catalogo - ANNA LISA GHIRARDI

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catalogo - ANNA LISA GHIRARDI
Alle mie bambine Letizia e Miriam
e ai figli degli artisti: Curzio e Priscilla, Ettore Vasco,
Francesco, Giordano e Emma Rita, Leone, Matilde
«Negli adulti sensibili dovrebbero riaffiorare il danno
e la catastrofe del cresciuto»
carmelo bene
UN’ISOLA
FAVOLA
DA
ECCE PINOCCHIO
12 artisti contemporanei rileggono Collodi
Baricchi
Bombardieri
Canalella
Casolani
De Molfetta
Fratus
Gandini
Greco
Mazzanti
Salvi
Scarpella
Schmidlin
Mostra e catalogo a cura di
Anna Lisa Ghirardi
Isola del Garda
10 maggio-19 ottobre 2014
da un’idea di Giordano Spinella
e Anna Lisa Ghirardi
con la collaborazione di
Alberta Cavazza
COMUNE DI
SAN FELICE DEL BENACO
Fotografie catalogo Fabio Cattabiani
Fotografie ritratti
Alberto Buzzanca (Ettore Greco)
Alberto Leoni (Patrizia Fratus e Anna Lisa Ghirardi)
Jacopo Benassi post produzione Massimo Biava (Mirko Baricchi)
gli artisti
Grafica Luisa Goglio
Si ringrazia per la collaborazione alla realizzazione dell’evento
la Famiglia Cavazza; per la collaborazione all’allestimento
Ezio Cassetti e Nadia Chiarini, Gianfranco Bertoli, Domenico
Bontempi, Samuele Raccagni, Roberto Spinella, Coop ServiceRezzato; per l’ospitalità Barbara Kreiner, Antiche Rive appartamenti
vacanze, Hotel Benaco, Hotel Eden, Hotel Commercio, Hotel Laurin,
Hotel Lepanto - Salò, Hotel Bellevue, Hotel Villa Capri, Hotel Villa
Florida - Gardone Riviera.
via Muntebei 22, 46040 Cavriana (Mn)
Tel +39 0376 82160 Fax +39 02 700530215
[email protected]
www.tecnologos.net
Edizione: maggio 2014
ISBN 978-88-88697-37-6
© 2014
per i testi: gli autori
per le immagini: gli artisti e i fotografi
Con il patrocinio di
Partnership
Sponsor
Con il supporto di
CONSORZIO A
ALBERGHI
CONSORZIO
LBERGHI
RIVIERADEL
DEL GARDA
RIVIERA
ARDA
GARDONE - SGALÒ
GARDONE
- SALÒ
C.A.R.G.
C.A.R.G.
baricchi
bombardieri
canalella
Ecce Pinocchio
12 artisti contemporanei rileggono Collodi
casolani
de molfetta
fratus
gandini
greco
mazzanti
salvi
scarpella
schmidlin
A cura di Anna Lisa Ghirardi
È un privilegio per il Comune di San Felice del Benaco avere nel
proprio territorio un tesoro qual è l’Isola del Garda.
Questo luogo incantevole ricco di fascino, di storia, di natura e
di colori, armoniosamente inserito nel blu del più grande lago
d’Italia, accoglie questa importante iniziativa culturale che ne esalta
l’atmosfera fatata che lo avvolge.
L’Amministrazione Comunale è lieta di collaborare a questo evento
che coinvolge tutte le generazioni e che è sicuramente un’opportunità
per valorizzare, far conoscere ed esaltare al meglio l’Isola del Garda
ed anche il nostro verde promontorio ricco di tradizioni, di cultura e di
splendidi panorami.
Il Sindaco
Il Consigliere alla Cultura
PAOLO ROSA
MARZIA MANOVALI
5
6
Un‘isola da favola
M
entre ci avviciniamo in barca all’Isola che costituisce
la nostra meta, spontaneamente riemergono in
noi i ricordi di tutti quegli episodi della storia di
Pinocchio che si svolgono in un contesto marino
e ci viene facile immedesimarci nei protagonisti
di queste avventure, chiedendoci forse che cosa
provasse Geppetto quando remava solitario in
mezzo al mare in tempesta per cercare il figliolo
scomparso, oppure immaginandoci l’ansia con cui
guardava la riva lontana il povero mastino Alidoro in
balìa delle onde prima di venire salvato da Pinocchio
in uno dei suoi più sinceri slanci di generosità, o
magari immaginando quanto fossero oscuri gli
abissi in cui venne scagliato un povero asinello che
sarebbe stato destinato a riemergere di nuovo come
burattino.
Le risposte a queste domande ci verranno
mentre saremo in viaggio verso l’Isola del Garda,
osservandone in lontananza il lungo profilo
immobile nel mezzo del lago, simile in modo
preoccupante alla forma che avrebbe dovuto avere
quel terribile pescecane, nel cui ventre padre e
figlio si riabbracciarono dopo anni di separazione, o
magari avvertiremo un fremito quando saremo più
vicini e forse ci sembrerà di scorgere la sagoma di
una grotta identica a quella dove abitava il terribile
pescatore verde, e avremo paura di cadere nelle
sue reti.
E le suggestioni della fantasia non si fermeranno
qui, perché quella piccola casa che vedremo nel
bosco ben si presta ad ospitare una bella fanciulla
dai capelli turchini e le curve dei vialetti che si
snodano nella penombra della vegetazione paiono
adattissime a nascondere le losche figure del Gatto
e della Volpe appostate per un’imboscata.
Soltanto la nostra immaginazione potrà guidarci in
questo percorso fantastico, al termine del quale,
forse, ci renderemo conto che l’Isola non è altro
che il famoso Paese dei balocchi, dove tutte le
regole della vita quotidiana sulla terraferma sono
sovvertite e allora, improvvisamente, ci verrà
l’istinto di specchiarci per un istante nelle acque
cristalline del lago per controllare di soppiatto che
non ci stiano crescendo le orecchie!
F am . C avazza
Proprietari Isola del Garda
7
Pubblicità pubblicata in L’Illustrazione italiana, 1909
8
ECCELLENZE CHE FANNO STORIA
C
osa possono avere in comune Le Avventure di
Pinocchio di Carlo Collodi e la Cedrata Tassoni di
Salò? Una storia di secoli e il coraggio di un’italianità
che non segue la moda rimanendo fedele a se
stessa nel passare del tempo.
L’occasione per celebrare questa comunione di
valori è arrivata con un’isola da favola, l’evento
dedicato alla Bellezza e alla celebrazione dell’arte
contemporanea, voluto e realizzato sull’Isola del
Garda per alimentare il dialogo eterno tra arte e
paesaggio volgendo a Pinocchio uno sguardo nuovo.
Correva l’anno 1881 quando Carlo Lorenzini, poi
Collodi, dava vita al “burattino” protagonista delle
rocambolesche avventure sospese tra bene e male,
arricchite da sagge presenze e personaggi senza
scrupoli, che hanno accompagnato generazioni
di bambini alla scoperta del grande classico della
letteratura italiana.
Solo qualche anno dopo, nel 1884, Paolo Amadei,
bisnonno dell’attuale titolare della Cedral Tassoni,
acquistava dal socio, Nicola Tassoni, l’antica
Farmacia salodiana attribuendole l’attuale carattere
industriale e mettendo al centro dell’impresa la
valorizzazione del cedro, per trarne, attraverso la
ricerca, la gamma di soluzioni di cui l’Acqua di Tutto
Cedro rappresenta il primo successo.
Stessa epoca, luoghi diversi. In entrambe le
avventure il seme di un’energia vitale in grado di
rimanere per sempre nella memoria degli italiani.
Nel settore delle bevande Cedral Tassoni è
un’eccellenza tutta italiana. Affonda le sue radici
nel 1793 a Salò, sulla riva bresciana del Lago
di Garda. È una delle rare realtà industriali che
produce direttamente gli aromi, proponendo al suo
vasto pubblico di estimatori una bibita naturale e
rinfrescante dalla qualità altamente controllata in
ogni aspetto della filiera.
Nel rispetto dell’ambiente, Cedral Tassoni ha scelto
inoltre di limitare gli sprechi e di introdurre nel
progetto di ristrutturazione della sede originaria
modifiche strutturali che consentono di ridurre
l’impatto ambientale risparmiando energia.
Degli ultimi anni è la partnership con Fai - Fondo per
l’Ambiente Italiano e con la Fondazione Slow Food
nel segno della qualità di un’esperienza sensoriale
che esprime tutta la passione per il “gusto italiano”.
9
Trasporto opera per allestimento
PATRIZIA FRATUS, I(h)o!, 2014
10
Un pinocchio rigenerato
anna lisa ghirardi
L
e avventure di Pinocchio è la fiaba italiana per
eccellenza, è il libro della letteratura nazionale più letto,
più tradotto, più interpretato, tanto da poter essere
considerato a pieno titolo un capolavoro mondiale. Ha
avuto più di 190 edizioni illustrate, è stato tradotto in
260 lingue, anche vari dialetti, è passato al setaccio
attraverso letture critiche ed è stato modificato da
numerose riscritture e ispirazioni.
La marionetta-bambino, che acquisisce per errore la
definizione di burattino, è uscita sin da subito dalle
pagine collodiane, per entrare nel nostro immaginario
attraverso le suggestioni create dagli illustratori.1
Alle figure cartacee si sono sovrapposte quelle
animate, celeberrima quella di Walt Disney (1940)
che è diventata la più popolare, ma anche tra le più
fantasiose, trasferendo Pinocchio dalla Toscana al
Tirolo.2 Dall’illustrazione al cartone animato, dalle
versioni teatrali a quelle cinematografiche e musicali,
testo e immagini si sono uniti, ma più spesso scissi, per
creare la visione di un nuovo Pinocchio, eterno quanto
contemporaneo. Il nostro protagonista è pertanto un
essere vivo e continuamente rigenerato.
Il successo del modello è infatti una legge che non
ammette ignoranza, ma che invita a trasgredire, a
contaminare e a cucire storie parallele.3 Sono così
sorte nel tempo molteplici “pinocchiate” e ardite letture
critiche.4 L’evento Ecce Pinocchio si colloca infatti
sulla scia di questa tradizione. Del resto è lo stesso
Collodi ad affermare di conoscere una famiglia intera
di Pinocchi e noi conosciamo gli eredi. Pinocchio è una
figura universale, tanto che riporta tutti all’infanzia,
ma anche alle nostre origini di esseri umani; come
disse Benedetto Croce: «la materia di cui è fatto quel
burattino è la vita».5 Un po’ tutti talvolta ci sentiamo
dei Pinocchi: per l’incapacità di tenere sempre fede ai
nostri propositi, per le nostre debolezze, ma anche per
quel desiderio intimo e profondo, che talvolta ci assale,
di libertà e di immaginazione.
«[…] domani, all’alba, voglio andarmene di qui, perché, se
rimango qui, avverrà a me quel che avviene a tutti gli altri
ragazzi, vale a dire mi manderanno a scuola e per amore o
per forza mi toccherà a studiare; e io, a dirtela in confidenza,
di studiare non ne ho punto voglia, e mi diverto più a correre
dietro le farfalle e a salire su per gli alberi a prendere gli
uccellini di nido». (cap. IV, p. 27)6
Correre dietro alle farfalle. Nella semplicità di
un’affermazione, che può a prima lettura apparire come
voglia di rifuggire l’impegno e il sacrificio, è espressa
l’idea di leggerezza, ma anche di fantasia e sogno. E
le farfalle ci portano nel mondo dell’immaginazione,
nel quale Pinocchio è il Virgilio che ci accompagna nel
nostro viaggio. Non esiste del resto bambino che entri
nel mondo delle fate senza incontrare il burattino dal
naso lungo.
Il suo inventore, Carlo Lorenzini, entrò invero nel
mondo incantato piuttosto tardi: nel 1875, all’età di
quarantanove anni, quando tradusse nove racconti di
Charles Perrault: Barba-blu, La bella addormentata nel
bosco, Cenerentola, Puccettino, Pelle d’asino, Le fate,
Cappuccetto Rosso, Il gatto con gli stivali, Enrichetto
11
dal ciuffo e due racconti di Madame Le Prince de
Beaumont: Il principe amato e La bella e la bestia.
Subito dopo iniziò a scrivere per i ragazzi, nel 1877
pubblicò Giannettino, che gli valse la nomina a Cavaliere
del Regno d’Italia, al quale seguì Minuzzolo e altri
manuali scolastici. A partire dal 7 luglio 1881 scrisse
Storia di un burattino a puntate per il “Giornale per
i bambini”, inserto settimanale del quotidiano “Il
Fanfulla”; la compose a intervalli, senza troppe riletture
e pentimenti e senza il che minimo presentimento
dell’importanza che avrebbe assunto. Le prime
quattro cartelle furono inviate da Collodi a Guido Biagi,
animatore e redattore dell’inserto, in un periodo in cui
si trovava in ristrettezze economiche a causa dei suoi
abituali debiti di gioco, accompagnate da queste parole:
«Ti mando questa bambinata, fanne quello che ti pare; ma
se la stampi pagamela bene per farmi venir la voglia di
seguitarla».
Antonio Faedi afferma che Collodi con l’incontro del
mito uscì a sbloccare una condizione nevrotica con cui
conviveva da anni: «entrando nello spazio liberatorio della
favola nella quale le contraddizioni potevano convivere e
un intimo intricato patrimonio di suggestioni e di figure»
poteva «esprimersi finalmente liberamente».7
In questo senso, anche per lo stesso autore, la fiaba
consente di entrare in una dimensione purificatrice
rispetto all’inquietudine, offrendo una direzione nuova
alla sua esistenza, al suo dicotomico atteggiamento
verso la vita, sebbene a riguardo non tutti gli studiosi
siano d’accordo.8 Rosanna Dedola afferma che
«mettendo piede nel mondo delle fiabe, egli si inoltra in
un mare procelloso in cui può rischiare di essere ingoiato
dal mostro o all’inverso – proprio come capiterà anche a
Pinocchio – di rinascere a una nuova vita”.9
Le fiabe del resto, come ben sappiamo, possono essere
una via iniziatica o un luogo di perdimento.
A quanto pare sia per l’autore, sia per il lettore che per
il protagonista del racconto. Per Pinocchio le esperienze
diventano una possibilità di crescita, non solo fisica, ma
anche umana. In particolar modo la sua impiccagione
12
ha mutato una condizione immutabile, senza vie di
uscita, in un’esperienza di iniziazione. Proprio quando
la speranza sta venendo meno e tutto sembra concluso
la storia si avvia ad un’altra soluzione. La Storia di un
burattino doveva terminare infatti con l’impiccagione
di Pinocchio al ramo della Quercia grande, con tale
scena Collodi si congedava il 27 ottobre 1881, dopo
tre mesi dall’inizio dei capitoli, con la parola “fine”.
Solo dopo parecchi mesi in una nota redazionale del
giornale è preannunciata la ripresa delle pubblicazioni:
«Il signor C. Collodi mi scrive che il suo amico Pinocchio
è sempre vivo, e che sul conto suo potrà raccontarne
ancora delle belline. Era naturale: un burattino un coso
di legno come Pinocchio ha ossa dure, e non è tanto
facile mandarlo all’altro mondo. Dunque i nostri lettori
sono avvisati. Presto cominceremo la seconda parte delle
Storie di un burattino intitolata Le avventure di Pinocchio».
È necessario attendere fino al 16 febbraio 1882 per
l’intervento provvidenziale della Fata e l’ultimo capitolo
a puntate è pubblicato il 25 gennaio 1883.
Da allora ad oggi la storia delle “pinocchiate”, come si è
detto, è lunga.
Sull’Isola del Garda dodici artisti
contemporanei rileggono la fiaba di Pinocchio.
Il percorso espositivo vuole essere un viaggio di
scoperta che, mediante le stimolazioni offerte dagli
artisti, porta il visitatore tra i meandri del pensiero,
suscitando meditazione, riflessione ed anche gioco.
Le vie conducono, attraverso la vita e la morte, in un
percorso di rinnovamento.
La nostra storia pinocchiesca è ambientata in un luogo
fiabesco, ricco di suggestioni. L’isola fu insediata ai
tempi dei Romani, adibita a riserva di caccia in epoca
alto medievale e donata da Carlomanno ai frati di San
Zeno a Verona. Verso il 1220 fu visitata da Francesco
d’Assisi che vi istituì un romitorio, eremo ampliato da
San Bernardino da Siena nel 1429; divenne in seguito
un importante centro di meditazione che ospitò illustri
personaggi religiosi, come padre Francesco Licheto, il
quale, a partire dal 1470, vi istituì una scuola di teologia
e filosofia. Dopo la sua morte vi fu l’inizio di un periodo
di decadenza per la comunità religiosa, finché dal
1685 al 1797 fu sede di un convento di noviziato per il
ritiro dei frati, fatto poi sopprimere da Napoleone. La
proprietà passò alla Repubblica Cisalpina, in seguito al
demanio e quindi a proprietari privati: a Gian Battista
Conter, ai fratelli Benedetti di Portese, a Giovanni
Fiorentini di Milano e nel 1817 al conte Luigi Lechi
di Brescia. Quest’ultimo ordinò importanti opere di
restauro e costruzione per poi cedere l’Isola al fratello
Teodoro, che apportò ulteriori modifiche con l’aggiunta
delle terrazze di fronte alla villa. Nel 1860 fu espropriata
dallo Stato e assegnata all’esercito, in seguito venne
messa all’asta e aggiudicata al barone Scotti che la
rivendette al duca Gaetano de Ferrari di Genova e a
sua moglie, l’arciduchessa russa Maria Annenkoff.
Tra il 1880 e il 1900 i nuovi proprietari si dedicarono
alla progettazione e alla realizzazione del parco, e tra
il 1890 e il 1903 venne realizzato dall’architetto Luigi
Rovelli il palazzo in stile neogotico veneziano. L’isola
passò quindi in eredità alla figlia Anna Maria, sposa
del principe Scipione Borghese di Roma. Nel 1924, alla
morte della principessa, la proprietà venne ereditata
dalla figlia Livia, moglie del conte Alessandro Cavazza
di Bologna, e in seguito dal figlio Camillo che la lasciò a
sua volta alla moglie Charlotte ed ai sette figli.
armida
gandini
armida gandini
Sogni d’oro, 2014
box in ferro con stampa digitale su carta e vetro
81x64x5 cm
Proprio partendo dall’album della
famiglia oggi proprietaria e custode di questo
luogo magico, Armida Gandini ha realizzato la sua
installazione. Nella sua opera da anni infatti esplora il
tema della fiaba e dell’infanzia; i personaggi fiabeschi,
come afferma l’Artista, rappresentano «i labirinti che
si attaversano nella vita, i luoghi dell’esperienza, della
perdita, della scoperta del sé» e «la fiaba, nella sua
accezione più ampia, come il cinema, la musica, l’arte
visiva in generale, rappresenta la grande evasione e nello
13
armida gandini
E staremo sempre allegri, 2014
box in ferro con stampa digitale
su carta e vetro
88x88x7 cm
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15
armida gandini
Di noi ti puoi fidare, 2014
box in ferro con stampa digitale su carta e vetro
130x90x7 cm
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Non dico bugie, 2014
box in ferro con stampa digitale su carta e vetro
90x130x7 cm
17
stesso tempo uno degli strumenti più efficaci di presa di
coscienza del rapporto uomo-mondo».
Tra le casette rustiche, in origine facenti parte
delle celle dei frati, ha collocato le sue opere,
rielaborazioni fotografiche stratificate che attingono
ai documenti familiari, cogliendo le figure ritratte tra
più generazioni, dalla principessa Livia Borghese ai
fratelli della contessa Charlotte Chetwynd Talbot e ai
nipoti, attraversando pertanto l’iconografia di epoche
diverse. L’Artista sfoglia un album fotografico privato
trasformando la memoria familiare in memoria
collettiva. Apre, con la discrezione che le appartiene,
uno spiraglio sui mondi interiori. Fa interpretare ad
alcuni componenti della famiglia personaggi collodiani,
adottando un linguaggio dalla sottile ironia, capace di
riferimenti allusivi anche ad altri racconti. Il rimando
ai personaggi: la Fata, Pinocchio ciuchino, Pinocchio
bambino, il Gatto e la Volpe è sottile. La trasformazione
in personaggi rende ogni figura ritratta un piccolo
eroe estrapolato dalla propria storia e trasferito in un
nuova narrazione. Lo spettatore, captato dal linguaggio
metaforico, tende a specchiarsi nell’immagine
raffigurata ed è coinvolto ad interpretare i diversi
messaggi veicolati dalle immagini e dalle parole, che
coesistono, ma non necessariamente sono in diretto
dialogo.
Fa da ambientazione scenografica il bosco, luogo di
perdimento, ma anche di ricerca e di ritrovamento
del sé, non solo per Pinocchio, ma per molteplici
personaggi fiabeschi e per i visitatori dell’Isola che si
mettono in gioco.
CALOGERO CANALELLA
Il figlio della terra, 2012
resina poliestere, tronco d’albero
h 330 cm
courtesy Museo Go Ronco Arte
Gussago (Bs)
18
calogero
canalella
Al nostro arrivo sull’isola ci accoglie
Il figlio della terra di Calogero Canalella, raffigurante
un uomo stante, immobile, posto sulla sommità di un
tronco, con le braccia aperte e il naso lungo. Sembra
dirci: “benvenuti Pinocchi!”.
L’immagine riecheggia l’uomo vitruviano ed ha pertanto
una valenza universale, ma il suo naso non può che
rimandare immediatamente all’inganno, alla bugia.
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20
21
L’opera dello Scultore infatti fa parte di una serie:
Bugiardi, figure dai nasi allungati collocati su alti
tronchi, come in quest’opera, o figure sospese in aria
dentro gabbie o provviste di cordoni ombelicali che
le legano alla terra. La natura per l’essere umano
è fonte generosa di energia, rappresenta la via di
salvezza, qualora, trattenuto dai suoi inganni, riuscisse
ad entrare in armonia con essa, ma la tensione
con la Madre terra è perenne e non rescindibile.
L’antropocentrismo infatti non è in questo caso simbolo
di accordo con l’universo, quanto più elemento che pone
luce sul limite dell’imperfezione umana.
Il tronco è direttamente collegabile al ceppo dal quale
nacque Pinocchio, ma rimanda inevitabilmente anche
alla Grande quercia, albero che nelle interpretazioni del
testo è stato persino letto da taluni in chiave cristologica,
collegandolo al legno della croce. Questa tesi, vista
l’origine laica del testo di Collodi e lo sfondo picaresco
della fiaba, è stata da molti rifiutata10, ciò nonostante
il rimando al Cristo crocifisso è immediato, non tanto
quanto riferimento filologico, quanto simbolo collettivo
della cultura cristiana. L’albero della Vera Croce ha
viaggiato il mondo e non sembra impossibile che abbia
attraversato anche la geografia collodiana. Anche
nell’opera di Canalella la presenza di un uomo collocato
sopra un tronco con le braccia aperte può condurre
alla mente l’immagine di Cristo, al di là della volontà
conscia dell’Artista.11 La simbologia dell’albero in questa
scultura, come nel testo letterario di Collodi, rimanda
quindi all’albero simbolo di vita, morte e rinascita,
nonché all’archetipo della Grande Madre.
Proseguendo il percorso nel parco
dell’Isola incontriamo la Pelagra, detta anche Locanda,
una casetta in cui il personale passava il proprio tempo
libero e dove i pescatori potevano trascorrere la notte
in caso di tempesta. Ai nostri occhi questa casetta si
trasforma magicamente nella casina candida.
«Allora il burattino, perdutosi d’animo, fu proprio sul punto
22
La Pelagra (o Locanda)
23
di gettarsi a terra e di darsi per vinto, quando nel girare gli
occhi all’intorno, vide fra mezzo al verde cupo degli alberi
biancheggiare in lontananza una casina candida come la
neve.– Se io avessi tanto fiato da arrivare fino a quella casa,
forse sarei salvo – disse dentro di sé. E senza indugiare un
minuto riprese a correre per il bosco a carriera distesa. E
gli assassini sempre dietro. E dopo una corsa disperata di
quasi due ore finalmente tutto trafelato arrivò alla porta di
quella casina e bussò. Nessuno rispose. Tornò a bussare
con maggior violenza, perché sentiva avvicinarsi il rumore
de’passi e il respiro grosso e affannoso dei suoi persecutori.
Lo stesso silenzio. Avvedutosi che il bussare non giovava a
nulla, cominciò per disperazione a dare calci e zuccate nella
porta […]». (cap. XV, p. 90-91)
Nel racconto, dal capitolo XV, è introdotta una figura
fondamentale: la Fata; con lei compare per la prima
volta l’elemento magico e cambia il tono della
narrazione, come osserva Citati: «Quella realtà limitata,
quella pulita e poverissima Toscana agricola, gremita
di vecchi bizzosi, di osti senza scrupoli, di carabinieri
e lestofanti untuosi e crudeli, viene improvvisamente
visitata da un’apparizione. Ecco spuntare tra gli alberi
cupi di un bosco la Fata delle favole antiche: l’immortale
Signora degli Animali, la Regina delle Metamorfosi, la
prudente e scrupolosa Tessitrice dei destini».12
Ella appare per la prima volta come una sorta di
fantasma, attraverso cui la morte riecheggia nella
fiaba: dalla sua apparizione all’arrivo dei quattro conigli
con la bara, sino alla sua tomba.
«Allora si affacciò alla finestra una bella Bambina, coi
capelli turchini e il viso bianco come un’immagine di cera,
gli occhi chiusi e le mani incrociate sul petto, la quale senza
muovere punto le labbra, disse con una vocina che pareva
venisse dall’altro mondo: – In questa casa non c’è nessuno;
sono tutti morti. – Aprimi almeno tu! – gridò Pinocchio
piangendo e raccomandandosi. – Sono morta anch’io. –
Morta? e allora che cosa fai costì alla finestra?– Aspetto
la bara che venga a portarmi via. – Appena detto così, la
Bambina disparve e la finestra si richiuse senza far rumore.
– O bella bambina dai capelli turchini – gridava Pinocchio –
aprimi per carità! Abbi compassione di un povero ragazzo
inseguìto dagli assassini… ». (cap. XV, p. 91)
24
paolo
schmidlin
Questa descrizione ha ispirato lo
scultore Paolo Schmidlin, il quale ha realizzato
un suggestivo ritratto che ha trovato la giusta
collocazione all’interno della Villa. Schmidlin coglie
appieno la natura gotica della Fata, quell’immagine di
Romanticismo nero che – secondo Italo Calvino – tanto
sarebbe piaciuta a Edgar Allan Poe.13
Plasma nella creta, che pare morbida come la cera,
una fanciulla dal volto bianco e dai capelli cerulei, con
la mano sul cuore e dalla cui arsa bocca socchiusa
sembrano uscire parole mortifere. Il realismo con il
quale la ritrae è disarmante. Ella è apparentemente
impotente di fronte al destino che conduce alla morte,
un tema che l’Artista esplora da anni nella sua opera, nei
corpi percorsi dal tempo, tracciati dalla caducità della
vita, in cui solo l’immagine del mito trova l’eternità. E la
Fatina turchina, che giunge alla morte all’inizio del suo
cammino, ma portando il peso dell’intera esistenza, non
può che essere annoverata tra le icone eterne che tanto
si confanno alla poetica di Schmidlin. Del resto la Fata è
una figura atemporale che ci appare come un fantasma,
capace di metamorfosi e rinascita.
«(perché bisogna sapere che la Bambina dai capelli turchini
non era altro, in fin dei conti, che una bonissima Fata, che
da più di mill’anni abitava nelle vicinanze di quel bosco)».
(cap. XVI, p. 95-96)
Nella Villa la Fata è collocata davanti ad una specchiera,
che ne evidenzia il doppio, la sua natura divisa tra vita
e morte, dolore e speranza, bene e male. È posta tra
sculture e oggetti di famiglia, entrando così a far parte
dei personaggi domestici illustri. Quella della Fata
retro
25
PAOLO SCHMIDLIN
La Fata, 2014
terracotta policroma
h 67 cm
26
27
è invero un’immagine femminile che si sovrappone,
tra l’altro, nella metamorfosi del manto azzurro in
capelli turchini e nel suo potere salvifico, alla figura
della Madonna. Ed anche senza voler perdersi nelle
molteplici letture interpretative date alle immagini
collodiane, non possiamo negare il ruolo materno,
congiuntamente spirituale e provvidenziale che assume
nel racconto. La Fata di Schmidlin è pertanto una figura
apotropaica e protettiva, un Lares familiares.
28
ettore
greco
Ritornando alla Pelagra siamo fermi
fuori della candida casina, un coro di voci bianche e una
musica dal sapore liturgico ci fa avvicinare all’uscio.
Qui possiamo scorgere l’installazione I bambini sono
cattivi dello scultore Ettore Greco. Egli unisce nella sua
visione le suggestioni letterarie della prima apparizione
della Fata al ritorno desolato di Pinocchio alla casina
bianca.
«Ma la Casina bianca non c’era più. C’era, invece, una
piccola pietra di marmo sulla quale si leggevano in carattere
stampatello queste dolorose parole: QUI GIACE/ LA BAMBINA
DAI CAPELLI TURCHINI/ MORTA DI DOLORE/ PER ESSERE STATA
ABBANDONATA DAL SUO/ FRATELLINO PINOCCHIO. Come
rimanesse il burattino, quand’ebbe compitate alla peggio
quelle parole, lo lascio pensare a voi. Cadde bocconi a terra
e coprendo di mille baci quel marmo mortuario, détte in un
grande scoppio di pianto. Pianse tutta la notte, e la mattina
dopo, sul far del giorno, piangeva sempre, sebbene negli
occhi non avesse più lacrime: e le sue grida e i suoi lamenti
erano così strazianti ed acuti, che tutte le colline all’intorno
ne ripetevano l’eco». (cap. XXIII, p. 141)
La casetta è una soglia, una via di uscita dall’ordinario,
il luogo del non conosciuto. A Pinocchio non è permesso
di varcare l’ingresso, il visitatore trova invece la porta
semiaperta, è invitato a vivere qui l’esperienza della
conoscenza. Intravede nel parziale buio il volto della
Fatina conservato in una teca, bella e luminosa come
era prima di giungere alla morte, mentre l’intero suo
corpo esanime è sdraiato a terra. Grandi mascheroni
con volti di bambini dalle bocche aperte le sono
attorno, da esse sembra uscire un lamento e, come
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30
suggerisce il sound design, una richiesta di silenzio per
la meditazione. L’Artista rilegge Pinocchio in chiave
psicologica, interpretando in primis il legame FataPinocchio come emblematico del rapporto genitorefiglio: l’egoismo, il senso di colpa e la volontà di
riscattarsi dall’incapacità di abnegazione percorrono le
vicende collodiane. Pinocchio fa morire la Fata sorella/
madre ed è causa delle sofferenze del padre Geppetto,
solo alla fine del racconto, per merito del suo buon
cuore, sarà perdonato dalla Fatina.
La questione è invero intrinseca all’essere umano, nella
stanza si respira infatti morte e assenza. Greco coglie il
senso di sconforto e paura che percepisce ogni Uomo,
spaventato dalla solitudine, una solitudine generata
dalla connaturata propensione al male. L’installazione
non solo reinterpreta il testo di Collodi, ma prosegue
quella tensione propria dell’opera di Ettore Greco,
quell’anelito di quiete che pare non giungere mai alle
mani dello Scultore, trepidanti e vitali nel generare
dalla creta.
ETTORE GRECO
I bambini sono cattivi, 2013-14
installazione
plasticrete, legno, gesso
(sound design di Matteo Buzzanca)
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33
Non lontano dalla casetta prosegue
il nostro racconto Nel ventre di Pinocchio. Dalla carta,
materiale fragile, leggero e duttile, Francesca Casolani
dà vita a immagini, forme e parole dal linguaggio lirico
ed espressivo. Il suo mondo si popola di sculture in
cartapesta, quadri illustrati, video, animazioni che
prendono anelito sotto i nostri occhi.
Appeso ad un grande tronco d’ulivo, a penzoloni,
vicino alla casetta della Fata è il nostro Pinocchio, una
marionetta in cartapesta. Pinocchio, a cui la Fatina non
ha aperto la porta, vive l’esperienza della solitudine,
dell’abbandono e dell’incontro con i suoi assassini. Il
Pinocchio di Casolani è solo, inerme ed abbandonato al
proprio destino.
Come si è detto, l’episodio è iniziatico, escatologico:
è il confronto con i limiti della vita e l’incontro con la
morte. La Fata non apre l’uscio, ma attende la sua
impiccagione per un’intera notte prima di giungere in
soccorso, inviandogli il Falco che spezzerà la corda che
lo tiene appeso all’albero.
francesca
«A poco a poco gli occhi gli si appannarono; e sebbene
sentisse avvicinarsi la morte, pure sperava sempre che da un
momento a un altro sarebbe capitata qualche anima pietosa
a dargli aiuto. Ma quando, aspetta aspetta, vide che non
compariva nessuno, proprio nessuno, allora gli tornò in mente
il suo povero babbo… e balbettò quasi moribondo: – Oh babbo
mio! se tu fossi qui!… E non ebbe fiato per dir altro. Chiuse
gli occhi, aprì la bocca, stirò le gambe, e dato un grande
scrollone, rimase lì come intirizzito». (cap. XV, p. 93-94)
L’immagine dell’Appeso appartiene anch’essa
all’imagerie romantica, come la figura della Fata o
l’inquietante Omino di burro che guida nella notte il carro
silenzioso, nonché i conigli neri che trasportano la bara,
un’apparizione che Calvino definisce «dalla forza visiva
tale da non poter essere più dimenticata» e che Casolani
non può che ospitare nel suo repertorio visivo.14
Nelle cellette rustiche a lago15, inglobando – come
ha già fatto Ettore Greco – l’architettura preesistente
nella rilettura e riscrittura della favola, continuano le
Avventure dei nostri Artisti.
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FRANCESCA CASOLANI
L’appeso, 2014
dal ciclo Nel Ventre di Pinocchio
cartapesta, acrilici, resina
53x30x24 cm
casolani
35
Antiche celle dei frati
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«[…] Punto paura!… Piuttosto morire, che bevere quella
medicina cattiva. – A questo punto, la porta della camera
si spalancò ed entrarono dentro quattro conigli neri come
l’inchiostro, che portavano sulle spalle una piccola bara da
morto. – Che cosa volete da me? – gridò Pinocchio, rizzandosi
tutto impaurito a sedere sul letto. – Siamo venuti a prenderti,
rispose il coniglio più grosso. – A prendermi?… Ma io non
sono ancora morto… – Ancora no: ma ti restano pochi minuti
di vita avendo tu ricusato di bevere la medicina, che ti avrebbe
guarito dalla febbre!… – O Fata mia, o Fata mia, – cominciò
allora a strillare il burattino, datemi subito quel bicchiere…
Spicciatevi, per carità, perché non voglio morire, no… non
voglio morire… – E preso il bicchiere con tutt’e due le mani,
lo votò in un fiato. – Pazienza! – dissero i conigli. – Per questa
volta abbiamo fatto il viaggio a ufo. – E tiratisi di nuovo la
piccola bara sulle spalle, uscirono di camera bofonchiando e
mormorando fra i denti». (cap. XVII, p. 104-107)
Casolani illustra gli avvenimenti del racconto, non
tanto in sequenza cronologica, quanto in flash visivi che
rimandano alla storia.
Nella cameretta troviamo i conigli pronti a portare via
Pinocchio, il quale fugge per la paura; ci è mostrata
solo la sua silhouette, una sorta di ombra, scia della
vita già indirizzata alla morte, nonché immagine del
doppio, quel doppio che tanto è presente nella favola.
Il linguaggio di Casolani cela simboli e messaggi
velandoli con la lievità che contraddistingue il suo
immaginoso fraseggiare.
Incontriamo quindi nuovamente un Pinocchio diviso
tra le tensioni delle due nature, tra ciò che sente di
voler fare e ciò che dovrebbe essere. Uno iato che
divide l’esistenza tra bene e male. Il riferimento alla
simbologia religiosa ritorna nei conigli, mutati nelle
sue sculture di color bianco e ridotti a tre, numero
della Trinità, in quanto l’Artista le ritiene figure sacre e
spirituali.
La via della trasformazione conduce Casolani ad
accogliere invero la rilettura alchemica. Il video di
animazione – realizzato a quattro mani con Celeste
Taliani – ci conduce infatti con sguardo incantato
nell’avventura della rinascita dell’essere umano.16
FRANCESCA CASOLANI - CELESTE TALIANI
Nel Ventre di Pinocchio, 2012
fotogrammi estratti dal video
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FRANCESCa casolani
L’arrivo dei conigli, 2012
dal ciclo Nel Ventre di Pinocchio
tecnica mista su carta e tavola
50x30 cm
L’arrivo dei conigli, 2012-2014
dal ciclo Nel Ventre di Pinocchio
installazione
cartapesta, inchiostro, acrilico,
foglia oro, ferro
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La vicina celletta allestita con una
cucina rustica si trasforma nella casa di Geppetto ed
accoglie i Pinocchi di Mirko Baricchi, non si tratta di un
solo burattino, ma tanti, come già scrisse Collodi.
«Ho conosciuto una famiglia intera di Pinocchi: Pinocchio il
padre, Pinocchia la madre e Pinocchi i ragazzi, e tutti se la
passavano bene. Il più ricco di loro chiedeva l’elemosina».
(cap. III, p. 18)
Da anni l’Artista ha, tra le sue frequentazioni, queste
figure come compagni di viaggio, compagni affidabili
o di malaffare. Chiedere a Baricchi un’installazione
dedicata a Pinocchio è stato fargli aprire la sua
grande valigia ed estrapolarne il protagonista della
scena. I suoi Pinocchi sono esili sculture di ferro,
figure smarrite che si addentrano tra le leggere carte,
trasformandosi in evanescenze, peregrini pirandelliani
in luoghi di nebbia e polvere. Anche Baricchi coglie il
senso delle Avventure come ricerca di iniziazione, di
cambiamento; il cambio di stato di materia è necessario
all’alchimista per raggiungere l’anelato esito finale.
I suoi burattini sono memori anche dell’immagine
dell’Uomo di latta di Lyman Frank Baum del
Meraviglioso Mago di Oz, che ha compiuto una
trasformazione inversa a quella di Pinocchio, ma
nella quale non è trascurabile l’affinità: da uomo viene
mutato dalla Strega dell’Est in “robot” senza cuore e,
solo dopo varie peripezie, riottiene un piccolo cuore
foderato di seta. Anche per Pinocchio il cuore è al
centro della sua salvezza.
«Bravo Pinocchio! In grazia del tuo buon cuore, io ti perdono
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tutte le monellerie che hai fatto fino a oggi. I ragazzi che
assistono amorosamente i propri genitori nelle loro miserie
e nelle loro infermità, meritano sempre gran lode e grande
affetto, anche se non possono esser citati come modelli
d’ubbidienza e di buona condotta. Metti giudizio per l’avvenire,
e sarai felice». (cap. XXXVI, p. 272)
L’imbuto che i Pinocchi di Baricchi si portano appresso
ha invero anche un’origine nostrana e sentimentale
attinta dai ricordi dell’infanzia dell’Artista: il nonno
paterno vicino al camino costruiva imbuti che poi avrebbe
usato per imbottigliare l’olio.
Il nonno è un novus Geppetto, il camino è l’elemento di
liaison e Baricchi non può che essere un Pinocchio.
«La casa di Geppetto era una stanzina terrena, che pigliava
luce da un sottoscala. La mobilia non poteva essere più
semplice: una seggiola cattiva, un letto poco buono e un
tavolino tutto rovinato. Nella parete di fondo si vedeva un
caminetto col fuoco acceso; ma il fuoco era dipinto, e accanto
al fuoco c’era dipinta una pentola che bolliva allegramente
e mandava fuori una nuvola di fumo, che pareva fumo
davvero». (cap. III, p. 17)
Da qui nel percorso artistico di Baricchi gli imbuti, che ha
dapprima modellato, poi esplorato nella forma materica
ed infine attaccato al burattino a cui è da sempre legato.
Il visitatore, prima di uscire dalla cucina in cui
l’installazione dell’Artista è collocata, attraverso il
potere della sua immaginazione può vedere un vecchio
imbuto attaccato al muro trasformarsi in un bugiardo
Pinocchio che ci accompagna sino alla fine del nostro
percorso.
mirko
baricchi
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MIRkO BARICCHI
Senza titolo, 2013-14
installazione
courtesy Galleria Bonioni - Reggio Emilia
Cardelli&Fontana - Sarzana (Sp)
Sculture in ferro
dimensioni varie (65,5-79 cm)
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Acrilico su carta
46,5x36,5 cm
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patrizia
Nella vicina stalla, dove venivano un
tempo ricoverati per la notte asini e cavalli, Patrizia
Fratus colloca il suo ciuchino, intitolato I(h)o! Una sorta
di autoritratto in cui, per quell’anelito verso la coerenza
che spesso è affannoso e sovente incontra sconfitte,
l’Artista si identifica in Pinocchio-asino. Il candido
asino umanizzato ci guarda desolato e impotente. Gli
animali dell’Artista, nel nostro iter anche il Gatto e la
Volpe – che incontriamo all’interno della Villa – e il
Grillo nei giardini, parlano della vicenda umana con le
sue virtù e le sue debolezze, sono figure allegoriche di
una storia che giunge da lontano. L’asino ci riporta alla
simbologia esoterica, che trova una tangenza tra l’altro
con la tecnica con la quale la Scultrice realizza le sue
opere – un sapiente uso della cartapesta –, una sorta
di metafora della materia grezza che deve subire un
graduale processo di trasformazione, affinché si possa
levigare e portare a livello di conoscenza e coscienza
superiore.
La veste asinina può essere intesa come una sorta
di rivestimento per qualcosa che attende di essere
portato in superficie, come la sapienza celata o il fuoco
fratus
interiore: la pietra filosofale. Nella favola Pelle d’asino,
che Collodi – come si è già scritto – aveva tradotto, la
principessa è nascosta sotto le spoglie di un asino.
Le Metamorfosi di Apuleio inoltre nel Medioevo furono
chiamate L’asino d’oro; in esse è raccontato il viaggio
avventuroso del protagonista, trasformato in asino, che
deve superare svariate prove per riconquistare se stesso
e trasmutarsi, con l’aiuto della sapienza, in essere
felice.
La metamorfosi sia per Lucio dell’Asino d’oro che per
Pinocchio avviene inoltre sotto lo sguardo della Fatina.
Per il primo è Iside, mentre per il nostro è la Fata
turchina che appare fugacemente durante l’esibizione
di Pinocchio-ciuchino al circo e successivamente in
mare, dove lo libera dalla sua scorza. L’asino per Fratus
è inoltre un diverso, colui che guarda l’umanità da una
posizione disgiunta. L’asinello è quindi perfettamente
collocabile nel ricco zoo dell’Artista, la quale negli anni
ha realizzato sculture di animali e insetti di ogni sorta.
Il Grillo parlante rappresenta nella fiaba la coscienza,
in ambito psicoanalitico il Super-Io. Certo il solo fatto di
aver detto a Pinocchio la verità gli è costata una mortale
PATRIZIA FRATUS
Il Gatto e la Volpe, 2011
cartapesta
h 34-36x22,5x14 cm
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martellata e, se non fosse che Collodi ama i fantasmi e
le metamorfosi, la morale sarebbe bella e sepolta.
«[…] Guai a quei ragazzi che si ribellano ai loro genitori e
che abbandonano capricciosamente la casa paterna! Non
avranno mai bene in questo mondo; e prima o poi dovranno
pentirsene amaramente… […] – Povero grullerello! Ma non
sai che, facendo così, diventerai da grande un bellissimo
somaro, e che tutti si piglieranno gioco di te? – Chétati,
Grillaccio del mal’augurio! – gridò Pinocchio. Ma il Grillo,
che era paziente e filosofo, invece di aversi a male di questa
impertinenza, continuò con lo stesso tono di voce: – E se
non ti garba di andare a scuola, perché non impari almeno
un mestiere, tanto da guadagnarti onestamente un pezzo
di pane” – Vuoi che te lo dica” – replicò Pinocchio, che
cominciava a perdere la pazienza. – Fra tutti i mestieri del
mondo non ce n’è che uno solo, che veramente mi vada a
genio. – E questo mestiere sarebbe… ? – Quello di mangiare,
bere, dormire, divertirmi e fare dalla mattina alla sera la vita
del vagabondo.– Per tua regola – disse il Grillo-parlante con
la sua solita calma – tutti quelli che fanno codesto mestiere
finiscono quasi sempre allo spedale o in prigione. – Bada,
Grillaccio del mal’augurio!… se mi monta la bizza, guai a te!…
– Povero Pinocchio! mi fai proprio compassione!… – Perché
ti faccio compassione? – Perché sei un burattino e, quel
che è peggio, perché hai la testa di legno. – A queste ultime
parole, Pinocchio saltò su tutt’infuriato e preso di sul banco
un martello di legno lo scagliò contro il Grillo-parlante. Forse
non credeva nemmeno di colpirlo; ma disgraziatamente lo
colse per l’appunto nel capo, tanto che il povero Grillo ebbe
appena il fiato di fare crì-crì-crì, e poi rimase lì stecchito e
appiccicato alla parete». (cap. IV, p. 27-29)
PATRIZIA FRATUS
I(h)o!, 2014
cartapesta
h 141 cm
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48
Il Grillo ricompare sotto forma di fantasma (cap. XIII) e
tenta nuovamente di far ragionare, invano, Pinocchio
che sta per seminare i suoi zecchini d’oro, beffato dal
Gatto e dalla Volpe. Lo ritroviamo successivamente nella
veste di uno dei quattro dottori che visitano Pinocchio
moribondo: è l’unico che capisce l’inganno e gli ricorda i
suoi cattivi comportamenti facendolo piangere (cap. XVI).
L’ultima sua apparizione avviene all’uscita dalla pancia
del Pesce-cane, quando ospita Pinocchio e Geppetto in
una casetta dono della Fata e di fronte al pentimento del
burattino gli offre tutto il suo aiuto (cap. XXXVI).
Il Grillo Coscienza di Patrizia Fratus cammina a testa
in giù, perché secondo l’Artista oggi più che mai la
coscienza è variabile, ribaltabile e in balia del vento,
elemento naturale a cui tra l’altro è esposta la scultura
insetto, collocata nei giardini dell’Isola. Anch’esso,
come gli altri suoi animali della favola, è bianco, perché
non rappresenta una figura meramente narrativa, ma
nella sua essenzialità vuole esprimere un concetto:
è metafora di una morale collettiva. Fratus è infatti
attiva da anni in progetti di arte relazionale, credendo
profondamente che l’arte debba avere un ruolo sociale.
PATRIZIA FRATUS
Coscienza, 2014
cartapesta resinata
h 185 cm
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fausto
salvi
Nei Giardini esotici del giglio spicca agli
occhi la grande architettura circense di Fausto Salvi.
Con la sua opera ci addentriamo nel mondo scenico,
al quale Collodi riserva più di un capitolo del racconto.
La favola di Pinocchio è infatti un luogo di recitazione
e messa in scena: dal teatro al Paese dei balocchi sino
all’ingresso di Pinocchio-ciuchino nel circo.
Pinocchio è erede del teatro popolare, dal teatro delle
marionette alla commedia dell’arte, ed è l’archetipo del
burattino.
Nell’opera di Salvi si fondono infatti i luoghi della
recitazione: il circo e il teatro. Nel circo della Compagnia
dei pagliacci e dei saltatori di corda Pinocchio-ciuchino si
esibisce davanti al pubblico dopo «tre mesi di lezioni, e
molte frustate da levare il pelo». È uno dei momenti più
dolorosi per Pinocchio, il quale, dopo aver provato la
breve speranza per aver visto tra il pubblico la Fatina,
scoppia in lacrime disperato per la sparizione di lei e
sente la piena solitudine.
«[…] Si sentì come morire: gli occhi gli si empirono di lacrime
e cominciò a piangere dirottamente […]». (cap. XXXIII, p. 237)
In questa architettura circense il visitatore stesso può
entrare nella scena, ponendosi nel bel mezzo della
costruzione ha la percezione di sé come se fosse al
centro del palcoscenico. Davanti allo sguardo duro delle
maschere del pubblico percepisce la desolata solitudine
di Pinocchio deriso. Dodici maschere identiche, memori
della poetica della maschera che ha radici lontane, lo
guardano con occhi metallici, algidi e specchianti, la
sua condizione non è molto dissimile del resto da quella
degli altri esseri umani. Le maschere ci riportano anche
50
nell’ambito della commedia dell’arte; quelle di Salvi
infatti sono una sorta di fusione tra il volto di Pulcinella
e il naso di Pinocchio.
Nelle Avventure, quando Pinocchio fa il suo ingresso
nel teatro di Mangiafuoco, incontra i suoi fratelli
Arlecchino e Pulcinella e Lorenzini, con ironia, mette
in luce l’assenza di ragionevolezza degli esseri umani e
palesa il fatto che i nostri burattini non sono altro che
personificazioni.
«[…] Sulla scena si vedevano Arlecchino e Pulcinella, che
bisticciavano fra di loro e, secondo il solito, minacciavano
da un momento all’altro di scambiarsi un carico di schiaffi
e di bastonate. La platea, tutta attenta, si mandava a male
dalle grandi risate, nel sentire il battibecco di quei due
burattini, che gestivano e si trattavano d’ogni vitupero con
tanta verità, come se fossero proprio due animali ragionevoli
e due persone di questo mondo. Quando all’improvviso,
che è che non è, Arlecchino smette di recitare, e voltandosi
verso il pubblico e accennando colla mano qualcuno in fondo
alla platea, comincia a urlare in tono drammatico: – Numi
del firmamento! sogno o son desto? Eppure quello laggiù
è Pinocchio!…– È Pinocchio davvero! – grida Pulcinella. […]
– È Pinocchio! è Pinocchio! – urlano in coro tutti i burattini,
uscendo a salti fuori dalle quinte. – È Pinocchio! È il nostro
fratello Pinocchio! Evviva Pinocchio!… – Pinocchio, vieni
quassù da me! – grida Arlecchino – vieni a gettarti fra le
braccia dei tuoi fratelli di legno!». (cap. X, p. 57-58)
L’opera di Salvi, come quella di Collodi, è una riflessione
sul teatro della vita, sugli inganni della società e sulle
menzogne che noi stessi ci raccontiamo; la fiaba di
Pinocchio è una vera e propria metafora dell’esistenza,
in cui tutti siamo Pinocchi, ciuchini e spettatori.
FAUSTO SALVi
Circus, 2014
h 500 x ∅ 350 cm
struttura in metallo verniciato, maschere
in ceramica, smalti colorati, oro e platino
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Veduta della Villa dal Giardino all’italiana
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Proseguendo nei giardini raggiungiamo
la maestosa dimora, a piano terreno troviamo l’ingresso
che conduce alla cantina, costruita nell’Ottocento dai
fratelli Lechi. Ancora una volta è il suono, questa volta
una musica di organetto, che ci indica il cammino da
percorrere per raggiungere il Paese dei balocchi di
Stefano Mazzanti.
stefano
mazzanti
«[…] Questo paese non somigliava a nessun altro paese del
mondo. La sua popolazione era tutta composta di ragazzi […].
Nelle strade, un’allegria, un chiasso, uno strillìo da levar di
cervello! Branchi di monelli dappertutto: chi giocava alle noci,
chi alle piastrelle, chi alla palla, chi andava in velocipede,
chi sopra un cavallino di legno: questi facevano a moscacieca, quegli altri si rincorrevano: altri, vestiti da pagliacci,
mangiavano la stoppa accesa: chi recitava, chi cantava,
chi faceva i salti mortali, chi si divertiva a camminare colle
mani in terra e colle gambe in aria: chi mandava il cerchio,
chi passeggiava vestito da generale coll’elmo di foglio e lo
squadrone di cartapesta: chi rideva, chi urlava, chi chiamava,
chi batteva le mani, chi fischiava, chi rifaceva il verso alla
gallina quando ha fatto l’ovo: insomma un tal pandemonio, un
tal passeraio, un tal baccano indiavolato, da doversi mettere
il cotone negli orecchi per non rimanere assorditi. Su tutte
le piazze si vedevano teatrini di tela, affollati di ragazzi dalla
mattina alla sera […]». (cap. XXXI, p. 215)
Al nostro arrivo la porta di ingresso della cantina è però
serrata. Ci si chiede se siamo giunti in ritardo, ma quasi
subito ci si accorge che il suono dell’organetto è l’unico
rumore rimasto. Non sentiamo più il chiasso, gli strilli, il
rumore dei giochi, il suono del canto, della recitazione…
c’è solo la giostra. Nel parziale buio, tra le sbarre
dell’ingresso, riusciamo a vedere le ombre policrome della
giostra. Una giostra fatta di ciuchini! Nessun bambino è
sulla groppa degli equini, perché tutti si sono trasmutati in
asini, trasformandosi loro stessi nella giostra che continua
a girare. La scelta di Mazzanti, artista che vive nel teatro,
di una cantina buia per la sua installazione ci riporta alla
parole di Carmelo Bene, un faro nella rilettura proposta dal
nostro lighting designer. «[…] Pinocchio via via è più funereo,
ecco. E mentre il bambino ha il gusto dello spavento, della
cantina buia dell’infanzia, dove da bambini ci si rinchiudeva
La loggia che dà accesso alla cantina
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STEFANO MAZZANTI
Il Paese dei balocchi, 2014
installazione mobile, luminosa e sonora
legno, carta, motorino elettrico, luci
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magari, proprio per auto-terrorizzarsi, e quindi soprattutto
man mano che la gente aspetterebbe che il bambino si diverta,
o si divertisse, o debba divertirsi con il gatto e la volpe, con le
cose più… o il gambero rosso… no, o con il grillo parlante, no,
o con i medici per esempio, il corvo, la civetta. Invece no, si
diverte man mano che lo spettacolo scivola nell’irreparabile,
ecco. Questo Pinocchio io l’ho sempre definito un’inumazione
prematura di una salma infantile che scalcia nella propria
bara. I bambini sanno spaventarsi e riescono davvero a
terrorizzarsi. L’adulto no […]. Negli adulti sensibili dovrebbero
riaffiorare il danno e la catastrofe del cresciuto».17
Mazzanti mette quindi in scena lo spirito originario
della favola, invitando il pubblico a lasciarsi trasportare
nella cantina buia, luogo della paura, ma anche
dell’immaginazione. Essa infatti è umida, polverosa e
scura, ma illuminata da una luce teatrale, che confonde
il vero dal falso, ed è animata da leggere sagome asinine
che mutano in continuazione il colore della loro ombra.
Per entrare in questo luogo è necessario abbandonare
le sovrastrutture dell’età adulta, Pinocchio rappresenta
infatti, secondo Bene, il rifiuto alla crescita: «L’essermi
come Pinocchio rifiutato alla crescita è se si vuole la
chiave del mio smarrimento gettata in mare una volta per
tutte. L’essermi alla fine liberato anche di me. Il rifiuto
alla crescita è conditio sine qua non alla educazione del
proprio “femminile”. È rifiuto alla Storia, e alla conflittualità
dell’historiette del quotidiano […]».18
Non solo il Paese dei balocchi, in antitesi con il Paese
delle Api Industriose, può essere il luogo in cui i bambini
toccano il fondo dell’infelicità, essendo trasformati in
somari destinati alla schiavitù, ma può rappresentare
anche l’atrofia dell’età adulta, qui gli adulti non entrano
perché di questo luogo non conoscono più né porta
d’ingresso, né porta di uscita. Pinocchio troverà, grazie
alla Fatina, la via di fuga, mentre Lucignolo – come
osserva Mazzanti – rifiuta la crescita, a scapito del suo
avvenire, come gli artisti maledetti che rifiutano le finzioni,
gli oppressori e il meccanismo economico sociale. A
questo punto viene però da chiedersi se il Paese dei
balocchi sia dentro o fuori dalla cantina.
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Il loggiato del piano nobile della Villa
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livio
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scarpella
All’interno della villa, nella Stanza della
Musica, sono collocate tre teste di Lucignolo modellate
sapientemente da Livio Scarpella; esse hanno espressioni
caricate e sono un esplicito omaggio allo sculture
settecentesco Franz Xaver Messerschmidt. Scarpella, che
ama dialogare con i grandi artisti del passato, non sceglie
il suo riferimento a caso, ma coglie tra le pagine del genio
irrazionale e dell’anima tormentata. Lo scultore tedesco
credeva negli spiriti ed era convinto di essere perseguitato
da forti dolori fisici inferti dallo Spirito delle proporzioni, in
quanto questo sarebbe stato geloso di lui per la perfetta
conoscenza delle proporzioni che stava per raggiungere.
L’opera del Maestro nasce quindi da una terapia
apotropaica; egli si pizzicava parti del corpo procurandosi
dolore e produceva delle esagerate contrazioni espressive
che osservava allo specchio per poi rappresentarle. Da
un lato quindi Scarpella ci riferisce della ricerca perenne
e maniacale che presiede anche al suo lavoro plastico,
egli modella infatti con una tale velocità e una conoscenza
formale, filtrata dallo sguardo mnemonico, che lascia di
stucco, dall’altro unisce nei suoi Lucignoli la forma alla
poetica di Collodi. Le orecchie asinine collodiane sono
infatti precedute da millenni dalle celeberrime orecchie
d’asino che Apollo fece spuntare al re Mida, per aver
preferito alla lira del Dio il flauto di Pan, ossia le seduzioni
dei sensi all’armonia dello spirito e della ragione. Che si
tratti di Mida o di Lucignolo, siamo di fronte al perdimento
nell’irrazionalità e nelle seduzioni dei sensi. I Lucignoli
sono esseri perduti, senza via di ritorno. La metamorfosi
asinina di Pinocchio e Lucignolo avviene cinque mesi dopo
l’ingresso nei Paesi dei balocchi, mentre Pinocchio ha trovato
in essa una vicenda di iniziazione, Lucignolo ha scelto di non
percorrerla. Scarpella, partendo dalle tre teste in terracotta
qui esposte, ha realizzato anche tre fusioni in bronzo dorato,
rendendo esplicito il riferimento a Mida, il quale chiese a
Dioniso di poter trasformare tutto ciò che toccava in oro,
finché non si rese conto che la sua cupidigia lo avrebbe
portato a morir di fame e implorò il Dio di togliergli tale
potere. Ancora una volta la rilettura della favola ci riporta a
riflettere sulla società e sulle false chimere.
LIVIO SCARPELLA
Lucignoli, 2014
terracotta e ferro
h 36-40 cm (base h 130 cm)
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francesco
de molfetta
Le Avventure di Pinocchio sono anche ironia, Lorenzini
è infatti capace di rapire il sorriso del pubblico,
strizzandogli l’occhio. Collodi sa essere arguto,
come scrive Anna Rosa Vagnoni, ha un’ironia allegra
e giocosa che non solo è toscana, ma si alimenta
anche di una serie di conflitti sociali, il tono ironico
si estende infatti a tutta la narrazione, tanto che il
grottesco e il nonsense ricorrono continuamente:
«ironia e “umor nero” fanno di Pinocchio un personaggio
duplice: da una parte irruenta libertà fantastica, dall’altra
creatura notturna tormentata da angosce e disperazioni
tipicamente infantili».19 Anche nel nostro percorso non mancano il tono
irridente, la leggerezza e le “pinocchiate”. Nella casa,
nella Stanzetta Orientale, tra gli oggetti, i giochi e i
lettini di famiglia, troviamo la scultura di Francesco
De Molfetta (Demo).
Un piccolo burattino, uscito dal cartone animato di Walt
Disney, dal viso ingenuo e sereno, dorme – affianco
al Grillo – in un lettino di ferro dalle lenzuola rosa. Un
spaccato di naiveté, finché il nostro occhio non scivola
sul corpicino del candido Pinocchio e nota una cosa
inattesa: il lenzuolino è alzato, sollevato dall’erezione
del burattino.
De Molfetta, del resto, afferma di aver sempre voluto
fare il giocattolaio, ovvero vendere i suoi giocattoli, i suoi
divertissement. Egli attinge al repertorio delle immagini
popolari, a quelle legate alla sua infanzia e alle icone
della nostra società, offrendo loro un altro sense,
sorprendendo, talvolta destabilizzando, lo spettatore.
69
70
Nel suo repertorio non poteva infatti mancare
Pinocchio, più volte riletto dall’Artista, talvolta anche
in immagini disorientanti, che hanno mescolato
suggestioni, contesti, passando dal sorriso che sorge
sul nostro volto con Penocchio o con i finti pacchetti
di caramelle alla menta Golia e Mentos, con Pinocchio
sedutovi sopra, dal titolo Mentire, all’amaro sarcasmo
di Hitler Reich, un Pinocchio con le fattezze del viso
del Führer. Tornando al nostro Penocchio, l’Artista
si lega invero alla diffusa interpretazione della
crescita del naso con quella del pene e traslittera
l’immagine collodiana in quella popolarissima di
Disney. Penocchio è pertanto un’immagine new pop di
cui Demo non poteva che cibarsi. Il giocattolo dello
Scultore non è però nella sua fattura di certo prodotto
da catena di giochi per l’infanzia, tanto che l’opera è
un pezzo unico in ceramica modellata a mano, cotta e
invetriata. L’immagine popolare pertanto è scissa dalla
ricercatezza e dai costi della realizzazione dell’oggetto;
l’opera è infatti un giocattolo conservato in teca,
un toy prezioso di desiderio.
FRANCESCO DE MOLFETTA
Penocchio, 2012
ceramica policroma, tessuto, ferro verniciato, pvc
in teca di plexiglass
30x58x56 cm (teca 50x65x65 cm)
courtesy Galleria Nicola Pedana - Caserta e Collezione Ronza
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stefano
bombardieri
Tornando alle Avventure del nostro
Pinocchio, uscito dal Paese dei balocchi come ciuchino,
esibitosi nel circo, azzoppatosi e venduto, viene gettato
in mare con un sasso al collo per farne della sua pelle
un tamburo. Ancora una volta è la Fata a salvarlo,
inviando dei pesci a mangiar la “buccia asinina”;
ritornato burattino può proseguire a nuotare. Il mare
rappresenta il continuo cambiamento, il rinnovamento e
la trasformazione. Qui, come tutti ben sappiamo, entra
nell’immensa bocca spalancata del Pesce-cane.
Nel grande parco dell’Isola, tra piante secolari, compare
arenata la grande balena di Stefano Bombardieri.
Non ci stupisce che il mostro marino sia stato
trasformato in cetaceo, perché questa metamorfosi
ha una storia lunga. Già Collodi dà una descrizione
fantasiosa del mostruoso pesce, che per le grandi
dimensioni ci ricorda più una balena che uno squalo.
Del resto in Giannettino descrive il mammifero così: «La
balena ha una bocca così spropositata, che può entrarvi
comodamente una barca carica d’uomini: ma la sua gola è
molto stretta, onde non può ingoiare che piccoli animaletti
marini».20
Forse già Collodi, pur pensando al ventre della balena,
preferisce mettersi al riparo da obiezioni scientifiche,
oppure, come sostiene Tempesti, preferisce usare il
nome di pescecane per non svelare troppo il modello
di Pinocchio: lo Stenterello inseguito da ladri, ombre
e balene.21 Certo è che nella cospicua iconografia
collodiana la balena ha spesso sostituito l’immagine del
pescecane.
74
Per la nostra favola Bombardieri ha trasformato la
sua celebre grande balena in una sorta di attrazione
da Paese dei balocchi, unendo due tra le sue più care
tematiche: i grandi animali, che lo hanno reso noto
a livello internazionale, e il gioco, non senza l’ironica
riflessione della possibilità di un rovesciamento di
percezione.
La balena ospita infatti nella sua bocca una gettoniera,
lo spettatore può scegliere di introdurre una moneta
o ascoltare il consiglio del Merlo bianco e rinunciare
alla scelta. Come Pinocchio, può scegliere di vivere
l’esperienza o ascoltare il consiglio di una delle figure
sagge del racconto ed evitare ogni sorpresa. Sulle fauci
della balena sono infatti riportati, adattandoli, versi di
Collodi: «Pinocchio ritrova in corpo al Pesce-cane… chi
ritrova?» «Metti una moneta e lo saprai»22/«Non dar retta ai
consigli dei cattivi compagni: se no, te ne pentirai!».23
Il visitatore della mostra giunto nel Parco dell’Isola dei
balocchi potrà quindi effettuare la sua scelta.
Pinocchio, grazie al barlume di una candela posta nella
pancia del Pesce-cane, riesce a vedere ed addentrandosi
trova una tavola apparecchiata e seduto il padre
Geppetto.
«E più andava avanti, e più il chiarore si faceva rilucente e
distinto: finché, cammina cammina, alla fine arrivò: e quando
fu arrivato… che cosa trovò? Ve lo do a indovinare in mille:
trovò una piccola tavola apparecchiata, con sopra una candela
accesa infilata in una bottiglia di cristallo verde, e seduto a
tavola un vecchiettino tutto bianco, come se fosse di neve o
di panna montata, il quale se ne stava lì biascicando alcuni
pesciolini vivi, ma tanto vivi, che alle volte, mentre li mangiava,
STEFANO BOMBARDIERI
Torno subito, 2013-2014
ferro, legno, gettoniera, luce
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STEFANO BOMBARDIERI
dettaglio dell’interno della Balena
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gli scappavano perfino di bocca. A quella vista il povero
Pinocchio ebbe un’allegrezza così grande e così inaspettata,
che ci mancò un ètte non cadesse in delirio. Voleva ridere,
voleva piangere, voleva dire un monte di cose; e invece
mugolava confusamente e balbettava delle parole tronche e
sconclusionate. Finalmente gli riuscì di cacciar fuori un grido
di gioia e spalancando le braccia e gettandosi al collo del
vecchietto cominciò a urlare: – Oh! babbino mio! finalmente vi
ho ritrovato! Ora poi non vi lascio più, mai più, mai più!».
(cap. XXXV, p. 251-252)
Cosa mai troverà lo spettatore nel ventre della balena di
Bombardieri?
Colui che ascolta il consiglio del Merlo non inserisce la
moneta e lascia che la sua immaginazione lo conduca
dove egli preferisce: tra le braccia del padre o in
ogni altrove. Colui che non ascolta il saggio consiglio
inserisce invece la moneta e davanti a sé si illumina il
grande ventre: gli appare un allestimento scenico che
rimanda al ritrovamento di Geppetto, casse di legno
comprese, ma vicino al lumicino vi è una scritta “Torno
subito”. Bombardieri non ha voluto tarpare le ali alla
fantasia e nella pancia del grande mostro ha aperto un
nuovo capitolo, una nuova storia da scrivere.
La conclusione de Le Avventure di
Pinocchio, che come noto è la metamorfosi del burattino
in bambino, non è tragica e drammatica come quella
di molte altre fiabe nella loro versione originale, poi
edulcorata nelle successive: Cenerentola, Biancaneve,
Cappuccetto Rosso, La Bella Addormentata, La Sirenetta,
La Bella e la Bestia, Riccioli d’oro, Hansel e Gretel,… ma
appare sin da subito poco esaustiva, tanto che il lettore
preferisce inventarsi altre storie, altre “pinocchiate”,
affinché Pinocchio non diventi un ragazzo troppo perbene
e possa proseguire le sue avventure/disavventure.
Infatti «[…] l’originalità di Pinocchio sta nella qualità
germinativa, nell’esemplarità che non si esaurisce e che gli
permette di conservare un’identità stabile pur attraverso le
infinite forme di traduzione e riuso […]».24
Il finale della fiaba sull’Isola è pertanto aperto, chiunque
può rileggere Pinocchio, portarlo con sé dall’infanzia
all’età adulta e aggiungere altre pagine al racconto.
È una fine dai molteplici inizi.
maggio 2014
81
Note
Gli illustratori sono stati numerosissimi,
tra cui anche noti artisti. Il primo è stato
Enrico Mazzanti, nell’edizione del 1883;
egli collaborò con Collodi fin dal 1876
con I racconti delle fate. Il successo delle
sue illustrazioni per Pinocchio gli valse la
notorietà internazionale.
1
2
Le bretelle e il cappello tirolese sono
stati sostituiti alla poetica descrizione
dell’abbigliamento di fortuna di Collodi: «un
vestituccio di carta fiorita, un paio di scarpe di
scorza d’albero e un berrettino di midolla di
pane».
B. Gasparini, Le relazioni pericolose, in
La fabbrica di Pinocchio. Le avventure di un
burattino nell’industria culturale, a cura
di G. Bettetini, Nuova Eri, Edizioni RAI,
“VQPT”, Torino 1994. L. Curreri, Play it again.
Pinocchio, in Carlo Collodi, Le avventure di
Pinocchio. Storia di un burattino, Einaudi,
2002.
3
La prima “pinocchiata” risale già al
1893: Oreste Boni, Il figlio di Pinocchio,
Battei, Parma. Nel corso del ‘900 il nostro
burattino va in automobile: Pinocchio in
automobile (1905), vola grazie ai fratelli
Wright: Aeroplano di Pinocchio (1909) e
sale su un dirigibile: Pinocchio in dirigibile;
qualche anno dopo va in guerra: Pinocchio
a Tripoli (1911), Pinocchietto alla guerra
europea (1915), Pinocchietto contro l’Austria
(1915) – da colonialista diviene ardito – sino
alle Avventure e alle spedizioni punitive di
Pinocchio fascista (1928), con fez, camicia
nera, manganello e olio di ricino. Nel
1944 è utilizzato nella propaganda della
Repubblica Sociale Italiana ne Il viaggio
di Pinocchio. Pinocchio viaggiatore inoltre
compie spedizioni di stampo salgariano: a
Ceylon, in India, in Malesia, in Siberia e vive
4
82
avventure rocambolesche per mare e per
terra, sino a giungere sulla luna. Nel 1957
Dan Voivod lo trasforma in un burattino di
metallo, atomico. Nel 1981 muore: La morte
di Pinocchio, ma le “pinocchiate” proseguono
per tutto il secolo. Un’appendice bibliografica
esaustiva delle pinocchiate è contenuta in
R. Biaggioni, Pinocchio: cent’anni d’avventure
illustrate. Bibliografia delle edizioni illustrate
di C. Collodi “Le avventure di Pinocchio”:
1881/83-1983, Giunti Marzocco, Firenze 1984.
5
S. Bartezzaghi, Il paese senza balocchi, in
C. Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di
un burattino, Einaudi, 2002.
6
Nelle citazioni si fa riferimento all’edizione
allegata a questo catalogo: C. Collodi, Le
avventure di Pinocchio. Storia di un burattino,
Salani Editore, Firenze 1924 (anastatica).
in C. Collodi, Le avventure di Pinocchio, Rizzoli,
Milano 1976, p. III.
I. Calvino, Saggi 1945-1985, a cura di
M. Barenghi, tomo I, p. 801-807.
13
14
I. Calvino, cit.
Le celle furono costruite dai frati
francescani nel ‘600 e modificate dai fratelli
Lechi nell’800. All’interno sono stati portati
arredamenti e oggetti di famiglia.
15
Una lettura esoterica è stata data da
E. Zolla (1980) e un’interpretazione del testo
come un percorso iniziatico massonico da
F. Tempesti nell’Introduzione e commento
critico in Carlo Collodi. Pinocchio, Feltrinelli,
Milano 1993.
16
Intervista di Mario Luzzato Fegiz a
Carmelo Bene nella trasmissione Mister
Fantasy, 1982.
17
A. Faedi, Guardare le figure. Illustratori
italiani dei libri per l’infanzia, Einaudi, Torino
1972, p. 24.
7
B. Traversetti, Introduzione a Collodi,
Laterza, Bari 1993.
8
9
R. Dedola, Pinocchio e Collodi, Milano,
Bruno Mondadori, p. 115.
C.A. Madrigani, Fiaba magica o parabola
esoterica?, in C’era una volta un pezzo di
legno. La simbologia di Pinocchio, Atti del
Convegno organizzato dalla Fondazione
Nazionale Carlo Collodi, Emme Edizioni,
Milano 1981, p. 140.
10
Per l’interpretazione dei simboli religiosi
si rimanda al Commento teologico a Le
avventure di Pinocchio del cardinale G. Biffi,
in Contro Maestro Ciliegia, Jaca Book, 1977.
Una lettura evangelico-spirituale è stata data
anche da A. Gnocchi e M. Palmaro, Ipotesi su
Pinocchio, Ancora Editore, 2001.
11
12
P. Citati, Una fiaba esoterica. Nota introduttiva,
C. Bene, Opere, con l’Autografia d’un
ritratto, Classici Bompiani, Milano, 2002,
p. 1057.
18
A.R. Vagnoni, Collodi e Pinocchio. Storia di
un successo letterario, Editrice Uni Service,
Trento 2007, p. 95-96.
19
20
Giannettino, ed. 1887, p. 261.
21
F. Tempesti, cit.
È modificata l’introduzione al XXXV
capitolo «… Leggete questo capitolo e lo
saprete», p. 251.
22
Capitolo XII, Il Merlo bianco si rivolge a
Pinocchio avvisandolo di non fidarsi del
Gatto e la Volpe, finendo così mangiato dal
Gatto, p. 72.
23
24
A.R. Vagnoni, cit. p. 96.
quattro domande in cerca d’autore
▶
Quale personaggio collodiano potrebbe essere il tuo alter ego?
▶Nel tuo percorso umano e professionale hai incontrato un
Grillo parlante? E una Fatina turchina?
▶
Cosa è per te oggi il Paese dei balocchi?
▶ Quali eventi professionali hanno costituito le tappe più
significative della tua crescita?
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▶ Ho sempre avvertito una forte affinità con Pinocchio, mi è parso un eroe
romantico e perfettamente testimone del contemporaneo fin dalla mia
prima lettura adulta. Ma in questo preciso momento della mia vita mi sento
rappresentato molto da Geppetto, diciamo che finalmente lo comprendo ed
è lui il vero protagonista, a mio avviso, del capolavoro collodiano.
▶ Sono a tutti gli effetti IO il mio Grillo Parlante. Sono la voce “morale” che
mi rivolgo fin da sempre.
▶ Un luogo dove il corpo possa connotare lo spazio tramite la percezione
completa di ciò che accade, esultare di tutti i più piccoli particolari della
Natura. Mi piace pensarlo come un concetto di Evoluzione e non di degrado.
▶ Eventi professionali… Vorrei sottolineare un incontro, anzi “l’incontro”,
con una persona davvero speciale; da questo incontro si sono sviluppate
tutte le sinergie che mi hanno permesso di essere ciò che sono dal
punto di vista professionale: questa persona è il mio amico gallerista
Massimo Biava. Non sono gli eventi che hanno costituito la crescita, ma
la possibilità di mettere in atto il pensiero sotto forma di
progetti, dopodiché con questa particolare e concreta
possibilità ho potuto confrontarmi con altre realtà,
una sorta di sviluppo frattale. Questo è il punto
cruciale. Fare un elenco delle mostre e dei
premi mi sembra meno importante.
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Professione
▶ In questa fase della mia vita, dove è forte in me l’istinto paterno,
sicuramente Geppetto.
▶ Forse qualche grillo l’ho incontrato, magari meno invadente e
non l’ho mai preso a martellate, fatine non mi risulta, forse troppo
impegnate con i vari Pinocchio.
▶ Il Paese dei balocchi è sempre stato
interpretare e reinventare tutto ciò che
mi circonda, un’immagine positiva e non
un luogo di perdizione.
▶ Tutto quello che ho fatto è stato
importante per la mia crescita, a
partire dalla partecipazione a svariate
manifestazioni d’arte, fra le più
disparate, conosciute e sconosciute, in
Italia e all’estero. Tutte piccole tappe
che mi hanno dato la possibilità di farmi
conoscere e confrontarmi con molti
artisti e addetti ai lavori. L’incontro con
la Maretti Arte Monaco (2001), che ha
fatto conoscere il mio lavoro sulla Costa
Azzurra e poi nel resto della Francia.
La prima Biennale di Venezia (2007),
Padiglione della Repubblica Araba
Siriana, nel chiostro di San Francesco
della Vigna con il lavoro Europa Pallida
Madre; ll settimo splendore. La modernità
della malinconia (2007) a Palazzo Forti/
Palazzo della Ragione - Verona, una
mostra stupenda curata da Giorgio
Cortenova che ha visto la partecipazione
dei più grandi artisti di sempre; Man
Ray e Stefano Bombardieri. Omaggio al
Surrealismo del Turra a cura di Franco
Farina e Maria Livia Brunelli MLB home
Gallery – Ferrara; The animals’ count down (2009) mostra personale
dell’anno negli spazi espositivi di Pietrasanta; la mia seconda
Biennale di Venezia (2011) Padiglione Italia – Palazzo Te – Mantova
con l’opera Monachesimo Armato. L’incontro con i critici e le varie
gallerie che propongono il mio lavoro.
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Professione
▶ Pinocchio, e come lui faccio spesso i conti con curiosità
e istinto.
▶ Sì, molte volte, e anche se inizialmente personaggi del
genere possono sembrare antipatici, le loro ramanzine
tornano utili.
▶ La realtà virtuale, per esempio!
▶ La partecipazione a varie
mostre come Amici miei (Palermo)
o Chi cavalca la Tigre non può più
scendere (Sciacca), nel 2012, è
stata importante per far conoscere
il mio lavoro all’interno di contesti
artistici più specifici. Sempre nello
stesso anno l’Accademia di Belle
Arti di Palermo, nella quale tuttora
frequento il II anno specialistico
nel corso di Scultura, ha acquisito
un mio lavoro, L’infanzia del
generale H, dopo un concorso
promosso da UniCredit. Tuttavia
la mia esperienza più significativa
è legata a ZAC, Zisa Zona Arti
Contemporanee, progetto che
ha visto ottanta giovani artisti
condividere lo stesso grande spazio
all’interno dei Cantieri Culturali
della Zisa di Palermo, ricco di
incontri con diversi protagonisti
dell’arte contemporanea e
conclusosi con la mostra Azīza nel 2013. Al momento,
grazie a una borsa di studio, sto arricchendo il mio
percorso formativo presso l’École Supérieure d’Arts
Plastiques de la Ville de Monaco.
86
▶ Penso a Geppetto, chiuso nella sua stanza ad animare un
oggetto inanimato, come ad un mago buono che si ritrova
nella pancia della balena immerso in uno spazio onirico fatto
di visioni fantastiche e terribili.
▶ Sì, ho incontrato la fata turchina tutte le volte che mi sono persa per
poi ritrovarmi a parlare con il grillo, con la capra, con l’uccellino e anche
con il gatto e la volpe. Proprio come nella storia di Pinocchio la fata nella
mia vita è apparsa sotto molte forme.
▶ È la società del consumismo con tutte le sue vetrine e i suoi falsi miti.
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▶ L’incontro con il teatro di figura in Francia e la compagnia
Stultiferanavis mi ha aperto gli occhi su un linguaggio nuovo dove
finalmente far convergere la pittura, la scultura, la video arte e il teatro.
Così nasce, nel 2008, la prima serie dal titolo Marionettista creata in parte
a Parigi presso La Villette, per una residenza di creazione, ed esposta a
Charleville Mézières durante il Festival Mondial de la Marionnette nel
2009. Un secondo ciclo di lavori nasce invece dallo spettacolo Alkaest
esposto a Parigi presso l’Espace de création contemporain Anis Gras, Le lieu
de l’autre nel 2010.
Sono poi seguite in Italia alcune mostre collettive legate all’ambito
dell’arte sacra contemporanea attraverso la fondazione Stauros: Sulla Via
dell’arte nel 2009 ad Ascoli Piceno; la Triennale di Arte Sacra di Lecce nel
2012; Amor Mundi nel 2012 a Campli (Te).
Nasce poi il ciclo Nel Ventre di Pinocchio da una collaborazione con la Videomaker Celeste Taliani. Le opere vengono esposte all’interno di alcune
collettive, fra cui: Open Space, Galleria Nazionale di Cosenza 2012; Profile,
Galleria En plein air (To) 2012; Atmosfere, fondazione Bugatti Segantini Villa
Filippini, Besana (Mb) 2013; Materie, Trezzo D’Adda (Mb) 2013.
Nel 2012 l’incontro con la gallerista Maja Titonel che inaugura al MAC di
Roma la mia prima personale.
87
▶ Come personaggio più vicino a me sento quello forse più improbabile: il pescecane. I pescecani
sono sempre stati la mia passione, hanno sempre stimolato il mio immaginario nella gamma
dei “mostri marini” e affini – racchiudono tutto il mistero degli abissi (sia reali che metaforici)
che permea la nostra esistenza. Lo sapevate che il pescecane è un animale che non dorme mai?
È onnivoro fino alla bulimia (hanno trovato realmente di tutto nei ventri degli squali) e soprattutto
non smette mai di nuotare, di mantenersi in movimento con le pinne, perché altrimenti… andrebbe a
fondo! Curioso no?
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▶ Sì, ho sempre trovato perfetti e molto simbolici tutti i personaggi del grande teatro educativo di Collodi, e li ho sempre rivisti nella grande
fiaba che è la mia vita. E ho conosciuto diverse fate turchine, sicuramente tra queste ricordo la Ciocca arte contemporanea, galleria Luisa Delle
Piane, Wannabee gallery, ma forse un solo grillo parlante, la cui voce ancora echeggia dentro di me…
▶ Il mio Paese dei balocchi? Non ho alcun dubbio: il mio studio! Io non sento di abitare in una città precisa, ma in questa dimensione parallela
che è il mio laboratorio, circondato da forme e colori e tutto ciò che amo. Il mio sogno qui diventa realtà.
▶ Il mio mastro Geppetto nell’arte, colui che mi ha scolpito dal primo blocco di legno è stato sicuramente lo “storico” Franco Toselli. Con lui
ho mosso i primi passi nell’universo dell’arte. Ha poi passato il testimone a Daniele Colossi della Galleria Colossi Arte, attraverso i consigli
del gatto della Galleria 2000 e Novecento e della volpe Ermanno Tedeschi Gallery. Mi sono poi divertito con Lucignolo della Galleria Ronchini,
con cui è poi iniziato il Paese dei balocchi presso Duetart Gallery, Galleria Atlantica di Paolo Rigon, The Don Gallery Milan, Spazio Solferino,
Orizzonti arte di Bari, Annovi Arte Contemporanea, Art Contemporary Gallery, Galleria Vinciana, FabbricaEos, Galleria Glauco Cavaciuti, Galleria
2000, A15, Aus18, Overlook Arte contemporanea. Ho collaborato inoltre con Artedamangiare-mangiarearte realizzando una installazione per il
Macef nel 2000. Ho vinto il concorso della città di Biella partecipando ad una mostra indetta dalla Fondazione Pistoletto per l’Arte. Ho esposto e
collaborato con la Nike Italia nel 2007-2008. Nel 2009 ho vinto il primo premio al concorso Ceres4ART. Mangiafuoco si arrabbiò! Per cui scappai
al Museo Vanvitelliano di Ancona, al Museo Civico di Palazzo Buonaccorsi a Macerata, al Museo della Musica di Bologna, al Museo di Villa Ponti
di Arona, al Museo di villa Giunigi a Lucca, in piazza San Lorenzo a Vicenza, al Museo Santa Giulia di Brescia, alla Permanente, al Superstudio
e al teatro dal Verme a Milano, al Museo di Villa Mazzotti a Chiari (Bs), al Museo la Giardiniera di Torino, al Lazzaretto di Sant’Elia di Cagliari,
al Palazzo Ducale di Pavullo nel Frignano, al Chiostro di Sant’Eufemia di Como, al Castello di Rivara e al Museo Pino Pascali a Polignano (Ba).
Nel 2010 un grillo parlante mi invitò a partecipare alla Biennale d’Arte Sacra Contemporanea con la provocatoria opera Lourdes Vuitton. Poi fui
ingoiato dall’enorme Pescecane, e chissà se ne uscirò mai… Ad oggi mi ritrovo rinchiuso in un misterioso maniero in mezzo ad un grande lago,
dicono si chiami Garda!
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▶ Più d’uno, certamente l’asinello, Pinocchio e il
grillo, inteso come coscienza collettiva.
▶ Ho incontrato un grillo: l’artista Salvatore Falci.
▶ Il nostro ego.
▶ Ad un punto del cammino della mia vita, mi
sono trovata nel mondo dell’arte. Il mio fare, il mio
raccontare di sempre ha preso questa connotazione.
Ho iniziato producendo sculture che, ad ora,
interpretano una visione del rapporto donna/uomo/
natura. Con l’attenzione alla fruibilità dell’opera.
Nella mia ricerca di questi ultimi anni ho approfondito
inoltre la conoscenza della fondamentale opera di
Joseph Beuys, un incontro che mi ha permesso di
far confluire nel mio lavoro la mia genitorialità e
la ricerca del ruolo sociale dell’arte. È così iniziato
un percorso di arte relazionale. Si è realizzato il
progetto Cometumivuoi, condiviso con le donne
di un’associazione d’ambito sociale, Rebirth,
facendo rete con le donne di più associazioni e
Lanostrapelleèlanostrabandiera, realizzato
con un gruppo di mamme. Sono in
lavorazione anche progetti di
arte pubblica dall’autorialità
condivisa con donne di
diverse comunità.
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NOME
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Brescia
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▶ In fondo credo possa essere lo stesso Pinocchio per le sue dichiarate
contraddizioni, mi riferisco al primo Pinocchio, quello che ancora guarda il mondo
dalla serratura del pezzo di legno e che lo vive.
▶ Sì, e come il grillo e la bambina dai capelli turchini tanti altri caratteri, da
Lucignolo al gatto e la volpe e anche il buon Geppetto, un saggio uomo – buono e
semplice – che mi ha aiutata a crescere.
▶ Uno schermo, in tutti i formati possibili e immaginabili che la tecnologia ci
mette a disposizione.
▶ L’incontro con le gallerie ha segnato l’ingresso nel mondo dell’arte
(Pianissimo contemporary art, Milano; Fabio Paris Art Gallery, Brescia e 41 Arte
contemporanea, Torino); di quel periodo il progetto Il bosco delle fiabe (1999) ha
definito il mio marchio stilistico e il punto di partenza per passare dal collage
digitale al disegno e successivamente al video d’animazione. Noli me tangere
(2007) è il primo lavoro nel quale stratifico il disegno alla ripresa filmica di
una figura che si muove in un limbo bianco: un luogo senza coordinate spaziotemporali che contestualizzo con i miei segni. Viene selezionato per il Premio
Gallarate, entrando a far parte delle collezioni del MAGA, ed esposto presso
lo spazio l’Ozio di Amsterdam nel 2009. Da Noli me tangere nascono Io dico che
ci posso provare (MART di Rovereto), Pregnant silence e Muovo sonnambula al
mondo, che partecipano a vari Festival in Italia e all’estero e alle Biennali di
video-fotografia di Brescia e Alessandria. Nel 2009 è lo scambio culturale con
Art Centre della Silpakorn University di Bangkok e nel 2010 la collaborazione al
progetto Arte e Luogo di Salvatore Falci in Africa. Recentemente due lavori sono
entrati nella collezione della Fondazione Boccaccio di Certaldo (Fi) e del MAC
di Lissone, inaugurando una nuova stagione orientata a riflettere sul concetto
di relazione con l’altro, tra auto-rappresentazione e ricerca dell’alter-ego.
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▶ Io penso a Mangiafuoco burbero cinico, ma che deve tirare
avanti la baracca e soprattutto sa commuoversi.
▶ Ho avuto e ho ancora una mamma bella come la Fata
turchina e rompiscatole come un Grillo parlante.
▶ Il mio Paese dei balocchi è senz’altro Parigi con i suoi
atelier di artisti che ormai non ci son più, ma che io
rincontro ogni volta e con i quali dialogo come in un sogno.
▶ L’incontro con il mio maestro Andrea Pardini è stato
l’evento professionale più importante nella mia vita artistica.
Da lui è partito tutto. Da lui che era insieme Geppetto,
Mangiafuoco e soprattutto il Mastrociliegia che regala il
ciocco di legno per far tutte le sculture che ho prodotto da
allora.
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▶ Penso principalmente al buon Geppetto, artigiano del legno e laborioso creatore. Magari
con un pizzico di Lucignolo, convinto e indomito resistente all’ingresso nel mondo dei “grandi”.
▶ Ho incontrato un grillo parlante di cui sento ancora, in lontananza, la voce. Ma ho anche
incontrato una fatina semplice e buona che mi ha salvato.
▶ Per anni, nel nostro Paese, è stata la televisione. Per me ora, parzialmente, anche
internet e i social network.
▶ La frequentazione del Teatro dell’Acqua di Cesare Lievi ha dato il via al mio percorso nel
teatro, che si è andato precisando nel ruolo di “disegnatore luci” grazie all’incontro con Gigi
Saccomandi.
A seguire, fondamentale è stato l’incontro con il CSS di Udine che mi ha voluto per tante
produzioni e che mi ha consentito di frequentare i più grandi teatri e festival in Italia e
all’estero e di incontrare molti artisti.
Importanti sono stati anche il lavoro con Compagnia Lyria e la fondazione del gruppo di
ricerca Equilibri Avanzati, per lo sviluppo delle contaminazioni fra teatrale, visivo e musicale,
e l’incontro con Michela Lucenti e il Balletto Civile.
Un evento che ha aperto i miei orizzonti è stato Elementi di luce (1999), un percorso di
installazioni luminose per il Parco del Mincio.
Per la prima volta ho sperimentato
l’unione fra le mie conoscenze sulla
luce e l’arte visiva in relazione
all’elemento naturale. Da allora
ho sviluppato un percorso molto
artigianale che mi ha portato a
realizzare installazioni in vari contesti:
da Luci d’Ancona (2005) a Re-lighting the City
a Brescia, da Orizzonte_Futuro a Catanzaro al
Contemporary Lighting Context di Como, dalle
installazioni per il Giardino Botanico Heller
e per i Notturni Dannunziani al Vittoriale di
Gardone Riviera alle installazioni per vari
eventi aziendali. Recentemente lo studio
della relazione con il suono e il video mi ha
portato alle installazioni più performative:
Ergon, opera per suono, luce, umanità per il
Festival Fabbrica di Brescia (2010) e Let
there be light (2012), spettacolo di suoni,
luci e video nella centrale idroelettrica
CEIS in Trentino.
▶ Lucignolo, per la sua insistenza persuasiva che porta gli ingenui bambini – Pinocchio compreso (oltre a sé stesso!)
– alla perdizione.
▶ Sì certo, di Bambine Turchine ne ho incontrate tante mentre di Grilli Parlanti un po’ meno. Ho spesso cercato di evitarli.
▶ Il mio studio e la mia casa, che per tanto tempo sono stati una cosa sola.
▶ Gli spostamenti, i viaggi, le persone incontrate, le mostre ben allestite, le temporanee sconfitte, i risultati ottenuti.
Le prime esperienze legate al mondo dell’arte, inteso come confronto col pubblico in un contesto espositivo, sono
avvenute in Arte Fiera a Bologna, dal 1992 per quattro anni. Ci si univa per formare una sorta di gruppo/collettivo di
artisti ceramisti, esponendo, oltre che in fiera, anche in altre strutture private e pubbliche. Ma ciò che mi ha dato di
più sono stati i viaggi e il lavoro in altre nazioni, in altri continenti, lavorando a contatto con persone di altre culture e
con altri ritmi. Dopo Faenza, studiando e lavorando ho fatto mia la tecnica ceramica, ho avuto il mio studio a Buenos
Aires, a Milano, a Brescia e ho lavorato in studi temporanei a New York, a Londra, a Seoul, a Kyoto, a Ahmedabad e a
Tallin, appoggiandomi a strutture universitarie o a spazi privati di amici e colleghi ceramisti. Ho partecipato a concorsi
internazionali, dei quali il contesto artistico della ceramica è ben fornito; dall’Australia all’Egitto, dalla Corea alla
Spagna, dalla Nuova Zelanda alla Francia. Spesso, oltre che rappresentare
un’importante occasione per esporre il proprio lavoro, i concorsi
sono anche un ottimo canale per incontri professionali che sfociano
in vere e proprie collaborazioni e amicizie durature. Mi piace il
confronto con il pubblico, che trovo necessario e imprescindibile.
Ma ciò che più mi affascina e appaga è vedere un’opera finita
che abbia la forza che speravo avesse.
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▶ Eeeehhhh… che domanda difficile!… non saprei proprio, a volte potrei essere
Pinocchio, a volte Lucignolo o il Grillo… a volte Geppetto, Mangiafuoco… e
perché no? Qualche volta anche la Fata turchina.
▶ Anche qui non saprei bene cosa rispondere… ma pensandoci un po’, a volte,
qualche amico può essere stato un po’ il Grillo di Pinocchio… ma non riesco a
trovare molta identificazione con questi personaggi.
▶ So che è un luogo comune, ma credo che il Paese dei balocchi sia L’Italia
per i nostri politici, cioè un luogo per gente somara e spesso inadeguata al
ruolo istituzionale. Peccato, che come nella fiaba, non diventino poi veramente
ciuchini da mandare a fare quel che meriterebbero: gli asini da soma.
▶ Penso che ogni cosa, persona, incontro, mostra, evento, nel bene o nel male, contribuisca
ad apportare qualcosa nel nostro percorso esistenziale e professionale. Tra le cose
più significative ricordo l’essere stato assistente nei primi anni ’90 dello scultore e
amico Giuseppe Bergomi, la vincita nel 1993 del Premio San Carlo Borromeo alla
Permanente a Milano, le mostre e le collaborazioni con la Galleria Antologia di
Monza e con Il Polittico di Roma dalla fine degli anni ’90 in poi. Ma anche l’incontro
con Aldo Busi e le copertine di alcuni suoi libri con le immagini delle mie opere,
oltre alla mostra da lui curata alla Galleria Poggiali e Forconi nel 2002.
Determinante è stata anche la conoscenza del critico Alessandro
Riva e di Italian Factory, che mi hanno coinvolto in mostre
importanti: alla Biennale di Venezia e al Parlamento Europeo di
Strasburgo nel 2003, al PAC di Milano nella mostra Sui generis e ai
Musei di Arte Contemporanea di Shangay e Taipei con Italiana.
Ma l’elenco è veramente lungo: la vincita della Biennale di Alessandria in Egitto nel 2005, la
partecipazione alla mostra Arte e omosessualità, curata da Vittorio Sgarbi nel 2007 a Firenze, la
partecipazione al Padiglione Italia all’Arsenale per la Biennale di Venezia e al Festival dei 2Mondi a
Spoleto nel 2011. Incarico stimolante è stato inoltre realizzare le due statue di San Bartolomeo e
Sant’Andrea per la Cattedrale di Noto nel 2013 e curiosa la commissione del ritratto ad altezza
naturale del calciatore Mario Balotelli. Decisamente gratificante è stato infine vedere i miei
busti Black soul e White soul, presentati da Francesco Buranelli ed esposti all’Ambasciata
di Spagna presso la Santa Sede a Roma, a confronto con le opere di Gian Lorenzo Bernini:
Anima beata e Anima dannata.
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▶ Faccio fatica ad identificarmi con le figure immaginarie di Le avventure di Pinocchio… le
sento tutte piuttosto lontane dalla mia personalità. Forse l’unico che un po’ mi assomiglia
è il Grillo (s)parlante: piccoletto, osservatore e che non ha mai paura di esprimere la
propria opinione (anche a costo di irritare e di venire spiaccicato sul muro).
▶ Di “grilli” ne ho incontrati alcuni; ma purtroppo questi personaggi, quasi sempre, del
grillo avevano la saccenza ma non la saggezza… Invece di fate turchine ne ho incontrate
varie: donne misteriose, affascinanti, spesso con un lato materno, che hanno saputo
incantarmi e colpire il mio immaginario. Le ricordo tutte con affetto.
▶ Il mio studio e la mia casa, strapieni delle cose che amo e delle mie collezioni (tra
cui proprio i giocattoli antichi). Posso passare ore a trafficare e a divertirmi… ▶ Ho iniziato ad esporre verso metà degli anni ’90 con il gallerista Guido Carbone; fu il
primo a voler dare una “chance” alle mie sculture. Oggi Guido non c’è più, ma ancora gliene
sono grato. La prima mostra che ricordo come tappa significativa – anche perché allestita in
uno spazio “istituzionale” importante – è stata Sui generis - La ridefinizione del genere nella nuova
arte Italiana (2000) al PAC di Milano; la mostra era curata da Alessandro Riva.
Poi ho amato La scultura colorata – Il colore del vero: una piccola e raffinata mostra al Museo
della Permanente di Milano, nella quale ero affiancato a veri miti della scultura, storica e
contemporanea.
Nel 2002 Masterpieces – L’artista artigiano tra Picasso e Sottsass curata dal geniale Enzo Biffi Gentili,
nella bella cornice Torinese di Palazzo Bricherasio.
Sempre a Torino, alla Palazzina di Caccia di Stupinigi, la vasta ed intrigante esposizione Il male – Esercizi
di pittura crudele a cura di Vittorio Sgarbi (2005).
Poi Céramique fiction (2006) al Musée de la Céramique, Musée des Beaux Arts di Rouen.
Nel 2007 la mitica Vade retro – Arte e omosessualità – Da Von Gloeden a Pierre et Gilles ha regalato
alla mia scultura Miss Kitty un’imprevista notorietà a causa di scandalose censure. Infine nel
2011 ricordo Decadence Now! – Visions of Excess alla Galerie Rudolfinum, Museum of
Decorative Arts, Prague, a cura di Otto M. Urban.
Tra le mostre personali ne scelgo tre: Il corpo e l’anima alla Fondazione
Bandera, Palazzo Bandera, Busto Arsizio (2005); la mostra alla River Gallery
di Bratislava, (2011); Magnifiche ossessioni a cura di Armando Audoli, alla
Bottega di San Luca - Benappi, Torino (2012).
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Finito di stampare nel maggio 2014 da Colorart, Rodengo Saiano (Bs)