Piatti della cultura Peranakan su Singapore Airlines,Con Vinitaly l

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Piatti della cultura Peranakan su Singapore Airlines,Con Vinitaly l
Ancora premi per il whiskey
irlandese Teeling
Il whiskey irlandese Teeling continua a fare incetta dei più
prestigiosi premi internazionali.
All’edizione 2015 dell’International Wine & Spirit Competition
(IWSC) di Londra, due sono state le medaglie d’oro conquistate
da Teeling, l’Azienda di Dublino, a cui si aggiungono altri
due argenti.
Ma il whiskey irlandese Teeling questo stesso anno ha ottenuto
altri successi sia ai “World Whiskies Awards”, con il Single
Malt di Teeling, incoronato miglior malto irlandese del mondo,
e nell’occasione Jack Teeling, amministratore delegato
dell’Azienda, è stato nominato miglior Whisky Ambassador nel
mondo, sia alla “San Francisco World Spirits Competition”,
dove la distilleria Teeling ha conquistato quattro medaglie
d’oro.
Ricordiamo che “The Teeling Whiskey Co.”, gestita dai fratelli
Jack e Stephen Teeling, è l’erede di
un’antica dinastia di distillatori
irlandesi, attiva fin dal 1782, e che da
pochi mesi si è trasferita nel cuore di
Dublino, la capitale della Repubblica
d’Irlanda, ove da oltre un secolo non
veniva svolta alcuna attività legata alla produzione di
whiskey. La Teeling è così diventata la prima distilleria
cittadina dopo oltre 125 anni,
La sua capacità di distillazione annuale, con un impianto
dotato di tre grandi alambicchi tradizionali in rame, è
prevista, a regime, di 500 mila litri.
The Teeling Whiskey Co. intende riportare sul mercato la
genuina tradizione artigianale del whisky irlandese di alta
qualità, per questa ragione il suo emblema è l’immagine di una
fenice che rinasce da un alambicco stilizzato.
Il prodotto, di produzione limitata e distribuito per l’Italia
da Fratelli Rinaldi Importatori, non è sottoposto a
filtrazione a freddo, per cui conserva tutti gli aromi più
sottili e delicati della materia prima.
Le caratteristiche del Teeling Whiskey sono: assemblaggio di
malti irlandesi diversi, invecchiamento fino a 23 anni in
cinque legni diversi che hanno contenuto Porto, Sherry,
Madeira, Chardonnay di Borgogna e Cabernet Sauvignon, colore
dorato, ricco e brillante, bouquet equilibrato con note
fruttate di agrumi, di vaniglia, spezie dolci e chiodi di
garofano.
Maura Sacher
Prospettive della vendemmia
2015 in Champagne
Come ogni anno, in agosto, a circa un mese dalla vendemmia, a
seguito di una accurata valutazione a campione sui filari di
un quarto della superficie complessiva destinata allo
champagne, la Maison Jacquart emette una nota stampa.
Dopo un inizio dell’annata viticola senza problemi
particolari, l’assenza di precipitazioni a partire da fine
maggio ha causato un rilevante deficit idrico nei vigneti; se
a ciò si aggiungono periodi di vera e propria canicola nei
mesi di giugno e luglio, si spiega come la crescita di
grappoli abbia subito un sensibile rallentamento. Gli acini
sono ancora piccoli, la vite ha sofferto per la mancanza di
pioggia ma in compenso la situazione sanitaria delle uve è
ottimale.
Sono dati molto parziali che permettono di individuare le
prime tendenze, al momento si può stimare che l’inizio della
vendemmia potrà avere luogo attorno al 15 settembre 2015.
La vendemmia nella regione dello Champagne,
regione a Nord-Est della Francia, si svolge
ogni anno più o meno nello stesso periodo,
cento giorni dopo la fioritura, in genere
dalla fine di settembre alla metà di
ottobre. Il periodo della vendemmia copre un
arco temporale di circa tre settimane, con
le tre varietà classiche (Chardonnay, Pinot
Noir, Pinot Meunier) che arrivano a maturazione
simultaneamente.
quasi
Secondo la nota, trasmessaci da Piero Valdiserra, Marketing &
PR Director alla Fratelli Rinaldi Importatori di Bologna, con
l’esclusiva in Italia per lo Champagne Jacquart, la vendemmia
in Champagne è ancora di tipo tradizionale, ed è svolta
interamente a mano: i vincoli
imposti ai ‘vigneron’ sono
ancora quelli stabiliti nel
XVIII secolo. I grappoli devono
essere
raccolti
intatti, e interi
interi
e
e intatti
devono arrivare alla spremitura, in cassette speciali che ne
impediscano la macerazione. Per evitare un trasporto troppo
lungo, gli impianti di spremitura sono situati in prossimità
dei vigneti.
Nel periodo della vendemmia vengono oggi impiegati in
Champagne circa 120 mila vendemmiatori (cioè 4 per ettaro
vendemmiato); di questi 120 mila, 100 mila circa sono
stagionali. Questi stagionali, nel periodo della vendemmia,
vengono alloggiati dai vigneron e dalle grandi maison. Sono in
prevalenza studenti, amici delle famiglie della zona,
disoccupati o extracomunitari, e vengono remunerati a orario o
a cottimo.
Lo storico marchio Jacquart rinasce nel 1964 quando un gruppo
di viticoltori si uniscono in cooperativa fissando la sede a
Reims, e decidono di utilizzarlo come rappresentativo della
zona. Nel 1998 si uniscono altre forze, altri gruppi di
viticoltori, coprendo oggi una delle più grandi superfici di
approvvigionamento di tutta la Champagne.
Maura Sacher
Lost in Tokyo
Perdersi in una città come Tokyo è facile e può anche essere
divertente. Quartieri enormi, pullulanti di persone che
convivono mestamente tra loro. Una città in cui la criminalità
è praticamente inesistente: avete mai visto qui da noi una
donna al ristorante, appoggiare distrattamente la sua borsa a
terra, alle sue spalle, ad una distanza di un metro? A Tokyo è
normale!
E per chi ama mangiare giapponese quale migliore occasione per
scoprire come e quanta contaminazione occidentale ha il cibo
nipponico in Italia.
A Tokyo, moltissimi ristoranti hanno
delle vetrine nelle quali esporre i
piatti che poi si servono all’interno:
si tratta di riproduzioni iperrealiste in plastica, raffiguranti
pezzi di sushi, shashimi, noodles…
Piatti lucidissimi, dai colori
talmente brillanti e carichi che,
personalmente, più che far venire
l’acquolina in bocca, fan passare la
voglia di assaggiarli.
Tipici a Tokyo sono gli Izakaya:
ristoranti in cui si ordina un po’ di tutto così da assaggiare
i più svariati piatti; partendo dal sushi, ovviamente
squisito: i Nigiri, le polpettine di riso con sopra una bella
fetta di pesce crudo, molto più spessa che qui da noi, i Maki,
rotolini sempre di riso, incartato nell’alga Nori, tenerissima
e davvero gustosa rispetto a quelle che si trovano in Italia e
poi Sashimi, fette di pesce crudo, la cui bontà dipende
ovviamente dalla freschezza del pesce. Ma anche stick di pollo
arrostiti, tempura, okonomyaki (simil pizza stile Japan), o
tonktsu, specie di cotoletta impanata.
A Kamakura, antica capitale del Giappone, in uno dei
tantissimi antichi Templi Buddisti trasmettevano un filmato
dove veniva illustrata la giornata tipica del Monaco. Silenzio
e preghiera il loro stile di vita; mostrando immagini di
quotidianità, evidenziavano come durante il giorno, tutto si
svolga in silenzio. Anche il pranzo… Tranne quando vengono
serviti i Soba (noodles (tagliolini) di grano saraceno) o gli
Udon (di farina di grano): serviti a parte, asciutti, vengono
immersi con le bacchette in una ciotola di brodo di pesce
tenuta accostata alla bocca. Una volta che il tagliolino è
stato intinto nel liquido, viene portato alle labbra e
risucchiato con forza. Lascio a voi immaginare cosa significhi
per un europeo trovarsi in un ristorante di Soba all’ora di
punta: un coro di risucchi che rendono il pranzo o la cena
davvero impegnativa!
Deliziosi sono anche i Takoyaki: polpettine a base polpo cotte
su una apposita piastra fatta di piccoli incavi semisferici
che danno la forma perfettamente tonda a questo street food.
Servito in scatoline di cartone e le immancabili bacchette
sono un cibo davvero gustoso.
Il pranzo in un ristorante tradizionale poi è senz’altro
un’esperienza: viene servito un vassoio colmo di piattini,
ciotoline scatoline con all’interno le varie pietanze. Ma il
giapponese si nutre con poco e la scoperta del contenuto di
queste ciotoline può lasciare
perplessi: tre pezzettini di
zenzero cotti in modo differente
(visto il mix di colori), una
sottile fettina si Sashimi,
decorato da due sfoglie di
ravanello; una piccola ciotola
colma di brodo di pesce per
intingerci i Soba serviti in un
piattino da caffè; un pezzetto di tofu fresco, specie di salse
dalla consistenza sospetta… Se negli Stati Uniti le porzioni
sono enormi e saporite, qui sono davvero minime e con sapori
alquanto neutri.
La bevanda nazionale è il Sake (pronunciato saké), ottenuta
dalla fermentazione del riso con aggiunta di alcool etilico e
chiamato anche vino di riso; non è classificabile né tra i
distillati, né tantomeno tra i fermentati o tra i liquori, e
costituisce una categoria a parte. Birra e vino si trovano
ovunque. Dai supermarket di alta e bassa fascia, alle
enoteche, ai ristoranti è facile trovare vino proveniente da
ogni nazione del mondo, con un grande assortimento di vini
italiani provenienti da tutte le regioni, che qui sono molto
graditi.
Una cultura diversa dalla nostra: tradizioni, educazione e
cucina sono molto differenti, ma sempre una scoperta
interessante e a volte sorprendente.
Ed allora Banzai! (esclamazione da loro pronunciata quando si
è felici, contenti, o lieti e che significa diecimila anni…
del tipo cento di questi giorni)
Sonia Biasin
Piatti
della
Peranakan
su
Airlines
cultura
Singapore
Per gli amanti dei viaggi in Oriente e per i gourmet
giramondo, questa può essere un “gustosa” notizia: la
compagnia Singapore Airlines partecipa alle celebrazioni del
50° anniversario dell’Indipendenza della Città-Stato di
Singapore, all’insegna della cucina e tradizione Peranakan.
Singapore Airlines è stimata una compagnia aerea cinque
stelle, la più premiata del mondo, che effettua voli diretti
dall’Italia verso Singapore: cinque alla settimana da Milano a
Singapore e due da Roma (tre in estate).
A bordo di tutte le classi di viaggio, fino
a settembre 2015, vengono serviti i piatti
della cultura culinaria di Singapore,
forniti dalla creatività di Shermay Lee,
celebre chef di Singapore, Peranakan di
sesta generazione, formatasi ad una rinomata scuola di cucina
francese, operosa a tramandare le ricette della tradizione
familiare.
Il termine Peranakan in malese significa ‘autoctono’ e si
riferisce ai discendenti dei primi immigrati cinesi che si
sposarono con gli abitanti dell’arcipelago malese. I Peranakan
hanno una tradizione culinaria ibrida che combina ingredienti
e tecniche della cucina cinese, malese e inglese. Questa
fusione di culture conferisce alla cucina Peranakan il suo
gusto distintivo, permeandola di sapori stuzzicanti creati
dalle spezie provenienti da tutta la regione asiatica.
A seconda della classe scelta i passeggeri (Suite, First Class
e Business Class, o Premium Economy Class ed Economy, possono
gustare una gamma di piatti Peranakan, appositamente scelti.
I viaggiatori hanno anche l’opportunità di
gustare il dessert tradizionale di Singapore,
l’Ice Cream Wafer Sandwich, disponibile in
quattro varianti: Bandung, Gula Melaka, Pandan
e Sweet corn.
“Singapore Airlines si impegna a utilizzare
ingredienti genuini, gli stessi che uso io a
casa. È così che riusciamo a ricreare quei
sapori deliziosi, anche a 35.000 piedi
d’altezza”, ha detto la chef Shermay Lee, felice
della scelta ricaduta su di lei.
“Il cibo è legato ai nostri cuori e l’eredità culinaria di
Singapore presenta piatti conosciuti, che molti nostri
connazionali hanno gustato a casa durante la loro vita. Siamo
lieti di poter offrire questa esperienza gastronomica ‘a casa
lontano da casa’ ai nostri passeggeri di tutto il mondo”, ha
dichiarato a sua volta Tan Pee Teck, Senior Vice President
Product&Services di Singapore Airlines.
Inoltre, la SilverKris Lounge di Singapore Airlines, situata
all’aeroporto Changi, ai passeggeri in transito propone una
selezione di piatti diversa da quella offerta in volo, altre
varietà sempre spiccatamente locali.
Ultima nota per i viaggiatori: sempre fino a settembre 2015, i
turisti possono scoprire la storia e la cultura Peranakan
esibendo le carte d’imbarco di Singapore Airlines che
permettono di entrare gratuitamente al Museo Peranakan di
Singapore.
Maura Sacher
Con Vinitaly l’Italia al Wine
& Dine Festival di Shanghai
Sarà Vinitaly a rappresentare l’eccellenza enogastronomica
italiana alla prima edizione dello Shanghai Wine & Dine
Festival, in programma dal 18 al 20 settembre 2015.
Il Festival, che vede la partecipazione anche di Francia,
Spagna, Stati Uniti d’America, Australia, Cile e Argentina, è
già stato presentato ufficialmente in loco dai promotori: il
quotidiano Shanghai Morning Post, Gewara il più grande ticket
service online della Cina, Unionpay, la carta di credito più
diffusa in Cina, e Bank of Communications.
La manifestazione di settembre punta a diventare l’evento b2c
di riferimento in Oriente per il settore wine&food e Vinitaly,
il più importante salone internazionale di Veronafiere
dedicato al vino e ai distillati, è stato scelto come capofila
dell’esclusivo Padiglione che ospiterà i prodotti italiani.
Grazie all’efficace lavoro svolto in questi anni attraverso le
iniziative di Vinitaly International, la Cina ha accreditato
l’Ente Verona Fiere come il referente per la promozione
culturale del vino e della gastronomia italiane.
Questo 2015 è un momento importante per Vinitaly e il vino
italiano, ha commentato il Direttore Generale di Veronafiere,
Giovanni Mantovani, soddisfatto del successo che sta ottenendo
all’EXPO di Milano il Padiglione dedicato al vino, molto
apprezzato dai numerosi visitatori cinesi. «L’anno prossimo,
poi, sarà il Cinquantesimo anniversario di Vinitaly a Verona
e, con il nostro know-how, siamo pronti ad affrontare a
Shanghai un nuovo tipo di evento, consumer-oriented, dove
anche il food giocherà un ruolo fondamentale, facendo da
traino alla cultura del vino».
L’obiettivo resta la conquista dei consumatori cinesi, grazie
a degustazioni delle migliori etichette tricolori,
accompagnate dai piatti dei più famosi cuochi italiani di
Shanghai e offerte dalle più note realtà del food & beverage
made in Italy presenti in Cina.
Le aspettative su questo nuovo appuntamento autunnale sono
quindi molto alte, come ha spiegato Yang Wei Zhong, editore in
capo dello Shanghai Morning Post: «Shanghai è da sempre aperta
agli stili di vita occidentali e in questi due anni sta
vedendo crescere sempre più i consumatori di vino. Da questo
punto di vista è una metropoli che è punto di riferimento per
tutta la nazione e da cui passano le nuove tendenze del
consumatore cinese».
La partecipazione all’Italian National Pavilion è aperta a
tutti i produttori e importatori di vino italiano che
desiderano promuovere e vendere i loro prodotti direttamente
ai consumatori cinesi.
Tra il 5 e il 7 di novembre 2015, inoltre, Vinitaly sarà
presente ad Hong Kong per l’International Wine & Spirit Fair,
e a Mosca il successivo 16 novembre nella giornata di Vinitaly
in Russia, presso l’esclusivo Swissôtel Krasnye Holmy.
Maura Sacher
Negoziati
a
Bruxelles
sull’agroalimentare protetto
La Delegazione dell’Aicig è tornata speranzosa da Bruxelles
dove si sono svolte riunioni di negoziato previsti nell’ultimo
Regolamento CE, cosiddetto “Pacchetto Qualità”.
Si sta trattando la regolamentazione dei volumi produttivi, su
cui Aicig aveva molto insistito negli ultimi anni, ritenendola
decisiva per consentire un equilibrio tra domanda e offerta di
mercato, misura auspicata in primo luogo dagli operatori delle
filiere produttive.
Aicig (Associazione Italiana Consorzi Indicazioni Geografiche)
si è incontrata con Cnaol (l’associazione che rappresenta le
produzioni Dop del settore caseario francese) per confrontarsi
sull’applicazione delle disposizioni comunitarie in merito
alla regolamentazione dell’offerta.
Le posizioni italiane e francesi convergono sulla tutela e lo
sviluppo del settore dei prodotti Dop e Igp e c’è una
sostanziale intesa per supportare in ambito comunitario le
ragioni e gli interessi delle produzioni a indicazione
geografica.
Con i colleghi francesi, dopo i primi anni di applicazione
delle norme comunitarie nel settore lattiero-caseario, si è
fatto il punto della situazione valutando anche possibili
miglioramenti ai diversi sistemi di regolamentazione, anche in
prospettiva OCM unica (Organizzazione Comune del Mercato
unica).
«Questi confronti – dichiara Riccardo Deserti di Aicig – sono
indispensabili per una corretta applicazione delle norme
comunitarie su temi così specifici. I dialoghi costanti
avviati con i colleghi francesi hanno lo scopo di rafforzare
l’intero settore anche in ambito extracomunitario».
Aicig, in effetti, ha partecipato anche all’incontro dei
portatori di interesse nei negoziati bilaterali tra Unione
Europea e gli Stati Uniti nell’ambito del TTIP, facendosi
portavoce dei Consorzi, alcuni dei
quali presenti a Bruxelles, i quali
hanno insistito nei confronti dei
negoziatori al fine di ottenere, nel
futuro accordo, una protezione per le
produzioni Dop e Igp comunitarie sul
territorio statunitense.
Secondo Gianluigi Ligasacchi di Aicig, «Le produzioni a
denominazione, con tutto il sistema di controllo e
certificazione, costituiscono un settore di primaria
importanza per un corretto sviluppo dell’intero settore
agroalimentare», e per l’appunto il sistema dei prodotti Dop e
Igp è garantito da oltre 60.600 visite degli Organismi di
Controllo che generano circa 75.000 controlli analitici sui
prodotti certificati.
Ligasacchi auspica un’adeguata protezione per i prodotti Dop e
Igp anche negli Stati Uniti al fine di maggior tutela dei
produttori comunitari «ma anche per garantire i consumatori
americani, spesso non in condizione di compiere una scelta
consapevole».
Maura Sacher
In
Perù
la
missione
commerciale di CSO e CERMAC
Perù e Italia hanno ottime opportunità di scambio nel settore
dell’ortofrutta, dopo il cammino avviato nel settembre 2013,
quando Agap ha siglato un accordo con Cso finalizzato a
incentivare e consolidare i rapporti commerciali.
L’Agap, ‘Asociacion de gremios productores agrarios’ del Perù,
associazione che comprende sei gruppi di produttori agricoli,
ha puntato sul Bel Paese, offrendo canali di trattativa ai
produttori ed esportatori italiani, da quando il Trattato di
Libero Scambio e Accordo di Integrazione Economica Unione
Europea–Perú, entrato in vigore a marzo del 2013, ha stabilito
dazio zero per il 100% dei prodotti industriali peruviani
verso in Europa, e di conseguenza anche in Italia.
Sono già diverse le imprese italiane presenti sul territorio
peruviano che si fanno mediatrici ed importatrici di prodotti
italiani di vario genere, ed alcune di prodotti alimentari,
principalmente del settore dolciario, ma anche di olio, aceto
balsamico e liquori.
Per contro, ci sono prodotti agricoli peruviani, come
l’asparago bianco, l’uva da tavola, che il Perù coltiva
intensivamente per l’esportazione, agrumi
banane, avocado, mango, piccoli frutti
e soprattutto
esotici, che
costituiscono lo zoccolo duro nell’export,
verso gli Stati Uniti, ad esempio, come
principale
mercato,
e
in
Europa
soprattutto Francia, Spagna e Germania.
«Meno l’Italia – hanno affermato i vertici
delle associazioni peruviane – dove
abbiamo l’obiettivo di aumentare l’export
del 10-15%». In effetti, il 99% dei
prodotti ortofrutticoli peruviani destinati all’Europa passa
per l’Olanda e la Germania, e da loro a noi transitano.
Ora, dopo mesi di trattative, l’intesa è maturata.
Si è conclusa negli scorsi giorni la missione commerciale di
CSO e CERMAC in Perù per consolidare i rapporti con gli
operatori locali.
La delegazione guidata da Federico Milanese di CSO ha
partecipato alla fiera TECNOAGRO di Lima, un importante evento
rivolto principalmente ai produttori di tecnologia da pieno
campo e da post raccolta, a vivaisti, aziende del packaging e
fornitori di servizi collegati al settore ortofrutticolo
locale.
Ci hanno fatto sapere che «La missione, in contemporanea con
la Fiera ha fatto visita anche ai principali retail peruviani
per verificare l’interesse all’importazione di mele e pere. Al
momento il mercato risulta chiuso per problemi di barriere ma
sono stati allacciati i primi contatti con le istituzioni
locali per poter avviare procedure di apertura commerciale. La
delegazione ha fatto anche tappa a Trujillo, nella zona a Nord
di Lima, per visitare i principali produttori locali. Hanno
partecipato alla missione organizzata da Cermac e CSO
importanti aziende italiane quali: Assomela, Graziani, Gruppo
Mazzoni, Irtec, Rinieri, Unitec e TR Turoni».
Il nostro massimo auspicio, conoscendo direttamente le realtà
locali latino-americane, è che non si speculi massivamente
sullo sfruttamento agro-frutticolo a beneficio degli interessi
di strutture multinazionali in quelle aree con un’antica
concezione del forte legame di rispetto con la Madre Terra
(Pachamama), ma vada a incidere
concretamente sul’economia del Paese e
sulla equa ripartizione degli utili nella
comunità locale.
Maura Sacher
Anche
in
Cina
si
romagnolo “Tot i dè”
beve
Dopo Giappone e Corea del Sud, anche in Cina è arrivato il
vino romagnolo, insediandosi con il marchio “Tot i de”
(espressione romagnola che significa “tutti i giorni”).
A Xiamen è stato da poco aperto il quinto Wine Bar “Tot i dè”
del Gruppo Cevico, inaugurato alla presenza di Marco Nannetti
(riconoscibile nella foto di testa dell’articolo), il quinto
locale nell’Estremo Oriente nel giro di pochi anni dopo
Hiroshima, Tokyo e i due di Seul.
I wine bar “Tot i dè” sono frutto di un accordo del Gruppo
Cevico con partnership governative e mirano a proporre ai
consumatori asiatici l’ampia gamma dei propri vini, ben 22,
del gruppo cooperativo romagnolo unitamente ai prodotti
alimentari d’eccellenza dell’Emilia Romagna.
Per fare apprezzare la grande qualità dei vini romagnoli ad un
giusto prezzo, le location sono pensate
come ambienti dove la gente si senta
invitata ad entrare: eleganti e nel
contempo sobri, non esclusivi.
Anche nel wine bar di Xiamen chef
blasonati terranno corsi di cucina, con
eventi di degustazione enogastronomica
e momenti artistici, dove l’essenza del territorio di Romagna
si confronterà con la cultura e l’enogastronomia cinese, come
avviene nei locali “Tot i de” nipponici e coreani.
La filosofia del progetto è contenuta nel nome:
fare del consumo del vino in Cina un uso
giornaliero informale e tuttavia ‘consapevole’,
e nel contempo sperimentare il connubio con
l’arte culinaria orientale.
Tuttavia, i primitivi abitanti di quello che diventò il
Celeste Impero già conoscevano la vite (all’inizio la ‘vitis
silvestris’, spontanea e selvatica, poi la ‘vitis vinifera’,
la variante coltivata) e di conseguenza il prodotto della
fermentazione delle uve, come conoscevano il succo fermentato
del riso o di altre bacche o frutti. Al pari di tutte le
antiche civiltà, il succo d’uva entrava soprattutto nei riti
religiosi e sempre riservato alle alte sfere della società.
È il caso di ricordare che, a livello commerciale, il vino in
Cina fu prodotto per la prima volta nel 1892, con viti
importate dalla California e, paradossalmente, il pubblico a
cui era destinato era quello occidentale. Con l’avvento di
Mao, di vino non si parlò per molto tempo. Si tornò a
sperimentarne la produzione negli anni Ottanta del 1900, ed
oggigiorno la Cina è il settimo produttore mondiale di vino e
il quinto paese per consumo, nonostante il vino rimanga
concepito come un prodotto di lusso nel mercato interno.
Il Gruppo Cevico, da oltre 50 anni una grande realtà
cooperativa della Romagna con sede a Lugo di
Ravenna, e collegamenti in altre regioni,
associa 23 Marchi. Il Gruppo Cevico si
colloca tra i maggiori esportatori italiani
di vino nel mercato internazionale, che ha
fatto registrare un +13% sul fatturato.
“Raddoppiare le esportazioni del vino italiano in Cina” è
stata la dichiarazione d’intenti del Console Generale d’Italia
a Shanghai, Stefano Beltrame, in visita ad Expo Milano 2015
per la “Shanghai Week” e a “Vino – a Taste of Italy”.
Grazie a formazioni di produttori come il Gruppo Cevico,
l’Italia è il quinto Paese esportatore verso il mercato della
Cina, dopo Francia, Australia, Cile e Spagna, mentre negli
ultimi dieci anni aveva visto ridursi la propria quota di
mercato dal 14,2% del 2001 al 6,5% del 2011. Secondo i dati
forniti alla “Shanghai Week” dell’Expo, l’Italia da gennaio a
giugno 2014 ha esportato oltre 8,5 milioni di litri, facendo
segnare un +6,2% sullo stesso periodo 2013. Segnali
incoraggianti vengono dal primo trimestre 2015 che ha visto il
nostro export balzare in avanti del 14,3%.
Maura Sacher
Chiaretto arriva sul web in
inglese
e
si
gioca
la
pronuncia
La Rosé Revolution del Bardolino Chiaretto è arrivata sul web
con il nuovo sito Chiaretto.pink, che spiega in inglese e per
immagini le caratteristiche del rosé gardesano, ma anche e
soprattutto fornisce indicazioni sulla pronuncia.
È nato www.chiaretto.pink, il nuovo sito internet voluto da
Consorzio di tutela del Bardolino per illustrare al pubblico
internazionale le caratteristiche salienti del classico vino
rosato della riva veneta del lago di Garda, da quest’anno più
chiaro nel colore e più agrumato nei profumati.
“Con la nascita del nuovo stile del Chiaretto – spiega il
presidente del Consorzio di tutela, Franco Cristoforetti – si
sono aperti nuovi mercati per il nostro rosé. Occorreva dunque
uno strumento in grado di parlare ad un pubblico che sta solo
ora incominciando ad avvicinarsi al vino rosato della riviera
gardesana. Abbiamo deciso di farlo puntando sulla lingua
inglese e sulla capacità evocativa delle immagini”.
Così, per esempio, per descrivere gli agrumi che
caratterizzano il “nuovo” Bardolino Chiaretto si è scelta
un’immagine con delle fettine di arancia e di lime che si
tuffano nel rosa del Chiaretto: “Taste the difference”,
assaggia la differenza, dice il testo.
Per raccontare la grande abbinabilità del Chiaretto, ecco un
paio di jeans su fondo rosa e il claim “Pink goes with
everything”, il rosa sta con tutto, come i jeans, appunto.
E la pagina di storia del Chiaretto ha una prospettiva che
guarda al futuro, con una donna che “scruta” con un binocolo
lo schermo di un pc, sotto la scritta “The future looks rosé”,
un gioco di parole fra “il futuro sembra roseo” e “il futuro
sembra rosé”.
Quattro ragazzi che danzano nell’acqua in un roseo tramonto
gardesano descrivono un territorio “where the sun also rosés”,
dove anche il sole diventa rosé. E per rendere con
immediatezza la collocazione geografica del Chiaretto, ecco
una sequenza di foto del Garda (la terra d’origine), di Verona
(la provincia), di Venezia (la regione) e dello stile di vita
italiano, con una ragazza che ha appoggiato la bicicletta ad
un albero e sta seduta ad ammirare il lago.
“Il sito – aggiunge Cristoforetti – mira anche a risolvere un
problema di pronuncia del nome del nostro Chiaretto per gli
americani e gli inglesi, per i quali le tre lettere iniziali
del nostro vino, ossia ‘chi’, vengono pronunciate ‘ci’. Di
fatto, per loro viene spontaneo dire ‘Ciàretto’ e non
Chiaretto.
Dunque, dovevamo trovare qualcosa che
avesse un suono simile al nostro, ed
abbiamo puntato su ‘The Key to
Chiaretto’,
la
chiave
per
il
Chiaretto, poiché la parola inglese
‘key’, ossia chiave, si pronuncia
‘chi’, come l’inizio del nome del
nostro vino. In più, il nuovo sito è
realmente una chiave interpretativa
del nostro Chiaretto”.
E nasce il sottotitolo: [ key-are-et-toh ]
Intanto, il Chiaretto della Rosé Revolution spopola tra la
critica internazionale: i quattro vini premiati al Mondial du
Rosé a Cannes e i ben sedici premi raccolti ai Decanter Wine
World Awards di Londra ne sono la testimonianza.
E sulle spiagge di Miami, in Florida, impazzano le doppie
magnum di Chiaretto, grandi bottiglie da tre litri: “Ne hanno
già ordinate varie centinaia” dice il presidente del Consorzio
del Bardolino. www. chiaretto.pink.
MS
Nuova
sede
della
Bouchage in Francia
Diam
Il nuovo impianto, Diamant III, per il trattamento del sughero
nel cuore del Languedoc-Roussillon, nei Pirenei Orientali.
La costruzione di questa nuova unità di trattamento del
sughero, con il procedimento “Diamant®”, a Céret, completa il
sito preesistente di 5 ettari che accoglie la sede della Diam
Bouchage nel cuore del Vallespir.
La nuova estensione di 2 mila metriquadri permette alla
società di dotarsi di una nuova unità (Diamant III) dedicata
alla purificazione del sughero, che si aggiunge a quella di
San Vicente de Alcantara in Spagna.
Questo impianto, che è costato 30 milioni di euro, ha permesso
di creare 25 nuovi posti di lavoro sul sito, che si aggiungono
ai 150 già esistenti. Con questo nuovo impianto Diam Bouchage
ha una capacità di purificazione di 3600 tonnellate in più di
farina di sughero. Questo gli permette di aumentare la sua
produzione di 700 milioni di tappi e di raggiungere una
capacità finale di 2 miliardi di tappi l’anno.
La Francia, primo mercato, rappresenta il 30 per cento delle
vendite. Diam si sviluppa anche in maniera importante
all’estero ed è già presente in 42 paesi nel mondo.
Diam Bouchage, con un fatturato di 102 millioni di euro nel
2014/2015, è il leader mondiale nel settore del sughero
tecnologico, con i suoi prodotti Diam, Mytik Diam e Altop.
L’azienda ha costruito il suo successo proponendo un tappo
rivoluzionario, garantito senza deviazioni organolettiche,
grazie a un procedimento di purificazione del sughero, tra
l’altro brevettato, e garantito “senza impatto sull’ambiente”,
ricorda il direttore generale, Dominique Tourneix.
Questo procedimento utilizza le proprietà dell’anidride
carbonica per purificare il sughero in modo da estrarre le
molecole responsabili del gusto del tappo.