Pirati - Gianluca Tenti

Transcript

Pirati - Gianluca Tenti
PIRATI_magus_PB
9-06-2007
9:39
Pagina 138
PIRATI_magus_PB
12-06-2007
9:53
Pagina 139
Moderne scorrerie
La filibusta è ancora tra noi. Non usa sciabole o
cannoni, ma sofisticati strumenti finanziari. Perché
ora la sua forza è quella, subdola, del potere occulto
NUOVI PIRATI
138
LUGLIO 2007
GRAZIA NERI
CONTRASTO
GRAZIA
NERI
NEL FILM «PIRATI» (FRANCIA, 1986), WALTER MATTHAU (1920-2000) INTERPRETA UN AVVENTURIERO CHE, CATTURATO DAGLI SPAGNOLI, ROVESCIA LA
SITUAZIONE GRAZIE ALLA FURBIZIA. A FIANCO, DUE PROTAGONISTI DELLA SAGA CINEMATOGRAFICA DEI «PIRATI DEI CARAIBI»: KEIRA KNIGHTLEY E GEOFFREY RUSH.
CONTRASTO
ALL’ARREMBAGGIO
[ DI
GIANLUCA TENTI
]
LUGLIO 2007
139
PIRATI_magus_PB
8-06-2007
17:15
Pagina 140
q
PIRATI_magus_PB
7-06-2007
15:20
Pagina 141
Moderne scorrerie
Il bottino? Non erano i dobloni, ma balle di seta,
barili di tabacco, polvere da sparo, rum. E schiavi
Quando arrivano certe notizie in redazione il tempo si ferma. È un
frammento d’eternità che fugge come un granello nella clessidra della vita. Un momento che non torna più, eppure lascia il segno. Correva l’anno 2001, addì 6 del mese di dicembre. L’agenzia batteva così: «Peter Blake, domatore di Luna Rossa, ucciso dai pirati sul Rio
delle Amazzoni». Lo ricordo bene. E stanotte, mentre l’afa e l’umidità mi fanno sentire come sul Rio delle Amazzoni, penso alla
fine ingloriosa del capitano dei mari. Ai «ratos de agua» (i topi d’acqua), come vengono chiamati i pirati che infestano le acque dalle
parti di Macapá. Ripenso alle notti di Luna Rossa, ma anche al
Moro di Venezia. Alle sfide del mare, il moto eterno. Non
sono un esperto di vela, a malapena so riconoscere un
maestrale. Ma le storie di mare mi hanno sempre appassionato. Quelle storie fatte di mani tagliate
dalla corda, di rughe bruciate dal sole e cesellate dal salmastro. Storie di uomini veri.
Ci penso perché tra poche ore Luna Rossa sfiderà ancora New Zealand per la Louis Vuitton
Cup (e quando uscirà questo pezzo forse tutto sarà finito). Ci penso perché Franz, con quel suo
modo di fare da corsaro, mi ha teso la solita
trappola: «Facciamo un pezzo sui pirati». E io, alla fine, sono quello che sa resistere a tutto, tranne che
alle tentazioni. Così eccomi qui. Davanti allo schermo
del computer, illuso navigatore di una vita virtuale. Vogliamo parlare di pirati? E allora parliamo di pirati, ma squarciando il velo romantico e fallace di prototipi fasulli creati dal mito cinematografico. Perché i pirati di tutto erano (e sono) capaci, meno che di romanticismo. Come sa bene chi ha amato Peter Blake.
Il domatore del mare, l’uomo che ha fatto il giro del mondo in meno di 80 giorni, senza mai scendere dalla barca, in onore di Jules Verne. L’eroe di Nuova Zelanda. Che a 53 anni era già una leggenda,
nata in quella Auckland ignota ai più fino a una dozzina d’anni fa.
Poi no. Perché ci sono storie come la Coppa America che fanno sognare. E ci sono vittorie a incorniciarle. E lui quella Coppa l’aveva conquistata due volte. La prima da skipper, la seconda da capo
del sindacato di New Zealand, la barca che ruppe il sogno di Luna Rossa nel 2000. Amava il mare. Lo hanno ucciso a bruciapelo,
in una rapina che ha fruttato un motore fuoribordo. Un orologio.
Un pugno di dollari. Lo hanno ucciso i ratos de agua. Anche se aveva i suoi calzini rossi sul Sea Master (nuovo nome del veliero Antarctic Explorer), quelli portafortuna che non abbandonava mai, lui
che era iniziato ai riti maori. Lui che era baronetto di Sua Maestà.
Vogliamo parlare di pirati? E allora parliamo di pirati, dividendoli dai corsari che sono altra cosa. Perché in acqua scendevano entrambi, ma con finalità diverse. E non basta una bandana per descriverlo. Perché Raul Gardini non era un pirata sul suo Moro di
Venezia anche se ha deciso di uscire di scena in quel modo. Perché
Patrizio Bertelli non è un pirata sulla sua Luna Rossa. Perché Silvio Berlusconi non è un pirata se va in piazza con Tony Blair mettendosi la bandana (e stuzzicando gli ultras del Livorno che a San
Siro andarono tutti con la bandana). Perché Flavio Briatore non è
un pirata sulla tolda della flotta Renault. No, loro sono corsari. I pirati, come vedremo, sono altri. Ma procediamo con ordine. Perché
c’è una bella differenza tra pirati e corsari. Non lo dico io. Lo riferiscono i giornali di bordo dei secoli andati. Quelli sui quali era
annotato tutto, con quelle calligrafie incerte, con quelle parole
vergate al ritmo delle onde su fogli ingialliti e pesanti. E allora diciamo la verità, diciamo che il bottino non erano
gli scrigni pieni di dobloni, ma qualche balla di seta
o di cotone. I barili di tabacco e polvere da sparo.
Le cime per l’ancora. Qualche vela. Il rum. E gli
schiavi. Sì, i pirati portavano davvero quelle fasce (o grandi fazzoletti) legate attorno al capo.
Ma non era un’uniforme. Era l’unico modo per
ripararsi dal sole che batteva a mezzogiorno. Bisogna esserci stati sotto lo zenit nel Mar dei Caraibi per capirlo. Avevano la bandana e pure la
benda sull’occhio, se è per questo, perché in
quegli scontri, a colpi di spada e di moschetto, ci
stava pure di perdere un’orbita. Avevano la parrucca, provento di qualche saccheggio, ed erano armati fino ai denti.
Con pistole e coltelli. Perché la pirateria, a differenza della visione letteraria, non era un gioco. Non lo è mai stata. Come il saccheggio, scrive David Cordingly nella sua Storia della pirateria (c’è
una recente versione della Mondadori), dipendeva dall’uso della forza e dalla minaccia. E gli attacchi, tutti gli attacchi, erano accompagnati sempre da violenza, tortura e morte. Lo scoprì un certo John
Turner, primo nostromo della Tay: fu catturato dai pirati cinesi nel
1806 e tenuto in prigionia per cinque mesi.
Riferì di esser stato gettato, dopo ripetute torture, in uno spazio di
1 metro e 20 per 45 centimetri. Tutti i giorni. A piacimento dei pirati che avevano preso possesso della sua nave sbudellando l’ufficiale sottocoperta, strappandogli il cuore prima di inzupparlo d’alcol per mangiarselo. Questi sono i pirati. Anche se sullo schermo
impazza Johnny Depp, che è un brav’attore della Disney. Ma il pirata era, ed è, altra cosa. Pirata, scrive Cordingly, era chi ruba e saccheggia in mare. In qualsiasi mare, non solo ai Caraibi. Sotto il regno dei Tudor, per esempio, le coste meridionali dell’Inghilterra erano infestate da contrabbandieri e pirati. E un gruppo di olandesi,
riporta il libro, chiamati «Accattoni del mare» (Watergeuzen),
contribuì alla liberazione dei Paesi Bassi dagli spagnoli. Altro pane rispetto ai corsari. Ai marinai, cioè, di vascelli armati che si muovevano sotto il comando di un ufficiale autorizzato ad attaccare.
FOLGORATA DAL SUCCESSO CINEMATOGRAFICO, ANCHE LA GIOIELLERIA HA RISCOPERTO IL GUSTO PER I MONILI PIRATESCHI. NON È IL CASO DI DIOR, CHE PROPONE
CIONDOLI «A TEMA» DA TEMPI NON SOSPETTI. SOPRA, UN CIONDOLO DELLA COLLEZIONE «TÊTE DE MORT» IN ORO BIANCO E DIAMANTI (PREZZO SU RICHIESTA).
140
LUGLIO 2007
SIR PETER BLAKE (1948-2001), VINCITORE DELLA COPPA AMERICA NEL 1995 E 2000 COL TEAM NEW ZEALAND, È UNA VITTIMA DELLA PIRATERIA MODERNA:
VENNE ASSASSINATO IN BRASILE DA UNA BANDA DI CRIMINALI NOTA COME «RATOS DE AGUA», MENTRE ERA A BORDO DEL SUO VELIERO «SEAMASTER ».
LUGLIO 2007
141
PIRATI_magus_PB
7-06-2007
15:21
Pagina 142
PIRATI_magus_PB
8-06-2007
17:16
Pagina 143
c
Moderne scorrerie
142
LUGLIO 2007
CORBIS - GRAZIA NERI - LA PRESSE - OLYCOM -
QUATTRO MODERNI CORSARI COME PATRIZIO BERTELLI, RAUL GARDINI, FLAVIO BRIATORE E SILVIO BERLUSCONI INCARNANO LA CAPACITÀ DI SOLCARE I MARI DEGLI
AFFARI CON DESTREZZA, SENZA INCORRERE NEGLI ECCESSI TIPICI DELLA PIRATERIA. GLI ANTICHI CORSARI, INFATTI, AGIVANO SOTTO L’EGIDA DI UN MONARCA CHE
LI AUTORIZZAVA AD ATTACCARE LE NAVI NEMICHE, ED ERANO QUINDI DOTATI DI UNA PATENTE DI LEGALITÀ. BEN DIVERSI I PIRATI VERI E PRO PRI, COSÌ IERI COME
OGGI. IN ALTO, A SINISTRA, L’EFFERATO BARBANERA (EDWARD TEACH, 1680-1738); A DESTRA, UN DIPINTO DI CHARLES PADDAY (1889-1947). IN BASSO, AI LATI,
DUE DIPINTI DI HOWARD PYLE (1853-1911). AL CENTRO, L’IMPERDIBILE LIBRO «STORIA DELLA PIRATERIA» DI DAVID CORDINGLY (OSCAR MONDADORI, 9,40 EURO).
CORBIS - GRAZIA NERI - LA PRESSE - OLYCOM -
I pirati non sono i Berlusconi, i Bertelli, i Briatore
e i Gardini: loro sono corsari nel mare del business
Come? Attraverso un documento fondamentale, chiamato «Lettera
di corsa». E corsari erano coloro che obbedivano a un ordine scritto. Un ordine di «corsa e rappresaglia». Così, corsari furono gli uomini della Barberia che nel Mediterraneo intercettavano le navi cariche che passavano per lo stretto di Gibilterra o cercavano di raggiungere Venezia e Alessandria d’Egitto. Le attaccavano con galere
spinte da remi e vele. Poi usavano merci e ostaggi come scambio.
E se il Mare Nostrum era questo, non meraviglia sapere che i più
feroci bucanieri dei Caraibi arrivavano dai porti francesi. Mentre
i corsari di Dunkerque minacciavano le navi nel Canale della Manica. E il loro capitano più conosciuto rimarrà per sempre Jean Bart, responsabile della cattura di almeno 80 navi; in
seguito si arruolò nella marina francese, finché nel 1694 re Luigi XIV gli conferì addirittura il titolo nobiliare. Tutti i mari
erano terra di conquista e battaglia.
Anche il Mar Rosso e il Golfo Persico. Anche la costa indiana di Malabar, patria dei Maratha che, guidati dalla
famiglia Angria, saccheggiavano la flotta della Compagnia delle Indie orientali. Mentre attorno al Borneo e
alla Nuova Guinea dominavano i pirati filippini Ilanun, con grosse galere ed equipaggi di 40 o 60 uomini.
Ma questo è niente in confronto ai pirati del Mar Cinese:
all’inizio del XIX secolo contavano 40mila unità; dal
1807 furono guidati addirittura da una donna: la signora Cheng, un’ex prostituta di Canton. Fin qui la verità
storica. Anche se poi la mente sogna navigando tra le pagine della Storia generale dei pirati, firmata da un non meglio identificato Capitano Johnson. Ed ecco allora affiorare terre della leggenda: Portobello, Panama. Correva
l’anno 1724 quando a Londra, nella libreria di Charles Rivington
apparve un piccolo volume in ottavo. La Storia generale delle rapine e degli assassinii dei più celebri pirati. A quella si ispirarono, negli anni, i vari Walter Scott e Stevenson. Da lì presero forma i fantasmi di Long John Silver e Capitan Uncino.
Che erano sì predoni, ma apparivano «ingentiliti» eredi di una
tradizione, tutta piratesca, della quale non rimase immune neppure Giulio Cesare. Già, l’imperatore. Quando finì nelle mani dei pirati era un giovane di buone speranze. Si era nascosto in Bitinia per
fuggire alle ire di Silla che lo voleva morto. I pirati lo presero nei
pressi di un’isola chiamata Pharmacusa, ma per lui ebbero rispetto: vestiva, del resto, una toga color porpora, doveva essere per
forza uno importante. Chiesero un riscatto di 20 talenti, lui sorrise e propose di alzare la posta fino a 50. Ci cascarono. Dopo trentotto giorni la pecunia era nelle mani dei pirati. Il giovane Cesare
fece rotta nel porto di Mileto, attrezzò una squadra di navi, tornò
nella zona dove aveva lasciato i balordi, si riprese il denaro e li mise in prigione. Poi ne ordinò l’esecuzione. Ma passiamo oltre. E cer-
chiamo di capire ruoli e definizioni del gran gioco del mare, che non
era certo quello delle «mappe del tesoro». Iniziamo dai bucanieri.
Il termine, utilizzato a fine ’600 nei Caraibi, è un derivato dal
francese «boucanier»: indicava i cacciatori di frodo che affumicavano la carne su una graticola di legno (metodo importante per i puristi, considerato che era detto «barbicoa», oggi normalizzato in barbecue). Furono i coloni inglesi che dominavano la Giamaica a
usare il termine «boucanier» per indicare i pirati che infestavano porti e mari della zona. E nel 1684 Alexandre Exquemelin scrisse il libro The Buccaneers of America. All’inizio questi pirati ebbero
come basi isole-città leggendarie: Hispaniola, Tortuga e Port
Royal. E combattenti come Francesco Nau detto l’Olonese
( Jacques Jean David Nau): che, nato a Les Sables-d’Olonne
nel 1634, perì nel 1671 sulle coste della Colombia. Per lui, essere un bucaniere fu un riscatto. Lavorò, infatti, adolescente sotto un piccolo proprietario terriero sulle coste
della Martinica. Poi raggiunse Hispaniola dove, impressionato dai loro racconti, si unì a un gruppo di bucanieri. Fu abile, l’Olonese. Si meritò in nave il rispetto dei
compagni, ma anche quello del governatore francese
dell’isola di Tortuga, monsieur de La Place, che lo mise
a capo di un «piccolo legno» per combattere la flotta spagnola. Lo chiamarono «flagello delle navi spagnole»,
anche se una tempesta disperse la sua nave (e il suo favoloso tesoro) nei pressi dello Yucatán.
A Tortuga ottenne dal governatore una nuova nave. Si diresse lungo le coste del Campeche dove perse quasi tutto l’equipaggio che fu catturato (con forti perdite) dagli
spagnoli... Riuscì a fuggire rubando una nave nemica.
Nelle ore successive, al largo delle coste cubane, con due canoe e 25
uomini catturò un vascello spagnolo con 90 marinai a bordo: di questi uno solo ebbe salva la vita. Perché proprio lui doveva riferire al
governatore spagnolo dell’Habana che l’Olonese avrebbe dedicato la vita alla pirateria e non si sarebbe fatto catturare vivo. Tornò
poi all’isola Tortuga dove, assieme a Michele le Basque («il Basco»)
costituì una piccola armata: otto navi e 650 uomini. Il suo territorio di caccia fu segnato sulle mappe dalle parti del golfo del Venezuela. Tra i colpi più audaci passerà alla storia la conquista del porto di Maracaibo, prima di prendere Gibraltar.
Pesos, gemme, seta, schiavi e mucche furono il bottino delle sue gesta. L’Olonnais, così riportano i giornali di bordo, era famoso perché torturava le vittime squarciando loro il petto, estraendone il cuore per poi mangiarlo. Nessun romanticismo. Neppure sulla sua fine. La giustizia divina aveva in serbo per lui un payback: sorpreso
da una tempesta, l’Olonese finì con l’unica nave che gli era rimasta sugli scogli di Pearl-Key; con i resti costruì una zattera, risalì il
fiume San Juan dove fu sconfitto dalle tribù indigene.
SE IL MODERNO STILE PIRATESCO FA PER VOI, È NECESSARIO PRESTARE ATTENZIONE ANCHE AI DETTAGLI: PANAMA 1924 DI BOELLIS (SOPRA) È UN’EAU DE
TOILETTE REALIZZATA A GRASSE, IN PROVENZA, DALLA PROFUMAZIONE DECISA GRAZIE ALLE NOTE DI TABACCO, VANIGLIA E AGRUMI (100 MILLILITRI, 79,50 EURO).
LUGLIO 2007
143
15:21
PIRATI_magus_PB
Pagina 144
Alla fine, fu catturato sulle coste del golfo di Uraba. Da un gruppo di cannibali. C’è poi un’altra storia di bucanieri che merita di esser conosciuta. È quella di Henry Morgan (1635), gallese di origine
che fu prima schiavo, poi corsaro e infine governatore di Giamaica. Proprio così. Morgan, che era stato rapito a Bristol e venduto
in un mercato portuale dei Caraibi come «manovale di contratto»,
divenne bucaniere nel 1659 compiendo il primo saccheggio a Santiago di Santo Domingo. Nel 1664, secondo atti ufficiali, ricevette la «lettera di corsa» nell’isola di Giamaica (uno zio, vicegovernatore di Port Royal, gli regalò una nave). Ma anche se è acclarato che saccheggiò Puerto Principe di Cuba, Puerto Bello,
Maracaibo e Panama, Morgan
rimase sempre, essenzialmen-
Il codice
te, un corsaro. Tanto che dopo la conquista dell’isola di Santa Catalina (la guerra di corsa era divenuta nel frattempo illegale) fu arrestato e, per «esigenze diplomatiche», condotto a Londra prima di
tornare a Port Royal con un alto incarico: combattere la pirateria.
Questo impegno gli valse il titolo di governatore di Port Royal dove morirà e verrà sepolto con funerali descritti dalla stampa dell’epoca «grandiosi». Ho fatto questi due riferimenti per marcare la
differenza, pur tra bucanieri, tra le due «carriere»: piratesca quella
dell’Olonese, corsara quella di Morgan. Eppure sempre di bucanieri
si tratta. Sempre di «fratelli della costa» che attaccavano le navi francesi e spagnole nelle Indie Occidentali. Non solo.
Ritenendoli utili alleati, l’Inghilterra li assoldò per attaccare la rivale Spagna, legalizzando così le loro incursioni. Creando così i nuovi mostri. Per questo la loro base, Port Royal, finì con l’essere la città più fiorente dell’area. Qui si sviluppò la loro potenza. La loro «legge» prevedeva come il capitano fosse eletto dalla ciurma, che poteva addirittura rimpiazzarlo. Perché per essere capitano un uomo
doveva dimostrare di aver doti di leader e combattente. Doveva cioè
lottare al fianco dei suoi uomini, non dare ordini «da lontano». E
anche il bottino, poi, veniva diviso sulla base dei rischi effettivamente
corsi nelle missioni. Anche tra i pirati c’erano però alcune regole:
per esempio, pare liberassero (se non necessari a qualche impresa
immediata) gli schiavi trovati sulle navi catturate. E al loro interno, questa comunità che doveva convivere lunghi periodi di mare
aperto e stenti, sviluppava un grande spirito di corpo col quale riusciva a vincere le battaglie. C’erano poi i «filibustieri» (dal francese filibustirs, «saccheggiatori»), assai simili. Ma i corsari erano decisamente altra cosa. Se il pirata era colui che saccheggiava e rubava
in mare, cioè un fuorilegge, il corsaro era chi (a bordo di un vascello
LUGLIO 2007
15:38
Pagina 145
sivi. «Quest’estate vestiremo alla corsara», titolerebbero i soliti periodici, pronti a sfruttare la scia di Jack Sparrow e del film Pirati dei
Caraibi ai confini del mondo. Con le chiome rasta, gli occhi truccati e le movenze feline. Dal guardaroba di qualche stagione fa, spiegano gli immancabili guru della comunicazione, riemergono «corsetti stringati e camicie bianche romantiche, con maniche sbuffanti
o scampanate. Gonne lunghe in candido cotone batista e pizzo Sangallo tornano di moda abbinate agli stivali versione estiva, in tela
denim o pelli sfoderate. Pantaloni e magliette a righe che prima facevano tanto stile crociera, ora si portano a tutte le ore del giorno
anche in città. La gioielleria ha riscoperto un certo gusto horror per
ciondoli e anelli a forma di teschio. Dior li propone da tempo in oro
bianco e brillanti, ed è già caccia a più economiche copie non griffate. Tornano anche gli orecchini a cerchio in oro o argento e di tutte le dimensioni, fino a quelli sottili e giganti. Infine, imperversa-
armato e autorizzato) era impegnato a catturare navi di nazioni ostili. Tanto che se i corsari venivano catturati, sottostavano alle norme del Diritto bellico marittimo (imprigionati come prigionieri di
guerra), mentre i pirati finivano «impiccati alla varea del pennone
di un fuso maggiore», come memento per il resto
della ciurma. Ho citato questi elementi
per far capire quanta differenza corra tra il comune pensare attorno alla figura dei pirati
e la storia di uomini votati al
mare e agli arrembaggi. Furfanti, si dovrebbe dire. Altro
che miti letterari come Barbanera e Capitan Kidd. Altro che
di condotta
Il Corsaro di Lord Byron. Altro che L’isola del tesoro di Robert
Louis Stevenson. Altro che la canzone «Yo-ho-ho e una bottiglia
di rum». Altro che figure come il Long John Silver cinematografico nei volti di Robert Newton, Orson Welles e Charlton Heston.
Certo, alcune immagini hanno una comunanza con la verità. Non
erano pochi, del resto, i pirati costretti a muoversi con la gamba di
legno, appoggiandosi a una stampella di legno. Ma questo era il risultato di scontri fisici, oltre che di bordate di cannone tra navi contrapposte. Questo era il frutto di una vita di mare vero, che pure rivive nelle pagine poetiche di Stevenson, in descrizioni che ti trasportano in una dimensione spazio-temporale sospesa. Passaggi come la descrizione della nave Hispaniola in mare, che «rolla con gli
alisei in poppa, immergendo di tanto in tanto il bompresso tra una
nube di spruzzi». Non è un caso, quindi, che a primeggiare siano state le parole di Stevenson. L’uomo che inventò l’immagine del pirata come oggi i più la conoscono: quello delle mappe con la «X»
sul luogo dove sarebbe seppellito un tesoro, le golette nere, le isole tropicali, il pappagallo gracchiante sulla spalla.
Ma la verità, nuda e cruda, parla di altro. Parla di carpentieri che
segavano arti dopo il combattimento e per cauterizzare le ferite rendevano incandescenti le lame delle sciabole. E di nuovo attingo a
piene mani a passaggi ben riportati da Cordingly. Provate a immaginare gli ordini urlati dal ponte di comando: «Sollevate la fascia, mettete nella parte concava l’imbando delle bugne, la deriva
e il gratile di bordame e il corpo della vela». Altro che «cazza la randa» di aucklandiana memoria. Altro che look piratesco, come quello che viene proposto come ultima tendenza. Anelli e ciondoli a forma di teschio, orecchini a cerchio, bandane, gonnellone a balze, pantaloni a righe, camicie con maniche a sbuffo, tatuaggi veri o ade-
PIRATI DELLA STRADA? CERTAMENTE NO: PER PROMUOVERE L’USCITA DI «PIRATI DEI CARAIBI AI CONFINI DEL MONDO», VOLVO E DISNEY HANNO DATO VITA A
UNA CACCIA AL TESORO DA 50MILA DOLLARI. E IN OCCASIONE DELLA «PRIMA», LO SCORSO 22 MAGGIO A ROMA, È STATA PRESENTATA LA NUOVA C70 (IN ALTO).
144
7-06-2007
Moderne scorrerie
a
OSKAR KIHLBORG/VOR
7-06-2007
rateria è antichissimo. Risale fino al mondo classico, ai Greci e ai
Romani. Ai Vichinghi. Ai Saraceni. La pirateria moderna, invece,
inizia nel ’600 nel bel mezzo del Mar delle Antille che, ancora oggi, rimane il centro della pirateria: perché qui i pirati sfruttano gli
appoggi sulla terraferma, qui emergono dalle acque numerose isole ricche di cibo e vegetazione, qui i fondali bassi impediscono gli
inseguimenti da parte delle navi da guerra. E se in origine la pirateria fu agevolata dalle mire di Francia e Inghilterra che volevano
saccheggiare i mercantili spagnoli, col passare degli anni anche i corsari finirono con il prediligere una vita libera e indipendente, confluendo nella pirateria. Il covo più famoso dei pirati fu un’isola, a
forma di tartaruga, detta San Cristoforo. Ma non è certo sulla
terra che si muovevano i pirati. Così, la vita a bordo era un concentrato pieno di contrasti. Che nascevano lavorando gomito a gomito, nella manutenzione e pulizia della nave. Si sviluppavano
era inflessibile: i disertori venivano giustiziati
OSKAR KIHLBORG/VOR
a
PIRATI_magus_PB
no i tatuaggi, veri o finti, più adatti questi ultimi ai bambini e a chi
non osa marchiare definitivamente la pelle». Sarà. Ma il vero stile
piratesco era altra cosa. Era fatto di giacche e panciotti fuori misura, perché provento di ruberie a bordo. Di pantaloni al ginocchio
e calze lunghe per reggere l’urto delle onde e l’acqua salmastrosa che le impregnava sotto rovesci e fortunali.
I marinai, invece, portavano giacche blu corte, camicie
a quadri, pantaloni di tela lunghi o braghe larghe perché non dovevano navigare in condizioni proibitive,
non dovevano guidare l’assalto. Ci sono descrizioni del «guardaroba» di un pirata che potrebbero
sembrare forzate, ma non lo sono. Quando combatté l’ultima battaglia in mare, il capitano pirata
Bartholomew Roberts indossava «un panciotto di damasco e pantaloni di un color cremisi
intenso, una penna rossa sul cappello, una
catena d’oro intorno al collo con appesa
una croce di diamanti».
Quanto al linguaggio di bordo, poi. Osceno, frutto di ignoranza e grandi bevute che finivano spesso in violente risse. Che potevano facilmente degenerare in ambienti così angusti, col
rollio della nave, il buio e l’alcol. Dove uomini giocavano contro altri uomini. Dadi, carte. Con le armi portate a dozzine da un solo pirata. Non solo per
incutere timore, ma per utilità. Le armi a pietra focaia, per esempio, erano poco affidabili in mare aperto. L’umidità poteva bagnare la miccia. Altro che
Capitan Uncino e Peter Pan. Il fenomeno della pi-
mangiando zuppe di pesce e tracannando rum. Giocandosi il bottino. Per questo furono stabilite delle regole per la ciurma. Poche,
ma dure. Un codice piratesco, non sempre uguale. che assicurasse
una tregua continua: «Ognuno ha il diritto di voto, a provviste fresche e alla razione di liquore / Nessuno deve giocare a carte o a
dadi per denaro / I lumini delle candele devono essere spenti alle otto / Tenere sempre le proprie armi pronte e pulite / Donne e fanciulle non possono salire a bordo / Chi diserta in battaglia viene
punito con la morte oppure con l’abbandono in mare aperto» .
Di pirati celebri ce ne sono in gran quantità.
Per il volgo il più rinomato risulterà, senza ombra
di dubbio, Edward Teach detto «il Barbanera»,
pirata di origine britannica che controllò il Mar dei Caraibi tra il 1716 e il
1718. Si dice che sia entrato in pirateria dopo un apprendistato sulle navi
corsare giamaicane che combattevano
i francesi. Dopo essersi impossessato
di un vascello della Guyana francese, ribattezzato «Queen Anne’s Revenge», assaltò navi e porti fra Grand Cayman e Bahamas. Divenne celebre per i modi che terrorizzavano le vittime ma anche il suo stesso equipaggio: sparava
alle gambe come punizione o per mantenere la
disciplina a bordo. Si dice che bevesse rum con
polvere da sparo e che la sua barba fosse così lunga che se l’attorcigliava attorno alle orecchie.
Certo è che nel 1718 rifiutò l’amnistia offertagli dal governatore di Nassau.
PAU L CAYA R D , S K I P P E R D E L M O R O D I V E N E Z I A N E L 1 9 9 2 , H A V E S T I TO I PA N N I D E L « P I R ATA » C O N T E M P O R A N EO A L L A VO LVO O C E A N R AC E 20 05 - 20 0 6
TIMONANDO «BLACK PEARL», LA BARCA SPONSORIZZATA DALLA DISNEY CHE SI ISPIRA (NEL NOME) A QUELLA CHE COMPARE NELLA SAGA CINEMATOGRAFICA.
LUGLIO 2007
145
PIRATI_magus_PB
7-06-2007
15:22
Pagina 146
p
PIRATI_magus_PB
7-06-2007
15:22
Pagina 147
Moderne scorrerie
Se una bella fanciulla finiva tra le prede, il suo
«guardiano» ne poteva fare tutto ciò che voleva
A UNA PRIMA OCCHIATA, POTREBBE SEMBRARE L’ANELLO PREDILETTO DI SIR HENRY MORGAN, IL PIÙ CELEBRE DEI CORSARI NONCHÉ GOVERNATORE DI PORT
ROYAL. INVECE, SI TRATTA DI UNA CREAZIONE DELLA MAISON GIOIELLIERA U-CHIC DI MILANO (WWW.UCHIC.IT): È IN ORO NERO E DIAMANTI (1.500 EURO).
146
LUGLIO 2007
GARZIA NERI
sloop agili e pinchi, brigantini e velieri. Con figure che passano da
capitano a nostromo e quartiermastro. Che cosa rimane? Un arcipelago di tesori sprofondati a mare, che di tanto in tanto finiscono oggetto di ricerche e spedizioni per recuperare monete d’oro e
gioielli, armi e pezzi di storia. Come quella del celeberrimo «Pollux» al largo dell’isola d’Elba. E forse non è proprio un caso che Alexandre Dumas padre faccia ritrovare un tesoro proprio da quelle parti al Conte di Montecristo. Ma la pirateria è ancora attuale. I pirati oggi hanno armi più sofisticate, ma usano le stesse tecniche di
abbordaggio. Attaccano i mercantili (disarmati), in alcuni casi (come nel Sud Est asiatico) uccidono i marinai e s’impossessano del carico.
Recenti studi attestano che le perdite annue ammontino a una cifra sconcertante: tra i 13 e 16
miliardi di dollari, in particolare negli stretti più
impervi: Malacca e Singapore. I più spietati sono i pirati indonesiani che, solo nel 2000, hanno
fermato ben 86 navi. E in tema di pirateria molto
ci sarebbe da aggiungere, dalla deriva informatica alla violazione del copyright, al furto cioè di quella rara
materia che sono le idee efficaci. Addirittura c’è chi, in
Svezia, lo scorso anno ha lanciato un «Partito Pirata» per
modificare le leggi sul diritto d’autore (ha preso al voto lo 0,69%,
che in Italia varrebbe quasi certamente un ministero, o almeno un
sottosegretario). Per quanto mi riguarda, però, la pirateria è altro.
È la ferocia dei «ratos de agua». Nel 2006, secondo l’International
maritime bureau, i loro attacchi sono stati circa 500, il 57% in più
rispetto al 2005, quattro volte quelli del 2004, con 72 marinai assassinati, 99 feriti, 202 presi in ostaggio. E pare che solo la metà degli assalti venga denunciata. Ma per me la pirateria è anche l’arrembaggio quotidiano di falsi capitani d’industria che speculano senza scrupoli nel mare degli azionariati, che falsano i bilanci con la
compiacenza di chi dovrebbe controllare e non controlla.
Sono i responsabili delle truffe dai nomi importanti (Enron, bond
argentini, Cirio, Parmalat, bancopoli e quartierini vari), sono le protezioni di cui godono. Sono gli speculatori che arraffano aziende
senza capitali, le controllano con il meccanismo delle «scatole cinesi», non tirano fuori soldi e poi scaricano sulle bollette i frutti di
un’incapacità manageriale che è quotidianamente sotto gli occhi di
tutti. Sono i profeti del «tutto cambia perché nulla cambi», Tomasi di Lampedusa insegna. Sono i produttori di abbigliamento che
si fregiano del titolo «made in Italy» producendo in realtà all’estero. Sono quelli che ballano una sola estate, tra monumentali panfili off-shore (in tutti i sensi) e insipide veline. Sono quelli che mettono le mani in tasca ai contribuenti per rimettere a posto i bilanci della sprecopoli pubblica.E poi ci sarebbe anche il «pirata» Pantani. Il campione distrutto dalla droga. Ma questa è un’altra storia.
GARZIA NERI
Per questo motivo, fu catturato dal tenente di vascello della Marina inglese Maynard, nell’insenatura di Ocracoke. La sua testa
mozzata venne infissa sulla punta del bompresso della nave Pearl.
Finì così l’uomo che aveva catturato 140 navi. E pochi mesi fa i responsabili del «Queen Anne’s Revenge Shipwreck Project» hanno
annunciato l’intenzione di recuperare la Queen Anne’s Revenge entro tre anni: si trova al largo delle coste della North Carolina ed è
coperta di coralli. Ma se nell’immaginario collettivo il pirata è
Barbanera, almeno altri due uomini meritano gli onori di Monsieur.
Cominciamo da Edward England, soprannome di Edward Seegar, pirata inglese tra i più conosciuti tra
coloro che operarono sulla costa africana. Fu colui che issò il Jolly Roger, la bandiera-vessillo
dell’intera pirateria: un drappo nero con sopra
ricamato un cranio e due femori incrociati. A
differenza da altri pirati, però, non uccideva i
prigionieri a meno che fosse necessario e questo lo condusse alla rovina (l’equipaggio si ammutinò quando si rifiutò di uccidere i marinai
della Cassandra, nave commerciale inglese). L’altro
grande protagonista rimarrà per sempre Francis Drake. Già, proprio lui, l’uomo che sarebbe diventato il più famoso navigatore britannico dell’epoca elisabettiana, ebbe origini.
discutibili. Come testimoniano i libri di storia, all’anno 1571 quando Drake (camuffato da mercante spagnolo) studiò il porto di
Nombre de Dios, nell’istmo di Panama.
Qui, dopo aver stretto contatti con alcuni schiavi di colore, sbarcò
con due navi e appena 71 uomini, mise a ferro e fuoco la cittadina
ed ebbe la meglio sugli spagnoli. Non fu un pirata. Ma commise senza alcun dubbio atti pirateschi. Si arricchì con i carichi portati via
alle navi della Spagna, ben prima di essere il primo comandante a
completare la circumnavigazione del globo. E il discorso potrebbe
non chiudersi. Tra storie di navi e uomini passati alla leggenda. Tra
«sloop» armati di otto cannoni sul ponte principale e di dieci pezzi d’artiglieria girevoli, montati sulla battagliola e ciurme di 30 o 40
pirati. In un crescendo di attacchi mordi e fuggi, perché questo è
il vero metodo dei pirati. Non il cannoneggiamento. Ma una bandiera issata d’improvviso alla vista di un mercantile più pesante. Il
nero era la morte, il rosso la battaglia, il bianco la resa (e questo i
pirati non lo alzavano mai). Si potrebbe parlare del rapporto con le
donne, usate nei porti, mai ammesse a bordo. E se in un arrembaggio
qualche fanciulla finiva tra le prede, veniva subito messa sotto
chiave, «protetta» solo da un guardiano che, di fatto, poteva farne
l’uso che voleva. Quando invece qualcuno osava un ammutinamento,
ma falliva l’obiettivo, finiva scaricato in mare con pesanti ferri legati ai piedi (e mai dal «trampolino» di cinematografica suggestione)
oppure abbandonato su isole deserte. Storie di mare, storie vere. Tra
JOHNNY DEPP (44 ANNI) HA RAGGIUNTO LA CONSACRAZIONE MONDIALE CON LA SAGA INIZIATA NEL 2003 («LA MALEDIZIONE DELLA PRIMA LUNA»). IL SUO
COSTUME HA ISPIRATO I CREATORI DI MODA, MA IL VERO STILE PIRATESCO ERA ALTRA COSA: IL «GUARDAROBA» ERA FRUTTO DI RUBERIE E SCORRIBANDE.
LUGLIO 2007
147