Farò parlare le cifre, perché i sentimenti e le lacrime - Arimondi-Eula
Transcript
Farò parlare le cifre, perché i sentimenti e le lacrime - Arimondi-Eula
Farò parlare le cifre, perché i sentimenti e le lacrime sono troppo facili da simulare e ostentare in queste situazioni. La compassione, l’indignazione e la pietà non servono a niente dopo, servono prima. Tra gennaio e aprile 2014, quando era ancora in vigore Mare Nostrum, i morti nel Mediterraneo sono stati 17; quest’anno nel medesimo arco di tempo più di 1500. L’operazione Mare Nostrum, completamente a carico dell’Italia, lasciata sola a gestire un esodo di massa senza precedenti, costava 9 milioni di euro al mese al nostro stato. Triton, finanziato dalla bellezza di 17 Paesi membri prevede lo stanziamento di 2 milioni di euro al mese. E i risultati si sono visti. In questo mondo governato dal dio denaro, ora anche il salvare vite umane inizia ad avere un suo prezzo, che a quanto pare tiene conto della nazionalità, del colore della pelle e del continente di provenienza. Questo muro, che l’Ue tenta disperatamente (e invano) di alzare per arginare un’ondata di immigrazione di massa, trasformerà il Mediterraneo in una fossa comune. Questo è l’ennesimo schiaffo che l’Europa, dopo secoli di vessazioni e soprusi su queste popolazioni, infligge a popoli a cui rinfacciamo condizioni di povertà e guerre che altro non sono che un retaggio di scelte e politiche dell’Occidente. G. IL BAMBINO COL CAPPELLINO DI LANA Fra più di settecento cadaveri ammassati sulle banchine del porto di Lampedusa c’era anche quello di un bambino col cappello di lana. Posso immaginarmi il momento della partenza, in cui la madre, ricca di premure, aveva insistito affinché lo indossasse e gli aveva detto di non toglierselo per nessun motivo al mondo: il vento durante la navigazione era troppo freddo e la nave su cui avrebbero viaggiato non era dotata di una stiva in cui rifugiarsi. Non potevano permettersi che si ammalasse; giunti in Sicilia avrebbero dovuto lasciare l’isola immediatamente. Il bambino ha seguito il suo consiglio, ha indossato il logoro cappellino che rappresentava il suo unico oggetto e la sua unica arma di difesa contro il freddo. Ma questo non lo ha però salvato, non gli ha impedito di venire inghiottito dal nero abisso; chissà che cosa ha pensato il bimbo nel vedere la gente intono a lui cadere in mare, nel sentire le grida disperate di coloro che amava, nel percepire il gelo tagliente dell’acqua penetrare i suoi vestiti e anche la lana del suo cappellino. Adesso quel bambino, senza nome e senza identità, è ammassato insieme alle altre vittime e presto verrà gettato in una fossa comune. Nessuno andrà a piangere sulla sua tomba, nessuno si ricorderà di lui. Come può l’esistenza di un bambino essere cancellata così velocemente? e non solo la sua, ma quella di migliaia e migliaia di persone che, con la speranza di ricominciare e di migliorare le loro condizioni, hanno pagato con la vita il prezzo del traghetto della morte. Molte volte abbiamo bisogno di dare un volto a ciò che sentiamo, di vedere che dietro i dati numerici di morti in mare durante i naufragi ci sono delle persone, uomini. donne e bambini; è sempre stato così: Manzoni descriveva Cecilia, una bambina con la veste bianca , che era stata deposta con cure dalla madre sul carro che trasportava le vittime della peste, Steven Spielberg, in Schinderl’s list, ha girato un film in bianco e nero il cui unico colore era il rosso del cappotto di una bimba morta nei campi di sterminio. Dare un volto ed un’identità alle vittime del naufragio, rendersi conto che avevano dei sentimenti e dei sogni proprio come noi ci aiuta a provare pietà, insinua in noi una tristezza e un senso di desolazione inimmaginabile. Voglio dare anche io un volto alle 700 vittime di lunedì scorso, ricordandomi di loro attraverso il bambino con il cappellino di lana. A. Al trasporto dei migranti sono assegnate le carrette del mare, con in media 23 anni di navigazione. Si tratta di piroscafi in disarmo, chiamati “vascelli della morte”, che non possono contenere più di 700 persone, ma ne caricano più di 1.000, che partono senza la certezza di arrivare a destinazione: barchette di carta in un mare senza remore. Se pensi, caro lettore, che si stia parlando della tragedia del 22 aprile scorso avvenuta al largo delle coste italiane, hai ragione solo in parte. Questi dati si riferiscono alle emigrazioni di noi italiani a cavallo dei secoli XIX e XX. Questo a dimostrazione del fatto che tu (esatto, tu) non sei diverso da coloro che hanno rischiato e rischiano tutt'oggi la vita per giungere nella "tua" terra, e sicuramente non sarà la tua cittadinanza (di cui ti ricordi solamente durante i mondiali di calcio) a renderti migliore o in qualche superiore ed estraneo a queste tragedie. Ti senti italiano? Allora immedesimati in tutti quegli esseri umani senza volto e senza nome che morirono senza nemmeno il diritto cronaca, nelle famiglie che in Italia attendevano invano notizie dai loro cari e smetti di crederti migliore di quelli che nel giungere in Italia vedono un'opportunità che tu ogni giorno disprezzi borbottando perpetue critiche alle istituzioni, come al governo o a che altro. A te, che tanto brami di vivere in America, a New York, sono dedicati questi versi della poetessa americana Emma Lazarus, datati 1883, incisi all'interno della Statua della Libertà: rifletti che la sorte dei "clandestini che vengono a rubarci il lavoro" sarebbe potuta essere la tua, se il caso, per tua fortuna benevolo nei tuoi confronti, ti avesse fatto nascere un secolo fa. ”Datemi le vostre stanche, povere, affollate masse che bramano di respirare la libertà, il miserabile rifiuto della vostra affollata terra, mandate a me i senza tetto, gli afflitti, innalzo la mia luce vicino alla porta d’oro.” A. Profughi di morte ai confini d'Europa, vivi e morti toccano il cuore ai pescatori di uomini che guardando i corpi allineati sulla spiaggia si dicono "che fare?". Profughi di morte ai confini d'Europa, negli occhi commossi dell'isolano lunghe liste sul conto dei burocrati di Bruxelles. G. L’unico sentimento che mi attanaglia sentendo di queste tragedie è la rabbia. Provo rabbia se penso che settant’anni fa siamo usciti dalla seconda guerra mondiale e adesso non facciamo nulla per chi sta vivendo drammi simili a quelli del passato. L’Italia, che non può da sola aiutare tutti gli immigrati, ha bisogno dell’Europa. A. Le circostanze sono estremamente gravi. Non è moralmente giusto rimanere indifferenti di fronte alle miserie che coinvolgono migliaia di persone. Parte dell’Italia sembra addormentata, inerte di fronte al problema. E’ difficile organizzare un piano d’azione per far fronte ad un’emergenza tale, ma occorre almeno provarci. Di fronte a tanto dolore è semplice alzare barriere e voltare le spalle, ma sicuramente non è la strada giusta da prendere. E. “L’uomo arriva dove arriva l’amore” scrisse Calvino ne “la giornata di uno scrutatore”. E’ strano parlare di amore in un’epoca in cui si tenta di limitare il sentimento a favore del guadagno economico: la strage di Lampedusa ne è un valido esempio. Settecento morti, la quantità smisurata dei caduti in mare fa impressione, ma il fatto che si parli di una quantità così grande porta a dimenticare che ciascuno di loro aveva un nome, un’identità, una vita da raccontare. Una massa anonima, un fiume di gente spaventata, attonita riempie di orrore e fa distogliere lo sguardo, mentre la pietà è singolare. “Il passar della falce che pareggia tutte l’erbe del prato” come pensa Renzo attraverso la penna del Manzoni risulta meno commovente: la misericordia ha bisogno di scegliere una sola figura e su quella rivolgere comprensione, aiuto, simpatia. E’ bene non dimenticare che ognuna di quelle settecento persone aveva sogni, speranze, sentimenti. Scriveva Emmanuel Levinas “Io sono nella sola misura in cui sono responsabile dell’altro”: ciò che l’altro può fare nei miei confronti riguarda lui, ma la responsabilità verso lui impegna me, fino a definire una relazione asimmetrica in cui la reciprocità non è richiesta , una relazione disinteressata e gratuita. In queste drammatiche situazioni, è bene riprendere il concetto di humanitas e filantropia, protagonista della letteratura classica, per capire che non c’è vita che non meriti amore. Non abbiamo nessun merito ad essere nati dalla parte “giusta” del mondo: è per noi doveroso colmare attraverso l’aiuto, non solo economico, la distanza che c’è fra noi e coloro che vivono nella parte “sbagliata” del mondo perché il fatto che questa distanza possa essere un ponte o un baratro, dipende solo da noi. G. A proposito dell’articolo di Magris “Dove cessa l’umanità” pubblicato sul Corriere della Sera del 20 aprile Tra la morte certa e la speranza di vita cosa scegliere? Magris dice: “Loro non hanno colpa di essere nati dalla parte sbagliata, ma soprattutto noi non abbiamo alcun merito di essere nati dalla parte giusta”. Cos’è, però, giusto? E’ giusto forse che l’Unione europea abbandoni l’Italia al suo destino? Sorge il forte dubbio che l’unica cosa che ci unisca sia la moneta. E’ giusto lasciare annegare, morire in mare le persone? E’ giusto che lo scafista libico lucri sulla vita altrui? Ed è forse giusto che ciascuno di noi, dopo un breve commento, per non ammettere la gravità della situazione, si faccia scivolare via ogni cosa come se nulla fosse? Noi nella parte protetta di una casa, noi con lo stomaco pieno e vestiti puliti, noi in un letto caldo la sera. Noi e la nostra famiglia a guardare scene di morte strazianti su uno schermo che ci separa come un muro dalla realtà. E. Sono delusa. La fiducia che ho sempre riposto negli esseri umani va dileguandosi, si spegne a poco a poco. I miei simili hanno dimostrato ormai troppe volte di quali ingiustizie sono capaci. In questo momento vivo nella vergogna di appartenere all'umanità. I. Per quanti queste morti sono più di numeri in fondo al mare ? "Erano 900" "Ho sentito dire 700". Ricorriamo a sterili cifre perché uno zero in più, o uno in meno, sulla carta, conta poco e non porta al dolore. E non porta a riflettere. Ed è proprio questo : non vogliamo interrogarci; perché non possedere risposte arreca ai nostri cuori intorpiditi una sgradevole sensazione di vuoto. I. A proposito dell’articolo di Magris “Dove cessa l’umanità” pubblicato sul Corriere della Sera del 20 aprile La società di quelli nati "dalla parte giusta" assiste ogni giorno alle notizie frettolose lette di corsa sui giornali o sapientemente manipolate dai media, con una complice e facile indifferenza verso quelle cose che sembrano sempre troppo lontane per destare preoccupazione, o peggio con l'ostentata e inutile indignazione di chi vuole solo sentirsi la coscienza pulita. Quando ci si scontra però con parole scomode e tremendamente vere come quelle di Magris è difficile nascondersi dietro maschere di perbenismo. Ci si deve davvero sentir pronunciare senza troppe perifrasi "Pena di morte" perchè ci si possa rendere finalmente conto della gravità e globalità della situazione attuale? L. Bisogna deporre l'idea che tanto ''le tragedie e le disgrazie accadranno ancora e continueranno ad accadere'' perché, se queste accadono, è colpa solamente dell'uomo che non propone nuove soluzioni di fronte ai problemi limitandosi a fare parole. Si parla spesso di ''aiutare chi è in difficoltà'', ''di mettersi nei panni degli altri'' ma poi lo si fa realmente? Non è cosa facile, ma neanche impossibile. Per esempio ogni famiglia italiana potrebbe ospitarne almeno una profuga e provare a vivere come ''una grande famiglia''. E basta pensare che questa gente ''dovrebbe stare nel suo paese'', ''che tanto arrivano qui per rubare lavoro'': è gente disperata, che ha un estremo bisogno d'aiuto che noi abbiamo il DOVERE di dare. Auguro a tutti un giorno di poter vivere in un futuro migliore. M. Compiere un viaggio estremo attraverso le insidie del mare e una volta raggiunta la costa ritrovarsi le spalle voltate. Il mancato aiuto è un atteggiamento inaccettabile a livello umano, ma l’Italia non può assumersi da sola questo compito. L’Europa deve intervenire. M. L’Italia è stata davvero lasciata sola. Anzi no. L’Italia esiste quando bisogna pagare debiti, l’Italia esiste quando fa delle “gaffe”, l’Italia è ricordata per i politici, per le figuracce, per le promesse non mantenute. Mai è ricordata per lo sforzo che sta facendo e ha fatto per accogliere i migranti sulle sue terre. Sforzo che diventa insostenibile se a compierlo è uno staterello così piccolo e fragile come l’Italia. L’Europa non vede questo enorme sforzo e resta indifferente. E il naufragar non è dolce in questo mare. A. Di fronte alla morte di così tanti individui regna talvolta l’indifferenza, come se tutto ciò non fosse mai accaduto. Spesso dimentichiamo di esaminare la nostra coscienza e reprimiamo i nostri sentimenti per vivere in modo spensierato e libero da preoccupazioni. Come è però possibile non indignarsi per un fatto simile? Se non provassimo nulla, non saremmo esseri umani, ma fredde macchine. A. Indifferenti. Fanno finta di niente. “Sono affari loro, se la sbrighino da soli”. E si fanno scivolare addosso ciò che succede intorno. Eppure il problema dovrebbe interessare tutta l’Europa, in quanto comunità: occorre agire affinché persone come noi, con gli stessi nostri diritti, possano trovare quella serenità che non possiedono nel loro paese. Non hanno scelto di andarsene di lì, sono stati obbligati a farlo A. A proposito dell’articolo di Magris “Dove cessa l’umanità” pubblicato sul Corriere della Sera del 20 aprile No, la pena di morte no. Ci sono molte persone la cui presenza sulla terra mi disturba tanto da pensare con fermezza che certamente l'umanità starebbe meglio senza di loro, ma se cominciassimo con costoro cadremmo inesorabilmente proprio in ciò che Magris denuncia: l'abitudine. Basterebbe così poco a farci ricadere nell'inciviltà e nel delirio di onnipotenza che lo stato ha nell'autoconferirsi il potere di vita o di morte. Siamo dotati di una giustizia che non riusciamo ad utilizzare per punire persone che davvero lo meritano, da qui nascono la frustrazione e le prese di posizione estreme. E’ vero, l'Europa non fa che peggiorare questo sentimento: ci ha abbandonati nei nostri problemi; o meglio in un enorme problema che dovrebbe interessare ogni cittadino europeo. E’ vero, l'Europa non esiste. Un'altra volta confermiamo che pur essendo dotati di cose tanto grandi e utili le usiamo nel modo sbagliato. Basterebbe questo, e forse un'indignazione più sincera e meno d'occasione. S.