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Pathologica (2002) 94:206-215
RILETTURE
R. Vigliani
Giulio Bizzozero: ricordo nel centenario della morte
Giulio Bizzozero: remembrance 100 years after his death
L’inizio del secolo XXI coincide col primo centenario della
morte (1846-1901) di Giulio Bizzozero, patologo generale. Il
suo apporto nella storia della Medicina è segnalato, tra gli altri, da Norman nel repertorio della Morton’s Medical
Bibliography (Ematologia) [1]. Sempre in ambito ematologico, Tavassoli ne ha focalizzato il ruolo nella scoperta dell’ematopoiesi midollare [2], così come, più di recente, Scarani
su Pathologica (Riletture) in quella delle piastrine e della loro funzione [3, 4]. Nella letteratura sull’Helicobacter pylori,
Bizzozero è stato ripetutamente menzionato per aver descritto “spirilli” nello stomaco di cane e un intero articolo è stato dedicato da Figura e Oderda a questo argomento [5].
Forti segnali di memoria sono scaturiti dal Convegno intitolato “Giulio Bizzozero: cento anni di cellule labili, stabili e
perenni”, tenutosi a Torino (21 settembre 1994) e organizzato
dall’Accademia delle Scienze e dall’Università di Torino. I
contributi sono stati pubblicati nel 1996. Su questa base documentaria, sulla raccolta di scritti vari curata dalla famiglia “In
memoria di Giulio Bizzozero nel primo anniversario della sua
morte” e su altre fonti [6, 7, 8, 9] viene qui ricostruita in
Appendice una cronologia biobibliografica della sua attività
pubblica, scientifica e politica. Rifacendosi a questo contesto,
la presente nota intende contribuire a ricordare G. Bizzozero,
soffermandosi su alcuni tratti o passaggi della sua vita, proposti come spunti di riflessione per il nostro tempo di patologi:
europeismo, interdisciplinarietà, antiaccademismo, socialità.
Europeismo
L’europeismo di G. Bizzozero ha connotazioni essenzialmente culturali. Linguisticamente, la comunicazione scientiR. Vigliani ()
UOA di Anatomia e Istologia Patologica,
Ospedale “E. Agnelli” ASL 10,
Via Brigata Cagliari 39, I-10064 Pinerolo (TO), Italia
Tel.: +39-0121-233342
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fica in Europa, col declino dell’uso del latino, dall’inizio del
XIX secolo aveva subito un certo rallentamento, segnato dalla contesa tra francese e tedesco e in attesa della successiva
egemonia anglosassone [10]. In Italia, questa difficoltà era
acuita dal ben noto frazionismo politico. Il tormentato cambiamento che conduce alla formale unificazione politica del
1861, prefigurata dalla “stagione” dei Congressi medici italiani (dal 1839 al 1847) [11], viene a consolidarsi nel decennio successivo, sebbene per la scienza subentri uno stato
di “decadentismo”, di “spirito nazionalistico” [12] e di
“forte ritardo nei confronti di altre nazioni europee” [9].
Tuttavia, dal 1970, dopo la guerra franco-prussiana, “sarebbe trascorso quasi mezzo secolo di durevole pace europea”
[13], che avrebbe favorito i rapporti internazionali. La vita
di Bizzozero, nei suoi vari aspetti, riflette notabilmente proprio questa fase di transizione.
Degli inizi interessa qui la parte formativa. Egli, appena
laureato, muove da Pavia, indirizzato dal suo maestro Paolo
Mantegazza verso Scuole prestigiose di Patologia come quelle fiorite a Zurigo (Heinrich Frey), Würzburg (Rudolf Albert
von Kölliker), Vienna (Ernst Wilhelm Brücke), Berlino
(Rudolf Virchow) [14]. Anche la sua produzione scientifica
esprime questa impostazione iniziale. Nel 1867 compare un
sunto con note del Manuale di Microscopia di Frey [15]. Dal
1868, con il primo lavoro sulla funzione ematopoietica del
midollo osseo, si inaugura una consuetudine di confronti con
Autori stranieri con cui si riscontrano sia convergenze di opinioni, come rispetto al tedesco Ernst Neuman (Könisberg),
sia successivamente motivi di disputa polemica, come ad
esempio verso il francese George Hayem insegnante di Clinica Medica a Parigi (che credeva le piastrine ematoblasti, ossia globuli rossi in formazione). La rilettura di questa dialettica internazionale è anche istruttiva per comprenderne la fecondità, congiuntamente alimentata, allora come ora, da curiosità assoluta e desiderio di paternità.
La nota di Neuman [16], riguardando ciò che Bizzozero
già conosce (è del 1865 la comunicazione di Mantegazza su
osservazioni dello studente G. Bizzozero sui “corpuscoli semoventi del midollo osseo”), lo stimola a pubblicare subito
Giulio Bizzozero: ricordo nel centenario della morte
i suoi dati nel mese successivo e a sviluppare ulteriormente
e più compiutamente la ricerca. La citata erronea interpretazione sulle piastrine da parte di Hayem, che però fin dal
1879 ne aveva descritto correttamente la morfologia [17], attrae l’attenzione di Bizzozero, che a sua volta fa valere la sua
maggior perspicacia su tale argomento. L’attenzione agli altrui contributi appare ben radicata, anche nel periodo di già
acquisita fama: ad esempio, nel lavoro in cui descrive gli
“spirilli” nello stomaco di cane (1892), Bizzozero evidenzia
la peculiarità del reperto rispetto alla precedente scoperta di
“bacilli nelle cellule dei follicoli linfatici dell’intestino di
coniglio”che si attribuisce in contemporaneità con Moritz
Ribbert di Bonn.
Conscio dell’importanza di una adeguata diffusione delle
notizie scientifiche, cura versioni o comunicazioni che trattano il medesimo argomento anche in francese e tedesco. Con
la rivista da lui fondata nel 1876, Archivio per le Scienze mediche, intende “rappresentare, di fronte agli studiosi stranieri, la produzione scientifica d’Italia” e, in quest’ottica, oltre
che raccomandare agli allievi la “conoscenza delle lingue”
[18], esprime l’esigenza anticipatrice di un’“unica parlata”
[19]. Il famoso “Manuale di Microscopia Clinica” (suo “testamento scientifico” secondo Matoni [20]) vede, accanto alle cinque edizioni italiane (dal 1880 al 1901), anche edizioni
in tedesco, francese, danese, spagnolo, inglese e persino in
russo e giapponese [18, 21]. È interessante notare che esso,
influenzato probabilmente dal Manuale di Frey [12], se ne distacca nell’autonomia dello sviluppo dei contenuti e dell’impostazione, fortemente clinico-pratica e del tutto originale
per quei tempi [21]. Non solo è oggetto di traduzioni (con apposite prefazioni), ma diviene nucleo generatore di edizioni
ampliate, fin dalla prima delle tre in francese di Christian
Firket di Liegi (1883), apporto (soprattutto microbiologico)
riconosciuto da Bizzozero nella prefazione alla terza edizione italiana (1888).
Il filo conduttore della sua internazionalità si dipana ulteriormente dall’Università di Torino. Insediatovisi nella cattedra di Patologia Generale, diventa col tempo socio di istituzioni estere, come le Accademie di Medicina di Würzburg,
Berlino, Amsterdam, e consolida o sviluppa rapporti con
Centri di studio di Parigi, Montpellier, Könisberg, Erlangen,
Vienna, Varsavia e fin oltre l’Europa (Stati Uniti d’America e
Russia) [9].Tra le biblioteche mediche torinesi la sua, schiettamente europea, diventa “la più ricca e aggiornata”; la sua
collezione di periodici e testi monografici, conservati a
Torino, è così rilevante da avere ispirato “il progetto della ricostruzione” biblioteconomica del Fondo Bizzozero per il periodo1873-1920 [22].“Egli fu l’autore al quale più deve la
Biologia italiana dell’Ottocento che con Bizzozero riacquistò
un prestigio europeo” [8]: questa definizione fa riferimento a
quello che Golgi chiama “risorgimento scientifico” dell’Italia
[6], ma più in generale richiama il concetto di scienziato come cittadino del mondo e “il giudizio degli stranieri è, in generale, il giudizio dei posteri” [23]. Come suggello può essere ricordata la sua presidenza onoraria del XIII Congresso
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Medico Internazionale di Parigi (1900). Alla sua morte prematura, tutta questa tessitura di relazioni con l’estero pare essere emblematicamente, oltre che conclusivamente, suggellata dalle parole scritte ai familiari da Virchow “la perte de
l’homme le plus célèbre dans notre science” [24].
Interdisciplinarietà
L’internazionalità della formazione e della comunicazione
certamente sostiene l’impostazione decisamente interdisciplinare di Bizzozero, nel senso che “nessun argomento gli
era estraneo” [12]. Su questo terreno si fondano almeno altri tre elementi costitutivi, tra loro strettamente intrecciati: la
visuale intrinsecamente ampia della Patologia Generale, il
rinnovamento scientifico di questa disciplina e il laboratorio.
A Pavia è influenzato da Eusebio Oehl, dal 1861 primo
titolare in Italia dell’insegnamento della Fisiologia
Sperimentale, dal clinico medico Salvatore Tommasi e diventa allievo di Mantegazza, patologo generale e antropologo [6, 7, 9]. È un riflesso di questo periodo il “Giornale della Società di Scienze Matematiche, Fisiche e Biologiche” che
Bizzozero fonda nel 1866.
In occasione del trasferimento a Torino (propiziato dal
fisiologo Jakob Moleschott e dal clinico medico Giuseppe
Timmermans [21]), Bizzozero legge la “Prelezione al Corso
di Patologia Generale” (1872-1873), frutto della precedente esperienza pavese e tutta da meditare. Egli parte da una
rigorosa critica intradisciplinare a garanzia di una interdisciplinarietà autenticamente fondata. Si manifesta così la sua
reazione alla Patologia Generale sistematica e descrittiva per
fondare una nuova Patologia Generale sperimentale e interpretativa. Si riportano qui alcuni cenni sulle interconnessioni con altre discipline, discusse da Bizzozero in termini sia
di evoluzione storica che di rispettiva competenza, nel tentativo, piuttosto innovativo, di armonizzare “libero esame”,
“divisione del lavoro” e “buon accordo scientifico”.
Preliminarmente individua due settori fondamentali,
quello delle “scienze naturali o biologiche”, cui appartiene
la Patologia Generale, e quello delle “scienze mediche”. La
Fisiologia, “separatasi dalla Zoologia e dall’Anatomia”,
“aveva applicato o tentava di applicare largamente all’uomo i risultati ottenuti” dalla Fisica e dalla Chimica “spronando poi la Patologia a seguirla per la stessa via” e “modificando i suoi rapporti con la Medicina Pratica” soprattutto studiando “per quali cagioni ed in quali modi ammalino i tessuti, tenendo dietro passo passo alle loro alterazioni
di composizione chimica, di struttura e di funzione” cercando infine di “determinare in qual modo e secondo quali leggi i processi morbosi si associno a costituire le malattie”
nella loro “diversa durata e il vario modo di decorrere e di
terminare”. Appare superfluo ogni commento sull’attualità
di questa prospettiva. Prosegue quindi affermando che“mentre arricchisce, così, il proprio dominio scientifico di rami
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nuovi o che appartenevano ad altre scienze, la patologia dovette cedere vari rami che una volta ne costituivano una delle parti principali e che ora, pel mutato indirizzo, non potrebbero più essere studiati cogli stessi suoi mezzi, o col suo
stesso intento”: la “Terminologia medica”, la “Sintomatologia”, “una parte dell’Eziologia”, quella “studiata dall’Igiene”. Ribattezza la stessa Patologia Generale come
“Fisiologia Patologica”, avvertendo che la definizione è solo apparentemente “strana”, bensì giustificata dai “legami
che fino nelle parti più elementari, riuniscono la Fisiologia
alla Patologia”. È chiaro il riferimento, successivamente
esplicitato, alla cellula “vero organismo elementare” e al
“movimento molecolare”, concetti fondanti della sua futura
classificazione dei tessuti ad elementi “stabili, labili e perenni”. Spinge questa “affinità” sino al suo estremo:“la malattia non è cosa distinta dalla salute; sì l’una che l’altra sono due modi di essere di uno stesso corpo” ed “è a sperare
venga presto il tempo in cui le due scienze si riuniscano in
un’unica fisiologia dell’organismo”. Viene qui sinteticamente enunciato quanto è analiticamente ed in varia misura
rintracciabile nelle sue opere scientifiche, ossia il problema
del complesso rapporto esistente tra normale e patologico, in
termini di approfondita conoscenza del primo per cogliere la
derivazione da esso del secondo, di coesistenza e reciproca
influenza, di definizione del confine [6, 7]. A questa sorta di
prospettiva ad intra, fa da contrappunto un’altra ad extra.
Aderendo all’onda scientista [25] Bizzozero ne vede con favore l’influenza su Antropologia, Psichiatria e Psicologia, fino al “mondo ideale dell’Arte” [6, 9]. Pare tuttavia astenersi da posizioni estreme, ad esempio di tipo materialistico, ed
accettare piuttosto il benefico effetto riduzionista del meccanicismo, come definito da Abbagnano [26]. Analogamente, distingue con equilibrio nelle “parentele” che vanno dalla Clinica all’Anatomia Patologica. Interessante è il
raffronto stringente tra Patologia Generale e Anatomia
Patologica che sono sì accomunate dalla “ricerca delle morbose alterazioni di forma”, ma “la prima studia il fenomeno mentre si compie”, la seconda “studia il risultato del fenomeno compiuto”.
Nell’introduzione alle sue Dispense di Istologia Normale
del 1884 (il primo “trattato” italiano sulla materia, già insegnata a Pavia [27] e in seguito ufficializzata a Torino [28])
sostiene una differenza terminologicamente smarrita, ma
concettualmente ancora valida, tra Anatomia Microscopica e
Istologia: esse differiscono nell’“oggetto” e nei “metodi”
del loro studio nel senso che, mentre la prima “tien dietro
all’anatomia macroscopica”, assoggettando le diverse parti
del corpo “alla lente, studiandole così con occhio più acuto”, la seconda studia “l’organizzazione e ne indaga le leggi”. Coerentemente, quando introduce il nuovo capitolo sugli schizomiceti patogeni nel suo Manuale (III edizione,
1888), afferma l’autonomia della “Batteriologia”, rimandando in nota con onesta obiettività ai testi allora più rappresentativi, ma anche significativamente rimarcando la differenza tra “studio generale” proprio di quella e il suo ap-
Giulio Bizzozero: ricordo nel centenario della morte
proccio “diagnostico”, significativamente ribadito dal termine “batterioscopia” (che compare nella Prefazione alla
IV edizione del 1894).
Si introduce così il terzo elemento: il laboratorio, dove
“affluivano ...gli studiosi di tutte le discipline dello scibile
medico” [29], “il primo laboratorio scientifico d’Italia”
[12]. Per Bizzozero rappresenta soggettivamente una scelta
totalizzante con una rinuncia ad ogni attività clinica, ancorché remunerativa (cosa non proprio scontata tra i cultori di
discipline biologiche del tempo [12]) e oggettivamente un
luogo “aperto”, in cui viene accolto e valorizzato ogni contributo [12], ma anche vigilato, onde evitare aberrazioni [18,
21, 27]. Esso innanzitutto va inteso come impiego ordinario
(e primario) del microscopio:“alla penna dell’antico patologo vengono anteposti gli strumenti dell’osservare” (da una
prefazione di Bizzozero del 1871 ad una raccolta di studi pavesi [23]). Prima si avvale del modello Nachet, che possiede “del suo” e che si porta a Torino da Pavia [27] e successivamente acquista il modello Hartnak, tuttora conservato
presso la sezione di Patologia Generale del Dipartimento di
Medicina ed Oncologia Sperimentale dell’Università di
Torino [9, 17]. La microscopia è il cuore del laboratorio e la
via maestra della ricerca di Bizzozero. Vi ruota attorno la diversificazione degli argomenti scientifici di varia pertinenza
(Istologia Normale, Anatomia Normale e Patologica,
Anatomia Comparata, Ematologia, Chimica, Batteriologia,
Medicina Legale...): ad essa si devono tutte le sue scoperte
più importanti.
È importante lo strumento ma ancor più da chi e in che
modo è usato, come per “l’occhiale” di Galileo [21]. L’affinamento tecnico delle preparazioni microscopiche procede
inscindibilmente con il progresso della morfologia e Bizzozero ne è interprete scrupoloso, oltrettutto nel periodo di
transizione verso l’iniziale impiego di coloranti. Coglie sollecitamente le proposte di Autori anche impegnati in altre discipline, come nel caso della colorazione di Gram (1884)
[30], subito utilizzata in batterioscopia e applicativamente
sviluppata per altre necessità (“metodo Bizzozero” per evidenziare le cariocinesi, 1886) [6, 7, 21, 27]. Più in generale
vi si correla la sua capacità di escogitare soluzioni tecniche
adatte ora a problemi pratici generali, come il cromocitometro [18, 21], ora a particolarissime proprie esigenze di indagine mirata, come per l’osservazione delle piastrine [17]. In
fondo egli interpreta abilmente, anche beneficiandone in
termini di risultati, quella fase pionieristica.
L’uso del microscopio non può essere disgiunto dalla cura iconografica “so per prova che un buon disegno vale
spesso assai più della migliore descrizione” (prefazione al
Manuale del 1879). Che nei disegni litografati vi fosse spesso la sua mano ce lo assicura Mantegazza [31]. Le sue “tavole istologiche” per la didattica, tuttora custodite e apprezzabili presso il citato Dipartimento, “costituiscono la
più antica collezione di disegni di istologia normale e patologica esistente in Italia”, splendidamente riprodotte nel
libro di Gravela [9].
Giulio Bizzozero: ricordo nel centenario della morte
Nel Manuale, dedicato all’amico clinico medico Camillo
Bozzolo, propugna l’uso diagnostico del microscopio nella
pratica medica quotidiana, paragonandolo nella prefazione
(1879) alla “percussione nelle malattie degli organi del torace”. Ne fanno fede, oltre alla materia trattata, l’ampia introduzione descrittiva e la allora effettiva diffusione di questo strumento, col tempo fatalmente confinato all’utilizzazione specialistica.
Probabilmente Bizzozero pagò qualche tributo alla sua
interdisciplinarietà, potendosi concentrare meno su singole
aree, già peraltro acutamente esplorate, come per la la stessa
Ematologia, cui ad esempio Neuman si dedicò continuativamente [2, 32]. Già nella comunicazione del 1868 sulla “funzione ematopoetica” accennava introduttivamente al fatto
che fin dal 1865, dopo il conseguimento dei primi risultati
sulla rana e sulla gallina, aveva esteso i suoi studi ai mammiferi: “ma, distratto da altri lavori, non li potei continuare
che a lunghi intervalli”. Compensativamente però Bizzozero
seppe farsi distrarre meno di altri patologi del tempo dal prorompente sviluppo della Batteriologia [12], pur delegandone
lo studio agli allievi, tra cui Pietro Canalis [21].
Bizzozero ebbe diretti rapporti con l’ Anatomia
Patologica, in cui a Milano da studente si esercitava durante
le vacanze [33] e secondo Abba ebbe un breve esordio lavorativo post lauream [34]. La bibliografia riferisce una decina di lavori anatomopatologici [6, 7, 9]. Firket, coautore nelle edizioni in francese del Manuale, era anatomopatologo.
Significativo, anche se un po’ forzato, è il parere di
Mantegazza che individuava in Bizzozero più l’“anatomico” che il “biologo” [31]. Proprio a questo ambito si può
ascrivere la forse più rilevante incompiutezza (per i patologi), considerando il progetto, esplicitato fin dalla prefazione
del 1879 alla prima edizione del Manuale, di riservare allo
studio dei tumori “una probabile futura pubblicazione”, mai
realizzata. D’altra parte, dato l’intento pratico, è nella stessa
edizione che egli dimostra già compiutamente un approccio
citodiagnostico di sorprendente modernità. Proprio lui che
in seguito nel 1894 darà, con la sintesi conclusiva di lavori
iniziati con Vassale nel 1884 [6, 7, 21, 23], la fondamentale
interpretazione biologica della citologia del suo tempo, imperniata sullo studio della divisione nucleare (rigenerazione)
e del consumo cellulare, antecedenti obbligati delle problematiche embriologiche e oncologiche del nostro tempo, con
le relative implicazioni biotecnologiche e biomolecolari.
Se si nutrissero dubbi sull’unicità d’origine e sull’impostazione interdisciplinare del laboratorio diagnostico-sperimentale nella Medicina italiana si troverebbe in quanto sopra esposto una risposta piuttosto convincente. Ma in tal senso è altrettanto significativo il tormentato itinerario personale di Bizzozero dalle prime osservazioni microscopiche da
studente in vacanza a Varese [35], al “cenacolo” universitario pavese, “due sedie, due tavolini e un microscopio” [31],
all’ambiente torinese, dapprima in “due stanzettacce” [21]
dell’Istituto di Anatomia Umana di via Cavour trasformate in
“simulacro di laboratorio” (di Istologia e Patologia Gene-
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rale) [12], poi nell’intermezzo privato “catacombale” [21]
“in una cameretta del suo appartamento” [27] di via Nizza
(ad uso pubblico per i suoi allievi), fino al “Gabinetto (poi
ribattezzato “Laboratorio”) di Patologia Generale” di via
Po. Di tutto ciò [21, 27] scaturisce una rievocazione fisica e
quasi planimetrica dalle parole di Morpurgo e Salvioli: un
“corridoino” ritagliato, “una stanzetta per operazioni sugli
animali e gli studi di Chimica organica e poi anche di
Batteriologia”, “la stanza del Professore”, il locale per la
fornitissima “Biblioteca”, con “Museo”. Salvioli [27] completava puntigliosamente questa descrizione aggiungendo:
“uno stambugio oscuro... per le sue ricerche cromocitometriche” e “un’altra misera stanzuccia... in altra parte del fabbricato”, dove trovava “luce viva ed assoluta quiete e tranquillità”, adatta per lo studio a forte ingrandimento delle piastrine. Era questa “l’officina scientifica più accreditata
d’Italia” [21], ma è ancora più chiaro che il laboratorio era
anzitutto per Bizzozero una categoria mentale.
Antiaccademismo
È subito palese la disposizione di Bizozero ad entrare nel
mondo accademico così come l’intenzione di restarvi e operarvi, non per accademismo fine a se stesso, ma piuttosto per
il fascino su di lui esercitato dalle persone che vi incontra e
dalle attività che vi si possono svolgere. Queste motivazioni
rappresentano una sorta di caratterizzazione preaccademica
ovvero un antecedente ideale antiaccademismo, che presto
però dovrà sostanziarsi nel vissuto.
Tra due limpidi eventi accademici, il premio Matteucci al
laureando per l’eccellenza nello studio [8] e il premio Riberi,
definitivo riconoscimento al suo contributo di scienziato
[21], si situa infatti il tempo dell’incomprensione e degli
equivoci. Il microscopio evoca reazioni scomposte: ritenuto
nulla più che un “giocattolo” ai tempi pavesi [18] o, come riferisce Morpurgo a proposito dell’inizio dell’attività universitaria torinese, “un’arma infernale, destinata ad abbattere i
dommi consacrati dalla lunga ripetizione cattedratica” [21].
Interessante la profonda sfasatura concettuale tra l’accusa
gratuita di chi gli rimprovera di “vedere quello che si voleva
e non quello che si doveva” [27] e l’atteggiamento risoluto di
chi invece si muove in un campo innovativo, in cui si trova
anche quello che non si cerca. L’antiaccademismo di Bizzozero appare tanto più credibile in quanto è critica espressa
dall’interno, anzi rafforzata probabilmente, all’inizio, dall’esempio di Mantegazza, che stigmatizzava le “le chincaglierie accademiche” [31]. La ricerca è per Bizzozero “denudare la verità” [21], ovvero formarsi delle convinzioni ragionando sui “fatti”, contro “la pochezza di quanto si era raccolto dai deliri dei sistematici”, contro lo“svagare del pensiero nello sterminato campo del fantastico”, contro il “giuoco di frasi e di parole” che sacrificava “la propria dignità e
la vita del malato in omaggio di un individuo o di una scuo-
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la... fino a tempi a noi, relativamente, vicinissimi”, un modo
per non dire contemporanei (Prelezione del 1872-1873).
Bizzozero pagò ben oltre le critiche formali la sua indipendenza intellettuale dalle istituzioni, quando fu privato dei
locali del suo primo laboratorio torinese, che, come ricordato, fece sopravvivere nell’ibrida privatezza della sua casa, ben
espressa dall’insegna “Laboratorio del Prof. Bizzozero” [9].
La sua posizione tuttavia non si manifesta in astiosa separatezza, bensì in coerente e guardinga pervicacia, “opera di anni” [6]. Egli infatti, quale cultore dichiarato del positivismo,
reagisce all’umoralismo ed al vitalismo [27], ma se si accetta la definizione del positivismo data da Abbagnano [26],
quale “romanticismo della scienza”, allora bisogna pensare
che il positivismo di Bizzozero si discostasse almeno da una
certa accezione di romanticismo e comportasse piuttosto una
connotazione illuministica, come sottolineato anche da
Bobbio [36]. Il rigore e soprattutto la “misura” [37] intellettuale sono gli elementi equilibratori personali, per cui egli rifugge le “teoriche trascendentali ed apparentemente sublimi” così come il “rozzo empirismo” (Prelezione 1872-1873).
L’impressione è che queste caratteristiche scaturiscano dalla
migliore matrice, quella etica, e si combinino felicemente
con la libertà di pensiero e con un certo distacco.
Spirito laico, Bizzozero fu definito “liberale e progressivo nelle idee ...ma conservativo e autoritario nell’azione”
[37]. Si spiega così come egli possa propugnare l’accademizzazione delle scuole superiori (ad esempio, di Veterinaria e
Agraria [14]) e diventare membro di diverse altre Accademie
italiane (Perugia, Firenze, Genova, Bologna, Roma, Padova)
[9], oltre che straniere come già accennato, ma anche sostenere il centralismo statale sovra-accademico in campo sanitario [18, 38]. Si spiega così come egli possa diventare conciliativamente rettore dell’Università torinese (per il tempo
strettamente necessario) per risolvere i problemi di tensione
con la “scolaresca” [27] e sostenere i suoi allievi nei concorsi, anche se “mai... al di là del giusto e dell’onesto” [39],
ma anche espellere un allievo medico troppo individualista
[18], e, ancora, studiare l’insegnamento in Italia [9] e contemporaneamente curare la quotidianità di rapporti con gli
Ospedali per la raccolta casistica [34] (significativo il ringraziamento speciale ad Achille Visconti, medico primario prosettore dell’ Ospedale Maggiore di Milano) (prefazione al
Manuale, 1879), o accontentarsi di una “auletta” per le sue
lezioni nel nuovo Istituto di Patologia Generale (1894) [34].
Quest’ultima annotazione introduce alla figura di
Bizzozero maestro. Lo scenario è ampio. Esistono gli allievi affezionati frequentatori delle lezioni ufficiali, che nell’immediato raccolgono con cura (lezioni di Patologia
Generale) e che anche a distanza di tempo confidano di conservare e consultare [37]; altri venerano la fotografia del
“Maestro” in casa (Bobbio cita il padre laureatosi nel 1900
[36]). Poi i collaboratori stretti (il laboratorio come “forma
di istruzione” [37]), accolti con apertura e formati essenzialmente nel metodo; egli (sono sue le parole) li accompagna nei “primi passi”, “accomuna le sue ricerche cogli al-
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lievi più volonterosi. Una mente dà l’idea e l’indirizzo generale dei lavori; altre menti si occupano delle particolarità
dell’esecuzione”, si preoccupa di superare “gli elementi discordanti” non con la prevaricazione, ma con la forza dell’esempio o della dimostrazione; è disposto a riconoscere i
contributi originali anche di chi sia ancora “studente”
(Prelezione 1872-1873). Ci sono infine i colleghi espliciti
estimatori in vita della sua “luce” alle frontiere della ricerca (ad esempio, Victor von Ebner con von Kölliker [6, 33]).
Si può forse dire che l’estensività stessa del magistero, oltre che la sua sopravvivenza, sia inversamente proporzionale
proprio all’accademismo. È così che appare leggibile la sincera devozione già tra i contemporanei, come Camillo Golgi
(1844-1926), patologo generale, insignito nel 1906 del premio Nobel per la Medicina (inaugurato proprio nel 1901),
Pio Foà (1848-1923), anatomopatologo, e Luigi Pagliani
(1847-1932), igienista; tutti alla sua morte si dichiararono
suoi allievi, sebbene coetanei e collaboratori solo della prima
ora i primi due o solo tardivamente il terzo [40, 41, 42].
È così che può essere accolta la sua valorizzazione anche
della divulgazione giornalistica, come ulteriore forma di
istruttiva “popolarizzazione”. Il ricco successivo sviluppo
della sua Scuola, “le scuole mediche d’Italia contano più allievi di Bizzozero che non forse tutti gli altri Laboratori messi insieme” [37], è ben delineato nella esauriente genealogia
accuratamente ricostrutita da Dianzani [43], non solo lungo
i tre filoni di Patologia Generale, Anatomia Patologica e
Igiene e Microbiologia, ma, come risulta fin dalle prime testimonianze alla morte, anche nel suo amplificarsi in campo
clinico, quasi a proiezione postuma della ricordata interdisciplinarietà. I nomi figuranti a vario titolo sulla rivista
Pathologica, a partire dal suo primo numero (15 novembre
1908), ne sono specchio fedele e lusinghiero.
Socialità
Per una malattia agli occhi (attribuita da Morpurgo ad una
coroidite [21]), che lo colpisce nell’esercizio a lui più congeniale, deve lasciare di fatto anche se non formalmente il
laboratorio, proprio quando questo raggiunge la sua fisionomia più compiuta con l’insediamento nel nuovo Istituto di
Patologia Generale in corso Raffaello a Torino (probabilmente nel 1894). In questa vicenda Bizzozero sperimenta in
modo forse più acuto di altri l’amara realtà che fa del medico un uomo più consapevole della malattia rispetto ai suoi
simili, ma non meno immune. Gravela riporta un presagio di
sventura in una poesia sulla caducità umana, presentata come di anonimo autore tedesco da Bizzozero (ma probabilmente sua), intitolata “Fiori di sambuco” [9].
Come la vocazione di scienziato l’aveva difeso contro
l’accademismo, così l’identità di medico lo sprona a reagire. Ne consegue il passaggio alle tematiche igienistiche (che
rappresentano circa un un quarto dei titoli di oltre cento pub-
Giulio Bizzozero: ricordo nel centenario della morte
blicazioni), che contrassegna la svolta verso la cosiddetta
“attività sociale” [9]. Questa non rappresenta una vera cesura per almeno due motivi: da un lato il problema delle malattie infettive primeggia nel panorama biologico e clinico
del suo tempo (circa un ottavo dei suoi antecedenti lavori di
ricercatore riguardano questo argomento) e dall’altro il suo
atteggiamento di fondo, con coerenza positivista, è teso agli
aspetti applicativi, alla medicina pratica, alla salute dell’individuo e della collettività; il tutto è sommariamente simboleggiato (1889-1890) dall’“Albero dell’Igiene” di Angelo
Celli [44]. In termini personali, si tratta del tema-sfida, che
sempre si ripresenta al medico, del compiuto equilibrio tra
mestiere e servizio, vero cardine qualitativo. Esplicite premesse, sub specie scientifica, si colgono diversi anni prima
(Prelezione 1872-1873): “...in tutte le scienze il miglior metodo per arrivare ad importanti scoperte è di ricercare le verità nuove, senza pensare all’utile che potrà derivarne più
tardi.Operando di questo modo, non si studiano solo quelle
incognite che ci paiono, e possono anche non essere, più importanti per la pratica, ma si studian tutte; sì che la scienza
ne acquista basi più larghe e più sicure; e spesso incontra
che i risultati generalmente inattesi che si ottengono da ricerche appartenenti alla scienza pura, riescono più utili e
più largamente applicabili di quelli ottenuti in indagini che
non escono dal campo della pratica”. Analogamente, sub
specie sociale, un decennio dopo, nella prolusione per l’inaugurazione dell’anno accademico 1883/1884, significativamente intitolata “La difesa della società contro le malattie infettive” (il suo anticipato“testamento igienico-sociale”
secondo Pagliani [38]): “Voi udite e udrete sempre più parlare di questioni sociali” anche da parte di “falsi profeti,
...voi troverete coalizzate contro di voi le forze dell’ignoranza, dell’affarismo, dei pregiudizi, dell’inerzia. Non importa:
studiate, combattete, perseverate!” [6, 38], esempio di vis
polemica di alto profilo.
Se cesura vi fu, essa va piuttosto riferita all’abbandono
del microscopio, perché il laboratorio, che pur operava in
campo igienistico, non fu più al centro dei suoi interessi
[27]. Si può dire che la socialità è una, ma si può esprimere
in diverse forme, oltre che al letto del malato, nel laboratorio, coll’azione politica, senza assolutizzazioni preconcette,
ma variando non tanto il livello di responsabilità, quanto il
mezzo adoperato, la sua potenzialità e il grado di personale
esposizione o notorietà.
Della politica (Bizzozero fu anche Senatore del Regno),
lo interessava la possibilità di influire sulla sanità mediante le
leggi, ma nella convinzione che “non basta mutare le leggi
per ottenere ...benefici effetti ...è indispensabile che ognuno
di noi sia persuaso che nel prevenire le malattie molto si può
quando fermamente si voglia; è necessario che ogni individuo si faccia alleato degli esecutori della legge” [6, 38].
Questa socialità si innestava nell’amosfera culturale che fu
definita il “socialismo dei professori”. Illuminante è l’analisi di Traniello dal titolo “la cultura torinese all’epoca di
Bizzozero” [25], dove viene evidenziato l’eclettismo tra
211
aspetti spiritualisti e positivisti della Torino di quel tempo.
Calza perfettamente alla figura di Bizzozero il concetto di società come grande laboratorio, ma in particolare quello di
Torino città-laboratorio nei tre aspetti caratterizzanti: la ricognizione osservazionale, l’intervento diretto con l’assunzione di iniziative pubbliche, la pratica divulgativa. Infatti,
Bizzozero fu attento osservatore delle realtà locali, anche nel
senso epidemiologico del termine, propugnatore di opere
concrete come l’Ospedale Principe Amedeo di Savoia (per le
malattie infettive) o gli ammodernamenti manicomiali di
Collegno e diverse altre iniziative [12,18, 37, 38, 45]; fu anche assiduo collaboratore della Gazzetta del Popolo [34]. Tale
socialismo che risponde alla “questione sociale” (e le malattie infettive rappresentano per lui la “prima questione sociale”) va inteso nella sua giusta dimensione storica come qualcosa di più di una “semplice sensibilità”, ma anche qualcosa di meno dell’“ideologia organica” che seguirà [25].
Nell’ambito del riordinamento dell’igiene pubblica,
Bizzozero esprime le proprie convinzioni nella sua “trilogia” (Nuova Antologia,1898-1900) [6, 34], in gran parte imperniata sulla lotta alle malattie infettive in chiave di prevenzione privata e pubblica (vaccinazione compresa). In diversi articoli pone particolare attenzione alla depurazione
dell’acqua, alla conservazione del latte, ai dati statistici, alla repressione dell’alcolismo, alla difesa internazionale contro i contagi, alla relazione tra tubercolosi bovina e umana,
al rapporto delle malattie cancerose col fumo e, in senso lato, con l’ambiente [6, 18, 38] e persino all’igiene delle macchine da scrivere: tutti temi che sembrano proiettare le loro
luci e ombre fino ai nostri giorni. Ma se come scrive
Cappelletti “caratteristica del Bizzozero igienista fu la mediazione tra leggi e abitudini igieniche da una parte, e dall’altra il progresso delle conoscenze scientifiche attinte alle
più autorevoli fonti”, Bizzozero più in generale rappresenta
una riuscita integrazione tra scienza e politica. In quest’ottica, mentre gli elementi costitutivi della sua scienza, sopra
tratteggiati, acquistano una particolare vivezza, quelli delle
sue convinzioni politiche, l’esigenza del centralismo unificatore e organizzatore dello stato e di una legislazione che
diventi intima consapevolezza del cittadino, appaiono ancor
più profondamente attuali.
Postilla
Nel Capitolo introduttivo alla recente pubblicazione del volume dal titolo “Guiding the Surgeon’s Hand. The History of
American Surgical Pathology” [46] è stata sviluppata un’accurata analisi retrospettiva proiettata verso soluzioni future, di
problematiche che potrebbero essere ricondotte alla seguente
formulazione: la perdurante esistenza di un gap tra Patologia
Generale e Patologia Diagnostica (ivi intesa come surgical
pathology) ovvero più in generale tra Patologia accademica e
non accademica. Significativamente, l’Autore (Rosai) cita la
212
contrapposizione dialettica tra Virchow: “...in addition to applied (diagnostic) microscopy, there is scientific microscopy.What will in the end be of importance in the development of medicine is whether the microscope proves to be an
agent merely of diagnosis or truly of reform” e Mc Carthy
“...many professors of pathology throughout this country manifest a lack of interest and an abundance of indifference in
the practical application of their science to clinical practice”.
Il miglior rimedio a questo dualismo è auspicato dall “integrazione” in forma di team ed espresso in termini anatomoclinici dalle parole di Stout, riportate in forma di prologo “...it
is impossible to do intelligent surgery without a thorough understanding of the pathology of disease and it is equally impossible to make an intelligent interpretation of pathology
without a clear understanding of its clinical implications”.
Esse sembrano la parafrasi di un passo di Bizzozero: “La stessa terapia, il cui incremento è pur lo scopo ultimo che si prefiggono tutti i cultori delle mediche discipline, non potrà vantare che incerti e casuali progressi se sostenuta solo dall’empirismo; mentre avrà vita robusta se sorretta da una più esatta conoscenza dell’essenza dei morbi e della influenza dei rimedii sull’organismo” (Prelezione 1872-1873).
È difficile sottrarsi alla suggestione di un Bizzozero, prefigurazione storica di tale sintesi propositivamente conciliativa.
Cronologia biobibliografica di Giulio Bizzozero
Tra le pubblicazioni citate sono inclusi, datati e contraddistinti (*), anche i lavori schiettamente anatomo-patologici.
Si è fatto riferimento a Golgi: elenco bibliografico generale
(numeri arabi) [6] e quello limitato alle opere scientifiche riprodotte in testo (numeri romani) [7]. Ai numeri (non sempre coincidenti) sono state aggiunte eventuali citazioni di altra fonte per precisazioni rilevanti o per colmare lacune. Le
notizie biografiche sono tratte da: “In memoria di Giulio
Bizzozero nel primo anniversario della sua morte. La famiglia” (AA.VV., citati nel testo), Cappelletti [8], Gravela
[9], “Giulio Bizzozero: cento anni di cellule labili, stabili e
perenni” (AA.VV., citati nel testo). Sulle date sono state riscontrate qua e là discordanze; quando possibile la scelta è
caduta sulle versioni più concordanti o più verosimili.
1846
Nasce a Varese (20 marzo).
1862
Inizia gli studi di Medicina a Pavia.
1864
* “Di un tumore a fibro-cellule degli emisferi cerebrali”,
Archivio italiano per le malattie nervose, Vol. I (3, III)
1865
* “Sui corpuscoli semoventi del midollo delle ossa. Comunicazione di Mantegazza al R. Istituto Lombardo” in Rendiconti
del R. Istituto Lombardo, Vol. II (5), ricerca di Bizzozero.
Giulio Bizzozero: ricordo nel centenario della morte
1866
Laurea di dottore in Medicina a Pavia (5 giugno) e Premio
Matteucci (massimo punteggio in tutte le materie d’esame).
A Pavia fonda il Giornale della Società di Scienze
Matematiche, Fisiche e Biologiche (pochi numeri). *“Di un
caso di tubercolosi peritoneale a tubercoli peduncolati”,
Giornale della Società di Scienze Matematiche, Fisiche e
Biologiche (8). *“Casi rari di anatomia patologica” (9) (riferimenti alla tubercolosi). Seguirà un lavoro sulla tubercolosi cutanea (35, XXV:1873).
1866-1868
Frequenta i laboratori di Frey a Zurigo, di von Kölliker a
Würzburg, di Brücke a Vienna, di Virchow a Berlino.
Supplisce Mantegazza nell’insegnamento di Patologia Generale a Pavia, assumendo anche la direzione del Laboratorio
(1867-1868). Pubblica “Del microscopio e della tecnica microscopica. Manuale pei medici e per gli studenti, del dott.
E. Frey, professore a Zurigo. Sunto con note”, Annali universali di Medicina, Vol. CCII, 1867 (14).
1868
Iniziano le pubblicazioni riguardanti la funzione ematopoietica del midollo osseo con l’articolo “Sulla funzione ematopoetica del midollo delle ossa. Comunicazione preventiva”,
Gazzetta Medica italiana, Lombardia, Serie VI, Tomo 1, n.
46, pp 381-382 (14 novembre, Pavia) (17) [32]. Seguiranno
altri lavori sull’argomento.
1869
Inizia l’incarico ufficiale dell’insegnamento a Pavia. Socio
corrispondente dell’Istituto Lombardo di Scienze, Lettere ed
Arti.
1870
* “Sullo sviluppo del mollusco contagioso” con N. Manfredi, Rendiconti del R. Istituto Lombardo, Serie II, Vol. III
(21). Seguiranno altri lavori con Manfredi sull’argomento
(22, XVI:1871; 42, XXIX:1876).
1871
* “Sullo sviluppo del glioma secondario del fegato”,
Giornale della R. Accademia di Medicina di Torino (25,
XVIII).
1872
Membro dell’Accademia dei Lincei. *“Beitrag zur Kenntniss
des Baues des Epithelioms”, Medizinische Jahrbücher (31,
XXII) [9]. *“Del rapporto che sta tra fra la struttura dei tumori e la natura del tessuto da cui prendono origine”,
Giornale della R. Accademia di Medicina di Torino (32,
XXIII).
1872-1873
Professore Ordinario di Patologia Generale presso l’Università di Torino. Corso litografato “Lezioni di Patologia Generale.Riassunte dagli Studenti Losio Scipione e Morra
Emilio”, litografia Cassina Pietro, Torino (anno accademico
1872/1873) [9], seguiranno altre curate da altri studenti.
Pubblica la “Prelezione al Corso di Patologia Generale” a
Torino, Ed. Camilla e Bertolero, Torino 1873 (33) (probabilmente pronunciata nel novembre del 1872 anche se vi è
Giulio Bizzozero: ricordo nel centenario della morte
oscillazione tra 1872 e 1873 sulla data di inizio del suo insediamento universitario a Torino).
1873
* “Studi sui tumori primitivi della dura madre” con C.
Bozzolo, Rivista Clinica (36, XXVII) [9].
1874-1875
Revoca della disponibilità dei locali nell’Istituto di Anatomia Umana in via Cavour (Torino).
1875-1876
Trasferisce il laboratorio nella sua abitazione di via Nizza
(Torino).
1876
Si insedia, per assegnazione ministeriale, nel nuovo Gabinetto (poi Laboratorio) di Patologia Generale nell’ex-convento di S. Francesco da Paola, in via Po 18 (Torino). Fonda
e dirige la rivista Archivio per le Scienze mediche (per 25 anni). Membro della R. Accademia d’Agricoltura di Torino.
* “Beiträge zur pathologischen Anatomie der Diphteritis”,
Medizinische Jahrbücher (41, XXVIII).
1878
Inizia il Corso di Microscopia Clinica a Torino, convertito in
Corso di Istologia Normale nel 1880.
1879
Viene nominato socio residente della R.Accademia delle
Scienze di Torino. Pubblica “Il cromo-citometro, Nuovo strumento per dosare l’emoglobina sul sangue”, Atti della R.
Accademia delle Scienze di Torino, Vol. XIV (47, XXXII).
* “Sullo stroma dei sarcomi”, Archivio per le Scienze mediche, Vol. II (45, XXXI).
1880
Aderisce alla Società Italiana d’Igiene. Interviene come relatore al Congresso d’Igiene di Torino.
Prima edizione del Manuale di Microscopia Clinica (Prefazione: settembre 1879). Ne seguiranno altre quattro in italiano: 1882, 1888, 1894, 1901. L’ultima edizione in collaborazione con C. Sacerdotti (106). Il nome di Bizzozero compare anche nelle Edizioni in francese curate e ampliate da
C.H. Firket dal 1883.
1881
Comunica all’Accademia di Medicina di Torino la scoperta
della piastrine (13 dicembre), cui segue la pubblicazione: “Su
di un nuovo elemento del sangue dei mammiferi e della sua
importanza nella trombosi e nella coagulazione”, Osservatore
Gazzetta delle Cliniche 17:785-787 [8, 17]. Lavoro non riportato da Golgi. Seguiranno altri lavori sull’argomento.
1882
Membro del Consiglio Superiore dell’Istruzione Pubblica.
1883
Riceve il 6° Premio Riberi dalla R. Accademia di Medicina
di Torino (per i lavori sull’Ematologia).
Pubblica “La difesa della società contro le malattie infettive. Discorso inaugurale”, Annuario della R. Università di
Torino per il 1883-1884 (61), Stamperia Reale G.B. Paravia
e Comp. di Vigliardi [9]. Vi è oscillazione tra le fonti circa
l’anno accademico: 1882/1883 [38] e 1883/1884 [6].
213
1884
Direttore della Scuola Superiore di Medicina Veterinaria di
Torino. Dispense litografate di Istologia Normale, stampate
fino al 1888 [9].
Pubblica con Vassale “Sul consumo delle cellule ghiandolari nelle ghiandole adulte dei mammiferi. Nota preventiva”,
Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino [9], seguita
subito da lavori in esteso e poi da altri correlati (cfr. anche
1888 e 1894).
1885
Rettore dell’Università di Torino (fino al 1886). * “Sulla natura delle produzioni leucemiche secondarie”, Archivio per
le Scienze Mediche, Vol. IX e Virchow’s Archiv, Vol. XCIX
(67, L) [9].
1886
Pubblica “Nuovo metodo per la dimostrazione degli elementi in cariocinesi nei tessuti”, Zeitschrift für wissenschaftliche
Mikroskopie und mikroscopische Technik, Vol. III (73, LIV).
1887
Presidente onorario della Società Reale e Nazionale di
Medicina Veterinaria. Membro del Consiglio Superiore di
Sanità.
1888
Presidente della Società Piemontese d’Igiene (non ancora
autonoma). Membro della Imperiale Accademia Germanica
di Berlino. Inizia la serie di lavori sulle Ghiandole tubulari
del tubo gastro-enterico e sui rapporti del loro epitelio coll’epitelio di rivestimento della mucosa con la Nota prima.
Seguiranno altre sei Note fino al 1893, Atti della R.
Accademia delle Scienze di Torino. La versione tedesca in
tre parti su Archiv für mikroskopische Anatomie (79, LIXLXV).
1889
Fonda con Pagliani la Rivista d’Igiene e Sanità Pubblica.
1890
Vice-Presidente della R. Accademia di Medicina di Torino.
Nomina a Senatore del Regno (4 dicembre).
1891
Discorso pronunciato al Senato in due tempi (15 e 16 giugno) contro l’orientamento del governo del primo ministro
Rudinì verso il decentramento e quindi il depotenziamento
dell’organizzazione sanitaria mediante l’abolizione della
Direzione Centrale di Sanità (come avverrà nel 1896). Presidente della R. Accademia di Medicina di Torino.
1892
Sovrintende per la parte igienica la costruzione dell’Ospedale Principe Amedeo di Savoia di Torino per le malattie
infettive. Nella seduta dell’Accademia di Medicina di Torino
del 18 marzo dà breve notizia della scoperta di batteri nelle
ghiandole gastriche del cane, che comparirà pubblicata
nell’anno seguente in appendice alla Nota settima dello studio “Sulle ghiandole tubulari del tubo gastro-enterico” col
titolo “Sulla presenza di batteri nelle ghiandole rettali e nelle ghiandole gastriche del cane”, Atti della R. Accademia
delle Scienze di Torino 28:233-251 (LXV).
214
1893
Delibera universitaria sull’insediamento del Laboratorio di
Patologia Generale nella nuova sede di corso Raffaello 30
(Torino). L’insediamento avviene probabilmente l’anno successivo.
1894
Pubblica “Accrescimento e rigenerazione nell’organismo”,
Archivio per le Scienze mediche 18:245-287 (81), dalla
Conferenza letta il 3 aprile 1894 in una delle sedute generali dell’XI Congresso Medico Internazionale di Roma.
1895
Presidente della Società Piemontese d’Igiene.
1897
Assume la direzione della Rivista d’Igiene e Sanità Pubblica
con Luigi Pagliani.
1898
Pubblica “Il cittadino e l’Igiene pubblica”, Nuova Antologia
(87).
1899
Presidente onorario della R. Accademia di Medicina di
Torino. Pubblica il discorso inaugurale del Congresso
Nazionale di Igiene di Torino (1898): “Lo Stato e l’Igiene
pubblica”, Nuova Antologia (88).
1900
Presidente onorario del XIII Congresso Medico Internazionale, Parigi 2-9 agosto. Membro della Commissione per
accertare la situazione igienico-sanitaria-amministrativa dei
brefotrofi del Regno.
Pubblica il discorso inaugurale del Congresso Nazionale di
Igiene di Como (1899): “L’Igiene pubblica in Italia”, Nuova
Antologia (89).
1901 (8 aprile)
Muore a Torino.
Ringraziamenti Un vivo ringraziamento al professor F.M.
Baccino e al professor D. Cantino per la loro cortese ospitalità presso le Biblioteche rispettivamente di Patologia Generale e di
Anatomia Umana Normale dell’Università di Torino.
Bibliografia
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Medicine, V edition. Scolar Press, Aldershot
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Pozzo, Torino, pp 178-195
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Bizzozero nel primo anniversario della sua morte. La famiglia. Fratelli Pozzo, Torino, pp 303-313
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28 aprile 1901. In: In memoria di Giulio Bizzozero nel primo
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Giulio Bizzozero: ricordo nel centenario della morte
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Pozzo, Torino, pp 223-237
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Bizzozero nel primo anniversario della sua morte. La famiglia. Fratelli Pozzo, Torino, pp 290-303
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Medicina di Torino, seduta del 19 aprile 1901. In: In memoria di Giulio Bizzozero nel primo anniversario della sua morte. La famiglia. Fratelli Pozzo, Torino, pp 133-139
215
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37. Giacosa P (1902) Commemorazione. Dal Corriere della Sera
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primo anniversario della sua morte. La famiglia. Fratelli
Pozzo, Torino, pp 284-290
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d’Igiene, seduta 27 aprile 1901. In: In memoria di Giulio
Bizzozero nel primo anniversario della sua morte. La famiglia. Fratelli Pozzo, Torino, pp 145-168
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Fratelli Pozzo, Torino, pp 333-335
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41. Foà P (1902) Discorso pronunciato a Varese in rappresentanza dell’Accademia delle Scienze di Torino e dell’Accademia
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pp 45-46
42. Pagliani L (1902) Discorso pronunciato a Torino come Preside della Facoltà medica. In: In memoria di Giulio Bizzozero
nel primo anniversario della sua morte. La famiglia. Fratelli
Pozzo, Torino, pp. 33-34
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