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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE
Corso di Laurea Triennale in Scienze per l’Ambiente
e per la Natura
Tesi di laurea
Presenza di specie aliene sul territorio del Friuli
Venezia Giulia: il caso del gambero rosso della
Louisiana Procambarus clarkii (Girard, 1852)
Un esempio di modello per un piano di gestione
Relatore:
Prof.ssa Francesca Tulli
Laureanda:
Miriam Venier
Correlatore:
Dott. Massimo Zanetti
ANNO ACCADEMICO 2014/2015
SOMMARIO
Le specie aliene invasive (IAS) sono specie la cui introduzione e/o diffusione al
di fuori del loro areale naturale, ad opera diretta o indiretta, volontaria o involontaria
da parte dell’uomo, rappresenta un rischio per la biodiversità. Le IAS sono state
riconosciute come la seconda più importante minaccia per la biodiversità a livello
mondiale (dopo la distruzione o perdita diretta di habitat) e rappresentano un grave
ostacolo alla conservazione e all'uso sostenibile della biodiversità globale, regionale
e locale. La loro introduzione comporta, inoltre, conseguenze rilevanti per l’economia
e la salute dell’uomo.
Un quadro normativo comunitario, nazionale e regionale impone precisi
interventi di gestione del fenomeno.
Lo studio si è basato sull’esperienza maturata in Friuli Venezia Giulia riguardo
alla minaccia causata dall’introduzione della IAS Procambarus clarkii (Gambero rosso
della Louisiana) nei confronti delle specie di gamberi d’acqua dolce tutelate dalla
normativa comunitaria, nazionale e regionale (Austropotamobius pallipes, A.
torrentium e Astacus astacus).
P. clarkii è una specie in grado di creare forti impatti sulle popolazioni astacicole
cui può trasmettere importanti patologie e contribuire alla diffusione in acque libere
dell’afanomicosi di cui è portatore sano, sulle comunità bentoniche ed ittiche, a causa
della competizione trofica o spaziale o della predazione, sull’ambiente ripariale
alterando la morfologia delle sponde conseguente all’attività di scavo. Infine,
essendo una specie in grado di sopravvivere anche in ambienti inquinati, può
accumulare metalli pesanti e tossine (prodotte dai cianobatteri) nei suoi tessuti,
rendendo questo gambero potenzialmente molto pericoloso per la salute umana in
caso di consumo alimentare.
Il progetto LIFE RARITY (LIFE10 NAT/IT/000239) per il contenimento del
gambero rosso della Louisiana ed il rafforzamento delle popolazioni native di gamberi
di acqua dolce in Friuli Venezia Giulia è stato occasione per predisporre un modello
di gestione della specie alloctona, anche anticipando quanto previsto dal
Regolamento europeo n. 1143 del 22/10/2014 che disciplina la gestione
dell’introduzione e diffusione delle specie alloctone invasive ed entrato in vigore il 1
gennaio 2015. Il progetto, al quale ho potuto personalmente prendere parte nel
corso della sua realizzazione sia per le fasi di monitoraggio sul territorio regionale che
per le operazioni di contrasto alla popolazione di P. clarkii, è stato coordinato
dall’Ente tutela pesca del Friuli Venezia Giulia e realizzato in collaborazione con le
Università di Trieste e Firenze, il CNR-Istituto di Scienze Marine di Venezia e l’Istituto
Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie.
5
Il progetto prevedeva azioni diversificate rivolte a:

Migliorare le conoscenze sui gamberi d’acqua dolce in Friuli Venezia
Giulia, ed in particolare sugli aspetti demografici, genetici e sanitari,
consentendo di aggiornare la mappa di distribuzione delle specie di gamberi
d’acqua dolce e di indentificare differenti taxa di gambero di fiume presenti
in regione e differenti profili genetici delle popolazioni di P. clarkii in Friuli
Venezia Giulia, consentendo di ipotizzare la loro introduzione in tempi
differenti e da popolazioni sorgente diverse. Ha inoltre consentito di
incrementare le conoscenze sulla diffusione della afanomicosi o peste del
gambero, malattia letale per i gamberi di fiume sulla cui diffusione P. clarkii
può svolgere il ruolo di vettore. Le analisi sulla possibile tossicità in caso di
consumo alimentare, si sono focalizzate su batteri agenti di infezioni
tossicologiche alimentari (Salmonella spp. e Vibrio spp.) e su metalli pesanti.
Le valutazioni microbiologiche per la Salmonella sp. hanno fornito esito
negativo mentre le analisi per Vibrio sp. hanno evidenziato la presenza di un
ceppo di Vibrio parahaemolyticus non tossigeno. La concentrazione di
metalli pesanti rilevata è rimasta contenuta entro i limiti di contaminazione
previsti per legge dal Reg. CE 1881/2006 e pari a 0.5 ppm.

Contenere la popolazione di P. clarkii in F.V.G. in modo differenziato
sul territorio regionale in relazione alle differenti situazioni ambientali. In
reticoli idrografici complessi, corsi d’acqua che scorrono tra regioni
differenti e contesti di difficile accesso, l’intervento è stato limitato ad un
monitoraggio della situazione. Nel caso di popolazioni più isolate è stato
attivato un procedimento sistematico di contrasto, che ha portato alla
riduzione, e in alcuni casi all’eradicazione, della popolazione di P. clarkii
attraverso l’applicazione di tecniche tradizionali (trappolaggio intensivo) in
combinazione con altre innovative o sperimentali (uso di feromoni e
sterilizzazione dei maschi) e con l’elaborazione di protocolli d’intervento
rapido nel caso di nuove segnalazioni e di una normativa ad hoc.

Tutelare il gambero di fiume con il rafforzamento delle popolazioni di
Austropotamobius pallipes, tramite il rilascio in natura circa 40mila giovani
gamberi.

Sensibilizzare l’opinione pubblica attraverso l’attività di formazione e
divulgazione, per renderla sensibile e informata sul tema del progetto e per
educare, formare ed aggiornare gli operatori che a diverso titolo si trovano
a fronteggiare la problematica della IAS sul territorio regionale.
Per questi motivi il progetto LIFE RARITY è stato inserito dalla Commissione
europea nella rosa dei "Best Life nature projects", ovvero i migliori tra i 63 progetti,
condotti e conclusi nell'intera Unione Europea nell’anno 2015.
6
INDICE
SOMMARIO .............................................................................................................................. 5
1.
INTRODUZIONE ................................................................................................................ 9
1.1. Le specie autoctone e specie alloctone ...................................................................... 9
1.2. Le specie alloctone invasive ...................................................................................... 11
1.3. Impatti causati dalle specie invasive ......................................................................... 13
1.3.1.
Impatti sulle specie ........................................................................................ 13
1.3.2.
Impatti sull’ecosistema .................................................................................. 15
1.3.3.
Riduzione della produzione in agricoltura e acquacoltura ............................ 17
1.3.4.
Minaccia al benessere umano ....................................................................... 18
1.4. Strategia europea per la conservazione della biodiversità e il contrasto alle specie
aliene ......................................................................................................................... 24
1.4.1.
La Convenzione di Berna ................................................................................ 25
1.4.2.
La direttiva Habitat (92/43/CEE) e rete Natura 2000 .................................... 25
1.4.3.
Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD) .................................................. 27
1.4.4.
Regolamento UE n.1143/2014 ....................................................................... 28
1.4.5.
L’inventario del progetto DAISIE .................................................................... 31
1.4.6.
Il Programma LIFE .......................................................................................... 32
2.
OBIETTIVI........................................................................................................................ 33
3.
MATERIALI E METODI..................................................................................................... 35
4.
LE SPECIE OGGETTO DI STUDIO ..................................................................................... 39
4.1. Il gambero di fiume Austropotamobius pallipes compl. ........................................... 39
4.2. Il gambero rosso della Louisiana Procambarus clarkii .............................................. 42
4.2.1.
Storia della distribuzione di Procambarus clarkii........................................... 45
4.2.2.
Vantaggio competitivo sulle specie indigene, associato ad aggressività,
resistenza allo stress ed efficienza riproduttiva............................................. 50
4.2.3.
Modificazione dell’ambiente dovuta alle abitudini di scavo che intorbidano le
acque e rendono i terreni porosi e permeabili, producendo infiltrazioni
d’acqua e crolli di arginature ......................................................................... 55
4.2.4.
P. clarkii carrier della peste del gambero ...................................................... 58
4.2.5.
Bioaccumulo di contaminanti in Procambarus clarkii.................................... 62
4.3. Inquadramento normativo........................................................................................ 66
5.
UN MODELLO DI GESTIONE DI UNA SPECIE ESOTICA INVASIVA IN FRIULI VENEZIA
GIULIA: IL PROGETTO RARITY ......................................................................................... 69
5.1. Il monitoraggio .......................................................................................................... 74
5.1.1.
Il monitoraggio delle popolazioni astacicole.................................................. 74
7
5.1.2.
Il monitoraggio sanitario ................................................................................ 77
5.1.3.
Il monitoraggio genetico ................................................................................ 80
5.1.4.
La definizione delle aree di rischio ................................................................. 83
5.2. Lotta a Procambarus clarkii ....................................................................................... 84
5.2.1.
Utilizzo di esche maggiormente efficaci ......................................................... 85
5.2.2.
Rilascio predatori naturali .............................................................................. 87
5.2.3.
Tecnica di radio-sterilizzazione dei maschi .................................................... 88
5.2.4.
Early detection rapid response (EDRR) .......................................................... 92
5.2.5.
Citizen Science ................................................................................................ 96
5.3. Il rafforzamento delle popolazioni di gambero di fiume ........................................... 97
5.3.1.
Cattura riproduttori ........................................................................................ 99
5.3.2.
Accoppiamenti, deposizione e schiusa uova ................................................ 100
5.3.3.
Accrescimento delle larve ............................................................................ 101
5.3.4.
Rilascio in natura .......................................................................................... 102
5.4. La comunicazione .................................................................................................... 104
5.5. Predisposizione di una normativa specifica ............................................................ 106
5.5.1.
Piano d’azione per la tutela dei gamberi d’acqua dolce (art. 6 bis della legge
regionale 19/1971) ....................................................................................... 107
6.
CONCLUSIONI ............................................................................................................... 109
7.
BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................... 111
RINGRAZIAMENTI ................................................................................................................. 127
8
1. INTRODUZIONE
Le specie aliene invasive (di seguito IAS, Invasive Alien Species) sono il risultato
dell’introduzione da parte dell’uomo, volontaria o accidentale, di animali e di piante
al di fuori del loro areale di distribuzione originario, in grado di determinare la
sostituzione delle specie indigene, sostanziali cambiamenti ecologici, significativi
danni economici (Holdich & Gherardi, 1999; Lovell & Stone, 2005) e anche rischi per
la salute umana (Mazza, 2013). Anche se, in realtà, una minima parte delle specie
introdotte diventa invasiva, i danni per l’ecosistema prodotti anche da questa piccola
frazione, sono molto elevati, tanto che le specie invasive sono oggi considerate a
livello mondiale la seconda minaccia alla biodiversità dopo la perdita e la distruzione
di habitat (Sala et al., 2000).
Il fenomeno della diffusione delle IAS, definito anche invasione biologica, è
globale e riguarda quindi anche l’Italia e il Friuli Venezia Giulia.
Nonostante una buona produzione scientifica sull’argomento, numerosi aspetti
delle invasioni biologiche sono ancora oggetto di indagine, soprattutto per quanto
attiene la gestione delle problematiche legate alla loro diffusione.
Recenti e datate normative di derivazione comunitaria impongono agli Stati
europei di gestire questo problema che, nella maggior parte dei casi, è complesso,
poco conosciuto nelle diverse implicazioni o troppo oneroso dal punto di vista
economico.
1.1. Le specie autoctone e specie alloctone
In base alla loro distribuzione storica e a quella attuale, le singole specie
possono essere suddivise in:

Native (o indigene, autoctone)

Endemiche

Aliene (o non native, non indigene, alloctone, esotiche)

Aliene invasive.
I termini nativa, indigena, autoctona, utilizzati di frequente come sinonimi, si
riferiscono a una specie che:
9
-
si è originata ed evoluta entro uno specifico territorio (o vi è immigrata
autonomamente da lungo tempo);
-
è presente con popolazioni che si auto-sostentano.
Si definiscono endemiche le specie distribuite in una determinata regione
circoscritta.
Ad es. la salamandrina dagli occhiali (Salamandrina terdigitata) è una specie
endemica dell’Italia in quanto è distribuita esclusivamente nella nostra penisola
mentre la salamandra pezzata (Salamandra salamandra) è una specie nativa in Italia,
ma non endemica perché il suo areale è ben più ampio dei confini nazionali.
Con i termini aliena, non-nativa, non-indigena, esotica o alloctona si
individuano specie introdotte volontariamente o accidentalmente, direttamente o
indirettamente dall’uomo al di fuori del loro areale originale.
Una specie aliena può insediarsi nel nuovo habitat senza causare importanti
squilibri ecologici. Ma in alcuni casi l’introduzione delle specie alloctone comporta la
rapida colonizzazione degli habitat con conseguenze rilevanti per la biodiversità,
l’ambiente, l’economia, la salute dell’uomo. In questi casi si parla di specie aliene
invasive.
In Europa si stima siano presenti oltre 12.000 specie esotiche delle quali circa
1.200
-
1.500
aventi
carattere
invasivo
(http://www.europe-
aliens.org/aboutDAISIE.do).
L'Italia è particolarmente vulnerabile all'ingresso delle specie aliene a causa
delle sue caratteristiche geografiche e climatiche ed ospita 3.000 specie terrestri
esotiche, delle quali 1.645 specie animali e 1.440 vegetali, su un panorama
complessivo di biodiversità di specie e ecosistemi tra i più ampi d’Europa
(http://annuario.isprambiente.it/ada/scheda/5472/12).
10
1.2. Le specie alloctone invasive
Le IAS sono presenti nella maggior parte dei gruppi tassonomici: animali,
piante, funghi e microorganismi e interessano habitat di terraferma, acqua dolce e
acqua marina. Causano spesso l’estinzione di specie native vulnerabili attraverso
meccanismi quali la predazione, la competizione per la risorsa trofica o gli spazi, o per
l’alterazione dell’habitat. Particolarmente colpiti sono gli ambienti e le specie insulari.
Solo alcune delle specie non native introdotte al di fuori dei loro territori
naturali, causano problemi nella loro nuova collocazione e sono definite invasive. Al
contrario, molte specie introdotte rappresentano importanti risorse economiche e in
alcuni casi sostengono la produzione nazionale (agricoltura, pesca, acquacoltura,
selvicoltura) e hanno considerevoli benefici per l’economia locale e nazionale. Solo a
titolo esemplificativo si pone il caso della trota iridea (Onchorynchus mykiss), specie
di salmonide di origine nord americana, di cui l’Italia è il primo produttore in Europa
con oltre 40.000 tonnellate l’anno, delle quali il 30% circa è allevato in Friuli Venezia
Giulia (Fabris, 2010).
Altre specie alloctone sono risorse altamente apprezzate per il benessere della
società (p.es. piante ornamentali, animali domestici, pesca sportiva). Specie vegetali
invasive, molte delle quali introdotte come piante per orticoltura, competono con le
specie indigene e alterano il regime degli incendi, il ciclo dei nutrienti, il flusso di
energia e il ciclo dell’acqua.
Proprio la diversa percezione del fenomeno della diffusione delle specie
alloctone invasive rappresenta una delle principali criticità della gestione di questo
problema.
La degradazione dell’ambiente causata dall’inquinamento, dalla perdita di
habitat e dal disturbo antropico può contribuire a creare condizioni favorevoli per
l’insediamento e la crescita delle IAS. Inoltre non si può non tener conto degli effetti
dei cambiamenti climatici che potrebbero causare un aggravarsi della situazione in
quanto possono alterare la distribuzione naturale delle specie, comprese quelle
aliene, favorendo la loro stabilizzazione al di fuori del loro habitat naturale.
11
L’incremento dei viaggi, del commercio e del turismo associati alla
globalizzazione e all’espansione della popolazione umana, ha facilitato la diffusione
di specie oltre le loro barriere naturali biogeografiche, consentendo la colonizzazione
di ecosistemi anche molto distanti da quelli originari (Figura 1).
Figura 1. Incremento nel numero di specie aliene documentate in Europa (da Kettunen, 2009)
Comprendere le vie di ingresso delle specie aliene invasive, i loro modelli
biologici e i meccanismi di impatto, sono informazioni necessarie per sviluppare
politiche più efficienti e rigorose per prevenire e mitigare gli effetti negativi da esse
derivati.
12
1.3. Impatti causati dalle specie invasive
Le specie invasive producono notevoli impatti:

influenzano la conservazione di altre specie;

alterano e/o distruggono gli ecosistemi;

riducono la produttività in agricoltura e in acquacultura;

minacciano il benessere e la salute dell’uomo.
1.3.1. Impatti sulle specie
1.3.1.1.
Ibridazione
Qui di seguito alcuni esempi di ibridazione tra specie autoctone e specie aliene
invasive causanti contaminazione del genotipo nativo.

La trota di ruscello conosciuta come trota fario (Salmo trutta L.), di origini
atlantiche e ampiamente diffusa in Italia a scopo di pesca sportiva, minaccia
oggi severamente la conservazione (In pericolo critico, CR A3, IUNC, 2010)
della trota marmorata (Salmo marmoratus, Cuvier 1829), che rappresenta un
subendemismo padano veneto, con la quale è in grado di ibridarsi, generando
prole feconda (Melgaard et al., 2007).

Il gobbo della Giamaica (Oxyura jamaicensis (Gmelin, 1789)) con l’autoctono
gobbo rugginoso (Oxyura leucocephala) (DAISIE 2009).
L'habitat caratteristico dell'O. jamaicensis sono i laghi paludosi e
gli stagni del Nord America, Sud America e delle Ande. A causa di alcune fughe
di esemplari da collezioni vive di uccelli selvatici, l'O. jamaicensis si è ora
stabilita anche in Gran Bretagna, da cui si è poi diffusa considerevolmente
in Europa, soprattutto in Spagna. La sua ibridazione con il già raro gobbo
rugginoso ha determinato una forte diminuzione del numero di esemplari di
quest'ultimo, portandolo in certe zone quasi sull'orlo dell'estinzione.

Carassius auratus L. e C. carassius L. nel Regno Unito. Il C. auratus è il tipico
pesce rosso, di origini asiatiche. Fu portato nel Regno Unito come specie
ornamentale dal XVII secolo (Hänfling et al., 2005). Compete con il pesce
13
nativo C. carassius per la deposizione delle uova e per l’alimento. Con
quest’ultimo è in grado di creare forme ibride.
1.3.1.2.

Trasmissione parassiti e patogeni
Procambarus clarkii (Girard, 1852), il gambero rosso della Louisiana,
originario degli Stati centrali del continente americano, arrivato in Italia per
un tentativo di commercializzazione, si è diffuso dopo esser sfuggito al
controllo degli allevamenti. Portatore sano di una malattia, chiamata “peste
del gambero” o afanomicosi, il cui agente è un oomicete (Aphanomyces
astaci), letale per la specie nativa, è riuscito a soppiantare il gambero di fiume
Austropotamobius pallipes, in molte zone in quasi tutte le regioni italiane (De
Luise, 2010).
1.3.1.3.

Competizione (alimento e/o rifugi)
Visone americano (Neovison vison (Schreber, 1777)), mustelide introdotto
dal Nord America per la sua pelliccia, è ora una specie invasiva presente anche
in Friuli Venezia Giulia (Iordan et al., 2016). È un predatore opportunista,
capace di esercitare un impatto soprattutto su arvicole, uccelli acquatici,
pesci, crostacei e molluschi e ponendosi in competizione con altri predatori,
come riscontrato in Francia e Spagna a proposito di visone europeo Mustela
lutreola (Maran & Henttonen, 1995).

Rana iberica (Boulenger, 1879), specie endemica del Portogallo e della
Spagna nord-occidentale. Le minacce maggiori per questa specie includono la
degradazione e la perdita di habitat e la predazione in seguito all’introduzione
del salmerino di fonte (Salvelinus fontinalis) e del visone americano
(Neovison vison) (Tejedo et al., 2004).

Il serpente arboreo bruno (Boiga irregularis (Merrem, 1802)), originario della
Nuova Guinea, è arrivato accidentalmente nell’isola di Guam (arcipelago delle
Marianne) intorno al 1950, probabilmente a bordo di un imbarcazione
militare portata lì per essere smantellata. Questo serpente è ritenuto
14
responsabile della sparizione, per competizione, di 9 delle 12 specie ornitiche
locali, 6 specie su 12 di lucertole e 2 dei 3 pipistrelli frugivori (Smith & Smith,
2009).
1.3.2. Impatti sull’ecosistema
1.3.2.1.

Modificazione della rete trofica e alterazione habitat
Il rospo delle canne (Rhinella marina, L.) è un grosso rospo originario del
centro-sud America. Introdotto nel 1935 in Australia per eliminare gli insetti
che infestavano le coltivazioni di canna da zucchero. Ovunque il rospo sia
stato introdotto, non solo non ha distrutto i parassiti ma, non avendo
predatori naturali, ha cominciato a porre seri problemi alla fauna locale sia
per predazione diretta, sia per competizione per il cibo. Al momento in
Australia è considerato una delle specie più invasive e più pericolose per la
fauna locale. I rospi delle canne secernono infatti una sostanza ricca di
tossine. Questo rospo è velenoso, non mortale in piccole dosi per un essere
umano adulto, ma letale per animali di mole inferiore (Llewellyn et al., 2012).

La cozza zebrata (Dreissena polymorpha (Pallas, 1771)), originaria del mar
Nero e delle zone del Mar Caspio, risulta ampiamente diffusa anche fuori dal
suo areale e anche in alcune regioni dell’Italia peninsulare. I suoi impatti
ecologici/economici sono di vasta portata. Innanzitutto ha causato una
perdita di fitoplancton; ciò a sua volta ha determinato l’incremento della
trasparenza dell’acqua e della concentrazione di azoto e fosforo solubili, che,
in molti ecosistemi, ha alimentato l’incremento di crescita di piante
sommerse e alghe. Le popolazioni di consumatori che dipendevano dal
fitoplancton, come animali bentonici e zooplancton, hanno registrato un
netto calo. Almeno in alcuni ecosistemi, popolazioni di batteri planctonici
sono aumentati, forse in risposta alla diminuzione dello zooplancton.
15
Il rifugio e il cibo forniti da fitti letti di cozze zebrate ha favorito grandi aumenti
locali di popolazioni zoobentoniche; con il conseguente declino di molte
popolazioni native di bivalvi.
Inoltre, i fenomeni respiratori di dense popolazioni di cozze zebrate, risultano
così importanti da ridurre sostanzialmente in alcuni momenti della giornata
l'ossigeno disciolto nella colonna d’acqua ed indurre così situazioni di anossia
(Strayer David L., 2009).
▪
La nutria (Myocastor coypus (Molina, 1782)), roditore sudamericano
quasi esclusivamente erbivoro. Importata in Italia per la produzione di
pelliccia in Piemonte nel 1921 e successivamente rilasciata intenzionalmente
o fuggita in natura, si è adattata molto bene ai nostri ambienti ma causa danni
alle biocenosi vegetali (riduzione di alcune idrofite come Ninfea, Canna di
palude, Tifa, ecc.) e animali essendo responsabile della distruzione di nidi e
della predazione di uova e di pulli di uccelli che nidificano a terra (Germano
reale, Gallinella d’acqua, Cavaliere d’Italia, Folaga etc) contribuendo
sostanzialmente alla riduzione delle loro popolazioni naturali. Sono stati
registrati danni alle colture agricole (barbabietola da zucchero, grano, mais),
ma l’impatto maggiore è senza dubbio legato all’attività di scavo che interessa
le arginature con conseguenti rischi di esondazione. Potenziale carrier di
leptospirosi, è inserita nell’elenco delle 100 peggiori specie invasive nel
mondo e in Europa (DAISIE, 2006).

Robinia pseudoacacia L., albero della famiglia delle fabacee, introdotta in
Europa a scopo ornamentale all’inizio del XVII secolo, domina gli ecosistemi
boschivi riducendo la biodiversità a seguito della sua grande capacità di
stabilire simbiosi con batteri azoto-fissatori che arricchisce il terreno di azoto
decretando la scomparsa di fiori ricchi di nettare come scille, anemoni e denti
di cane, e quindi degli insetti legati a essi a filo doppio, degli uccelli insettivori,
dei rettili, degli anfibi e poi, in una rovinosa concatenazione, dei loro
predatori. Il robusto e ben sviluppato apparato radicale può danneggiare le
infrastrutture (Mazza et al., 2013).
16

Ailanthus altissima ((Mill.) Swingle) detta anche albero del paradiso, di
origine asiatica, importata in Europa come pianta ornamentale a rapidissima
crescita. Naturalizzata e diffusa in tutta Europa, con attitudini altamente
invasive, predilige aree ad elevato disturbo antropico (ad es. bordature di
strade). Eradicazione difficile in quanto la pianta ricaccia vigorosamente se
tagliata: anche piccoli frammenti lasciati sul terreno riescono a ricacciare. Per
l’eradicazione si impiegano prodotti chimici da applicare sui tagli
(Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al
Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, 2008).

Senecio inaequidens DC (1837) altera profondamente l’ecosistema. I suoi
semi sono stati importati casualmente in Europa durante il trasporto del vello
delle pecore nei luoghi di lavorazione della lana. Si è poi diffuso in natura.
Habitat ideali: incolti sassosi, zone ruderali, greti e le massicciate, ma anche
campi, colture, vigneti, oliveti a substrato calcareo o siliceo. Si sostituisce alla
vegetazione indigena ed è tossico per il bestiame (Lafuma et al., 2003).
1.3.3. Riduzione della produzione in agricoltura e acquacoltura

Drosophila suzukii (Matsumura) è un moscerino parassita delle Drupacee.
Originario dell’Asia orientale e sud orientale, l’insetto è ora diffuso in tutti gli
stati della costa del Pacifico, Myanmar, India, Italia, Tailandia, Spagna e
Russia. La sua capacità di ovideporre frutta fresca e matura (a differenza dei
moscerini della frutta attratti da quella marcescente) grazie ad un
ovodepositore robusto e seghettatto, lo rende una significativa minaccia
economica per una serie di colture da frutta dalla buccia morbida e sottile
(ciliegia, lampone, mora, mirtilli, fragole, pesche, prugne, uva da tavola e uva
da vino) tanto da mettere a repentaglio la sussistenza delle coltivazioni stesse
in ampi areali (Walsh et al., 2011).

Halyomorpha halys (Stal, 1855), nota come cimice marmorata, originaria
della Corea del Sud, Giappone e Cina orientale, sta diventando una specie
invasiva a rapida espansione in Europa e Nord America. È un parassita per
17
l’agricoltura e colpisce colture arboree, ortaggi, uva, mele, pesche, piccoli
frutti, piante ornamentali e vivai (Nielsen et al., 2009).

Procambarus clarkii (Girard, 1852), con la sua attività di scavo è in grado di
causare danni alle coltivazioni agricole. Durante la costruzione di tane,
provoca un’imbibizione del terreno causando quindi crolli di argini e quindi
perdita di terreno coltivabile nonché danni ad aree agricole e ricreative (De
Luise, 2010).
1.3.4. Minaccia al benessere umano
Si stima che i costi complessivi sostenuti in Europa per la gestione degli impatti
diretti delle IAS superino i € 12 miliardi all’anno (Kettunen, 2009).
Le IAS affliggono il benessere dell’uomo nelle sue componenti quali la buona
salute, la disponibilità di materiali basilari per una vita buona e mezzi di sussistenza
sostenibili, la sicurezza, le buone relazioni sociali, e la libertà di scelta e azione,
incidendo sugli aspetti economici legati alla gestione degli impatti.
Le categorie di pericoli per la salute umana associati alle IAS sono:
1) Malattie o infezioni;
2) Esposizione dell’uomo a ferite da morso e punture, allergeni, biotossine,
tossine;
3) Esposizione a lesioni e morte attraverso altri meccanismi;
4) Altri effetti negativi sui mezzi di sussistenza.
1.3.4.1.
IAS causano malattie e infezioni
I patogeni introdotti direttamente o indirettamente dall’uomo al di fuori della
loro area nativa (p.es. movimento di bestiame o altri beni), possono essere
considerati IAS.
La peste bubbonica (Yersinia pestis) probabilmente arrivò in Europa nel 1346
dalla Mongolia, utilizzando le pulci come vettori, trasportare dalle marmotte
18
asiatiche, introdotte per fare cappelli o pellicce (rivisto da Bol, 2011). Fu
successivamente diffusa nell’uomo anche grazie a roditori infetti.
La diffusione in corso di molte malattie virali aliene, come la Sindrome Acuta
Respiratoria Grave (SARS), la febbre emorragica Ebola, la sindrome di
immunodeficienza acquisita (AIDS), è di particolare preoccupazione (Pyšek &
Richardson, 2010). La diffusione globale è dovuta a diversi fattori: colonizzazione
umana di molti ecosistemi, aumento animali domestici e contatti con loro, rete
globale di dispersione di vettori creati dall’uomo che viaggia a livello internazionale
(Smith K.F. et al., 2007; Wolfe et al., 2007).
Le ricerche indicano che una quota compresa tra un terzo e la metà di tutte le
malattie infettive dell’uomo, ha un’origine zoonotica (Taylor et al., 2001; Jones et al.,
2008). Le zoonosi sono infezioni o malattie che possono essere trasmesse
direttamente o indirettamente tra gli animali e l’uomo, per esempio attraverso il
consumo di alimenti contaminati o il contatto con animali infetti. Nell’uomo queste
malattie possono essere di diversa gravità, con quadri clinici caratterizzati da lieve
sintomatologia fino a patologie potenzialmente letali.
Alcune IAS possono anche essere vettori di patogeni per l’uomo. Aedes
albopictus, conosciuta come la zanzara tigre, è attualmente la zanzara più invasiva al
mondo. Originaria dell’Asia sud orientale, isole del Pacifico occidentale ed oceano
Indiano, si è diffusa negli ultimi decenni in Africa, Medio Oriente, Europa e nelle
Americhe. È vettore di almeno 20 virus, tra cui il virus Dengue e Zika ed è in grado
quindi, di provocare gravi epidemie (Gratz, 2004).
Procambarus clarkii è in grado di trasmettere una zoonosi batterica, la
tularemia, che ha come agente eziologico la Francisella tularensis, espressa
recentemente in Spagna nella forma ulceroghiandolare associata al consumo di P.
clarkii nel cui stomaco ed epatopancreas era presente la forma batterica (Anda et al.,
2001).
Il particolare interesse per nuovi e diversi animali domestici, da affezione o
ornamentali, comporta il loro trasporto attraverso aree di tutto il mondo. Ciò può
19
essere accompagnato dalla possibile introduzione di patogeni che possono colpire
l’uomo.
Le tartarughe sono da tempo considerate pet, e alcune specie, come la
Trachemys scripta (Schoepff, 1792), invasiva in Europa, sono possibili agenti per la
salmonellosi (Woodward et al., 1997; Hidalgo-Villa et al., 2008; Souza, 2009). La
Trachemys scripta è una tartaruga nordamericana venduta nei pet shop di tutta Italia
e spesso liberata in natura quando diventa troppo grande per l’acquario. Compete
con
l’endemica
Emys
orbicularis
(L.),
per
nicchia
trofica
e
spaziale
(http://www.europe-aliens.org).
In aggiunta è da tenere in considerazione anche un ulteriore fattore: quello
vegetale. Le piante aliene infatti possono provvedere a fornire un habitat favorevole
per i vettori patogeni. L’invasione in Africa orientale dell’arbusto neotropicale
Lantana camara, a titolo di esempio, ha incrementato l’incidenza della malattia del
sonno, grazie al fatto che questa specie ha procurato un rifugio per la mosca tsetse
(Mack et al., 2000).
1.3.4.2.
Esposizione dell’uomo a ferite da morso e punture, allergeni,
biotossine, tossine
Molte
piante
ornamentali,
come
il
panace
gigante
(Heracleum
mantegazzianum, Sommier & Levier, 1895) sono potenzialmente rischiosi per la
salute umana. Il panace gigante, nativo delle regioni caucasiche e dell’Asia centrale,
invasivo in Australia, USA ed Europa, è fototossico: la sua linfa può causare dermatiti
quando la pelle è esposta ai raggi UV; e la presenza di minute quantità di linfa negli
occhi può portare temporaneamente o permanentemente alla cecità (Pyšek et al.,
2007). In Germania circa 16.000 vittime sono state curate nel solo anno nel 2003
(DAISIE 2009), provocando costi relativi a trattamenti medici dopo l’esposizione e a
trattamenti di precauzione volti ad implementare le misure di controllo.
L’ambrosia
(Ambrosia
artemisiifolia,
L.)
rappresenta
una
minaccia
all’agricoltura, all’ambiente e alla salute pubblica: è una specie nordamericana
appartenente alla famiglia delle Asteraceae, diffusa in Italia e con potenzialità
20
allergeniche. In soggetti predisposti, la grande quantità di polline prodotto da questa
specie, può causare riniti e gravi crisi asmatiche (Fenner, 2002). A. artemisiifolia è
attualmente segnalata in molti stati europei, dove è diventata una delle maggiori
cause di pollinosi estiva.
Altri problemi sono causati, inoltre, da morsi di specie aliene come serpenti e
ragni. Alcune specie di ragni velenosi (p.es. Latrodectus spp.) possono sopravvivere
al trasporto nonostante la fumigazione e il raffreddamento (Reed & Newland, 2002).
Vi sono anche specie utilizzate nei controlli biologici che possono affliggere la
salute umana, sebbene i morsi, le punture e le reazioni allergiche siano occasionali e
limitate (De Clercq et al., 2011). Ne è un esempio l’asiatica coccinella arlecchino
(Harmonia axyridis, Pallas, 1773), invasiva in Europa, particolarmente temuta perché
pericolosa per la salute dell'uomo e per i vigneti. Durante lo svernamento, infatti, la
coccinella arlecchino si trasferisce dai vitigni agli edifici urbani, aggregandosi in nutriti
gruppi e penetrando all’interno delle abitazioni. Se presenti all’interno dei muri degli
edifici, le coccinelle continuano a rilasciare la loro emolinfa, che in questo caso genera
vistose macchie sulle pareti esterne delle abitazioni. Se invece si rifugiano all’interno
dei mobili, le coccinelle danneggiano l’arredo, le tende e gli abiti. L’emolinfa della
coccinella arlecchino contiene sostanze allergeniche, che in soggetti sensibili,
possono provocare rinite, asma, congiuntivite e orticaria (Koch & Galvan, 2008).
Alcune specie come il gambero rosso della Louisiana (P. clarkii), sono
conosciute per bioaccumulare tossine (Tricarico et al., 2008) e metalli pesanti
(Gherardi et al., 2002), che possono essere trasferite, tramite la catena alimentare, ai
consumatori creando forti intossicazioni anche all’uomo (Gherardi, 2006).
1.3.4.3.
Esposizione a lesioni e morte attraverso altri meccanismi
Alcune specie aliene riducono la protezione contro pericoli naturali, come il
fuoco. Possono modificare frequenza, intensità, estensione, stagionalità degli
incendi, spesso incrementando la loro probabilità a causa dell’infiammabilità della
vegetazione e della fenologia (p.es. elevata biomassa durante periodi secchi) (Brooks
21
et al., 2004). Molteplici sono le conseguenze sul benessere umano: riduzione della
qualità dell’aria, indennizzi per l’agricoltura, rischi diretti per la sicurezza umana. Una
di queste specie è il niaouli australiano (Malaleuca quinquenervia, (Cav.) S.T.Blake),
introdotta come pianta ornamentale: sta soppiantando il tassodio, il falasco e altre
specie native; avendo esigenze idriche maggiori, provoca un abbassamento del livello
dell’acqua nelle aree umide dove si insedia favorendo l’innesco di incendi più
frequenti o di maggiore intensità (Mack et al., 2000).
1.3.4.4.
Altri effetti negativi sui mezzi di sussistenza
Le IAS possono influenzare la fornitura d’acqua: il giacinto d’acqua Eichhornia
crassipes ((Mart.) Solms) originario dell’America Meridionale, può ridurre la portata
dei canali, provocando allagamenti, danni alle sponde dei canali, danni a strutture
giungendo anche ad ostruire le pompe di irrigazione. Nei paesi mediterranei a clima
temperato E. crassipes prolifera in modo vegetativo senza dar luogo a fenomeni a
carattere invasivo o a processi di competizione con le specie acquatiche indigene
(Gisd, 2013).
Un esempio di specie aliena non patogena che sta interessando seriamente
l’agricoltura di alcuni paesi in via di sviluppo è la lumaca d’oro, Pomacea canaliculata
(Lamarck, 1819). Introdotta nelle Filippine nel 1980 per incrementare il reddito locale
della popolazione, è sfuggita dagli impianti di allevamento e si è stabilizzata.
Attualmente, con la sua voracità spiccata, provoca gravi effetti su estese terre
dedicate al riso (Acosta & Pullin, 1991).
Si prevede un’intensificazione dell’impatto globale delle invasioni biologiche
sulla nostra salute a causa dell’effetto combinato di IAS e altri fattori di cambiamento,
come il riscaldamento globale (Crowl et al., 2008).
È pertanto necessario individuare le potenziali vie di arrivo delle IAS, i loro
meccanismi di diffusione e gli aspetti biologici per poter arginare gli effetti negativi o
addirittura eradicare tempestivamente la presenza di queste specie aliene. Sono
22
necessarie politiche restrittive in grado di regolare trasporti e commercio via
mare/terra/aria perché solo in questo modo si potrebbero contenere in modo
significativo gli impatti negativi delle IAS (Mazza et al., 2013).
Inoltre l’azione di sensibilizzazione dell’opinione pubblica mediante
un’adeguata informazione, propedeutica alla consapevolezza di comportamenti
errati che possono provocare gravi danni all’ambiente non appare meno importante
per contrastare efficacemente i rischi connessi con la presenza delle IAS.
23
1.4. Strategia europea per la conservazione della biodiversità e il contrasto
alle specie aliene
La “Strategia Europea sulle Specie Alloctone Invasive”, pubblicata nel 2004 è il
testo di riferimento per la stesura di una politica dell’Unione Europea su questa
materia (Genovesi & Shine, 2004). Si pone l’obiettivo di ridurre gli impatti causati
dalle invasioni biologiche alla biodiversità, attraverso una serie di azioni coordinate
di prevenzione e controllo delle specie invasive.
La strategia è stata formalmente adottata nel 2003 dal Comitato Permanente
della Convenzione di Berna del 1979, ed è stata successivamente approvata dalla
Convenzione per la Biodiversità e dal Consiglio dei Ministri Europeo nel 1981. La
“Strategia Europea sulle Specie Alloctone Invasive” dà concreta applicazione
all’interno dei Paesi dell’Unione Europea ai principi guida sulla gestione delle specie
alloctone invasive adottati nel 2002 dalla Conferenza delle Parti della Convenzione
per la Diversità Biologica.
Di fatto la “strategia” raccoglie ed elabora in forma di indirizzo, numerosi
contenuti di accordi e convenzioni internazionali che si sono occupate in passato
anche di questo tema.
La strategia fornisce una guida relativa ai seguenti punti:

Aumentare rapidamente la consapevolezza e l'informazione sui temi IAS e
modi per combatterle;

Rafforzare la capacità nazionale e regionale e la cooperazione per
affrontare le questioni IAS;

Impedire l'introduzione di nuove specie esotiche invasive in Europa e
sostenere una risposta rapida per rilevare intrusioni;

Ridurre l'impatto negativo di specie esotiche invasive esistenti;

Recuperare le specie e il ripristino di habitat naturali e degli ecosistemi che
sono stati lesi da invasioni biologiche, dove possibile e auspicabile;

Identificare e dare priorità le azioni chiave da attuare a livello nazionale e
regionale.
24
1.4.1. La Convenzione di Berna
La “Convenzione per la conservazione della vita selvatica e dei suoi biotopi in
Europa”, anche nota come Convenzione di Berna, elaborata nel 1979, è stata una
delle prime convenzioni internazionali per la conservazione della natura, che al
concetto di protezione di specie ha associato anche la conservazione dell’habitat
naturale in cui la specie è presente. I Paesi firmatari sono legalmente vincolati al
rispetto della Convenzione e l’Italia l’ha ratificata con Legge Nazionale nel 1981.
L’Unione Europea ha recepito principi e contenuti della Convenzione di Berna
attraverso le Direttive Uccelli (Dir. 79/409/CEE, poi sostituita con la Dir 2009/147/CE)
e Habitat (Dir. 92/43/CEE).
L’art. 11, paragrafo 25 della Convenzione, prevede che le parti contraenti si
impegnino a “controllare severamente l'introduzione delle specie non indigene”.
Nell’ambito di detta Convenzione è stata adottata a Strasburgo (dicembre 1999) una
nuova raccomandazione che segue una precedente del 1997, che incentiva a valutare
la possibilità di eradicare specie di vertebrati alloctoni che rappresentino una
minaccia per la fauna indigena e di realizzare effettivamente tali eradicazioni dopo
aver realizzato campagne di sensibilizzazione dell'opinione pubblica finalizzate alla
comprensione della necessità e dell'importanza di tali interventi, a tutela della
biodiversità naturale del Paese.
1.4.2. La direttiva Habitat (92/43/CEE) e rete Natura 2000
Natura 2000 è il principale strumento della politica dell'Unione Europea per la
conservazione della biodiversità. Si tratta di una rete ecologica diffusa su tutto il
territorio dell'Unione, istituita ai sensi della Direttiva 92/43/CEE "Habitat" per
garantire il mantenimento a lungo termine degli habitat naturali e delle specie di flora
e fauna minacciati o rari a livello comunitario.
La rete Natura 2000 è costituita dai Siti di Interesse Comunitario (SIC),
identificati dagli Stati Membri secondo quanto stabilito dalla Direttiva Habitat, e
successivamente designati quali Zone Speciali di Conservazione (ZSC), e comprende
25
anche le Zone di Protezione Speciale (ZPS) istituite ai sensi della Direttiva
2009/147/CE "Uccelli" concernente la conservazione degli uccelli selvatici.
Le aree che compongono la rete Natura 2000 non sono riserve rigidamente
protette dove le attività umane sono escluse. La Direttiva Habitat intende infatti
garantire la protezione della natura tenendo anche "conto delle esigenze
economiche, sociali e culturali, nonché delle particolarità regionali e locali" (Art. 2).
Soggetti privati possono essere proprietari dei siti Natura 2000, assicurandone una
gestione sostenibile sia dal punto di vista ecologico che economico nel rispetto delle
disposizioni contenute nelle Misure di salvaguardia, Misure di gestione e Piani di
gestione che costituiscono specifici strumenti normativi di disciplina delle attività
ammesse e introdotti dal DPR 357/1997 nonché, a livello locale, dalla legge regionale
7/2008.
La Direttiva riconosce il valore di tutte quelle aree nelle quali la secolare
presenza dell'uomo e delle sue attività tradizionali ha permesso il mantenimento di
un equilibrio tra attività antropiche e natura. Alle aree agricole, per esempio, sono
legate numerose specie animali e vegetali ormai rare e minacciate per la cui
sopravvivenza è necessaria la prosecuzione e la valorizzazione delle attività
tradizionali, come il pascolo o l'agricoltura non intensiva. Nello stesso titolo della
Direttiva viene specificato l'obiettivo di conservare non solo gli habitat naturali ma
anche quelli seminaturali (come le aree ad agricoltura tradizionale, i boschi utilizzati,
i pascoli, ecc.).
In Italia, i SIC, le ZSC e le ZPS coprono complessivamente il 21% circa del
territorio nazionale. In Friuli Venezia Giulia il territorio interessato da siti Natura 2000
è pari a circa il 20% di quello totale (Figura 2).
Per quanto attiene le specie alloctone, in questi siti in Italia vige il divieto di loro
introduzione in natura (art. 12, comma 3 DPR 357/1997) e nei piani di Gestione o
nelle misure di conservazione sito-specifiche, per i siti del Friuli Venezia Giulia vi sono
numerose disposizioni che prevedono interventi di monitoraggio ed eradicazione
delle specie invasive.
26
Figura 2. Distribuzione delle zone ZSC e ZPS sul territorio della Regione Friuli Venezia Giulia
1.4.3. Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD)
Al Vertice sulla Terra del 1992 a Rio de Janeiro (Brasile), i leader mondiali hanno
concordato una strategia globale di "sviluppo sostenibile": soddisfare le nostre
esigenze, garantendo nel contempo un mondo sano e vitale da lasciare alle
generazioni future.
Uno dei principali accordi adottati a Rio è stata la Convenzione sulla Diversità
Biologica (CBD), aperta alla firma il 5 Giugno 1992 ed entrata in vigore il 29 Dicembre
1993. Ad oggi, aderiscono alla Convenzione 193 Paesi e l’Unione Europea.
La CBD è un trattato internazionale giuridicamente vincolante il cui obiettivo
generale è quello di incoraggiare azioni finalizzate ad un futuro sostenibile. Si pone
tre principali obiettivi: conservazione della biodiversità, uso sostenibile della
biodiversità, giusta ed equa ripartizione dei benefici derivanti dall'utilizzo delle risorse
genetiche.
27
La Convenzione copre la biodiversità a tutti i livelli: ecosistemi, specie e risorse
genetiche. In realtà, copre tutti i possibili domini che sono direttamente o
indirettamente legati alla biodiversità e al suo ruolo nello sviluppo, che va dalla
scienza, alla politica e all’educazione fino all'agricoltura, al commercio, alla cultura.
L’articolo 8 della CBD statuisce che ciascuno Stato si impegni, il più rapidamente
possibile (per l’Italia vedi Legge 14 febbraio 1994, n. 124) ed in modo adeguato, a
prevenire l’introduzione delle specie (o a gestirne il controllo o l’eradicazione) che
minacciano gli ecosistemi, gli habitat o le specie. La conferenza delle Parti, organo di
governo della CDB, ha riconosciuto l’urgente necessità di indirizzare le politiche di
gestione ambientale di tutti I settori, avendo attenzione al problema delle IAS.
1.4.4. Regolamento UE n.1143/2014
Il 22 ottobre 2014 è stato pubblicato il regolamento (UE) n. 1143 del
Parlamento europeo e del Consiglio, entrato in vigore il 1° gennaio 2015, recante
disposizioni volte a prevenire e gestire l’introduzione e la diffusione delle specie
esotiche invasive.
Il regolamento prevede e stabilisce norme atte a prevenire, ridurre al minimo e
mitigare gli effetti negativi sulla biodiversità causati dall’introduzione e dalla
diffusione, sia deliberata che accidentale, delle specie esotiche invasive all'interno
dell'Unione.
Tale regolamento prevede la redazione di un elenco di specie esotiche invasive
di rilevanza unionale e conseguenti procedure volte a gestire l’invasione.
Il regolamento tra i vari punti prevede:

Valutazione dei rischi. Valutazione dei rischi effettuata in relazione ai danni
attuali e potenziali causati dalle specie esotiche invasive. Questo step prevede
la descrizione dei modi di riproduzione e diffusione, la descrizione dei
potenziali vettori d’ingresso e di diffusione, la descrizione della distribuzione
attuale della specie, la descrizione degli effetti negativi sulla biodiversità e sui
servizi ecosistemici nonché la previsione quantitativa dei costi imputabili ai
danni.
28

Restrizioni. Le specie esotiche invasive di importanza unionale non si possono
deliberatamente:
-
portare e transitare nel territorio dell’unione;
-
tenere e allevare, anche in confinamento;
-
trasportare verso, da e all'interno dell'Unione, tranne se il trasporto
verso strutture avviene nel contesto della loro eradicazione;
-
immettere sul mercato, utilizzare o scambiare;
-
porre in condizione di riprodursi, crescere spontaneamente o
coltivare, anche in confinamento o rilasciare nell’ambiente.

Piani d’azione sui vettori. Gli Stati membri svolgono un'analisi approfondita
dei vettori tramite i quali le specie esotiche invasive di rilevanza unionale sono
accidentalmente introdotte e si diffondono, almeno nel loro territorio,
nonché nelle acque marine. Ogni Stato membro elabora un piano d’azione
che comprende i calendari degli interventi e descrive le misure da adottarsi
nonché, se del caso, le azioni volontarie e i codici di buone prassi per trattare
i vettori prioritari e prevenire l'introduzione e la diffusione accidentali di
specie esotiche invasive nell'Unione, dall'esterno o al suo interno. I piani
d'azione prevedono, in particolare, misure basate su un'analisi dei costi e dei
benefici, al fine di:
-
sensibilizzare;
-
ridurre al minimo la contaminazione di merci, veicoli e attrezzature,
da parte di esemplari di specie esotiche invasive, ivi comprese misure
che contrastino il trasporto delle specie esotiche invasive da paesi
terzi;

garantire l'esecuzione di opportuni controlli alle frontiere dell'Unione.
Sistema di sorveglianza. Sistema che raccoglie e registra i dati sulla frequenza
nell'ambiente delle specie esotiche invasive mediante indagini, monitoraggio
o altre procedure volte a prevenire la diffusione di queste specie all'interno
dell'Unione.
29

Notifiche di rilevamento precoce. Gli Stati membri notificano per iscritto alla
Commissione il rilevamento precoce dell'introduzione o della presenza di
specie esotiche invasive di rilevanza unionale.

Eradicazione rapida nella fase iniziale dell’invasione. Dopo il rilevamento
precoce gli Stati membri applicano le misure di eradicazione.

Deroghe all'obbligo di eradicazione rapida. Vi sono casi in cui è ammessa la
scelta di non applicare le misure di eradicazione qualora sia soddisfatta
almeno una delle seguenti condizioni:
- l'eradicazione si dimostra tecnicamente non perseguibile perché i
metodi di eradicazione disponibili non possono essere applicati
nell'ambiente in cui è insediata la specie esotica invasiva;
- da un'analisi costi/benefici, basata sui dati a disposizione, emerge con
ragionevole certezza che i costi saranno, nel lungo periodo,
estremamente
alti
e
sproporzionati
rispetto
ai
benefici
dell'eradicazione;
- non sono disponibili metodi di eradicazione oppure sono disponibili,
ma producono effetti negativi molto gravi sulla salute umana,
sull'ambiente o su altre specie.
Quando, non sono applicate misure di eradicazione, gli Stati membri
assicurano che siano in vigore misure di contenimento per evitare l'ulteriore
diffusione della specie esotica invasiva agli altri Stati membri.

Misure di gestione. Tali misure si basano su un'analisi costi/benefici e
includono anche, nel limite del possibile, le misure di ripristino. Consistono in
interventi fisici, chimici o biologici, letali o non letali, volti all’eradicazione, al
controllo numerico o al contenimento della popolazione di una specie esotica
invasiva.

Ripristino degli ecosistemi danneggiati. Gli Stati membri adottano misure di
ripristino appropriate per favorire la ricostituzione di un ecosistema che è
stato degradato, danneggiato o distrutto da specie esotiche invasive, tranne
nel caso in cui un'analisi costi/benefici dimostri, sulla base dei dati disponibili,
30
che i costi di dette misure sarebbero elevati e sproporzionati rispetto ai
benefici del ripristino.

Sanzioni. Le sanzioni previste possono comprendere ammende, confisca delle
specie esotiche invasive di rilevanza unionale non conformi, immediata
sospensione o ritiro di autorizzazioni rilasciate.
Benché il Regolamento sia immediatamente esecutivo, la sua applicazione
richiede l’individuazione di alcuni elenchi di specie di interesse unionale e/o nazionale
alle quali si applicano gli istituti previsti dallo stesso regolamento. Al momento della
stesura del presente lavoro di tesi, l’elenco delle specie di interesse unionale non è
ancora stato pubblicato, ma dalle informazioni reperite presso il Ministero
dell’Ambiente (contatti personali) il gambero rosso della Louisiana è specie compresa
nell’elenco stesso.
1.4.5. L’inventario del progetto DAISIE
Dal 2005 i membri del progetto DAISIE (Delivering Alien Invasive Species
Inventories in Europe) hanno elaborato un inventario che per la prima volta fornisce
un quadro paneuropeo di oltre 10.000 animali, pesci, uccelli, piante, insetti e altre
specie non autoctone che vivono tra noi. La banca dati contiene informazioni
sull'origine, la dieta, l'habitat, la data di arrivo e l'impatto economico ed ecologico di
ogni specie. Nel sito Internet del progetto sono disponibili schede informative su
diverse specie. Il progetto DAISIE è finanziato dal sesto programma quadro della
Commissione Europea ed è uno degli strumenti più completi per informazioni sulle
invasioni biologiche in Europa (www.europe-aliens.org).
È uno strumento fondamentale nello sviluppo di una strategia paneuropea che
comprende la scala geografica del problema e unisce lo studio di diversi taxa terrestri,
marini e dulciacquicoli. I dati riguardano vertebrati, invertebrati, specie marine e
negli organismi acquatici interni, nonché le piante da 98 paesi/regioni (comprese le
isole) nell'Europa allargata. Più di 248 set di dati sono stati assemblati e verificati da
esperti, rappresentando così il più grande database sulle specie invasive nel mondo.
31
1.4.6. Il Programma LIFE
Il programma europeo LIFE (“Life ambiente” nella programmazione 2000-2006,
“Life+” nella programmazione 2007-2013 e “Programma per l’ambiente e l’azione per
il clima” in quella 2014-2020) finanzia progetti che contribuiscono allo sviluppo e
all'attuazione della politica e del diritto in materia ambientale. Questo programma
facilita in particolare l'integrazione delle questioni ambientali nelle altre politiche e,
in linea più generale, contribuisce allo sviluppo sostenibile. Il programma LIFE+
sostituisce una serie di strumenti finanziari dedicati all'ambiente e cofinanzia progetti
a favore dell'ambiente nell'Unione europea (UE). I progetti possono essere proposti
da operatori, organismi o istituti pubblici e privati.
Il programma LIFE ha consentito di finanziare oltre 4000 progetti in tutta
Europa per un importo complessivo che sfiora i 3,5 miliardi di euro.
Il programma LIFE prevede tre componenti tematiche:
 LIFE+ "Natura e biodiversità";
 LIFE "Politica e governance ambientali",
 LIFE "Informazione e comunicazione".
Dal 1992, LIFE è stata la principale fonte di finanziamento UE per azioni volte a
contrastare la diffusione delle specie aliene invasive (IAS) in tutta l'Unione europea.
Come parte del programma LIFE 2014-2020, il nuovo sottoprogramma LIFE per
l'Ambiente comprende progetti mirati alle specie esotiche invasive, quando queste
sono destinate a peggiorare lo stato di conservazione delle specie o tipi di habitat di
interesse comunitario in supporto alla rete Natura 2000.
In linea con l'approccio strategico individuato dal regolamento UE n.
1143/2014, i progetti LIFE devono rispondere alla necessità di impedire le invasioni,
in primo luogo, e sviluppare sistemi di allarme e di risposta rapida prima di riscontrare
una stabilizzazione delle IAS.
32
2. OBIETTIVI
Scopo del presente lavoro di tesi è descrivere la problematica rappresentata
dalla presenza di specie astacicole alloctone invasive (Procambarus clarkii Girard,
1852) in Friuli Venezia Giulia e comprendere l’approccio innovativo individuato e le
azioni messe in atto per affrontare la gestione di una problematica complessa come
le IAS, dal Progetto LIFE10 NAT/IT/000239 “RARITY”.
A tal fine ho partecipato attivamente ad alcune delle azioni previste dal
progetto quali:
▪ La marcatura di una porzione di popolazione maschile di P. clarkii da destinare a
sterilizzazione;
▪ Il rilascio in acque libere dei P. clarkii sottoposti a sterilizzazione;
▪ Il monitoraggio della popolazione di Austropotamobius pallipes per il rilevamento
della presenza di Aphanomyces astaci (Schikora, 1903).
33
34
3. MATERIALI E METODI
La ricerca bibliografica è stata effettuata consultando motori di ricerca dedicati
all’ambito scientifico (Scopus, Web of Science, Cab Direct) nonché consultando i
report di avanzamento del progetto RARITY che sono risultati determinanti fonti di
informazioni dettagliate sulle attività svolte.
Per gli aspetti normativi sul tema delle IAS si è fatto riferimento alla
documentazione disponibile on line sui siti web istituzionali di:

Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare;

Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia;

Unione Europea;

ISSG (Invasive Species Specialist Group della IUCN, Unione internazionale per
la conservazione della natura;

DAISIE (Delivering Alien Invasive Species In Europe).
La partecipazione diretta ad alcune attività del progetto, ha consentito di
meglio comprendere lo svolgimento dello stesso e di confrontarsi con l’esperienza di
gestione del complesso tema dei monitoraggi ambientali e del contrasto alle specie
alloctone. Le fasi del progetto che hanno visto una mia collaborazione attiva sono le
seguenti:

Marcatura di una porzione di popolazione maschile di P. clarkii da destinare a
sterilizzazione mediante raggi X nel luglio 2014. La marcatura è avvenuta con
cauterizzazione dell’esoscheletro, sul cefalotorace, tramite un saldatore da
campo (Figura 3) che produce un segno semipermanente e riconoscibile
anche dopo la muta. Tale pratica è consolidata e considerata una tecnica di
marcatura tradizionale.
35
Figura 3. Marcatura dell'esoscheletro di P. clarkii con un saldatore da campo

Assistenza al processo di sterilizzazione dei gamberi di P. clarkii marcati presso
il centro di riferimento oncologico di Aviano nel luglio 2014. I gamberi marcati,
sono stati deposti in un box di policarbonato trasparente provvisto di acqua,
posizionati sull’apparecchiatura che produce raggi X e inondati per alcuni
minuti con radiazioni che hanno raggiunto 40 Gy. La scelta del recipiente è
stata fatta in base alle dimensioni e in modo tale che il fuoco del fascio di raggi
X potesse colpire tutti gli esemplari contenuti (circa 70). A fine trattamento, i
gamberi hanno manifestato un semplice intontimento seguito da una ripresa
totale e immediata. Soltanto uno o due esemplari sono deceduti,
probabilmente a causa delle ridotte dimensioni.

Rilascio nel lago di Casette (Sesto al Reghena, PN) dei P. clarkii sterilizzati nel
luglio 2014. Per il trasporto dei gamberi sono stati utilizzati contenitori
coibentati a bassa temperatura. Nel luglio 2014 sono stati rilasciati
complessivamente 250 gamberi sterilizzati.

Monitoraggio della popolazione di Austropotamobius pallipes presso stazioni
della Val Tramontina (PN) nel periodo agosto-settembre 2014 (Figura 4). Il
monitoraggio ha previsto il rilevamento di campioni da destinare alle analisi
sanitarie per evidenziare l’eventuale presenza di Aphanomyces astaci
(Schikora, 1903). Il campionamento è stato effettuato con tamponi
36
cuticolari su tutta la superficie dell’esoscheletro, con maggiore insistenza sulle
zone che con le tecniche istologiche classiche consentono di rilevare con
maggior facilità le ife di A. astaci, ovvero quelle melanizzate (lesioni) o in
prossimità delle articolazioni.
Ogni animale catturato è stato contato e annotato in un’apposita scheda.
Qualora fosse stato pescato P. clarkii si è proceduto alla rimozione sistematica
di tutti gli individui, mentre per la specie indigena A. pallipes, ogni individuo
catturato è stato rilasciato immediatamente, dopo marcatura e rilevamento
biometrico.
La stima della consistenza delle popolazioni di A. pallipes è stata effettuata
con il metodo standardizzato. Sono stati applicati indici che consentono una
stima assoluta, sebbene soggetta ad errore. Questi indici vengono calcolati
con sistemi di cattura-marcatura-ricattura (CMR), da cui prendono il nome, e
prevedono il rilascio di tutti gli animali catturati e marcati per una loro
successiva ricattura.
Figura 4. A lato, tampone cuticolare
utilizzato su A. pallipes (foto M. Zanetti).
Sotto, operazioni di misura del
cefalotorace di A. pallifes (foto T. Mattioz,
archivio ETP)
37
Per valutare la consistenza delle popolazioni di Procambarus clarkii non è stato
possibile utilizzare l’indice basato sul sistema di cattura-marcatura-ricattura (ciò
perché tutti gli individui di P. clarkii catturati durante le attività di campo sono sempre
stati rimossi dal sito). Si è utilizzato quindi l’indice Catch per Unit Effort (CPUE),
calcolato come lo sforzo di cattura effettuato in ogni sito di campionamento in base
al numero di giorni di monitoraggio e di nasse utilizzate, che fornisce una stima
relativa della dimensione della popolazione. L’utilizzo del CPUE come indice di
abbondanza è basato sulla relazione fondamentale ampiamente utilizzata in analisi
quantitative della pesca.
C = EqB
dove C sono le catture espresse in kg, E rappresenta lo sforzo di pesca, q è il
coefficiente di catturabilità e B è il livello della biomassa (l’abbondanza). La CPUE è
allora definita come rapporto fra le catture totali e lo sforzo di pesca totale in un dato
periodo di tempo:
U=C/E
dove U rappresenta appunto la CPUE.
Il progetto ha previsto analisi genetiche che non hanno comportato il sacrificio
degli animali, ma sono state condotte dall’Università di Trieste su una porzione di
tessuto di un pereiopode. Di A. pallipes sono stati raccolti campioni da 440 individui
provenienti da 56 differenti stazioni allo scopo di tracciare una mappatura su base
genetica delle popolazioni friulane.
Si sono eseguite analisi chimiche allo scopo di rilevare l’eventuale presenza di
Mercurio, Cadmio e Piombo sulla parte edibile ovvero il muscolo della coda, di 40
gamberi rossi, 20 maschi e 20 femmine, aventi simili dimensioni e peso, catturati nelle
località fluviali di Campomolle, Alberoni, Casette e Villutta.
Esami batteriologici sono stati effettuati sulla parte edibile (25 g di muscolo
addominale e intestino) di 30 esemplari di P. clarkii, provenienti dalle medesime
località, per rilevale l’eventuale presenza di Salmonella spp. e Vibrio spp., batteri
agenti di infezioni tossicologiche alimentari.
38
4. LE SPECIE OGGETTO DI STUDIO
4.1. Il gambero di fiume Austropotamobius pallipes compl.
Austropotamobius pallipes (Figura 5) è la specie di gambero di fiume più diffuso
in Italia (Mazzoni et al., 2004). In realtà, sotto il nome di A. pallipes si considera un
complesso di specie e sottospecie, indicato più correttamente con Austropotamobius
pallipes complex (Grandjean et al., 2000; 2002a, b; Bott, 1950; Karaman, 1962;
Brodsky, 1983; Santucci et al., 1997) (Figura 6). Il taxon A. pallipes complex appare
costituito da due linee evolutive geneticamente ben differenziate:

A. pallipes, che in Italia è presente esclusivamente nell’area nord-occidentale;

A. italicus, nel resto della penisola.
Le due specie vivono in simpatria nell’Appennino ligure e in provincia di Alessandria
(Zaccara et al., 2004). Tra le due specie vi sono significative differenze, soprattutto
nella morfologia degli organi associati alla riproduzione (Bertocchi et al., 2008a).
Quindi Austropotamobius pallipes complex è composto da due specie
geneticamente distinte: A. pallipes e A. italicus. Quest’ultima è a sua volta
rappresentata da quattro sottospecie (Zaccara et al., 2004, 2005; Paolucci et al.,
2004; Baric et al., 2005; Fratini et al., 2005; Cataudella et al., 2006; Bertocchi et al.,
2008b):
1)
A. i. italicus, nell’Appennino Tosco-Emiliano;
2)
A. i. carinthiacus, in Italia centrale e nord-occidentale;
3)
A. i. meridionalis, nel Lazio, nelle Marche, in Abruzzo e in Italia meridionale;
4)
A. i. carsicus, in Italia nord-orientale.
Austropotamobius pallipes è in grado di colonizzare un’ampia gamma di habitat
acquatici differenti, purché con acque fresche e pulite ed ossigenazione costante, e
risulta diffusa in molti corsi d’acqua della regione Friuli Venezia Giulia (Ruffo & Stoch,
2005; De Luise, 2006). Nonostante questo, è stata evidenziata di recente una
generale diminuzione delle presenze della specie in diverse aree della regione ad essa
vocate, causata da diversi fattori: tra questi, spiccano l’eccessivo prelievo prima
dell’entrata in vigore delle normative di tutela, il progressivo degrado della qualità
39
ambientale per cause antropiche nonché la minaccia costituita dalla diffusione di
specie alloctone, come evidenziato da De Luise (1991; 2006) e Stoch (2011) (Lapini et
al., 2014).
Figura 5. Il gambero di fiume Austropotamobius pallipes (foto M. Zanetti, archivio
ETP)
COMPLESSO
SPECIE
SOTTOSPECIE
A. i. italicus
A. i . carinthiacus
Austropotamobius
italicus
Austropotamobius
pallipes complex
A. i. meridionalis
Austropotamobius
pallipes
A. i. carsicus
Figura 6. Schema di classificazione Austropotamobius pallipes complex
Le altre due specie di gamberi autoctoni presenti in Italia sono il gambero
nobile, Astacus astacus (Linnaeus, 1758), e il gambero di torrente, Austropotamobius
torrentium (Schrank, 1803). Se confrontate con A. pallipes, queste specie sono
40
rappresentate in Italia da un numero esiguo di popolazioni peraltro altamente
minacciate; ad oggi, sono state individuate popolazioni di A. astacus nelle province di
Bolzano (Füreder et al., 2002; Füreder, 2007), Belluno (Pagotto, 1996) e Udine (De
Luise, 2006) e popolazioni di A. torrentium in provincia di Udine (De Luise, 2006).
Secondo Machino & Füreder (2005), almeno una delle tre popolazioni di A.
torrentium in provincia di Udine è prossima all’estinzione o addirittura già estinta.
41
4.2. Il gambero rosso della Louisiana Procambarus clarkii
Procambarus clarkii è un Crostaceo Decapode originario dell’America, in
particolare dell’area localizzata nella parte meridionale degli USA. Il gambero rosso
della Louisiana è una delle specie aliene invasive più dannose per l’ambiente e la
biodiversità (Figura 7). Il progetto europeo DAISIE (Delivering Alien Invasive Species
In Europe), finanziato dal sesto programma quadro per l’ambiente della Commissione
europea e destinato a creare supporti di aggiornamento continuo sulle invasioni
biologiche in Europa e banche dati aggiornate da una rete di esperti europei, lo ha
classificato tra le 100 specie invasive peggiori al mondo.
Figura 7. Il gambero rosso della Louisiana Procambarus clarkii (foto M. Zanetti, archivio
ETP)
Acclimatata in Friuli Venezia Giulia, probabilmente nel 2006 (De Luise, 2010),
rappresenta un serio problema per i seguenti rischi (Figura 8):
 Vantaggio competitivo sulle specie indigene, associato ad aggressività, resistenza
allo stress ed efficienza riproduttiva.
 Modificazione dell’ambiente dovuta alle abitudini di scavo che intorbidiscono le
acque e rendono i terreni porosi e permeabili, producendo infiltrazioni d’acqua
e crolli di arginature.
42
 Diffusione dell’afanomicosi, patologia di cui la specie è vettore resistente, e che
risulta letale per le specie autoctone di gamberi di fiume.
 Potenziale tossicità per la salute umana nel caso provenga da ambienti inquinati
o nei quali si abbiano fioriture di cianobatteri, in particolare di Microcystis
aeruginosa.
43
Figura 8. Scheda per il riconoscimento di P. clarkii (da www.life-rarity.eu)
44
4.2.1. Storia della distribuzione di Procambarus clarkii
Lo stato dei gamberi d’acqua dolce autoctoni in Italia appare gravemente
compromesso a causa del moltiplicarsi delle minacce alla loro sopravvivenza, in gran
parte associate alla crescente antropizzazione dei sistemi idrografici e all’invasione di
specie invasive. Il successo dei gamberi alloctoni è imputabile alle loro caratteristiche
di rapida crescita, maturità precoce, elevata fecondità, associate all’elevata
tolleranza dimostrata nei confronti di condizioni ambientali estreme (incluso
l’inquinamento chimico, il riscaldamento e condizioni di disseccamento) e la
resistenza a parassiti e a malattie (Scalici & Gherardi 2007).
La specie alloctona
di crostacei di maggiore
successo in Italia è il
gambero
rosso
della
Louisiana,
P.
clarkii
(Figura 9 e 10). La specie
presenta
molto
Italia
popolazioni
abbondanti
in
settentrionale,
dove si sta rapidamente
Figura 9. Esemplare di P. clarkii (foto M. Zanetti, archivio ETP)
espandendo,
in
particolare in Pianura Padana, invadendo ambienti diversificati. Nel 1989, compare
per la prima volta in natura nel bacino idrografico del torrente Banna, un affluente
del Po, dopo la fuga di alcuni esemplari da uno stabilimento di acquacoltura
sperimentale (Del Mastro, 1992). Da allora si è ampiamente diffusa in Lombardia (Fea
et al., 2006) e in Veneto (Morpungo et al., 2010), è presente nel Lago di Garda
(Morpungo et al., 2010), ed è stata segnalata in Friuli Venezia Giulia nel 2006 (Moro,
2007).
In Italia centrale, la specie è ampiamente diffusa nelle Marche, in Abruzzo, nel
Lazio (Chiesa et al., 2006), in Umbria (Dörr et al., 2006) e in Toscana (Gherardi et al.,
1999a), in particolare nell’area limitrofa al Lago di Massaciuccoli da cui sembrano
45
essersi originate le popolazioni naturalizzatesi nell’Italia centrale, in seguito alla
tracimazione di vasche di allevamento nel 1993 a causa di una alluvione (Gherardi et
al., 1999b).
Nell’Italia meridionale e insulare, la specie è presente in Basilicata, nel Lago
Tarsia in provincia di Cosenza in Calabria (Morpungo et al., 2010), nelle province di
Trapani in Sicilia (D’Angelo & Lo Valvo, 2003) e di Sassari e Cagliari in Sardegna
(Morpungo et al., 2010).
L’introduzione di P. clarkii in Europa nel 1973 è stata favorita dall’elevato valore
commerciale associato alla resistenza alla peste del gambero (Gherardi, 2006) (Figura
11). L’allevamento di questa specie è facilitato dal comportamento alimentare
generalista e opportunista (Gherardi & Barbaresi, 2007), dalle elevate plasticità e
capacità riproduttiva (Paglianti & Gherardi, 2004) e dalla tolleranza a condizioni
ambientali estreme (Gherardi, 2006). Queste stesse caratteristiche però lo rendono
specie con spiccate potenzialità invasive, in quanto dotato di elevata capacità di
dispersione attiva (Barbaresi et al., 2004a). È inoltre capace di sopravvivere a lungo
in acque lentiche e asfittiche o addirittura in ambiente subaereo (Gherardi et al.,
2000). Inoltre, la sua intensa attività di scavo provoca danni strutturali agli argini
fluviali e lacustri (Barbaresi et al., 2004b) e induce bioturbazione delle acque con
conseguente riduzione della produttività primaria (Gherardi, 2007). A causa del
comportamento alimentare vorace e dell’elevata densità raggiunta dalle sue
popolazioni, P. clarkii è causa ormai abbondantemente documentata della perdita
della biodiversità nei corpi idrici invasi; provoca infatti l’estinzione locale di svariate
specie di molluschi, pesci, anfibi e piante idrofite (Gherardi et al., 2001; Renai &
Gherardi, 2004; Gherardi & Acquistapace, 2007). Può infine risultare pericoloso per
la salute dell’eventuale consumatore umano, in quanto accumulatore di metalli
pesanti (Gherardi et al., 2002) e tossine microalgali (Tricarico et al., 2008); può anche
trasmettere patogeni per l’uomo, come il batterio Francisella tularensis responsabile
della tularemia (Anda et al., 2001).
Procambarus clarkii vive naturalmente nel Messico nord-orientale e negli USA
sud-centrali, estendendosi verso ovest in Texas, verso est in Alabama, e verso nord
46
in Tennessee e Illinois (Hobbs, 1972). Questa specie è stata ampiamente allevata dagli
anni ’50 del secolo scorso negli USA meridionali (Huner, 2002). Al di fuori degli USA,
P. clarkii è stato introdotto con successo nelle Hawaii, Messico occidentale, Costa
Rica, Repubblica Dominicana, Belize, Brasile, Equador, Venezuela, Giappone, Cina,
Taiwan, Filippine, Uganda, Kenya, Zambia, Repubblica Sudafricana, ed Europa (Huner,
2002).
Il gambero rosso della Louisiana è stato, nel 20esimo secolo, la specie più
commercializzata a livello mondiale tra i gamberi d’acqua dolce e il suo successo
economico, iniziato già alla fine dell’800 (Penn Jr., 1943), ha contribuito alla sua
dispersione in molti Paesi del mondo. Infatti, varie introduzioni transcontinentali
hanno portato alla diffusione del gambero rosso della Louisiana anche in Africa, Asia,
Europa, e Sud America (Holdich et al., 1999). A causa della prelibatezza delle sue
carni, della velocità di accrescimento (si consideri che può raggiungere dimensioni
superiori ai 12,5 cm di lunghezza) e della sua prolificità è stato importato a scopo di
allevamento nelle acquicolture di molti paesi ed è attualmente considerato il
gambero di fiume più allevato (D’Agaro & Ballestrazzi, 2012) e diffuso al mondo in
quanto si conoscono sue popolazioni acclimatatesi praticamente in ogni continente
(Henttonen & Huner, 1999) ad eccezione dell’Australia e dell’Antartide.
Figura 10. Procambarus clarkii (foto P. Cè,
archivio ETP)
47
Figura 11. Mappa della distribuzione in Europa di P. clarkii (DAISIE)
Le popolazioni di specie indigene (Astacus astacus e Austropotamobius
pallipes) sono state gravemente ridotte in numero e distribuzione a causa della
cosiddetta peste del gambero. Oggi sappiamo che i focolai della peste erano causati
da differenti genotipi dell’oomicete Aphanomyces astaci (Vogt, 1999). Il primo
genotipo fu introdotto in Italia attorno il 1860, forse attraverso gamberi infetti
rilasciati nelle acque di zavorra di una nave americana (Unestam, 1973), e gli altri
genotipi furono ripetutamente introdotti e diffusi in tutta l’Europa assieme
all’importazione dei loro ospiti naturali nord americani, Orconectes limosus,
Pacifastacus leniusculus, e P. clarkii.
Dall’altro lato, ci fu una grande domanda di gamberi nel mercato europeo,
considerati un piatto tradizionale e sano in molti paesi, come la Svezia (Ackefors,
1999). Quindi, la prima introduzione in Spagna fu aiutata e sollecitata dalle istituzioni
locali sforzandosi di migliorare le scarse condizioni economiche. Tutte le procedure
legali furono seguite e rispettate e ci fu anche il consenso di esperti americani che
visitarono preventivamente la Spagna per identificare zone appropriate per
48
l’introduzione di gamberi (Hasburgo-Lorena, 1986). C'era fiducia, scientificamente
supportata, che P. clarkii sarebbe stato innocuo per le popolazioni native del gambero
europeo ed essendo resistente alla peste, avrebbe potuto fornire larghi benefici
economici alle popolazioni locali. Sfortunatamente, in quei tempi non ci fu
preoccupazione sull’impatto ambientale negativo di questa potenziale specie
invasiva (Henttonen & Huner, 1999).
Nonostante sia oggi universalmente riconosciuto come specie invasiva e come
agente fortemente destrutturante gli ecosistemi, in alcuni Paesi come il Kenya si è
cercato di utilizzarlo come agente di controllo biologico per ridurre il numero di
lumache che fungono da ospiti intermedi per la malattia che causa la schistosomiasi,
detta Bilharzia, negli uomini (Holdich et al., 1999). Non meno importante è risultata
essere la diffusione di questo gambero impiegato come esca nella pesca sportiva e
ricreativa.
In Italia, fu importato in Toscana tra il 1991 e il 1992 dalla Louisiana da
un'azienda di Massarosa, vicino al Lago di Massaciuccoli, per un tentativo di
commercializzazione (http://www.uniurb.it/giornalismo/lavori2002/fedeli).
Sono stati fatti tentativi di eradicazione di questa specie attraverso metodi
meccanici, fisici, chimici o biologici, nonché mediante il ripopolamento delle specie
minacciate dalla micosi di cui sono portatori e dalla competizione interspecifica,
sviluppando anche linee parentali di gamberi autoctoni resistenti all’Aphanomyces
astaci e mediante l’uso di strumenti legislativi che proibiscono il trasporto e il rilascio
in natura delle specie aliene, proprio come il gambero rosso della Louisiana (Manfrin,
2012).
La legislazione, destinata a prevenire la diffusione di questo gambero, incontra
spesso delle difficoltà date dalla presenza di conflitti sociali, come ad esempio la
volontà di propagazione per scopi commerciali o ricreativi. Le barriere politiche, in
particolare in Europa, possono anche ostacolare gli obiettivi di conservazione. Ad
esempio, la politica di libero scambio sostenuta dall’Unione Europea ha ostacolato i
tentativi da parte dei singoli Paesi europei di vietare l'importazione di gamberi vivi
all’interno dell’UE (Holdich et al., 1999).
49
4.2.2. Vantaggio competitivo sulle specie indigene, associato ad aggressività,
resistenza allo stress ed efficienza riproduttiva
Una volta introdotte in un ecosistema, alcune IAS hanno il potenziale di creare
notevole stress ambientale, e nella maggior parte dei casi, possono indurre
cambiamenti irreparabili alla biodiversità. Nelle zone senza alcun equivalente
ecologico nativo, i cambiamenti causati da introduzioni di IAS interessano di solito
tutti i livelli di organizzazione ecologica. Le modalità di acquisizione di risorse da parte
dei gamberi e la loro capacità di sviluppare nuove relazioni trofiche, può portare a
effetti drammatici sull'ecosistema, diretti e indiretti (Gherardi, 2011).
Procambarus clarkii è un crostaceo estremamente rustico e scavatore, a
sviluppo molto rapido, originario da corpi idrici lentici e lotici caldi ove si è adattato
anche a luoghi e periodi nei quali le acque possono mancare per molti mesi all’anno.
Per questo motivo trova l’ambiente ideale nelle aree umide anche solo
stagionalmente allagate, nei terreni agricoli ad inondazione periodica come le risaie,
nel greto fangoso di corsi d’acqua periodicamente in secca, nei canali di bonifica e
nelle loro innumerevoli diramazioni; ciò non toglie che possa abitare pure corsi
d’acqua perenni, anche di grandi dimensioni.
Laddove presente, P. clarkii tende a prendere il sopravvento su altri animali, sia
crostacei, sia pesci non predatori, diventando in pochissimo tempo l’anello più forte
della catena ecologica (De Luise, 2010). Può essere considerata una specie rselezionata (Smith & Smith, 2009), ovvero con una strategia riproduttiva tipica dei
colonizzatori e di animali che vivono in ambienti instabili. Secondo il concetto della
selezione r (che distingue specie r-selezionate da specie K-selezionate), le specie
adattate ad ambienti con condizioni imprevedibili differiscono dalle specie adattate
ad ambienti stabili in particolari tratti del ciclo vitale, come la taglia corporea, la
fertilità, l’età della prima riproduzione, il numero di eventi riproduttivi e la durata
della vita. Il ciclo biologico di P. clarkii, infatti, generalmente non supera i 12-18 mesi
(De Luise, 2010); è quindi un gambero dalla vita breve ma dalla eccezionale fertilità;
presenta infatti un’elevata fecondità (300-600 uova/femmina), una rapida crescita,
una maturità precoce (raggiunta a 3-5 mesi di età, ad una lunghezza totale di 55-125
50
mm e ad un peso di 10 g), associata ad una riproduzione annuale multipla (Figura 12).
Questi tratti biologici contribuiscono alla realizzazione in breve tempo di alte densità
e grandi dimensioni della colonia.
Figura 12. Vista ventrale di individui di P. clarkii. A: Maschio in fase riproduttiva con organi
copulatori più calcificati e ganci copulatori sull’ischio del 3° e 4° pereiopode. B: Maschio in fase
non riproduttiva senza ganci copulatori e organi copulatori attenuati. C: Femmina che mostra
il primo paio di appendici addominali che sono vestigiali e il ricettacolo seminale. Scala=2 cm
Il ciclo biologico del P. clarkii si è dimostrato estremamente plastico in relazione
alle condizioni idrogeologiche e alla temperatura dell’acqua (Gutiérrez - Yurrita et al.,
1999). Inoltre, P. clarkii riesce meglio a far fronte ai cambiamenti indotti dalle attività
umane che causano inquinamento e alterazione dell'habitat. È un buon colonizzatore
di habitat acquatici disturbati e può sopravvivere in condizioni anossiche e asciutte in
tana; tollera un elevata torbidità ed è una specie spiccatamente euriterma ed
eurialina (Gherardi, 2011). Riesce infatti a colonizzare acque salmastre dove, a
differenza delle specie autoctone, è in grado di sopravvivere fino a valori del 20‰,
tollerando periodi di disseccamento ed acidità dell’acqua, potendo vivere in un
intervallo di pH compreso fra 5.6 e 10.4. Riesce, oltretutto, a vivere in ambienti
51
pressoché anossici con concentrazioni dell’ossigeno disciolto inferiori ad 1 mg/l; ciò
è possibile grazie alla particolare conformazione della sua camera branchiale, che al
pari di altri crostacei, è sufficiente che contenga una minima quantità d’acqua per
poter sfruttare sia l’ossigeno acquatico, che quello atmosferico, integrando
all’occorrenza la respirazione acquatica con quella aerea (Huner & Barr, 1984). Allo
stesso modo, P. clarkii può rimanere in acque calde con temperature di 25°C
addirittura in anaerobiosi totale fino a 12 ore; lo stesso accade in acque più fredde
con valori inferiori a 10°C, dove sopravvive per alcune settimane. Resta in vita anche
in acque occasionalmente coperte di ghiaccio, e alle nostre latitudini è in grado di
acclimatarsi anche in siti montani fino a circa 1200 m s.l.m. (Gherardi & Holdich,
1999).
In caso di anossia, può raggiungere le acque basse delle rive od uscire sulla
terraferma proseguendo le sue normali attività metaboliche. Ciò spiega come questa
specie sia capace di restare vitale per lungo tempo all’interno delle profonde tane
anche se il sito è stato prosciugato, sfruttando l’umidità del terreno.
Riguardo alla dieta, i gamberi in generale, e i gamberi invasivi in particolare,
hanno abitudini alimentari generaliste e opportuniste (Gutiérrez - Yurrita et al.,
1998). Analisi svolte sul contenuto intestinale hanno mostrato che P. clarkii si nutre
di diversi elementi presenti in un determinato habitat invaso, in proporzione alla loro
disponibilità e la sua dieta può cambiare con l’habitat (Figura 13).
Massaciuccoli (Toscana, Italia)
5%
20%
10%
65%
45%
10%
13%
Osmannoro (Toscana, Italia)
32%
15%
Guadalquivir (Spagna)
42%
38%
9%
11%
Alentejo (Portogallo)
0%
Materiali animali
58%
27%
0%
10%
20%
30%
Materiali vegetali
40%
Sedimenti
50%
60%
70%
Detriti
Figura 13. Prodotti alimentari (in %) contenuti nell’intestino di 20 P. clarkii raccolti da diversi siti in Europa.
L’alimento è stato classificato nelle categorie di Materiali animali, Materiali vegetali, Sedimenti e Detriti. (F.
Gherardi, 2006)
52
P. clarkii gode di un’alimentazione alquanto varia, nutrendosi in maniera non
selettiva di sostanza organica disponibile, animale e vegetale. Pur essendo onnivoro,
ed anche cannibale, il P. clarkii adulto è prevalentemente vegetariano, alimentandosi
preferibilmente di macrofite quali: Myriophyllum, Chara, Potamogeton e Nymphaea.
Secondariamente è detritivoro con varianti a seconda dell’età e della stagione. I
giovani, al contrario, prediligono i macroinvertebrati.
P. clarkii esercita inoltre un forte impatto nei confronti delle specie di decapodi
indigene (Gherardi & Cioni, 2004), ed entra in competizione con loro per le risorse
trofiche e i rifugi, comportandosi spesso da predatore molto più efficiente (Renai &
Gherardi, 2004). Da esperimenti di laboratorio, la specie indigena di gambero spesso
assume un comportamento subordinato (Gherardi & Daniels, 2004). In molti casi, in
natura, si giunge alla sostituzione del gambero indigeno con il gambero alloctono
(p.es. Söderbäck, 1995).
Inoltre P. clarkii è in grado di catturare e manipolare molto più velocemente le
prede rispetto ai crostacei autoctoni. Infatti la capacità predatoria di P. clarkii può
costituire un'ulteriore minaccia alla conservazione di specie come gli anfibi. In
condizioni di laboratorio P. clarkii si è dimostrato più efficiente rispetto a A. pallipes
nel consumare larve di anfibio (Gherardi et al., 2001; Renai & Gherardi, 2004). In
California, Gamradt e Kats (1996) osservarono che i P. clarkii sono in grado di divorare
larve di Taricha torosa, nonostante esse contengano la tetrodotossina, un veleno che
funge da difesa contro predatori come i gamberi indigeni dimostrano che il
deterrente contenuto in diversi anfibi non è efficace su P. clarkii.
In uno studio di laboratorio, Gherardi e Cioni (2004) hanno testato che il
comportamento agonistico e le interferenze nella competizione possono indurre la
sostituzione di specie decapodi d’acqua dolce. Un primo esperimento mostrò che,
mentre i granchi di fiume dominano sulle due specie di gamberi, P. clarkii ha la meglio
su A. pallipes. Infatti, la dimensione del corpo, più grande e con chele più forti in P.
clarkii, può indurre condizioni decisamente asimmetriche nella lotta. In una seconda
serie di esperimenti, gli stessi autori hanno studiato il comportamento agonistico
delle due specie in presenza di cibo o di un riparo artificiale. Le risorse hanno
53
chiaramente influenzato il combattimento, e il dominio è stato tradotto in una
capacità differenziale nella competizione. In natura, i rifugi sono occupati in modo
più estensivo da A. pallipes (dipendente nei suoi nascondigli da anfratti naturali) che
da P. clarkii (abituale scavatore di tane).
Infine, diversi esperimenti di laboratorio hanno dimostrato l'ampia flessibilità
comportamentale di P. clarkii nel momento in cui deve affrontare nuovi tipi di
predatori. Questa specie appare utilizzare una gamma più ampia di informazioni
sull’aumento del rischio di predazione rispetto alle specie native, reagendo
maggiormente a segnali d’allarme eterospecifici (Hazlett et al., 2003). Se il
rilevamento rapido di sostanze d’allarme allerta un animale per la presenza di un
predatore, aumenta così la sua probabilità di evitarlo. Questa capacità potrebbe
contribuire al successo della specie in nuovi ambienti che possono contenere nuovi
predatori. Come conferma, P. clarkii ha dimostrato di essere in grado di apprendere
e ricordare le associazioni tra diversi segnali predazione-rischio: riesce ad associare
un nuovo segnale (p.es. l’odore dei pesci rossi) al conseguente rischio di predazione,
abbinandolo ad un odore-allarme conspecifico; gli individui della specie invasiva
ricordano questa associazione più a lungo rispetto A. pallipes (Acquistapace et al.,
2003). Inoltre, le sostanze d’allarme possono stimolare le attività di alimentazione in
P. clarkii allevati in vasche per l'acquacoltura suggerendo che questo gambero, una
volta allevato in un ambiente in cui sono ridotti i rischi di predazione, è in grado di
rispondere in modo diverso ai segnali che informano del pericolo in più habitat a
rischio e sottolinea ulteriormente l'estrema flessibilità del comportamento di questa
specie (Acquistapace et al., 2004).
In definitiva, i gamberi non indigeni possono sostituire le specie autoctone di
gamberi grazie ad una combinazione di diversi meccanismi interagenti, tra cui:
l’esclusione competitiva, la suscettibilità differenziale alla predazione e l'interferenza
riproduttiva (Holdich & Domaniewski, 1995; Söderbäck 1995; Gherardi & Cioni,
2004).
54
4.2.3. Modificazione dell’ambiente dovuta alle abitudini di scavo che
intorbidano le acque e rendono i terreni porosi e permeabili,
producendo infiltrazioni d’acqua e crolli di arginature
Procambarus clarkii è in grado di ridurre drasticamente la biomassa, la
biodiversità di macrofite acquatiche e l’abbondanza di invertebrati (Gherardi &
Acquistapace, 2007). I gamberi distruggono più piante di quante effettivamente siano
necessarie per sostenere i soli scopi alimentari, causando un aumento del carico
organico e dei nutrienti disciolti nell’acqua (Lodge, 1991). La distruzione di macrofite
in ambienti ricchi di nutrienti può, d’altro canto, favorire l’eutrofizzazione e le
fioriture microalgali, come nel caso di cianobatteriacee del genere Microcystis spp.
(Rodríguez et al., 2003). La sua fioritura si manifesta solitamente a partire dalla
seconda metà della primavera, per tutta l’estate e l’autunno, ma si sono registrati
anche casi di fioriture invernali. Le tossine prodotte, microcistine, hanno un effetto
epatotossico sui mammiferi, sugli uccelli, sui pesci e, di conseguenza, sull’uomo. Si è
accertato che molte specie ittiche sono in grado di accumulare la microcistina nei
propri tessuti ed in particolare nel fegato (De Luise, 2010). Per questo motivo il
consumo di pesci e crostacei può essere potenzialmente pericoloso anche fuori dai
periodi di fioritura algale, provocando danni cellulari accumulabili nel tempo.
La bioturbazione causata da P. clarkii durante l’attività di scavo delle tane,
impoverisce la qualità delle acque aumentando la frazione solida sospesa e quindi la
torbidità, andando ad alterare la penetrazione della luce nella colonna d’acqua e di
conseguenza anche la produttività primaria di piante bentoniche (Anastàcio &
Marques, 1997; Rodrìguez et al., 2003).
In seguito all’introduzione di una specie aliena come il P. clarkii, la biomassa e
la ricchezza di specie di macroinvertebrati possono essere alterate. Tale alterazione
è il risultato della predazione, che causa non solo la fuga della preda, ma anche
l’occupazione della stessa nicchia ecologica.
I molluschi sono il taxon più colpito: alcune specie di gasteropodi, in particolare
lumache, sono state in taluni casi eliminate. La predazione dei gamberi è debole solo
su specie capaci di muoversi abbastanza velocemente da sfuggire ad un possibile
55
attacco (p.es. anfipodi), e specie che vivono protette da astucci (p.es tricotteri) o in
sedimenti (p.es. alcuni ditteri).
P. clarkii è in grado di tollerare condizioni ambientali estreme. Ciò è dovuto,
non solo ad adattamenti fisiologici, ma anche al suo comportamento di scavo e di
occupazione delle tane (Huner & Barr, 1984). L’attività di scavo si realizza
prevalentemente di notte, ma anche nelle ore diurne (Gherardi & Barbaresi, 2000).
Le tane rappresentano per questa specie una risorsa fondamentale, che svolge una
duplice funzione:

difesa da predatori nei momenti critici del ciclo vitale, quali la muta e la
riproduzione;

protezione in condizioni di assenza di acqua superficiale e di temperature
estreme.
Durante periodi asciutti si ritira nelle tane, scavate fino ad una profondità di oltre 2
metri (ma si segnalano rifugi fino anche a 5 metri). Anche in presenza di un livello
idrico normale, i gamberi utilizzano abitualmente le loro tane come rifugio contro i
predatori e in ciascuna di esse possono coabitare anche 50 animali (De Luise, 2010).
Le tane più semplici sono strutture subverticali completamente sommerse,
raramente più lunghe di 15 cm e servono come rifugi temporanei (Barbaresi et al.,
2004a).
Le
tane
leggermente
più
complesse sono sub-verticali,
associate a radici e grovigli di
vegetazione
(Figura
14).
Risultano lunghe da 40 a 90 cm,
talvolta occluse da tappi di
fango e capaci di ospitare da 4
a 10 gamberi.
Rifugi ancora più complessi son
orizzontali a forma di “U”
Figura 14. Sponda di un canale di bonifica con presenza di tane di P.
clarkii, Staranzano, GO (foto M. Zanetti, archivio ETP)
56
(Huner & Barr, 1984). Presentano molti rami e camere laterali dove si possono
trovare fino a 50 esemplari.
Barbaresi et al. (2004a) hanno recentemente mostrato l’utilizzo “consumistico” delle
rive effettuato da questa specie: il periodo di occupazione della tana è breve e i
gamberi non sono fedeli allo stesso rifugio (anche se in laboratorio appaiono in grado
di “ritornare alla base”, Barbaresi & Gherardi, 2006). Al termine delle loro escursioni
per il foraggiamento, scavano nuovi cunicoli. Da un lato, l'intensa attività di scavo
aumenta la torbidità dell'acqua con conseguente inibizione della produzione primaria
(Rodrìguez et al., 2003). Dall'altro, l'estrema perforazione delle rive induce il loro
rapido crollo, spesso producendo danni ai campi agricoli (Correia & Ferreira, 1995;
Huner, 2002) (Figura 15).
Figura 15. Cedimento spondale dovuto all'attività di scavo di P. clarkii (foto M. Zanetti, archivio ETP)
Oltre a creare danni strutturali ed economici per le coltivazione agricole, il
Procambarus rappresenta una vera e propria calamità per gli argini, causandone la
distruzione; i gamberi di questa specie riescono a smuovere fino a 40.000 kg/ha yr-1
di suolo (De Luise, 2010).
L’attività si scavo, non solo procura danni ad aree agricole e ricreative, dighe,
argini di canali di irrigazione di fiumi e di laghi, ma compromette la crescita della
vegetazione riparia (Huner, 1988; Correira & Ferriera, 1995; Anastàcio & Marques,
1997).
Tale vegetazione riveste un importante significato nell'ecologia e nella
gestione ambientale a causa del suo ruolo nella conservazione del suolo, della
loro biodiversità e dell'influenza che ha sugli ecosistemi acquatici. La costruzione di
tane da parte di P. clarkii, associato agli eventi di perturbazione ambientale come le
57
piogge, le temperature elevate e l’aridità del terreno, impattano la stabilità di queste
piante. Circa la metà delle specie vegetali sotto cui sono costruite le tane, subiscono
un danno a causa di una maggiore esposizione delle radici all’aria e ad uno stato di
secchezza maggiore; danni più evidenti sono riscontrati in specie quali Phragmites
australis e Carex elata. Ciò dimostra l’effetto diretto esercitato dall’attività di scavo
di P. clarkii sull’habitat (De Luise, 2010).
In conclusione, l’insediamento di questo crostaceo provoca un doppio danno,
sia a livello fisico, minacciando la stabilità degli argini dei corsi d’acqua e delle
coltivazioni, sia a livello faunistico.
4.2.4. P. clarkii carrier della peste del gambero
L’agente eziologico della peste del gambero è identificato dall’Aphanomyces
astaci (Schikora, 1903), appartenente al Phylum Chromista, classe Oomiceti, ordine
Saprolegniales, famiglia Saprolegniaceae.
È un parassita obbligato dei gamberi, dato che si riproduce esclusivamente sul loro
esoscheletro chitinoso (Unestam, 1969).
A. astaci è una specie endemica del nord America (Unestam, 1972);
l’introduzione di P. clarkii ha avuto come conseguenza la sua introduzione in Europa
portando alla diffusione della peste del gambero, una malattia devastante che causa
mortalità di massa nelle specie di gamberi europei. I gamberi nord americani, quali le
specie del genere Procambarus, Orconectes o Pacifastacus non vengono colpiti dalla
peste poiché il loro sistema immunitario, co-evoluto con questo patogeno, è pronto
a fronteggiarne l’infezione, diversamente da quanto accade per i gamberi di altre
parti del mondo (Aquiloni et al., 2013).
Finora, è stato dimostrato che tre specie di gamberi del Nord America portano
questo parassita come infezione cronica: Orconectes limosus, Pacifastacus
leniusculus e Procambarus clarkii (Unestam, 1969; Unestam & Weiss, 1970; Unestam,
1972; Persson & Söderhäll, 1983; Vey et al., 1983; Diéguez-Uribeondo & Söderhäll,
1993). Queste specie, una volta infette, funzionano da carrier, ovvero da agenti di
58
trasporto responsabili della diffusione della peste in zone lontane dalla sua area di
origine.
Il primo focolaio della peste in Europa è stato documentato nel 1859 nel bacino
del fiume Po, portando all’estinzione di alcune popolazioni di Austropotamobius
pallipes (Cornalia, 1860; Alderman, 1996). Da allora, ha continuato a diffondersi in
tutta Europa con segnalazioni su popolazioni di gamberi in Turchia (Baran & Soylu,
1989), Irlanda (Matthews & Reynolds, 1992), Inghilterra (Alderman, 1993), Norvegia
(Taugbøl et al., 1993), Svezia (Huang et al., 1994), Austria (Alderman, 1996), Spagna
(Diéguez-Uribeondo et al., 1997), Finlandia (Vennerström et al., 1998), Francia
(Machino & Diéguez-Uribeondo, 1998), Germania (Oidtmann et al., 1999), e
Repubblica Ceca (Kozubíková et al., 2008). A causa della sua virulenza, A. astaci è
stata classificata tra le 100 peggiori specie aliene invasive (http://www.europealiens.org/speciesTheWorst.do).
Il ciclo biologico di A. astaci è diretto, non sono presenti cioè ospiti intermedi e
la trasmissione avviene da gambero a gambero. La riproduzione avviene tramite
zoospore biflagellate capaci di diffondersi nell’acqua. Le spore sono attratte da
molecole rilasciate dalla cuticola dei gamberi, all’esoscheletro dei quali aderisce
tramite flagelli, perforandolo grazie all’azione di enzimi. Quando una spora di A.
astaci arriva sulla cuticola di un gambero, inizia la crescita delle ife, che dalla spora
stessa penetrano progressivamente nella cuticola. L’infezione può rimanere limitata
alla cuticola o penetrare nel corpo del gambero provocandone rapidamente la morte.
I gamberi nord americani godono di un efficiente sistema immunitario: stimolato
dalla penetrazione delle ife, attiva una risposta aspecifica, basata sul richiamo di
cellule emocitarie e sul sistema enzimatico della profenolossidasi, che porta alla
formazione di melanina, pigmento brunastro con proprietà antibatteriche e
antimicotiche. A. astaci può essere così isolato da depositi di melanina spesso
identificati come macchie nere sulle cuticole (Söderhäll & Cerenius, 1992). Questo
comporta la presenza di gamberi alloctoni apparentemente sani, ma portatori del
patogeno. La melanina è depositata sulla parete delle ife penetranti, impedendo o
fermando così la crescita del parassita, a causa della produzione di micotossine e di
59
proprietà fungostatiche (Söderhäll & Ajaxon, 1982). A. astaci entra quindi in uno stato
di quiescenza che si conclude quando il gambero muta o muore. A quel punto
l’oomicete forma e libera un gran numero di spore che propagano l’infezione
(Aquiloni et al., 2013). Questa reazione immunitaria ad A. astaci è forte e rapida nelle
specie nordamericane, mentre i gamberi europei soccombono facilmente; il loro
sistema immunitario non è adattato a reagire contro questo parassita (Cerenius et
al., 2003). Al contrario, manifestano la malattia attraverso un comportamento
anomalo, seguito in breve tempo da morte.
I segni di malattia sono di tipo comportamentale, in presenza di un elevato
numero di soggetti morti (Alderman & Polglase, 1986). Il comportamento degli
animali colpiti, come l’andatura o degli atteggiamenti insoliti, fornisce un indizio per
un sospetto di peste, ma i segni clinici da soli non sono sufficienti.
Si osserva inizialmente un aumento dell’attività motoria, seguito da apatia. Il
gambero, normalmente è una specie schiva e notturna, se affetto da peste, si mostra
in pieno giorno, tende ad uscire dall’acqua, si muove in modo non coordinato, è
instabile con perdita dell’equilibrio, non tenta di fuggire alla cattura e si manifesta
inerte se trattenuto.
Al culmine dell’infezione, i soggetti si rovesciano sul dorso, muovono
convulsamente le appendici e non riescono a raddrizzarsi. Talvolta la morte si
manifesta in questa posizione per paralisi. Frequentemente si può manifestare il
distacco degli arti o porzioni di essi.
Le spore possono mantenersi vitali al di fuori dell’ospite fino a 14 giorni e
sopravvivono entro un ampio range di temperature (da 2 a 25°C) mantenendo la
patogenicità anche durante la stagione invernale (Oidtmann et al., 2005). La presenza
di acqua è comunque indispensabile affinché le zoospore possano diffondersi; ma è
sufficiente un velo di umidità per assicurarne la sopravvivenza.
60
Il sospetto di peste del gambero si concretizza in presenza di una massiva
mortalità di gamberi; tuttavia, il solo riscontro di un ingente numero di gamberi
deceduti, senza prendere in esame altre condizioni generali sulla fauna acquatica,
non è sufficiente per emettere una diagnosi di peste. La mortalità di altri crostacei
ed invertebrati, oltre ai decapodi, e la presenza di pesci vivi può essere indice
d’inquinamento (es. insetticidi, in particolare piretroidi), mentre la mortalità
concomitante di invertebrati e specie ittiche fa propendere per cause ambientali,
escludendo agenti infettivi. Il prelievo di gamberi moribondi e sintomatici consente
di eseguire un ampio spettro di analisi di laboratorio in grado di confermare la
presenza o meno di A. astaci che impiegano metodi tradizionali di coltura in vitro e
successiva identificazione morfologica (Viljamma-Driks & Hein, 2006) (Figura 16), o
metodi molecolari che
prevedono analisi realtime
PCR
sequenziamento
DNA
(Tuffs
e
del
&
Oidtmann, 2011).
Ad oggi non si
Figura 16. Ife (a) e sporangio con sporigeni (b) del fungo Oomicete
Aphanomyces astaci. (Foto ©: Trude Vrålstad (a) & David Strand (b), Norwegian
Veterinary Institute)
dispone di alcun metodo efficacie per curare gli esemplari affetti dalla peste, ma è
possibile solo prevenire la diffusione del patogeno. L’unico metodo di contrasto nei
confronti di questa malattia è quindi la profilassi.
Secondo la direttiva comunitaria 91/67/CEE recepita a livello nazionale dal DPR
n. 555 del 30 dicembre 1992, che stabilisce norme di polizia sanitaria per i prodotti
dell’acquacoltura, la “peste del gambero” rientra fra le patologie della lista III,
allegato A, per cui è prevista l’approvazione di programmi facoltativi o obbligatori da
parte dei singoli stati membri.
Misure di prevenzione specifiche per A. astaci sono riportate nel Manuale OIE
(Manual of Diagnostic Tests for Aquatic Animals, 2015) e più in dettaglio nel manuale
australiano (AUSTRALIAN AQUATIC VETERINARY EMERGENCY PLAN, Disease Strategy
Crayfish plague, 2005).
61
Alcuni accorgimenti da seguire per impedire la diffusione di A. astaci dal
focolaio della peste sono:

Evitare la movimentazione di gamberi vivi o morti, potenzialmente infetti
verso aree indenni ospitanti popolazioni suscettibili.

Sterilizzare gli attrezzi da pesca dopo aver frequentato corpi idrici interessati
dalla peste o colonizzati dai gamberi nord americani. Risultano efficaci:
1. trattamento termico: riscaldamento a 60°C per pochi minuti o
congelamento a -20°C per 72 ore (Oidtmann et al., 2002);
2. essicamento: disidratazione per 48-72 ore;
3. disinfezione chimica: utilizzo di soluzioni disinfettanti quali:

NaCl (100 ppm di cloro libero per 30 secondi), utile per strumento
e acqua contaminata,

iodofori (500 ppm di iodio attivo per 15 minuti), efficace dopo
rimozione dei residui organici,


acido paracetico (soluzione al 5% in H2O2, 100 ppm per 5 minuti).
Evitare movimentazione e rilascio di specie ittiche provenienti da aree
soggette ad episodi di afanomicosi.

Evitare la cattura accidentale di gamberi alieni, possibili vettori di A. astaci,
durante operazioni di trasferimento di fauna ittica tra bacini diversi.
Allo scopo di controllare lo stato di salute delle popolazioni di crostacei e la
diffusione dell’Aphanomyces astaci, risulta importante monitorare periodicamente i
bacini fluviali. In tal modo, è possibile individuare precocemente nuovi focolai di
peste del gambero, definendo l’estensione della zona infetta e valutando i siti di
ripopolamento.
4.2.5. Bioaccumulo di contaminanti in Procambarus clarkii
Il gambero rosso della Louisiana (Figura 17) è in grado di tollerare forti stress
ambientali: prosciugamento, temperature estreme, bassi livelli di ossigeno e alta
concentrazione di agenti inquinanti (Gherardi et al., 2002c).
62
È anche capace di accumulare nell’organismo sostanze inquinanti e tossine
prodotte da microalghe. Conseguentemente i predatori di questo animale, uomo
compreso, assorbono i
contaminanti presenti nei
suoi tessuti.
P. clarkii si alimenta
di
piante
acquatiche,
detriti vegetali, uova e
larve di insetti, molluschi,
uova di anfibi e di pesci.
Mentre a sua volta P.
clarkii
è
oggetto
di
predazione da parte di
pesci, rettili, uccelli e
Figura 17. Esemplare di P. clarkii (foto P. Cè, archivio ETP)
mammiferi.
Per la sua capacità di tollerare livelli anche elevati di contaminanti e di
accumulare nell’organismo metalli pesanti e tossine algali (microcistine), è
importante essere pienamente consapevoli dei rischi legati al suo consumo qualora
provenga da aree caratterizzate da scarsa qualità ambientale.
Il termine metallo pesante si riferisce a tutti gli elementi chimici metallici che
hanno una densità relativamente alta (> 5 g/cm3) e sono tossici. I metalli pesanti
vengono immessi nell’ambiente da processi naturali (eruzioni vulcaniche, erosione
delle rocce ecc.) e da attività umane (processi di combustione, attività agricole,
industrie minerarie, metallurgiche e chimiche) ed entrano facilmente nella catena
alimentare (http://www.ing.unitn.it/~colombo/metalli_pesanti/intro.html).
I metalli pesanti sono sostanze tossiche persistenti, cioè non vengono degradati
dai processi naturali, e sono soggetti a bioaccumulo, perciò si accumulano
nell’organismo in concentrazioni superiori a quelle riscontrate nell’ambiente
circostante. Inoltre sono soggetti a biomagnificazione e quindi la loro concentrazione
è più alta negli organismi che stanno ai vertici della catena alimentare.
63
Il regolamento CE n. 1881/2006 fissa i livelli massimi ammissibili negli alimenti
di tre metalli in particolare: il piombo, il mercurio e il cadmio. Per quanto riguarda
nello specifico i crostacei, ognuno di questi tre elementi non deve superare la
concentrazione di 0,5 mg/kg peso fresco.
In generale, nei crostacei gli organi principali di bioaccumulo sono la ghiandola
digestiva (epatopancreas, con sede nel cefalotorace) e l’esoscheletro. In particolare,
mercurio e nichel si accumulano principalmente nell’esoscheletro, ma anche in parte
nella muscolatura; mentre cadmio, zinco, rame, piombo e cromo si accumulano
preferibilmente nell’epatopancreas. Se utilizzati a scopo alimentare, i gamberi quindi
potrebbero costituire un pericolo per la salute umana, non tanto per i livelli di piombo
accumulati nella parte edibile, ma soprattutto per le elevate concentrazioni presenti
nel contenuto intestinale (Nesto, 2012).
I gamberi sono in grado di accumulare nei loro tessuti la BMAA (β-Nmethylamino-L-alanine) prodotta dai cianobatteri, e trasferirla ai loro predatori,
umani inclusi, causando intossicazioni letali (p.es. Carmichael, 1988; Cox et al., 2005).
In particolare, il gambero rosso Procambarus clarkii è in grado di accumulare
nel suo organismo le tossine prodotte dal cianobatterio Microcystis aeruginosa
(Tricarico et al., 2008).
I cianobatteri sono organismi procarioti, hanno un ruolo fondamentale nel ciclo
dell’azoto (fissano l’azoto atmosferico) e sono ubiquitari, ma in genere prediligono gli
ambienti di acqua dolce (solo poche specie vivono in acqua marina).
Nei mesi estivi i cianobatteri possono crescere rapidamente sino a formare
masse galleggianti con l’aspetto di una schiuma verdastra. Tale crescita è favorita
oltre che da temperature calde e luce, anche da nutrienti quali il fosforo e l’azoto
nelle acque superficiali a seguito di dilavamento dei campi e cattivo funzionamento
di depuratori e fognature.
Il genere Microcystis appartiene ai cianobatteri più importanti e studiati per la
formazione di fioriture nei corpi idrici. All’interno di questo genere si distingue la
specie cosmopolita M. aeruginosa (Park et al., 2001), presente nelle regioni
temperate, in acque eutrofiche ed ipertrofiche, e capace di produrre le predette
64
tossine. Le microcistine presentano caratteristiche di cancerogenicità, e possono
danneggiare il fegato, che risulta essere il bersaglio primario, ma anche polmoni e
reni (Hansson et al., 2007). Tali tossine inoltre sono termoresistenti e quindi non
vengono distrutte dall’eventuale cottura delle carni degli animali che le hanno
accumulate. Delle 60 varianti di microcistine esistenti, quella chiamata “LR” è
considerata la più pericolosa (Sivonen & Jones, 1999). L’ingestione giornaliera da
parte dell’uomo non deve superare i 0,04 μg/Kg di peso corporeo del consumatore e
la sua concentrazione nelle acque potabili deve essere inferiore a 1 μg/l (World
Health Organization, 1998).
P. clarkii, potendosi alimentare attivamente di cianobatteri, di norma inglobati
in microfilm superficiali o sommersi, può accumulare nei propri organi interni
quantità significative di microcistine, godendo di un metabolismo decisamente più
veloce rispetto a quello delle specie di crostacei europee. Per questo motivo, la sua
cattura a fini alimentari dovrebbe essere praticata solo in acque di buona qualità.
L’accumulo di tossine è più elevato nell’epatopancreas, di norma non utilizzato
ai fini alimentari, tuttavia alte concentrazione di tossine si possono rinvenire
nell’intestino (Tricarico et al., 2008), che attraversa tutta la muscolatura addominale.
È buona norma asportare l’intestino prima della cottura, in modo da aumentare la
sicurezza dell’alimento dal momento infatti che tali tossine non sono termolabili.
Gli individui di grandi dimensioni, inoltre, tendono ad accumulare meno tossina
rispetto a quelli più piccoli. Ciò può essere dovuto al fatto che i giovani sono più
carnivori rispetto agli adulti: la maggior parte di essi preda macroinvertebrati che a
loro volta si nutrono di cianobatteri. I rischi per gli esseri umani sono comunque bassi
perché normalmente le taglie di gamberi più piccole sono scartate ai fini alimentari.
Un periodo di depurazione prima dell’immissione sul mercato può diminuirne
il contenuto nella muscolatura dell’addome, ma non la sua concentrazione
nell’intestino (Tricarico et al., 2008).
65
4.3. Inquadramento normativo
I gamberi d’acqua dolce A. pallipes, A. torrentium e Astacus astacus sono specie
presenti nel nostro territorio e tutelati dalla direttiva europea 92/43/CEE, nota come
direttiva Habitat (Figura 18). Le tre specie sono elencate nell’allegato II della direttiva
tra quelle che richiedono la designazione di zone speciali di conservazione. A.
torrentium è anche definita specie prioritaria per l’estrema localizzazione del suo
areale, che in Italia è limitata ad alcune acque del bacino danubiano (torrente Slizza,
UD) in Friuli Venezia Giulia con limitate popolazioni probabilmente ora estinte
(Machino & Füreder, 2005). I gamberi d’acqua dolce presenti da sempre nei corsi
d’acqua del Friuli Venezia Giulia sono dunque specie di elevato interesse comunitario.
Figura 18. I gamberi indigeni italiani e la loro distribuzione (da Aquiloni et al., 2010)
La direttiva 92/43/CEE è stata recepita in Italia con DPR 357/1997, istitutivo
della rete Natura 2000 e contenente, tra l’altro, forti limitazioni all’introduzione in
natura di specie non locali. Tale normativa impone alle regioni di adottare le misure
possibili per mantenere in uno stato di conservazione soddisfacente le specie di
interesse comunitario e di provvedere al monitoraggio delle loro popolazioni.
66
In Friuli Venezia Giulia la materia è stata disciplinata con la legge regionale
7/2008 che ha stabilito le procedure per la redazione delle misure di conservazione e
dei piani di gestione dei siti appartenenti alla rete Natura 2000.
Tra il 2011 e il 2013 sono state approvate le Misure di conservazione dei siti
Natura 2000 del Friuli Venezia Giulia: sono attualmente vietate cattura, immissione,
allevamento e detenzione dei crostacei decapodi alloctoni maggiormente invasivi
(generi Procambarus, Cherax, Orconectes, Pacifastacus). Sono inoltre definite linee di
indirizzo per le attività di monitoraggio delle popolazioni di gamberi di fiume e per gli
interventi di gestione attiva consistenti nell’eradicazione delle specie alloctone e nel
rafforzamento di quelle autoctone, anche mediante restocking.
La tutela diretta delle specie di gamberi d’acqua dolce è stata altresì disposta
con la legge forestale regionale n. 9/2007 che ha definito (con il relativo regolamento
di attuazione approvato con DPreg. 07/2009) i gamberi appartenenti ai generi
Austropotamobius e Astacus come specie di interesse regionale.
Per tali specie vigono, quindi, i divieti di cattura, uccisione intenzionale,
perturbazione durante tutte le fasi del ciclo riproduttivo o durante l'ibernazione e lo
svernamento, distruzione delle uova, danneggiamento intenzionale dei siti di
riproduzione, scambio, commercio e detenzione.
Le normative sopra citate sono perlopiù dirette a tutelare le specie autoctone
di gamberi da comportamenti che potrebbero minacciare in modo diretto la
conservazione delle loro popolazioni.
67
68
5. UN MODELLO DI GESTIONE DI UNA SPECIE ESOTICA INVASIVA IN
FRIULI VENEZIA GIULIA: IL PROGETTO RARITY
Nei corsi d’acqua del Friuli Venezia Giulia sono presenti tre specie di gamberi d’acqua
dolce tutelati dalla normativa comunitaria, nazionale e regionale (Austropotamobius pallipes,
A. torrentium e Astacus astacus) (De Luise, 2006). La sopravvivenza di queste specie è
minacciata da fattori quali gli agenti patogeni, l’inquinamento, l’immissione di
ittiofauna e non ultime, le captazioni idriche e le modifiche degli alvei (De Luise,
2006). A questa lista va aggiunta la minaccia legata all’introduzione di specie esotiche
invasive quale Procambarus clarkii (De Luise, 2010).
Il progetto LIFE RARITY (LIFE/10/NAT/IT/000239) per il contenimento del
gambero rosso della Louisiana ed il rafforzamento delle popolazioni native di gamberi
di acqua dolce in Friuli Venezia Giulia è un’iniziativa co-finanziato dalla Commissione
europea dal programma Life+ di cui L’Ente Tutela Pesca del Friuli Venezia Giulia (ETP)
ne è stato capofila e coordinatore. Il progetto è stato sviluppato in collaborazione
con:

Istituto di Scienze Marine del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Venezia

Università di Firenze, Dipartimento di Biologia

Università di Trieste, dipartimento di Scienze della Vita

Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Padova.
Gli obiettivi principali del progetto RARITY sono stati:

l’incremento delle conoscenze sulle popolazioni astacicole regionali e del loro
stato di salute

il contrasto della diffusione della specie esotica Procambarus clarkii

il rafforzamento degli stock della specie nativa Austropotamobius pallipes.
Il progetto si è articolato nelle attività schematizzate di seguito (Figura 19):
69
70
Modello di
gestione di
una IAS:
P. clarkii
• Sensibilizzazione
dei portatori di
interesse
Disseminazione
Rilascio predatori
naturali
Sterilizzazione dei
maschi
Trappolaggio ed
eradicazione
Attivazione EDRR
Citizen Science
• Riproduzione in
cattività
• Rilascio in natura
•
•
•
•
•
Potenziamento
delle popolazioni
autoctone
Contrasto alla
sua diffusione
Implementazione
delle conoscenze
• Monitoraggio
• Definizione
aree a rischio
Figura 19. Schema del modello di
gestione di Procambarus clarkii
Intervento
normativo
Attivazione
EDRR
Implementazione delle conoscenze:
1. Indagini sulle vie di accesso, sui vettori (sagre del gambero, pescatori,
negozi di animali), sulle conoscenze e sulle aspettative dei cittadini del
Friuli Venezia Giulia per la definizione di apposite mappe del rischio;
2. Messa a punto di metodi di lotta al gambero rosso maggiormente efficaci
di quelli tradizionali quali: sterilizzazione dei maschi, produzione di esche
selettive ed esche contraccettive;
3. Studio della riproduzione del gambero rosso, che in regione avviene a
temperature molto più basse di quelle indicate dalla letteratura come
ottimali per la specie;
4. Formazione specifica per operatori: sono stati realizzati 11 corsi per
personale dipendente volontario di ETP, Corpo forestale regionale, Arpa,
Protezione civile, che ha interessato oltre 300 persone;
5. Scambio di esperienze con attività di networking con altri gruppi di lavoro
italiani (Lombardia, Piemonte, Trentino, Abruzzo, Molise) e stranieri
(Slovenia e Austria);
6. Monitoraggio delle popolazioni di gamberi, realizzato per tre stagioni
consecutive (2012-2014) in 238 stazioni distribuite in tutta la Regione;
7. Indagine genetica sia su gamberi di fiume che in quelli rossi della Louisiana;
8. Indagini sanitarie sia su gambero rosso, per indagare il loro ruolo di carrier
dell’afanomicosi, che sul gambero di fiume per verificarne la vulnerabilità
rispetto a questa patologia;
9. Sorveglianza sanitaria sulla qualità delle carni di gambero rosso.
Contrasto alla diffusione del gambero rosso
1. Attivazione di protocolli di rapido intervento dopo le segnalazioni di nuove
colonizzazioni. Si tratta di attuare il massimo sforzo nel più breve tempo di
reazione possibile per poter rimuovere tutti gli individui appena arrivati in
un sito;
2. Con il metodo tradizionale delle catture massive sono stati rimossi oltre
25.000 gamberi rossi della Louisiana;
71
3. Nel lago Casette di Sesto al Reghena (PN) si sono applicate congiuntamente
la tecnica della cattura massiva e quella del rilascio di maschi sterilizzati e
in due anni la popolazione è stata ridotta dell’87%;
4. Sono stati rilasciati oltre 400 kg di anguille nel Canale Brancolo (Gorizia) in
modo da incrementare la predazione di giovani gamberi, che normalmente
non vengono catturati perché sfuggono alle nasse;
5. Per consolidare i risultati del progetto il gruppo di lavoro ha partecipato
alla stesura di atti normativi che disciplinano la pesca e a quelli introducono
le misure di conservazione nei siti natura 2000. Inoltre è stato proposto un
articolo di legge (art. 6-bis legge regionale 19/1971), approvato a dicembre
2012, che fissa la competenza in materia di gamberi in capo ad ETP,
prevede uno specifico piano d’azione e vieta la cattura del gambero rosso;
6. È stato sottoscritto un accordo con i gestori delle sagre del gambero in
regione, finalizzato a evitare che vengano importati esemplari vivi di
gamberi invasivi in cambio di attività di informazione e divulgazione degli
utenti delle sagre;
7. È stata realizzata una campagna informativa presso tutti i negozi di acquari
e animali presenti in regione con materiale specifico sia per i negozianti per
gli acquirenti, per informare sui rischi connessi all’acquisto di gamberi
esotici invasivi.
Potenziamento delle popolazioni di gambero di fiume del Friuli Venezia Giulia
1. L’Ente tutela pesca ha attivato due impianti di allevamento, e prodotto
oltre 40.000 giovani gamberi di fiume i tre anni;
2. È stato effettuato il ripopolamento in 8 siti Natura 2000.
Disseminazione
1. Attività di fondamentale importanza per quanto attiene questo tema,
legato al comportamento umano;
2. Organizzate numerose e svariate attività, sia dirette al pubblico generico
che a target “sensibili”;
72
3. Sono stati utilizzati numerosissimi canali informativi (TV, radio, carta
stampata, DVD, web, conferenze, lezioni didattiche, newsletter, workshop,
…).
Di seguito si descrivono alcuni aspetti peculiari delle attività svolte, che hanno
consentito di individuare il progetto RARITY quale best practice in questo settore
tanto che il progetto ha ottenuto dalla Commissione Europea il riconoscimento di
2015 Best LIFE Project, assegnato ai migliori progetti valutati in Europa nel 2015.
73
5.1. Il monitoraggio
5.1.1. Il monitoraggio delle popolazioni astacicole
Nell’ambito dell’attività di progetto, una parte rilevante del lavoro è stata
dedicata all’acquisizione di nuovi dati sulle popolazioni dei gamberi e sulla loro
distribuzione, sul loro stato sanitario e sull’identificazione genetica delle popolazioni
astacicole.
I campionamenti hanno riguardato 238 stazioni distribuite sull’intero territorio
regionale, anche grazie alla collaborazione dei volontari dell’Ente tutela pesca cui è
stata dedicata un’attività di formazione specifica.
Questa formazione si è resa indispensabile anche al fine di poter standardizzare
le operazioni in modo che i risultati potessero essere confrontabili nel tempo e in siti
differenti. Allo scopo si è resa necessaria la redazione di un protocollo standardizzato
predisposto dal Dipartimento di Biologia dell’Università degli studi di Firenze (Zanetti
et al., 2014).
In una prima fase della selezione delle stazioni di monitoraggio ogni singolo
punto è stato individuato su carta tenendo in considerazione diversi aspetti: facilità
di accesso al sito e di conduzione del lavoro per la sicurezza degli operatori,
disponibilità di dati pregressi su caratteristiche ambientali e/o presenza di gamberi
indigeni ed alloctoni, rappresentatività delle condizioni dell’habitat per i gamberi, la
possibile sovrapposizione dei siti di monitoraggio nell’ambito del Piano Regionale di
Tutela delle Acque da parte dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente
(ARPA) ed inoltre l’inclusione di almeno una stazione all’interno del perimetro di
ciascun sito della Rete Natura 2000 (Aquiloni et al., First monitoring report, 2013)
La seconda fase ha previsto la verifica sul campo: i volontari dell’ETP hanno
effettuato sopralluoghi mediante dispositivi GPS, per confermare così la validità delle
scelte operate in prima fase o proporne eventualmente altre (Zanetti et al., 2014).
Ciascuna stazione è stata identificata con un codice univoco, a cui è stato anche
associato un nome, desunto dalla località o dal corso d’acqua, che è risultato comodo
per l’individuazione da parte del personale operante sul campo (Zanetti et al., 2014).
74
È stata infine creata una rappresentazione cartografica a cura dell’Università di
Firenze.
Nel corso del triennio di lavoro alcune stazioni hanno subito una parziale modifica a
causa delle mutate condizioni ambientali e sono state aggiornate con l’introduzione
di nuovi siti di monitoraggio, a seguito di segnalazioni sulla presenza di P. clarkii
(Zanetti et al., 2014).
Il monitoraggio è stato
realizzato tra l’inizio del mese
di giugno e l’inizio di ottobre
degli anni 2012, 2013, 2014
(Zanetti et al., 2014). Ogni
animale catturato è stato
contato
e
annotato
in
un’apposita scheda. Qualora
fosse stato pescato P. clarkii si
Figura 21. Operazioni di misurazione del cefalotorace di A. pallipes
(foto T. Mattioz, archivio ETP)
è proceduto alla rimozione
sistematica di tutti gli individui,
mentre per la specie indigena A. pallipes, ogni individuo catturato è stato rilasciato
immediatamente, dopo marcatura e rilevamento biometrico (Figura 20 e 21).
Figura 20. Esemplari di A. pallipes catturati in una nassa (foto T. Mattioz, archivio ETP)
75
Figura 22. Mappa con l'esito dei monitoraggi dell'anno 2014
Per A. pallipes, il monitoraggio ha evidenziato una considerevole contrazione
sia delle popolazioni che dell’areale occupato. La fascia con le presenze più
consistenti è risultata quella pedemontana (Figura 22). Grazie al monitoraggio
standardizzato si è potuto constatare che in questa fascia l’entità della popolazione
è rimasta piuttosto costante durante i tre anni di controllo.
Alcuni siti, in cui la presenza di Austropotamobius pallipes ha subito una forte
contrazione, sono stati selezionati come aree soggette al ripopolamento e numerose
immissioni di giovani gamberi hanno potuto far fronte alla considerevole calo della
popolazione (Zanetti et al., 2014).
Il monitoraggio ha permesso di rilevare una diffusione del Procambarus clarkii
nella fascia meridionale del Friuli Venezia Giulia, in torrenti a valle delle risorgive, con
la sola eccezione del Cellina a Claut, più a nord (Aquiloni et al., First monitoring report,
2013) (Figura 22). Le attività di contrasto alla sua diffusione si sono concentrate,
quindi, in queste zone.
In seguito alle nuove segnalazioni, sono stati attivati tempestivamente i
protocolli di risposta rapida consentendo la rimozione della specie invasiva dal Cellina
Claut (Aquiloni et al., First monitoring report, 2013).
76
Monitoraggi successivi hanno confermato la completa eradicazione della specie
dimostrando così quanto sia determinante la tempestività delle attività di controllo
per la riuscita dell’intervento (Zanetti et al., 2014).
5.1.2. Il monitoraggio sanitario
Le operazioni di cattura dei gamberi hanno consentito di raccogliere molti dati
inerenti lo stato sanitario delle popolazioni di gamberi grazie alle analisi realizzate
dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie il cui laboratorio di Adria (RO)
è Centro di Referenza Nazionale per le malattie dei pesci, molluschi e crostacei.
L’attenzione si è focalizzata sul rilevamento delle seguenti patologie:
-
in A. pallipes: afanomicosi o peste del gambero;
-
in P. clarkii: afanomicosi e white spot disease o malattia dei punti bianchi
sostenuta da White Spot Syndrome Virus (WSSV).
Poiché tra queste è stata individuata esclusivamente l’afanomicosi, indagini
specifiche hanno riguardato l’oomicete Aphanomyces astaci, agente eziologico di tale
patologia.
Nell’ambito del progetto è stato anche messa a punto l’applicazione di una
tecnica diagnostica che consente di rilevare la presenza di Aphanomyces anche senza
sacrificare gli animali.
Questa metodologia, che si
fonda
sull’impiego
di
un
tampone cuticolare (Figura 23),
ha consentito di raccogliere
moltissimi dati relativi alla
diffusione di Aphanomyces in
natura, tra le popolazioni di A.
pallipes (Figura 24).
Su 343 esemplari di P.
Figura 23. Tampone cuticolare utilizzato su A. pallipes (foto M.
Zanetti, archivio ETP)
clarkii analizzati, l’esito delle analisi sanitarie ripetute nei tre anni di monitoraggio, ha
rilevato (esiti con prevalenza variabile tra il 3.3% e l’85.0%) (Manfrin & Pretto, 2014):
77

Nel 2012, su 5 siti si cattura, presenza di portatori di A. astaci in 2 siti;

Nel 2013, su 4 siti di cattura, presenza di portatori di A. astaci in 3 siti;

Nel 2014, su 4 siti di cattura, presenza di portatori di A. astaci in tutti e 4 i siti;
Figura 24. A lato e sotto, rilievo
campioni destinati alle analisi
sanitarie per la presenza di A.
astaci (foto M. Zanetti, archivio
ETP)
Su 45 esemplari di A. pallipes provenienti da 15 siti di campionamento,
rinvenuti morti o con lesioni tra il 2011 e il 2013, la presenza di A. astaci è stata
rilevata in 6 corsi d’acqua. Le analisi svolte nel 2014 su 212 esemplari vivi da 8 siti,
con metodo non invasivo, ha rilevato la presenza dell’agente eziologico in 6 siti
(Manfrin & Pretto, 2014) (Figura 25).
78
Figura 25. Focolai A. astaci (da Manfrin & Pretto, 2014)
Nel corso del progetto RARITY si sono eseguite analisi chimiche per determinare
la presenza di metalli pesanti (Ni, Cd, PB, Hg) sulla parte edibile ovvero il muscolo
della coda, di 40 gamberi rossi, 20 maschi e 20 femmine, aventi simili dimensioni e
peso, catturati nelle seguenti quattro località fluviali: Campomolle, Alberoni, Casette
e Villutta. I risultati hanno evidenziato una presenza entro i limiti di contaminazione
previsti per legge dal Reg. CE 1881/2006 pari a 0.5 ppm. Questi risultati sono da
attribuire probabilmente alla buona qualità delle acque superficiali (Manfrin &
Pretto, 2014). I livelli di mercurio più elevati, sebbene entro i limiti prescritti dalla
legge, sono stati riscontrati nella località Alberoni. Questi valori alti sono dovuti ai
sedimenti naturalmente ricchi dell’Isonzo. Grazie all’ormai cessata attività estrattiva
del distretto minerario di Idrija (Slovenia), le acque del torrente Idrijca hanno drenato
i suoli mercuriferi del distretto, confluendo poi nel fiume Isonzo, il quale ha
trasportato i sedimenti contaminati fino alla propria foce, nel Golfo di Trieste. Per
quanto riguarda il cadmio e il piombo, ad Alberoni e Campomolle i livelli sono
significativamente più elevati che a Casette e Villutta (ma sotto i livelli richiesti dal
79
regolamento), evidenziando un possibile arricchimento di questi due metalli nei
sedimenti di queste località (Acri, 2013).
L’attenzione si è focalizzata inoltre sulla possibilità di trasmettere nell’uomo,
attraverso il consumo alimentare, batteri agenti di infezioni tossicologiche alimentari
(Salmonella spp. e Vibrio spp.). Sono stati analizzati 30 esemplari di P. clarkii dai
medesimi siti con differenti caratteristiche idrogeologiche: Alberoni, Villutta,
Campomolle e Casette (palude con acque ferme e salmastre, laghetti e canali con
acque dolci e correnti). Gli esami batteriologici sono stati effettuati sulla parte edibile
(25 g di muscolo addominale e intestino). I risultati delle analisi microbiologiche per
la Salmonella sp. hanno dato esito negativo in tutti i quattro campioni analizzati. Le
analisi per Vibrio sp. sui gamberi prelevati presso Alberoni (palude con acqua
lievemente salmastra) hanno evidenziato la presenza di un ceppo di Vibrio
parahaemolyticus non tossigeno; nei restanti tre siti con acqua dolce non è stata
rilevata la presenza di batteri del genere Vibrio.
5.1.3. Il monitoraggio genetico
Il progetto RARITY si prefiggeva anche di realizzare un’indagine sulla
distribuzione delle varie sottospecie di A. pallipes nel territorio regionale per una
corretta politica gestionale nel ripopolamento in modo da preservare eventuali
endemismi e peculiarità delle popolazioni locali (Aquiloni et al., First monitoring
report, maggio 2013).
Per quanto concerne le indagini svolte sui 440 campioni di A. pallipes
provenienti da 56 differenti stazioni monitorate sul territorio regionale, i risultati
ottenuti hanno evidenziato che tutte le sequenze analizzate sono da attribuire alla
sottospecie Austropotamobius italicus che è nettamente separata da A. pallipes. È
stata inoltre individuata la presenza di 2 sottospecie di Austropotamobius italicus: A.i.
carsicus esclusivamente nel torrente Rosandra e A.i. meridionalis nelle restanti 55
località (Bertucci, Manfrin, Pallavicini, 2014).
Nonostante le ricerche, non è stato rinvenuto alcun esemplare di A. torrentium,
ma nel corso del monitoraggio, analisi genetiche svolte su due esuvie rilevate nel
80
tarvisiano, hanno confermato l’esistenza di popolazioni di questa specie (Zanetti et
al., 2014).
Le analisi condotte su A. pallipes hanno permesso di identificare gruppi di
popolazioni che meritano una gestione separata in quanto unità evolutivamente
distinte (Evolutionarily Significant Units, ESU). Sono stati individuati 7 gruppi di
popolazioni altamente differenziate dal punto di vista genetico che rappresentano 7
ESU distinte (Tabella 1). La gestione delle popolazioni nel corso del progetto RARITY
si è basata sulle ESU, in particolare per quanto riguarda le pratiche di ripopolamento,
utilizzando esclusivamente riproduttori appartenenti alla stessa unità (Manfrin,
Giulianini, Pallavicini, 2014).
Tabella 1. Tabella riassuntiva dei dati genetici per singola località campionata
Località
Liola
Val Rosandra
Pradulin
Palar
Palude Sequals
Cornino
Bars 2
Villaggio Orsi (Budrin)
Rieka Savogna
Seuza
Peternel
Judrio Malinsche
San Leonardo
Aborna Tarpezzo
Squarzulis
Mernicco
Canalutto
Prestento
Malinsciach
Rio Gorgons
Taipana
Salandri
Montenars
Borgo Urana
Bacino
Numero individui analizzati ESU Sottospecie
Cormor
5
1 A.i. meridionalis
Levantino
26
4
A.i. carsicus
Tagliamento
5
1 A.i. meridionalis
Tagliamento
26
6 A.i. meridionalis
Livenza
7
5 A.i. meridionalis
Tagliamento
20
6 A.i. meridionalis
Tagliamento
5
6 A.i. meridionalis
Isonzo
4
6 A.i. meridionalis
Isonzo
1
3 A.i. meridionalis
Isonzo
7
3 A.i. meridionalis
Isonzo
8
3 A.i. meridionalis
Isonzo
2
3 A.i. meridionalis
Isonzo
2
3 A.i. meridionalis
Isonzo
10
3 A.i. meridionalis
Isonzo
2
3 A.i. meridionalis
Isonzo
3
3 A.i. meridionalis
Isonzo
4
6 A.i. meridionalis
Isonzo
1
3 A.i. meridionalis
Isonzo
2
1 A.i. meridionalis
Isonzo
5
1 A.i. meridionalis
Isonzo
7
1 A.i. meridionalis
Isonzo
4
1 A.i. meridionalis
Tagliamento
2
1 A.i. meridionalis
Cormor
3
1 A.i. meridionalis
81
Località
Racchiuso
Raschiaccio
Groina
Piumizza
Paisa
Acqua Molino
Livenza Bus Dei Salt
Colvera Jouf
Colvera Raut
Barcis Vecchia Diga
Andreis
Comugna
Campone
Meduna Pradis
Rio Gamberi
Inglagna
Povici
Rio Nero
Ambiesta
Acqua Reale
Raveo
Verzegnis
Zamlin
Rio Molat
Morius
Valcanda
Torre
Pradielis
Tarcetta
Rio Mersino
Judrio Lipon
Prestenton Bobon
Totale
Bacino
Numero individui analizzati ESU Sottospecie
Isonzo
2
1 A.i. meridionalis
Isonzo
5
1 A.i. meridionalis
Isonzo
4
3 A.i. meridionalis
Isonzo
8
3 A.i. meridionalis
Livenza
1
1 A.i. meridionalis
Livenza
1
1 A.i. meridionalis
Livenza
1
1 A.i. meridionalis
Livenza
10
5 A.i. meridionalis
Livenza
1
5 A.i. meridionalis
Livenza
5
1 A.i. meridionalis
Livenza
7
1 A.i. meridionalis
Tagliamento
12
2 A.i. meridionalis
Livenza
21
5 A.i. meridionalis
Livenza
8
5 A.i. meridionalis
Livenza
17
5 A.i. meridionalis
Livenza
11
5 A.i. meridionalis
Tagliamento
3
7 A.i. meridionalis
Tagliamento
3
7 A.i. meridionalis
Tagliamento
1
1 A.i. meridionalis
Stella
5
6 A.i. meridionalis
Tagliamento
11
1 A.i. meridionalis
Tagliamento
11
1 A.i. meridionalis
Tagliamento
53
7 A.i. meridionalis
Tagliamento
20
5 A.i. meridionalis
Tagliamento
9
2 A.i. meridionalis
Isonzo
5
1 A.i. meridionalis
Livenza
6
5 A.i. meridionalis
Isonzo
8
1 A.i. meridionalis
Isonzo
9
1 A.i. meridionalis
Isonzo
8
1 A.i. meridionalis
Isonzo
10
3 A.i. meridionalis
Isonzo
3
1 A.i. meridionalis
440
Per quanto riguarda P. clarkii, per comprendere quali siano state le zone di
provenienza del gambero alieno e le sue vie di diffusione, le analisi hanno evidenziato
che il profilo genetico definito sulla base dei marcatori del DNA utilizzati nell’indagine,
è lo stesso di quello rilevato nei gamberi rossi di Messico, Francia, Stati Uniti e Cina.
Soltanto un piccolo gruppo di gamberi, tra quelli campionati in Friuli Venezia Giulia,
presenta un profilo genetico differente. Questo risultato consente di ipotizzare che
82
la popolazione presente in regione possa derivare da introduzioni multiple (Manfrin
et al., 2014).
5.1.4. La definizione delle aree di rischio
Per procedere con gli interventi di controllo e di eradicazione di Procambarus
clarkii è stata effettua una valutazione preliminare delle aree considerate a rischio
per la diffusione del gambero rosso (Figura 26).
Per l’individuazione di tali aree sono stati raccolti dati relativi alle presenze della
specie sul campo, sia attuali che storiche. Si è tenuto conto, inoltre, delle possibili vie
d’accesso di questa specie invasiva, come sono state individuate nell’attività di analisi
preliminare: sagre enogastronomiche locali che fanno uso di gamberi vivi e pet shop
in cui la specie viene venduta.
Il rischio è stato poi rappresentato in una cartografia tematica con tre livelli di
rischio: alto, medio, basso (Zanetti et al., 2014). L’identificazione di queste aree ha
consentito di pianificare la strategia di intervento, in modo da massimizzarne
l’efficacia.
Figura 26. Mappa del rischio
di diffusione di P. clarkii
83
5.2. Lotta a Procambarus clarkii
Le strategie adottate dal progetto RARITY per contrastare la diffusione del
Procambarus clarkii, si sono basate principalmente sulle catture massive tramite
l’impiego della tecnica tradizionale, ovvero l’utilizzo di nasse a doppio inganno (Figura
27). L’efficacia del contenimento, è stata incrementata grazie all’adozione di una
strategia combinata che prevede anche il rilascio di predatori naturali, l’utilizzo di
esche maggiormente efficaci e la sterilizzazione di una parte della popolazione.
Figura 27. Posa delle nasse da parte di volontari dell’ETP (foto M. Zanetti, archivio ETP)
Il trappolaggio è sicuramente la tecnica più utilizzata in tutto il mondo, al fine
di contrastare questa specie. Non richiede l’impiego di personale esperto, è
relativamente facile da gestire e facilmente standardizzabile e la sua applicabilità in
ogni tipo di habitat lo rende particolarmente vantaggioso. Tuttavia, presenta due seri
limiti: l’elevato costo di gestione e la forte selettività per le classi di taglia maggiori.
Quest’ultimo aspetto può produrre risultati indesiderati, perché può determinare
squilibri nella struttura originaria della popolazione. P. clarkii è una specie basata su
una gerarchia di dominanza: i maschi di grosse dimensioni dominano femmine e
giovani. Rimuovendo questi maschi dalla comunità, si riduce la pressione sugli
individui più piccoli, permettendo loro di crescere e di diventare dominanti più
velocemente (Skurdal & Qvenild, 1986) e nuovi individui possono essere attratti da
84
aree limitrofe (Moorhouse & Macdonald, 2011). Anche la rimozione delle femmine
ovigere potrebbe causare meccanismi di feedback. I gamberi potrebbero rispondere
alle basse densità di popolazione producendo un numero maggiore di uova per
femmina o raggiungendo più precocemente la maturità, anche come risposta alla
maggior disponibilità di risorse. Tuttavia, nonostante questi limiti, il metodo del
trappolaggio ha consentito la cattura di un numero complessivo di circa 25.000
esemplari nel periodo 2012-2014 in tutta la regione Friuli Venezia Giulia.
Tutti i P. clarkii catturati, ad eccezione di quelli destinati alla sterilizzazione,
sono stati soppressi mediante refrigerazione e congelamento e successivamente
smaltiti tramite incenerimento. È da tener presente che i gamberi sono animali
ectotermi, e non sono in grado di regolare la loro temperatura corporea. Per questo
motivo, il metodo di soppressione utilizzato può essere ritenuto eticamente corretto.
Con il trappolaggio di norma non è possibile conseguire l’obiettivo
dell’eradicazione della popolazione in quanto, come detto, nelle nasse non entrano
individui di tutte le taglie. È stato quindi impiegata questa tecnica laddove si è
ritenuto opportuno abbassare la densità della popolazione, ad esempio per evitare la
colonizzazione di siti limitrofi o come intervento preliminare alla sterilizzazione.
Laddove si sono ricevute nuove segnalazioni di presenza di gambero rosso, la tecnica
è stata impiegata, con successo in un sito nel Cellina a Claut (PN) per la sua
eradicazione in fase iniziale di colonizzazione.
5.2.1. Utilizzo di esche maggiormente efficaci
Per il trappolaggio sono state impiegate diverse tipologie di esche, ma per
comodità sono state utilizzate per lo più vaschette in alluminio in cui veniva posto
mangime per gatti o fegato bovino, suino o avicolo fresco (Zanetti & Rucli, 2014).
Poiché il trappolaggio è poco selettivo e ha causato la cattura accidentale di
numerose specie di pesci, uccelli, mammiferi, rettili e anfibi non target, l’Università
di Trieste ha lavorato alla messa a punto di sostanze attrattive che non fondassero il
loro funzionamento sul richiamo alimentare, ma su quello feromonale. Sono quindi
state sperimentate esche non alimentari finalizzate ad incrementare la cattura
85
selettiva delle nasse (Figura 28 e 29). Le femmine di gambero sessualmente mature
emanano feromoni sessuali per attrarre i maschi (Stebbing et al., 2003a; b). Esche
feromonali permettono quindi di
attrarre
selettivamente
giovani
maschi di P. clarkii (Stebbing et al.,
2003a, b; Aquiloni & Gherardi, 2010).
Il sistema di esche specie-specifiche a
feromoni non è inquinante, non ha
effetti sulla flora/fauna locale e sulla
salute e sul benessere degli uomini,
Figura 28. Esca feromonica (foto F. Piazza)
degli animali domestici e delle coltivazioni (Piazza et al., 2014).
L’utilizzo di esche specie-specifiche per maschi in stagione riproduttiva
consente di diminuire l’impatto sulla flora e fauna locale dovuta al disturbo della
collocazione delle trappole poiché non viene richiesta la cernita degli animali presenti
in nassa (Piazza et al., 2014).
Tuttavia, durante la sperimentazione, queste sostanze feromonali si sono
Figura 29. Nassa con esca feromonica (foto F. Piazza)
dimostrate troppo leggere ed è stata registrata la tendenza a diffondersi
prevalentemente sulla superficie dell’acqua. La loro efficacia si è limitata al solo
riconoscimento del sesso di un conspecifico a breve distanza, e pertanto l’impiego di
queste esche non è risultato applicabile su lunghe distanze e questo approccio
seppure promettente, necessita senza prima nuovi approfondimenti e ulteriori test
(Piazza et al., 2014).
86
5.2.2. Rilascio predatori naturali
Il rilascio di predatori naturali è stata un’altra strategia messa in atto per
contrastare le popolazioni di P. clarkii. Esperimenti di introduzione di predatori
(anguille e lucci) sono andati a buon fine in Svizzera (Frutinger, in Hyatt 2004) e nel
Lago di Massaciuccoli (Schleifstein & Fedeli, 2003). Nell’ambito del progetto RARITY
è stata scelta l’anguilla, naturalmente presente nelle acque regionali, quale predatore
naturale del gambero rosso, particolarmente efficace nella predazione degli stadi
giovanili del gambero.
Le anguille di solito evitano gamberi di grandi dimensioni data l’aggressività
manifestata con le chele e tendono quindi ad attaccare posteriormente i gamberi più
piccoli. Inoltre gli individui di maggiori dimensioni sono i vincitori di lotte
intraspecifiche per l'accesso dei rifugi (Stein & Magnuson, 1976; Capelli & Munjal,
1982) e quindi sono meno esposti alla predazione; poiché rifugi adeguati sono spesso
limitati nell’habitat, i piccoli individui meno competitivi possono subire tassi più alti
di predazione (Butler & Stein, 1985; Garvey et al., 1994).
Nel corso del progetto sono stati rilasciati 400 kg di giovani anguille nel canale
Brancolo (GO) (Figura 30) e contestualmente è stato disposto dall’ETP il divieto di
pesca dell’anguilla nel medesimo canale al fine di massimizzare l’efficacia della sua
predazione.
Figura 30. Operazioni di rilascio delle anguille nel canale Brancolo (GO) (foto P. Cè, archivio ETP)
87
La scelta del canale Brancolo è stata effettuata anche per cercare di creare in
quel corso d’acqua, caratterizzato da una temperatura nettamente più bassa rispetto
al reticolo di canali di bonifica posti più a sud della Regione, una barriera alla
diffusione di P. clarkii che risulta numeroso nella zona denominata Bonifica Sacchetti,
che si chiude a nord, con lo stesso canale Brancolo.
5.2.3. Tecnica di radio-sterilizzazione dei maschi
La tecnica di sterilizzazione dei maschi e rilascio (SMRT, dall’inglese Sterile Male
Release Technique) si basa sulla sterilizzazione, mediante raggi X, e il rilascio in natura
di un elevato numero di maschi in grado di accoppiarsi con le femmine selvatiche che,
conseguentemente, deporranno uova non fecondate. Questa tecnica è altamente
specie-specifica e non causa alcuna contaminazione ambientale o impatto,
diversamente dall’uso di biocidi o altri prodotti chimici.
Da diversi anni, le potenzialità di questa tecnica per la gestione di gamberi
invasivi vengono applicate dal gruppo di ricerca dell’università di Firenze con risultati
incoraggianti (Aquiloni et al., 2009; Cecchinelli et al., 2010).
P. clarkii diventa sterile utilizzando elevate dosi di radiazioni ionizzanti. Per far
questo, ci si serve di un acceleratore lineare per impiego clinico.
La dose di raggi X a cui sono stati esposti i gamberi ha raggiunto anche apici di
60 Gy, senza apparente compromissione dello stato di salute (basti pensare che dosi
di 3-5 Gy sono letali per l’uomo), né il comportamento degli esemplari trattati. A
trattamento avvenuto, i gamberi manifestano uno stato di intontimento, seguito,
dopo pochi minuti, dal riacquisto della normale vitalità.
Diversamente dalla castrazione chimica, l’uso di raggi X per ottenere animali
sterili rispetta tutti i requisiti per la sicurezza ambientale e la salute umana indicati in
letteratura (Holdich et al., 1999). Gli individui trattati non sono radioattivi, perciò
possono essere maneggiati (o addirittura anche mangiati) in tutta sicurezza o
possono essere rilasciati in natura senza alcun pericolo per l’ambiente (Aquiloni et
al., 2009).
88
La sterilizzazione a raggi X è una metodologia che salvaguarda il benessere del
gambero, anche perché esso deve riuscire a comportarsi esattamente come i maschi
fertili e confrontarsi con questi per riuscire ad accoppiarsi con le femmine. Nel corso
di questi anni, si è dimostrato che la sterilizzazione non altera né la sopravvivenza né
il comportamento riproduttivo dei maschi di P. clarkii, ma abbatte sensibilmente il
loro successo riproduttivo riducendo del 43% circa il numero di nati (Aquiloni et al.,
2009). Questa riduzione, insieme alla naturale elevata mortalità dei piccoli in questa
specie, contribuisce al controllo della densità di popolazione. Le procedure di
sterilizzazione sono state ottimizzate in modo da consentire il trattamento di più
individui insieme, con il conseguente contenimento di costi e tempo.
Lo sforzo della sterilizzazione è stato ristretto ai soli maschi di grandi
dimensioni, i dominanti. Infatti, attraverso osservazioni sul comportamento
riproduttivo di questa specie, le femmine di P. clarkii scelgono preferenzialmente
questi soggetti (Aquiloni & Gherardi, 2008) in un sistema di accoppiamento
poliginico, con pochi maschi dominanti che monopolizzano la maggior parte delle
femmine (Gherardi, 2002). Quindi, il successo della SMRT aumenta sterilizzando i
maschi dominanti.
Come dimostrato in un lavoro sul campo (Cecchinelli et al., 2010), la dimensione
della popolazione diminuisce nelle successive stagioni riproduttive attraverso
l’applicazione del trappolaggio e della SMRT. Un approccio integrato con queste due
tecniche combinate è infatti da preferire per il suo effetto sinergico: il trappolaggio
determina un’immediata riduzione della popolazione e, nello stesso tempo, aumenta
la probabilità dei maschi sterili di accoppiarsi con le poche femmine rimaste. Studi di
laboratorio hanno anche dimostrato che i danni ai testicoli e ai tessuti gonadici dovuti
al trattamento permangono per almeno un anno (Aquiloni et al., 2009),
compromettendo quindi con buona probabilità anche le successive stagioni
riproduttive.
Il Laboratorio di Biologia Cellulare e Radiologia dell’Università di Firenze, nel
corso del progetto RARITY, ha effettuato una serie di prove di irraggiamento a dosi
crescenti, con successive analisi istologiche per valutare i danni alle gonadi su P.
89
clarkii. I risultati delle analisi indicano che già ad una dose 20 Gy si rileva una totale
assenza di tessuto proliferativo. Ciò conferma l’efficacia delle radiazioni ionizzanti
come metodo sterilizzatore in grado di provocare alterazioni irreversibili ai processi
di spermiogenesi. Ulteriori analisi morfometriche e citologiche hanno evidenziato che
a livello istologico i danni ai testicoli sono ben visibili anche dopo 30 giorni
dall’irraggiamento (Piazza et al., 2014).
Nonostante siano necessari monitoraggi a lungo termine, le scoperte di questi
ultimi anni suggeriscono che il rilascio di un sufficiente numero di maschi sterili può
effettivamente ridurre la dimensione della popolazione invasiva.
La tecnica di radio-sterilizzazione e rilascio è stata applicata nel lago di Casette,
un lago situato in comune di Sesto al Reghena, ma presso il centro abitato di
Cordovado (Pordenone).
Il lago, alimentato da acque di risorgiva, non presenta né immissari né emissari, la
popolazione che ospita è quindi considerata “chiusa”. Tale caratteristica, associata
alla presenza di P. clarkii rilevata nel 2012, ha determinato la scelta della SMRT come
tecnica di contrasto alla diffusione del gambero rosso.
La SMRT è stata associata al trappolaggio intensivo capace di ridurre
immediatamente
la
popolazione,
selezionare i gamberi da sterilizzare e
aumentare la probabilità dei maschi
sterili di accoppiarsi con le poche
femmine rimaste (Aquiloni & Zanetti,
2014).
I
maschi
irraggiamento
sono
destinati
stati
a
marcati
(Figura 31) onde evitare la loro
rimozione durante le operazioni di
Figura 31. Marcatura maschi destinati a irraggiamento
(foto M. Zanetti, archivio ETP)
trappolaggio, proseguita anche dopo il rilascio degli individui sterilizzati. La marcatura
è stata effettuata a caldo sull’esoscheletro producendo una cicatrice semipermanente e riconoscibile anche dopo la muta (Aquiloni & Zanetti, 2014).
90
La sterilizzazione dei maschi selezionati è stata eseguita in collaborazione con il
Centro di riferimento oncologico di Aviano senza intralciare l’ordinaria attività della
struttura (Figura 32). L’approccio integrato di trappolaggio intensivo ed SMRT è stato
utilizzato nel 2013 e nel 2014.
Grazie alla sinergia di queste due tecniche si è rilevato un abbattimento
dell’87% della popolazione di gambero rosso in soli due anni (Aquiloni & Zanetti,
2014). La stazione di Casette continuerà ad essere monitorata anche nei 5 anni
successivi alla chiusura del progetto per valutare l’effettiva riduzione della
popolazione.
Figura 32. Sterilizzazione di maschi P. clarkii presso il Centro di riferimento oncologico di Aviano (foto M. Zanetti,
archivio ETP)
91
5.2.4. Early detection rapid response (EDRR)
Uno degli strumenti più efficaci per la lotta alle specie invasive è l’organizzazione di
un sistema di rapida individuazione e pronta risposta (Early Detection and Rapid
Response - EDRR) che consente di intervenire in modo tempestivo su nuove
popolazioni che si stanno stabilizzando su un territorio.
Infatti, anche il recente regolamento europeo n. 1143/2014, relativo alla
gestione delle specie esotiche invasive, ha previsto questo strumento tra quelli
necessari nell’ambito della strategia di gestione di tali specie.
Nell’ambito del progetto RARITY (LIFE10 NAT/IT/000239) è stato messo a
punto, grazie alla collaborazione sinergica di ETP con l’Università di Firenze, un
protocollo di intervento allo scopo di implementare un sistema EDRR per la regione
Friuli Venezia Giulia, per fronteggiare l’espansione dei gamberi invasivi, Procambarus
clarkii nelle acque regionali.
Questi protocolli di intervento sono stati attivati 10 volte e hanno consentito di
conseguire il risultato dell’eradicazione della popolazione che si era insediata a Claut
(PN), nel Cellina, grazie ad un rilascio intenzionale da parte di ignoti.
5.2.4.1.
Segnalazione
Il protocollo EDRR attivato allo scopo, prevede che al ritrovamento di anche un
solo esemplare delle specie target o anche di semplici tracce di questi animali (es.
chele o parti di esoscheletro o resti nelle fatte di possibili predatori, tane) deve
seguire l’immediata segnalazione all’ETP (Figura 33), che provvede ad attivare le
opportune procedure di pronta risposta.
Le informazioni utili da segnalare sono:
 data del ritrovamento
 luogo con la maggiore precisione possibile (punto GPS, se possibile)
 specie
 tipologia di ritrovamento (esemplare, resti, fatte di predatori, tane).
92
Figura 33. Schermata iniziale del sito www.gamberialieni.divulgando.eu dal quale è possibile effettuare una
segnalazione
5.2.4.2.
Risposta rapida
L’ETP, sulla base della segnalazione pervenuta, provvede ad avviare la
procedura di risposta rapida entro una settimana dal ricevimento della segnalazione
(Figura 34).
L’iter procedurale di rapida risposta prevede le seguenti azioni sul campo, di
seguito descritte in dettaglio:

verifica della segnalazione

monitoraggio della popolazione

attività di eradicazione/controllo.
93
Figura 34. Mappa dei siti in cui si è attivato il protocollo di risposta rapida (EDRR) tra il 2012 e il 2014
5.2.4.3.
Verifica della segnalazione
Il personale preposto procede alla verifica della segnalazione, raccogliendo ogni
elemento utile alla validazione dell'informazione. Qualora la segnalazione riguardi
aree in cui la presenza delle specie segnalate non era nota, sarà effettuato un
sopralluogo nell’area del ritrovamento e, se necessario, saranno posizionate nasse
armate con esca trofica ad alta appetibilità (Figura 35).
Se la segnalazione non venisse confermata, l’area sarà comunque considerata
come area ad alto rischio di arrivo di gamberi alloctoni e vi sarà programmata attività
di monitoraggio nel periodo successivo.
Se, al contrario, la segnalazione venisse confermata si procederà alla
georeferenziazione e al monitoraggio dall’area di ritrovamento utilizzando le stesse
modalità indicate nei protocolli di monitoraggio.
94
Figura 35. Operazioni di svuotamento nassa (foto M. Zanetti, archivio ETP)
5.2.4.4.
Monitoraggio della popolazione segnalata
Nonostante la necessità di procedere rapidamente alle attività di
eradicazione/controllo della nuova popolazione, è indispensabile effettuare prima un
monitoraggio della stessa per capire la reale dimensione del problema e descrivere
la struttura della popolazione. Queste informazioni sono essenziali per comprendere
se si tratta di un gruppo di individui non ancora stabilizzati, e dove quindi una
eradicazione potrebbe essere ancora possibile, o se invece è una popolazione ormai
ben strutturata. Inoltre, le informazioni derivanti dal monitoraggio sono necessarie
sia per decidere se intraprendere o meno le attività di controllo e le eventuali
modalità di intervento sia per effettuare una valutazione dell’efficacia delle azioni
intraprese e, se opportuno, per cambiare le metodiche di eradicazione/controllo
utilizzate.
5.2.4.5.
Controllo ed eradicazione
Alla fase di monitoraggio, segue una
valutazione sull’opportunità o meno di un
intervento di controllo ed eradicazione. Dopo
aver constatato la probabilità di successo, il
sistema di risposta rapida prevede la cattura
massiva con esche trofiche (Figura 36).
Figura 36. Cattura massiva di gamberi rossi
della Louisiana. (foto P. Cè, archivio ETP)
95
5.2.5. Citizen Science
La comunicazione diretta tra il mondo della ricerca e i singoli cittadini si
definisce Citizen Scienze, e serve ad indicare la partecipazione attiva dei cittadini alla
ricerca scientifica e in particolare attraverso la raccolta e l’invio di informazioni
strutturate (Mereu et al., 2014).
La collaborazione tra lo staff RARITY dell’Università di Trieste ed il progetto SIIT
(www.siit.eu, Progetto Strumenti interattivi per l’identificazione della biodiversità
finanziato nell’ambito del Programma per la Cooperazione Transfrontaliera ItaliaSlovenia 2007-2013) ha permesso di creare un nuovo strumento informatico
interattivo di Citizen Scienze che permette a chiunque di segnalare la presenza sul
campo del gambero rosso fornendo notizie sul suo ritrovamento via tablet,
smartphone
o
PC.
La
segnalazione
è
effettuabile
dal
sito
www.gamberialieni.divulgando.eu (Mereu et al., 2014) o con un link presente del sito
del progetto Rarity (www.life-rarity.eu) (Figura 37). L’applicazione di tale strumento
ha consentito di incrementare il numero di segnalazioni pervenute all’ETP, verificarne
l’attendibilità e procedere con l’attivazione dei protocolli di risposta rapida.
Figura 37. A lato, schermata iniziale del
sito adibito alle segnalazioni di P. clarkii.
Sotto, link del sito www.life-rarity.eu
96
5.3. Il rafforzamento delle popolazioni di gambero di fiume
L’obiettivo di RARITY non è stato esclusivamente il contrasto alla diffusione del
gambero rosso della Louisiana nelle acque del Friuli Venezia Giulia, ma anche quello
del rafforzamento delle popolazioni di Austropotamobius pallipes complex. I siti
destinati al ripopolamento sono stati scelti sulla base di dati rilevati durante le azioni
di monitoraggio, dai quali si è evidenziata una forte diminuzione della popolazione o
addirittura, per alcuni siti, la sua scomparsa (Zanetti & De Luise, 2014). Le aree
individuate per le immissioni sono 8 siti della rete Natura 2000 (zone speciali di
conservazione). Le quantità immesse sono riportate in Tabella 2. Le immissioni sono
state ripetute negli anni 2012, 2013, 2014 e sono proseguite anche nel 2015, anche
se in siti differenti (Zanetti M., com. pers.).
Giovani gamberi rilasciati
2012
2013
2014
2.408
7.267
365
1.479
4.286
615
2.919
6.468
392
1.725
2.064
1.353
924
474
65
244
1.812
1224
12.472
21.164
Sito Natura 2000 ripopolato
ZSC Dolomiti Friulane IT3310001
ZSC Risorgive dello Stella IT3320026
ZSC Risorgive del Venchiaruzzo IT3310010
ZSC Bosco Marzinis IT3110011
ZSC Prealpi Giulie Settentrionali IT3320012
ZSC Forra del Cornappo IT3320016
ZSC Valle del medio Tagliamento IT3320015
ZSC Cavana di Monfalcone IT3330007
Altre aree
Totali
Tabella 2. Quantità di gamberi immessi nel triennio 2012-2014
Per l’allevamento del gambero di fiume sono stati utilizzati due diversi impianti:
uno situato a San Vito al Tagliamento (PN) e l’altro ad Amaro (UD) (Figura 38 e 39).
97
Figura 38. L'impianto di San Vito al Tagliamento (PN) (foto di M. Zanetti, archivio ETP)
Figura 39. L'impianto di Amaro (UD) (foto di M. Zanetti , archivio ETP)
La scelta di due impianti è stata dettata da esigenze di suddivisione del rischio,
legato in particolare alla possibile diffusione della peste del gambero o afanomicosi.
Entrambi gli impianti sono riforniti da acque di falda prive, quindi, di contaminanti
potenzialmente critici per l’allevamento (come, appunto le oospore di Aphanomyces
astaci).
98
In entrambi gli impianti le singole vasche sono state gestite come unità
indipendenti per quanto attiene l’alimentazione e lo scarico dell’acqua e per ciò che
riguarda la gestione degli animali (nessun mescolamento di individui, né utilizzo
promiscuo di attrezzatura).
RARITY ha messo a punto un protocollo di allevamento che è stato pubblicato
nel
sito
ed
è
liberamente
disponibile
(http://www.life-
rarity.eu/pagine/ripopolamento.htm), per rendere fruibili tutte le informazioni
necessarie qualora sia necessario replicare le attività svolte.
Il progetto di ripopolamento è stato così strutturato:
1. Cattura riproduttori
2. Accoppiamenti, deposizione e schiusa uova
3. Svezzamento larve
4. Rilascio in natura.
5.3.1. Cattura riproduttori
I riproduttori sono stati catturati in natura tra quelli sessualmente maturi, in
numero sufficiente al fabbisogno degli impianti. Gli individui selezionati sono
tendenzialmente i più grandi, in quanto capaci di produrre una maggiore quantità di
uova (Zanetti & De Luise, 2014). La scelta dei riproduttori si è basata, oltre che sul
sesso e la taglia, anche sulla loro provenienza. Grazie alle valutazioni genetiche le
popolazioni sono state suddivise in 7 ESU (Unità evolutivamente significative) e
pertanto si è potuto organizzare sia l’allevamento che il ripopolamento in modo da
non mescolare individui di ESU differenti, valorizzando la maggior parte della
diversità genetica presente nelle popolazioni naturali, minimizzando nel contempo il
rischio di inquinamento genetico nei siti di rilascio mediante l’introduzione di soggetti
geneticamente non compatibili con quelli già presenti (Bertucci et al., 2014).
I riproduttori, trasportati agli impianti, sono stati suddivisi, ripartendo i sessi in
proporzione 1:3. Particolare attenzione è stata posta nell’evitare possibili contagi e
diffusione di patologie. I gamberi, quindi, una volta arrivati al sito di allevamento sono
99
stati sottoposti a quarantena (De Luise, 2012) e gli operatori autorizzati hanno
adoperato le misure di profilassi (Zanetti & De Luise, 2014).
Tranne che per il breve periodo degli accoppiamenti, i maschi sono stati
segregati dalle femmine.
Una volta terminato il loro compito di riproduttori, gli individui adulti sono stati
riportati nei luoghi di origine o impiegati per il ripopolamento.
5.3.2. Accoppiamenti, deposizione e schiusa uova
Per verificare l’avvenuto accoppiamento e la presenza di femmine fecondate,
le vasche sono state controllate ogni due giorni.
Una volta fecondate, le femmine depongono le uova e le fanno scorrere entro
una matrice prodotta dalle cosiddette “ghiandole del cemento” in cui sono inglobati
anche i gameti maschili (Scovacricchi, 2012). In questo modo, le uova vengono prima
fecondate e poi fatte aderire ai pleopodi (arti addominali), ai quali rimangono adese
per lungo tempo. Una femmina di questa specie è in grado di produrre da 30 a 120
uova (Zanetti & De Luise, 2014) l’anno, in un unico evento riproduttivo.
Le femmine fecondate sono state trasferite in vasche a loro dedicate,
all’interno di particolari strutture denominate “gabbie da parto” (contenitori di
policarbonato trasparente, forati sul fondo e sulle pareti, dotati di coperchio). Questi
box vengono appoggiati sui bordi delle vasche per consentire una parziale
immersione. Prima di immergerli però, sul fondo della vasca, lungo tutto il perimetro,
sono stati posizionati mattoni forati e piante acquatiche al fine di garantire riparo e
alimento ai nascituri. Questa particolare struttura garantisce la separazione tra i
piccoli e la madre, che altrimenti tende a divorare la sua stessa prole (Zanetti, 2012).
Dopo la nascita dei piccoli, le femmine sono state spostate in apposite vasche
dedicate alla ripresa della forma fisica e alla muta.
Il ciclo di maturazione delle uova è risultato più breve rispetto a quello
riscontrato nei siti naturali, producendo le prime schiuse già a partire dai primi di
marzo (in natura avviene dai primi di giugno fino a luglio). Ciò, grazie alla temperatura
costante assicurata dall’acqua di falda che alimenta gli impianti (Zanetti & De Luise,
100
2012), che si è mantenuta quasi costante lungo il corso di ciascun anno e pari a 12,4°
C e a 10,5° C rispettivamente per gli impianti localizzati a San Vito al Tagliamento e
ad Amaro.
Va ricordata anche la sperimentazione di incubazione artificiale delle uova di
gambero. Questa tecnica prevede il prelievo di uova da femmine selvatiche
direttamente dai siti di origine, evitando così il trasporto ed il successivo adattamento
a condizioni di cattività dei riproduttori, malattie materne o morte delle madri stesse,
minimizzando inoltre la trasmissione di patogeni da riproduttori alla prole. Questa
tecnica ha consentito di rispondere in modo efficace ad una moria di femmine in
riproduzione che si è verificata con modalità a stillicidio nel corso dell’anno 2014 a
causa della diffusione dell’afanomicosi nell’impianto di Amaro. Le uova delle
femmine morte per questa patologia sono state prelevate e portate a schiusa grazie
all’impiego degli incubatori artificiali dove sono stati effettuati periodici interventi di
disinfezione. La procedura, effettuata
sotto
l’attento vaglio dell’Istituto
Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, ha consentito di far nascere molti giovani
gamberi sani, che altrimenti sarebbero andati persi con la morte delle madri.
5.3.3. Accrescimento delle larve
Le immissioni dei gamberi hanno riguardato forme giovanili, nella fase
denominata larva L3, aventi una lunghezza totale media attorno a 2-3 cm. Tale taglia
è quella indicata più idonea per il rilascio in natura, anche per il fatto di venire
raggiunta a fine estate, periodo climaticamente favorevole per i rilasci. Questo ha
comportato la necessità di trattenere in impianto i giovani fino al raggiungimento
della taglia idonea. L’alimentazione quotidiana a base di mangime commerciale
distribuito sotto forma di pellets è stata integrata con piante acquatiche coltivate
entro gli stessi impianti e rivelatesi fonte di alimentazione proteica grazie alla
numerosa presenza di macroinvertebrati che hanno colonizzato le vasche di
coltivazione delle piante.
101
5.3.4. Rilascio in natura
Terminato il ciclo di allevamento dei giovani gamberi, si è provveduto al loro
rilascio in natura (Figura 40 e 41).
Le immissioni sono avvenute
da settembre a novembre.
Per adattare i gamberi alla
temperatura
dei
siti
di
rilascio, è stata necessaria
una
breve
acclimatazione,
diluizione
fase
di
mediante
progressiva
dell’acqua di trasporto con
quella del sito (Zanetti & De
Figura 40. Giovane gambero immesso in natura (foto P. Cè, archivio ETP)
Luise, 2014).
Figura 41. Liberazione dei giovani gamberi di A. pallipes (foto P. Cè, archivio ETP)
Oltre agli otto siti oggetto di ripopolamento, i gamberi sono stati immessi, in
quantità ridotte, anche nei luoghi di provenienza dei riproduttori al fine di
compensare la diminuita riproduzione naturale.
102
I siti destinati al ripopolamento sono stati oggetto di preventive specifiche
analisi chimico-fisiche e ambientali per accertare la sussistenza di condizione
ambientali idonee (Zanetti & De Luise, 2014). Sono quindi stati rilevati la temperatura
dell’acqua, la quantità di ossigeno disciolto, la sua saturazione percentuale, la
presenza di nitriti e nitrati e di ammoniaca, la durezza, la conduttività. Inoltre è stata
verificata l’eventuale presenza, indesiderata, di predatori naturali (salmonidi,
esocidi).
103
5.4. La comunicazione
Di fondamentale importanza nel progetto RARITY è stata l’attività di formazione
e divulgazione che è risultata molto intensa. Si è molto investito in iniziative di
comunicazione per rendere l’opinione pubblica sensibile e informata sul tema del
progetto e per educare, formare ed aggiornare gli operatori, oltre che coinvolgerla in
azioni partecipative come quelle già descritte.
La divulgazione ha coinvolto sia soggetti selezionati che pubblico generico
(Scovacricchi et al., 2014).
Sono state coinvolte oltre 300 persone negli undici corsi di formazione rivolti
alle guardie e collaboratori ittici dell’ETP, Guardie forestali, Protezione civile, ARPA,
ad insegnanti della scuola, Polizia provinciale, Consorzi di bonifica e diversi altri
addetti al monitoraggio e alla vigilanza faunistico-venatoria e territoriale
(Scovacricchi et al., 2014).
Anche il pubblico generico è stato coinvolto portando le attività di progetto
all’attenzione degli alunni delle scuole e i visitatori dell’Acquario delle specie ittiche
d’acqua dolce del Friuli Venezia Giulia ad Ariis di Rivignano (UD).
Inoltre sono stati organizzati incontri presso biblioteche, associazioni, consorzi
di bonifica, Università, enti, istituti di ricerca nazionali ed internazionali. RARITY ha
partecipato a 15 convegni tecnici o scientifici, 3 trasmissioni radio-foniche, 5
trasmissioni TV, è stato citato in 63 articoli di stampa, ed è stato illustrato con acquari
e materiali in occasione di 46 mostre realizzate non solo in Friuli Venezia Giulia.
Per ricevere direttamente via mail informazioni e notizie sul progetto Life
RARITY, il pubblico ha avuto la possibilità di iscriversi alla Newsletter trimestrale, della
quale sono stati pubblicati 13 numeri.
Sono stati realizzati un Manuale per gli operatori, stampato in 2.000 copie, un
Manuale per le pubbliche amministrazioni (1.000 copie) e una pubblicazione finale
(8.000 copie).
Sono stati organizzati numerosi scambi di esperienze mediante attività di
networking con altri gruppi di lavoro italiani (Lombardia, Piemonte, Trentino,
Abruzzo, Molise) e stranieri (Slovenia e Austria).
104
Interessante è stata altresì la sottoscrizione di un protocollo di intesa fra ETP,
Comuni e Pro loco che organizzano sagre locali aventi a tema i gamberi. L’accordo
impegna le parti in azioni di divulgazione dei temi di progetto e a non utilizzare quale
prodotto edibile specie aliene o aliene invasive commercializzate come prodotto vivo
quali “gambero turco” Astacus leptodactylus, gamberi dei generi Astacus e
Pacifastacus, gamberi americani appartenenti ai generi Procambarus e Orconectes e
gamberi australiani del genere Cherax (Scovacricchi et al., 2014).
È stata realizzata una gran mole di materiale divulgativo: 30.000 Brochure,
10.000 Layman’s report, 3.000 gadgets, 40 notice-boards, 5 banner e ogni numero
del notiziario ETP “Pesca e ambiente”, edita annualmente con tre numeri, ha
proposto alcuni articoli sul progetto.
ISMAR ha organizzato quattro convegni rivolti ai portatori di interesse
(pescatori professionali e sportivi, organizzazioni di pescatori, agenzie per la salute
pubblica, commercianti di prodotti ittici, acquacoltori e ogni altro soggetto influente
nei confronti di iniziative economiche o di altro tipo, quali clienti, fornitori,
finanziatori, collaboratori, gruppi di vario genere) e alle pubbliche amministrazioni
(Scovacricchi et al., 2014).
È stato realizzato "Alieni tra noi", un cortometraggio della durata di circa 30
minuti che racconta gli obiettivi e i risultati attesi del progetto. Ne sono state
distribuite 2.000 copie dvd ed è stato visualizzato oltre 1.000 volte online. Il film, che
ha partecipato nel 2015 al GeoFilmFestival di Cittadella (PD) nella sezione "fuori
concorso", è stato premiato con il Golden heart con la seguente motivazione: “Un
approfondito e circostanziato studio che mette in risalto le grandi problematiche che
insorgono
quando
l’uomo
modifica
l’ambiente”
(http://www.life-
rarity.eu/pagine/eventi_news_2015.htm).
Le informazioni su tutto il progetto RARITY sono raggiungibili dal sito web www.liferarity.eu.
105
5.5. Predisposizione di una normativa specifica
Tutte le azioni messe in atto dal progetto hanno contribuito a predisporre una
specifica normativa a livello regionale. Grazie all’intervento dell’ETP e al progetto
RARITY è stato approvato uno specifico articolo della legge regionale n. 27/2012. Con
tale norma è stato introdotto l’articolo 6 bis della legge regionale n. 19/1971
concernente la tutela del gambero di acqua dolce. La disposizione, che si prefigge di
limitare la presenza delle specie alloctone invasive, individua l’Ente tutela pesca del
Friuli Venezia Giulia quale struttura competente a promuovere ed attuare iniziative
di prevenzione e di contrasto alla diffusione di tali specie. A tal fine l’ETP deve
provvedere a predisporre un Piano d'azione in cui sono individuate:
a) le specie invasive di gamberi di acqua dolce e le aree interessate dalla loro
diffusione;
b) le aree nelle quali si attuano interventi per contenere tali specie;
c) le aree nelle quali si attuano interventi per eradicare le medesime;
d) le tipologie degli interventi e i protocolli operativi per il monitoraggio delle
specie invasive e per la prevenzione dei rischi correlati.
Il Piano d’azione, costituisce la linea guida per la gestione della fauna ittica nelle
acque interne del territorio regionale e contiene tutta una serie di procedure e
metodi per la gestione delle specie invasive, come richiesto dal Regolamento UE n.
1143/2014.
Al fine di rendere efficace l'azione di prevenzione e contrasto alla diffusione
delle specie invasive di gamberi, la norma in parola vieta la cattura a scopo di pesca
sportiva e di mestiere, nonché l'immissione e il rilascio in natura di esemplari vivi
appartenenti alle specie medesime. La violazione di tale divieto è punita con una
sanzione amministrativa da 25 euro a 500 euro per ogni esemplare di specie invasiva
catturato o immesso. Gli esemplari oggetto della violazione sono sempre confiscati.
Il divieto di cattura, apparentemente in contrasto con l’esigenza di eradicazione, è in
realtà molto utile per contrastare queste specie la cui diffusione è spesso dovuta a
criminali “semine” effettuate da chi intende successivamente pescare questi animali
(Zanetti, 2013).
106
5.5.1. Piano d’azione per la tutela dei gamberi d’acqua dolce (art. 6 bis della
legge regionale 19/1971)
Il progetto RARITY ha prodotto molto materiale al quale l’Ente tutela pesca ha
fatto riferimento per la predisposizione, al termine dello stesso progetto, del Piano
d’azione per la tutela dei gamberi d’acqua dolce, previsto all’art. 6 ter della legge
regionale 19/1971.
Preliminarmente agli interventi, il Piano prevede innanzitutto la ricognizione delle
aree a rischio di prossima stabilizzazione di popolazioni del gambero invasivo P.
clarkii, tenendo conto anche dei siti in cui la specie potrebbe causare grossi impatti
alle attività produttive, mutuandone l’individuazione dal progetto.
Per quanto riguarda il monitoraggio, il Piano prevede protocolli operativi
necessari sia per la pianificazione di una raccolta dati che consenta di delineare un
quadro delle popolazioni oggetto d’interesse, sia per l’organizzazione di tutte le
informazioni raccolte in un database che ne garantisca una gestione rapida ed
efficace.
Onde evitare un incremento della diffusione delle specie alloctone, il Piano
d’azione pone l’attenzione sulla prevenzione dei rischi: dato che il grado di
intenzionalità del rilascio di animali invasivi in ambienti naturali o seminaturali da
parte dell’uomo è elevato, si rende necessario predisporre una campagna
d’informazione sui rischi connessi alla presenza di gamberi invasivi in ambienti
naturali.
Uno degli strumenti più efficaci per la lotta alle specie invasive è
l’organizzazione di un sistema di rapida individuazione e pronta risposta (Early
Detection and Rapid Response - EDRR) che consente di intervenire in modo
tempestivo su nuove popolazioni che si stanno stabilizzando su un territorio.
Il Piano d’azione descrive nel dettaglio i metodi d’intervento per il controllo delle
specie aliene invasive e stende i protocolli specifici da utilizzarsi per l’eradicazione
delle popolazioni.
Secondo il regolamento UE n. 1143/2014, entro tre anni dall'adozione dell'elenco
dell'Unione, ogni Stato membro deve elaborare e attuare un unico piano d'azione
107
oppure una serie di piani d'azione per la gestione delle specie aliene invasive. I piani
d'azione devono comprendere i calendari degli interventi e descrivere le misure da
adottarsi nonché, se del caso, le azioni volontarie e i codici di buone prassi per
trattare i vettori prioritari e prevenire l'introduzione e la diffusione accidentali di
specie esotiche invasive nell'Unione, dall'esterno o al suo interno.
Il Piano d’azione per la tutela dei gamberi d’acqua dolce in Friuli Venezia Giulia,
redatto al termine del progetto RARITY, proprio per la completezza dei suoi
contenuti, è da considerarsi un buon modello di applicazione delle previsioni del
Regolamento comunitario.
108
6. CONCLUSIONI
I potenziali impatti causati dalle IAS sono molteplici e interessano diversi
aspetti.
Le politiche restrittive recentemente adottate dall’Unione Europea sul tema IAS
attraverso il Regolamento UE, disincentivano e condannano comportamenti illeciti.
Il modello adottato dal progetto LIFE10 NAT/IT/000239 “RARITY” può essere
ritenuto un ottimo approccio per la gestione delle specie alloctone invasive tanto che
è stato valutato come uno dei migliori progetti europei tra quelli valutati nel 2015 ed
ha anticipato l’adozione del Regolamento europeo n. 1143/2014 sulla gestione delle
IAS, del quale si può dire rappresenti un modello di applicazione, sebbene ne sia stato
il precursore.
Questo lavoro di tesi, attraverso la consultazione di materiale bibliografico
specifico e la partecipazione diretta ad alcune delle attività previste dal progetto
RARITY, ha consentito di descrivere il problema rappresentato dalle specie astacicole
alloctone invasive (Procambarus clarkii Girard, 1852) in Friuli Venezia Giulia e
comprendere l’approccio innovativo individuato e le azioni messe in atto per
affrontare la gestione di una problematica complessa come le IAS. Tale problematica
non può essere affrontata con successo senza porre in essere azioni diversificate
indispensabili all’allestimento di un idoneo piano di gestione. Queste azioni
comprendono i seguenti punti:

Implementazione delle conoscenze. Comprendere le vie di accesso
della specifica IAS nell’area di interesse; la sua distribuzione, le sue
capacità di espansione, la valutazione economica dei danni che è in
grado di recare, le analisi genetiche e sanitarie sono tasselli
fondamentali per procedere alla redazione di un piano di contrasto.

Contrasto alla diffusione della IAS. Se l’obiettivo di eradicazione può
risultare in alcuni casi ambizioso, è preferibile parlare di contrasto alla
diffusione. A tal fine è opportuno adoperare tutte le tecniche di
109
contrasto disponibili al fine di massimizzare il risultato; sia tecniche
tradizionali che tecniche innovative, frutto del costante lavoro di
ricerca.
L’attivazione di un sistema di rapida individuazione e pronta risposta
consente di intervenire in modo tempestivo su nuove popolazioni che si
stanno stabilizzando su un territorio.

Rafforzamento delle popolazioni di specie autoctone. È necessario
sostenere le popolazioni autoctone maggiormente vulnerabili per la
presenza della IAS cercando di ricondurre il sistema alle condizioni preintroduzione IAS.

Disseminazione. Una buona campagna d’informazione è in grado di
rendere il pubblico sensibile e consapevole ai problemi legati alle IAS,
mettendo così un freno ai comportamenti sbagliati e coinvolgendo la
popolazione nelle azioni messe in atto ai fini di un contenimento se non
di una eradicazione.
In conclusione, intendo ribadire il concetto che l’introduzione di specie
alloctone può condurre alla perdita e l’impoverimento della biodiversità, con impatti
pesanti sull’economia e sulle società, riducendo la disponibilità di risorse alimentari
ed energetiche. Con la perdita della biodiversità perdiamo ambienti, tradizioni, ed in
qualche modo anche la nostra stessa identità.
110
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RINGRAZIAMENTI
Con questa tesi si conclude il mio percorso universitario. Mi sembra doveroso e
spontaneo ringraziare coloro che hanno reso possibile il raggiungimento di questo obiettivo.
La prima persona che desidero ringraziare è il dott. Massimo Zanetti. Grazie al suo
fondamentale aiuto, supporto e coinvolgimento, è stato per me un punto di riferimento fisso,
la mia stella polare.
Grazie alla prof.ssa Francesca Tulli che con la sua disponibilità, gentilezza ed
entusiasmo mi ha sempre sostenuta e incoraggiata.
Un particolare grazie al Dott. Valentino Casolo, la cui sensibilità, cortesia e
comprensione mi hanno accompagnata nell’ultimo tragitto del mio percorso universitario.
Grazie a mio zio, il prof. Giorgio Petrin. Solamente grazie al suo aiuto e al tempo
dedicatomi, sono riuscita a superare ostacoli che hanno segnato il mio percorso.
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