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Appunti di Storia della Medicina Pavese:
GIULIO BIZZOZERO
di Luigi Bonandrini
Giulio Bizzozero nasce a Varese il
20 marzo 1846; il ceppo è di antico
lignaggio e nello stemma di famiglia
vi è un castello dorato con due torri
sormontate da una cicogna. Compie
a Milano gli studi classici e, all’età di
quindici anni, si iscrive alla facoltà di
Medicina dell’Università di Pavia, dove
insegnano alcuni dei più prestigiosi
luminari del tempo.
Il Bizzozero riesce subito a far emergere
le sue spiccate attitudini alla ricerca,
perché, ancora studente, mostra quello
che è, “un autentico asso”, cioè un ingegno
precoce e straordinario, dotato di un
talento al tempo stesso istintivo e razionale. La sua struttura fisica contribuisce
a renderlo ancor più singolare: piccolo e
mingherlino, con un viso infantile, cortese e affabile con tutti, vivace e pronto
di corpo e di mente, il Bizzozero pare
“una stonatura e una derisione della gravità
universitaria”, un mezzo rachitico che osa
sfidare la cultura dogmatica e rigida di
una università vecchia e terrorizzata
dalle novità.
Due straordinari maestri lo accompagnano nella formazione accademica:
Eusebio Oehl e Paolo Mantegazza.
Eusebio Oehl (1827-1903) è il fondatore
dell’Istituto di Fisiologia, insegnamen-
Giulio Bizzozero.
to che ricopre dal 1865 al 1903, ma,
soprattutto, entra nella storia della
medicina come il fondatore, nel 1861,
del primo laboratorio di fisiologia
sperimentale.
Rinnovatore ed innovatore scientifico,
Oehl diviene anche un fine anatomico
ed istologo, e viene ricordato come
scopritore dello strato cutaneo lucido
detto appunto di Oehl, della struttura
delle corde tendinee della valvola
mitrale e della persistenza dell’aorta
destra dell’uomo.
Discepolo di Bartolomeo Panizza, a
I
Bizzozero, Golgi, A. Perroncito, Kölliker e Fusari.
sua volta allievo di Antonio Scarpa,
Oehl compie gli studi di perfezionamento all’Università di Vienna a scuola dell’anatomico Joseph Hyrtl e del
fisiologo Ernst William von Brüeke; a
Vienna Oehl acquisisce i fondamenti di
quell’indirizzo sperimentale di ricerca
che riuscirà a realizzare in Italia.
Paolo Mantegazza (1831-1910) è il fondatore, nel 1860, del primo laboratorio
sperimentale di patologia.
Il Mantegazza, grande divulgatore della
clinica moderna, è una figura al tempo
stesso geniale e singolare, perchè prima
insegna igiene a Milano, poi patologia
generale a Pavia e infine antropologia a
Firenze, raro esempio di una didattica
tanto varia quanto raffinata.
II
Ancora studente il Mantegazza si occupa dei fenomeni della coagulazione, e
poi, nel 1851, scopre le spore batteriche
e il fenomeno della riproduzione per
mezzo delle spore stesse; questa fondamentale scoperta, da tutti attribuita
a Robert Koch o a Rudolf Virchow, spetta
invece di diritto a questo straordinario
ricercatore nostrano. Vero precursore
degli innesti animali e dei tentativi di
opoterapia, il Mantegazza, nel 1866,
rileva sperimentalmente l’effetto terapeutico delle iniezioni di sperma sotto
la pelle o in cavità addominale, effetto
consistente in un importante impulso
alle caratteristiche morfologi-che e
funzionali dell’animale.
All’età di venti anni, il 1º giugno 1866,
Bizzozero, Kölliker e Golgi nel 1900.
il Bizzozero si laurea in Medicina a
Pavia proprio con il Mantegazza, e
riceve un singolare riconoscimento, il
premio Mateucci, riservato al laureato
con il massimo punteggio nelle varie
discipline accademiche.
L’argomento della tesi di laurea riguarda il “Processo di cicatrizzazione dei tendini
tagliati”; il Bizzozero viene approvato
con pieni voti assoluti, viene premiato
con una medaglia d’argento e viene
anche segnalato “con menzione particolare”
sulla Gazzetta Ufficiale.
La carriera del Bizzozero è fulminea.
Appena laureato si arruola nelle
truppe di Garibaldi, ma poco tempo
dopo, diviene supplente di patologia
generale, su richiesta del suo maestro
Mantegazza, appena eletto deputato al
parlamento; la nomina non è indolore
e il Mantegazza deve personalmente
ricorrere al ministro Coppino per vincere la resistenza della Facoltà che si era
espressa negativamente, scandalizzata
per la ascesa “di un giovinetto ad una delle
cattedre più importanti”.
Passa poco più di un anno e il Bizzozero
diviene prima incaricato e poi inse-
III
gnante ufficiale di patologia generale
oltre che direttore del laboratorio che
governa “col senno del provetto maestro”.
Non solo, ma nel 1871, diviene anche
professore incaricato di Istologia.
Tre grandi maestri dell’epoca manifestano subito diffidenza, ostilità e
gelosia nei confronti del Bizzozero:
sono il clinico medico Francesco Orsi,
l’oculista Antonio Quaglino e l’anatomopatologo Giacomo Sangalli.
Si tratta di tre personalità di spicco, autentici boss dell’Università, caratteriali
per indole e per principio, per nulla disponibili al dialogo e ancorati a concetti
che ritenevano assoluti. Coltissimi, ben
preparati e assai intelligenti, con altrettanta vanità e perfidia, si oppongono
all’ingresso nel circuito universitario di
quel giovane talento, che a sedici anni
aveva già acquisito autorità e prestigio
scientifico, pubblicando alcuni bellissimi lavori di istologia, una disciplina
allora del tutto nuova.
Il Bizzozero, al momento della laurea
è una personalità già fatta, ed è già un
profondo conoscitore di cose e di uomini; sempre misurato, gentile, educato
e disponibile, con la sua mente acuta
e vivace riesce a vincere la guerra con
la vecchia guardia baronale.
Lo scontro non è solo generazionale,
ma epocale, e il Bizzozero non metterà
mai in discussione né lo spessore né la
preparazione dei grandi maestri; non
proclamerà rivolte o tumulti, ma un
rinnovamento di idee e di dottrine, e
lo farà in modo corretto e sereno, come
solo le grandi personalità sanno fare.
Certo l’uomo sconvolge il sistema, get-
IV
tando nella confusione e nello scompiglio i depositari dell’antico sapere ma
va chiarito che il Bizzozero non è né
un ribelle, né un polemista, ma solo un
autentico radicale del sapere.
Il pavese Orsi, e alcuni della sua scuola, sollevano subito critiche, palesi o
velate, nei confronti del Bizzozero,
con frecciate polemiche fino a vere e
proprie maldicenze; il grande maestro
è un tipo poco propenso ad esporsi a
confronti scientifici, e, per temperamento, è più incline a trappole e congiure, anche perchè viene considerato
da tutti “un grandissimo clinico, ma non un
ricercatore”. La polemica raggiunge livelli
impensati, al punto che, all’apice della ennesima diatriba scientifica, Orsi
“perde le staffe”, e l’anatomo-patologo
Corrado Tommasi-Crudeli lo giudica
“maturo pel manicomio”.
Il veneto Quaglino, grande maestro di
oftalmologia, è un uomo diffidente per
natura e per scelta di vita, ma al tempo
stesso, dopo un iniziale atteggiamento
sprezzante, si dimostra disponibile,
permettendo qualche volta al suo aiuto
di partecipare alle ricerche sperimentali proposte dal Bizzozero.
Il bergamasco Sangalli, dal carattere
rude e permaloso, allievo della scuola
viennese conservatrice di Karl von
Rokitansky, per tutta la vita resta fedele al suo cliché, opponendosi con
accanimento alla medicina sperimentale di derivazione tedesca. Polemista
violento, battagliero ed aggressivo, non
gli par vero di poter irridere “quel piccolo
essere”, il Bizzozero appunto, e tutte le
sue nuove scoperte. Lui, il Sangalli, se
Giulio Bizzozero.
ne infischia della cellula, della patologia cellulare e anche del microscopio
e si diverte un mondo a prendere per
i fondelli “quelli che guardano nel buco”,
alludendo, con sprezzante e mordace
ironia, non soltanto al microscopio. Singolare davvero il Sangalli, “ciclotimico” ma
persona acutissima, il quale, per partito
preso e per atteggiamento abitudinario,
preferisce opporsi e rifiutare anche la
più smaccata evidenza.
Orsi vive in una sorta di roccaforte
inaccessibile, Quaglino crede soltanto
a sé stesso, Sangalli tuona insulti memorabili ai colleghi: nessuno dei tre
intuisce e capisce la rivoluzione epocale del Bizzozero, vero rinnovatore e
costruttore del sapere.
A Pavia il Bizzozero abita nella casa
di proprietà della Marchesa Luigia
Ribolini del Majno, detta Donna Gina;
quella casa, dove abitano anche Camillo Golgi e Cesare Lombroso, diviene
un autentico cenacolo culturale e importante punto d’incontro di numerose
personalità scientifiche.
Il Bizzozero trascorre parecchi mesi
a Berlino, a Vienna e a Zurigo, presso
i laboratori di R. Virchow, di R.A. von
Kölliker e di H. Frey, che completano
così la schiera dei suoi grandi maestri.
Al suo ritorno a Pavia si impegna in
una serie di ricerche, scoprendo che
gli strati intercellulari dello strato di
Malpighi svolgono la funzione di nutrizione cellulare; scopre l’origine dei
globuli rossi a livello midollare e che
essi, come altri tipi cellulari, non erano
privi di nucleo in una fase anteriore di
vita. L’attività scientifica del Bizzozero
è frenetica e riguarda studi sul connettivo, sul midollo osseo, sugli epiteli,
sulle sierose e sul sangue; si occupa del
fenomeno della coagulazione, inizia gli
studi sul sistema reticolo-istiocitario e
intuisce il fenomeno della fagocitosi
prima di Elie Metshnikoff.
Il Bizzozero diviene così vero e proprio “uomo-luce”, e moltissimi allievi,
futuri capiscuola, frequentano il suo
laboratorio: Edoardo Bassini, Domenico Stefanini, Camillo Bozzolo, Nicolò
Manfredi, Benedetto Morpurgo, Luigi
Griffini, Carlo Forlanini, Livio Vincenzi,
Francesco Falchi, Carlo Foà, Maurizio
Ascoli, Giuseppe Muscatello.
Il Bizzozero accoglie fra i suoi allievi
anche un giovane taciturno, ruvido, dai
V
Pubblicazione sulla scoperta delle piastrine.
modi lenti ed impacciati, dagli occhi
scuri e profondi: è Camillo Golgi, che
nel 1906 diverrà il primo Nobel della
medicina italiana.
L’uomo è un montanaro del bresciano,
ombroso e permaloso; sempre avvolto
nei suoi pensieri, pare quasi sprovvisto
di un alito di umanità. Difficile comunicatore per indole e temperamento,
diffidente per sua natura, Golgi non
offrirà a nessuno familiarità o confidenza per una spiccata e profonda
timidezza.
E’ davvero curioso l’incontro di queste
due personalità fra loro agli antipodi,
ed è altrettanto singolare che Golgi,
più vecchio divenga allievo del Bizzo-
VI
zero, di lui più giovane di tre anni. Nel
giovane Golgi, il Bizzozero o intravede
“il luccicar del genio”, o coglie “il talento dei
timidi”, oppure intuisce “l’ostinazione e la
tenacia del montanaro”; forse, più semplicemente, la testa geniale del Bizzozero,
pari alla sua modestia e generosità, è
capace di colmare qualunque divario di
carattere, per offrire a tutti un sapere
moderno e innovativo.
Maestro e allievo sono opposti nei
rapporti umani, ma sono identici “nel
tormento affannoso per la ricerca del vero”;
autoritario e duro nei modi, Golgi, seppure tanto legnoso, apprende subito
dal Bizzozero “un amore quasi religioso verso
la medicina”, forse per agguagliare il suo
ingenito ateismo.
Il Bizzozero è un parlatore raffinato e
un comunicatore efficacissimo: “la sua
parola appare quasi geometrica e nessuno degli
aggettivi da lui usati può essere sostituito senza
ledere l’esattezza di ciò che vuole presentare
alla mente dell’ascoltatore”. Autentico “matematico della patologia” e straordinario
intellettuale della ricerca come del
linguaggio, il Bizzozero incarna una
ideale simbiosi fra chi voglia diradare
“le tenebre dell’ignoranza” e chi voglia rifondare la medicina”.
Nel 1873, all’età di 27 anni, il Bizzozero vince per concorso la cattedra di
Patologia Generale a Torino, vincendo
contemporaneamente l’analogo concorso a Pavia. Il rettore Timmermans e
il fisiologo olandese Jakob Moleschott
sono gli sponsors del trasferimento a
Torino del Bizzozero, il quale, per la
seconda volta, sperimenta sulla propria
pelle l’ostilità dell’ambiente universi-
tario; passo dopo passo, come è nel
suo stile, supera con determinazione
ogni ostacolo fino a divenirne, nel 1885,
Rettore Magnifico.
Oltre che la ricerca, il Bizzozero promuove gli scambi di informazione
nazionali ed internazionali, si batte
per dotare tutti i laboratori di corrente
elettrica e si innamora della macchina
da scrivere come oggi i ragazzi si innamorano del computer. Per diciassette
anni il Bizzozero lavora nelle stanze di
un ex convento francescano, prima di
trasferirsi, nel 1893, nella nuova sede
di Corso Raffaello.
Difficile riassumere i risultati delle
moltissime ricerche sperimentali del
Bizzozero, ma una brilla per la sua importanza nella storia della medicina: la
scoperta delle piastrine avvenuta nel
1882 e l’intuizione della loro funzione
nei fenomeni normali e patologici del
sangue.
Osservatore scrupoloso e disegnatore
finissimo, il Bizzozero possiede mani
piccole e delicate, ma soprattutto possiede occhi vivaci e luminosi, pronti ad
esprimere in ogni momento il lampo
del genio.
L’uomo, per sua natura urbano e riservato, diviene aggressivo quando si batte
per il bene comune e per migliorare le
condizioni di vita dei poveri; divenuto
senatore del Regno tuona che “questa
è la prima delle questioni sociali” e che
“il vero ostacolo è rappresentato dalle forze
dell’ignoranza, dell’affarismo, dei pregiudizi e
dell’inerzia”.
Non ha peli sulla lingua il Bizzozero
e nemmeno si presta a malintesi o a
Disegno del Bizzozero sugli elementi del sangue.
compromessi, ma utilizza qualunque
strumento “per estendere l’educazione e
l’istruzione igienica alle classi popolari”; attacca duramente il governo, inchiodandolo alle proprie responsabilità, per aver
preso provvedimenti che valsero ad
accrescere “il campo di diffusione di alcune
malattie”.
Il Bizzozero ha il dono anche dell’ironia fino al sarcasmo: “quando si tratta di
bonificare, di costruire ospedali, di migliorare
l’igiene, allora l’erario è esausto, ma poi si
spendono milioni per rendere più teatralmente
pomposa un’incoronazione”.
Non manca neppure l’analisi psicosociale: “le moltitudini soffrono, bestemmiano,
ma applaudiscono, perchè l’uomo è pur sempre
un eterno fanciullo e preferisce chi l’abbaglia
a chi gli giova”.
VII
Lunedì 1 aprile 1901, all’età di cinquantacinque anni, per la prima volta nella
sua vita, il Bizzozero “si diede per malato”;
muore la sera del lunedì successivo,
8 aprile, fulminato da una polmonite.
Poche ore prima, interrogato “del come si
sentiva”, risponde di star bene e che “se
vado avanti così fino a domani, sono fuori!”; il
Bizzozero sa bene che nel settimo giorno, per la generalità dei pneumonici,
avviene la crisi salvatrice, ma per lui,
purtroppo, sopravviene la morte.
E’ un momento difficile per il mondo
accademico e scientifico nazionale
ed internazionale, perchè l’uomo,
carismatico per natura, era divenuto
il punto di riferimento della ricerca
medica.
Il successore naturale sulla cattedra
del Bizzozero doveva essere Golgi, ma
nessuna insistenza riesce a smuovere
quella “quercia”, “stanzialmente radicata
nell’Università di Pavia”; tra l’altro Golgi
era profondamente legato al Bizzozero
anche da vincoli di parentela, poichè
Maddalena, la sorella del Bizzozero era
la madre di sua moglie Lina Alenti.
Il Bizzozero è il fondatore e il caposcuola di numerose discipline della
medicina pavese: la patologia generale, la microbiologia, l’anatomia
patologica e l’igiene.
La patologia generale segue la linea
da Bizzozero a Golgi, continuando poi
con Aldo Perroncito, Emilio Veratti
e Piera Locatelli; da Emilio Veratti
prende origine l'indirizzo della scuola
microbiologica ad impronta clinica.
La scuola di Anatomia Patologica parte
dal Bizzozero, passa da Achille Monti a
VIII
Piero Redaelli, per poi sdoppiarsi nella
scuola pavese con Cesare Cavallero
e nella scuola milanese con Alfonso
Giordano.
Anche la Scuola di Igiene trae origine
dal Bizzozero, passa dal suo allievo
Luigi Pagliani e dall’allievo di quest’ultimo Achille Sclavo; attraverso Donato
Ottolenghi e Augusto Giovanardi, si
giunge alla scuola di Luigi Checcacci.
Un rilievo va sottolineato. Il Bizzozero
domina il clima scientifico di trasformazione in atto, perchè ad un sapere
complicato ed impreciso accessibile
soltanto a pochi, oppone un sapere
nuovo, semplice ed esatto, accessibile
a tutti e a chiunque abbia il piacere di
volerlo apprendere.
Sono a confronto due scuole di pensiero, l’autorità dogmatica dei grandi
maestri, e quella originale del piccolo
rivoluzionario; sono due opposte visioni di cultura, l’una che fa riferimento ai
grandi pensatori, l’altra che privilegia
le conquiste tecniche della sperimentazione.
“La sintesi, scrive il Bizzozero, deve cedere
il posto all’analisi, perchè la patologia non è più,
come una volta, la parte poetica della medicina”; è il passaggio dalla fisiopatologia
speculativa alla fisiopatologia sperimentale, predicata da “un ragazzino che
brucia le tappe della carriera”, senza badare
agli ostacoli e al dissenso.
Nella storia della medicina accade talvolta che i veri fuoriclasse, protagonisti
delle grandi rivoluzioni, percorrano
in punta di piedi le strade misteriose
del destino: Giulio Bizzozero è uno di
questi grandi uomini.