Piatti della cultura Peranakan su Singapore Airlines,Con Vinitaly l
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Piatti della cultura Peranakan su Singapore Airlines,Con Vinitaly l
Ancora premi per il whiskey irlandese Teeling Il whiskey irlandese Teeling continua a fare incetta dei più prestigiosi premi internazionali. All’edizione 2015 dell’International Wine & Spirit Competition (IWSC) di Londra, due sono state le medaglie d’oro conquistate da Teeling, l’Azienda di Dublino, a cui si aggiungono altri due argenti. Ma il whiskey irlandese Teeling questo stesso anno ha ottenuto altri successi sia ai “World Whiskies Awards”, con il Single Malt di Teeling, incoronato miglior malto irlandese del mondo, e nell’occasione Jack Teeling, amministratore delegato dell’Azienda, è stato nominato miglior Whisky Ambassador nel mondo, sia alla “San Francisco World Spirits Competition”, dove la distilleria Teeling ha conquistato quattro medaglie d’oro. Ricordiamo che “The Teeling Whiskey Co.”, gestita dai fratelli Jack e Stephen Teeling, è l’erede di un’antica dinastia di distillatori irlandesi, attiva fin dal 1782, e che da pochi mesi si è trasferita nel cuore di Dublino, la capitale della Repubblica d’Irlanda, ove da oltre un secolo non veniva svolta alcuna attività legata alla produzione di whiskey. La Teeling è così diventata la prima distilleria cittadina dopo oltre 125 anni, La sua capacità di distillazione annuale, con un impianto dotato di tre grandi alambicchi tradizionali in rame, è prevista, a regime, di 500 mila litri. The Teeling Whiskey Co. intende riportare sul mercato la genuina tradizione artigianale del whisky irlandese di alta qualità, per questa ragione il suo emblema è l’immagine di una fenice che rinasce da un alambicco stilizzato. Il prodotto, di produzione limitata e distribuito per l’Italia da Fratelli Rinaldi Importatori, non è sottoposto a filtrazione a freddo, per cui conserva tutti gli aromi più sottili e delicati della materia prima. Le caratteristiche del Teeling Whiskey sono: assemblaggio di malti irlandesi diversi, invecchiamento fino a 23 anni in cinque legni diversi che hanno contenuto Porto, Sherry, Madeira, Chardonnay di Borgogna e Cabernet Sauvignon, colore dorato, ricco e brillante, bouquet equilibrato con note fruttate di agrumi, di vaniglia, spezie dolci e chiodi di garofano. Maura Sacher Prospettive della vendemmia 2015 in Champagne Come ogni anno, in agosto, a circa un mese dalla vendemmia, a seguito di una accurata valutazione a campione sui filari di un quarto della superficie complessiva destinata allo champagne, la Maison Jacquart emette una nota stampa. Dopo un inizio dell’annata viticola senza problemi particolari, l’assenza di precipitazioni a partire da fine maggio ha causato un rilevante deficit idrico nei vigneti; se a ciò si aggiungono periodi di vera e propria canicola nei mesi di giugno e luglio, si spiega come la crescita di grappoli abbia subito un sensibile rallentamento. Gli acini sono ancora piccoli, la vite ha sofferto per la mancanza di pioggia ma in compenso la situazione sanitaria delle uve è ottimale. Sono dati molto parziali che permettono di individuare le prime tendenze, al momento si può stimare che l’inizio della vendemmia potrà avere luogo attorno al 15 settembre 2015. La vendemmia nella regione dello Champagne, regione a Nord-Est della Francia, si svolge ogni anno più o meno nello stesso periodo, cento giorni dopo la fioritura, in genere dalla fine di settembre alla metà di ottobre. Il periodo della vendemmia copre un arco temporale di circa tre settimane, con le tre varietà classiche (Chardonnay, Pinot Noir, Pinot Meunier) che arrivano a maturazione simultaneamente. quasi Secondo la nota, trasmessaci da Piero Valdiserra, Marketing & PR Director alla Fratelli Rinaldi Importatori di Bologna, con l’esclusiva in Italia per lo Champagne Jacquart, la vendemmia in Champagne è ancora di tipo tradizionale, ed è svolta interamente a mano: i vincoli imposti ai ‘vigneron’ sono ancora quelli stabiliti nel XVIII secolo. I grappoli devono essere raccolti intatti, e interi interi e e intatti devono arrivare alla spremitura, in cassette speciali che ne impediscano la macerazione. Per evitare un trasporto troppo lungo, gli impianti di spremitura sono situati in prossimità dei vigneti. Nel periodo della vendemmia vengono oggi impiegati in Champagne circa 120 mila vendemmiatori (cioè 4 per ettaro vendemmiato); di questi 120 mila, 100 mila circa sono stagionali. Questi stagionali, nel periodo della vendemmia, vengono alloggiati dai vigneron e dalle grandi maison. Sono in prevalenza studenti, amici delle famiglie della zona, disoccupati o extracomunitari, e vengono remunerati a orario o a cottimo. Lo storico marchio Jacquart rinasce nel 1964 quando un gruppo di viticoltori si uniscono in cooperativa fissando la sede a Reims, e decidono di utilizzarlo come rappresentativo della zona. Nel 1998 si uniscono altre forze, altri gruppi di viticoltori, coprendo oggi una delle più grandi superfici di approvvigionamento di tutta la Champagne. Maura Sacher Lost in Tokyo Perdersi in una città come Tokyo è facile e può anche essere divertente. Quartieri enormi, pullulanti di persone che convivono mestamente tra loro. Una città in cui la criminalità è praticamente inesistente: avete mai visto qui da noi una donna al ristorante, appoggiare distrattamente la sua borsa a terra, alle sue spalle, ad una distanza di un metro? A Tokyo è normale! E per chi ama mangiare giapponese quale migliore occasione per scoprire come e quanta contaminazione occidentale ha il cibo nipponico in Italia. A Tokyo, moltissimi ristoranti hanno delle vetrine nelle quali esporre i piatti che poi si servono all’interno: si tratta di riproduzioni iperrealiste in plastica, raffiguranti pezzi di sushi, shashimi, noodles… Piatti lucidissimi, dai colori talmente brillanti e carichi che, personalmente, più che far venire l’acquolina in bocca, fan passare la voglia di assaggiarli. Tipici a Tokyo sono gli Izakaya: ristoranti in cui si ordina un po’ di tutto così da assaggiare i più svariati piatti; partendo dal sushi, ovviamente squisito: i Nigiri, le polpettine di riso con sopra una bella fetta di pesce crudo, molto più spessa che qui da noi, i Maki, rotolini sempre di riso, incartato nell’alga Nori, tenerissima e davvero gustosa rispetto a quelle che si trovano in Italia e poi Sashimi, fette di pesce crudo, la cui bontà dipende ovviamente dalla freschezza del pesce. Ma anche stick di pollo arrostiti, tempura, okonomyaki (simil pizza stile Japan), o tonktsu, specie di cotoletta impanata. A Kamakura, antica capitale del Giappone, in uno dei tantissimi antichi Templi Buddisti trasmettevano un filmato dove veniva illustrata la giornata tipica del Monaco. Silenzio e preghiera il loro stile di vita; mostrando immagini di quotidianità, evidenziavano come durante il giorno, tutto si svolga in silenzio. Anche il pranzo… Tranne quando vengono serviti i Soba (noodles (tagliolini) di grano saraceno) o gli Udon (di farina di grano): serviti a parte, asciutti, vengono immersi con le bacchette in una ciotola di brodo di pesce tenuta accostata alla bocca. Una volta che il tagliolino è stato intinto nel liquido, viene portato alle labbra e risucchiato con forza. Lascio a voi immaginare cosa significhi per un europeo trovarsi in un ristorante di Soba all’ora di punta: un coro di risucchi che rendono il pranzo o la cena davvero impegnativa! Deliziosi sono anche i Takoyaki: polpettine a base polpo cotte su una apposita piastra fatta di piccoli incavi semisferici che danno la forma perfettamente tonda a questo street food. Servito in scatoline di cartone e le immancabili bacchette sono un cibo davvero gustoso. Il pranzo in un ristorante tradizionale poi è senz’altro un’esperienza: viene servito un vassoio colmo di piattini, ciotoline scatoline con all’interno le varie pietanze. Ma il giapponese si nutre con poco e la scoperta del contenuto di queste ciotoline può lasciare perplessi: tre pezzettini di zenzero cotti in modo differente (visto il mix di colori), una sottile fettina si Sashimi, decorato da due sfoglie di ravanello; una piccola ciotola colma di brodo di pesce per intingerci i Soba serviti in un piattino da caffè; un pezzetto di tofu fresco, specie di salse dalla consistenza sospetta… Se negli Stati Uniti le porzioni sono enormi e saporite, qui sono davvero minime e con sapori alquanto neutri. La bevanda nazionale è il Sake (pronunciato saké), ottenuta dalla fermentazione del riso con aggiunta di alcool etilico e chiamato anche vino di riso; non è classificabile né tra i distillati, né tantomeno tra i fermentati o tra i liquori, e costituisce una categoria a parte. Birra e vino si trovano ovunque. Dai supermarket di alta e bassa fascia, alle enoteche, ai ristoranti è facile trovare vino proveniente da ogni nazione del mondo, con un grande assortimento di vini italiani provenienti da tutte le regioni, che qui sono molto graditi. Una cultura diversa dalla nostra: tradizioni, educazione e cucina sono molto differenti, ma sempre una scoperta interessante e a volte sorprendente. Ed allora Banzai! (esclamazione da loro pronunciata quando si è felici, contenti, o lieti e che significa diecimila anni… del tipo cento di questi giorni) Sonia Biasin Piatti della Peranakan su Airlines cultura Singapore Per gli amanti dei viaggi in Oriente e per i gourmet giramondo, questa può essere un “gustosa” notizia: la compagnia Singapore Airlines partecipa alle celebrazioni del 50° anniversario dell’Indipendenza della Città-Stato di Singapore, all’insegna della cucina e tradizione Peranakan. Singapore Airlines è stimata una compagnia aerea cinque stelle, la più premiata del mondo, che effettua voli diretti dall’Italia verso Singapore: cinque alla settimana da Milano a Singapore e due da Roma (tre in estate). A bordo di tutte le classi di viaggio, fino a settembre 2015, vengono serviti i piatti della cultura culinaria di Singapore, forniti dalla creatività di Shermay Lee, celebre chef di Singapore, Peranakan di sesta generazione, formatasi ad una rinomata scuola di cucina francese, operosa a tramandare le ricette della tradizione familiare. Il termine Peranakan in malese significa ‘autoctono’ e si riferisce ai discendenti dei primi immigrati cinesi che si sposarono con gli abitanti dell’arcipelago malese. I Peranakan hanno una tradizione culinaria ibrida che combina ingredienti e tecniche della cucina cinese, malese e inglese. Questa fusione di culture conferisce alla cucina Peranakan il suo gusto distintivo, permeandola di sapori stuzzicanti creati dalle spezie provenienti da tutta la regione asiatica. A seconda della classe scelta i passeggeri (Suite, First Class e Business Class, o Premium Economy Class ed Economy, possono gustare una gamma di piatti Peranakan, appositamente scelti. I viaggiatori hanno anche l’opportunità di gustare il dessert tradizionale di Singapore, l’Ice Cream Wafer Sandwich, disponibile in quattro varianti: Bandung, Gula Melaka, Pandan e Sweet corn. “Singapore Airlines si impegna a utilizzare ingredienti genuini, gli stessi che uso io a casa. È così che riusciamo a ricreare quei sapori deliziosi, anche a 35.000 piedi d’altezza”, ha detto la chef Shermay Lee, felice della scelta ricaduta su di lei. “Il cibo è legato ai nostri cuori e l’eredità culinaria di Singapore presenta piatti conosciuti, che molti nostri connazionali hanno gustato a casa durante la loro vita. Siamo lieti di poter offrire questa esperienza gastronomica ‘a casa lontano da casa’ ai nostri passeggeri di tutto il mondo”, ha dichiarato a sua volta Tan Pee Teck, Senior Vice President Product&Services di Singapore Airlines. Inoltre, la SilverKris Lounge di Singapore Airlines, situata all’aeroporto Changi, ai passeggeri in transito propone una selezione di piatti diversa da quella offerta in volo, altre varietà sempre spiccatamente locali. Ultima nota per i viaggiatori: sempre fino a settembre 2015, i turisti possono scoprire la storia e la cultura Peranakan esibendo le carte d’imbarco di Singapore Airlines che permettono di entrare gratuitamente al Museo Peranakan di Singapore. Maura Sacher Con Vinitaly l’Italia al Wine & Dine Festival di Shanghai Sarà Vinitaly a rappresentare l’eccellenza enogastronomica italiana alla prima edizione dello Shanghai Wine & Dine Festival, in programma dal 18 al 20 settembre 2015. Il Festival, che vede la partecipazione anche di Francia, Spagna, Stati Uniti d’America, Australia, Cile e Argentina, è già stato presentato ufficialmente in loco dai promotori: il quotidiano Shanghai Morning Post, Gewara il più grande ticket service online della Cina, Unionpay, la carta di credito più diffusa in Cina, e Bank of Communications. La manifestazione di settembre punta a diventare l’evento b2c di riferimento in Oriente per il settore wine&food e Vinitaly, il più importante salone internazionale di Veronafiere dedicato al vino e ai distillati, è stato scelto come capofila dell’esclusivo Padiglione che ospiterà i prodotti italiani. Grazie all’efficace lavoro svolto in questi anni attraverso le iniziative di Vinitaly International, la Cina ha accreditato l’Ente Verona Fiere come il referente per la promozione culturale del vino e della gastronomia italiane. Questo 2015 è un momento importante per Vinitaly e il vino italiano, ha commentato il Direttore Generale di Veronafiere, Giovanni Mantovani, soddisfatto del successo che sta ottenendo all’EXPO di Milano il Padiglione dedicato al vino, molto apprezzato dai numerosi visitatori cinesi. «L’anno prossimo, poi, sarà il Cinquantesimo anniversario di Vinitaly a Verona e, con il nostro know-how, siamo pronti ad affrontare a Shanghai un nuovo tipo di evento, consumer-oriented, dove anche il food giocherà un ruolo fondamentale, facendo da traino alla cultura del vino». L’obiettivo resta la conquista dei consumatori cinesi, grazie a degustazioni delle migliori etichette tricolori, accompagnate dai piatti dei più famosi cuochi italiani di Shanghai e offerte dalle più note realtà del food & beverage made in Italy presenti in Cina. Le aspettative su questo nuovo appuntamento autunnale sono quindi molto alte, come ha spiegato Yang Wei Zhong, editore in capo dello Shanghai Morning Post: «Shanghai è da sempre aperta agli stili di vita occidentali e in questi due anni sta vedendo crescere sempre più i consumatori di vino. Da questo punto di vista è una metropoli che è punto di riferimento per tutta la nazione e da cui passano le nuove tendenze del consumatore cinese». La partecipazione all’Italian National Pavilion è aperta a tutti i produttori e importatori di vino italiano che desiderano promuovere e vendere i loro prodotti direttamente ai consumatori cinesi. Tra il 5 e il 7 di novembre 2015, inoltre, Vinitaly sarà presente ad Hong Kong per l’International Wine & Spirit Fair, e a Mosca il successivo 16 novembre nella giornata di Vinitaly in Russia, presso l’esclusivo Swissôtel Krasnye Holmy. Maura Sacher Negoziati a Bruxelles sull’agroalimentare protetto La Delegazione dell’Aicig è tornata speranzosa da Bruxelles dove si sono svolte riunioni di negoziato previsti nell’ultimo Regolamento CE, cosiddetto “Pacchetto Qualità”. Si sta trattando la regolamentazione dei volumi produttivi, su cui Aicig aveva molto insistito negli ultimi anni, ritenendola decisiva per consentire un equilibrio tra domanda e offerta di mercato, misura auspicata in primo luogo dagli operatori delle filiere produttive. Aicig (Associazione Italiana Consorzi Indicazioni Geografiche) si è incontrata con Cnaol (l’associazione che rappresenta le produzioni Dop del settore caseario francese) per confrontarsi sull’applicazione delle disposizioni comunitarie in merito alla regolamentazione dell’offerta. Le posizioni italiane e francesi convergono sulla tutela e lo sviluppo del settore dei prodotti Dop e Igp e c’è una sostanziale intesa per supportare in ambito comunitario le ragioni e gli interessi delle produzioni a indicazione geografica. Con i colleghi francesi, dopo i primi anni di applicazione delle norme comunitarie nel settore lattiero-caseario, si è fatto il punto della situazione valutando anche possibili miglioramenti ai diversi sistemi di regolamentazione, anche in prospettiva OCM unica (Organizzazione Comune del Mercato unica). «Questi confronti – dichiara Riccardo Deserti di Aicig – sono indispensabili per una corretta applicazione delle norme comunitarie su temi così specifici. I dialoghi costanti avviati con i colleghi francesi hanno lo scopo di rafforzare l’intero settore anche in ambito extracomunitario». Aicig, in effetti, ha partecipato anche all’incontro dei portatori di interesse nei negoziati bilaterali tra Unione Europea e gli Stati Uniti nell’ambito del TTIP, facendosi portavoce dei Consorzi, alcuni dei quali presenti a Bruxelles, i quali hanno insistito nei confronti dei negoziatori al fine di ottenere, nel futuro accordo, una protezione per le produzioni Dop e Igp comunitarie sul territorio statunitense. Secondo Gianluigi Ligasacchi di Aicig, «Le produzioni a denominazione, con tutto il sistema di controllo e certificazione, costituiscono un settore di primaria importanza per un corretto sviluppo dell’intero settore agroalimentare», e per l’appunto il sistema dei prodotti Dop e Igp è garantito da oltre 60.600 visite degli Organismi di Controllo che generano circa 75.000 controlli analitici sui prodotti certificati. Ligasacchi auspica un’adeguata protezione per i prodotti Dop e Igp anche negli Stati Uniti al fine di maggior tutela dei produttori comunitari «ma anche per garantire i consumatori americani, spesso non in condizione di compiere una scelta consapevole». Maura Sacher In Perù la missione commerciale di CSO e CERMAC Perù e Italia hanno ottime opportunità di scambio nel settore dell’ortofrutta, dopo il cammino avviato nel settembre 2013, quando Agap ha siglato un accordo con Cso finalizzato a incentivare e consolidare i rapporti commerciali. L’Agap, ‘Asociacion de gremios productores agrarios’ del Perù, associazione che comprende sei gruppi di produttori agricoli, ha puntato sul Bel Paese, offrendo canali di trattativa ai produttori ed esportatori italiani, da quando il Trattato di Libero Scambio e Accordo di Integrazione Economica Unione Europea–Perú, entrato in vigore a marzo del 2013, ha stabilito dazio zero per il 100% dei prodotti industriali peruviani verso in Europa, e di conseguenza anche in Italia. Sono già diverse le imprese italiane presenti sul territorio peruviano che si fanno mediatrici ed importatrici di prodotti italiani di vario genere, ed alcune di prodotti alimentari, principalmente del settore dolciario, ma anche di olio, aceto balsamico e liquori. Per contro, ci sono prodotti agricoli peruviani, come l’asparago bianco, l’uva da tavola, che il Perù coltiva intensivamente per l’esportazione, agrumi banane, avocado, mango, piccoli frutti e soprattutto esotici, che costituiscono lo zoccolo duro nell’export, verso gli Stati Uniti, ad esempio, come principale mercato, e in Europa soprattutto Francia, Spagna e Germania. «Meno l’Italia – hanno affermato i vertici delle associazioni peruviane – dove abbiamo l’obiettivo di aumentare l’export del 10-15%». In effetti, il 99% dei prodotti ortofrutticoli peruviani destinati all’Europa passa per l’Olanda e la Germania, e da loro a noi transitano. Ora, dopo mesi di trattative, l’intesa è maturata. Si è conclusa negli scorsi giorni la missione commerciale di CSO e CERMAC in Perù per consolidare i rapporti con gli operatori locali. La delegazione guidata da Federico Milanese di CSO ha partecipato alla fiera TECNOAGRO di Lima, un importante evento rivolto principalmente ai produttori di tecnologia da pieno campo e da post raccolta, a vivaisti, aziende del packaging e fornitori di servizi collegati al settore ortofrutticolo locale. Ci hanno fatto sapere che «La missione, in contemporanea con la Fiera ha fatto visita anche ai principali retail peruviani per verificare l’interesse all’importazione di mele e pere. Al momento il mercato risulta chiuso per problemi di barriere ma sono stati allacciati i primi contatti con le istituzioni locali per poter avviare procedure di apertura commerciale. La delegazione ha fatto anche tappa a Trujillo, nella zona a Nord di Lima, per visitare i principali produttori locali. Hanno partecipato alla missione organizzata da Cermac e CSO importanti aziende italiane quali: Assomela, Graziani, Gruppo Mazzoni, Irtec, Rinieri, Unitec e TR Turoni». Il nostro massimo auspicio, conoscendo direttamente le realtà locali latino-americane, è che non si speculi massivamente sullo sfruttamento agro-frutticolo a beneficio degli interessi di strutture multinazionali in quelle aree con un’antica concezione del forte legame di rispetto con la Madre Terra (Pachamama), ma vada a incidere concretamente sul’economia del Paese e sulla equa ripartizione degli utili nella comunità locale. Maura Sacher Anche in Cina si romagnolo “Tot i dè” beve Dopo Giappone e Corea del Sud, anche in Cina è arrivato il vino romagnolo, insediandosi con il marchio “Tot i de” (espressione romagnola che significa “tutti i giorni”). A Xiamen è stato da poco aperto il quinto Wine Bar “Tot i dè” del Gruppo Cevico, inaugurato alla presenza di Marco Nannetti (riconoscibile nella foto di testa dell’articolo), il quinto locale nell’Estremo Oriente nel giro di pochi anni dopo Hiroshima, Tokyo e i due di Seul. I wine bar “Tot i dè” sono frutto di un accordo del Gruppo Cevico con partnership governative e mirano a proporre ai consumatori asiatici l’ampia gamma dei propri vini, ben 22, del gruppo cooperativo romagnolo unitamente ai prodotti alimentari d’eccellenza dell’Emilia Romagna. Per fare apprezzare la grande qualità dei vini romagnoli ad un giusto prezzo, le location sono pensate come ambienti dove la gente si senta invitata ad entrare: eleganti e nel contempo sobri, non esclusivi. Anche nel wine bar di Xiamen chef blasonati terranno corsi di cucina, con eventi di degustazione enogastronomica e momenti artistici, dove l’essenza del territorio di Romagna si confronterà con la cultura e l’enogastronomia cinese, come avviene nei locali “Tot i de” nipponici e coreani. La filosofia del progetto è contenuta nel nome: fare del consumo del vino in Cina un uso giornaliero informale e tuttavia ‘consapevole’, e nel contempo sperimentare il connubio con l’arte culinaria orientale. Tuttavia, i primitivi abitanti di quello che diventò il Celeste Impero già conoscevano la vite (all’inizio la ‘vitis silvestris’, spontanea e selvatica, poi la ‘vitis vinifera’, la variante coltivata) e di conseguenza il prodotto della fermentazione delle uve, come conoscevano il succo fermentato del riso o di altre bacche o frutti. Al pari di tutte le antiche civiltà, il succo d’uva entrava soprattutto nei riti religiosi e sempre riservato alle alte sfere della società. È il caso di ricordare che, a livello commerciale, il vino in Cina fu prodotto per la prima volta nel 1892, con viti importate dalla California e, paradossalmente, il pubblico a cui era destinato era quello occidentale. Con l’avvento di Mao, di vino non si parlò per molto tempo. Si tornò a sperimentarne la produzione negli anni Ottanta del 1900, ed oggigiorno la Cina è il settimo produttore mondiale di vino e il quinto paese per consumo, nonostante il vino rimanga concepito come un prodotto di lusso nel mercato interno. Il Gruppo Cevico, da oltre 50 anni una grande realtà cooperativa della Romagna con sede a Lugo di Ravenna, e collegamenti in altre regioni, associa 23 Marchi. Il Gruppo Cevico si colloca tra i maggiori esportatori italiani di vino nel mercato internazionale, che ha fatto registrare un +13% sul fatturato. “Raddoppiare le esportazioni del vino italiano in Cina” è stata la dichiarazione d’intenti del Console Generale d’Italia a Shanghai, Stefano Beltrame, in visita ad Expo Milano 2015 per la “Shanghai Week” e a “Vino – a Taste of Italy”. Grazie a formazioni di produttori come il Gruppo Cevico, l’Italia è il quinto Paese esportatore verso il mercato della Cina, dopo Francia, Australia, Cile e Spagna, mentre negli ultimi dieci anni aveva visto ridursi la propria quota di mercato dal 14,2% del 2001 al 6,5% del 2011. Secondo i dati forniti alla “Shanghai Week” dell’Expo, l’Italia da gennaio a giugno 2014 ha esportato oltre 8,5 milioni di litri, facendo segnare un +6,2% sullo stesso periodo 2013. Segnali incoraggianti vengono dal primo trimestre 2015 che ha visto il nostro export balzare in avanti del 14,3%. Maura Sacher Chiaretto arriva sul web in inglese e si gioca la pronuncia La Rosé Revolution del Bardolino Chiaretto è arrivata sul web con il nuovo sito Chiaretto.pink, che spiega in inglese e per immagini le caratteristiche del rosé gardesano, ma anche e soprattutto fornisce indicazioni sulla pronuncia. È nato www.chiaretto.pink, il nuovo sito internet voluto da Consorzio di tutela del Bardolino per illustrare al pubblico internazionale le caratteristiche salienti del classico vino rosato della riva veneta del lago di Garda, da quest’anno più chiaro nel colore e più agrumato nei profumati. “Con la nascita del nuovo stile del Chiaretto – spiega il presidente del Consorzio di tutela, Franco Cristoforetti – si sono aperti nuovi mercati per il nostro rosé. Occorreva dunque uno strumento in grado di parlare ad un pubblico che sta solo ora incominciando ad avvicinarsi al vino rosato della riviera gardesana. Abbiamo deciso di farlo puntando sulla lingua inglese e sulla capacità evocativa delle immagini”. Così, per esempio, per descrivere gli agrumi che caratterizzano il “nuovo” Bardolino Chiaretto si è scelta un’immagine con delle fettine di arancia e di lime che si tuffano nel rosa del Chiaretto: “Taste the difference”, assaggia la differenza, dice il testo. Per raccontare la grande abbinabilità del Chiaretto, ecco un paio di jeans su fondo rosa e il claim “Pink goes with everything”, il rosa sta con tutto, come i jeans, appunto. E la pagina di storia del Chiaretto ha una prospettiva che guarda al futuro, con una donna che “scruta” con un binocolo lo schermo di un pc, sotto la scritta “The future looks rosé”, un gioco di parole fra “il futuro sembra roseo” e “il futuro sembra rosé”. Quattro ragazzi che danzano nell’acqua in un roseo tramonto gardesano descrivono un territorio “where the sun also rosés”, dove anche il sole diventa rosé. E per rendere con immediatezza la collocazione geografica del Chiaretto, ecco una sequenza di foto del Garda (la terra d’origine), di Verona (la provincia), di Venezia (la regione) e dello stile di vita italiano, con una ragazza che ha appoggiato la bicicletta ad un albero e sta seduta ad ammirare il lago. “Il sito – aggiunge Cristoforetti – mira anche a risolvere un problema di pronuncia del nome del nostro Chiaretto per gli americani e gli inglesi, per i quali le tre lettere iniziali del nostro vino, ossia ‘chi’, vengono pronunciate ‘ci’. Di fatto, per loro viene spontaneo dire ‘Ciàretto’ e non Chiaretto. Dunque, dovevamo trovare qualcosa che avesse un suono simile al nostro, ed abbiamo puntato su ‘The Key to Chiaretto’, la chiave per il Chiaretto, poiché la parola inglese ‘key’, ossia chiave, si pronuncia ‘chi’, come l’inizio del nome del nostro vino. In più, il nuovo sito è realmente una chiave interpretativa del nostro Chiaretto”. E nasce il sottotitolo: [ key-are-et-toh ] Intanto, il Chiaretto della Rosé Revolution spopola tra la critica internazionale: i quattro vini premiati al Mondial du Rosé a Cannes e i ben sedici premi raccolti ai Decanter Wine World Awards di Londra ne sono la testimonianza. E sulle spiagge di Miami, in Florida, impazzano le doppie magnum di Chiaretto, grandi bottiglie da tre litri: “Ne hanno già ordinate varie centinaia” dice il presidente del Consorzio del Bardolino. www. chiaretto.pink. MS Nuova sede della Bouchage in Francia Diam Il nuovo impianto, Diamant III, per il trattamento del sughero nel cuore del Languedoc-Roussillon, nei Pirenei Orientali. La costruzione di questa nuova unità di trattamento del sughero, con il procedimento “Diamant®”, a Céret, completa il sito preesistente di 5 ettari che accoglie la sede della Diam Bouchage nel cuore del Vallespir. La nuova estensione di 2 mila metriquadri permette alla società di dotarsi di una nuova unità (Diamant III) dedicata alla purificazione del sughero, che si aggiunge a quella di San Vicente de Alcantara in Spagna. Questo impianto, che è costato 30 milioni di euro, ha permesso di creare 25 nuovi posti di lavoro sul sito, che si aggiungono ai 150 già esistenti. Con questo nuovo impianto Diam Bouchage ha una capacità di purificazione di 3600 tonnellate in più di farina di sughero. Questo gli permette di aumentare la sua produzione di 700 milioni di tappi e di raggiungere una capacità finale di 2 miliardi di tappi l’anno. La Francia, primo mercato, rappresenta il 30 per cento delle vendite. Diam si sviluppa anche in maniera importante all’estero ed è già presente in 42 paesi nel mondo. Diam Bouchage, con un fatturato di 102 millioni di euro nel 2014/2015, è il leader mondiale nel settore del sughero tecnologico, con i suoi prodotti Diam, Mytik Diam e Altop. L’azienda ha costruito il suo successo proponendo un tappo rivoluzionario, garantito senza deviazioni organolettiche, grazie a un procedimento di purificazione del sughero, tra l’altro brevettato, e garantito “senza impatto sull’ambiente”, ricorda il direttore generale, Dominique Tourneix. Questo procedimento utilizza le proprietà dell’anidride carbonica per purificare il sughero in modo da estrarre le molecole responsabili del gusto del tappo.