L`(ex) ultima Thule del calcio si chiama Islanda
Transcript
L`(ex) ultima Thule del calcio si chiama Islanda
L’(ex) ultima Thule del calcio si chiama Islanda di Francesco Cositore, 09 Marzo 2015 Talmente lontana da essere appena conoscibile e, proprio per questo, almeno in teoria potenzialmente misterioso e quindi affascinante. Uno slogan sicuramente trito e ritrito, letto e riletto sui cataloghi disponibili presso qualunque agenzia di viaggio per pubblicizzare l’Islanda, una meta insolita ed esotica al punto tale che molti l’avrebbero identificata con quella misteriosa “ultima Thule” di cui tanto discutevano i dotti dell’antichità greca e latina. Se l’identificazione sia corretta nessuno lo sa, ma almeno possiamo dire che, passando da una prospettiva puramente geografica ad una più prosaicamente calcistica, per certi aspetti può essere anche ritenuta giusta. In effetti, oggi, del movimento calcistico locale, nessuno sa poi molto. E lo dico con grande rammarico, perché gli ultimi anni hanno visto questa piccola ma tenace nazione nordeuropea crescere in modo esponenziale, nell’economia come nello sport (ed è l’ultimo punto che ci interessa). Insomma, l’Islanda ce la sta mettendo tutta per non essere più considerata l’ultima Thule d’Europa, ma in Italia questi sforzi non sono mai stati seriamente apprezzati. E sono sicuro che, dopo questo articolo, tu che avrai letto sarai d’accordo con me. Scommettiamo? Per dimostrarlo, parto dall’unica cosa che del calcio islandese si sa nel nostro paese: lo Stjarnan. Si tratta di una squadra che si è fatta conoscere innanzitutto per essere stata la sfidante dell’Inter nello scorso mese di agosto ai play-off di Europa League, e poi per le sue simpaticissime esultanze ad ogni gol celeberrime ovunque grazie al web. E basta. Non si sa che è una squadra che lo scorso 4 ottobre si è laureata per la prima volta Campione d’Islanda al 93° minuto dell’ultima giornata di campionato, così come non si sa, per fare un esempio, che la Nazionale islandese è in piena lotta per qualificarsi a Euro 2016. Non dico che lo si dovrebbe conoscere alla perfezione, ma ritengo che un vero intenditore di calcio dovrebbe ampliare i propri orizzonte, e non limitarsi ai soliti cinque campionati e alla Champions League. Il fatto che la nostra cultura calcistica (?) ci porti a snobbare i presunti tornei minori non è una giustificazione: è una millantata superiorità che in Italia nemmeno ci possiamo più permettere. Vado ad argomentare: oggi c’è un diffuso consenso sull’idea che il football del Belpaese sia in una profonda crisi. Dall’altra parte, invece, non c’è alcun accordo sulle misure da varare per uscire dal tunnel. Il calcio, senza voler esagerare, è il limpido specchio della situazione economica italiana. Sappiate che la stessa situazione l’ha vissuta proprio l’Islanda qualche anno fa. Nel 2008, duramente colpita dalla crisi economica e nel pieno di frustranti e vani tentativi di emergere nel mondo del calcio, l’Islanda ha praticamente toccato il fondo con il più imponente flusso di emigrazione dal 1887 e, parallelamente, un movimento calcistico allo sbando. Da quel momento è iniziata una lenta risalita, ormai completa per quanto riguarda l’economia. E per il campionato di calcio? Le cose hanno continuato ad avere un andamento incerto, fino al trimestre aprile-giugno 2012, quando la FIFA sembrava avere spento per sempre le speranze della piccola isola nordatlantica: 131° posto nel ranking, peggior risultato storico. Appena tre anni fa, insomma, non c’era praticamente alcuna luce in fondo al tunnel. La federazione locale era ormai già da cinque anni nelle mani di Geir Þorsteinsson, eletto e persino riconfermato sulla base di un lungimirante programma che parlava proprio di crescita e buoni risultati, mentre la nazionale aveva appena visto accomodarsi in panchina uno svedese semi-sconosciuto, tale Lars Lagerbäck, ottenuto dopo una contesa con la federazione gallese e proveniente da un mondiale sudafricano disputato con la Nigeria in modo non proprio eccellente. Le premesse, insomma, non erano affatto buone. Eppure, quel posto infame nel ranking FIFA deve aver risvegliato l’orgoglio sepolto sotto la neve. La riscossa dell’Islanda inizia qui, inizia nell’estate 2012. Fallito l’approdo a Euro 2012, il prossimo obiettivo per la nazionale islandese sarebbe l’approdo al mondiale brasiliano, nel 2014. Impossibile. Eppure, come api operaie, negli anni precedenti i club del paese hanno eseguito gli ordini dell’ape regina (la federazione), sfornando una generazione di talenti già in giro per l’Europa. Lagerbäck dà loro la disciplina, le squadre del campionato fanno un patto per onorare le coppe europee. 7 settembre 2012: prima gara del girone E per le qualificazioni delle squadre europee all’ambito torneo sudamericano. Islanda-Norvegia 2-0. Un mese dopo, a Tirana, Albania-Islanda 1-2. Poi, dopo lo scivolone interno con la Svizzera, la vittoria di Lubiana per 2-1. Nel frattempo, in patria, l’FH Hafnarfjörður aveva ormai vinto il sesto titolo della sua storia dopo un dominio imbarazzante. Quindi, ancora la nazionale, che crolla a Reykjavik per 4-2 contro la Slovenia, nella gara di ritorno. Siamo arrivati a luglio 2013, un anno dopo l’onta: l’Islanda presenta quattro squadre ai nastri di partenza nelle coppe europee. In Champions League, l’FH Hafnarfjörður; in Europa League, Breiðablik, ÍBV Vestmannaeyjar e KR Reykjavík. L’FH retrocede nella competizione inferiore dopo un percorso breve ma onorevole; arriverà fino ai play-off di quell’Europa League, prima squadra nella storia del calcio islandese ad arrivare così lontano. Poi, purtroppo, perderà 7-2 col Genk tra andata e ritorno, ma il risultato è menzognero perché nasconde l’equilibrio che durò per 160 dei 180 minuti di gioco totali. Il seme della convinzione nei propri mezzi era stato gettato. Il 6 settembre, poche settimane dopo, la palla ritorna alla nazionale: partita in casa della Svizzera capolista del girone, ma il risultato a mezz’ora dalla fine è di 4-1 in favore degli elvetici. Il risultato finale sarà un clamoroso 4-4, con una super-rimonta degli uomini di Lagerbäck. Qui comincia la favola del calcio islandese, ancora in corso. Ma in Italia questa impresa storica (che quegli azzu rri di Prandelli mai sarebbero stati capaci di fare) non è degna di essere nemmeno menzionata sui principali siti d’informazione. L’avventura magica comunque si conclude a novembre: spareggio con la Croazia, chi vince va ai mondiali. Mai il calcio islandese è andato così vicino a questo risultato. L’epilogo sarà molto triste: 0-0 in casa e sconfitta per 2-0 a Zagabria, in una serata contornata dai canti filonazisti di parte della tifoseria croata, orchestrata dall’indegno Josip Šimunić, che verrà punito con una dura squalifica dalla FIFA. La storia del 2014 un po’ ve l’ho riassunta: cavalcata eccezionale dello Stjarnan in Europa League, dove verrà fermato dall’Inter ancora ai play-off, e anche in campionato, che vincerà da imbattuto. La storia dell’Úrvalsdeild 2014, però, meriterebbe un articolo a parte. Intanto, la nazionale islandese abbraccia l’arrivo di Heimir Hallgrímsson, che affianca in panchina lo svedese. Risultati? Islanda-Turchia 3-0, Islanda-Olanda 2-0, per fare solo alcuni esempi. L’Islanda è al secondo posto del suo girone, valido per la qualificazione agli Europei 2016, che sarebbero un traguardo storico. La favola continua, la nazione di cui tutti ridevano ad ottobre 2014 ha raggiunto il 28° posto nel ranking FIFA, posizione più alta mai toccata. Crollata, umiliata e poi splendidamente rialzata in meno di tre anni. Cosa ha da dire l’Italia dei cori razzisti, dei progetti mai realizzati, delle squadre che falliscono a campionato in corso? Riderà, riderà ancora del modesto calcio islandese, di quella modesta nazionale islandese che il 18 agosto 2004 inflisse agli azzurri di Marcello Lippi una bella lezione in amichevole. Ma, tanto per non cambiare, l’Italia da quella lezione non ha imparato assolutamente niente.