto da quella
ragazza e lei non rinuncia a lasciargli indovinare che quella
attrazione può essere condivisa. Di ritorno a Londra Chloe
ricorda al giovane tennista la visita ad una galleria d’arte, ed
è solo la premessa di altri appuntamenti che lei costruisce
con un progetto più lungo. Chris inizia così una vera relazione con Chloe, la quale sapendo di poter contare anche
sulla buona impressione che lui ha fatto presso suo padre si
fa avanti per chiedergli un posto nell’azienda di famiglia.
Qualche giorno dopo, di nuovo tutti in campagna per il
week end, Chris ritrova Nola e questa volta non fingono più
di ignorarsi. Ormai tutti e due sanno quel che basta l’uno
dell’altra, grazie a un incontro apparentemente casuale, che
è però stato utile ad uno scambio di idee. Lei è perfettamente consapevole del fascino che esercita sugli uomini, lui sa di
non poter perdere l’opportunità di sposare Chloe. Eppure
basta una mossa imprevista di Nola, perché lui la segua e
sotto una pioggia battente in mezzo all’erba si abbandonino
l’uno nelle braccia dell’altro. Il ritorno a Londra riporta
Nola alla realtà. Affronta Chris: “La passione è passione. Ma
noi siamo già impegnati. Svegliamoci. Stiamo per diventare
cognati. È finita”. Chris e Chloe si sposano e lei gli dice che
vuole al più presto un bambino. Tom annuncia a Chris che
il suo fidanzamento con Nola è chiuso. Motivo? Si è innamorato di un’altra donna. La notizia turba Chris, che va subito a cercarla. E non la trova più: ha lasciato l’appartamento. Ma l’occasione per rivederla non tarda, ed è per puro
caso. Chris la riconosce mentre sta per raggiungere la moglie
e con l’abilità di un perfetto giocatore da adesso in poi continuerà a incontrarla sfuggendo alle mille domande di
Chloe, che pure non si spiega le sue misteriose telefonate.
Telefonate che invece Chris riesce sempre a giustificare, e
dalle quali né esce inevitabilmente turbato. Nola, che si ostina nel tentativo di fare del cinema, dapprima non si fa illusioni su quella storia. Ripete a Chris che lui non avrà mai il
coraggio di lasciare Chloe, ma asseconda poi la passione che
lui prova per lei. Un giorno lo trova insieme alla famiglia e
lo informa di essere incinta. Chris è dapprima sorpreso e poi
sconvolto. Il timido tentativo di confessare tutto alla moglie,
costretto a farlo in seguito alle minacce di Nola: “Se non
glielo dici tu, glielo dico io”, rientra ben presto. Chloe lo
ama davvero, suo padre ha riposto in lui non solo affetto ma
anche stima, il lavoro lo ripaga di ottimi risultati, la vita che
conduce è “molto piacevole”: tutte ragioni per desistere da
una promessa a cui Nola lo ha obbligato. Gli resta allora
poco tempo per chiudere quell’avventura e tutto avviene in
una sera, quella in cui aveva promesso a Chloe di portarla a
teatro. Prima mossa: sottrae il fucile da caccia di suo suocero, lo sistema nella sacca da tennis e si dirige a casa di Nola.
Poi con un espediente costringe la signora Easby, la portinaia, ad aprirgli la sua abitazione, l’uccide, e mette le stanze
a soqquadro. Infine sulle scale aspetta il ritorno di Nola, e
rivolge la stessa arma su di lei. E da programma raggiunge la
moglie a teatro. La mattina dopo la notizia del doppio omicidio è sui giornali, e naturalmente tra i commenti di casa
Hewitt. La spiegazione che se ne dà è rapina per droga.
Chris però è convocato il giorno stesso dal detective della
polizia che ha ritrovato in casa di Nola un diario, dove lil
suo nome è troppo presente. Allora confessa la relazione con
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la ragazza che non vuol dire essere un assassino, e chiede
pietà. Ha appena saputo che la moglie aspetta un bambino e
non vuole distruggere la vita di tutta la sua famiglia. I dubbi
su di lui ci sono tutti, ma la polizia deve raccogliere la prova
che manca: il fucile. Il caso però ancora una volta è dalla
parte di Chris. Il giorno dopo un altro omicidio, causa
droga, riconduce ad un tipo, con precedenti, a cui è stata
trovata addosso la fede della signora Easby, quella che Chris
aveva tentato di eliminare, senza riuscirci, buttandola nel
Tamigi. Una prova che lo scagiona definitivamente. E che
gli lascia la vita in famiglia e il primo dei figli che Chloe
metterà al mondo. (LUISA ALBERINI)
LA CRITICA
Un po’ più cinico, un po’ più vecchio, molto più realista,
Woody Allen porta al festival il miglior film degli ultimi
dieci anni con l’aria disincantata di chi ha imparato a dare il
giusto valore alle cose. Di «Match Point», una storia raffinata di delitti senza castighi che vira con sapienza dalla commedia al giallo, lungamente applaudito in sala e all’incontro
stampa da un pubblico devoto, dice con parco entusiasmo:
«È un film baciato dalla fortuna, di solito non mi risparmio
critiche, ma questa volta tutto è andato per il verso giusto e
sono molto soddisfatto». Giocato sul tema della bizzarria del
caso, sull’incidenza della sorte sulla vita di ciascuno, recitato
benissimo da Scarlet Johansson, Jonathan Rhys Meyers ed
Emily Mortimer che parlano del loro regista con venerazione, pieno di romanze celeberrime cantate in sottofondo da
Enrico Caruso, «Match Point» segna nella filmografia di
Allen anche un’altra novità: l’ambientazione londinese, tra le
case meravigliose dell’upper class e gli appartamentini di
giovani arrampicatori sociali, le boutique più eleganti e i
teatri più famosi. Perché ha scelto proprio Londra, signor
Allen? «Avrei potuto girare questa storia ovunque, ma a
Londra ho trovato le condizioni migliori, produttori disponibili e per niente ficcanaso, attori con un accento invidiabile e un clima delizioso. D’estate a New York il caldo diventa
insopportabile e lavorare è troppo faticoso, a Londra invece
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pioveva sempre, una vera consolazione». Anche il suo prossimo film sarà ambientato in Inghilterra. Il feeling con
Manhattan si è definitivamente spezzato? «Naturalmente
continuo ad amare New York, ma lavorare negli Stati Uniti
diventa sempre più difficile. Le major investono ancora su
un regista come me e non avrei difficoltà a trovare i soldi,
ma vogliono mettere bocca nel progetto, influire sulla scelta
degli attori, sulla sceneggiatura, sulle location. Non l’ho mai
sopportato, io voglio fare i film alla mia maniera, in totale
autonomia. A Londra non ho subito pressioni né sono stato
costretto a cedere a compromessi, una situazione ideale».
«Match Point» parla di delitti senza castighi, di un uomo
che sacrifica le passioni allo status sociale, di due omicidi
rimasti impuniti, di innocenti che muoiono senza un perché, liquidati brutalmente come «danni collaterali». Da questo punto di vista è il suo film più cinico. «Direi piuttosto il
più realistico. Si sa che il mondo è pieno di ingiustizie e la
maggior parte dei crimini resta senza un colpevole. La vera
tragedia sta nel fatto che troppe vittime innocenti perdono
la vita in nome di uno scopo superiore, di un falso ideale, di
un raptus di follia o per sete di potere. Lo trovo insopportabile». Tra le sue fonti d’ispirazione c’è posto anche per Dostoevskij? «Mi sembrava che la sceneggiatura avesse dei
punti in comune con certa letteratura del diciannovesimo
secolo, soprattutto la russa, la mia preferita. E il paragone
con “Delitto e castigo” mi dà una certa soddisfazione, non
lo nego, ma in un film certi temi si possono solo adombrare,
l’approfondimento resta una prerogativa della pagina scritta». Accetta invece i rimandi a «Una tragedia americana» e a
«Un posto al sole» di George Stevens? «Non credo ci siano
legami con “Match Point”. M’interessava capire come si
possa uccidere un innocente per coprire un altro delitto.
Questo ha stimolato la mia creatività». Per ritrovare i toni
della commedia dovrà tornare a Manhattan? «Non ce n’è
bisogno: il prossimo film sarà pieno di humour e, ripeto, lo
girerò a Londra. Non so ancora se ci sarà una parte per me,
ma non me ne preoccupo, faccio scelte più casuali di quanto
si immagini». Che cos’è il lavoro per lei, una passione o un
dovere? «È una terapia, una distrazione. Un film mi permette di vivere per un anno in un mondo irreale fatto di belle
donne, uomini affascinanti, luoghi magnifici. Quando finisce ripiombo nei problemi di tutti i giorni e allora sento il
bisogno di ricominciare subito, di scappare di nuovo. In
fondo, negli ospedali psichiatrici si usa lo stesso metodo: per
calmare i pazienti li si tiene occupati».
(TITTA FIORE, Il Mattino, 13 maggio 2005)
Nella Londra di Match point Woody Allen ritrova parte
dello smalto perduto a New York. Ultimamente era infatti
declinato ulteriormente, all’ombra di Spielberg produttore,
a sua volta in declino con la Dreamworks. Perfino gli incassi
europei di Allen sono diventati sempre più esigui, mentre
quelli americani lo sono sempre stati.
Canuto e sordo, Allen torna a dedicarsi al filone criminale
di Prendi i soldi e scappa, Crimini e misfatti, Pallottole su
Broadway, Criminali da strapazzo e de La maledizione dello
scorpione di Giada, che costella la sua filmografia di una quarantina di pellicole in trentacinque anni. La lotta di classe
ridotta all’essenziale (perché tu sei ricco e io no?) s’intreccia
qui con quello degli amori irregolari, come nel filone principale di Allen. Il quale resta incline alle lungaggini (Match
point dura due ore e dieci minuti), mentre basterebbe metà
tempo per raccontare di un tennista (Jonathan Rhys Meyers)
arrivista, oltre che irlandese (dunque implicitamente cattolico), che sposa una milionaria londinese e sopprime l’amante
americana incinta (Scarlett Johansson), oltre alla vicina
(Margaret Tyzack) di casa, testimone ingombrante. Ogni
riferimento a Una tragedia americana di Dreiser (e al film
derivatone, Un posto al sole di Stevens) non è casuale; come
non lo è evocare Delitto e castigo di Dostoevskij, letto dal
personaggio principale (ma questo è uno specchietto per le
allodole). Quanto alla genealogia puramente filmica, essa
risale, col tennista assassino, a L’altro uomo di Hitchcock; e
con la scoperta finale del diario a Sangue blu di Hamer.
Di tipicamente alleniano, allora, che cosa c’è? Il finale, che
per una volta vale la pena di attendere. Dopo averlo visto, vi
chiederete: Allen si rivela finalmente cinico, come un inglese? Ma per un americano dichiararsi cinico è la morte civile.
Così fin dal Festival di Cannes (dove il film era fuori concorso) Allen negava tutto, anche l’evidenza: «Non sono cini-
co. Anzi, voglio mostrare che i crimini, anche politici, troppo spesso giovano a chi li compie». Infatti nel film si parla
anche di «danni collaterali» per la vittima imprevista. Ma si
divertirà amaramente anche chi non capisse l’allusione.
(Maurizio Cabona, Il Giornale, 13 gennaio 2006)
Woody Allen è in perfetta sintonia con il leit-motiv del
festival nel suo Match Point, che coniuga thriller, imprevisto e paternità in un sol colpo, quello della pallina da tennis
che sbatte contro il bordo alto della rete e resta indecisa se
cadere di qua o di là. In un quarto di secondo, la vita è
risolta. Si può perdere o si può vincere, così per caso. Tutto
gira intorno a questa metafora che il regista newyorkese
ribalta, giocando fuori casa, a Londra. Se fosse un Hitchcock, Woody Allen non avrebbe preso alla leggera l’imprevisto che non salva mai il colpevole. C’è sempre qualcosa al
di là del McGuffin, l’espediente, che conduce alla resa dei
conti nel cinema del maestro del brivido. Ma Allen è qui
particolarmente amaro, disilluso e implacabilmente matematico nel descrivere la fortuna dei criminali, che sbagliano, lasciano tracce, mentono, imbrogliano e la fanno franca. Chissà se dietro Match Point c’è anche la resa del cinema
davanti alla vita reale come immorale messa in scena. Chris
Wilton, il sensuale Jonathan Rhys Meyers, è un po’ un
Mister Ripley, vittima della lussuria e di un calcolato desiderio di ascesa sociale. Buon tennista irlandese, entra nel
club esclusivo della borghesia londinese e da paria si trasforma in businessman con autista grazie all’amicizia con il
rampollo dell’alta società Tom Hewett, che ha per fidanzata
un’altra arrampicatrice sociale, attrice americana fallita, Nola Rice (Scarlett Johansson), eccellente miele erotico. Chris
Wilton recita la sua parte di ragazzo che si è fatto da sé, servizievole, educato e seduttivo. Conquisterà la sorella di
Tom, Chloe (Emily Mortimer), e la sposerà. Obiettivo raggiunto, il povero irlandese ce l’ha fatta. Ma la borghesia ha
il sangue blu mentre quello di Chris e Nola è rosso e caldo,
e si mescola volentieri in torride sedute di sesso appena i
fidanzati Hewett si girano per un drink nel salotto con
veduta sul Tamigi, o s’incantano all’Opera ascoltando Donizetti, Verdi, Bizet e Rossini. Woody Allen li segue freddaMATCH POINT
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mente, in agguato. Troverà il suo joke all’improvviso con
un capovolgimento di fronte, quando la pallina famosa
contravverrà al suo destino. I ricchi vincono barando, e
Chris Wilton ormai è uno di loro.
È un Allen fuori genere Match Point, irriconoscibile se
misurato sull’humor surreale, l’acidità ribelle, i vezzi metropolitani e tutto il repertorio da strizza-cervelli conosciuti. Il
malessere si fa atto di «normale» follia e avanza verso un
esito alla Patricia Highsmith con Chris che lucidamente
decide di eliminare la «lussuria» con un colpo di fucile e di
praticare la paternità di classe. Due figli sono in viaggio,
sceglierà quello vincente. La risata dei festivalieri alla trovata di Allen è sinistra, come il fantasma di Nola Rice che
chiede spiegazione. C’è poco da ridere, Chris Nolan ha
vinto un match point e perso il campionato. Abbandonata
l’illusione di uno scarto emotivo, di un colpo di genio, di
uno zoom o di un carrello per cambiare prospettiva alla
vita, Woody Allen passa la mano.
(MARIUCCIA CIOTTA, Il Manifesto, 13 maggio 2005)
Dici Woody e pensi a Bjørn. Nel senso di Borg. Ma non
quello in ginocchio sull’erba di Wimbledon, l’invincibile
numero uno della racchetta, l’uomo dal rovescio a due mani. Ma l’ultimo, il più triste. Era il ‘91, il tennis già un’altra
cosa: Borg, il conto in banca in rosso e la leggenda appannata, tornò a giocare sul centrale di Montecarlo. Si era ritirato
da anni. Scese in campo con la solita fascia e la racchetta di
legno: come se il tempo non fosse mai passato. Di fronte, il
modesto Arrese: un avversario che dieci anni prima avrebbe
umiliato. Ma Borg perse: perse perché il tempo è un lungolinea imprendibile, perse perché non era un film di Capra,
ma la realtà e l’happy end non superò la rete.
Dici Woody e hai paura che sia quel Bjørn: vecchio e stanco, ormai un po’ fuori dal giro grosso, con gli ultimi lavori
quasi dimenticabili, di certo dimenticati. Poi però lo vedi: e
capisci. Viene avanti metro dopo metro, aprendosi il campo
come un ragazzino di talento: ma quando sei ormai certo
che non gli resti che sparare il dritto, ecco che ti beffa con il
più velenoso dei pallonetti...: gioco, set, partita. C’è una
buona notizia: Woody is back. Lontano dall’amata New
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MATCH POINT
York (è il primo film che ha girato interamente all’estero: era
ora), Mr. Allen sfrutta al meglio il suo Match Point: un
delitto senza castigo dove il regista di Manhattan rilegge con
abilità il melodramma classico - Un posto al sole su tutti venandolo di riflessi hitchcockiani.
Raffinato, acuto, sospeso - come una pallina che tocca il
net, danzando sul nastro che divide la vittoria dalla sconfitta, il trionfo dalla rovina, il vivere dal morire, il talento dalla
fortuna -, il film, ambientato in un mondo perfetto che non
ha mai toccato (come se in mezzo, a dividerli, ci fosse la rete
di un campo da tennis) quello vero, racconta le tentazioni
degli outsider della vita, quelli che nel torneo del lusso non
sono mai state teste di serie e vanno a caccia di un’ultima
wild card. Giocatori marginali che, come Chris e Nola, si
riconoscono a prima vista, consapevoli di essere parte di un
match troppo grande se non per tutti sicuramente per loro.
Crudele quando serve, abile senza strafare, Allen, l’amico
ritrovato, con l’estro di un McEnroe e l’eleganza di un Rod
Laver, firma, sulle note della Traviata (rigorosamente in
vinile), il più importante e ambizioso dei suoi ultimi film
misurando con esattezza le distanze (sociali e sentimentali),
le parole inutili e i discorsi fatti, i crimini e i misfatti. Molto
“terreno”, eppure colto, il film attraversa temi assoluti
(l’ambizione, la colpa, la prevaricazione, la forza del destino) senza forse dire nulla di eccessivamente nuovo, ma
segnando punti d’oro in diverse sequenze. Come nella
splendida entrata in scena della bellissima Scarlett Johansson:
un momento di pura seduzione cinematografica. Grande e
amaro film sulla lotta di classe, Match Point ci restituisce
un Allen in forma smagliante, capace di dirigere come sempre benissimo i suoi attori (nel ruolo principale, il promettente Jonathan Rhys-Meyers), gestendo con bravura da vecchia volpe fitti dialoghi da gioco a volo, stringendo con
l’inquadratura sui suoi protagonisti, quasi come fossero due
tennisti a rete che arrivano abbastanza vicini da guardarsi
negli occhi. C’è più talento che nevrosi, più vita che psicanalisi. E un autore che non fa sconti: lo sapeva anche Borg,
non è più tempo di happy end. Già, c’è poco da ridere: ma
che classe ragazzi...
(FILIBERTO MOLOSSI, duellanti, dicembre05/gennaio06)
I COMMENTI DEL PUBBLICO
mulare una diagnosi. Un film forte, con un feroce confronto
tra diverse culture e classi sociali, spiazzante.
DA PREMIO
Anna Piccinini - Non è che la legge morale non sia riconosciuta (Chris dice che sarebbe giusto che venisse preso e
condannato per il suo delitto): sono gli esseri umani che la
mettono da parte, o perché l’abitudine alla ricchezza li rende
superficiali o perché l’attrazione per quella stessa ricchezza li
rende avidi. Così la loro vita, tra passione, paura e ipocrisia,
rimane in balia del cinismo del caso. La qualità del film, che
si appoggia su una costruzione quasi perfetta, sta nella delineazione dei personaggi, che sono “a tutto tondo”: esseri
umani, non stereotipi, osservati nelle loro sfaccettature e nei
comportamenti che, anche se partono con intenzioni apparentemente innocenti, racchiudono fin dall’inizio il presagio
del dramma.
Alessandra Casnaghi - “Non venire mai alla luce può essere
il più grande dei doni” (Sofocle). Questo film di Woody
Allen mi è piaciuto enormemente! Direi che il geniale, veramente geniale regista americano invecchia nel migliore dei
modi e, pur privandoci sempre più spesso della sua presenza
scenica, non compie solo un ottimo esercizio di stile, ma
unisce storia, soggetto, sceneggiatura con omogeneità e
compattezza. Davvero non ho trovato punti deboli in questa
magnifica pellicola. Anche il commento musicale, spesso
ripetuto come leit-motiv, è stato perfettamente scelto e calibrato con la fotografia e il montaggio.
Maria Dilda - Manifesto bello e intrigante con tre parole
chiave - passione tentazione ossessione - che servono per
maggiormente apprezzare la pellicola. Il film racconta con
una grande logicità narrativa la storia smaliziata di un ambizioso arrampicatore sociale: il destino o il caso, la fortuna,
forse il castigo sono crudelmente sbattuti in faccia allo spettatore. La pena e l’amarezza sono comunque presenti in
quest’opera cinematografica: chi non nasce è preservato dal
male di vivere! La musica, calzante e molto bella, fa da sfondo a una narrazione veramente superba.
OTTIMO
Adele Bugatti – In Match Point‚ Woody Allen, cambiato e
liberato dagli Studios, centra il discorso sulla fortuna mentre
in “Crimini e misfatti” analizzava la questione morale.
Costruisce un film di negazioni, di realismo, di bugie e ipocrisie dicendoci che a volte queste vanno a braccetto con la
fortuna e l’egoismo. Un cast molto convincente e un protagonista dallo sguardo di ghiaccio che legge e applica Dostoevskij. Ma è sempre il regista che, lanciando segnali come se
fosse sul lettino dello psicanalista, chiede al pubblico di for-
Cristina Bruni Zauli - Tutta la vita in fondo è un match
point, sembra dirci Woody Allen in questo suo film, così
diverso dai suoi soliti e riconoscibile solo attraverso la recitazione e il contenuto dei dialoghi dei suoi protagonisti.
Tuttavia tra i necessari elementi che compongono abitualmente una vita di successo e comunque ambiziosa, quali
talento e fortuna, occorre fare i conti anche con la propria
anima: perché se ci si è macchiati di un efferato e premeditato crimine, il castigo sarà il senso di colpa ossessionante
che non ci abbandonerà più. L’ubris dei greci torna come
non mai in quest’opera dove la debolezza umana, rappresentata paradossalmente proprio dal senso di onnipotenza,
e di creduta impunità raggiunge l’apice dietro un’esistenza
apparentemente tranquilla. Chissà quanti crimini impuniti
come questo ci sono! Ottima la recitazione e l’ambientazione. Allen si conferma un ottimo regista, ancor di più quando come in questo film sceglie di non partecipare ma solo
di dirigere.
Giuseppe Gario - Match Point è il punto che determina il
vincitore, ma non la vincita. Amore, libertà, verità e giustizia sono possibilità concrete per Chris, che fa la sua scelta. È
più facile che un cammello passi attraverso la cruna di un
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ago che un ricco entri nel regno dei cieli, dove amore, libertà, verità e giustizia sono realtà. Evocata all’inizio e alla fine,
la fortuna è il deus ex machina che giustifica quelle scelte ed
azioni di cui nessuno, salvo la coscienza, chiede conto. Un
grazie sentito a Woody Allen e a tutti i collaboratori, compresi gli autori delle musiche, che contrappuntano una situazione disperata, ma non seria. Il film è in sé una prova
che, nonostante le apparenze contrarie, si può fare bene.
Giuseppina Reggiori Tardivello - Una storia ben raccontata,
con personaggi e situazioni credibili. Con leggerezza ci propone un’accurata descrizione di un mondo fatuo incapace di
percepire il disagio di chi vuole esserne all’altezza, avendone
la capacità, ma senza mezzi materiali e insieme la totale
mancanza di senso morale che può pervadere chi non vuole
rinunciare a uno “status” raggiunto un po’ per caso, ma che
è ormai parte integrante della sua vita.
Edoardo Imoda - Il titolo è sportivo, ma i contenuti sono
prettamente psicologici e le tematiche quelle care al regista
americano. Ci addentriamo nei meandri dell’alta borghesia
britannica dove il regista gioca la sua prima carta nell’ambientare il suo melodramma nei giardini, più o meno fioriti,
della perfida Albione confermando, ancora una volta, il
tocco europeo e poco americano del suo spirito ribelle. I due
protagonisti, fatti della stessa pasta, ma non contraddistinti
dalla stessa tenacia, si contendono un posto al sole, l’uno
con una bellezza dirompente, quasi mozzafiato, l’altro con
un “savoir faire” che non si sa mai fin dove sia costruito e o
piuttosto basato sui sani principi appresi in famiglia. Come
due pugili, si attraggono e si respingono, sono vittime e carnefici allo stesso tempo delle proprie passioni, ma nei momenti clou degli incontri sportivi vince chi é più freddo e
calcolatore, ma che ha anche quel pizzico di fortuna che
non guasta mai. Citazioni letterarie e riferimenti da veri
musicomani si alternano nelle differenti fasi del film, ma
alla fine è il fato, la fortuna a scegliere - la prima immagine
mi è venuta in mente, per assonanza, è stato il coro greco di
un precedente film di Allen. Ottimi gli interpreti e un plauso alla regia per aver saputo, con il tempo, cambiare registro
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MATCH POINT
pur mantenendo uno stile univoco di fondo. Forse lui della
fortuna non ha avuto molto bisogno, ma il richiamo che ne
fa spesso nei suoi film fa supporre che almeno una piccola
sudditanza psicologica se la tiri dietro.
Vittoriangela Bisogni - Tutta la provocazione del film sta nel
finale favorevole all’assassino. È prassi consolidata, nel mondo del cinema, che ladri e assassini anche se dotati di fascino
e simpatia non la debbano mai fare franca. Ma a Woody
Allen è concessa questa licenza poetica; così come gli è concesso di trascurare completamente un elemento decisivo a
carico dell’eventuale assassino: il fatto che la morta fosse
incinta di lui. Ma appunto non dobbiamo vedere la capacità
di costruire un giallo perfetto, né originale. In questo film gli
elementi sono più che scontati: il giovane arrampicatore
sociale con la faccia da gran bravo, la passione che è irrefrenabile fin che è proibita ma diventa pesante quando è routinaria e foriera di responsabilità, e infine l’indubbia attrazione
della vita agiata per non rinunciare alla quale il nostro protagonista diventa un efferato assassino. Tutto già visto, ma
assemblato piacevolmente e in modo sorprendente, dato lo
stile del regista. La raffinatezza c’è. L’anellino che rimbalza
sul parapetto decide beffardamente la vicenda e dimostra che
il caso e la fortuna sono i veri artefici della nostra esistenza. E
raffinata è anche la colonna sonora, tutta tratta da opere liriche, nelle quali appunto il destino è sempre sovrano assoluto.
BUONO
Caterina Parmigiani - Secondo Woody Allen il senso postmoderno del tragico è il rimorso angosciante per l’efferata
scelleratezza commessa, ma restata “fortunatamente” impunita. Mentre questo tema è interessante, anche se non del
tutto originale, la swinging London, in cui si muovono i
personaggi del film, è banale ed è presentata attraverso immagini stereotipate da cartolina turistica.
Luisa Alberini - E allora, qualunque sia il vantaggio che può
dare un colpo fortunato, l’ultima mossa è sempre la nostra.
È sempre e soltanto in mano a chi conduce il gioco la possibilità di vincerlo o di perderlo. Tante le conclusioni a cui si
arriva dopo la parola fine posta dal regista a questo film. La
voglia di sottrarsi a una vita modesta, la scalata a una condizione che permette di colpo l’ingresso in una famiglia dove
sentirsi garantiti, il fascino irrinunciabile di un incontro, la
forza della seduzione di una bella ragazza, la rimozione del
senso di colpa sono i passaggi che costruiscono la storia.
Quale di questi conduce alla tragedia? La risposta è aperta.
Certo c’è anche spazio da parte del protagonista per un
esame di coscienza che è però soprattutto un incubo. Una
storia dove sembra previsto tutto, e dove ogni tassello trova
il proprio posto sul quadro finale e il quadro è appoggiato
su una tela di grande eleganza.
Ugo Pedaci - Quando la pallina rimbalza sulla rete e poi
cade di là si vince. Quando la fede nuziale rimbalza sulla
ringhiera e cade di qua si può anche vincere tenendo ben
presente che nella vita “è meglio avere fortuna che talento”.
Su questa doverosa premessa il film scorre liscio, la storia si
svolge indisturbata, i tradimenti e pur anche gli omicidi passano quasi in seconda linea giustificati dagli eventi fortunati
che sembrano proteggere il buon Chris. Con la sua coscienza se la vedrà poi lui. La regia è sapiente, Woody Allen riesce
a venire fuori dagli schemi usuali, gli attori sono belli e recitano più che dignitosamente, il bel mondo aristocratico
inglese viene dipinto con profondità e cognizione.
DISCRETO
Matilde Avenuti - La prima ora e mezza è un noioso vecchio film quasi insopportabile. Poi l’ultimo quarto d’ora
diventa buono: lo arresteranno? chi vincerà? Vince il “cattivo” purtroppo. Più che “cattivo” direi “stupido” e spaventato
per poco: avrebbe potuto togliersi in cento altri modi da
questo suo problema. Con i tempi che corrono non si uccide il proprio figlio e la relativa madre!! Quel che è peggio è
che noi abbiamo perso il nostro Woody Allen. Ma perché
un uomo tanto intelligente deve dare retta a dei critici e
invece di fare i film intelligenti di cui è capace fa degli stupidi polpettoni come questo?
Gioconda Colnago - Realtà verosimile, massimamente sconcertante che, però, non può spegnere l’opposizione della
speranza - che a mio parere manca assolutamente nel film che ognuno nella vita possa essere aiutato a non perdere il
Nord per vedere la Luce guida della Stella Polare.
MATCH POINT
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