Quarto Numero
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Numero #4 Bimestrale - Maggio 2015 MAGAZINE TEAM Direttore Responsabile: Massa Federico Art Director: Alex Perucci Capo Redazione: Giovanna Di Martino Redattori: Edoardo Massa, Elvio Degli Agli, Emanuela Piacente, Sergio Roca JOBOK.EU/USER/GIOVANNA “Quindici uomini sulla cassa del morto, yo-ho-ho, e una bottiglia di rum!” Ricordo ancora quando lessi per la prima volta quella che forse è la più celebre espressione presente nell’Isola del tesoro di Stevenson; fu il mio primo incontro significativo con l’affascinante mondo dei pirati. A onor del vero, il primo in assoluto fu all’età di dieci anni, quando la maestra ci costrinse a leggere per intero Capitani coraggiosi durante le brevi vacanze di Pasqua… motivo per cui non ho memoria alcuna di questa lettura! REDAZIONE Via Cusino, N°10 - 00166 Roma Tel. 06/92936388 Il meraviglioso e fantastico mondo dei pirati ha goduto di notevole fortuna, prima letteraria, poi DISTRIBUZIONE: Concept di Federico Massa Tel. 06/92936388 email: [email protected] P.I. 11801251007 ad aver replicato oggi una simile fortuna e un successo iconografico (merito per lo più del suo PUBBLICITÀ: [email protected] Mi ricordo ancora quell’orizzonte ampio e senza punti di riferimento, in cui solo il sole faceva da limite all’infinito. In quel momento capii che ciò che conta di fronte a tanta libertà del mare non è avere una nave, ma un posto dove andare, un porto, un sogno, che valga tutta quell’acqua da attraversare. ALESSANDRO D’AVENIA televisiva e cinematografica: dalle pagine di Emilio Salgari a quelle di Stevenson, dal Sandokan di Kabir Bedi, indelebile nella memoria di milioni di telespettatori a Jack Sparrow, l’unica figura interprete Johnny Depp) tali da aver riportato in voga il “piratesco”. La domanda fondamentale è: che cosa c’entrano il piratesco e i pirati con la radio? E con i computer? Avete presente quello splendido film che è I love radio rock? (se così non fosse, ve lo consiglio caldamente).È un film che a suo modo parla di pirati, non quelli classici ma di coloro che amavano così follemente la musica rock, la nuova musica della rivoluzione giovanile, eversiva, scatenata, sensuale, tanto da trasferirsi per mesi su delle navi in mezzo al mare per poterla trasmettere. È il fenomeno delle radio pirata così come ce lo racconta questo bel film, che parla di voglia di libertà, della conduzione di uno stile di vita assolutamente contrario alle regole sociali dell’epoca degli anni Sessanta, della trasgressione all’ordine imposto dall’autorità politica, dalla morale e dall’educazione data dai genitori. E chi erano i pirati, se non degli uomini che sfidavano l’assetto sociale, istituzionale e civile del mondo, alla ricerca di avventura, voglia di conoscenza e libertà assoluta? Un mondo al contrario, con un sistema di valori per così dire rovesciato, forse più conforme alla vera natura umana, senza condizionamenti e convenzioni. Certo questa è la visione romantica, tramandataci dall’arte, che per sua natura rilegge e reinterpreta la realtà a modo suo, e a noi piace abbracciare queste interpretazioni e le molteplici suggestioni che l’idea della trasgressione, che abbiamo individuato come il valore principale del mondo piratesco, ci suggerisce. I pirati, eroi di questo numero, non esistono più...o sì? Può essere un liutaio che alacremente e instancabilmente come una formica operosa, passa le giornate tra legni, scalpelli e vernici per portare avanti la sua attività artigianale; può essere un appassionato dietro lo schermo di un computer che lotta una battaglia anonima ed invisibile. Può essere la scelta di vivere se stessi e grazie a questa potremmo, in fondo, essere tutti un po’ pirati, un po’ eroi. Giovanna Di Martino Il marchio JobOk è un marchio registrato, tutti i diritti sono riservati. JobOk Magazine 3 FOCUS - DALLE RADIO PIRATA ALLE RADIO PRIVATE -Pag. 8- INTERVISTA A SAVERIO PALOMBO -Pag. 14- PIRATI AL CINEMA -Pag. 34- L’EVOLUZIONE DEL PIRATE METAL -Pag. 39Federico Massa Alex Perucci Giovanna Di Martino Elvio Degli Agli GUEST TREND ALLERT -Pag. 45- 4 JobOK Magazine CUCINA -Pag. 47- GUEST Sergio Roca TU!!! FOCUS Gli eroi dietro lo schermo EDITORIALE 7 REFERENZIALE Broadcasting listener un hobby demodé? 8 Dalle radio pirata alle radio private HACKERS 3 14 20 ARTIGIANATO Il mestiere di liutaio l’artigianato tra arte e scienza 23 RACCONTO NICO di Luca Mannurita CINEMA 34 Dalla letteratura al cinema l’avventuroso universo dei pirati TREND ALLERT 39 MUSICA 45 La moda “Piratesca” L’evoluzione del pirate metal, dai Running Wild e Calico Jack 47 CUCINA Antipasto di Sarago Book Review 49 l’isola del Tesoro IN REGALO 3 e-book 1 wallpaper Pag. 21 Pag. 31 JobOK Magazine 5 Ero bambino ed erano i primi anni '70. Nel salotto c'era un consentiva di apprendere più agevolmente, le lingue. Bastava bellissima, sintonizzarsi su quelle stazioni che trasmettevano nell'idioma mastodontica, radio a valvole. Era di mio padre, acquistata, con di mio interesse e cercare di comprenderne significato e i suoi primi tre stipendi, all'inizio del 1940. pronuncia. A volte sfruttavo anche, direttamente, i corsi di Questo apparecchio aveva per me un fascino particolare lingua preparati dalle stazioni estere che usavano regalare i libri perché, girando le varie manopole definite “banda” e “sintonia”, di testo. La radio, poi, era quasi l'unico, insostituibile, veicolo di si riuscivano ad ascoltare tante emittenti. Erano rado differenti diffusione delle culture musicale dei paesi in via di sviluppo. I dalla RAI (che rammento è stata monopolista dell'etere ritmi Sud Americani, quelli andini o ancora quelli tribali nazionale fino al 1975). Ascoltavo lingue a me ignote e dell'Africa o delle isole della Polinesia potevano essere diffondevano musiche, a volte, molto diverse da quelle che si conosciuti, a quei tempi, solo grazie all'ascolto delle radio sulle potevano sentire, abitualmente, dall'emittente nazionale. onde corte. Non ne avevo coscienza ma stavo per diventare un Oggi con l'avvento di internet e l'uso dei satelliti l'ascolto della Broadcasting listner: un ascoltatore di stazioni broadcast (di radio, per la ricezione delle comunicazioni provenienti da radiodiffusione). L'attività consiste (va) nell'uso della radio sulle “oltremare”, è quasi scomparso. Allo stesso modo sono cessate gamme delle “Onde Corte” che sono delle frequenze radio in gran parte delle trasmissioni cui ho accennato. grado di superare, agevolmente, i confini nazionali ed L'attuale “finestra sul mondo” è internet. Una finestra molto più intercontinentali senza l'ausilio di satelliti o del web il cui uso ricca ed interattiva di quella cui ho parlato io, tuttavia, all'epoca, risale ai primi anni '20 dello scorso secolo. ascoltare, in diretta, da l'Avana, un discorso di Fidel Castro o Mio padre, ma ancor di più mio nonno, mi raccontava delle cose vivere la caduta del muro di Berlino grazie alla telecronaca di un fantastiche su quella radio, mi narrava di aver ascoltato, non cittadino della D.D.R. era una enorme conquista culturale e di senza apprensione, la dichiarazione di guerra pronunciata da libertà. Era un mondo senza frontiere! Il mondo della Mussolini, il 10 giugno 1940, e che, con lo stesso radioricevitore, radiodiffusione! durante il conflitto, era uso sintonizzarsi (di nascosto, in quanto Termino con un invito ai lettori più curiosi. Provate a digitare, su vietato dalla legge) sulla frequenza di Radio Londra (la BBC) che un motore di ricerca internet, le parole IRIB oppure TRT o trasmetteva dei programmi in lingua italiana e che aveva come ancora, più semplicemente, cercate: “stazioni radio in lingua speaker il “mitico” Colonnello Harold Stevens di cui, la moderna italiana”. generazione, può aver letto sui libri di storia. informazione, musica, cultura, non mediata dalla nostra Avrò avuto 16 anni quando compresi le reali potenzialità del “cultura” nazionale, possa essere reperita, a livello mondiale, “mezzo tecnologico” messomi a disposizione, in salotto, da mio usando la buona, bella, vecchia, radio. televisore bianco e nero ed anche una Sarà un primo passo per scoprire quanta padre. Documentandomi sulle riviste di elettronica scoprii gli orari e le Sergio Roca frequenze di trasmissione di oltre 30 stazioni che avevano dei programmi in lingua italiana. Una svolta epocale! Mi potevo sintonizzare sulla già citata, britannica, BBC ma anche sulla NHK di Tokio. Avevo accesso alla statunitense Voice of America (dove aveva mosso i primi passi un presentatore di nome Mike Buongiorno), ma ancora a Radio Cairo in Egitto. Non mancavano trasmissioni provenienti dal Sud America, come quelle diffuse dalla R.A.E. (Radio Argentina al Exterior) o dal Cile. Le stazioni provenienti dall'Est Europa, quelle del “blocco sovietico”, poi, erano tantissime. Tutte erano orientate a divulgare l'ideologia comunista. Si ascoltava, perciò, Radio Mosca, Radio Praga, Radio Tirana, Radio Varsavia, Radio Berlino International per terminare con Radio Pechino. Che emozione entrare in contatto “diretto”, quasi “fisico” con tante diversi modi di percepire la realtà che mi circondava. Era un epoca in cui la televisione ancora non era un fenomeno “globale” e internet era molto al di là da venire! Da quel momento, credo, di non ho mai più smesso di ascoltare le radio “estere”. Col tempo, anzi, ho accresciuto e focalizzato meglio i miei interessi. Oltre alle trasmissioni in lingua italiana, infatti, cominciai ad apprezzare il fatto che il “mezzo” mi JobOK Magazine 7 Accendere la radio e sintonizzarsi su una delle tante emittenti radio private è oggi un comportamento usuale, condiviso da milioni di radioascoltatori in tutta Europa. L’offerta musicale e culturale è così ampia da poter soddisfare tutte le esigenze del pubblico indipendentemente dall’età, dal sesso, dall’ideologia politica e dal credo religioso. Nel vecchio continente, tuttavia, questa è una conquista abbastanza recente di cui, molti, ignorano le origini. Cominciamo dagli albori della radiofonia. Siamo nel 1920 e dopo l’invenzione della valvola termoionica si riescono a diffondere nell’etere i primi segnali sonori e musicali. Subito il nuovo mezzo di comunicazione trova l’interesse di gruppi editoriali, industriali e governativi. I primi, nella speranza di trarre profitto dalla vendita di spazi pubblicitari, i secondi per costruire e vendere apparati radio, mentre gli ultimi per cercare di diffondere, capillarmente, massivamente e a basso costo, le ideologie dominanti. Il mondo industrializzato (America ed Europa) si divise, 8 JobOK Magazine principalmente, in due “filosofie” di accesso al nuovo mezzo di comunicazione. In tutto il continente americano (sulla spinta dell’industria U.S.A.) si affermò il principio che era l’economia di mercato, pubblicità ed interessi dell’industria, a dover prevalere. Nacquero centinaia di stazioni radio, quasi tutte sulla spinta dell’iniziativa privata. In Europa, ove il controllo delle masse era, invece, l’interesse più importante sorsero, quasi esclusivamente, radio di stato sotto il ferreo controllo dei rispettivi governi. Non dimentichiamoci che l‘Europa era un continente in cui prevalevano stati monarchici e che, terminata la Prima Guerra Mondiale, si era in procinto di conoscere il volto oppressivo delle nascenti dittature: il Comunismo in URSS, il Fascismo in Italia e, successivamente, il Nazismo in Germania. In controtendenza la Spagna, dove, ha convissuto, anche durante il regime franchista, un sistema misto (ovviamente molto controllato). Dopo la Seconda Guerra Mondiale la situazione non mutò in modo sostanziale. Se le truppe di occupazione americane portarono, al seguito, alcune stazioni radio destinate alle truppe, i governi nazionali, sia dei paesi vincitori che quelli usciti perdenti dal conflitto, preferirono mantenere il diretto controllo della radiofonia. Nel 1958, nel mare del Nord, con l’ipotetico bacino di utenza dei paesi scandinavi, nacque Radio Mercur. Si tratta, probabilmente, della prima radio “pirata” della storia ed aveva l’obiettivo di attrarre introiti pubblicitari dalla Danimarca e dalla Svezia . Queste emittenti vennero definite “pirata” (e non private) perché operavano su delle navi ancorate in acque internazionali prospicienti le nazioni cui le trasmissioni erano dirette. L’escamotage giuridico, trovato per poter trasmettere, era semplice quanto geniale. Una imbarcazione, in mare aperto, è assoggettata alle leggi nazionali del paese in cui risulta registrata (ad es. Panama) per cui se lo stato “originario” consentiva l’esistenza di stazioni private anche l’installazione e la gestione su di un battello era legittima. Il vero fenomeno “culturale” delle radio pirata si ebbe, però, con la nascita di Radio Veronica. Stazione, off-shore, ancorata nei pressi delle coste olandesi. La programmazione in olandese (successivamente anche in inglese) iniziò nel 1960. La sua vita “corsara” terminò nel 1974 quando divenne una radio privata legalmente riconosciuta. Pochi anni dopo, nel 1964, grazie alla spinta della rivoluzione beat , scaturita dalla musica dei Rolling Stones e dei Beatles (ma di fatto dall’indotto economico che questa “rivoluzione” portava con sé) nacque Radio Caroline, forse la più famosa delle radio pirata d’Europa. Il suo nome si deve a Caroline Kennedy, una delle figlie del presidente americano J.F. Kennedy, da poco assassinato. Radio Caroline orientava le sue trasmissioni all’Inghilterra. Fu osteggiata, con decisione, dal governo di Sua Maestà tant’è che nel 1967 venne emanato il Marine, &c., Broadcasting (Offences) Act JobOK Magazine 9 1967 col quale si rendevano illegali le attività delle stazioni off-shore (causa pretestuose interferenze alle stazioni radio marittime di salvataggio). Con tale legge si rendevano illeciti i commerci con i natanti cui era contestata l’infrazione nonché lavorare su di essi o per essi. Si rendeva, così, difficile, se non impossibile, il rifornimento in mare delle imbarcazioni addette ai servizi di radiodiffusione e si equiparavano le maestranze a comuni delinquenti per poterli perseguire su tutto il Regno Unito. Radio Caroline (che nel frattempo si era dotata di due motonavi ed aveva una rete “Nord” ed una rete “Sud”) subì diversi assalti, da parte delle autorità inglesi, col fine di farne cessare le trasmissioni. Fu proprio a seguito di uno di questi eventi che i vascelli furono spostati in prossimità delle acque olandesi, molto più permissive in merito alle attività di radiodiffusione, dove continuarono a trasmettere fino al 1974. Nel frattempo, però, l’attenzione del pubblico inglese verso tale emittente era molto diminuito in quanto, nel Regno Unito, erano state già liberalizzate le radio commerciali. Il sempre maggior interesse per la pubblicità radiofonica e la crescente richiesta del pubblico giovanile di poter “consumare” la “propria” musica diede origine ad un altro fenomeno: le radio nazionali, con programmi commerciali, rivolte ai paesi confinanti. Radio Luxemburg ne fu capostipite. Attiva già dagli anni ’30 del secolo scorso, riprese a trasmettere programmi di intrattenimento, grazie alla posizione strategica, verso la Francia, il Belgio, l’Olanda e l’Inghilterra meridionale a partire dagli anni ’50. Negli anni ’60 divenne, anche grazie all’espandersi delle radio pirata, l’emittente più ascoltata dal pubblico giovane dell’area francofona. In Italia il monopolio E.I.A.R., divenuta R.A.I. dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, non consentiva la nascita di stazione private. Dal 1932 esisteva Radio Vaticana ma la programmazione non brillava certo per 10 JobOK Magazine modernità. Allo stato di San Marino, invece, a seguito di accordi bilaterali, non era permesso l’installazione di stazioni broadcast. La logica conseguenza era che i nostri nonni o i nostri genitori si dovevano accontentare dei programmi della radio di stato. Sui confini nazionali, tuttavia, premevano alcune emittenti estere come la Radio della Svizzera Italiana (che non realizzava trasmissioni strettamente commerciali) e le più agguerrite Radio Monte Carlo e Radio Koper-Capodistria. Al sud, seppur riscuotendo un interesse marginale, operava Radio Malta. Radio Monte Carlo cominciò a trasmettere per l’Italia nel 1966 fornendo un’offerta full-music e intrattenimento. La pubblicità era gestita dalla stessa società che si occupava di acquisirla per la R.A.I. . I “maligni” asserivano che essa dirottava le reclàmes non ammesse in Italia, come ad esempio le sigarette, verso quella stazione che non doveva sottostare a tale vincolo. All’inizio i segnali potevano essere captati solo fino alla Toscana ma, dal 1972, un nuovo è più potente trasmettitore riusciva a garantire la ricezione in tutto il nord Italia e su tutta la costa Tirrenica. Sull’altro versante dello stivale imperversava Radio Capodistria, emittente regionale Slovena in lingua italiana, dell’allora Jugoslavia. Radio Koper, diffondeva programmi di intrattenimento musicali e non, usufruendo, anch’essa, dei proventi pubblicitari provenienti dai prodotti non reclamizzabili in Italia o i cui consumatori erano prevalentemente giovani. Il principale e forse unico esperimento di radio “pirata” in Italia si deve all’Ing. Giorgio Rosa che, al di fuori delle acque internazionali italiane, nei pressi di Rimini, costruì una piattaforma marina che nel 1968 venne proclamato, addirittura, stato indipendente. La Esperanta Respubliko de la Insulo de la Rozoj aveva governo, moneta e francobolli propri e, seppur la cosa sia controversa, sembra, abbia effettuato delle estemporanee emissioni radio. La piattaforma, dopo poche settimane, venne assaltata dalla marina italiana che ne curò anche l’affondamento. Similmente, nel 1970, un radioamatore, Danilo Dolci, per protestare contro l’incuria del governo italiano nei confronti dei terremotati del Belice, diede vita, barricandosi all’interno di una struttura definita “Centro Studi ed iniziative”, a Radio Libera di Partinico che risultava ricevibile, grazie a delle emissioni anche in onde corte, fino in America. L’esperimento terminò solo 27 ore dopo l’inizio della programmazione con l’arrivo, in tenuta antisommossa, di Carabinieri e Polizia. Il nostro viaggio tra le radio pirata, in Italia, termina con la sentenza della Corte Costituzionale del 9 luglio 1974 con la quale si dichiarava illegittimo il monopolio radiotelevisivo della R.A.I. dando, di fatto, il via alla nascita alla radiodiffusione indipendente. In pochi anni, molte delle migliaia di “piccole antenne radio”, nate sulla spinta di detta sentenza, il cui obiettivo era rivolgersi ad una utenza strettamente locale, si sono estinte. Altre attività produttive, invece, dopo aver affermato e migliorato la loro posizione commerciale, sono riuscite a divenire delle aziende a livello regionale o a creare, anche, dei networks di rango nazionale. Ma questa è un’altra storia. Sergio Roca JobOK Magazine 11 Prima di intervistare Saverio Palombo, sapevo solo che di mestiere faceva il liutaio. Una volta giunta presso la sede da lui indicatami nei pressi della Roma Nord, scopro con meraviglia che è una persona dalle molteplici risorse, impegnato a svolgere ben altre due attività oltre a quella del liutaio, abbracciando la musica in quasi tutte le sue espressioni, dal suonarla in prima persona all’insegnarla agli altri, fino alla costruzione stessa degli strumenti musicali: ciò in cui appunto consiste l’attività di liutaio, attività singolare, un termine che per una profana come me all’inizio risultava sconosciuto e privo di significato. Ma dopo aver conosciuto Saverio non è più così … venite con me alla scoperta di questa attività, ne rimarrete affascinati anche voi! Saverio, prima di tutto puoi spiegare a tutti i nostri lettori qual è il significato della parola liutaio e chi è questa figura, di cosa si occupa? Il termine liutaio indica colui che si occupa della costruzione, riparazione e manutenzione degli strumenti, in particolare quelli a corde (violini, bassi, violoncelli etc …).Personalmente ho scelto di specializzarmi sulle chitarre. Parlami del percorso che ti ha portato a svolgere questa professione e da quanto tempo la svolgi? Pensa che è iniziato tutto con un corso di sole due settimane e ora sono più di sette anni che svolgo questo lavoro. Con quella prima e breve esperienza mi appassionai e decisi di proseguire, approfondendo ulteriormente gli studi e acquisire le necessarie presso un importante negozio di strumenti che possedeva anche una bottega. Allo stesso modo dei cosi detti 14 JOBOK.EU/USER/SAVIGUITARS garzoni di bottega che apprendevano dal maestro le arti plastiche, figurative e artigianali, ho svolto il mio apprendistato per ben tre anni e ho avuto modo di acquisire le necessarie competenze per potermi mettere in proprio; certo molto si può acquisire anche autonomamente ma è sicuramente più difficile e soprattutto si perde molto più tempo. Il confronto con qualcuno che ha più esperienza è più proficuo, perché ti consente di avere uno studio più sistematico e serio. Pertanto, a chiunque voglia intraprendere questa attività consiglio vivamente di scegliere l’insegnamento tradizionale, oltre ad esercitarsi molto per conto proprio. Da dove si inizia per costruire una chitarra? Sì inizia dai pezzi di legno: esistono delle basi già sagomate, dei semi-lavorati o dei blocchi di legno grezzo, di solito preferisco quest’ultimi. Le macchine esistenti oggi, sempre più avanzate, consentono di partire da buoni prototipi iniziali e hanno notevolmente alleggerito il lavoro iniziale di preparazione del materiale per la costruzione della chitarra. Come dicevo, spesso preferisco avvalermi del materiale grezzo e poi lo lavoro per raggiungere lo spessore, la forma e la curvatura giuste. Quanto tempo di lavoro richiede la costruzione artigianale di una chitarra? Rispetto alla produzione seriale in fabbrica, la quale si avvale di un sistema che consente di produrre molti più esemplari nel minor tempo possibile e per farlo si serve di grandi macchinari al servizio della velocizzazione e dell’ottimizzazione dei tempi, io nella mia piccola officina utilizzo alcune macchine, ma lavoro minuziosamente con piccoli ferri del mestiere e procedo alla costruzione di un’esemplare per volta. Pertanto il tempo e la qualità del lavoro sono completamente diversi. Impiego minimo un mese e mezzo, spesso anche due, per realizzare una chitarra, lavorando con costanza giornaliera. Inoltre bisogna tener conto di alcuni tempi obbligati, come, ad esempio, quelli per l’attesa dell’essiccazione della colla o l’asciugatura della vernice. Dipende anche dallo strumento che mi è stato commissionato dal cliente e dal progetto che devo seguire. L’ultimo strumento realizzato quanto tempo ti ha richiesto? Ben tre mesi di lavoro. Però ripeto, il tempo è estremamente variabile in base al progetto, alle richieste dei clienti ed al tipo di strumento che si chiede di realizzare. In verità i tempi possono essere ridotti notevolmente se oltre ad attrezzi tradizionali e manuali, come il pialletto e lo scalpello, si utilizzano anche macchine elettriche come il pantografo, la fresatrice, il trapano ecc. Io utilizzo principalmente gli utensili tradizionali, perché mi occupo per la maggiore di riparazioni e migliorie a strumenti comprati altrove. Hai detto che ti rifai a dei progetti per la costruzione e la riparazione delle chitarre, di cosa si tratta esattamente? Sì uso dei progetti, come quelli che fanno gli architetti prima di realizzare una qualsiasi opera edilizia. Questi riportano tutte le misure precise e le indicazioni da seguire per costruire lo strumento. Il lavoro del liutaio è tanto affascinante proprio perché è il risultato dell’unione di scienza ed arte, ovvero di parametri oggettivi e “scientifici”: da una parte quindi bisogna attenersi a delle regole e applicare le tecniche per ottenere le misure standard che sono necessarie a loro volta per produrre il suono “corretto”, quelle caratteristiche che deve possedere lo strumento per essere “intonato”; dall’altra parte c’è tutto ciò che invece è connesso con l’estetica e il gusto e che lascia un ampio margine di libertà creativa. Tuttavia ci tengo a specificare che c’è anche una terza componente fondamentale oltre alle due che di cui ho appena parlato: l’esperienza! La tecnica non resta invariata, l’esperienza accumulata nel costruire molti strumenti dello stesso tipo mi ha insegnato nel tempo come i progetti stessi siano soggetti a esser modificati in base alle JobOK Magazine 15 caratteristiche specifiche dei mezzi stessi (come la stagionatura del legno) e di numerose variabili che intervengono sulla resa acustica. Le misure da ottenere sono grosso modo simili ma mai perfettamente uguali. Insomma anche nella “scienza” c’è sempre una buona dose di imprevedibilità, ragion per cui due o più strumenti della medesima categoria possono apparire identici anche se in realtà non lo sono mai! Si può dire che il tuo è una sorta di intervento sulla natura, poiché tu lavori su una materia prima naturale come il legno? linea di massima non c’è un limite, la resistenza fisica è soggettiva, dipende da molti fattori, dagli impegni e dalla quantità di lavoro, anche’essa estremamente variabile a seconda dei periodi. Posso lavorare anche otto ore al giorno se si tratta di lavori di riparazione o altri che richiedono meno fatica, oppure dalle quattro alle sei ore se si tratta di lavori piuttosto impegnativi. Ma ripeto che è tutto soggettivo: che si tratti di sei, otto o persino dieci ore al giorno, amo moltissimo questo mestiere, e la grande passione rende più che sopportabile la fatica. Anzi a volte non l’avverto nemmeno! Lavori su commissione giusto? Sì è così, ma è anche più complesso. Per semplificare al massimo posso dire che in questa attività manuale si cerca di raggiungere un equilibrio fra l’elasticità e la robustezza dello strumento, perché deve essere libero di vibrare ed allo stesso tempo deve sopportare la tensione delle corde e non deformarsi. Bisogna adeguarsi alla materia che si ha a disposizione in quel momento, quel particolare pezzo di legno, analizzarlo e poi cercare di lavorarci in modo tale da piegare, intervenire e modificare la materia grezza a seconda del risultato che si vuole ottenere. È davvero meraviglioso passare dal blocco di legno al prodotto finito, vedere la trasformazione del materiale in qualcosa di nuovo alla quale ho dato io una forma con le mie stesse mani. Eppure, da come l’hai descritta fino ad ora, questa sorta di magia nasconde dietro un’enorme lavoro piuttosto faticoso fisicamente. Quante ore al giorno riesci a lavorare? Ci sono delle fasi di lavorazione più semplici ed altre molto più difficili, e quindi anche la fatica fisica varia. In 16 JOBOK.EU/USER/SAVIGUITARS Sì esatto! C’è la possibilità di partire da un progetto esistente e già prestabilito ma nella maggior parte dei casi i clienti si rivolgono a me perché non desiderano seguire pedissequamente il progetto scelto, ma vogliono apporre una serie di modifiche. Il progetto cartaceo iniziale è soltanto uno schema indicativo di partenza, modificabile e modificato a seconda delle richieste particolari dei clienti, che desiderano personalizzare il loro strumento. Stai dicendo che ognuno può scegliere di farsi costruire uno strumento esattamente come lo desidera? Questo riguarda sempre la questione cui ho accennato prima, ovvero l’arte e la scienza, la tecnica e il gusto personale: cerco di accontentare i clienti e le loro richieste nei limiti del possibile, è ovvio che non si può pensare di andar a caso! Le principali richieste che mi vengono fatte riguardano la scelta del legno: le parti che compongono una chitarra non sono quasi mai realizzate con un unico tipo di legno, le essenze sono moltissime e possono esser combinate tra loro, tenendo conto delle proprietà fisico–chimiche dei materiali; la cosa più stimolante è che c’è sempre più sperimentazione, ad esempio esiste addirittura qualcuno che combina il legno con la fibra di carbonio. Le mie esperienze con i committenti sono essenzialmente di due tipi: il musicista che non conosce benissimo le caratteristiche acustiche della chitarra e che privilegia il fattore estetico sceglie il palissandro piuttosto che il mogano, poichè il primo materiale si presta maggiormente ad una miglior resa estetica rispetto al primo, mentre i musicisti più esperti privilegiano la questione dell’acustica e quindi ci sono tipi di legni che enfatizzano le frequenze basse, mentre altri tipi ne enfatizzeranno altre diverse. È raro che un musicista abbia conoscenze specifiche dei materiali, ed è qui che entra in gioco il liutaio, che per esser davvero valido deve possedere molte competenze in ambiti diversi (musicale, chimico-fisico, elettronico e acustico). Hai mai avuto richieste bizzarre o particolari per quanto riguarda l’estetica della chitarra? Pochissime, perché ricordiamoci sempre che la chitarra non è un soprammobile da posizionare in un angolo della casa per esser ammirato nella sua bellezza ma è uno strumento musicale fatto per esser suonato quotidianamente. Certo l’occhio vuole la sua parte ma le problematiche connesse all’uso che ne si fa sono ovviamente prioritarie rispetto ad una questione di mero aspetto estetico! I chitarristi si allenano quasi tutti i giorni e lo strumento è soggetto all’usura e pertanto necessità di molta manutenzione, ed è per questo che mi occupo per lo più di riparazioni. Come sai JobOk promuove l’arte e artigianato in tutte le sue declinazioni. Tu svolgi un’attività artigianale, che ha un suo sapore, come ho detto prima, quasi “magico”, romantico, perché rimanda a qualcosa di antico e qualitativamente pregevole rispetto alla produzione seriale della modernità industriale, che fa invece della convenienza economica il suo punto di forza, spesso a discapito della qualità. Secondo te perché certe attività continuano a sopravvivere? Perché il cliente sceglie il prodotto artigianale? In verità esistono delle chitarre di ottima qualità prodotte industrialmente, altrettanto costose o addirittura più care di quelle costruite artigianalmente. Tuttavia, sì, sono due cose piuttosto diverse. L’artigianato è cura minuziosa dei dettagli; nel mondo degli strumenti musicali gioca un ruolo fondamentale la possibilità per i clienti della personalizzazione, di scegliere in tutto e per tutto come sarà lo strumento che loro avranno tra le mani, la soddisfazione della partecipazione non materiale ma almeno creativa alla realizzazione del proprio strumento e l’idea che questo oggetto posseduto sia un esemplare unico, simile ad altri ma identico a nessuno, solamente ed esclusivamente nostro, un pezzo di noi stessi! Il lavoro artigianale è affascinante da svolgere, e deve sopravvivere non solo per le ragioni appena elencate, ma soprattutto perché per me rappresenta una pausa dal mondo, dai ritmi frenetici della vita moderna e iper-tecnologica, quel ritorno ad una dimensione vitale più adatta all’uomo, da cui la società di oggi si allontana sempre più e che invece dovrebbe riscoprire. Giovanna Di Martino JobOK Magazine 17 La nostra società non sarebbe la stessa senza alcuni pionieri del diritto che hanno combattuto battaglie talvolta anche solo seduti alla propria scrivania, ovviamente ci viene alla mente un flusso di ricordi relativi ai grandi intellettuali che hanno posto le fondamenta del pensiero moderno e delle leggi che oggi ci permettono di avere il privilegio della libertà; ma oggi paleremo di coloro che non ricordiamo per magnifici scritti o grandi teorie socio-politiche, e che forse non ricordiamo affatto perché hanno fatto dell’anonimato un mantra essenziale, nascosti dietro terminali informatici sono pochi eletti, capaci di cose straordinarie e di un’eleganza che segue canoni noti solo agli intenditori; sono i costruttori della nostra epoca moderna ed oggi è quasi impossibile utilizzare tecnologie come Internet senza sfruttare il lavoro che negli anni hanno fatto in silenzio ed altruismo. Sto parlando dei pirati del nostro millennio e di quelli che dagli anni ’50 studiano soluzioni sempre più raffinate per offrirci le esperienze più eccitanti di fronte allo schermo informatico. Ovviamente, nel rispetto di tutti coloro che agiscono come sopra descritto, mi trovo a dover fare le dovute distinzioni tra le varie forme di pirata informatico e di pirateria. Oggi riconosciamo con il termine di pirateria informatica quella pratica illegale che viola il diritto d’autore di una determinata opera e la distribuisce a prezzo stracciato o gratuito alla popolazione, ma il concetto di scorribanda informatica ha origini ben più lontane del nostro modo di percepirla. Si dice che sia nata tra i corridoi del M.I.T. (Massachusetts Institute of Technology), in un luogo dove i club di ateneo sono ancora una realtà che forma delle professionalità importanti ed in un tempo in cui il più esclusivo di questi club si chiamava Tech Model Railroad Club. Nel TMRC si studiavano e costruivano i complessi circuiti elettronici che automatizzavano i percorsi di un enorme modellino ferroviario, per ottenere risultati di eccellenza il club era suddiviso in due sezioni che erano predisposte l’una alla cura del dettaglio delle miniature del modello e l’altra che si occupava della progettazione, gestione e manutenzione del complicatissimo sistema elettronico, quest’ultima commissione chiamata S&P (Signal and Power Subcommittee) ha coniato molti termini incomprensibili per chi non fosse “addetto ai lavori”, molti di questi sono raccolti in un dizionario pubblicato anni dopo per divulgare la testimonianza di 20 JobOK Magazine una cultura che ha cambiato le sorti dell’essere umano e che sarebbe andata perduta nel tempo (“An Abridged Dictionary of the TMRC Language” – Peter Samson 1959) ed in questi troviamo per la prima volta la definizione del termine Hacker, colui che elabora un Hack. Un Hack era essenzialmente un progetto che forniva una funzione non vitale per la sua applicazione al modello ferroviario, ma estremamente interessante dal punto di vista dell’esercizio di stile nell’averla creata e perfezionata, questo termine passato di corridoio in corridoio ha preso accezione di divertimento e scherzo, tanto che da allora era furono chiamati Hack anche gli scherzi più elaborati di cui si ha memoria nel M.I.T., uno dei più elaborati ed eclatanti fu sicuramente l’automobile della polizia, ritrovata di notte con i lampeggianti accesi, parcheggiata nel 1994 sulla cupola del Maclaurin Building, con dentro una scatola di ciambelle e le dettagliatissime istruzioni alla polizia su come smontarla pezzo per pezzo e riportarla giù. Quindi, nel M.I.T. le scorribande erano ad opera degli Hacker, questi non avevano alcuno scopo se non quello del divertimento e non hanno mai leso nessuno con il loro operato, da evidenziare che non è mai esistito un gruppo che si è definito così in quanto chiunque poteva fare un Hack e l’anonimato era d’obbligo per non finire nei guai, quindi tra gli studenti, siccome c’era una segreta e forte ammirazione goliardica per chi aveva il coraggio di violare le regole, il termine Hacker aveva acquisito la nobile forma di complimento rivolto ad un personaggio senza volto, quasi un mito vivente da cui trarre ispirazione per intelligenza, tenacia e coraggio. Dati questi risvolti, la passione dei primi hacker del Tech Model Railroad Club divenne l’ossessione che gli diede il coraggio di irrompere di notte con le tecniche più varie nell’edificio 26, struttura del campus dove risiedeva il calcolatore elettronico da milioni di dollari fornito all’università ad uso esclusivo degli addetti e dei ricercatori, i quali, si vedevano bene dal farci mettere le mani agli studenti e soprattutto agli studenti facenti parte del TMRC che erano abituati a giocare con la tecnologia ed avevano la fama di essere poco rispettosi in quanto talvolta, per imparare, a rompevano e disassemblavano i componenti di ciò che era per loro oggetto di curiosità. Da queste intrusioni notturne nacque la passione dell’hacker per il computer, un insieme di automatismi di calcolo e logica che fino a quel momento potevano <BOX> HACKERS – STEVEN LEVY – PDF ENG QR1 </BOX> <BOX> ELOGIO DELLA PIRATERIA – CARLO GUBITOSA – PDF ITA QR2 </BOX> essere solo un sogno per appassionati di elettronica, obiettivi che con cavi e saldature potevano essere svolte in molti mesi di lavoro, con la flessibilità della programmazione informatica potevano essere raggiunti in poche settimane, un’accelerazione a cui, le menti eccelse protagoniste di questa storia, non potevano resistere. Nel tempo il lavoro di alcuni Hacker della storia ci ha fornito l’hardware necessario per avere i nostri computer portatili, i nostri telefonini, i nostri televisori, dai sistemi con cui viene gestito il traffico ai più complessi impianti di domotica, ma con l’avvento di Internet e con la correlazione del lavoro di più genialità sparse per tutto il mondo abbiamo ottenuto ciò che mai avremmo immaginato se non fosse realmente accaduto, un mondo completamente virtuale con immense autostrade dell’informazione ed un continuo scambio tra sconosciuti, ed è qui che viene coniato il termine di pirata informatico, colui che solca i mari della rete e “naviga” con le sue regole ed i suoi principi. E qui veniamo alla distinzione tra le tipologie di pirata, fondamentalmente due, l’Hacker ed il Cracker, anche nell’informatica avere grandi poteri significa avere grandi responsabilità e la linea di confine tra le due categorie è proprio la presa di coscienza di questa frase, mentre i primi si sentono e sono figli di una cultura che ha dei principi e dei valori, i secondi non condividono l’etica con cui dovrebbero agire. <BOX> AN ABRIDGED DICTIONARY OF THE TMRC LANGUAGE – PETER SAMSON – WEB ENG QR3 </BOX> Cracker, da Crack, il suono di qualcosa che si spezza, ma anche il termine utilizzato nell’ambiente per definire l’utilizzo di una debolezza nella progettazione di un sistema per i propri scopi. A volte distruttivi portatori della bandiera dell’informazione libera lo fanno ai danni di molte società che spendono miliardi per ricercare nuove tecnologie, l’hacker non approva affatto questi comportamenti dato che diffamano la passione per “l’informatica come sport estremo”. Il virus informatico è lo strumento distintivo del Cracker e molta della nostra sicurezza online, antivirus compresi sono la dimostrazione che gli Hacker imperterriti proseguono dagli albori una continua battaglia per la purezza degli ideali e per la fruibilità del meraviglioso mondo dell’informazione, oggi nella tasca di tutti noi. Per ringraziare ed omaggiare questi eroi del nostro tempo, dato che hanno reso possibile sia la stesura che l’impaginazione di questo articolo e di tutte le nostre riviste, JobOk Magazine ha deciso di regalarvi ben due libri, uno in italiano, uno in inglese che approfondiscono l’argomento e lo corredano con i pareri dei più famosi protagonisti di questo tema, tanto per ricordarne alcuni progetti di grande successo cito Apple, Google, Facebook, WikiLeaks e vi invito a leggere le grandi storie di questi eroi, si controversi, ma pur sempre eroi. Federico Massa JOBOK.EU/USER/CONCEPT 21 - Pensi di farcela? Lui non spostò lo sguardo. Concentrato sul sollevamento del pesante manubrio, sulla respirazione, sui segnali provenienti dai muscoli affaticati e induriti dallo sforzo, storse la bocca per la fatica, sbuffò ma non disse nulla. Un ticchettio segnalava ogni sollevamento, un clic alla volta per contare le flessioni. Gli voltò le spalle. Fece qualche passo nel monolocale, metà palestra e metà armeria, senza dare l'idea di interessarsi davvero a qualcosa. Il suo sguardo sorvolò i pesi, la corda per saltare avvolta ordinatamente su se stessa, fermandosi sulla valigia metallica lasciata aperta. All'interno si vedeva chiaramente un fucile di precisione smontato, un paio di pistole e diverse scatole di munizioni. - Le gemelle sono piuttosto arrabbiate. Non sopporterebbero un fallimento. Ora era esattamente dietro di lui. Poteva vedere i muscoli della schiena che si muovevano ogni volta che il manubrio veniva alzato dalle cosce al petto, e poi accompagnato di nuovo in basso. Osservò la nuca rasata, il sudore che scorreva giù dal collo, lungo la spina dorsale e poi dentro la maglietta senza maniche che si era appiccicata alla pelle. Il manubrio si abbassò e si fermò, il contatore incorporato cessò di ticchettare. Lui appoggiò il peso sui ganci della rastrelliera che ne conteneva degli altri. - Il poliziotto non ha fermato il killer? - chiese lui con una voce delicata, quasi inadatta al suo corpo forte e muscoloso. Delicata, ma fredda. - Sì... ma è stato un caso. Le gemelle non sono convinte che abbia fatto tutto da solo. Ma questa è un'altra storia. La frase rimase in sospeso, come se non fosse completa. Le parole erano bloccate lì, tra loro. - C'è un “ma”, vero? - stava scegliendo un altro bilanciere per continuare l'allenamento, apparentemente calmo. - Sembra certo che l'abbiano già sostituito. - Nulla di strano... – commentò lui impugnando due pesi più piccoli e cominciando un nuovo esercizio sempre tenendo lo sguardo fisso sulla parete davanti a sé. Il ticchettio riprese, più rapido. - Se quello che hai detto è vero, è del tutto normale – aggiunse, misurando il fiato per non JOBOK.EU/USER/MANNU 23 affannarsi durante l'esercizio. - Pare che si tratti di Nico. Si interruppe di colpo e le braccia gli ricaddero pesantemente lungo i fianchi. - Nico? Sei sicura? - si voltò a guardarla, quasi di scatto. Quando lei se ne accorse interruppe i suoi tentativi di sollevare un disco di metallo dal peso di venti chili standard, posato in terra in un angolo. Sollevò il viso per affrontarlo, gli occhi negli occhi. - No. Nessuno l'ha mai visto in faccia, quindi non ne sono sicura. Ma pare che sia qui. - Credevo che lavorasse su Icaro. - Anch'io lo credevo. Ma evidentemente è stato ingaggiato dalla concorrenza. - Duecentomila – disse lui tornando a fissare la parete opposta e ricominciando l'esercizio di sollevamento dei pesi, ancora stretti nelle mani. - Cosa? È troppo! – gli fece notare lei con astio nella voce. - Quando mi hai chiamato la prima volta non mi hai detto che si trattava di Nico – rispose facendo le opportune pause per la respirazione richiesta dall'esercizio. I clic si susseguivano sempre più rapidi, sottolineando ogni respiro dell'uomo. - Le gemelle non saranno contente. - Non è un mio problema. - Hai dato la tua parola – insisté lei, avvicinandosi alla schiena. Ora i movimenti erano molto veloci e i muscoli lucidi delle braccia esprimevano potenza guizzando a ritmo elevato. - Senti, piccina – i pesi caddero a terra con un doppio tonfo fortissimo e lui la fissò dall'alto dei suoi duecentootto centimetri d'altezza – un contratto su Nico non è uno scherzo. Nessuno lo ha mai visto in faccia, tranne forse i cadaveri che si lascia dietro. Mai una traccia, un'impronta, un solo indizio. Nemmeno una email. Quando credi di averlo in pugno, scopri che non è dove pensavi che fosse. Un contratto su Nico è molto pericoloso. Quindi è anche l'ultimo, chiaro? Duecentomila, non si discute. - Solo a lavoro finito. - Non potrà essere che così. - Ti faccio sapere – disse lei avviandosi verso la porta. Non ottenne risposta. Diede un colpo al pulsante di chiamata dell'ascensore e frugò nelle profonde tasche dei suoi trasandati vestiti da nichilista, l'unico segno evidente dei suoi turbolenti trascorsi giovanili. Gli altri infatti li aveva sotto gli abiti, nella carne. Estrasse un costoso comunicatore cellulare e, certa di essere fuori della portata di orecchie altrui, con pochi tocchi sui pulsanti a sfioramento avviò una chiamata. - Hai fatto presto – le rispose una voce acuta ma maschile – vuol dire che c'è qualche problema? - Ne vuole duecentomila. Il silenzio prolungato del suo interlocutore non lasciava presagire nulla di buono. - Ma è impazzito? Con quella cifra ne assoldiamo un plotone come lui... magari anche meglio! 24 JobOK Magazine - Senti, questo è il primo che non si squaglia a sentir nominare Nico. Proviamo. Se le cose vanno come penso io, non li spenderemo mai quei duecentomila. - Sì... potresti avere ragione. Pedersen è una montagna di muscoli, ma sta dimostrando di avere un cervello. Mettiamolo alla prova. Vuole un anticipo? - No, non vuole nulla prima di aver finito il lavoro. - Oh, un professionista dotato di etica... va bene. Gli mando quello che abbiamo. - Dammi il prossimo nome – disse Yoko mentre le porte dell'ascensore le si aprivano davanti. Freddi sguardi di disapprovazione l'accolsero, ma non ci fece nemmeno caso. Ci era abituata. Si aggrappò a un sostegno verticale e continuò la conversazione. - Più tardi. Ora per favore passa da Callahan e digli di non fare nulla di avventato... lo tiriamo fuori noi. Digli di collaborare con l'avvocato che gli manderemo presto e di non fare cazzate. Le gemelle lo vogliono ringraziare per aver ingabbiato l'assassino delle nostre ragazze. - Era solo un pezzo di merda... ne vale la pena sbattersi? - chiese Yoko. Nessuno dei passeggeri si stupì per il vocabolario della piccola nichilista stracciona dai lunghi capelli neri, ma tutti fissavano invidiosi il comunicatore che lei teneva accostato all'orecchio. - Tientelo per te... sta succedendo qualcosa al distretto di polizia. Temiamo che i nostri... concorrenti siano passati all'offensiva su larga scala e che alcuni poliziotti siano passati dalla loro. Certo non Callahan. Ma sai... lui è uno che canta abbastanza facilmente... potrebbe svelarci informazioni utili. - Sì, so anche chi è bravissima a fargli abbassare subito i pantaloni. Ma è sparita... - Yoko cercò di abbassare la voce, ma era difficile non farsi sentire. L'apparecchio trasmetteva solo segnali pesantemente crittografati, ma i presenti nell'ascensore potevano udire chiaramente quanto lei diceva. Non che la cosa fosse molto importante, per lei. Non temeva nulla: né la polizia, né “la concorrenza”. Godeva della piena protezione delle gemelle e tutti sapevano bene che toccare lei equivaleva a far scoppiare una rivoluzione. Una di quelle molto sanguinose. - Sono stato informato... seccante, direi. Lilly è una bella leva per manovrare Callahan. Se è in giro la troveremo. Ora devo chiudere, Yoko... non è bene che queste conversazioni siano troppo lunghe. - Ci vediamo – concluse lei e interruppe la comunicazione. Pedersen stava controllando l'attrezzatura quando lo schermo del terminale si accese. L'aveva programmato per segnalare prontamente la ricezione di messaggi di qualsiasi genere. Controllò subito e infatti trovò un messaggio anonimo piuttosto ingombrante. Conteneva un piccolo file di testo con alcune indicazioni e diverse foto. Lesse le poche righe: un indirizzo del terzo settore, un quartiere malfamato. Nessun problema. Confermati i duecentomila. Visualizzò le foto e strinse i denti fino a farli scricchiolare. I muscoli della mascella e del collo si tesero fino ad apparire evidenti. Le foto, scattate di nascosto in un locale pubblico e per strada, mostravano due persone: un uomo alto e robusto in compagnia di una ragazza rossa di capelli. Guardò l'uomo: muscoli allenati ma non gonfi di anabolizzanti, viso anonimo e normale, vestito comunemente, capelli cortissimi. JOBOK.EU/USER/MANNU 25 - Nico – disse a se stesso guardando quel viso e imprimendoselo nella memoria artificiale, una protesi cibernetica fatta apposta per permettergli di memorizzare volti, luoghi, dettagli utili alla caccia. Tornò a controllare meticolosamente ogni componente delle armi, poiché sapeva che tutto avrebbe dovuto funzionare, subito. Contro Nico non avrebbe avuto una seconda possibilità. Era il secondo giorno di caccia. Se non avesse trovato traccia di Nico avrebbe dovuto abbandonare: il suo impianto cibernetico gli aveva già segnalato due volte facce già viste. Farsi notare non era certo il modo migliore per sperare di avvicinarsi con successo alla vittima. Se avesse avuto ancora due o tre segnalazioni dall'innesto cerebrale avrebbe fatto meglio a tagliare la corda, senza perdere altro tempo. Camminare senza una meta in quella zona del terzo settore non era molto indicato per la salute: in un giorno e mezzo aveva assistito a due rapine a mano armata e udito gli echi di uno scontro a fuoco. La polizia interveniva sempre in forze da quelle parti arrestando chiunque capitasse a tiro. Aveva quindi badato a stare lontano il più possibile da sirene e lampeggianti di tutti i tipi. Quella mattina non era successo ancora nulla: aveva gironzolato tra gli stim di un paio di locali irregolari facendo bene attenzione a non farsi notare e a non avvicinarsi agli spacciatori di gialla. Erano solo bulli di quartiere circondati da feccia attaccabrighe, ma spalleggiati da qualche organizzazione malavitosa piuttosto potente. Le capsule di gialla infatti passavano di mano in mano nemmeno tanto discretamente. Stanco di perdere tempo, decise di provare all'indirizzo che gli era stato indicato. Andò a piedi, memorizzando facce in continuazione, guardandosi in giro, calcolando mentalmente i possibili percorsi per allontanarsi in fretta facendo perdere le sue tracce. Infine lo vide. Il suo impianto cibernetico segnalò immediatamente una sagoma di tre quarti. Era lui, non c'era alcun dubbio. Camminava da solo, dall'altra parte della strada. Lo seguì da lontano per qualche minuto solo per accertarsi che si stesse dirigendo dove avesse la stanza. Era molto probabile che avesse anche lui qualche microchip nel cervello per difendersi dai pedinamenti, quindi non era il caso di tentare la sorte. La notte precedente con un attacco informatico aveva ottenuto la pianta dell'edificio, quindi si diresse immediatamente all'entrata di servizio precedentemente forzata. Si era dato la pena di disattivare i sensori contro le intrusioni, ma aprendola si rese conto che il sensore di quella porta in particolare era stato rotto molto tempo prima. Non sapeva a che piano aveva la stanza ma poteva ricavare l'informazione spremendo il guardiano all'ingresso. Se ci fosse stato: la postazione era deserta, sporca e ingombra di rifiuti al punto da lasciar pensare che fosse del tutto abbandonata. Di nuovo strinse i denti facendoli scricchiolare: doveva arrendersi. Ma prima voleva giocare l'ultima carta. C'era un solo ascensore funzionante e lo chiamò. Inforcati gli occhiali tecnici, li regolò per esaltare le tracce termiche. Quando la porta si aprì studiò il pannello dei pulsanti per cercare di capire quali fossero stati toccati di recente. Una speranza vana: il software degli occhiali colorava tutta la pulsantiera con la stessa tonalità di blu. 26 JobOK Magazine - Aspetti, aspetti! Fermò la chiusura delle porte appena in tempo. La rossa della foto. Un colpo di fortuna insperato. Lei fece in fretta a digitare il numero del piano, ma lui aveva ancora gli occhiali attivi e fece in tempo a vedere il numero grazie alla debolissima traccia termica. Lei tenne gli occhi bassi per tutto il tragitto: aveva braccia sottili, il ventre un po' sporgente, il viso chiazzato da lentiggini. Era sgraziata, brutta e vestita male, ma il rosso chiaro dei capelli spettinati era autentico. La sovrastava in altezza e lei se ne stava curva appoggiata con le spalle alla parete della cabina tenendo la schiena storta per chissà quale motivo, sembrando ancora più bassa e minuta. Uscì in fretta dall'ascensore, senza salutare, quasi in fuga. Pedersen salì di altri due piani, poi attraversò tutto il corridoio fino alle scale di servizio. Ridiscese i due piani, scavalcando un tossicomane immobile. Aveva scelto i gradini per inalarsi qualche cosa che lo aveva messo fuori combattimento. Fu tentato di regalargli il sonno eterno, ma quando si rese conto che era perso dentro i suoi sogni chimici, lasciò perdere. Grazie alla pianta dell'edificio memorizzata nel cervello cibernetico, trovò una stanza dalla quale si potesse vedere la finestra della sua vittima. Scassinò la serratura elettronica dell'appartamento e vi entrò con l'arma spianata. Non c'era nessuno, esattamente come gli occhiali tecnici avevano evidenziato prima. Spostò una sedia vicino alla finestra e regolò le lenti elettroniche per superare la polarizzazione delle finestre: essa impediva a chi stava di là dal crilex di poter sbirciare dentro. Infatti le tende, un lusso impossibile per la maggior parte delle finestre del terzo settore, mancavano all'appello. Dopo qualche minuto passato a regolare gli occhiali finalmente riuscì a combinare la funzione termoscopica a quella ottica e poté vedere delle ombre muoversi nell'appartamento. Nico era ben distinguibile: la sagoma alta e massiccia non poteva che essere lui. Se avesse portato anche un microfono laser avrebbe potuto comodamente ascoltare i loro discorsi, ma non era indispensabile. Doveva solo aspettare. Nel misero appartamento occupato all'insaputa del proprietario non c'era nulla, e non aveva voglia di violare la protezione del terminale solo per giocare un po'. Si concentrò esclusivamente su quelle sagome opache, che si muovevano dentro la lontana cornice di quella finestra. Le seguì minuto per minuto, osservandole scomparire e riapparire. Poi vide la luce spegnersi e la traccia termica dei due corpi farsi leggermente più evidente. Era quasi il momento di agire. Controllò la sua arma automatica, una SMG di modeste dimensioni ma capace di svuotare il suo caricatore da quaranta colpi in poco più di due secondi. L'arma era perfetta, oliata e collaudata. Era la sua mano che tremava leggermente. Quando si riaccese la luce i due amanti giacevano ancora ansimanti, lucidi di sudore e soddisfatti. - Hey, non sei così male... - disse lei sorridendo, i corti capelli rossi come fiamme sul cuscino bianco. - Come sarebbe “non sei così male”? - ribatté lui rotolandole sopra con tutta la sua mole e inchiodandola al letto tenendola bloccata con le mani sulle spalle. Lei trattenne il fiato poiché si attendeva qualcosa, ma non smise di sorridere sotto le lentiggini che le coprivano il viso. Lui era sul punto di dire qualcosa ma si interruppe al suono della serratura che scattava. JOBOK.EU/USER/MANNU 27 Un istante dopo la porta si spalancò di colpo e una massiccia figura ne ingombrò totalmente lo specchio. Impugnava un'arma dalla quale partirono due raffiche controllate di tre colpi: raggiunsero l'uomo alla schiena e al torace, uccidendolo sul colpo. Poi l'aggressore cadde all'indietro, anche lui privo di vita. La ragazza dai capelli rossi si mise in piedi sul letto scivolando fuori dal lenzuolo bucato e già macchiato di sangue, senza curarsi della propria nudità. In mano teneva una piccola arma da fuoco con silenziatore. La puntò verso l'aggressore e fece fuoco altre tre volte, centrando il cadavere al petto e alla testa, sfigurandolo. - Stronzo – disse con un'espressione glaciale sul viso. Scesa dal letto si avvicinò al cadavere del compagno, caduto scomposto sul pavimento dove già si allargava una pozza di sangue scuro. Con un piede lo fece rotolare sulla schiena per potergli mettere in mano l'arma ancora calda. Poi si infilò tranquilla dentro la doccia e fece scendere l'acqua bollente. Archie credeva di avere davanti il periodo più bello della sua vita. Lo aveva confidato agli amici, badando bene a non svelare il suo segreto. Due giorni prima era arrivato l'accredito per le foto che aveva fatto. Un mare di soldi se confrontati ai miseri guadagni fatti vendendo software per stim craccato e violando le protezioni dei server di pornografia a pagamento. Grazie a una soffiata era riuscito a individuare il famigerato killer Nico. Era sceso da uno shuttle di linea e lui lo aveva aspettato pazientemente, nascosto all'uscita del cancello di sbarco. Fortunatamente con quel volo erano arrivate solo ottantadue persone. Di nascosto li aveva fotografati tutti: una montagna di foto da cui aveva selezionato pazientemente una decina di persone. Non era un esperto di grafica ma tempo addietro un suo amico, che si era vantato di aver violato i sistemi della polizia, gli aveva fornito come prova un software in grado di rintracciare la gente in base al volto. Aveva identificato otto di quelle persone e dopo brevi indagini tramite la Rete, aveva scoperto che nessuno di loro poteva essere Nico. Ne erano rimasti solo due: un uomo e una ragazza dai capelli rossi immortalati quasi per caso al bar dello spazioporto. Non poteva che essere lui: ogni ricerca sul suo conto non dava alcun esito. Non risultava nemmeno il biglietto del volo da cui l'aveva visto scendere. Aveva contattato nuovamente quel suo amico pirata e, dopo un po' di insistenza ma senza svelare il vero motivo del suo interesse, si era fatto dare un ferocissimo spider della polizia, tecnologia molto recente. Lo spider era ritornato dalla Rete, dopo due giorni e mezzo di ricerche, a mani vuote. Aveva immediatamente messo al corrente le gemelle nella speranza di far loro cosa gradita. Lavorava per loro di tanto in tanto, stando ben attento a non dar loro un motivo per schiacciarlo impietosamente come avrebbero potuto fare in qualsiasi momento. La cosa sembrava averle interessate poco al momento e non si era fatto illusioni. Ma poi erano arrivati i soldi. Tanti soldi. Infine, cosa niente affatto di secondaria importanza per Archie, finalmente la ragazza con cui chattava da un mese aveva accettato di vederlo e gli aveva dato un appuntamento. Finì di sistemarsi davanti allo specchio: ci teneva a fare una buona impressione. Sapeva di non essere un granché: Helen avrebbe dovuto adeguarsi. Lei lo aveva lusingato a lungo e aveva lasciato intendere d'essere affascinata dalla persona e che, avendolo conosciuto attraverso una chat di 28 JobOK Magazine solo testo, non poteva avere pregiudizi su di lui. Archie non chiedeva di meglio e, stabilito di essere pronto con un'ultima occhiata alla dubbiosa immagine di se stesso, uscì diretto al locale dell'appuntamento. Alla seconda birra bevuta per ingannare l'attesa cominciò a dare segni di impazienza. Tamburellava nervosamente sul tavolo e si guardava intorno, ansioso. Spuntate all'improvviso alle sue spalle, due mani piccole e fresche gli si posarono sugli occhi quasi spaventandolo. - Ciao Archie! Indovina chi sono... - disse una dolce voce femminile. Ci fu il lieve pizzicore di una scarica elettrostatica che lo raggiunse sotto l'orecchio. Sorridendo estasiato Archie esclamò il nome di lei a voce troppo alta e, avuti liberi gli occhi, si voltò per guardarla. - Helen, mi hai quasi fatto morire di pau... Gli occhi di Archie saltarono immediatamente dagli abiti sintetici di lei ai suoi luminosi occhi verdi e poi alle lentiggini e ai corti capelli di un rosso vivo, naturale. Il sorriso gli si spense sul nascere e il colore gli defluì dal volto. La ragazza della foto. Brancolò con le braccia per cercare un appiglio mentre le gambe lo spingevano giù dalla sedia in un disperato tentativo di fuga. Il boccale cadde senza infrangersi e quella poca birra rimasta si versò sul pavimento. Archie toccò terra dolorosamente col fondoschiena ma si rialzò subito tenendosi una mano sul collo dove aveva sentito il pizzicore della scarica elettrostatica. Faceva male. Si precipitò fuori dal locale con movimenti scoordinati e scomposti. Inciampò, cadde ancora e si rialzò barcollando paurosamente. Tentò di articolare un grido di aiuto ma i presenti udirono solo suoni strozzati. Quando la vettura lo investì uccidendolo sul colpo, Archie stava ancora cercando di fuggire, ma nessuno seppe dire alla polizia cosa lo avesse indotto ad attraversare la strada all'improvviso. Nessuno dei testimoni si rammentò di aver visto la ragazza coi capelli rossi parlare con la vittima e i poliziotti, rilevato dell'alcol nel sangue di Archie, archiviarono l'accaduto come incidente. Luca Mannurita JOBOK.EU/USER/MANNU 29 30 JobOK Magazine JobOK Magazine 31 I pirati di solito non sono presenti nei libri di storia, nonostante siano esistiti davvero. Nella realtà storica, forse non sono esattamente figure esemplari. Alla letteratura prima, e al cinema e alla televisione poi, si deve il merito della costruzione e consacrazione dei pirati come figure mitiche e leggendarie. Il fenomeno ha origine con la grande letteratura ovvero i grandi romanzi d’avventura, comparsi tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Quanti sono nati prima dell’avvento del cinema e della tv hanno sognato grazie a questi romanzi, mentre a tante altre persone vissute nell’epoca del mezzo cinematografico, sicuramente sarà capitato di non aver mai letto una sola pagina dei libri, dai quali venivano tratte le trasposizioni che essi vedevano solo sugli schermi. Persino all’interno del palinsesto italiano, dove il tradizionale pubblico familiare medio è sempre stato abituato quasi esclusivamente al genere comico e leggero e all’intrattenimento del varietà, i pirati riuscirono a spuntarla: lo sceneggiato televisivo Sandokan, andato in onda in sei puntate su Raiuno nel 1976, riscosse un 34 JOBOK.EU/USER/GIOVANNA grandissimo successo tra gli spettatori, ed è uno degli sceneggiati maggiormente impressi nella memoria del grande pubblico. I pirati in tv hanno conquistato anche le ultime generazioni: coloro che sono stati bambini negli anni Novanta, forse ricorderanno il cartone animato giapponese, ancora una volta incentrato sulle avventure della tigre di Mompracem, con gli animali antropomorfizzati. Sempre dal Sol Levante viene anche la versione animata più recente, spregiudicata e moderna dei pirati di One Piece, con Monkey D. Rufy (Rubber), meglio conosciuto come cappello di paglia, capitano di una ciurma sui generis, che stravolge visivamente la tradizionale iconografia piratesca. I pirati poi si prestano perfettamente a tutta una serie di prodotti dedicati a giovani e giovanissimi, dalle graphic novel ai videogames: non si può non citare a tal proposito il comico Monkey Island e soprattutto il più recente Assassin's Creed IV: Black Flag, sesto capitolo a tema piratesco, che si trova all’interno di una serie di videogiochi che seguono svariate trame storiche e avventurose (crociate medievali, guerra d’indipendenza americana, rivoluzione francese). Il videogioco è ambientato nel mar dei Caraibi, luogo storico dei pirati, dal quale proviene anche il titolo della serie cinematografica di maggior successo degli ultimi anni. Jack Sparrow, indissolubilmente legato al suo carismatico interprete Johnny Depp, è l’ultimo di una lunga serie di personaggi cinematografici tra i più amati di sempre. Il capitano Sparrow aggiunge alla figura del pirata alcuni tratti caratteriali eccentrici, come l’irriverente ironia, e uno stile molto glam, che lo rende più una sorta di rock star che un rude uomo di mare. Ma chi sono gli antenati cinematografici di Jack Sparrow? Ripercorriamo un po’ i più famosi e significativi film sul mondo dei pirati, e vediamo anche come è cambiata questa figura. È ovvio che ogni film è stato realizzato in una precisa epoca, all’interno di un determinato contesto, con le sue esigenze, i suoi meccanismi e le regole imposte dal genere; infatti la maggioranza delle pellicole viene inserita nel genere avventuroso e, in particolare nel sottogenere dei così detti film di “cappa e spada”. Ciò vale soprattutto per i film realizzati nei primi sessant’anni d’attività del cinema. Il cinema nostrano tra gli anni Dieci e gli anni Venti conobbe il suo primo grande momento d’oro: sulla scia del grande successo di Cabiria e dei grandi e spettacolari kolossal, nei quali il cinema italiano si era specializzato e fatto conoscere a livello internazionale, vennero prodotti molti film seriali e commerciali con titoli e trame simili (Il corsaro nero, Jolanda - La figlia del Corsaro Nero, entrambi del 1920 e Gli ultimi filibustieri, del 1921, tutti e tre diretti da Vitale De Stefano, Il corsaro, regia di Carmine Gallone e Augusto Genina del 1924). In seguito il genere tornò alla ribalta tra gli anni Cinquanta e Sessanta, all’interno del fenomeno del cinema italiano di serie B, con alcune piccole chicche da riscoprire per chi è amante di un certo gusto un po’ kitsch e goliardico (I Pirati della Malesia di Umberto Lenzi, del 1964, Gordon il pirata nero, regia Mario Costa, del 1961, Il corsaro della mezzaluna di Giuseppe Maria Scotese del 1957, Il figlio del corsaro rosso di Primo Zeglio, datato 1959, Il mistero dell’isola maledetta, regia di Piero Pierotti 1965, fino a casi assai curiosi di stravaganti commistioni di generi come L’uomo mascherato contro i Pirati di Vertunnio De Angelis). Le pellicole di maggior successo non sono però quelle del nostro paese: il cinema americano da sempre la fa da padrone, potendo disporre di cifre che altre industrie nazionali non si sono nemmeno mai sognate. I film sugli avventurieri del mare ebbero successo soltanto dopo l’avvento del sonoro. Da ricordare, è la trasposizione del JobOK Magazine 35 romanzo di Stevenson L’isola del tesoro, nell’omonimo film diretto nel 1934 da Victor Fleming, il regista di Via col vento. Molti importanti registi hollywoodiani vennero assoldati dalle Major per dirigere imponenti produzioni: Michael Curtiz, divenuto famoso per la regia del celebre Casablanca, nel 1935 girò Capitan Blood, interpretato da uno dei maggiori divi di quegli anni, Errol Flynn; il grande regista dell’epoca d’oro degli Studios, Cecil B. De Mille, diresse nel 1938 I filibustieri, e persino sir Alfred Hitchcock, prima di divenire il maestro del brivido realizzò un film dallo stile “piratesco” La taverna della Jamaica (film decisamente da dimenticare). Nella fabbrica dei sogni che trasforma in oro tutto ciò che tocca, il personaggio del pirata diventa protagonista persino del musical, uno dei generi di punta della Hollywood degli anni d’oro: Il pirata (1948) di Vincent Minelli, regista di alcuni dei più bei musical cinematografici, di piratesco ha solo l’aspetto esteriore, poiché l’attenzione è tutta rivolta alle spettacolari scene di canto e soprattutto di ballo delle due star Gudy Garland e Gene Kelly. 36 JOBOK.EU/USER/GIOVANNA Negli anni successivi Hollywood ha continuato a produrre piccole perle di puro intrattenimento, principalmente rivolte a un pubblico di ragazzi: i pirati vivono alcune parentesi in cui diventano colorati, divertenti e addirittura comici: la Disney, immancabile all’appello, non si lascia sfuggire l’occasione e sfrutta il potere di fascinazione che i pirati hanno sui più giovani per realizzare nel 1968 Il fantasma del pirata Barbanera, diretto da Robert Stevenson (che ha diretto per la Disney molti altri lungometraggi tra i quali i più noti sono Mary Poppins e Pomi d’ottone e manici di scopa); della Disney ci sarebbe da segnalare anche Peter Pan per la figura del mitico Capitan Uncino, memorabile per milioni di bambini. A proposito di Peter Pan e di favole, nel 1991 è la volta di Steven Spielberg, il cantore hollywoodiano per eccellenza di favole immortali e di storie avventurose, che realizza Hook, versione in carne ed ossa del racconto del bambino che non voleva crescere (interpretato dal compianto Robin Williams), ponendo tuttavia l’accento sul personaggio del capitano Uncino, al quale presta il volto il bravissimo Dustin Hoffman. Tra i film degli anni Novanta va menzionato anche Corsari (Cutthroat Island) di Renny Harlin per la presenza di un cast di grandi nomi (Gena Davis, Frank Langella e Matthew Modine, già illustre interprete del capolavoro di Kubrick Full Metal Jacket). Sicuramente merita una menzione speciale il film Pirati (1986) di Roman Polansky, uno dei pochi che è riuscito ad emergere all’interno di una sterminata filmografia di film sui pirati, la maggior parte dei quali non altrettanto ben fatti. Realizzando questo film, Polansky ha dato vita al suo desiderio di omaggiare i grandi film d’avventura della Golden Age hollywoodiana, in particolare al corsaro interpretato dall’attore Errol Flynn, riprendendo il modello del romanzo avventuroso, ma con uno sguardo che aspira ad essere maggiormente realista, e soprattutto ironico. Già nella scelta del protagonista Walter Matthau, interprete di numerose commedie e film comici, si intravede questa volontà umoristica, non parodistica, anzi, profondamente rispettosa. Polansky, forse meglio di tutti ha saputo comprendere e filmare il senso più profondo dell’universo piratesco: egli non riduce a spettacolarizzazione pacchiana, ma mostra uno sguardo nostalgico e di sincero amore e passione per un mondo mai vissuto, un passato lontano e perciò leggendario, un immaginario dove alimentare la fantasia e quella voglia di libertà e avventura. Giovanna Di Martino JobOK Magazine 37 Q uando si parla di scenari e suggestioni piratesche in ambito rock, sia in relazione ai testi che all’aspetto scenografico, non si può non far riferimento ai tedeschi Running Wild. Affermatasi come genere piratesco a partire dal 1987 con l’album UNDER JOLLY ROGER, la band nasce da un’idea del cantante/chitarrista Rolf Kasparek che, per ovvi motivi, verrà soprannominato Rock’N’Rolf. I Running Wild nascono sulla scia di due correnti ben precise: la New Wave Of British Heavy Metal, una potente miscela di punk e hard rock ben rappresentata da gruppi per la maggiore inglesi come Motorhead, Judas Priest e Iron Maiden, caratterizzati da un suono compatto e grintoso; ed il power metal, un ‘metallo epico’ che ha la sua massima espressione nei sempre inglesi Manowar, fautori di un metal coerente e genuino che richiama scenari alla Conan, dove fantasy e battaglie leggendarie s’inseriscono in un contesto on the road dominato da motociclette e procaci fanciulle. Sulla scia dei Manowar nascono una miriade di gruppi, tra cui spiccano i tedeschi Helloween, completamente devoti al fantasy de Il signore degli anelli ed appunto i Running Wild, che a detta del loro leader, richiamano le atmosfere del film Pirati di Roman Polanski (1986): la storia è incentrata sulle azioni comiche e scellerate del temuto pirata Capitan Red che, dopo essersi ritrovato profugo a bordo di una zattera col suo giovane ufficiale francese Frog (Ranocchio), riescono a salpare su di un galeone spagnolo capitanato dal Governatore di Maracaibo Don Alfonso; una volta a bordo Red inizia a mettere discordia nell’equipaggio tanto da convincerlo ad ammutinarsi e JOBOK.EU/USER/ELVIS1979 39 dirigendo così la nave verso un covo di pirati; l’obiettivo del capitano è la conquista del trono d’oro, sottratto dagli spagnoli ad un re azteco, nascosto nei magazzini della nave; il galeone degli ammutinati arriva su una desolata isola abitata solamente da alcuni bucanieri straccioni, che vivono sequestrando nobili dalle navi spagnole chiedendo poi un congruo riscatto; ritrovata la sua vecchia ciurma Red organizza una grande festa sulla spiaggia. Questa festosa atmosfera piratesca è un tipico intro/richiamo alla musica dei Running Wild: ci riferiamo in particolare all’inizio di PORT ROYAL (1988), album in cui la band svilupperà in modo chiaro il cosiddetto Pirate Metal. E’ probabile che se Roman Polanski e Rock’N’Rolf si fossero conosciuti, sarebbe nata una naturale collaborazione per una colonna sonora davvero avvincente che però, con i mezzi di oggi ed un pizzico di fantasia, si può sempre rinnovare: la scena dell’orgia piratesca del film, a base di rum, sghignazzi e maldestri tentativi di stupro, potrebbe tranquillamente essere accompagnata dalla musicalità di questo album. Andando con ordine, l’esordio col tema dei pirati nasce ufficialmente con UNDER JOLLY ROGER (1987) ed è lo stesso cantante a precisarlo: «Dopo aver visto lo straordinario film di Polanski ho deciso che l’immaginario legato ai pirati presente nella pellicola doveva diventare parte integrante nella musica della band. Le primissime canzoni avevano tematiche differenti ma tutto era ancora in uno stato embrionale. UNDER JOLLY ROGER segnò l’inizio dei veri Running Wild, una ciurma di pirati pronti a far casino divertendo le platee di tutto il mondo! Il teschio seduto sulle due ossa era la nostra precisa direzione». Abbandonate infatti le 40 JobOK Magazine tematiche horror/sataniche del periodo iniziale, con quest’album la band crea un personale (non)genere. Il titolo dell’album, come già detto, è un chiaro riferimento alla bandiera tradizionale dei pirati americani ed europei, raffigurata da due tibie incrociate sotto ad un cranio, le cui origini storiche ci riconducono ai corsari inglesi del 1964 ed alla guerra di successione spagnola che alla sua fine, nel 1714, vide molti di essi darsi alla pirateria adottando questo simbolo sulla bandiera. La grafica di UNDER JOLLY ROGER introduce quindi gli elementi tipici pirateschi come il mare in tempesta, un imponente veliero e soprattutto il logo/simbolo dei Running Wild, un Jolly Roger che sostituisce il teschio con una bestia demoniaca con tanto di benda pirata, poggiata sulle due ossa incrociate. All’interno del booklet vediamo i vari componenti della band che, dal tipico chiodo metallaro degli inizi iniziano il travestimento in pirati e sono: il famoso Rock’N’Rolf (voce e chitarra), Thilo Hermann (chitarra), Thomas Smuszynski (basso) e Jorg Michael (batteria). Qui siamo davanti ad un album di heavy metal allo stato brado, in cui questi originali musicisti ci trasmettono un carico d’energia non indifferente, proprio da ascoltare a volume altissimo mentre ci si dimena in un pogo scatenato. Come vediamo già in copertina, il primo elemento che balza agli occhi è il galeone, inteso non solo come imbarcazione a sé stante, ma come contenitore di gloria e vanto dei loro comandanti, simbolo di virtù e dedizione di pirati e corsari. Sull’albero maestro di questi vascelli veniva applicato un simbolo che per l’epoca era vessillo di morte, per l’appunto il popolarissimo teschio con le ossa. Il nostro galeone, quello del capitano Rolf, avvolto dalla tempesta mentre cannoneggia il nemico, spara fuoco e piombo nel pezzo d’apertura Under Jolly Roger: qui troviamo riff di chitarra sparati al massimo sopra una cavalcata di fondo sorretta da una batteria che sembra essere nata apposta per questo magnifico suono delle chitarre; sopra di esse risalta il roco ruggito di Rolf che canta storie di pirati, scontri navali e arrembaggi, accompagnato da un coro e da bordate di cannoni, concludendosi nel finale dai suoni di uno scontro all’arma bianca. Messe da parte le melodie allegre ed alla lunga stancanti dei connazionali Helloween, questi pirati del metal creano una canzone semplice, melodica senza fronzoli ma diretta ed inarrestabile come una palla di cannone; la terza traccia, Diamonds Of The Black Chest, è il pezzo più coinvolgente del lotto, una tipica melodia heavy in cui fanno la differenza degli accattivanti riff distorti. Dal punto di vista testuale viene narrata l’ossessione di un pirata per un leggendario tesoro chiuso in un baule nero (da qui il titolo del brano) che, una volta scoperto essere vuoto, porta il protagonista alla pazzia come si evince dalla risata finale; la cavalcata metallica sotto il segno del teschio passa poi attraverso Raise Your Fist, un incitazione a tutti i metallari di rivoltarsi contro le convenzioni sociali. E’ un inno alla libertà ed all’unione per ogni vero fan che dimostra, oltre all’evocazione di atmosfere piratesche, come l’essere pirati sia anche una metafora di lotta e rifiuto della ‘cattiva legge’ imposta dai benpensanti delle istituzioni. In pratica viene ripercorso quel concetto di True Metal (Fedeltà al Metallo) elaborato dai Manowar che ha, come unica variante, il passaggio dai temi fantasy a quelli prettamente pirateschi dei Running Wild, ben sintetizzato nella frase «Teacher’s Gonna Break Your Balls, Don’t Expect No Fun»? Sempre a proposito dei temi dibattuti riprendiamo un’altra frase di Wolf a proposito dell’album UNDER JOLLY ROGER: «Quando iniziammo i concerti avevamo il palcoscenico allestito con un’ambientazione da nave pirata, tema di gran parte delle canzoni. Eravamo la prima band a suonare vestiti da pirati in un’ambientazione piratesca. Per la stampa fu naturale indicarci come la band heavy metal pirata. Tutto cominciò da questo disco». Lo sviluppo concettuale ed estetico dei Running Wild si avrà l’anno dopo con l’uscita del già citato PORT ROYAL (1988), capolavoro assoluto del power metal sui generis. Partendo come in precedenza dalla copertina, vediamo disegnati in modo rozzo ma efficace i nostri 4 pirati insieme ad un quinto con la maschera simbolo della band, non a caso sotto la bandiera di Jolly Roger. Qui siamo in una locanda che, come dice il frontman Rock’N’Rolf nell’opener, si trova a Port Royal. Questo luogo fu il principale centro di commercio marittimo della Giamaica nel XVII secolo, acquisendo la reputazione di “città più ricca e malfamata al mondo”. Famosa per ricchezza e dissolutezza, si caratterizzava come centro dove pirati e corsari investivano e spendevano tutti i loro averi. In questo periodo gli Inglesi pagarono i bucanieri (i pirati del Mar dei Caraibi) affinché attaccassero le spedizioni navali spagnole e francesi. Distrutta da un terremoto il 7 giugno 1692, la città di Port Royal s’inabissò per due terzi nel Mar dei Caraibi. Nell’intro che introduce l’omonimo brano Port Royal si odono i passi di un corsaro che entra in una delle taverne malfamate della città, seguito dal vocio e dalle risate sguaiate di altri brutti ceffi, indaffarati a confabulare e narrare storie di spedizioni in luoghi sconosciuti. Il disco si caratterizza per la sua immediatezza, risaltata da un grande lavoro di basso e batteria e dai rabbiosi urli metallici delle chitarre che arricchiscono ogni singolo brano. Le passioni di Wolf rappresentano un JOBOK.EU/USER/ELVIS1979 41 compendium di metallo epico: uniformi d’epoca, testi su monaci e cavalieri, le teorie delle società segrete sulla storia del mondo, storie di pirati e romanzi d’avventura. Questo mondo eterogeneo di passioni confluiscono nel settimo album dei Running Wild, intitolato PILE OF SKULLS (1992), in cui predomina in modo definitivo il songwriting del carismatico leader ed è considerato dalla critica come il miglior album della band teutonica. In tema prettamente piratesco, è utile soffermarci sull’ultimo brano del lotto, la fantastica Treasure Island. La canzone non è altro che la rappresentazione in musica dell’omonimo libro del romanziere inglese Stevenson, pubblicato inizialmente a puntate in una rivista per ragazzi e poi in modo definitivo nel 1883. L’isola del tesoro è stata l’opera che ha inventato il genere delle avventure piratesche insieme ai romanzi storici di Daniel Dafoe, uno scrittore britannico indicato da molta critica come il padre del romanzo inglese. Senza il romanzo di Stevenson poche persone oggi sarebbero a conoscenza delle imprese delle ciurme all’epoca dell’Età dell’Oro della pirateria. Gli elementi imprescindibili del libro di Stevenson sono fondamentalmente tre: i pirati, il tesoro sepolto e l’uomo abbandonato sull’isola. L’ispirazione maggiore dei Running Wild deriva dal personaggio di Long John Silver, vero e proprio stereotipo del pirata classico che, grazie al suo carisma, risulta uno dei personaggi più riusciti della letteratura. Questo personaggio si caratterizza per una non comune ambiguità morale che, nel corso della storia, non rende mai evidente la distinzione tra buoni e cattivi. Così mentre gli onesti sono colpevoli di un’eccessiva avidità di denaro, i disonesti (i pirati) sono a volte guardati dall’autore con una certa nostalgia, richiamando alle letture nel periodo dell’infanzia. John Silver assume così, non solo la statura leggendaria del capo, ma diventa personaggio positivo e chiave di volta dell’azione, uno storpio che comanda e terrorizza chi storpio non è. La canzone Tresaure Island si apre con una voce narrante che introduce una mappa, la stessa disegnata da Stevenson al proprio figliastro Lloyd (vera ispirazione dello scrittore nella stesura del romanzo), che rappresenta in modo dettagliato l’isola dove è 42 JobOK Magazine sepolto il tesoro. Inizialmente elaborata da Lloyd, la mappa viene colorata ed arricchita di luoghi misteriosi e affascinanti: l’isolotto dello scheletro, il Monte Cannocchiale e le Tre Croci Rosse. Basta guardare la copertina di PILE OF SKULLS per cogliere delle suggestioni: una piramide di ossa accatastate in un tempio con simbologie esoteriche e piratesche, ed una spada incrociata ad un cannone sotto un arcata illuminata. La canzone è una lunga cavalcata nel tipico stile della band, un heavy metal classico che si distingue però dal resto dell’album per una maggiore variazione dei ritmi, un brano che inizia con un evocativo riff di chitarra seguito da un movimento convincente che esplode nel finale con uno degli assoli più belli nella storia dei Wild. E’ curioso notare che sul personaggio di Silver si erano già soffermate in precedenza due note band degli anni Sessanta, ovvero Jethro Tull e Jefferson Airplane. I primi, un gruppo progressive rock inglese originario di Blackpool fondato dal polistrumentista scozzese Ian Anderson nel 1967, in Mother Goose citano il famoso pirata. Il brano fa parte di uno degli album più celebri della storia della musica, ovvero AQUALUNG (1971). Il testo è un pasticcio di immagini e suggestioni colte da Anderson mentre girovagava ad Hempstead Heath, un grande spazio verde pubblico nel nord di Londra; più chiaro è il riferimento dei Jefferson Airplane, che nel 1972 intitolano un loro album e la conseguente canzone LONG JOHN SILVER. Si tratta in questo caso di un gruppo rock americano di San Francisco formatosi nel 1965, punto di riferimento della fiorente scena musicale psichedelica che si sarebbe sviluppata proprio in quegli anni. In questo caso il testo della canzone parla più diffusamente del nostro pirata, anche se per questione di generi siamo davvero lontani dalla musicalità dei Running Wild. I pirati saranno anche in seguito presenti nei lavori di questa band, anche se in modo inevitabilmente meno originale e spesso ripetitivo. Non possiamo però non ricordare, prima di chiudere, due altre perle dei Wild: Pirate Song e Bloody Island. La prima è inserita nel notevole THE BROTHERHOOD (2002) e si mostra sin dall’inizio trascinante e potente. Il coro ivi presente è il più riuscito dell’intero lavoro, una sensazione d’energia davvero unica che celebra in modo inequivocabile il mondo dei pirati, un pezzo che vale da solo l’acquisto dell’album; su Bloody Island, presente nell’ultimo RESILIENT (2013), c’è poco da dire, se non che si tratta di un omaggio alla più nota Tresaure Island, di cui mantiene sia le atmosfere musicali che le suggestioni del testo ‘letterario’. Siamo in ogni modo davanti ad una canzone coraggiosa ed impegnativa, un episodio isolato in un disco sempre grintoso ma lontano dai fasti del passato. Sulla scia dei Running Wild nascono nel 2004 gli Alestorm, una band power metal scozzese che, rispetto ai più noti tedeschi, aggiunge una forte dose di folk nel tipico power metal, presentandosi alla critica con un altrettanto rinnovato genere musicale, il True Scottish Pirate Metal. La band, fondata dal cantante/tastierista Christopher Bowes, si compone di altri 5 scanzonati musicisti che giocano a fare i pirati e divertendo le platee durante i loro concerti. Qui siamo su un piano più goliardico e molto meno epico dei Wild, ma dal punto di vista musicale gli scozzesi propongono una miscela davvero interessante. Il disco di riferimento, per neofiti ed appassionati è sicuramente l’ultimo SUNSET ON THE GOLDEN AGE (2014), che definisce in modo più marcato il sound e le tematiche, sempre più incentrate su pirati dal grado alcolico elevato pronti a fare da guastafeste solcando i sette mari. Il concept è piratesco sin dalla copertina, un chiaro omaggio a quella più vintage di UNDER JOLLY ROGER, dove c’è sempre un galeone pirata che naviga su un mare in tempesta. Spicca in questo album l’immediatezza dei suoni, sottolineata da cori maestosi ed un utilizzo davvero evidente delle tastiere, oltre ad un magnetismo vocale che dà quel tocco di originalità che altrimenti verrebbe meno. Sempre scanzonati e devoti al ‘pirate sound’ sono i milanesi Calico Jack, chiaramente ispirati all’omonimo pirata britannico, un tale di nome John Rackman ma conosciuto da tutti come Calico Jack. Egli è noto soprattutto per aver inventato il classico Jolly Roger, la bandiera pirata per eccellenza. La sua personale consisteva in un teschio poggiato su due sciabole incrociate. La band nasce a Milano nel 2011 da un idea dei fratelli Toto (chitarra ritmica) e Caps (batteria) con l’intento di fondere il metal anni Ottanta col più recente folk scandinavo, il tutto avvolto da un’atmosfera marinaresca che s’ispira a canzoni popolari e canti marinari della tradizione anglosassone. La ciurma si completa col violinista Dave, il cantante Giò e il bassista Ricky Riva. Dopo poco si unisce al gruppo anche Melo (chitarra solista). Dopo un demo piuttosto acerbo, i nostri connazionali realizzano un EP di 4 tracce intitolato PANIC IN THE HARBOUR, mettendo ora in risalto una maggiore capacità compositiva ed una produzione adesso all’altezza. Come nel caso degli Alestorm, siamo anche qui davanti ad un folk metal a tinte forti ma ci sono tre grandi differenze: la voce dei Calico è molto più aggressiva dei colleghi scozzesi, un tipico growl death metal; l’uso del violino e più in generale la ritmica complessiva è decisamente più qualitativa rispetto agli Alestorm; la musica e i testi dei Calico sono meno demenziali, distinguendosi per una varietà d’influenze davvero notevole (folk, power, thrash, death, heavy metal classico). Che siate o no appassionati dei Running Wild e che vi piacciano o meno le avventure dei pirati, i Calico Jack sono sempre pronti ad accogliervi, sempre se sarete disposti ad offrir loro rum o birra durante un loro show. Elvio Degli Agli JOBOK.EU/USER/ELVIS1979 43 A rguto, spregiudicato, affascinante… chi non ha mai sentito parlare del Capitano Jack Sparrow uno dei personaggi più riusciti e più noti del poliedrico Johnny Depp. L’esilarante protagonista di Pirati dei Caraibi ha velocemente soppiantato nell’ immaginario collettivo altri noti colleghi, da Barbanera a Capitan Uncino, diffondendo velocemente una vera e propria “corsaro-mania”. Ma, allontanandoci per un momento dalla grande produzione cinematografica americana, la storia è ben diversa e i pirati non sono esattamente fascinosi come Jack né tantomeno possiedono la sua stessa verve. Noti sin dall’ antichità, i pirati non erano altro che disertori, delinquenti, contrabbandieri ed evasi che abbordavano, depredavano e spesso affondavano le altre navi. A muovere le loro gesta era sì, il sogno di libertà e avventura ma anche, la possibilità di ottenere una ricchezza facile e veloce spesso grazie ad accordi segreti con i corrotti governatori del Nuovo mondo del XVI secolo. Fin troppo romanzati da lettura e cinematografia, anche il loro abbigliamento era in realtà molto diverso da quello che siamo abituati a pensare; indossavano spesso pantaloni alla zuava piuttosto ampi in modo da potervi nascondere i bottini che riuscivano a racimolare dagli assalti alle navi e un cinturone in cuoio sulla spalla in cui riporre pugnali, polvere da sparo e munizioni. Ad ogni modo, fedele o meno allo stile originale, il “piratesco” nel corso degli anni ha spopolato anche sulle passerelle dell’ Haute Couture con le collezioni degli stilisti più estrosi come Vivienne Westwood e il compianto Alexander McQueen fino ad arrivare allo “street style” che come al solito mixa alla perfezione gli stili più particolari ed inconsueti con capi quotidiani, creando un vero e proprio mood a cui ispirarsi ogni giorno; ad esempio abbinando i vostri jeans preferiti a cuissard in pelle, ad una camicia bianca in lino e grossi cerchi dorati ai lobi potrete avere subito un’aria da corsaro di città. Anche una gonna lunga nera, abbinata a una camicetta in denim, magari annodata in vita, e un semplice foulard sul capo a mo’ di bandana vi aiuterà a realizzare un look piratesco molto chic. Molti sono gli elementi che possono aiutarvi a creare un outfit perfettamente in tema: anelli, collane, bracciali con ancore e teschi del tipico vessillo pirata, sciarpe, cinturoni in cuoio, top crop, giacche e cappotti lunghi con particolari applicazioni sulle spalle e ancora non sottovalutate corpetti stringati e gilet scamosciati o in pelle. Potrete cosi realizzare un look perfetto per occasioni informali, aperitivi, feste in spiaggia e serate particolari per sentirvi sempre “ parte della ciurma”. Emanuela Piacente JOBOK.EU/USER/MILA 45 ANTIPASTO DI SARAGO Il mio papà, che ieri è andato a pesca, mi ha portato a casa questi pescetti poco più grandi di quelli che userei per fare una frittura, tra i cefali di varie piccolezze trovo un saraghetto piccino picciò e lo sfiletto. PROCEDIMENTO Disponiamo la purea, preparata semplicemente grattugiando la mela, a specchio, il micro-filetto arrotolato e guarniamo con i fiori di basilico (nel caso non si avessero i fiori, una fogliolina piccola andrà bene ugualmente). Se non disponete del sarago, potrete usare filetti di triglia o di orata taglio carpaccio. INGREDIENTI Per ogni cucchiaio 1 micro-filetto di un mini-sarago 1 cucchiaino di purea di mela granny-smith 1 infiorescenza di basilico Il pesce deve essere freschissimo. Questo cucchiaio speciale è un ottimo antipasto per giorni ancora più speciali! JOBOK.EU/USER/EDOARDOMASSA 47 Questa rubrica descrive, analizza e valuta la qualità, il significato, e l'importanza di un libro, non è un angolo critico, ma solo il pensiero di chi come voi ama leggere L'Isola del Tesoro L’ di Robert Louis Stevenson isola del tesoro (Treasure Island), pubblicato inizialmente a puntate sulla rivista per ragazzi Young Folks col titolo The Sea Cook, esce in versione completa nel 1883. Scritto dal celebre romanziere scozzese Robert Louis Stevenson, autore nel 1886 dell'altrettanto celebre romanzo gotico Dr Jekyll and Mr Hyde, quest'opera rappresenta ad oggi la fonte d'ispirazione primaria per la cultura pop tout court (libri, cinema e serie televisive). Lo scrittore inizia la stesura de L'isola del tesoro per intrattenere Lloyd, il suo giovane figlio adottivo, appassionato di avventure in mare e di pirati. Insieme elaborano una meravigliosa mappa costituita da tre elementi fondamentali: l'Isolotto dello Scheletro, il Monte Cannocchiale e le Tre Croci Rosse.Molta critica accosta L'isola del Tesoro a due romanzi d'avventura: The Coral Island (L'isola di corallo, 1871) del connazionale Robert Michael Ballantyne e The Pirate (Il pirata, 1836) di Frederick Marryat, ufficiale navale e tra i primi romanzieri inglesi che sfruttano in ambito letterario la loro esperienza di mare. Pervaso fin dall'inizio da un'atmosfera cupa e nebbiosa, manifestata dal clima dei luoghi e dai timori del protagonista (nonché voce narrante) Jim Hawkins, il giovane figlio dei proprietari della locanda 'Ammiraglio Benbow', L'isola del tesoro costruisce l'estetica tipo del pirata attraverso due controverse figure, il vecchio Capitano Billy Bones e Long John Silver. Il primo è un vecchio marinaio che soggiorna, all'inizio della vicenda, presso la locanda gestita dalla famiglia di Jim. Malato e fisicamente debilitato, è preso da forti scoppi d'ira quand'è ubriaco, cioè quasi ogni giorno. L'unico con cui riesce a parlare con tranquillità è solo Jim. È lui il possessore della mappa che mostra la posizione del famoso tesoro nascosto sull'isola. L'abbigliamento e gli accessori del capitano sono l'emblema del pirata classico: uniforme blu, cappello a tricorno, guancia sfregiata con una vistosa cicatrice, il codino penzolante ed incatramato, un baule che poi si scoprirà contenere la mappa del tesoro elaborata da Stevenson col suo figlioccio; Long John Silver è invece il vero antagonista di Jim ed anche il personaggio più approfonditamente sviluppato. La sua personalità è in parte oscura ed i suoi atteggiamenti risultano spesso contraddittori: a volte si comporta come un capo spietato, altre come un amico sincero e fedele. È inoltre l’unico personaggio del quale Stevenson ci fornisce informazioni sull’età, l’aspetto fisico e la sua storia; non a caso risulterà il personaggio dal quale verrà tratta maggiore fonte d'ispirazione per altre famose figure, come Peter Pan e, soprattutto quella più recente di Jack Sparrow del film La maledizione della prima luna (Gore Verbinski, 2003). Il personaggio di Long John Silver viene utilizzato dall'autore per descrivere la forza dell'ambiguità morale, in quanto si mostra non del tutto buono ma neanche completamente cattivo. Alla stregua di Bill, anche Silver possiede alcuni dei tratti caratteristici del pirata dalla dubbia moralità: gamba sinistra tagliata fin sotto l'anca, alto e robusto, una faccia larga e scialba caratterizzata da un volgare sorriso che lo rende unico nel suo modo di essere e di agire. È il cuoco di un'osteria (da qui il titolo iniziale Sea Cook) e, solo leggendo il romanzo, si possono cogliere le sfumature e la profondità d’introspezione operata da Stevenson. L'isola del tesoro, al di là dei tanti singoli personaggi, è per il lettore un vero e proprio viaggio ai confini del mare e del tempo, come tante volte descrive l'impavido Jim: «Il mare riempiva i miei sogni con le più deliziose visioni di strane isole e avventure». Soprattutto nel momento della caccia al tesoro, oltre ad essere esplicitato il genere avventuroso, vengono introdotti quegli elementi che Stevenson svilupperà in seguito, ovvero: lo humour nero, le atmosfere gotiche, le visioni dei protagonisti alla vista di 'oscure presenze'. Titolo: L'Isola del Tesoro (titolo originale Treasure Island) Autore: Robert Louis Stevenson Anno di pubblicazione: 1883 Edizione: Mondadori, Oscar Classici 1991 (Nuova ed. 2013 con l'introduzione di Emma Letley e postfazione di Henry James) 278 p., € 9,50 Oppure si consiglia anche edizione Einaudi, 2014, 246 p., traduzione di Bocchiola M., € 19,50 (disponibile e-book a € 4,99) Elvio Degli Agli JOBOK.EU/USER/ELVIS1979 49